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Appunti per il corso di legislazione dei beni culturali per il corso unimi di Lugli
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Legislazione dei Beni Culturali
I decreti legislativi sono disciplinati dall’articolo 76 della Costituzione. A differenza del Decreto Legislativo, il
Decreto Legge è un atto del Governo avente immediata forza di legge emanabile esclusivamente in caso di
necessità o emergenza; tuttavia, in caso non venga presentato il giorno stesso alle Camere e queste non lo
approvino entro 60 giorni, il decreto perderà ogni efficacia. I Decreti Legge sono disciplinati dall’articolo 77
della Costituzione.
Si ritiene che il bene culturale sia talmente importante per la società da meritare il massimo della pena
ricorrendo al diritto penale.
Origini della legislazione dei beni culturali
Già a partire dall’antica Roma vengono introdotte legislazioni in materia di beni culturali. Secondo i Romani
il bene culturale era rappresentato da ogni bene che potesse avere utilità pubblica (utilitas). Sotto l’impero
di Giustiniano vennero emanati degli editti che consentirono a tutti i cittadini di ammirare le bellezze
paesaggistiche di Costantinopoli da ogni punto della città.
In epoca moderna il primo Stato italiano preunitario ad intervenire sulla legislazione in tema di beni
culturali fu lo Stato Pontificio: nel 1733, ad opera del Cardinale Annibale Albani, fu emanato un editto che
sottolineava l’importanza del decoro dei monumenti romani e l’importanza dei beni pubblici per i liberi
privati. Nel 1802, ad opera di Papa Pio VII, vennero emanate alcune norme riguardo il godimento di beni
culturali da parte del pubblico e il divieto di estrazione (esportazione) degli stessi. Quest’ultimo rappresenta
il primo atto ufficiale che identifica il bene culturale come Patrimonio, cioè come qualcosa da custodire e
conservare. Nel 1820, infine, l’editto presentato da Cardinal Pacca rappresentò la prima vera forma di
legislazione organica in materia di beni culturali. Tale legislazione venne successivamente presa a modello
ed applicata nello Stato di Napoli e nello Stato di Toscana. Nel Lombardo Veneto, tuttavia, le norme sul
divieto di esportazione vennero sostituite dal Diritto di Prelazione: in caso di volontà da parte del
proprietario di vendere un bene, lo Stato ha diritto di priorità di acquisto alle condizioni richieste dal
proprietario stesso.
In seguito all’unità d’Italia nel 1861, le prime riforme legislative in tema di beni culturali avvennero sotto il
regime fascista; prima fra tutte l’introduzione della Legge n°2006 del 1939 riguardante gli Archivi del Regno
d’Italia. Nel 1939 vennero, inoltre, gettate le basi del Codice Civile che sarà completato solo nel 1942. Il
Codice Civile introduce alcune normative inerenti ai beni dello Stato, pubblici ed ecclesiastici.
Il Demanio Pubblico rappresenta l’insieme dei beni dello Stato che non possono essere dati in concessione
ed è disciplinato dagli articoli 822 e 823 del Codice Civile.
L’Articolo 823 del Codice Civile è intitolato Condizione giuridica del demanio pubblico.
Nel concetto del Demanio stanno tutti i beni indicati del Codice Civile che non possono essere dati in
concessione. Patrimonio dello Stato, invece, comprende sia i beni demaniali sia i beni disponibili e perciò
liberamente vendibili.
I primi dodici articoli della Costituzione costituiscono i Principi Fondamentali. L’Articolo 9 è dedicato alla
tutela del patrimonio storico e artistico della nazione. Gli Articoli 7 e 8 trattano dei rapporti dello Stato con
la Chiesa Cattolica e altri enti ecclesiastici.
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Primo Comma Articolo 9: la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e
tecnica.
Secondo Comma Articolo 9: la Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della
Nazione.
Con questo articolo l’Italia si propone di essere uno Stato di cultura. Questo articolo impegna la Repubblica
come Stato a livello centrale, come regioni, province e comuni a livello particolare. Vincola, inoltre, gli enti
non territoriali dello stato.
La Corte Costituzionale ha il compito di controllare che una legge sia conforme alla Costituzione. Una
sentenza della corte costituzionale ha deciso che il termine di tutela nel secondo comma dell’Articolo 9 non
deve essere interpretato in modo statico, ma in modo dinamico come impegno a valorizzare il patrimonio
artistico perché tutti possano goderne. Il bene culturale è patrimonio della nazione, ovvero di proprietà di
un popolo che, nonostante non sia uguale in tutto, ha tratti comuni che lo uniscono, come la lingua o, in
passato, la religione. Lo Stato deve favorire il pluralismo culturale, ovvero l’organizzazione di manifestazioni
che fanno capo a ideologie diverse. Lo Stato deve essere perciò imparziale e neutrale nello sviluppo della
cultura e della ricerca. Il primo comma dell’articolo 33 sostiene che l’arte e la scienza sono libere e libero è
il loro insegnamento e lo Stato deve valorizzare qualsiasi espressione artistica.
Nel 1964 una legge incaricò una particolare commissione parlamentare mista presieduta dall’onorevole
Francesco Franceschini di fare un censimento del patrimonio artistico e storico italiano. La commissione
preparò una relazione di 3 volumi suddivisi in 84 dichiarazioni dal titolo “Per la salvezza dei beni culturali in
Italia”. Per la prima volta appare la definizione di Beni Culturali, tratta da una convenzione internazionale, la
Convenzione dell’Aia, nella quale si stabilirono le norme in materia di beni culturali in caso di conflitto
armato. Il termine di Bene Culturale non entrò ancora, tuttavia, nella Costituzione. In sintesi il concetto che
emerge dalla convenzione dell’Aia di bene culturale è l’insieme dei beni di uno Stato che rappresentano un
esempio di testimonianza di civiltà. Nei beni che sono testimonianza di civiltà non comprendiamo solo beni
di valore artistico, ma anche storico, antropologico, etnico e tutti quei paesaggi che, al di là del loro valore
estetico, sono stati teatro di importanti avvenimenti. Nel 1968 viene creata la cosiddetta commissione
Papaldo che viene incaricata di elaborare un progetto di legge in materia di beni culturali. Nel 1975 nasce il
primo Ministero per i beni culturali e ambientali, che è dedicato interamente ai beni culturali di cui prima
si occupava il Ministero dell’istruzione pubblica. Nel 1997 la legge Bassanini riforma il Ministero per i beni
culturali e ambientali e lo rinomina Ministero per i beni e le attività culturali, assorbendo le competenze
del Ministero dello sport, del turismo e dello spettacolo.
Con la Legge 342 del 1997 il Parlamento delega al governo di riassettare la materia concernente i beni
culturali e paesaggistici al fine di produrre un decreto legislativo nel quale dovevano confluire tutte le
disposizioni vigenti in materia più le leggi e le riforme necessarie a darle un nuovo assetto. Il risultato fu il
Decreto Legislativo 490 del 29 Ottobre 1999, intitolato Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di beni culturali e ambientali. La scelta del testo unico rispetto all’attuale codice risponde ad una necessità
di raccogliere tutte le norme in materia di beni culturali e ambientali senza innovarle particolarmente. Nel
2001 viene promulgata la Legge Costituzionale 3 del 18 Ottobre 2001 con la quale si va a modificare il
titolo quinto della parte seconda della Costituzione, che si riferisce alle province, alle regioni e ai comuni,
ovvero il cosiddetto Federalismo amministrativo. La Legge del 6 Luglio 2002 numero 137 delega il Governo
al riassetto e all’introduzione delle novità necessarie in materia di beni culturali e paesaggistici nel rispetto
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della Legge Costituzionale 3 del 2001. Il 22 Gennaio 2004 viene promulgato il Decreto Legislativo 42, dal
titolo Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Il Codice dei beni culturali e del paesaggio dedica i primi nove articoli alle cosiddette Disposizioni generali,
cioè ai principi della disciplina. La seconda parte è dedicata ai Beni Culturali e comprende gli articoli dal 10
al 130. La terza parte si occupa dei Beni Paesaggistici e comprende gli articoli dal 131 al 159. L’ultima parte
è dedicata alle sanzioni amministrative e penali, dall’articolo 160 al 181. Esiste, tuttavia, una quinta parte
sulle disposizioni transitorie, valevoli per il periodo necessario a regolare le norme al nuovo codice.
Disposizioni Generali
Il primo articolo del Codice è intitolato Principi e il primo punto indica lo spirito del nuovo codice in quanto
prevede che la Repubblica, in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, tuteli e valorizzi il Patrimonio
Culturale in coerenza con le attribuzioni di cui all’articolo 117 della Costituzione (riformato nel 2001). La
disciplina ruota intorno ai tre concetti di Tutela, Valorizzazione e Patrimonio Culturale. L’idea di patrimonio
può essere ricondotta ad un complesso unitario di beni a formazione progressiva, cioè di generazione in
generazione questo patrimonio aumenta in consistenza e valore. Questo patrimonio è costituito da una
serie di beni tra loro omogenei perché sono progressivamente arricchiti all’interno della stessa”famiglia”, la
Nazione.
L’articolo 2 del Codice dice che ai fini della definizione di patrimonio culturale, quest’ultimo è costituito dai
beni culturali e paesaggistici. L’articolo prosegue con le definizioni di bene culturale e bene paesaggistico: i
beni culturali sono le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico,
etnoantropologico, archivistico e bibliografico e tutto ciò che viene individuato dalla legge come
testimonianze aventi valore di civiltà. In entrambi i casi c’è un’elencazione che si chiude con tutto ciò che è
ritenuto dalla legge bene culturale o paesaggistico.
L’articolo 3 indica il concetto di tutela di patrimonio culturale: la tutela consiste nell’esercizio delle funzioni
e nella disciplina delle attività dirette ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale e a garantirne
la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.
Nelle disposizioni generali del codice vengono indicati i principi che informano l’intera disciplina sui beni
culturali e beni paesaggistici. Nella definizione di patrimonio vengono ricompresi sia i beni culturali sia i
beni paesaggistici, in quanto vengono cosiderati entrambi testimonianza di civiltà. L’aricolo 2 indica proprio
il patrimonio culturale come l’insieme dei due ordini di beni. Il punto 4 dell’articolo 2 stabilisce che i beni
del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione dell’intera collettività, viene
cioè inteso come patrimonio comune. Tale fruizione deve essere compatibile con le esigenze di uso
istituzionale, ovvero parte dei beni di appartenenza pubblica sono a volte utilizzati per uso istituzionale e
amministrativo (ad esempio i palazzi del governo). La fruizione, quindi, incontra il limite
dell’amministrazione pubblica solo per quanto riguarda i beni di appartenenza pubblica.
La Costituzione, alla luce della riforma del titolo Quinto, ha ridistribuito le competenze dei vari enti statali.
Secondo l’articolo 9 la tutela del paesaggio e del patrimonio storico artistico è affidato alla Repubblica. Nel
termine Repubblica vanno ricompresi tutti gli enti che costituiscono lo Stato, ovvero lo Stato come
amministrazione centrale, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici non territoriali, come ad esempio le
università. Gli enti pubblici interagiscono con i cittadini come personalità giuridiche. All’interno del
concetto di Repubblica, però, bisogna distinguere Stato ed enti pubblici, in quanto la Costituzione
distribuisce diverse competenze legislative ed amministrative in materia di beni culturali. Subito dopo la
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Costituzione, come abbiamo detto, ha forza la Legge Ordinaria; al pari della legge ordinaria stanno anche le
leggi regionali. Le leggi regionali devono essere emanate sempre nel rispetto di principi generali dettati
dallo Stato, in quanto in caso contrario salterebbe il principio di uguaglianza dell’articolo 3 della
Costituzione. Sulla base dell’articolo 9, le competenze legislative e amministrative sono state ridistribuite
tra Stato e Regioni. Le competenze amministrative vengono ridistribuite tra Stato inteso come Ministero e
Regioni come enti territoriali. Ogni materia, dal punto di vista legislativo, viene regolamentata prima dalla
Legge statale (Governo statale), poi nello specifico dalla Legge regionale (Governo regionale). La riforma del
titolo Quinto (Le regioni, le province, i comuni) ha modificato in particolare gli articoli 114, 117 e 118 sulla
base della legge costituzionale 3 del 2001.
Articolo 114
La Repubblica è costituita dai comuni, dalle province, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato.
I soggetti che costituiscono la Repubblica, quindi, sono in primo luogo lo Stato, poi enti autonomi con un
proprio statuto, ovvero comuni, province, regioni, città metropolitane. Le Città metropolitane
rappresentano enti amministrativi introdotti con una legge del 1990, ma non furono mai realmente
disciplinati. L’intento fu quello di aggregare sotto un’unica amministrazione un grande centro urbano e tutti
i comuni satelliti (ad esempio Milano).
Articolo 117
L’articolo 117 disciplina la potestà amministrativa dello Stato e delle Regioni. Indica, cioè, le materie in cui
lo Stato ha legislazione esclusiva e le materie in cui le regioni hanno legislazione concorrente. La
legislazione esclusiva esclude qualsiasi altro soggetto da determinate materie. Per legislazione concorrente
si intende la collaborazione tra Stato e Regione. Lo Stato disciplinerà i principi generali di una determinata
materia e sulla base di questi la Regione potrà emanare le proprie leggi conformemente alla realtà
regionale. La premessa è che la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle regioni. Lo Stato ha
potestà legislativa esclusiva, per esempio, in politica estera, in tema di forze armate o in tema di
immigrazione. In queste materie, infatti, è fondamentale che ci sia una regolamentazione unitaria. A fronte
di questo, nella riforma del 2001 si è ritenuto che sia competenza esclusiva della legislazione statale la
tutela dei beni dell’ecosistema e dei beni culturali. L’articolo 117 prevede, inoltre, che ci siano materie di
legislazione concorrente delle regioni, come il governo del territorio o le reti di trasporto regionale e
soprattutto la valorizzazione dei beni culturali e ambientali e la promozione e l’organizzazione di attività
culturali. Tale riforma è attribuibile in primo luogo alla necessità di informare la nostra Costituzione al
principio di sussidiarietà.
Articolo 118
Le funzioni amministrative sono attribuite ai comuni, salvo che per assicurarne l’esercizio unitario siano
conferite a province, regioni, città metropolitane e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà,
differenzazione e adeguatezza.
Il principio di sussidiarietà prevede che le funzioni amministrative vengano attribuite dando priorità agli
enti più vicini ai cittadini; nel caso un ente non riesca a gestire tali funzioni amministrative, queste passino
sotto la giurisdizione dell’ente superiore (da comune a provincia, da provincia a regione ecc.). Il principio di
adeguatezza impone che l’ente pubblico debba avere un’organizzazione idonea per garantire l’effettivo
esercizio di tale potestà. Il principio di differenzazione prevede l’assegnazione di una potestà
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amministrativa considerando le caratteristiche dell’ente che si assume tale potestà. La potestà
amministrativa, quindi, può essere assegnata solo ad enti che si possono assumere tale responsabilità.
I concetti contenuti nei primi 9 articoli dell’attuale codice, quindi, tengono conto della riforma del titolo
quinto della Costituzione, che fissa principi in ordine all’organizzazione territoriale del nostro ordinamento
e fissa principi in ordine alla potestà legislativa dello Stato rispetto a quella delle Regioni, tenendo conto
della necessità di informare tutte le funzioni amministrative al principio di sussidiarietà, differenzazione e
adeguatezza.
Il patrimonio culturale è composto, per definizione del codice, dai beni culturali e paesaggistici. Il legislatore
del codice ha deciso che fosse lo stesso codice a disciplinare i beni culturali insieme a quelli paesaggistici, in
quanto entrambi testimonianza di civiltà. Vari interventi legislativi hanno ricompreso dal 1939 nel concetto
di bene culturale anche i beni archivistici, documentari e librari. Dal codice si può ricavare una
classificazione dei beni culturali in tre aree.
Prima Area
Prevista e descritta dal primo punto dell’articolo 10 del codice.
Si stabilisce che sono beni culturali le cose mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico, che appartengono allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici
territoriali e alle persone giuridiche private senza fine di lucro.
Le società senza scopo di lucro sono quelle società il cui scopo non è il profitto, come ad esempio le
fondazioni o le associazioni Onlus.
Seconda Area
Il legislatore indica beni culturali i beni dello Stato o di qualsiasi altro ente pubblico che hanno un interesse
culturale ritenuto sussistere per il semplice fatto che fanno parte delle seguenti categorie:
Raccolte di musei
Pinacoteche
Gallerie
Altri luoghi espositivi
Archivi
Sono inoltre beni culturali le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato e di qualsiasi altro ente pubblico.
Terza Area
Articolo 10, punto 3.
Si tratta di beni di proprietà di privati per i quali deve essere previsto l’accertamento della sussistenza
dell’interesse culturale.
La terza e la prima area richiedono una procedura di verifica dell’interesse culturale. Se questo
procedimento dovesse risultare negativo, il bene cambia collocazione all’interno del patrimonio dello Stato.
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Nonostante non vengano citati nel codice, anche i beni culturali di proprietà privata godono della tutela
offerta dallo Stato. Infatti i beni culturali si dividono proprio in due macrocategorie: i beni appartenenti allo
Stato e agli altri enti pubblici e quelli appartenenti a privati.
Sempre dall’articolo 10 si ricava che il legislatore fornisce una gradazione dell’interesse culturale. Nel primo
punto dell’articolo 10 (prima area) si dispone che i beni presentano semplicemente interesse. Nel secondo
punto (seconda area) non si individua alcuna gradazione di interesse, nel senso che si indicano
direttamente i beni di musei, pinacoteche ecc. che hanno un interesse. Il terzo punto (terza area) parla di
un eccezionale interesse, cioè che per essere definito bene culturale la proprietà di un privato deve avere
un particolare interesse.
Ai beni paesaggistici il codice dedica la parte terza; nelle disposizioni generali, all’articolo 2 punto 3, viene
data la definizione di beni paesaggistici come quelle aree che costituiscono espressione dei valori storici,
culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio. All’articolo 131 del codice si dispone che per
paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali,
umani e dalla loro interrelazione. Per paesaggio espressivo di identità si intende un territorio portatore di
qualcosa di unico ed irripetibile. L’Italia, prima della stesura del codice, si è conformata alla Convenzione
internazionale del paesaggio del 20 Gennaio 2000, alla quale hanno aderito tutti gli stati dell’Unione
Europea. La ratificazione (l’applicazione sul territorio nazionale e la trasformazione in legge) da parte
dell’Italia a questa convenzione avviene con la Legge 14 del 2006. La convenzione introduce importanti
definizioni in termini di paesaggio adottate anche dal nostro ordinamento, tra le quali quella di politica del
paesaggio: principi, strategie ed orientamenti dei pubblici poteri tesi a salvaguardare, gestire e pianificare il
paesaggio. L’obbiettivo di qualità paesaggistica rappresenta la considerazione da parte delle autorità delle
aspirazioni delle popolazioni per quanto riguarda il miglioramento del paesaggio e della qualità di vita in
quel contesto paesaggistico. Altro obbiettivo è la salvaguardia del paesaggio, cioè tutte le azioni di
coservazione e di mantenimento del paesaggio. Infine sono presenti la gestione dei paesaggi, ovvero il
controllo sull’evoluzione del paesaggio in una prospettiva dinamica e non statica, e la pianificazione dei
paesaggi, ovvero un invito a valorizzare e tenere presente che si possono creare nel tempo nuovi paesaggi.
La disciplina del paesaggio non deve essere assolutamente confusa con l’Urbanistica o l’Edilizia.
L’Urbanistica è quella disciplina che si concretizza nell’attività di programmazione e pianificazione del
territorio. L’Edilizia è la programmazione di ciò che viene costruito sul territorio.
Nel momento in cui un bene viene riconosciuto come patrimonio artistico e assume funzione pubblica, lo
Stato non tiene conto della sua proprietà. La funzione del legislatore è proprio di mettere questi beni al
servizio del pubblico. Il patrimonio pubblico appartiene, pertanto, allo Stato e agli altri enti pubblici.
Il criterio soggettivo identifica un determinato bene come pubblico solo se di proprietà dello Stato o di un
altro ente pubblico. Il criterio oggettivo, invece, considera beni pubblici tutti quelli atti a svolgere funzione
pubblica, indipendentemente dalla loro proprietà.
Beni Demaniali
I beni demaniali, disciplinati dall’articolo 822 del Codice Civile, rappresentano tutti i beni immobili che
appartengono necessariamente ad un ente pubblico territoriale. Sulla base di queste caratteristiche,
pertanto, si parlerà di demanio statale, demanio regionale, demanio provinciale e demanio comunale.
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Beni Patrimoniali Indisponibili
I beni patrimoniali indisponibili, disciplinati dall’articolo 826 del Codice Civile, sono beni che possono
appartenere a qualsiasi ente pubblico e sono sia mobili che immobili destinati ad una pubblica utilità. I beni
patrimoniali indisponibili possono essere sottratti dalla loro funzione pubblica solo nelle modalità previste
dalla Legge.
Patrimonio Disponibile
Il patrimonio disponibile costituisce tutti i beni sottoposti alla stessa disciplina giuridica dei beni di proprietà
privata. Questi beni sono inalienabili, ovvero viene vietata la loro vendita, e non possono essere soggetti a
usucapione.
L’articolo 56 del codice offre un elenco dei beni inalienabili: sono inalienabili beni immobili e aree di
interesse archeologico, i monumenti nazionali indicati secondo la legge del tempo, le raccolte di musei,
pinacoteche, gallerie e biblioteche, gli archivi e le cose mobili che siano opera d’autore vivente o che la sua
esecuzione non risalga ad oltre 50 anni. Sono, inoltre, inalienabili le cose mobili e immobili indicate
nell’articolo 10 comma 1. Il codice prevede che questi beni siano sottoposti alla disciplina di tutela e
conservazione nel momento in cui vengono riconosciuti come patrimonio dello Stato.
L’articolo 12 del codice prevede un procedimento di verifica dell’interesse culturale: lo Stato e gli enti
pubblici sono chiamati a verificare l’interesse culturale dei beni che si trovano nel proprio patrimonio.
Questo procedimento si può attuare d’ufficio o su richiesta del proprietario. La verifica è costituita da una
valutazione e da un giudizio influenzato, tuttavia, da un notevole grado di soggettività. Nel caso la verifica
dia esito positivo il bene assumerà il valore di bene culturale. Nel caso, invece, di esito negativo o di
mancata verifica entro 120 giorni dalla richiesta il bene perderà ogni diritto di tutela e conservazione.
La disciplina della tutela in ordine di beni culturali ha la caratteristica di attuarsi immediatamente. Il codice
prevede, però, un procedimento di verifica dell’interesse culturale. Nel momento in cui la verifica dovesse
dare esito negativo il bene rientra semplicemente nella categoria del patrimonio disponibile.
Il privato non può sapere se possiede un bene che acquisterà la caratteristica di bene culturale, in quanto
una volta riconosciuto come bene culturale la sua proprietà e tutela passa immediatamente al Ministero. Il
Ministero dei beni e delle attività culturali viene istituito nel 1998 con il decreto legislativo 368. Prima della
sua istituzione le competenze in materie erano dell’istruzione pubblica. Esiste un organo dipendente dal
Ministero, ovvero il Segretariato Generale. Quest’organo assicura il mantenimento dell’unità dell’azione
amministrativi coordinando gli uffici e le attività del Ministero. Il Ministro si avvale di organi consultivi, i
quali entrano tecnicamente nelle materie, ovvero il Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici e
la Consulta per lo spettacolo. Il Ministero è poi suddiviso in varie direzioni generali: la Direzione generale
per l’organizzazione, l’innovazione, la formazione e la qualificazione professionale e le relazioni sindacali; la
Direzione generale per i beni archeologici; la Direzione generale dei beni architettonici storico artistici ed
etnoantropologici; la Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio; la Direzione generale per gli
archivi; la Direzione generale per i beni librari, gli istituti culturali e il diritto d’autore; la Direzione generale
per il cinema; la Direzione generale per lo spettacolo dal vivo; le Direzioni regionali per i beni culturali e
paesaggistici. Queste Direzioni generali regionali si articolano in sovrintendenze. A livello amministrativo il
Ministero si è organizzato secondo la suddivisione regionale sulla base del principio della vicinanza alla
realtà territoriale. Le sovrintendenze hanno ambito territoriale in materia a livello regionale, escludendo le
grandi città artistiche come ad esempio Roma o Firenze. Esistono le sovrintendenze per i beni archeologici,
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sovrintendenze per i beni architettonici e paesaggistici, sovrintendenze per i beni storici artistici ed
etnoantropologici, sovrintendenze per gli archivi ed archivi di Stato, sovrintendenze per le biblioteche
statali e infine le sovrintendenze per i musei. Il Ministero esercita in primo luogo le funzioni di tutela
articolate in questo modo; dipende dal Ministero in questo settore il Comando dei Carabinieri per la tutela
del patrimonio culturale, evitando quei reati connessi proprio con il patrimonio culturale.
Il codice attuale, in ordine al patrimonio privato, non innova rispetto al testo unico del 1999, perché
rispetto a quest’ultimo l’attuale codice introduce la procedura di verifica solo per i beni di proprietà statale.
Per la disciplina dei privati rimane invariata l’apposizione del vincolo, ovvero quel bene è incatenato ad una
determinata disciplina in quanto riconosciuto come bene culturale, operando una funzione pubblica in
senso oggettivo nonostante la sua proprietà non sia dello Stato.
La gradazione dell’interesse culturale viene data solo per i beni appartenenti ai privati. Non esiste una
differenza di interesse per i beni statali. Sulla base dell’interesse culturale, il privato può essere obbligato a
rendere quel bene fruibile dal pubblico. Per verificare che un bene privato abbia un interesse culturale
esiste un procedimento di dichiarazione disciplinato dall’articolo 14 del codice. Questo procedimento può
essere attivato d’ufficio oppure su richiesta della Regione o di ogni altro ente territoriale interessato.
Attivare d’ufficio significa che un organo può avviare questo precedimento senza la richiesta di nessuno.
L’avvio del procedimento di dichiarazione è di competenza del sovrintendente e viene comunicato al
proprietario del bene oppure al semplice detentore, ovvero l’individuo più vicino a quel bene come ad
esempio un custode. La comunicazione indica gli elementi identificatifi dell’oggetto di verica e deve
avvenire attraverso una notificazione comunale o una raccomandata con avviso di ritorno. La semplice
comunicazione comporta l’applicazione a quel bene di tutte le disposizioni in ordine alla tutela e alla
conservazione del bene in via cautelare, nonostante non sia ancora definitivamente riconosciuto come
bene culturale, per prevenire il danneggiamento o l’alienazione del bene. Qualora si tratta di beni
sottoposti a registrazione, in particolare quei beni immobili o mobili registrati, l’avvio del procedimento di
dichiarazione viene trascritto nel registro per tutelare eventuali perdite di acquirenti di quel bene. Il
Ministero effettua le sue indagini avvalendosi degli organi consultivi a stretto contatto con il Ministro.
Termine del procedimento di dichiarazione può essere positivo, comportando il vincolo del bene in verifica,
o negativo, negando la tutela a quel bene. Contro il provvedimento definitivo della dichiarazione è
ammissibile ricorso al Ministero, per motivi di legittimità o di merito. Per motivi di legittimità si intende il
mancato rispetto delle regole previste dalla legge nel procedimento di dichiarazione (mancata notifica,
l’opera non viene sottoposta ai dovuti controlli), mentre per motivi di merito si intende un errore di
valutazione del bene (ad esempio quando viene erroneamente considerato un dipinto di un determinato
autore). Il non accoglimento del ricorso comporta il ritorno del bene alla disciplina di tutela decisa in
seguito al procedimento di dichiarazione. Il procedimento si avvale di un ulteriore verifica in caso di ricorso
che deve essere avviata entro 90 giorni. L’accoglimento del ricorso, invece, annulla il precedente
provvedimento di dichiarazione dell’interesse culturale.
La terza categoria di beni è costituita dai beni che appartengono a enti e istituzioni ecclesiastiche, che
hanno, oltre ad un valore di testimonianza di civiltà, anche un valore religioso. Il valore religioso risponde al
diritto alla libertà religiosa espresso all’articolo 19 della Costituzione.
Protezione e conservazione dei beni culturali
I beni che appartengono allo Stato o a soggetti diversi che hanno passato la procedura di verifica
dell’interesse culturale entrano di diritto nella categoria dei Beni Culturali. La disciplina di tutela si avvia
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immediatamente una volta che il bene rientra in questa categoria. Le norme del capo terzo del codice sulla
protezione e sulla conservazione dei beni culturali si applicano indipendentemente dal soggetto
proprietario. Il capo terzo è diviso in tre sezioni: la prima è dedicata alle misure di protezione (articoli 20-
28); la seconda sezione è dedicata alle misure di conservazione (articoli 29-44); la terza sezione è dedicata
ad altre forme di protezione (articoli 45-52). Le attività di conservazione, di protezione e di altre forme di
protezione sono tutte attività che fanno capo al Ministero, nel senso che il Ministero deve all’obbligo di
vigilare su tutti i beni culturali. Questa attività di vigilanza viene concretamente effettuata dai
sovrintendenti, che hanno la possibilità in ogni momento di compiere delle ispezioni sia sui beni di
proprietà pubblica sia sui beni di proprietà privata. Le misure di protezione consistono innanzitutto in
un’elencazione di interventi vietati, ovvero la distruzione, il deterioramento, il danneggiamento e il fatto
che i beni vengano adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere. L’articolo 20, che indica questi divieti,
sembra essere privo di sanzioni, ma in realtà sono previste dal codice penale all’articolo 733, che prevede il
reato di danneggiamento del patrimonio storico, artistico, archeologico della nazione. E’ consolidato che il
danneggiamento debba ricomprendere tutte le attività indicate all’articolo 20 del codice dei beni culturali.
La sanzione prevede fino ad un anno di reclusione o un’ammenda non inferiore a 2065 euro. Il codice
prevede anche una sanzione per l’uso illecito dei beni, senza alcun danneggiamento, all’articolo 170,
quando i beni non vengono utilizzati in modi compatibili al loro carattere tali da poterne pregiudicare la
loro conservazione. La sanzione prevede l’arresto fino ad un anno o un’ammenda da 734 fino a 38000 euro.
Queste misure di protezione sono integrate da interventi previsti dall’articolo 21 del codice e subordinati
all’autorizzazione del Ministero. Questi interventi comprendono lo spostamento anche temporaneo di un
bene, la rimozione di un bene o la sua demolizione con successiva ricostruzione, il trasferimento di
documenti di archivi pubblici.
L’articolo 25 del codice è intitolato Conferenza di servizi: fu istituita nel 1990 con la legge 241 ed è un
modulo di un procedimento amministrativo con cui si ottiene il coordinamento di varie amministrazioni e la
consensuale valutazione di tutti gli interessi pubblici coinvolti. La conferenza è prevista quando un
intervento su un bene culturale va a coinvolgere gli interessi di altre amministrazioni e si sostanzia nel
prendere una decisione ascoltando e valutando gli interessi di tutte le amministrazioni coinvolte. L’articolo
25 prevede la conferenza di servizi nel caso siano coinvolti interessi di amministrazioni diverse dal
Ministero dei beni culturali. Oltre a questa previsione, l’articolo 26 prevede la valutazione dell’impatto
ambientale, la cosiddetta VIA. In quanto il codice disciplina oltre ai beni culturali anche i beni paesaggistici,
tale valutazione indica l’impatto di un determinato intervento sull’ambiente. La VIA nasce con una direttiva
della comunità economica europea nel 1985, ripresa nel 1997 e nel 2003 dalla stessa comunità. Ogni
attività inserita nel contesto di beni culturali o paesaggistici deve essere sottoposta alla valutazione
dell’impatto ambientale. Ogni progetto che possa eventualmente avere un determinato impatto
sull’ambiente deve essere valutato dalla VIA, coinvolgendo tutte le amministrazioni interessate o le
amministrazioni che denunciano un impatto ambientale da parte di un determinato progetto. La VIA serve
a prevenire il danno all’ambiente, favorire la partecipazione di tutti gli attori sociali coinvolti, proteggere e
migliorare la qualità della vita, realizzare la sostenibilità verificando per ogni progetto il miglior impatto
ambientale. Per determinate opere viene coinvolto l’intervento del Ministero dei beni culturali per la
Valutazione dell’impatto ambientale.
La sezione seconda del capo terzo è dedicata alle misure di conservazione. Tali misure sono indicate
dall’articolo 29. Il legislatore indica tre azioni progressive: attività di studio, conseguentemente attività di
prevenzione e infine attività di manutenzione e restauro. Lo scopo è di lasciare come ultima possibilità
l’intervento fisico (restauro) su un bene culturale o ambientale. Per prevenzione si intende tutte quelle
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attività idonee a limitare le situazioni di rischio in cui può trovarsi un bene culturale. Per manutenzione si
intende il complesso delle attività volte al controllo a al mantenimento dell’integrità del bene culturale.
Infine per restauro si intende l’intervento, attraverso una complessa serie di attività, finalizzato
all’integralità materiale di un bene o al suo recupero. L’Italia fu una delle prime nazioni ad occuparsi del
restauro non nel senso tecnico, ma alla sua disciplina all’interno di un codice legislativo. La prima Carta del
restauro risale al 1931 e fu realizzata dal Consiglio superiore per le antichità e le belle arti; lo scopo di
questa carta fu quello di uniformare le metodologie di restauro e di dare indicazioni operative precise. Il
primo principio della Carta indica la necessaria ricerca storica come conoscenza di fronte ad ogni eventuale
attività di restauro. Il secondo principio si richiama alla protezione e manutenzione dei beni. Il terzo
principio è il ricorso al processo di anastilosi. Quarto principio è il riuso coerente con la natura del
monumento. Ultimo principio è il mantenimento di tutti i lavori di completamento del restauro per evitare
un ulteriore intervento in futuro.
Le altre forme di protezione si riferiscono alla protezione indiretta, ovvero la necessità di intervenire non
solo su un determinato bene, ma anche sul suo contesto. Affinché il bene non venga aggredito, quindi,
bisogna proteggere anche tutto ciò che circonda quel bene. L’articolo 45 presenta la facoltà da parte del
Ministero di prescrivere le misure ed ogni altra norma onde evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei
beni culturali immobili. Per integrità il codice intende che non venga danneggiata la prospettiva e la luce o
non siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro; non è possibile, per esempio, costruire un edificio
che possa coprire la visibilità dell’immobile o alterare la continuità storica e artistica dell’architettura degli
edifici circostanti il bene immobile. Per decoro si intende non alterare il significato storico, artistico e
archeologico di un determinato bene. Queste facoltà del Ministero vanno ad incidere anche sulla proprietà
privata. I limiti previsti a fronte della tutela dei beni culturali sono legittimi anche nell’ottica della proprietà
privata e della libertà di iniziativa economica indicate nell’articolo 42 della Costituzione. La tutela dei beni
culturali, quindi, è un interesse di pari grado all’iniziativa economica e alla proprietà privata. L’articolo 45
prescrive, al secondo comma, che l’iniziativa del Ministero in ordine a prescrizioni di tutela indiretta sia
recepita negli strumenti urbanistici dei comuni coinvolti. Questa iniziativa toglie competenza ai comuni nel
momento in cui prescrive interventi di tutela indiretta. L’avvio del procedimento spetta al sovrintendente
su richiesta delle regioni o degli enti pubblici interessati, dando comunicazione al possessore o al semplice
detentore. Qualora non sia possibile comunicare le modalità al possessore, il sovrintendente può dare
avviso ai quotidiani, radio e televisioni o attraverso manifesti.
Il capo quarto si occupa della circolazione in ambito nazionale dei beni culturali. Per circolazione si intende
il passaggio di proprietà o il passaggio di diritto reale da un soggetto ad un altro. Il diritto reale rappresenta
un diritto su cose fisiche, come ad esempio la proprietà di una cosa fisica. L’articolo 53 sostiene che i beni
del demanio culturale sono inalienabili se non nei modi indicati dal presente codice. L’articolo 54 fornisce
una lista dei beni inalienabili: sono inalienabili dal demanio culturale gli immobili del patrimonio
archeologico, i monumenti nazionali, le raccolte di musei, pinacoteche e biblioteche, gli archivi ed è
presente un rinvio all’articolo 10 comma terzo. Il secondo punto aggiunge altri beni inalienabili. Il terzo
comma prevede un’eccezione al fatto che questi beni non possano essere alienati: è possibile, infatti,
trasferire la proprietà di questi beni dallo Stato alle regioni o ad altri enti pubblici. L’ultimo comma
dell’articolo 54 introduce una norma di salvaguardia: questi beni possono essere usati solo per la loro
fruizione e valorizzazione. Del demanio culturale fanno parte altri beni non indicati dall’articolo 54. Questi
beni possono essere oggetto di trasferimento, purché questo trasferimento avvenga sotto l’autorizzazione
del Ministero. Il bene trasferito, inoltre, deve mantenere la sua funzione originale.
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L’articolo 55 prevede un’ulteriore garanzia ai fini della fruibilità da parte del pubblico del bene. Questa
innovazione è stata introdotta con un intervento sul codice nel 2008, il decreto legislativo 62 che aggiunge
l’articolo 55 bis. Le prescrizioni e le condizioni di vendita devono essere riportate nel contratto di
compravendita e costituiscono un’obbligazione che viene trascritta nel registro immobiliare. Ogni cambio di
proprietà deve essere aggiornato sul registro immobiliare. L’articolo 55 bis introduce un’altra forma, la
Clausola risolutiva espressa: se il compratore non si attiene agli obblighi trascritti nel registro immobiliare il
contratto si risolve immediatamente e il bene torna sotto la proprietà dello Stato.
Circolazione in ambito nazionale dei beni culturali
La circolazione è il passaggio materiale della cosa. Quando si parla di circolazione di un bene,
indipendentemente dal cambio di proprietà, semplicemente il bene passa dal contesto di un soggetto al
contesto o alla semplice detenzione di un altro individuo.
La circolazione disciplina la Prelazione artistica (articoli 60, 61 e 62 del codice). Per diritto di prelazione si
intende il diritto in cui, in determinate situazioni, si può avvalere un soggetto per essere preferito, a pari
condizioni, ad altri nella costituzione di un rapporto giuridico.
L’articolo 60 del codice introduce la prelazione artistica, che riguarda beni venduti da privati per cui il
Ministero, le regioni e gli altri enti pubblici possono esercitare tale diritto. La prelazione artistica si applica
anche quando un bene culturale viene conferito come bene in una società onde evitare la frode. Il codice,
infatti, prevede anche l’ipotesi del conferimento del bene nel capitale sociale di una società, che risponde
ad un trasferimento della proprietà o del possesso del bene. La prelazione deve essere esercitata entro 60
giorni dalla data di ricezione della denuncia prevista dall’articolo 59.
L’articolo 59 prevede che ogni atto che trasferisce la proprietà o la detenzione di beni culturali deve essere
denunciato al Ministero. Gli atti che possono trasferire la proprietà o la detenzione sono il contratto di
compravendita, la locazione (il contratto di affitto), il comodato (contratto a titolo gratuito) e il deposito
(contratto in cui si deposita un bene presso una persona che ne deve garantire l’integrità). Questi contratti
e ogni situazione di circolazione della proprietà o della detenzione di un bene devono sempre essere
denunciati al Ministero. La denuncia deve essere inviata alle sovrintendenze più vicine al bene e deve
essere inoltrata entro 30 giorni. L’atto deve contenere, inoltre, i dati del compratore, del venditore e del
bene che viene trasferito. Tra i trasferimenti è presente anche la vendita che comporta il passaggio di
proprietà; nel caso, quindi, di vendita il Ministero e gli altri enti pubblici possono esercitare il diritto di
prelazione entro 60 giorni.
Circolazione in ambito internazionale dei beni culturali
I principi sulla circolazione in ambito internazionale dei beni culturali sono disciplinati a partire dall’articolo
65 del codice. Innanzitutto è necessario distinguere due tipi diversi di circolazione: l’uscita e l’esportazione.
Per uscita si intende il trasferimento di un bene oltre i confini nazionali in direzione di uno stato dell’Unione
Europea. L’esportazione, invece, è il trasferimento di un bene in uno stato non facente parte dell’UE. Sia
l’uscita che l’esportazione possono essere definitive o temporanee. La regola comune all’uscita e
all’esportazione è che ogni movimento del bene deve essere prima autorizzato e accompagnato da un
certificato di salvacondotto, che obbliga ogni paese attraversato durante il transito a rispettarlo. I beni
indicati dall’articolo 10 del codice al comma primo, secondo e terzo sono considerati parte indissolubile del
patrimonio nazionale e pertanto non possono uscire o essere esportati definitivamente, ma solo
temporaneamente. La ragione principale di uscita di un bene è il prestito per l’esposizione in mostre o
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eventi. Il controllo della circolazione internazionale è sempre finalizzato al mantenimento dell’integrità del
patrimonio culturale, nel rispetto della normativa internazionale a cui l’Italia ha aderito. Fra queste
convenzioni, di particolare importanza è la convenzione Unidroit del 24 Giugno 1995 sui beni culturali
rubati o illecitamente esportati; a questa convenzione l’Italia ha aderito nel 2000. Anche la Svizzera ha
aderito alla convenzione Unidroit, dopo molti anni passati come centro si smistamento dei beni culturali
rubati.
Convenzione Unidroit
Convenzione internazionale che riguarda i beni culturali rubati o illecitamente trasportati. Una convenzione
risulta legge per un paese quando tutti gli stati interessati aderiscono a tale convenzione. Questa
convenzione è divenuta operativa immediatamente per l’urgenza del traffico illecito dei beni culturali. Per
l’Italia la convenzione Unidroit è diventata operativa nel 2000. Viene introdotto nell’ordinamento svizzero il
concetto di bene culturale proprio in seguito a questa convenzione. L’Unidroit ha un precedente
importante, ovvero la convenzione Unesco del 1970 sulle misure per proibire e prevenire le importazioni e
le esportazioni illecite e i trasferimenti di proprietà dei beni culturali. Disciplina, inoltre, la restituzione e il
ritorno dei beni culturali rubati o illecitamente esportati. Questi beni comprendono anche frutti di scavi
abusivi. La convenzione diviene operativa solo se il bene si trova all’interno di un paese che ha sottoscritto
tale convenzione. La convenzione si riferisce a tutti i beni rubati o illecitamente trasportati fino a 50 anni
dall’operatività della convenzione. L’Unesco (Unione delle nazioni per l’educazione, l’organizzazione
scientifica e culturale) nasce nel 1946; diventa agenzia dell’Onu nel 1950. L’azione dell’Unesco non ha mai
vouto ledere la sovranità in materia dei singoli paesi aderenti. Gli atti dell’Unesco si limitano a consigli di
raccomandazione fatti ai diversi paesi; spetta agli stati la parte operativa. L’Unidroit, invece, ha
effettivamente forza di legge in tutti i paesi aderenti.
Ritrovamenti e scoperte (Capo 6 del codice)
Sono interessati gli articolo dall’88 al 94. Un modo d’acquisto della proprietà è l’invenzione, ovvero il
ritrovamento di un bene. Il ritrovamento può essere accidentale o volontario, come ad esempio con
l’organizzazione di scavi. Il ritrovamento e la scoperta rientrano nell’ambito della tutela, sotto la
giurisdizione, quindi, del ministero. Il ministero può usare contratti di diritto pubblico per affidare la ricerca
a individui o società esperte nel campo (contratto di concessione). Nel contratto di concessione il soggetto
si deve attenere alle indicazioni del ministero. Le scoperte fortuite, invece, devono essere denunciate entro
24 ore alla sovrintendenza o al comune o all’autorità di pubblica sicurezza. Se la denuncia non perviene al
sovrintendente è obbligo delle forze dell’ordine avvisare prontamente lo stesso. Lo scopritore deve curarsi
l’integrità e custodire temporaneamente il bene ritrovato, mobile o immobile. I beni ritrovati appartengono
al ministero, facendo immediatamente scattare la tutela, e si prescinde dalla proprietà del territorio del
ritrovamento. Al proprietario del terreno o allo scopritore spetta un premio che non deve superare un
quarto del valore del bene ritrovato. Il premio non viene affidato a coloro che si sono introdotti in una
proprietà altrui senza il consenso del legittimo propietario. La ricerca o il ritrovamento fortuito si riferisce
anche alle acque territoriali, che si estendono per 12 miglia dalla costa. In questo caso si tratta di beni che
appartengono immediatamente al demanio statale.
Istituto dell’espropriazione forzata di Beni Culturali
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Per utilità pubblica lo stato si avvale di uno strumento coattivo per il trasferimento di proprietà. Al soggetto
privato viene riconosciuto un indennizzo per l’espropriazione forzata del bene che si avvicina al prezzo di
mercato dello stesso bene. Il codice prevede l’espropriazione solo per utilità pubblica (ad esempio per la
costruzione di autostrade o ferrovie) e risulta necessaria solo quando migliora la tutela ai fini della fruizione
pubblica. L’espropriazione può avvenire anche per fini strumentali, ovvero si possono espropriare immobili
circostanti beni culturali per migliorare la fruizione di tali beni.
L’articolo 6 del codice individua i concetti di valorizzazione, che si compone di tutte quelle attività che
permettono la fruizione del patrimonio culturale. La scelta del legislatore è di attribuire i compiti di
valorizzazione alle regioni, in quanto rappresentano le entità più vicine ai beni e meglio fornite degli
strumenti necessari. Il codice disciplina la valorizzazione nel titolo Secondo; il titolo secondo è diviso in tre
capi: il capo primo si occupa della fruizione dei beni culturali, il secondo dei principi di valorizzazione , il
terzo è intitolato la consultabilità dei documenti degli archivi e tutela della riservatezza. Il terzo capo
coordina i documenti degli archivi rispettando comunque tutte le norme sulla privacy. Le norme di
valorizzazione si devono coordinare con le norme dell’Unione Europea. Nel 1954, con la convenzione
dell’Aia, si comincia a parlare di Storia, Lingua e Cultura. Nel 1951 sei stati danno vita alla comunità europea
del carbone e dell’acciaio, tra cui l’Italia. Nel 1957, con il trattato di Roma, nascono la Comunità economica
europea e la Comunità europea per l’energia atomica. Nel nostro ordinamento si era già affacciata l’idea
che un bene culturale non rappresentasse una merce utilizzabile per il traffico economico. Nel 1967 si
fondono queste tre comunità fino alla nascita, nel 1992 con il trattato di Mastrick, dell’Unione Europea. Nel
2005 inizia una vera e propria attività culturale dell’Unione Europea con la Convenzione Quadro sul valore
del patrimonio culturale per le società. In questa convenzione si sottolinea la piena sovranità dei singoli
stati in ordina alla tutela e alla conservazione dei beni culturali. Da qui nascono i programmi di scambio e
conoscenza culturale, dove si cerca di riconoscere tratti europei. Il patrimonio culturale è risorsa per lo
sviluppo economico e attraverso i programmi di valorizzazione l’Unione Europea si impegna a sviluppare
l’aspetto economico. L’Unione Europea ha fatto programmi che coinvolgono la valorizzazione e
conservazione dei beni culturali attraverso lo sviluppo tecnologico e scientifico.
Il titolo secondo è seguito immediatamente dal capo primo che indica gli articoli dedicati alla fruizione dei
beni culturali. La sezione prima è dedicata ai principi generali, in particolare l’articolo 101 del codice indica
gli istituti e luoghi della cultura, dando definizioni di museo, biblioteca, archivio, parco archeologico e
complesso monumentale. Tutti questi luoghi, se appartengono a enti pubblici, sono dedicati alla pubblica
fruizione e svolgono un servizio pubblico. Un museo è una struttura permanente che acquisisce, cataloga,
conserva e ordina beni culturali per finalità e educazione di studio. La biblioteca è una struttura
permanente che raccoglie, cataloga e conserva un insieme di libri, documenti ed informazioni ed è
finalizzata a permettere la consultazione pubblica a fini di studio e di ricerca. Gli archivi sono una struttura
permanente che conserva documenti originali di valore storico, permettendo la consultazione pubblica a
fini di studio e di ricerca. L’area archeologica è un sito caratterizzato dalla presenza di reperti fossili o di
manufatti di natura preistorica o antica. Il parco archeologico è un ambito territoriale caratterizzato da
importanti evidenze archeologiche e attrezzato come museo all’aperto. Infine il codice indica come luoghi e
istituti della cultura i complessi monumentali, ovvero un insieme formato da una pluralità di fabbricati
edificati anche in epoche diverse che hanno acquisito un’autonoma rilevanza storico, artistica o
etnoantropologica. Il codice, all’articolo 102, si premura di ribadire che questi luoghi devono essere
destinati alla pubblica fruizione. La legislazione regionale disciplina la fruizione dei beni presenti nei luoghi
ed istituti di cultura (articolo 102 comma 2) e deve essere compatibile con la destinazione istituzionale di
alcuni istituti e luoghi di cultura: alcuni palazzi possono essere adibiti per ragioni istituzionali, come ad
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esempio il palazzo di Montecitorio. L’accesso agli istituti e luoghi della cultura può essere gratuito o a
pagamento a discrezione del Ministero. Il Ministero si impegna a devolvere i ricavi degli ingressi per la
conservazione degli stessi luoghi di cultura. Esistono problemi in ordine alla fruizione dei beni di proprietà
privata: il legislatore dice che possono essere adibiti alla fruizione i beni di proprietà privata che rivestono
un interesse eccezionale. Esiste una norma che mette d’accordo il diritto di proprietà privata con l’esigenza
pubblica di fruire un bene di interesse culturale dando la priorità a quest’ultima esigenza solo quando
possiede un interesse eccezionale. La competenza della verifica di questo grado di interesse è il Ministero.
In ordine al concetto di valorizzazione è stato argomento delicato quello che riguarda i cosiddetti servizi
aggiuntivi. Per servizi aggiuntivi si intendono i servizi che migliorano le condizioni di fruizione di un bene
culturale, quindi destinati all’accoglienza del pubblico (aree di ristoro all’interno delle zone archeologiche,
servizi di vendita di mappe e cartoline ecc.). Questi servizi furono introdotti prima della stesura del testo
unico con la Legge Ronchei. Questa legge prevedeva inizialmente due tipi di servizi: uno fornito
direttamente dall’amministrazione interessata; nel caso, invece, i fondi non permettano la gestione dei
servizi direttamente all’amministrazione, il servizio viene fornito da privati. Il servizio aggiuntivo è parte
integrante del processo di valorizzazione e fruizione di un bene. Quasi tutti i servizi aggiuntivi sono gestiti
da privati, tuttavia dopo l’emanazione dell’ultimo testo unico venne messo in evidenza che solo otto
società concessionarie gestivano il 90% dei servizi aggiuntivi. Da questo episodio il Ministero ha emanato
un decreto nel 2008 intitolato Modalità di affidamento a privati e di gestione integrata di servizi
aggiuntivi presso luoghi e istituti della cultura. L’oggetto di questo decreto è proprio l’affidamento dei
servizi aggiuntivi ai privati, ovviando alla distorsione del mercato evidenziata in precedenza richiedendo una
maggiore trasparenza. L’elenco esemplificativo, ovvero la lista dei servizi, indica anche la giusta
collocazione di un determinato servizio consono con la natura del luogo o dell’istituto. L’organizzazione di
un servizio aggiuntivo in forma integrata avviene tramite l’affidamento in concessione ad un soggetto
privato. La concessione del servizio aggiuntivo richiede l’individuazione da parte delle direzioni generali per
i beni culturali, sentiti i sovrintendenti e i responsabili degli istituti di cultura (conferenza di servizio), dei
soggetti che possono aspirare alla concessione. La durata della concessione è stata stabilita a 4 anni e la
legge prevede un’unica possibilità di rinnovare la concessione per altri 4 anni, al fine di impedire il
monopolio dei servizi. Il decreto prevede come norma di chiusura la possibilità per gli istituti e i luoghi di
cultura di procedere ad una verifica dei servizi aggiuntivi in qualunque momento; in presenza di problemi
rilevati dagli istituti, il Ministero ha facoltà di revocare la concessione del servizio alla società interessata.
Beni culturali di proprietà di enti ecclesiastici
La Costituzione dedica quattro articoli al fenomeno religioso in modo specifico: gli articoli 7 e 8 dei principi
fondamentali e gli articoli 19 e 20 collocati nella parte prima. In particolare l’articolo 7 è dedicato
esclusivamente alla Chiesa Cattolica. L’articolo 8 è composto da tre commi: il primo si riferisce alle
confessioni di tutte le religioni, il secondo e il terzo si riferiscono esplicitamente alle confessioni diverse
dalla religione cattolica. L’articolo 19 si riferisce al diritto di libertà religiosa di tutte le confessioni. L’articolo
20, infine, si riferisce agli enti ecclesiastici. Nel 1929 furono stabiliti con la Chiesa Cattolica i cosiddetti Patti
Lateranensi, con i quali venne istituito lo Stato di Città del Vaticano e, con il concordato, venne
regolamentata la posizione dei cittadini italiani di fede cattolica. Il concordato fu modificato nel 1984, anno
nel quale si stipulò il cosiddetto Nuovo Concordato, firmato a Villa Madama. Con questa riforma si pensò di
dare attuazione al terzo comma dell’articolo 8, definendo Intese i rapporti tra confessioni religiose con lo
Stato Italiano.
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A partire dal 1984, nell’accordo di Villa Madama si inserì un articolo in cui si prevedeva una futura
collaborazione tra Stato e Chiesa per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali appartenenti a enti ed
istituzioni ecclesiastiche. L’articolo 19 sulla libertà religiosa dispone che tutti hanno diritto di professare la
propria fede religiosa in qualsiasi forma, esercitandone in privato o in pubblico il culto e facendone
propaganda. Quando si parla di libertà religiosa decade il principio di reciprocità, in quanto alcuni paesi non
permettono la professione di determinate fedi religiose. L’idea del legislatore fu quella di far incontrare
l’autorità statale e il responsabile religioso, a cui preme che ad un determinato bene culturale di sua
proprietà non venga tolta la sua originale destinazione di oggetto di culto. La disciplina di coordinamento
prevista per la Chiesa Cattolica vale anche per tutte le altre confessioni religiose. La Chiesa Cattolica ha un
maggior rilievo in quanto è proprietaria di una grande quantità di beni culturali. Il coordinamento indicato
all’articolo 9 dispone che per i beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della
Chiesa Cattolica o di altre confessioni religiose, il Ministero e le Regioni provvedono relativamente alle
esigenze di culto d’accordo con le rispettive autorità. Gli interventi di tutela e valorizzazione sono a carico
dello Stato Italiano e la Chiesa viene interpellata solo per le esigenze di culto. All’accordo del 1984
seguirono due intese tra il Ministero per i beni culturali e la CEI, la Conferenza Episcopale Italiana
(organismo permanente della Chiesa Cattolica italiana composto da tutti i vescovi). Il decreto del Presidente
della Repubblica del 2005 prevede la collaborazione tra Stato e Chiesa su tre livelli: a livello massimo fra il
Ministero e il Presidente della Conferenza Episcopale, a livello regionale fra i direttori generali e il
Presidente della CE regionale, infine a livello periferico fra i sovrintendenti e il vescovo diocesano. Queste
intese servono a coinvolgere la Chiesa per far presente allo Stato le esigenze di culto.
Il Ministero è competente anche in materia di diritti d’autore. Il diritto d’autore è nato recentemente e
rappresenta una tutela di beni artistici che trovano una larga diffusione. L’invenzione della stampa porta
una diffusione enorme in ordine a libri e di conseguenza alla tutela dei libri e degli stessi autori. Addirittura
l’autore latino Seneca fornisce una prima testimonianza di diritto d’autore, sostenendo che la proprietà di
un’opera di Cicerone fosse sia quest’ultimo sia il libraio Doro. In sostanza il libraio deteneva la proprietà
materiale dell’opera, mentre Cicerone deteneva la proprietà immateriale, ovvero era proprietario dei
contenuti dell’opera.
La prima legge italiana sul diritto d’autore risale al 1865 e viene tradotta in un testo unico nel 1881. Nel
1941 venne istituita dalla legge 633 ed infine il diritto d’autore venne disciplinato dal Codice Civile nel 1942
dall’Articolo 2565 all’Articolo 2583. Con la nascita della Costituzione Italiana non viene inserito una
citazione esplicita sul diritto d’autore; tuttavia il diritto d’autore trova una tutela costituzionale, in quanto
l’articolo due si dedica al diritto di espressione della propria personalità, includendone gli aspetti letterari,
artistici ecc. L’Articolo 4, al secondo comma, esprime il dovere, da parte del cittadino, di svolgere secondo
le proprie possibilità e la propria scelta attività che contribuiscano allo sviluppo materiale o spirituale della
società, anche attraverso le manifestazioni artistiche della persona. Anche l’Articolo 9 trova una forma di
tutela in ordine di diritto d’autore, in quanto lo stesso articolo promuove lo sviluppo culturale e la ricerca,
includendo tutti gli aspetti della cultura legati al diritto d’autore. Infine l’Articolo 33 della Costituzione, al
primo comma, impone che l’arte e la scienza sono libere e libero è il loro insegnamento: lo Stato, quindi,
non si pone come uno Stato etico e non impone ai cittadini un modo di pensare, di agire e di manifestare la
propria personalità. Il diritto d’autore viene tutelato dalla Costituzione anche dal punto di vista economico:
l’Articolo 35 tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. Indirettamente la tutela patrimoniale del
diritto d’autore avviene, quindi, attraverso la tutela del lavoro, in questo caso il lavoro dell’artista. La
legislazione sul diritto d’autore si arricchisce dal XIX secolo di moltissime convenzioni internazionali, rese
necessarie in quanto alcune nazioni non hanno riconosciuto il diritto d’autore, fatto inammissibile. Le varie
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convenzioni sono state accorpate nella Unione per la protezione delle opere letterarie e artistiche, nota
come Convenzione di Berna, sottoscritta nel 1886 e revisionata nel 1971. A queste convenzioni se ne
aggiungono altre sulla tutela del diritto d’autore. Con l’avvento dei computer e, conseguentemente, di
Internet l’opera viene dematerializzata, privata quindi di un esclusivo supporto materiale.
Negli anni ottanta si è cominciato a studiare alcune funzioni che portassero alla regolamentazione della
circolazione delle opere dell’ingegno nella cosiddetta società dell’informazione, tenendo conto
dell’interesse degli autori e dell’interesse pubblico al fine di un accrescimento culturale e di una fruizione
facilitata (fruizione virtuale). Tra le convenzioni internazionali specifiche si ricordano la Convenzione
universale sul diritto d’autore, firmata a Ginevra nel 1952, la Convenzione di Roma del 1961 per la
protezione degli artisti interpreti ed esecutori, dei produttori di fonogramma e degli organismi di
trasmissione. Si ricorda, inoltre, la presenza di dieci direttive comunitarie in materia di diritti d’autore, che
impongono agli stati comunitari di adeguarsi a determinate norme entro una certa data.
Per quanto riguarda la Legge italiana si ricordano, inoltre, la Legge 93 del 1992, intitolata Norme a favore
delle imprese fonografiche e compensi per le riproduzioni private senza scopo di lucro e, infine, la Legge
248, intitolata Nuove norme sul diritto d’autore.
Essere autore significa creare, produrre, ma non tutto ciò che è prodotto dell’intelletto umano è
suscettibile di tutela. L’Articolo 2575 del Codice Civile e l’Articolo 1 della Legge sul diritto d’autore
proteggono le opere dell’ingegno di carattere creativo, che appartengono alla letteratura, alle scienze, alla
musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro, alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la
forma di espressione; inoltre sono protetti i programmi per elaboratore e le banche dati. S tiene altresì
conto dell’originalità dell’espressione. La tutela, ad esempio per la musica, si applica per l’autore,
l’esecutore e per gli eventuali trascrittori. La Legge precisa, all’Articolo 2, che sono comprese nella
protezione le opere letterarie drammatiche, scientifiche, didattiche, religiose tanto in forma scritta, quanto
in forma orale di qualsiasi genere; si precisa che le opere didattiche non sono frutto di idee originali o
creative, ma vengono protette per le modalità di organizzazione didattiche dei manuali. Sono protette,
inoltre, le opere e le composizioni musicali, dove si intende opere con o senza parole,le opere drammatiche
musicali e le variazioni musicali costituenti di per sé opera originale. Sono tutelate le opere coreografiche,
della pittura, dell’arte del disegno, della scultura, delle arti figurative, compresa la scenografia, le opere di
architettura, dell’arte cinematografica, dell’arte della fotografia, i programmi per elaboratori, le banche
dati e le opere di disegno industriale.
La Legge definisce la creatività come frutto dell’ingegno umano e stabilisce che il diritto d’autore è un
diritto che acquista a titolo originario, ovvero la proprietà deriva direttamente dalla creazione di un’opera.
Un’opera può essere definita creativa quando è caratterizzata da novità e da originalità e solo in questo
caso si avvale della tutela sul diritto d’autore.
L’Articolo 1 della Legge 633 dice che sono protette le opere dell’ingegno di carattere creativo. Questo
articolo va coordinato con l’Articolo 6, dal quale scaturisce che il titolo originario dell’acquisto del diritto
d’autore è costituito dalla creazione dell’opera quale particolare espressione del lavoro intellettuale. In
entrambi gli articoli viene sottolineata l’importanza della creatività. Un’opera è tutelabile dalla Legge solo
quando è creativa, cioè quando porta novità e originalità. Per originalità si intende la manifestazione di una
particolare personalità, quando rivela tratti della personalità dell’autore. Per novità si intende la presenza
di elementi caratterizzanti non ancora divulgati. Il diritto d’autore tutela opere di carattere creativo nel
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momento in cui una determinata idea si concretizza in una forma. L’idea acquista una forma ad esempio
quando viene divulgata ad altre persone. Il giurista Kohler ha diviso il diritto d’autore in tre forme:
FORMA ESTERNA
FORMA INTERNA
CONTENUTO DELL’OPERA
La forma esterna è la forma con cui l’opera appare nella sua dimensione, ad esempio l’insieme di parole e
di frasi di un’opera letteraria o le note di un brano musicale. La forma interna, invece, è la struttura
espositiva di un’opera. Il contenuto dell’opera è il messaggio che un’opera fornisce ed è interpretabile da
tutti. Pertanto la tutela è applicabile solo sulla forma esterna e sulla forma interna di un’opera. Non sono
oggetto di tutela né le semplici idee né le opere prive di carattere creativo, quindi tutte le opere che hanno
forme espressive elementari. Il diritto non si acquista attraverso le formalità del deposito, della
registrazione o di altra formalità. Il Codice Civile, all’Articolo 2576, ribadisce il concetto presente nella legge
del 1941, cioè che il diritto d’autore è costituito dalla creazione dell’opera. Il riconoscimento dell’autore
avviene tramite la presenza sull’opera da nome, cognome o pseudonimo, nome d’arte, sigla o segno
particolare che riconduce direttamente ad un determinato autore.
Il diritto d’autore si divide in diritto morale e diritto patrimoniale connesso con lo sfruttamento economico
dell’opera. Il diritto morale consiste in primo luogo nel riconoscimento della paternità dell’opera. Lo
sfruttamento economico dell’opera comporta il diritto di pubblicazione, il diritto di riproduzione, il diritto di
rappresentazione o recitazione in pubblico, il diritto di distribuzione, il diritto di noleggio o di prestito e il
diritto di modificazione. I diritti connessi allo sfruttamento economico dell’opera sono completamente
disponibili. L’autore può disporre liberamente dei diritti economici sulla sua opera, ma occorre la forma
scritta per provare l’esistenza del contratto. La Legge concede i diritti di utilizzazione economica dell’opera
per tutta la vita dell’autore e sino al termine del settantesimo anno dalla sua morte. L’autore ha e conserva
diritti morali, regolamentati dall’Articolo 20 all’Articolo 24 della Legge sul diritto d’autore.
Il diritto morale si specifica in:
diritto di rivendicare la paternità dell’opera e, nel caso di opera anonima, di rivelare la paternità
dell’opera;
il diritto di opporsi a deformazioni o modificazioni dell’opera;
il diritto di inedito, cioè di non pubblicare l’opera o di decidere quando pubblicarla;
il diritto sul ritiro dell’opera dal commercio, ovvero l’autore ha il diritto di non ritenere più la sua
opera idonea ad un determinato pubblico e ritirarla dal commercio.
Tutti i trasferimenti dei diritti economici connessi al diritto d’autore devono avere forma scritta ed è
prevista la registrazione nel Registro pubblico generale delle opere protette, tenuto dalla SIAE. La SIAE
esercita attività di intermediazione mediante un mandato; è un ente pubblico economico che non può
andare in perdita, ma non può perseguire un lucro, deve rispettare un sistema economico, il guadagno
deve essere ripartito fra gli associati alla SIAE. L’adesione comporta di affidare in via esclusiva la protezione
della propria opera in Italia e in tutti i paesi nei quali ha delle rappresentanze o accordi con società simili.
L’opera è affidata alla SIAE attraverso un bollettino di dichiarazione, nel quale sono indicati gli estremi di
identificazione dell’opera e la ripartizione degli aventi diritto allo sfruttamento economico.
L’apprezzamento economico di un’opera fa sì che questa venga posta nella categoria di opera artistica. La
novità e l’originalità, secondo alcuni, può essere autocertificata dallo stesso autore.
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I limiti alle manifestazioni artistiche sono contenuti nel Codice Penale dall’Articolo 527 all’Articolo 529, che
trattano di atti osceni, pubblicazioni e spettacoli osceni e atti e oggetti osceni. Questi articoli sono
contenuti nel Codice Rocco datato 1930, che deriva direttamente dalla legislazione del ventennio fascista.
L’Articolo 527 sanziona chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico compie atti osceni, cioè
tutto ciò che ha la capacità a violare quel senso naturale di doveroso riservo che la media del popolo
italiano esige sia mantenuta nell’attuale momento storico intorno a manifestazioni e fatti di indole sessuale.
L’atto osceno, quindi, rappresenta una violazione al senso del pudore, ovvero una reazione di disagio di
fronte a determinate manifestazioni che induce o repulsione o un turbamento. L’Articolo 528 sanziona
chiunque, nel territorio dello Stato, espone, fabbrica, introduce, mette in circolazione scritti, disegni o
immagini oscene. Tale pena si applica anche agli spettacoli teatrali, cinematografici e alle recitazioni
pubbliche. L’Articolo 529, al secondo comma, stabilisce che non si considera oscena l’opera d’arte o della
scienza.
Alla Mostra di Venezia del 1968 venne presentato il lungometraggio “Teorema” di Pierpaolo Pasolini, film
che fece un enorme scalpore. La vicenda venne portata in tribunale, tuttavia Pasolini venne scagionato in
quanto gli atti osceni presenti non vengono considerati fine a sé stessi, tali da rientrare nella pornografia.
I beni culturali e il diritto penale
La sanzione penale è sempre preceduta da un reato. Un reato è riconosciuto come tale solo quando lo
Stato prevede una pena in conseguenza ad una determinata azione. I reati si dividono in delitti e
contravvenzioni, per cui lo Stato indica diversi tipi di pene. Le pene in caso di delitto sono l’ergastolo, la
reclusione da 15 giorni a 24 anni e la multa da 50 a 50.000 euro, anche se in questo caso possono anche
essere più elevate. Le contravvenzioni prevedono pene quali l’arresto e l’ammenda. Precedentemente per i
delitti era prevista anche la pena di morte, oggi eliminata sia dall’ordinamento statale sia da quello militare.
L’ordinamento penale si basa sul principio di legalità, in base al quale il monopolio legislativo della scelta
dei fatti da punire e delle relative sanzioni spetta allo Stato. Le regioni, ad esempio, non potranno mai
emanare norme di carattere penale.
I reati connessi ai beni culturali sono disciplinati dal Codice dei beni culturali, dal Codice penale e da altri
enti legislativi specifici. Il Codice si occupa delle sanzioni penale nella parte quarta e prevede due tipi di
reato: reati di tipo contravvenzionale e veri e propri delitti. La distinzione non è solo nella pena, ma anche
nei benefici, in caso di condotte meno gravi.
Il primo reato, di tipo contravvenzionale, è trattato all’Articolo 169 inerente alle opere illecite. Sono indicati
tre tipi di condotte diverse:
a) Chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero esegue opere di
qualunque genere sui beni culturali indicati nell'articolo 10;
b) Chiunque, senza l'autorizzazione del soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti,
iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o non alla pubblica vista, anche se non vi
sia stata la dichiarazione prevista dall'articolo 13;
c) Chiunque esegue, in casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni
notevoli ai beni indicati nell'articolo 10, senza dame immediata comunicazione alla soprintendenza
ovvero senza inviare, nel più breve tempo, i progetti dei lavori definitivi per l'autorizzazione.
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Queste norme sono applicate solo ai beni di appartenenza pubblica e non vengono fatte distinzioni per i
diversi tipi di persona in presenza di questo reato. Il semplice fatto di non aver richiesto l’autorizzazione per
fare un determinato intervento viene sanzionato indipendentemente dalla presenza di un effettivo danno
ad un bene culturale, diversamente dalla norma prevista dal Codice Penale all’Articolo 733, che sanziona il
danneggiamento di beni propri appartenenti al patrimonio archeologico, storico e artistico nazionale, in
quanto la pena avviene solo in presenza di un danno materiale. L’ultima delle tre condotte indicate
all’Articolo 169 rappresenta un’eccezione, in quanto permette, in caso di urgenza, l’intervento su un bene
culturale, ma solamente dopo l’immediata comunicazione al sovrintendente.
E’ importante, in presenza di un reato, distinguere il dolo e la colpa. Nel dolo si presume che si abbia
completa consapevolezza di commettere un reato e si compia nonostante questo; la colpa prevede la
mancanza di volontà nel compiere un reato. Il legislatore non ha necessità di cercare una colpa in reati di
tipo contravvenzionale, per cui in caso di danneggiamento di un bene culturale il reato è sempre di tipo
doloso.
L’Articolo 170 presuppone l’utilizzo illecito di beni culturali. È punito con l'arresto da sei mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque destina i beni culturali indicati nell'articolo 10 ad uso incompatibile con il loro carattere storico od artistico o pregiudizievole per la loro conservazione o integrità. L’Articolo 171, parallelamente all’Articolo 169, punisce con l'arresto da sei mesi ad un anno e con
l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque omette di fissare al luogo di loro destinazione, nel modo
indicato dal soprintendente, beni culturali appartenenti ai soggetti di cui all'articolo 10, comma 1. Alla
stessa pena soggiace il detentore che omette di dare notizia alla competente soprintendenza dello
spostamento di beni culturali, dipendente dal mutamento di dimora, ovvero non osserva le prescrizioni date
dalla soprintendenza affinché i beni medesimi non subiscano danno dal trasporto.
L’Articolo 172, relativo all’inosservanza delle prescrizioni di tutela indiretta, punisce con l'arresto da sei
mesi ad un anno e con l'ammenda da euro 775 a euro 38.734,50 chiunque non osserva le prescrizioni date
dal Ministero ai sensi dell'articolo 45, comma 1.
Articolo 45, Comma 1
Il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano
alterate le condizioni di ambiente e di decoro. A partire dall’Articolo 173 sono indicati i reati riconosciuti come delitti in materia di beni culturali.
L’Articolo 173, inerente alle violazioni in materia di alienazione, punisce con la reclusione fino ad un anno e
la multa da euro 1.549,50 a euro 77.469:
a) chiunque, senza la prescritta autorizzazione, aliena i beni culturali indicati negli articoli 55 e 56;
b) chiunque, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato all'articolo 59, comma 2, la
denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali;
c) l'alienante di un bene culturale soggetto a prelazione che effettua la consegna della cosa in
pendenza del termine previsto dall'articolo 61, comma 1.
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L’Articolo 174, inerente all’uscita o esportazioni illecite, punisce chiunque trasferisce all'estero cose di
interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, bibliografico, documentale o archivistico,
nonché quelle indicate all'articolo 11, comma 1, lettere f), g) e h), senza attestato di libera circolazione o
licenza di esportazione, con la reclusione da uno a quattro anni o con la multa da euro 258 a euro 5.165. La
pena prevista al comma 1 si applica, altresì, nei confronti di chiunque non fa rientrare nel territorio
nazionale, alla scadenza del termine, beni culturali per i quali sia stata autorizzata l'uscita o l'esportazione
temporanee. Il giudice dispone la confisca delle cose, salvo che queste appartengano a persona estranea al
reato. La confisca ha luogo in conformità delle nome della legge doganale relative alle cose oggetto di
contrabbando.
Articolo 11, Comma 1
f) le fotografie, con relativi negativi e matrici, gli esemplari di opere cinematografiche, audiovisive o di
sequenze di immagini in movimento, le documentazioni di manifestazioni, sonore o verbali comunque
realizzate, la cui produzione risalga ad oltre venticinque ami, a termini dell'articolo 65, comma 3, lettera c)
(4);
g) i mezzi di trasporto aventi più di settantacinque anni, a termini degliarticoli 65, comma 3, lettera c) e 67,
comma 2 (4);
h) i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica aventi più di cinquanta anni, a
termini dell'articolo 65, comma 3, lettera c) (4).
L’Articolo 175, inerente alle violazioni in materia di ricerche archeologiche, punisce con l'arresto fino ad un
anno e l'ammenda da euro 310 a euro 3.099:
a) chiunque esegue ricerche archeologiche o, in genere, opere per il ritrovamento di cose indicate
all'articolo 10 senza concessione, ovvero non osserva le prescrizioni date dall'amministrazione;
b) chiunque, essendovi tenuto, non denuncia nel termine prescritto dall'articolo 90, comma 1, le cose
indicate nell'articolo 10 rinvenute fortuitamente o non provvede alla loro conservazione temporanea.
L’Articolo 176, inerente alle all’impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato, punisce
chiunque si impossessa di beni culturali indicati nell'articolo 10 appartenenti allo Stato ai sensi dell'articolo
91 con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 31 a euro 516,50. La pena è della reclusione da
uno a sei ami e della,multa da euro 103 a euro 1.033 se il fatto è commesso da chi abbia ottenuto la
concessione di ricerca prevista dall'articolo 89.
L’Articolo 178, inerente alla contraffazione di opere d’arte, punisce con la reclusione da tre mesi fino a
quattro anni e con la multa da euro 103 a euro 3.099:
a) chiunque, al fine di trarne profitto, contraffà, altera o riproduce un'opera di pittura, scultura grafica,
ovvero un oggetto di antichità o di interesse storico od archeologico;
b) chiunque, anche senza aver concorso nella contraffazione, alterazione o riproduzione, pone in
commercio, o detiene per fame commercio, o introduce a questo fine nel territorio dello Stato, o comunque
pone in circolazione, come autentici, esemplari contraffatti, alterati o riprodotti di opere di pittura, scultura,
grafica o di oggetti di antichità, o di oggetti di interesse storico od archeologico;
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c) chiunque, conoscendone la falsità, autentica opere od oggetti, indicati alle lettere a) e b), contraffatti,
alterati o riprodotti;
d) chiunque mediante altre dichiarazioni, penne, pubblicazioni, apposizione di timbri od etichette o con
qualsiasi altro mezzo accredita o contribuisce ad accreditare, conoscendone la falsità, come autentici opere
od oggetti indicati alle lettere a) e b) contraffatti, alterati o riprodotti.
Se i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività commerciale la pena è aumentata e alla sentenza di
condanna consegue l'interdizione a norma dell'articolo 30 del codice penale. La sentenza di condanna per i
reati previsti dal comma 1 è pubblicata su tre quotidiani con diffusione nazionale designati dal giudice ed
editi in tre diverse località. Si applica l'articolo 36, comma 3, del codice penale. È sempre ordinata la
confisca degli esemplari contraffatti, alterati o riprodotti delle opere o degli oggetti indicati nel commi 1,
salvo che si tratti di cose appartenenti a persone estranee al reato. Delle cose confiscate vietata, senza limiti
di tempo, la vendita nelle aste dei corpi di reato.
Infine l’Articolo 180, inerente all’inosservanza dei provvedimenti amministrativi, rappresenta una norma di
chiusura e residuale rispetto agli altri reati: salvo che il fatto non costituisca più grave reato, chiunque non
ottempera ad un ordine impartito dall'autorità preposta alla tutela dei beni culturali in conformità del
presente Titolo è punito con le pene previste dall'articolo 650 del codice penale.
Articolo 650 del Codice Penale
Chiunque non osserva un provvedimento legalmente dato dall`Autorità per ragione di giustizia o di sicurezza
pubblica , o d`ordine pubblico o d`igiene, è punito, se il fatto non costituisce un più grave reato, con l`arresto
fino a tre mesi o con l`ammenda fino a euro 206,58.
Schemi
Fonti del diritto
1) Costituzione della Repubblica Italiana
2) Legge Ordinaria, Leggi Regionali, Regolamenti dell’Unione Europea
3) Regolamenti Statali o Regolamenti Attuativi
4) Consuetudine
Decreto Legislativo: atto del governo avente forza di legge sulla base di una delega del Parlamento al
governo per disciplinare una determinata materia. Disciplinato dall’Articolo 76 della Costituzione.
Decreto Legge: atto del governo avente immediata forza di legge, emanabile solo in caso di necessità o
emergenza; deve essere presentato alle Camere e approvato entro 60 giorni. Disciplinato dall’Articolo 77
della Costituzione.
Storia della legislazione dei Beni Culturali
1733: Lo Stato Pontificio, ad opera del Cardinale Albani, emana sull’importanza dei monumenti e dei beni
pubblici per i liberi privati.
1802: Papa Pio VII emana alcune norme sul godimento di beni culturali da parte del pubblico e sul divieto di
esportazione degli stessi.
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1820: viene emanata, ad opera del Cardinal Pacca, la prima vera forma di legislazione organica in materia di
beni culturali.
1939: viene introdotta la Legge n.2006 inerente gli Archivi del Regno d’Italia sotto il regime fascista.
1954: la Convenzione dell’Aia definisce per la prima volta il termine di bene culturale come bene di uno
Stato che rappresenta testimonianza di civiltà.
1964: la commissione parlamentare presieduta dall’onorevole Franceschini compie un censimento del
patrimonio artistico e storico italiano. La relazione finale prende il titolo di “Per la salvezza dei beni culturali
in Italia”.
1968: la commissione Papaldo viene incaricata di elaborare un progetto di legge in materia di beni culturali.
1975: nasce il primo Ministero per i beni culturali e ambientali.
1997: la Legge Bassanini riforma il Ministero per i beni culturali e ambientali e lo rinomina Ministero per i
beni e le attività culturali, assorbendo le competenze del Ministero dello sport, del turismo e dello
spettacolo.
1999: viene introdotto, con il Decreto Legislativo 490, il Testo unico delle disposizioni legislative in materia
di beni culturali e ambientali.
2004: il 22 Gennaio viene promulgato il Decreto Legislativo n.42 intitolato Codice dei beni culturali e del
paesaggio.
Codice dei beni culturali e del paesaggio
Parte Prima: Disposizioni Generali (Articoli 1-9)
Parte Seconda: Beni Culturali (Articoli 10-130)
Parte Terza: Beni Paesaggistici (Articoli 131-159)
Parte Quarta: Sanzioni Amministrative e Penali (Articoli 160-181)
Parte Quinta: Disposizioni Transitorie
Articolo 1 Principi
In attuazione dell'articolo 9 della Costituzione, la Repubblica tutela e valorizza il patrimonio culturale in
coerenza con le attribuzioni di cui all'articolo 117 della Costituzione e secondo le disposizioni del presente
codice.
Articolo 2 Patrimonio Culturale
1. Il patrimonio culturale è costituito dai beni culturali e dai beni paesaggistici.
2. Sono beni culturali le cose immobili e mobili che, ai sensi degli articoli 10 e11, presentano interesse
artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico e le altre cose individuate
dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà.
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3. Sono beni paesaggistici gli immobili e le aree indicati all'articolo 134, costituenti espressione dei valori
storici, culturali, naturali, morfologici ed estetici del territorio, e gli altri beni individuati dalla legge o in base
alla legge.
4. I beni del patrimonio culturale di appartenenza pubblica sono destinati alla fruizione della collettività,
compatibilmente con le esigenze di uso istituzionale e sempre che non vi ostino ragioni di tutela.
Articolo 3 Tutela del Patrimonio Culturale
La tutela consiste nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di
un'adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la
protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.
Articolo 10 Beni Culturali
Prima Area
Sono beni culturali le cose immobili e mobili appartenenti allo Stato, alle regioni, agli altri enti pubblici
territoriali, nonché ad ogni altro ente ed istituto pubblico e a persone giuridiche private senza fine di lucro,
ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, che presentano interesse artistico, storico,
archeologico o etnoantropologico.
Seconda Area
Sono inoltre beni culturali:
a) le raccolte di musei, pinacoteche, gallerie e altri luoghi espositivi dello Stato, delle regioni, degli altri enti
pubblici territoriali nonché di ogni altro ente ed istituto pubblico;
b) gli archivi e i singoli documenti dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di ogni
altro ente ed istituto pubblico;
c ) le raccolte librarie delle biblioteche dello Stato, delle regioni, degli altri enti pubblici territoriali, nonché di
ogni altro ente e istituto pubblico.
Terza Area
Quest’ultima area tratta di beni di proprietà di privati per i quali è necessario l’accertamento della
sussistenza dell’interesse culturale (interesse eccezionale).
Articolo 131 Paesaggio
Per paesaggio si intende il territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori
naturali, umani e dalle loro interrelazioni.
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Articolo 12 Verifica dell’Interesse Culturale
Lo Stato e gli enti pubblici sono chiamati a verificare l’interesse culturale dei beni che si trovano nel loro
patrimonio. Questo procedimento si può attuare d’ufficio o su richiesta del proprietario. La verifica è
costituita da una valutazione e da un giudizio influenzato, tuttavia, da un notevole grado di soggettività. Nel
caso la verifica dia esito positivo il bene assumerà il valore di bene culturale. Nel caso, invece, di esito
negativo o di mancata verifica entro 120 giorni dalla richiesta il bene perderà ogni diritto di tutela e
conservazione.
Articolo 56 Beni Inalienabili
L’articolo 56 del codice offre un elenco dei beni inalienabili: sono inalienabili beni immobili e aree di
interesse archeologico, i monumenti nazionali indicati secondo la legge del tempo, le raccolte di musei,
pinacoteche, gallerie e biblioteche, gli archivi e le cose mobili che siano opera d’autore vivente o che la sua
esecuzione non risalga ad oltre 50 anni. Sono, inoltre, inalienabili le cose mobili e immobili indicate
nell’articolo 10 comma 1. Il codice prevede che questi beni siano sottoposti alla disciplina di tutela e
conservazione nel momento in cui vengono riconosciuti come patrimonio dello Stato.