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Franco Pesaresi
Segreteria OrganizzativaAnci Servizi S.r.l.
Piazza Cola di Rienzo 69 – 00192 RomaE-mail: [email protected]
1
- L’APPLICAZIONE DELLA 328 IN ITALIA -- L’APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA SOCIALE
NELLE MARCHE -- UNA BUONA PRATICA DEL COMUNE DI ANCONA:
IL “RAPPORTO SOCIALE”. di Franco Pesaresi
Franco Pesaresi
Relazione
1. L’applicazione della 328 n Italia
2. L’applicazione della normativa sociale nelle Marche
3. Una buona pratica del Comune di Ancona: il “Rapporto
sociale”.
di Franco Pesaresidirigente servizi sociali educativi e sanità del Comune di Ancona
Luglio 2004
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Franco Pesaresi
INDICE
Pag.
1. L’applicazione della L. 328 in Italia: un primo bilancio 3
2. La governance dei piani sociali di zona 9
3. La riforma del welfare sociale nelle Marche 25
4. Una buona pratica dell’ambito sociale di Ancona:
Il “Rapporto sociale 2002” 30
5. Linee guida per la redazione del “Rapporto sociale 2004” di Ancona 36
6. Bibliografia e riferimenti normativi 48
1. L’APPLICAZIONE DELLA 328 IN ITALIA: 3
Franco Pesaresi
UN PRIMO BILANCIO
Sono passati 3 anni e mezzo da quando, nel novembre del 2000, è stata approvata la legge 328 di
riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Un periodo che ci permette di poter
abbozzare un primo sintetico bilancio degli effetti della legge nelle politiche regionali. Nel
frattempo molto è cambiato; in ordine di tempo prima c’è stata la modifica del titolo V° della
Costituzione che ha affidato alle regioni la potestà legislativa esclusiva in campo socio-assistenziale
che ha “sgonfiato” l’efficacia della legge stessa. Successivamente è subentrata una nuova
maggioranza politica di governo che non ha assunto la legge 328 come il punto di riferimento
principale come si è potuto desumere dagli atti e dal “libro bianco sul welfare”.
In questo quadro rimescolato le regioni si sono mosse complessivamente verso l’applicazione della
legge 328 ma con grande lentezza e, spesso, scarsa organicità. Il quadro degli atti regionali
principali previsti dalla legge 328 riportato nella tab. 1 è piuttosto significativo in questo senso. Per
comprendere appieno la tabella e il comportamento delle regioni occorre però rammentare che
alcune regioni hanno approvato atti significativi appena prima della 328 anticipandone i contenuti
per cui non hanno ritenuto – forse giustamente – di approvare nuovi atti.
1.1. Le leggi regionali di riordino
Il dato più sconfortante si registra proprio sull’aspetto più importante e cioè sull’approvazione delle
leggi regionali di riordino del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali. Solo 4 regioni
(Calabria, Emilia Romagna, Piemonte e Puglia) hanno approvato le rispettive leggi quadro
definendo il quadro organico del settore anche se numerose sono le regioni che stanno discutendo
nei loro Consigli le proposte di legge presentate dalla Giunta (Veneto, Sardegna, ecc.). Perché
questo risultato così modesto? Può aver influito la posizione regionalista secondo cui siccome la
competenza legislativa è ora delle regioni a loro spetta discrezionalmente approvare o meno un
intervento normativo. In realtà, secondo la dottrina prevalente, in base al principio della continuità,
la legge 328 deve essere considerata in vigore fino a quando la regione non approva una nuova
normativa sulla stessa materia o su parti di essa. Per cui l’intervento legislativo regionale è
comunque necessario sia per integrare il testo spesso generico della 328, sia per dare attuazione ai
tanti adempimenti regionali in essa previsti, sia per eventuali modificazioni da apportare, sia, infine,
per aggiornare le precedenti leggi quadro regionali molte delle quali sono state approvate negli anni
’80.
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Franco Pesaresi
1.2. I Piani sociali regionali
Una situazione leggermente migliore ma non entusiasmante la troviamo tra le regioni che hanno
approvato i Piani sociali regionali. Sono 7 e due di queste (Lombardia, Valle d’Aosta) hanno
approvato piani socio-sanitari dove però la parte sociale è assai modesta. Occorre però anche
ricordare che altre due regioni – l’Umbria e le Marche – non sono state inserite nell’elenco perché
hanno approvato il loro piano regionale poco prima della 328 anticipandone in buona parte anche i
contenuti. Colpisce il fatto che le regioni che hanno approvato il piano sociale regionale non hanno
ancora approvato la legge regionale di riordino per cui, allo stato attuale, non c’è neanche una
regione che disponga di un quadro normativo e programmatico aggiornato e completo.
1.3. I Piani sociali di zona
L’impegno maggiore le regioni italiane lo hanno profuso nella realizzazione dei piani sociali di
zona; infatti praticamente tutte le regioni hanno definito gli ambiti di intervento (rimane solo il
Molise che pur avendo fissato le regole non li ha ancora delimitati) e 11 regioni hanno visto
realizzare i piani sociali di zona nel loro territorio (Cfr. Tab. 1). Si tratta di un risultato
apprezzabile tenendo conto del quadro normativo regionale e della novità del percorso che è stato
raggiunto grazie all’impegno e alla collaborazione di un gruppo più attivo di regioni e comuni.
Naturalmente adesso occorre allargare a tutto il territorio nazionale l’esperienza dei piani di zona.
1.4. L’autorizzazione e l’accreditamento
Uno degli strumenti più importanti per il miglioramento della qualità dei servizi e per il governo del
mercato sociale che la legge ha identificato nel processo di autorizzazione e accreditamento
praticamente non è ancora partito. Per la verità sono 11 le regioni che hanno approvato delle norme
su questo aspetto anche se alcune regioni (Abruzzo, Lazio e Trento) hanno regolato con legge
soltanto l’autorizzazione (e non l’accreditamento) mentre la Liguria lo ha fatto provvisoriamente
richiamando la normativa precedente alla 328.
Ma l’aspetto centrale è che le leggi di per sé sono inutili se insieme a queste non vengono approvati
anche i requisiti necessari alle singole strutture per ottenere l’autorizzazione e l’accreditamento. Da
questo punto di vista ha completato il percorso solo la Provincia autonoma di Trento contrastando
però con le previsioni della L. 328. La provincia di Trento ha infatti stabilito di non prevedere le
procedure per l’accreditamento ritenendo sufficienti quelle per l’autorizzazione rinviando agli
accordi contrattuali le norme necessarie a migliorare la qualità delle prestazioni. L’altra regione che
può far partire il processo è la regione Marche che ha recentemente approvato gli standard per
l’autorizzazione delle strutture residenziali e semiresidenziali e che pertanto ha appena avviato
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Franco Pesaresi
operativamente il processo di autorizzazione che si perfezionerà con l’approvazione dei requisiti per
l’accreditamento, attualmente in fase avanzata di elaborazione (Cfr. Tab. 1).
Tab. 1 – Atti regionali applicativi della legge 328 (aggiornato al 31/3/2004)
regioni Legge di
riordino
Piani regional
i
ambiti
territ.
Piani
di zona
leggeAutorizzazioneaccreditament
o
Affidamento
servizi
Prestazioni
Sociosanit.
riforma IPAB
Abruzzo Si Si Si Si* SiBasilicata Si SiCalabria Si Si Si SiCampania Si Si Si Si
(no LEA)
E.Romagna
Si Si Si Si Si**
Friuli-V.G. Si SiLazio Si Si Si Si*Liguria Si Si Si Si Si SiLombardia Si Si Si SiMarche Si Si Si SiMolise SiPiemonte Si Si Si Si** Si Puglia Si Si SiSardegna Si SiSicilia SiToscana Si Si Si Si Si Umbria Si SiValle d’Aosta
Si Si Si
Veneto Si Si Si SiBolzano Si SiTrento Si Si Si*Italia 4 7 20 11 11 7 8 3Note: * L’Abruzzo, il Lazio e Trento hanno normato solo l’autorizzazione. * * la legge regionale ha stabilito le procedure di affidamento con evidenza pubblica con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma ha rinviato ulteriori dettagli e disposizioni ad una delibera di Giunta.
1.5. L’affidamento dei servizi
La legge 328 prevede che le regioni adottino specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti
locali e terzo settore con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona.
Anche in questo caso, possiamo dire che una minoranza di regioni e cioè 7 (Cfr. tab. 1) hanno
adottato dei provvedimenti anche se esistono altre norme regionali precedenti alla legge quadro
nazionale. Non tutte queste regioni hanno, però, perfezionato il loro percorso. Infatti le regioni
Emilia Romagna e Piemonte, nelle loro leggi di riordino, hanno stabilito le procedure di
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Franco Pesaresi
affidamento con evidenza pubblica con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa ma
hanno rinviato ulteriori dettagli e disposizioni ad una delibera di Giunta, ancora da emanare. Le
Marche invece hanno limitato le disposizioni relative alle procedure di affidamento alle
cooperative sociali mentre la Toscana ha approvato delle direttive transitorie.
1.6. L’integrazione socio-sanitaria
Solo otto regioni si sono occupate della regolamentazione dell’integrazione socio-sanitaria. Sette di
queste hanno recepito, anche con modificazioni, l’allegato 1C del DPCM 29 novembre 2001 sui
Livelli essenziali di assistenza sanitaria (LEA) dedicato all’area dell’integrazione socio-sanitaria e
che si preoccupa di stabilire la percentuale dei costi da porre a carico del comune o dell’utente per
una serie (8) di prestazioni socio-sanitarie. La maggioranza delle regioni ha invece recepito i LEA
ad eccezione proprio di questa parte che in effetti è problematica perché richiede la consultazione e
possibilmente l’accordo dei comuni dato che proprio su di loro, in alcuni casi, vengono scaricati dei
nuovi oneri. La Campania, invece, per ora ha recepito ed adattato al proprio territorio solamente il
DPCM del 14 febbraio 2001 che definisce le regole generali dell’integrazione rinviando ad una
fase successiva l’adozione dei LEA socio-sanitari.
1.7. La riforma delle IPAB
Ancora più indietro siamo sul fronte della riforma delle IPAB – circa 4.000 in Italia - prevista
dall’art. 10 della legge 328 e poi dal Decreto Legislativo 207/2001. In questo caso solo due regioni,
la Lombardia e la Liguria, hanno approvato gli atti necessari a mettere in condizione le IPAB di
trasformarsi in Aziende pubbliche di servizi alla persona (APSP), in associazioni o fondazioni di
diritto privato. In dirittura di arrivo anche l’Emilia Romagna che ha già legiferato in materia e che
ora deve approvare la delibera attuativa che nel marzo scorso è stata trasmessa al Consiglio
regionale per l’approvazione.
1.8. Conclusioni
Il giudizio complessivo sull’attività delle regioni italiane in direzione della riorganizzazione e della
modernizzazione dei servizi sociali così come indicato nella legge 328 non può che essere negativo
anche se registriamo una situazione in movimento dato che, seppur molto lentamente, una serie di
atti e di azioni si vanno realizzando. In questo panorama non entusiasmante vale la pena di
segnalare l’esperienza dei piani di zona, l’unica che vede coinvolta la maggioranza delle regioni e
che, per la prima volta, ha visto una pluralità di comuni mettersi insieme e misurarsi per la
pianificazione comune dei servizi sociali. Tenendo conto della tradizionale autonomia dei comuni e
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Franco Pesaresi
della fragilità dei servizi sociali specie dei comuni di piccole dimensioni, si tratta di una esperienza
da migliorare e da allargare a tutto il territorio nazionale ma sicuramente da valorizzare.
Ma se è vero che sono poche le regioni che hanno adottato delle norme sulle varie materie della 328
è opportuno dire che diverse regioni, fra quelle oggi in ritardo, stanno discutendo l’approvazione di
alcuni degli atti citati. Fra gli altri sicuramente il Veneto, la Campania, la Sicilia e la Sardegna per
le leggi di riordino, il Veneto, il Friuli-Venezia Giulia e la Campania per la riforma delle IPAB ecc..
Così come vale la pena di citare taluni interventi innovativi regolati o previsti da alcune regioni.
Fra queste dobbiamo citare la Campania e il Piemonte che hanno egolamentato le professioni sociali
identificandole e definendo il percorso formativo, la Toscana e la Campania che hanno previsto nel
Piano sociale regionale la prima ed in una legge ad hoc la seconda, la sperimentazione di quello che
oggi si chiama reddito di ultima istanza (ex RMI) ed infine la regione Emilia Romagna che ha
previsto l’attivazione di un fondo per il sostegno della non autosufficienza che, però, dovrà essere
riempito di contenuti e di risorse. Inoltre ben 11 regioni si sono occupate, in un qualche modo, dei
Livelli essenziali delle prestazioni sociali (LIVEAS) anche se questa è l’unica competenza esclusiva
dello Stato che deve provvedere a determinarli per poter garantire in tutto il territorio nazionale un
livello uniforme ed omogeneo di servizi assistenziali alla persona.
Le cause di questi evidenti ritardi regionali sono da ricercare nel mancato ruolo nazionale del
Governo (mancata introduzione in tutto il territorio del reddito minimo di inserimento, mancata
riforma delle indennità di invalidità/disabilità, mancato sostegno della 328), nella modifica
costituzionale del 2001 e nella disponibilità di risorse economiche largamente inadeguate,
fortemente al di sotto della media europea e, per ultimo, nella impreparazione di una parte delle
regioni a far fronte tempestivamente alla riforma e al riordino di tutto il settore assistenziale.
Valutando queste prime esperienze regionali di riforma si registrano differenze di approccio fra
regioni di centro-destra e regioni di centro-sinistra soltanto nella normativa sulla riforma delle
IPAB. Da una parte la Lombardia che spinge la riforma delle IPAB verso la privatizzazione degli
enti, coerentemente con la propria linea politica e la propria concezione del welfare, mentre
dall’altra troviamo l’Emilia Romagna orientata invece a mantenere tali strutture preferibilmente
nell’ambito del settore pubblico.
In tutti gli altri atti regionali che abbiamo visionato e relativi ad altri aspetti attuativi della legge 328
non abbiamo registrato sostanziali differenze di approccio politico fra le regioni di centro-destra e
quelle di centro-sinistra tanto da riuscire a definire dei differenti modelli. Tutte le regioni che hanno
legiferato in materia, di fatto, hanno assunto la 328 come punto di riferimento anche modificabile
ma nessuna regione ha prospettato un modello alternativo. L’unico caso è forse quello della
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Franco Pesaresi
Provincia autonoma di Trento che ha rinunciato ad attivare il processo di accreditamento delle
strutture, pur previsto dalla legge quadro nazionale.
Sul fronte della valutazione degli indirizzi politici degli atti, un aspetto importante per le ricadute
che ha sui singoli territori e sulla popolazione, ogni giudizio va comunque sospeso dato che ancora
limitate o solo di principio sono le normative regionali. Non bastano due sole normative sulle IPAB
per dare un giudizio definitivo così come non sono ancora sufficienti le più numerose normative che
hanno regolato gli altri settori e che spesso si sono fermate alla definizione dei principi di
riferimento. Le vere differenze, se ci saranno, si vedranno quando si uscirà da questa fase e si
passerà alla fase applicativa vera e propria.
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Franco Pesaresi
2. LA GOVERNANCE DEI PIANI SOCIALI DI ZONA
2.1. Regioni e piani sociali di zona Spetta alle regioni dare indicazioni sui contenuti dei Piani sociali di zona, sugli ambiti territoriali di
riferimento e sulle modalità e gli strumenti per la gestione unitaria del relativo sistema locale dei
servizi sociali (art.8 L. 328/00).
La maggior parte delle regioni ha affrontato questo percorso, in alcuni casi avviando ed in altri
definendo un quadro normativo che ha, localmente, livelli assai diversificati di completezza e
adeguatezza (Cfr. Tab. 2). Un piccolo gruppo di regioni (Molise e Sardegna) non ha dato ancora
alcuna indicazione sulla realizzazione dei Piani di zona anche se sono in itinere atti che in futuro
dovrebbero colmare questi ritardi.
A cavallo di questi due gruppi di regioni si colloca la provincia autonoma di Trento che pur avendo
approvato nel 2002 il proprio Piano provinciale sociale e assistenziale rinvia le indicazioni più
significative per la redazione dei Piani di zona (la definizione delle linee guida per la costruzione
dei piani territoriali e lo schema di piano) a successivi atti.
2.2. La governance sociale
Il Piano di zona si configura come uno strumento che persegue processi di programmazione
condivisa. In particolare, la L.328/00 a questo proposito afferma (art.3) che i comuni provvedono
alla programmazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali secondo i seguenti principi:
a) coordinamento ed integrazione con gli interventi sanitari e con gli altri settori dell’istruzione
e del lavoro;
b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali.
L’osservanza di questi principi rappresenta una strada obbligata dato che la partecipazione attiva ed
ordinata di tutti i soggetti interessati alla costruzione della rete integrata degli interventi e dei servizi
socio-sanitari non è possibile senza forme nuove di esercizio del governo locale non basate su una
inesistente gerarchia ma sul comune interesse a collaborare nella realizzazione di una rete unitaria e
coordinata di servizi.
Nel campo sociale ed in particolare in quello della pianificazione di zona e del suo governo locale
il termine governance appare come il più appropriato per rappresentare un processo che vede
coinvolti una pluralità di soggetti pubblici e privati che non è possibile (oltre ad essere inopportuno)
governare in modo gerarchico. In questa occasione utilizzare una terminologia inglese può essere
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Franco Pesaresi
Tab. 2 - Le disposizioni regionali sui Piani sociali di zona
Regioni atti recanti disposizioni sui Piani sociali di zonaAbruzzo D.C.R. n. 69/8/2002: “Legge 8.11.2000, n. 328: Legge quadro per la realizzazione del sistema
integrato di interventi e servizi sociali - Piano sociale regionale 2002-2004”.D.G.R. n. 804/2002: “Piano sociale regionale 2002-2004 – Atto di indirizzo applicativo per approvazione schema dettagliato per la predisposizione dei piani di zona dei servizi sociali”.
Basilicata D.C.R. n. 1280/1999: “Piano socio assistenziale per il triennio 2000/2002”.Bolzano D.G.P. n.5513/1999: “Approvazione del Piano sociale provinciale 2000-2002”.Calabria L.R. n. 23/2003: “Realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali nella
regione Calabria”.Campania D.G.R. n. 1826/2001: “Linee di programmazione regionale per un sistema integrato di
interventi e servizi sociali”.D.G.R. n. 1824/2001: “Legge 8 novembre 2000, n. 328 – determinazione degli ambiti territoriali per la gestione unitaria del sistema locale dei servizi sociali a rete”.
Emilia Romagna D.G.R. n. 329/2002: “Approvazione Linee guida per la predisposizione e l’approvazione dei Piani di zona 2002/2003 in attuazione di delibera del Consiglio regionale 246/01”.L.R. n. 2/2003: “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”.
Friuli-Venezia Giulia
D.G.R. n. 1891/2002: “Legge regionale 18/1996, articolo 6. Programma per la prima attuazione della L. 328/2000. Assegnazione fondi statali 2001 e anni precedenti”.
Lazio D.C.R. n. 591/1999: “Approvazione del primo Piano socio-assistenziale regionale 1998-2001”. D.G.R. n. 1408/2002: “Art.48 legge regionale n.38/1996. Approvazione schema di piano socio-assistenziale 2002-2004”.
Liguria L.R. n. 30/1998: “Riordino e programmazione dei servizi sociali della regione e mod. alla L.R. 42/1994 in materia di organizzazione e funzionamento della USL”.D.C.R. n. 65/2001: “Piano triennale dei servizi sociali 2002-2004 e indirizzi ai comuni per la redazione dei piani di zona”. D.G.R. n. 448/2003: “Linee guida ai comuni per la gestione associata dei servizi sociali”.
Lombardia D.G.R. n. 7/7069/2001: “Ripartizione delle risorse indistinte del Fondo nazionale per le politiche sociali in applicazione della legge 8/11/2000, n. 328 (…)”. D.C.R. n. 462/2002: “Piano socio-sanitario regionale 2002-2004”.Circolare n. 7/2002: “Linee guida esplicative della DGR 11/11/2001, n. VII/7069”.
Marche D.C.R. n. 306/2000: “Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000-2002”.D.G.R. n. 1968/2002: “Approvazione linee guida per la predisposizione e l’approvazione dei piani di zona 2003”.
Piemonte L.R. n. 1/2004: “Norme per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali e riordino della legislazione di riferimento”.
Puglia L.R. n. 13/2002: “Individuazione degli ambiti territoriali e disciplina per la gestione associata dei servizi socio-assistenziali”.L.R. n. 17/2003: “Sistema integrato di interventi e servizi sociali in Puglia”.
Sicilia D.P. 4/11/2002: “Linee guida per l’attuazione del piano socio-sanitario della regione siciliana”.
Toscana D.C.R. n. 122/2002: “Piano integrato sociale regionale 2002-2004”.D.G.R. n. 961/2002: “Piano zonale di assistenza sociale, art. 11 L.R. 72/97 – Approvazione indirizzi operativi e strumenti per la redazione del Piano di zona 2002-2004”.
Trento D.G.P. n. 581/2002: “Piano sociale e assistenziale per la provincia di Trento 2002-2003: linee guida e misure attuative”.
Umbria D.C.R. n. 759/1999: “Piano sociale regionale 2000-2002”.D.G.R. n. 248/2002: “Atto di indirizzo ai comuni per la programmazione sociale condivisa”.
Valle d’Aosta L.R. n. 18/2001: “Approvazione del piano socio-sanitario regionale per il triennio 2002-2004”.
Veneto D.G.R. 775/2001: “Termine presentazione al 30/6/2002 dei Piani di zona”.Molise, Sardegna non ci sono indicazioni approvate sui piani di zona
utile per esprimere meglio e più sinteticamente alcuni concetti. Gli anglosassoni, infatti, utilizzano
il termine government per designare i livelli di governo gerarchicamente ordinati, che muovono da
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Franco Pesaresi
un principio di autorità nella formazione delle decisioni. A questa forma di esercizio del potere
contrappongono invece la governance, che è un sistema di esercizio del governo in cui le decisioni
sono il frutto condiviso di processi di consultazione e di concertazione; un esercizio di governo
che per raggiungere i suoi obiettivi non ricorre all’autorità e all’applicazione di sanzioni ma al
coordinamento e al coinvolgimento dei vari enti e soggetti per il raggiungimento del fine proposto.
La governance nei sistemi di welfare significa sostanzialmente applicare una metodologia negoziale
finalizzata ad un processo condiviso di costruzione collettiva delle politiche sociali.
Il sistema di governance prevede necessariamente:
un organo politico di governo del settore;
un territorio di riferimento;
un supporto tecnico ed esecutivo;
la definizione delle modalità di gestione dei servizi;
la definizione dei percorsi e dei metodi concertativi e collaborativi con i vari enti pubblici e privati
al fine della definizione e della gestione del piano di zona o di parti di esso.
2.3. Il governo politico del Piano di zona
Quasi tutte le regioni italiane hanno identificato l’organo di governo politico del piano di zona
nel Comitato dei sindaci di distretto (o Assemblea dei sindaci in Lombardia, o Conferenza di zona
in Liguria) o nella Conferenza dei sindaci, laddove l’ambito sociale coincide con la ASL. Esso è
dovunque composto dai sindaci dei comuni dell’ambito territoriale preventivamente identificato
per la realizzazione e la gestione del piano sociale di zona. In Liguria, ai sindaci si aggiunge anche
il rappresentante politico dell’ente gestore dell’ambito sociale mentre in Sicilia si aggiunge il
direttore del distretto sanitario o il direttore generale della ASL.
Le funzioni dei Comitati dei Sindaci sono sostanzialmente simili in tutte le regioni; ad essi spetta
l’esercizio della funzione di governo territoriale nel settore sociale e socio-sanitario con
l’approvazione dei Piani sociali di zona e dei programmi delle attività territoriali di distretto (PAT).
In genere, il comitato dei Sindaci è il soggetto politico di riferimento ed è l’organo deputato a:
1. definire le modalità istituzionali e le forme di organizzazione gestionali più adatte alla
organizzazione dell’ambito territoriale e della rete dei servizi sociali;
2. nominare il suo presidente ed individuare l’ente locale capofila;
3. nominare gli organismi tecnici (ufficio di piano, coordinatore, ecc.) di supporto e di esecuzione;
4. definire le forme di collaborazione fra i comuni e l’azienda sanitaria di riferimento;
5. approvare il piano di zona.
12
Franco Pesaresi
I comitati dei sindaci, data la coincidenza geografica con i distretti sanitari che si realizza in molte
regioni, possono esercitare anche le funzioni di comitato dei sindaci di distretto sanitario,
assumendo così le funzioni programmatorie per l’intervento sociale, socio-sanitario e sanitario con
l’elaborazione dei piani di zona (pdz) e l’approvazione del piano delle attività territoriali (PAT).
Alcune differenze si registrano qua e là, in Italia. Per esempio, nella provincia autonoma di Bolzano
l’organo politico di governo è identificato negli organismi politici delle 7 comunità comprensoriali
in cui è divisa la provincia mentre la Campania ha voluto invece identificare un percorso
parzialmente diverso dalle altre regioni identificando un nuovo organismo politico. Per la
definizione del piano di zona, i sindaci istituiscono un coordinamento istituzionale promosso dal
comune capofila e costituito dai sindaci dei comuni, dal presidente della provincia, della comunità
montana ove esistente e dal direttore generale della ASL di riferimento.
In Umbria invece il soggetto responsabile dei processi pianificatori locali è affidato al “Tavolo degli
assessori” che è composto dagli assessori ai servizi sociali dei comuni dell’ambito. Il “Tavolo degli
assessori” di ambito è, in sostanza, l’organismo di coordinamento politico-istituzionale in materia di
programmazione sociale di territorio e quindi svolge le funzioni che altrove sono affidate ai
Comitati (o conferenze) dei Sindaci. Qualcosa di simile è avvenuto anche in Emilia Romagna dove
il coordinamento politico a livello di ambito zonale è stato affidato agli assessori ai servizi sociali.
Laddove sono presenti sia la Conferenza dei Sindaci che il Comitato dei Sindaci, in genere, al primo
viene assegnato il compito formale di definire le macro linee dei Piani di zona che i singoli
Comitati poi svilupperanno.
2.4. Il ruolo della Provincia
Le regioni italiane che hanno legiferato in materia, in genere, hanno assegnato alle Province
funzioni di concorso alla programmazione regionale o di zona e di coordinamento degli interventi
territoriali, oltre che di formazione professionale e di raccolta dati per l’elaborazione del sistema
informativo. In qualche caso, come in Liguria e in Emilia Romagna, le province forniscono anche
assistenza tecnica ai comuni. Queste tendenze sembrano sostanzialmente in linea con le competenze
previste dall’art. 7 della L. 328/00.
Per svolgere queste funzioni la regione Sicilia ha previsto un organismo tecnico provinciale
denominato segreteria tecnica che opera a supporto delle Conferenze dei Sindaci i cui compiti non
sono ben definiti e la cui composizione appare egemonizzata da rappresentanti nominati dalla
regione. Anche in Emilia Romagna, le Province hanno, in genere, attivato un “gruppo tecnico
territoriale”, a supporto dell’attività provinciale (presieduto dal dirigente provinciale e composto da
13
Franco Pesaresi
referenti tecnici dei diversi ambiti, da un rappresentante ASL e da eventuali altri attori come i
sindacati, il privato sociale, ecc.).
Le prime esperienze di questi ultimi tre anni segnalano soprattutto le esperienze dell’Emilia
Romagna e della Toscana dove gli orientamenti regionali hanno messo in condizione le province di
svolgere un ruolo significativo nel processo pianificatorio. In questa ultima regione, in particolare,
le province sono state chiamate a firmare gli accordi di programma in 15 casi, poco meno della
metà degli accordi stipulati. In Toscana, le province hanno svolto un ruolo importante di supporto
delle zone sociosanitarie e delle rispettive segreterie tecniche di zona nelle fasi di programmazione
e di stesura dei Piani sociali di zona, in particolare per la redazione delle Relazioni sociali (analisi
dei bisogni e della domanda) che accompagnano i Piani di zona.
2.5. Gli ambiti territoriali
In applicazione della L. 328/00, molte regioni hanno provveduto a ripartire il territorio regionale in
ambiti territoriali/zone per la gestione dei servizi sociali. Tali ambiti sono quasi sempre
intercomunali con eccezione di alcune città medio-grandi dove gli ambiti sono unicomunali
(Ancona, Modena, ecc.) o, più raramente, più ambiti per una sola grande città (Roma, Genova).
Per favorire la programmazione e l’integrazione socio-sanitaria e per evitare il proliferare di
organismi, la maggior parte delle regioni ha previsto degli ambiti territoriali che coincidono con i
distretti sanitari o loro multipli. Nel Molise invece i distretti sociali possono essere dei sotto-
multipli dei distretti sanitari.
La regione Campania è tra le poche che ha esplicitato i criteri che hanno portato alla identificazione
degli ambiti territoriali. Le aggregazioni territoriali sono state stabilite con il fine di assicurare la
piena funzionalità operativa e le caratteristiche il più possibile omogenee e rispondenti ai seguenti
indicatori: a) geo-oro-morfologici; b) affinità di bisogni; c) possibilità di utilizzo di risorse e servizi
territoriali comuni; d) efficienza del sistema dei trasporti; e) accesso facilitato ai servizi; f) pregresse
esperienze progettuali integrate.
Le dimensioni medie degli ambiti sono molto diverse da una regione all’altra; si passa dai 128.600
abitanti del Lazio ai 30.200 della Valle d’Aosta mentre la media italiana è di 85.600 abitanti per
ambito territoriale/zona (Cfr. Tab. 3). Le regioni più grandi hanno identificato degli ambiti con una
popolazione più ampia mentre quelle più piccole hanno identificato degli ambiti territoriali
mediamente più piccoli. Colpisce infine la tendenza ad identificare degli ambiti sociali in qualche
caso multipli di quelli sanitari che potrebbe costituire una anticipazione di possibili aggiustamenti
futuri della distrettualizzazione sanitaria.
14
Franco Pesaresi
Tab. 3 – Gli ambiti territoriali in alcune regioni italiane.
regioni popolazioneal 1/1/2003
numero distretti sanitari
2003
numero zone/ambiti
sociali
popolazione media per
ambito socialeLazio 5.145.805 51 40 128.600
Campania 5.725.098 113 51 112.300
Toscana 3.516.296 34 34 103.400
Emilia
Romagna
4.030.220 40 42 96.000
Sicilia 4.972.124 62 55 90.400
Lombardia 9.108.645 104 104 87.600
Liguria 1.572.197 20 18 87.300
Puglia 4.023.957 48 48 83.800
Veneto 4.577.408 60 60 76.300
Umbria 834.210 12 12 69.500
Bolzano 467.338 20 7* 66.700
Friuli-V. Giulia 1.191.588 20 19 62.700
Marche 1.484.601 36 24 61.900
Basilicata 596.821 10 15 39.800
Abruzzo 1.273.284 42 35 36.400
Valle d’Aosta 120.909 4 4 30.200
Media 48.640.501 676 568 85.600note:non è stata inserita la Provincia aut. di Trento che non ha ripartito il proprio territorio in ambiti ma che da tempo aggrega i propri comuni in 11
comprensori. * comunità comprensoriali. Fonte: bibliografia.
2.6. Il coordinatore di ambito/promotore sociale
Alcune regioni italiane, per promuovere il processo di pianificazione sociale, hanno previsto delle
nuove figure, con nomi diversi, ma con funzioni in buona parte assimilabili.
La regione Marche e l’Umbria sono le Regioni che più di altre hanno sviluppato e caratterizzato
questa nuova figura sostenendone in modo significativo l’implementazione nel sistema.
Le norme delle Marche hanno infatti previsto la nomina di un coordinatore delle Rete dei servizi
dell’ambito territoriale (coordinatore di ambito), scelto all’interno di professionalità sociali, al fine
di superare le difficoltà di progettazione del piano sociale di zona e della sua realizzazione. Il
coordinatore, inteso come strumento tecnico a disposizione dei comuni dell’ambito territoriale, si
avvale di una struttura tecnica ed amministrativa snella ed ha la funzione di:
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Franco Pesaresi
curare, in collaborazione con l’ufficio di piano e con i responsabili di distretto, la redazione
della proposta del piano di zona e del bilancio sociale in base alle linee espresse dai comitati dei
sindaci;
svolgere compiti di coordinamento del processo di costruzione del piano attivando rapporti,
relazioni e attività di concertazione;
svolgere funzioni di monitoraggio sullo stato di attuazione del piano di zona segnalando al
comitato dei sindaci eventuali difficoltà in ordine agli obiettivi definiti nel piano;
supporta il comitato dei sindaci nella organizzazione e nel coordinamento degli uffici di
promozione sociale.
Molto simile è l’esperienza dell’Umbria che ha individuato la figura del Promotore sociale quale
referente dei comuni per le funzioni di coordinamento della programmazione sociale del territorio.
Le sue funzioni sono sostanzialmente le stesse indicate in precedenza per i “coordinatori di
ambito” delle Marche.
In Liguria è stata prevista la figura dell’esperto sociale con funzioni di coordinamento della materia
sociale all’interno della Conferenza dei Sindaci e per curare i rapporti con la dirigenza della ASL
per i servizi integrati.
Si differenzia invece la regione Toscana che, secondo la normativa, sembra aver previsto in ogni
zona due diverse figure individuate dalla conferenza dei sindaci: un coordinatore delle attività della
segreteria tecnica ed un responsabile unico dell’attuazione dei livelli essenziali di assistenza che
sembrano differenziarsi poco se non per le diverse fasi del loro intervento (Cfr. Tab. 4).
Tab. 4 – I costruttori dei Piani di zona
Regione denominazione figura professionale funzioniMarche Coordinatore delle rete dei servizi
dell’ambito territorialecura la redazione del pdz, coordina il processo di costruzione del pdz, supporta il comitato dei sindaci.
Umbria Promotore sociale referente dei comuni dell’ambito per le funzioni di coordinamento della programmazione sociale.
Liguria Esperto sociale coordinamento della materia sociale all’interno della Conferenza dei Sindaci e cura i rapporti con la dirigenza della ASL per i servizi integrati.
Toscana responsabile unico dell’attuazione dei livelli essenziali di assistenza
responsabile dell’organizzazione dei servizi determinati in sede di pdz e della erogazione delle prestazioni appropriate ai cittadini.
coordinatore delle attività della segreteria tecnica
Mantiene contatti con gli enti e le associazioni; partecipa attivamente alla stesura della programmazione di zona; coordina la realizzazione delle azioni in corso e il loro monitoraggio; rappresenta la segreteria tecnica nella Conf. dei sindaci. Può essere di provenienza ASL o comunale.
Fonte: bibliografia.
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Franco Pesaresi
Il percorso della pianificazione sociale degli ambiti territoriali è complesso e faticoso e va
supportato adeguatamente. Solo chi investirà in questo processo riuscirà ad ottenere risultati
significativi in tempi accettabili. L’innovazione relativa all’introduzione di queste nuove figure
probabilmente garantirà alle regioni che le hanno previste di poter marciare ad un ritmo più elevato
verso le approvazioni dei Piani di zona e la costruzione della rete dei servizi sociali ed integrati nei
territori.
2.7. L’ufficio di piano
La maggioranza delle regioni ha previsto la costituzione e il funzionamento di un organismo tecnico
rappresentativo di tutti i comuni dell’ambito territoriale che funzioni da supporto tecnico del
Comitato dei sindaci (Cfr. Tab. 5). Molte regioni – precisamente le Marche, l’Umbria, l’Abruzzo,
la Campania, la Lombardia, la Basilicata, la Sicilia e il Lazio - hanno chiamato tale organismo
“Ufficio di piano” o “Gruppo di piano” o “struttura del piano”.
Nelle Marche l’ufficio di piano, attraverso la costante e stabile collaborazione con il coordinatore di
ambito, garantisce su tutto il territorio dell’ambito una programmazione condivisa ed una
regolamentazione omogenea dei servizi sociali. Insieme al coordinatore di ambito, cura la redazione
del piano di zona e del bilancio sociale in base alle indicazioni del Comitato dei sindaci.
Dell’ufficio di piano fanno parte almeno i responsabili dei servizi sociali dei comuni facenti parte
dell’ambito territoriale. Questo significa che possono essere chiamati a farne parte anche altri
soggetti. Il coordinatore di ambito può prevedere un’articolazione in sezioni operative dell’ufficio
di piano in riferimento alle aree di intervento.
Più precisa, per quel che riguarda le competenze, è la regione Umbria che ha affidato all’Ufficio di
piano le funzioni relative:
alla cura della stesura e dell’aggiornamento del Piano di zona;
alla diffusione delle informazioni sulle iniziative e sulle modalità di partecipazione e
realizzazione dei progetti;
al supporto tecnico e metodologico per la realizzazione dei piani di intervento territoriali;
alla predisposizione di strumenti di monitoraggio, verifica e valutazione delle singole azioni
progettuali, dei servizi e degli interventi;
al coordinamento degli Uffici della cittadinanza.
La Campania si colloca sulla stessa linea delineando le competenze dell’Ufficio di piano con un
taglio maggiormente rivolto verso il fronte amministrativo-burocratico (predisposizione atti per
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Franco Pesaresi
l’organizzazione dei servizi, atti finanziari, predisposizione degli articolati dei protocolli di intesa,
raccolta delle informazioni e dei dati, predisposizione rendicontazione, ecc.).
Anche l’Abruzzo ha previsto un organismo di questo tipo che si chiama “Gruppo di Piano” ma la
differenza vera rispetto a quelli visti sinora è che in esso viene prevista la partecipazione dei
rappresentanti politici e della ASL.
La Lombardia è la più scarna rinviando all’accordo di programma la composizione definendo
l’Ufficio del piano come un organismo tecnico che, in raccordo con l’assemblea dei sindaci, opera
per la programmazione e l’attuazione del piano di zona.
Altre due regioni – la Liguria e la Toscana – hanno chiamato l’organismo tecnico, “segreteria
tecnica”. In particolare la Toscana ha dedicato particolare attenzione a questo organismo
qualificando la Segreteria tecnica come una struttura tecnico-organizzativa di staff, formalmente
costituita dalla articolazione zonale della Conferenza dei sindaci con riferimento ai settori socio-
assistenziale, socio-sanitario e socio-educativo. Essa opera nell’ambito della progettazione sociale e
contribuisce a definire e gestire strumenti propositivi, progettuali, valutativi, di monitoraggio in
attuazione delle scelte di livello strategico e politico. In Toscana esse funzionano da un paio di anni
per cui è già stato possibile osservarle per definirne i comportamenti. Una ricerca della regione ha
così potuto verificare tre diversi modelli operativi delle segreterie tecniche:
1) il modello esecutivo che si occupa della gestione del processo di programmazione e della
valutazione dei bisogni del territorio;
Tab. 5 – L’ufficio di piano e gli altri organismi tecnici
Regione Denominazione Composizione FunzioneMarche Ufficio di piano almeno i responsabili dei servizi
sociali dei comuni facenti parte dell’ambito.
cura la redazione del piano di zona e del bilancio sociale in base alle indicazioni del comitato dei sindaci.
Campania Ufficio di piano è costituito una persona per comune (da 5 a 15) con specifiche competenze sociali. Deve essere presente almeno un esperto di progettazione sociale, uno di contabilità degli enti locali ed uno di questioni legali.
predisporre gli atti per l’organizzazione dei servizi; predisporre l’articolato dei protocolli di intesa; organizzare la raccolta delle informazioni e dei dati.
Umbria Ufficio di piano dirigenti dei servizi sociali, o funzionari incaricati, dei comuni che appartengono all’ambito territoriale.
Struttura tecnica di supporto al Piano di zona. Cura la stesura, l’aggiornamento e il controllo dei Piani di zona.
Lombardia Ufficio del piano
stabilite all’interno dell’accordo di programma.
organismo tecnico che opera in raccordo con l’organo politico per la programmazione e l’attuazione del piano di zona.
Abruzzo Gruppo di piano rappresentanti politici, tecnici, delle istituzioni e della comunità locale
stesura del documento del Piano di zona.
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Franco Pesaresi
oltre ad almeno un rappresentante della ASL.
Basilicata Gruppo di piano politici, tecnici e rappresentanti dei soggetti istituzionali e della solidarietà sociale.
cabina di regia e strumento operativo del programmatore locale.
Sicilia Gruppo piano almeno un operatore sociale per ogni comune, un rappresentante del distretto sanitario, 3 rappresentanti del terzo settore, rappresentanti di altri enti (scuole, Tribunale Minori ecc.), un referente territoriale della Cabina di regia regionale
redige il piano di zona ed è preposto alla gestione dello stesso. Predispone i protocolli di intesa, la raccolta delle informazioni e la relazione annuale sullo stato di attuazione del pdz.
Lazio Struttura del Piano
non definita struttura di coordinamento e gestione che esercita le funzioni relative alla comunicazione, relazione con altri soggetti, raccolta ed elaborazione dati, amministrazione, gestione finanziaria, gestione e valutazione progetti.
Toscana Segreteria tecnica
indicativamente da 3 a 5 membri permanenti (coordinatore sociale del distretto ASL, coordinatore della segreteria tecnica, almeno un referente dei comuni) più apporti professionali secondo le necessità contingenti. Partecipa anche l’osservatorio provinciale e il coordinatore sociale della ASL.
opera nell’ambito della progettazione sociale e contribuisce a definire e gestire strumenti propositivi, progettuali, valutativi, di monitoraggio in attuazione delle scelte di livello strategico e politico.
Liguria Segreteria tecnica
un coordinatore amministrativo e un esperto in materia sanitaria messi a disposizione dalla ASL ed un esperto in materia sociale comunale.
supporta la conferenza dei sindaci provvede alla programmazione sociale di zona e al raccordo con i programmi delle attività territoriali socio-sanitarie.
Emilia Romagna
Tavolo tecnico(nucleo operat. ufficio di Piano)
definita a livello locale dal coordinamento politico.
funzioni di regia operativa del processo di elaborazione del Piano, di istruttoria tecnica e di supporto decisionale al coordinamento politico di distretto.
Veneto Tavolo tecnico rappresentanti dei comuni, della ASL e del terzo settore.
fornire collaborazione tecnica per la stesura dei Piani, fornire gli elementi per la scelta degli indirizzi e delle priorità, monitorare i progetti.
Fonte: bibliografia
2) il modello partecipativo che punta ad una maggiore istituzionalizzazione dei momenti di
confronto attivo con cittadinanza e terzo settore;
3) il modello gestionale orientato maggiormente sul versante operativo e gestionale che invece
tende a seguire i progetti elaborati nei piani durante l’intero corso del loro svolgimento.
In Veneto e in Emilia Romagna infine tale organismo viene chiamato “tavolo tecnico”; in
quest’ultima regione ad esso sono assegnate le funzioni di regia operativa del processo di
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Franco Pesaresi
elaborazione del Piano, di coordinamento operativo dei diversi attori in campo oltre ché dei compiti
di istruttoria tecnica e di supporto decisionale al coordinamento politico di distretto (Cfr. Tab. 5).
Naturalmente, tutte le strutture tecniche prevedono gruppi di lavoro settoriali o ristretti per
mantenere operatività ad organismi, in qualche caso, abbastanza ampi.
In conclusione possiamo dire che la maggior parte delle regioni ha previsto un organismo tecnico
(ufficio di piano, segreteria tecnica, ecc.) di supporto al comitato dei sindaci con denominazioni
diverse ma funzioni sostanzialmente assimilabili che ha il compito di predisporre il piano di zona e
di avviarne la gestione secondo le linee del Comitato stesso. Tale percorso appare apprezzabile ma
anche obbligato per garantire il coinvolgimento di tutti gli enti locali.
Da questo punto di vista, appare migliore la composizione di quegli organismi che, come le Marche,
l’Umbria e la Campania, vedono una adeguata rappresentanza dei comuni appartenenti all’ambito
territoriale. Meno azzeccata appare la composizione del “Gruppo di piano” dell’Abruzzo e della
Basilicata che vede la partecipazione anche di politici la cui sede più appropriata è invece quella
del Comitato dei Sindaci/conferenza dei sindaci.
2.8. Le forme di gestione dei servizi sociali
Il Piano sociale di zona viene adottato di norma con un accordo di programma (art. 34 D. Lgs.
267/2000) che viene sottoscritto innanzitutto dai comuni dell’ambito territoriale e dall’azienda
sanitaria locale, per assicurare l’adeguato coordinamento delle risorse umane e finanziarie. Il
soggetto dotato di potere di iniziativa per la conclusione dell’accordo è identificato nel sindaco del
comune capofila.
Per quanto riguarda i soggetti non istituzionali, e in particolare i soggetti del terzo settore, è
opportuno rammentare che loro adesione all’accordo di programma, in base alla legge, non ha
alcuna rilevanza in ordine al consenso finale sull’accordo da raggiungere. Per coinvolgere e favorire
l’apporto di tutti i soggetti attivi nella progettazione ed in particolare quelli del terzo settore è utile
aggiungere all’accordo di programma anche la sottoscrizione di un protocollo di intesa ad essi
dedicato.
Attraverso l’accordo di programma i comuni dell’ambito territoriale si dotano della configurazione
necessaria e sufficiente per la gestione delle funzioni di loro competenza nell’attuazione del piano
di zona ed eventualmente possono scegliere una delle diverse forme di gestione associata previste
dalla legislazione vigente per la gestione del Piano di zona. Infatti, superata la fase della
pianificazione dei servizi si pone con forza il problema di chi può gestire una rete di servizi sociali
intercomunali. Il problema è che il Comitato dei Sindaci non avendo uno status giuridico
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Franco Pesaresi
riconosciuto ma solo politico non ha alcuna competenza gestionale e quindi non può gestire
direttamente il piano sociale di zona. Per questo occorre pensare alla struttura che può affrontare la
fase gestionale del Piano sociale di zona.
La maggior parte delle regioni (Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria,
Lombardia, Toscana, Umbria) prevede genericamente una gestione associata intercomunale dei
servizi sociali secondo le modalità del Testo unico degli enti locali (D. Lgs 267/00 - TUEL) ma
lasciando ai comuni la possibilità di scegliere quella più adatta. Da questo punto di vista le modalità
possono essere assai numerose. La Toscana ne ha contate ben 21 a cui si aggiungono le nuove
“Società della Salute”. Le più usuali sono comunque le seguenti:
la convenzione (fra enti locali al fine di svolgere in modo coordinato funzioni e servizi
determinati);
il consorzio (fra enti locali per la gestione associata di uno o più servizi e l’esercizio associato di
funzioni) ;
l’unione di comuni (sono enti locali costituiti da due o più comuni di norma contermini allo
scopo di esercitare congiuntamente una pluralità di funzioni di loro competenza);
l’accordo di programma (accordo per la definizione di interventi che richiedono per la loro
completa realizzazione dell’azione integrata e coordinata di comuni ed altri enti pubblici);
l’esercizio associato di funzioni e servizi (negli ambiti e nei settori stabiliti dalla regione
soprattutto per i comuni di piccole dimensioni).
Una volta stabilita la gestione associata dei servizi sociali, gli enti locali devono stabilire le forme
di gestione da utilizzare e cioè a quale ente o strumento affidare la gestione. Anche in questo caso
le varie regioni hanno stabilito che spetta agli enti locali dell’ambito territoriale individuare “le
modalità organizzative dei servizi” esprimendo in qualche caso delle semplici preferenze.
Le preferenze della regione Campania e dell’Abruzzo vanno verso la forma giuridica dell’azienda
consortile prevista e disciplinata nel TUEL. Ma non è detto che non possano essere scelte altre
forme di gestione dei servizi sociali. La regione Lazio, per esempio, afferma che andrebbe invece
preferita la società per azioni per l’esercizio dei servizi socio-assistenziali dei comuni del distretto,
a prevalente capitale pubblico locale, con la partecipazione minoritaria delle organizzazioni non
lucrative di utilità sociale, delle cooperative sociali, delle istituzioni pubbliche di beneficenza ed
assistenza, delle fondazioni bancarie ecc..
Secondo la Puglia, in ogni ambito, i comuni di minore dimensione demografica attribuiscono
l’esercizio delle funzioni socio-assistenziali a una delle aziende pubbliche di servizi alla persona di
cui al D. Lgs 4/5/2001, n. 207 presenti nel territorio o, in mancanza, a una istituzione dotata di
autonomia gestionale ai sensi dell’art. 114 del D. Lgs 267/00. Gli altri comuni più grandi invece
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Franco Pesaresi
determinano autonomamente le forme di gestione tenendo conto prioritariamente delle aziende
pubbliche di servizi alla persona (D. Lgs 267/2000) presenti. In questo modo per ogni ambito
territoriale potremmo avere più soggetti gestionali per l’attuazione dello stesso Piano sociale di
zona con qualche presumibile problema sul fronte dell’unitarietà, dell’integrazione e delle modalità
di accesso ai servizi sociali di uno stesso ambito.
Anche per la Toscana, spetta agli enti locali stabilire la modalità di gestione più adatta. In alcuni
documenti non vincolanti la regione suggerisce che siano le realtà più complesse come l’area
fiorentina a sperimentare la gestione dei piani di zona con le Società della salute per l’esperienza e i
processi in atto. Laddove sono invece prevalenti i comuni medio-piccoli invece, “potrebbe risultare
opportuno programmare una forma associativa meno complessa ed un processo che veda – in una
fase preliminare – le unioni dei comuni presenti nel territorio, e successivamente convenzioni e
protocolli d’intesa fra questa ultima ed altre realtà interessate all’associazione (privato, privato
sociale, terzo settore, volontariato, IPAB, ASL, Università, ecc.)”.
Per la gestione dei i servizi sociali la legge prevede esplicitamente solo la forma dell’Istituzione
(art. 114 D. Lgs. 267/00) ma la dottrina giuridica riconosce che possono essere adottate anche
altre forme come quella del consorzio e delle società (Srl e Spa) a prevalente capitale pubblico. Non
a caso si sono già sviluppate in Italia numerose esperienze di consorzi intercomunali per la gestione
dei servizi sociali ed in qualche più raro caso anche altre forme come le aziende speciali, le società
di capitale e le fondazioni di partecipazione.
Come si vede, ci sono indicazioni assai diverse che provengono dalle regioni, ci sono esperienze
locali che hanno sperimentato tutte le varie forme di gestione. La situazione è tale che permangono
ampie possibilità di scelta per gli enti locali ma quali sono le caratteristiche delle varie modalità
gestionali? Per quale motivo scegliere l’una o l’altra? Abbiamo provato a sintetizzare nella Tab. 6
le caratteristiche delle varie forme di gestione, escludendo però la gestione diretta comunale (che è
ampiamente conosciuta) e che può ricorrere, attraverso convenzione o accordo di programma,
quando uno o più comuni affidano la gestione di taluni servizi sociali ad un altro comune (spesso il
capofila dell’ambito territoriale).
La forma gestionale più adatta deve gestire dei servizi sociali per conto di più comuni mantenendo
però in capo agli stessi comuni un potere di indirizzo politico e di controllo diretto ed importante.
Da questo punto di vista l’istituzione e l’azienda speciale, almeno in questa fase, non costituiscono
le forme gestionali più adatte perché non permettono la proprietà dell’ente gestore dei servizi da
parte dei singoli comuni. Nel caso dell’istituzione la norma, addirittura, non permette la
partecipazione di più comuni. Rimangono, per esclusione solo i consorzi intercomunali, le società
di capitali e le fondazioni di partecipazione.
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Franco Pesaresi
Tab. 6 – Comparazione delle caratteristiche delle diverse forme di gestione
Istituzione Azienda speciale
Consorzio Srl Spa Fondazione di partecipazione
Natura giuridica
organismo strumentale dell’ente locale
ente strumentale dell’ente locale
ente strumentale di più enti locali
società di capitali
società di capitali
istituzione di carattere privato (art. 12 C.C.)
ordinamento diritto pubblico
diritto pubblico
diritto pubblico
diritto privato diritto privato diritto privato
Personalità giuridica
no si si si si si
autonomia gestionale gestionale, organizzativa, finanziaria
gestionale, organizzativa, finanziaria
gestionale, organizzativa, finanziaria
gestionale, organizzativa, finanziaria
gestionale, organizzativa, finanziaria
Gli organi Cdapresidentedirettore
Cdapresidentedirettore
assemblea consortileCdapresidentedirettore
assemblea dei sociCda(collegio revisori)
assemblea dei sociCdacollegio revisori
consiglio d’indirizzopresidenteconsiglio di gestionecollegio revisori
funzionamento statuto ente locale
statuto proprio
statuto proprio
statuto proprio
statuto proprio
statuto costitutivostatuto proprio
Capitale sociale
- - - 10.329,14 € 103.291,40 € (516.460 € se a prevalente capitale privato)
fondo di dotazione
Partecipazione dei soci
- - quote quote azioni quote
Possibilità per più comuni di essere proprietari
no no si si si si, soggetti fondatori o partecipanti istituzionali
Comproprietà della ASL
no no si si si si, soggetti fondatori o partecipanti istituzionali
Possibilità per il privato di essere socio
no no no si si si, soggetti fondatori o partecipanti
Fonte: nostra elaborazione con modificazioni su dati R. Montanelli, C. Parente “La scelta della forma di gestione per i servizi sociali: i quesiti strategici e le possibili soluzioni” in F. Longo “Servizi sociali: assetti istituzionali e forme di gestione”, EGEA (2000); ASSR (2003).Note: Cda= Consiglio di amministrazione.
Attualmente la forma gestionale di gran lunga più diffusa per la gestione intercomunale dei servizi
sociali è quella del consorzio intercomunale. La forma gestionale del consorzio o dell’azienda
consortile garantisce l’omogeneità di intervento sul territorio di riferimento, mantiene in capo ai
comuni il potere di indirizzo politico dell’ente (strumentale) ed è caratterizzata dall’ampliamento
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Franco Pesaresi
del bacino di utenza che consente di ottenere delle economie di scala non conseguibili a livello
comunale.
Naturalmente la forma di gestione ottimale e valida per ogni realtà non esiste. Ci sono necessità,
storie, caratteristiche particolari di cui occorre, localmente, tener conto. Ogni territorio con i tempi e
le modalità che riterrà più opportuni saprà trovare la strada condivisa che saprà meglio interpretare
la storia e le esigenze di quella comunità.
2.9. Conclusioni
In 10 regioni italiane (Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche,
Toscana, Umbria, Veneto) o in parte di esse si sono realizzati i piani sociali di zona. Un risultato
che è stato raggiunto con la costruzione di un sistema di governance dei Piani di zona che ha visto
definire i percorsi e i metodi concertativi e collaborativi tra i vari soggetti pubblici e privati al fine
di realizzare e condividere una rete dei servizi assistenziali. Si sono così sviluppate, spesso su
esplicita indicazione delle regioni, una rete di relazioni e collaborazioni fra le istituzioni pubbliche
coinvolte (regione, province, comuni), le funzioni e l’attività degli organi politici intercomunali,
tavoli di concertazione con il terzo settore e negoziazioni con le parti sociali per approntare piani di
zona partecipati e condivisi. In questa fase, le regioni che si sono attivate, hanno sostanzialmente
assunto come punto di riferimento per il sistema di governo dei Piani di zona, la L. 328/00
differenziandosi invece su una serie di aspetti attuativi come le dimensioni degli ambiti territoriali,
la previsione o meno della figura del “Promotore sociale/coordinatore di ambito” e la terminologia
da utilizzare per identificare l’organismo tecnico di supporto al Comitato dei Sindaci. Anche sulle
forme di gestione le regioni, al di là di qualche indicazione fantasiosa ma non vincolante, in genere
si rimettono alla autonomia delle varie zone.
Sarà il tempo a dirci quali saranno le varianti più feconde per i processi in atto, oggi ci preme
soprattutto richiamare l’attenzione su una adeguata dimensione delle zone affinché le stesse possano
disporre di quella massa critica di risorse atta a poter far fronte agli adempimenti legati
all’approvazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali.
Più preoccupante appare, invece, il ritardo che contraddistingue diverse regioni, alcune delle quali
non hanno ancora avviato il processo pianificatorio del sociale (Cfr. Tab. 2).
Modesto, inoltre, il lavoro che si è fatto per l’integrazione socio-sanitaria e dunque per il rapporto
comuni/ASL, che solo pochissime regioni hanno affrontato in modo organico e che per ora si è
spesso risolto integrando un rappresentante della ASL o del distretto sanitario nei vari organismi
politici o tecnici.
24
Franco Pesaresi
Non si registrano, infine, differenze di approccio tra le regioni di centro-sinistra e di centro-destra,
almeno tra quelle che hanno avviato il percorso dei piani di zona; semmai si registra una diversa
velocità di manovra e forse di interesse (testimoniato dai vistosi ritardi registrati da alcune regioni).
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Franco Pesaresi
3. LA RIFORMA DEL WELFARE SOCIALE NELLE MARCHE
La regione Marche ha fondato il suo processo di riforma del welfare sociale sul Piano sociale
regionale 2000-2002 approvato pochi mesi prima della L. 328/2000 ma i cui contenuti riprende
ampiamente. Non è ancora chiaro se, a breve, verrà presentata o meno una organica legge regionale
di riforma del settore, in applicazione della L. 328/2000, ma questo comunque non ha interrotto un
processo di costruzione del nuovo sistema che sta procedendo con una serie di atti settoriali che
sostengono ed indirizzano i singoli interventi previsti nella legge quadro nazionale di riforma (Cfr,.
Tab. 7).
E’ il Piano sociale regionale a definire i percorsi e i contenuti del processo programmatorio sociale
che deve realizzarsi a livello di zone/ambiti con un approccio politico di tipo promozionale e
universalistico.
A seguito del Piano sociale regionale il territorio delle Marche è stato diviso in 24 ambiti territoriali
a cui sono affidati gli obiettivi relativi a:
dotare tutti i territori di una rete di servizi essenziali in modo tale da garantire pari opportunità
di accesso ai cittadini della regione;
creare le condizioni per l’integrazione di tutti i servizi (sociali, sanitari, scolastici,
occupazionali, ecc.) che contribuiscono a definire il sistema di welfare;
promuovere il quadro più congruo per la piena attuazione degli indirizzi della programmazione
nazionale e regionale;
favorire l’esercizio associato delle funzioni da parte dei comuni ed una gestione unitaria della
rete dei servizi sociali.
Gli ambiti territoriali devono coincidere con i distretti sanitari ma, mentre nel resto d’Italia i nuovi
“ambiti/zone sociali” si adeguavano alla preesistente rete dei distretti sanitari, in questo caso è
accaduto il contrario. Si sono stabiliti 24 ambiti territoriali per il sociale e nel contempo che la rete
distrettuale sanitaria, che contava 36 distretti, si sarebbe dovuta adeguare. L’adeguamento è
avvenuto a metà del 2004 per cui ora il territorio di riferimento degli ambiti sociali e dei distretti
sanitari coincidono perfettamente.
In ogni ambito territoriale la regione ha previsto una figura nuova, il “coordinatore della rete dei
servizi essenziali”, chiamato poi, più brevemente, “Coordinatore di ambito”. Si tratta di una sorta
di costruttore/promotore del nuovo sistema sociale che ha il compito di pianificare la rete dei servizi
da gestire in ambito intercomunale. Più precisamente il suo compito è quello di:
coordinare il lavoro di elaborazione e di stesura dei Piani sociali di zona;
26
Franco Pesaresi
supportare i processi di gestione delle risorse;
facilitare i processi di integrazione;
facilitare il rapporto tra le varie amministrazioni pubbliche per le attività che si rendessero
necessarie.
Tab.7 – Regione Marche. Gli atti per la riforma del sistema di interventi e servizi sociali.GLI ATTI ANNO DI APPROVAZIONE
Piano sociale regionale 2000-2002 2000istituzione di un sistema informativo dei servizi sociali 2000-2003linee guida per l’attuazione del piano sociale regionale 2001Riparto dei fondi destinati al cofinanziamento delle spese relative alla pianificazione e gestione della rete dei servizi sociali dei comuni associati in ambiti territoriali – anno 2001
2001
Istituzione degli ambiti territoriali 2002istituzione della Consulta regionale degli ambiti territoriali sociali
2002
approvazione delle linee guida per la predisposizione e l’approvazione dei piani di zona 2003
2002
Riparto del fondo unico per le politiche sociali 2002Disciplina in materia di autorizzazione e accreditamento delle strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale (L.R. 20/2002)
2002
Norme per il sistema integrato di servizi per l’infanzia, per lo sviluppo di politiche a favore degli adolescenti e di sostegno alla genitorialità e alla famiglia (L.R. 9/2003)
2003
Criteri per la valutazione dei coordinatori d’ambito 2003linee guida per la realizzazione degli Uffici di promozione sociale
2003
atto di indirizzo per regolamentare i rapporti fra enti locali e terzo settore
2003 (limitatamente ai rapporti con le
cooperative sociali)Definizione degli standard strutturali, organizzativi e di personale per le strutture residenziali e semiresidenziali (regolamento)
2004
Definizione degli standard strutturali, organizzativi e di personale per le strutture e i servizi per l’infanzia, per l’adolescenza e il per il sostegno alle funzioni genitoriali (regolamento)
2004
definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle prestazioni
bozza di lavoro
riordino delle IPAB bozza di lavorodefinizione dei requisiti di qualità per la gestione dei servizi e per l’erogazione delle prestazioni
Non adottato ma in parte contenuta nei regolamenti
attuativi della L.R. n. 20/2002 e L.R. n. 9/2003
disciplina delle procedure amministrative e delle modalità per la presentazione dei reclami da parte degli utenti delle prestazioni sociali
non adottato
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Franco Pesaresi
I coordinatori di ambito sono stati nominati dalle singole conferenze dei sindaci nel maggio del
2002 all’interno di un albo regionale a cui si accede con il possesso di determinati titoli di studio e
di esperienza nel lavoro sociale. Tutti insieme, i coordinatori di ambito, fanno parte della
conferenza permanente dei coordinatori di ambito territoriale coordinata dalla regione che svolge
funzioni di raccordo e supporto tra i coordinatori nel processo di costruzione dei piani di zona, del
bilancio sociale e di tutto quanto competa loro in ordine alla realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali.
Nel novembre 2002 la Giunta regionale delle Marche ha approvato le linee guida per la
predisposizione e l’approvazione dei Piani di zona stabilendo che, in questa fase di avvio del
sistema, il primo piano di zona assumesse come ambito temporale il solo anno 2003. Tra i mesi di
maggio e di giugno 2003 tutti i piani sociali di zona sono stati presentati e le varie realtà sono già
al lavoro per la presentazione del 2° piano sociale che avrà come riferimento temporale gli anni
2005-2007 e che dovrà essere approvato entro il prossimo gennaio 2005.
Il processo pianificatorio sociale nonostante fosse nuovo e complesso, se non altro per la necessità
di combinare le esigenze delle tante realtà comunali, è dunque partito con grande energia ed ha
prodotto significativi risultati in tempi relativamente brevi insieme ad entusiasmi ed inevitabili
diffidenze. La mossa decisiva, probabilmente, è stata quella relativa alla previsione del
coordinatore di ambito che in quasi tutte le zone ha saputo trascinare e coordinare i comuni su un
percorso nuovo. Al coordinatore di ambito è stato affiancato l’Ufficio di Piano composto dai
rappresentanti tecnici di tutti i comuni dell’ambito che hanno contribuito alla elaborazione del
piano e degli altri atti settoriali di progettazione dei servizi sociali. Superata la fase sperimentale
adesso si tratta di dare continuità e prospettiva all’organizzazione assistenziale con l’approvazione
dei piani sociali di zona 2005-2007 e nel contempo di porre e risolvere il problema di chi e come
gestire i servizi sociali delle zone intercomunali. Non c’è dubbio infatti che il sistema unitario di
pianificazione può essere gestito efficacemente ed unitariamente garantendo pari condizioni di
accesso a tutti i cittadini dell’ambito solo se il processo si evolve, come sta accadendo anche in
altre realtà, verso la creazione di un ente gestore unico per tutto la zona. Forse, questo sarà un
passaggio ancora più delicato dei precedenti perché ancor più del Piano di zona mette in
discussione l’autonomia e le consolidate certezze dei comuni partecipanti agli ambiti territoriali.
Ma è, a nostro avviso, un passaggio obbligato che potrà però essere sviluppato senza autoritarismi
regionali e con la necessaria gradualità. La soluzione migliore è quella di incentivare con risorse
aggiuntive regionali tale percorso.
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Franco Pesaresi
Il processo di modernizzazione e di adeguamento dei servizi sociali ha bisogno del supporto di un
sistema informativo che possa sostenere le funzioni di pianificazione e di controllo. A questo
proposito con una serie di atti adottati fra il 2000 e il 2003 si è avviata la realizzazione di un
sistema informativo dei servizi sociali che ancora non è a regime almeno per quel che riguarda la
capacità di trasferire periodicamente al territorio i dati raccolti. A questo proposito è stato istituito
l’osservatorio regionale per le politiche sociali che ha lo scopo di conoscere i bisogni del territorio
così da disporre dei dati e delle informazioni necessari alla costruzione del sistema. Il sistema si
sviluppa e si fonda sull’impegno delle Province che attivano, come necessaria articolazione
dell’osservatorio regionale, la rete degli osservatori provinciali per la rilevazione dei bisogni e dei
servizi.
Il fatto che sia partito e si stia sviluppando un processo di modernizzazione e di integrazione del
sistema non garantisce però di per sé un miglioramento dei servizi erogati. La necessità di
includere nel sistema un numero sempre maggiore di soggetti privati, così come di rivedere il
ruolo e le funzioni di tutti i soggetti, pubblici e privati, per realizzare un welfare universalistico,
basato sulla collaborazione ed il pluralismo degli attori, evidenziano la necessità di prestare, in
generale, un’attenzione particolare alla qualità nella produzione dei servizi, come pure alla capacità
da parte del pubblico di autorizzare, accreditare e monitorare periodicamente i produttori privati dei
servizi.
Su questo fronte la regione Marche ha recentemente sviluppato uno sforzo rilevante che ha portato
all’approvazione della L.R. 20/2002 sul sistema di autorizzazione e di accreditamento delle
strutture e dei servizi sociali a ciclo residenziale e semiresidenziale. Il lavoro è poi proseguito con
l’elaborazione e l’approvazione dei relativi standard minimi strutturali, organizzativi e di personale
relativi all’autorizzazione delle strutture sociali e socio-sanitarie per anziani, per minori, per
disabili e per altre categorie. Occorre sottolineare che, subito dopo la provincia autonoma di
Trento, la regione Marche è stata la prima regione italiana ad approvare tale atto.
Oltre a questo le Marche hanno approvato recentemente la nuova legge sui servizi all’infanzia e per
il sostegno della genitorialità (L. R. n. 9/2003) che prevede, anche in questo caso, un nuovo
regolamento attuativo, già approvato, per la definizione degli standard minimi delle strutture e dei
servizi per questo settore.
Questi strumenti sono basilari, anche se non esaustivi, per garantire omogeneità di trattamento e
qualità dei servizi in tutto il territorio regionale.
Ritardi invece si registrano nella definizione di altri aspetti, pur previsti dalla L. 328/2000 come la
definizione dei criteri per la determinazione del concorso da parte degli utenti al costo delle
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Franco Pesaresi
prestazioni, il riordino delle IPAB e la definizione delle procedure per la presentazione dei reclami
da parte degli utenti delle prestazioni sociali.
In conclusione, si può affermare che la Regione Marche ha messo in campo un grande impegno per
la riforma del sistema del welfare sociale nel rispetto dei principi e delle indicazioni contenute nella
legge di riforma n. 328/2000. Questo ha portato all’adozione di una serie importante di atti (Cfr.
Tab. 7) che hanno attivato tutti i comuni delle Marche che nello spazio di pochi mesi hanno tutti
realizzato – a livello di ogni ambito territoriale – il primo piano sociale di zona. Il risultato è
decisamente apprezzabile anche se saranno i prossimi mesi a dirci, in sede di realizzazione del
nuovo sistema, se la nuova organizzazione saprà esprimere un livello più elevato di efficacia ed
efficienza del sistema soprattutto con i necessari sviluppi sul fronte gestionale.
Rimangono ancora da affrontare o da perfezionare taluni aspetti il principale dei quali è,
probabilmente, la mancanza di una legge organica di recepimento non formale della L. 328/2000
che metta insieme in modo armonico tutti i tasselli del sistema molti dei quali già definiti ed
affronti le tematiche ancora irrisolte (IPAB, livelli essenziali, ecc.). Inoltre occorre definire i criteri
organizzativi e le quote di partecipazione per i servizi socio-sanitari confermando o modificando
quanto stabilito a questo proposito dal Decreto sui LEA.
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Franco Pesaresi
4. UNA BUONA PRATICA DELL’AMBITO SOCIALE DI
ANCONA: IL “RAPPORTO SOCIALE 2002”
CRONACA DI UNA ESPERIENZA
I comuni delle Marche hanno cominciato a lavorare per la costruzione dei primi piani sociali di
zona dal mese di maggio del 2002. Il percorso è stato definito da una serie di atti regionali relativi:
1. al Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali 2000/2002;
2. all’istituzione di 24 ambiti territoriali per la redazione e la gestione dei piani sociali di zona;
3. alle linee guida per la predisposizione e l’approvazione dei piani di zona 2003.
Nella definizione degli ambiti territoriali la regione Marche ha identificato il Comune di Ancona
come ambito unicomunale diversamente da tutti gli altri ambiti territoriali che vedono invece la
presenza di più comuni.
Il Comune di Ancona ha cominciato a lavorare per la costruzione del Piano di zona nell’aprile del
2002 decidendo di dividere il lavoro da realizzare in due parti strettamente connesse ma
temporalmente separate nella rispettiva costruzione. Una prima parte relativa alla costruzione del
profilo sociale della comunità che poi ha assunto il nome di “Rapporto sociale 2002” a cui è stato
affidato il compito di comprendere meglio i bisogni assistenziali della popolazione anconetana e di
valutare l’attività e la rispondenza dei servizi e delle prestazioni assistenziali alle necessità della
popolazione ed una seconda parte, da realizzare appena completata questa, relativa alla definizione
della rete dei servizi socio-assistenziali della città di Ancona e che assume la denominazione
convenzionale di Piano sociale della città di Ancona. In realtà le due parti una volta completate
verranno aggregate come parti inscindibili di un unico progetto sociale tenuto anche conto che il
”Rapporto sociale 2002” rappresenta lo strumento di analisi indispensabile per passare
coerentemente alla fase della pianificazione dei servizi sociali.
A cosa serve il Rapporto sociale? Diverse sono le funzioni che svolge:
offre un quadro conoscitivo delle caratteristiche della popolazione residente nel territorio, delle
sue problematiche e dell’articolazione dei servizi e delle risorse presenti;
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Franco Pesaresi
effettua o permette l’avvio della valutazione dell’esistente per analizzare criticamente la
capacità del sistema dei servizi pubblici e privati di rispondere ai bisogni della popolazione
residente;
sostiene l’attività degli amministratori pubblici preparando l’azione programmatoria e ponendo
le condizioni per la verifica degli esiti delle scelte politiche metodologiche ed organizzative del
sistema integrato locale dei servizi sociali;
favorisce la trasparenza e la comunicazione nell’ambito della comunità locale offrendo
informazioni ai diversi portatori di interessi del territorio.
Il primo e più difficile lavoro è stato quello del reperimento dei dati e di tutti gli elementi utili per
conoscere ed interpretare la realtà sociale; dati relativi all’attività dei servizi sociali comunali e dei
soggetti del terzo settore presenti nel territorio, relativi ad altri uffici comunali e ad altri enti
pubblici (Istat, Inps, ASL, IACP, ecc.). I dati si sono dovuti cercare direttamente dato che il sistema
informativo regionale e provinciale dei servizi sociali è appena avviato ma in qualche modo è stato
facilitato dalla presenza dell’Osservatorio comunale sulle politiche sociali da poco istituito nel
comune di Ancona. Non si può però non rilevare che alcuni dati sono giunti anche 5 mesi dopo la
richiesta. Il lavoro di ricerca, di selezione e di trattamento dei dati è stato comunque un passaggio
utile (oltre che faticoso) perché ha permesso di definire i flussi informativi significativi per il lavoro
dei servizi sociali che, adesso, si attiveranno costantemente.
Il rapporto è stato costruito in modo non casuale sia nella definizione dei settori da indagare sia
nella costruzione dei singoli capitoli che ha seguito un identico schema. I settori trattati sono stati
tutti quelli che hanno una stretta rilevanza ai fini sociali comprese quindi, oltre alle tradizionali aree
di intervento delle politiche sociali, anche le politiche abitative, la previdenza, le attività socio-
sanitarie e la presenza del terzo settore (Cfr. Tab.8). Conclude il Rapporto un “Dizionario sociale”
che può rappresentare un utile ausilio sia per la lettura del Rapporto stesso sia per il lavoro degli
operatori.
Ogni capitolo esamina un’area di intervento sociale e lo fa presentando innanzi tutto il quadro
normativo e statistico di riferimento ricercando una ”possibile” misurazione degli elementi che
determinano la domanda di servizi e prestazioni socio-assistenziali. Nella seconda parte di ogni
capitolo si presenta un’analisi dei servizi sociali pubblici e privati che operano nel territorio
comunale. Ogni capitolo si chiude con una valutazione di sintesi sugli elementi di forza e di criticità
dell’attività assistenziale realizzata; questi contenuti distinguono il lavoro svolto da ogni altro di
tipo propagandistico e valorizzano anche l’Amministrazione comunale che ha condiviso la volontà
di pubblicare una valutazione critica in positivo ma anche in negativo dell’attività svolta nel settore
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Franco Pesaresi
sociale. Da questa ultima parte si potrà prendere utile spunto per la successiva realizzazione del
Piano sociale di ambito.
Tab. 8 – I contenuti del “Rapporto sociale 2002” di Ancona
Capitolo Argomento
1 Quadro socio-demografico
2 Invalidità e pensioni sociali nella città di Ancona
3 I distretti sociali
4 Famiglia, prima infanzia e minori
5 Gli anziani
6 I disabili
7 Il disagio psichico
8 L’immigrazione
9 Il disagio sociale (povertà, donne maltrattate, assistenza
post-penitenziaria, dipendenze, nomadi)
10 Politiche abitative
11 Il personale dei servizi sociali ed educativi
12 La spesa e l’entrata nel settore socio-assistenziale
13 L’attività socio-sanitaria della ASL 7
14 Il terzo settore
Appendice Dizionario sociale
I contenuti di ogni singolo capitolo
a Quadro di riferimento
b Offerta e analisi dei servizi
c Potenzialità e criticità
L’altro elemento caratteristico e di valore è costituito dal fatto che il Rapporto è stato realizzato da
un qualificato gruppo di operatori dei servizi sociali comunali e precisamente dai componenti
dell’Ufficio di piano sociale. Anche questa è stata una scelta voluta sia per mettere a frutto
l’esperienza degli operatori sia per mettere in condizione gli operatori sociali di valutare il lavoro
svolto e per identificare i possibili sbocchi futuri. Un percorso di responsabilizzazione e di
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Franco Pesaresi
maturazione che adesso (non così quando cominciammo) viene vissuto con legittimo orgoglio dagli
operatori coinvolti.
Il percorso di analisi e di ricerca che ha portato al primo Rapporto sociale della città di Ancona non
è stato vissuto come un percorso solitario di un gruppo di operatori sociali sostenuti dalla propria
Amministrazione ma come un processo di confronto con la realtà circostante e con i vari soggetti
che in essa vi operano. Il rapporto è anche frutto di un intenso percorso partecipativo che ha visto la
realizzazione di ben 14 incontri con gli operatori sociali pubblici e privati, con le organizzazioni del
terzo settore e con le organizzazioni sindacali che hanno positivamente contaminato il lavoro.
Il quadro sociale che si delinea con il “Rapporto sociale 2002” non è facilmente sintetizzabile.
Emerge però con forza che Ancona è una città anziana e vitale. Quasi un quarto di tutta la
popolazione è anziana e questa quota è in costante crescita ma da un paio di anni sono in aumento
anche le nascite e questo denota i caratteri di una città dinamica che sa rinnovarsi. L’altro tratto
caratteristico, accentuato dalla presenza di un porto assai attivo con gli altri paesi dell’Adriatico e
del Mediterraneo, è la significativa presenza dell’immigrazione, un’immigrazione anche di
passaggio e non assestata che esprime un bisogno assistenziale più rilevante di quello che il
semplice dato sulla presenza degli stranieri potrebbe far presumere.
Sul fronte dei servizi assistenziali presenti nel territorio di Ancona, il Rapporto ha evidenziato la
presenza di una rilevante rete di servizi pubblici e del terzo settore che toccano tutti i settori di
intervento. Le dimensioni sono notevoli se pensiamo che nel 2001, solo per fare qualche esempio,
sono stati erogati 18.000 pasti a chi ne aveva bisogno, 10.400 anconetani hanno beneficiato di
pensioni sociali e di invalidità, 7.700 persone hanno abitato in case popolari, 3.600 anziani e 813
disabili sono stati assistiti al domicilio e negli altri luoghi di vita, 411 bambini hanno fruito degli
asili nido, 240 ragazzi hanno svolto attività nei centri ricreativi e sono state supportate
economicamente ben 228 famiglie. Il Comune di Ancona in tutto questo ha svolto un ruolo
insostituibile mettendo in campo un intervento notevolissimo il cui costo è stato di circa 19,5
miliardi di vecchie lire (visto che ci riferiamo al 2001) a fronte di entrate specifiche pari a circa 8
miliardi con un intervento a totale carico del comune di Ancona pari a circa 11,5 miliardi.
Naturalmente questi dati esprimono anche l’idea di una società in movimento, con un peso
crescente delle problematiche familiari, prima ancora che individuali e a cui occorre saper far fronte
con servizi flessibili ed adeguati che vanno continuamente verificati ed anche modificati affinché
possano essere efficaci e presenti.
Il Rapporto ci pone in modo nuovo le problematiche sociali finora dominate dalla contrapposizione
inclusione/esclusione dei cittadini per proporci anche il tema della vulnerabilità sociale che
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Franco Pesaresi
coinvolge fasce significative della popolazione. Il problema naturalmente non è specifico della città
di Ancona ma più generale. L’aspetto riguarda l’impatto sulle condizioni di vita che produce il
processo di precarizzazione sociale cui sono soggette parti significative della popolazione delle
società avanzate. “La vulnerabilità sociale può essere definita come una situazione di vita
caratterizzata dall’inserimento precario nei canali di accesso alle risorse materiali fondamentali
(innanzi tutto il lavoro, ma anche i benefici erogati dal welfare state) e/o dalla fragilità del tessuto
relazionale di riferimento (la famiglia e le reti sociali territoriali)” (Ranci,2002). La vulnerabilità
sociale è un rischio e come tale va contrastato con politiche adeguate. Sino ad oggi i soggetti che
hanno maggiormente consentito che l’esposizione ai rischi sociali non si traducesse in disagio
sociale sono state le famiglie. Ne consegue un imperativo per una politica pubblica che voglia
ridurre l ’esposizione della popolazione ai nuovi rischi. Le politiche pubbliche devono pertanto
sostenere le due capacità familiari fondamentali:
quella di combinare diversi redditi;
quella di offrire cura ai soggetti bisognosi di assistenza.
Il “Rapporto sociale 2002”, che ha impegnato gli uffici comunali dei servizi sociali per circa 6 mesi
(da aprile a novembre 2002) nella redazione di un volume di 340 pagine, può essere richiesto
gratuitamente all’Osservatorio comunale politiche sociali del comune di Ancona o scaricato
direttamente dal sito internet al seguente indirizzo: www.comune.ancona.it/ .
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Franco Pesaresi
Lo stesso gruppo di operatori che ha curato il “Rapporto sociale 2002” è
attualmente all’opera per la realizzazione del “Rapporto sociale 2004” la cui
stesura dovrebbe completarsi entro il mese di agosto 2004.
Per la redazione del “Rapporto sociale 2004” e dei suoi capitoli, gli operatori
comunali seguono delle linee guida che sono state predisposte dai Servizi sociali,
educativi e sanità del comune di Ancona nel mese di aprile 2004.
Tali “linee guida” vengono presentate nelle pagine seguenti.
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Franco Pesaresi
COMUNE DI ANCONASERVIZI SOCIALI, EDUCATIVI E SANITA’
RAPPORTO SOCIALE 2004SITUAZIONE ED ATTIVITA’ SOCIALE E SOCIO-SANITARIA
NELLA CITTA’ DI ANCONA
Linee guida per la redazione del Rapporto 2004
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Franco Pesaresi
Ufficio di Piano – Ambito sociale di AnconaAprile 2004
SCHEMA DELL’INDICE
Indice
Prefazione (del Sindaco e dell’Assessore)
Introduzione …………………………………………………………………
Cap. 1. Quadro socio-economico e demografico ………………………………………1.1. Introduzione ………………………………………………………1.2. La popolazione residente nella città di Ancona ……………………1.3. l’occupazione nella città di Ancona1.4. Conclusioni…………………………………………………………
Cap. 2. La famiglia, 2.1. Quadro di riferimento ………………………………………………2.2. Offerta e analisi dei servizi…………………………………………2.3. Potenzialità e criticità ………………………………………………
Cap. 3. La prima infanzia 3.1. Quadro di riferimento ………………………………………………3.2. Offerta e analisi dei servizi…………………………………………3.3. Potenzialità e criticità ………………………………………………
Cap. 4. I minori………………………………4.1. Quadro di riferimento ………………………………………………4.2. Offerta e analisi dei servizi…………………………………………4.3. Le politiche giovanili4.4. L’ istruzione scolastica …………………………………………………4.5. Potenzialità e criticità
Cap. 5. Gli anziani ……………………………5.1. Quadro di riferimento ……………………………………………5.2. Offerta e analisi dei servizi ……………………………………5.3. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 6. I disabili ………………………………………………………6.1. Quadro di riferimento ……………………………………………6.2. Analisi e offerta dei servizi ………………………………………6.3. L’inserimento lavorativo dei disabili6.4. Potenzialità e criticità ……………………………………………
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Franco Pesaresi
Cap. 7. Disagio psichico…………………………………………………7.1. Quadro di riferimento ……………………………………………7.2. Offerta e analisi dei servizi ……………………………………… 7.3. I suicidi …………………………………………………………… 7.4. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 8. L’immigrazione…………………………………………………… 8.1. Quadro di riferimento …………………………………………… 8.2. Offerta e analisi dei servizi ……………………………………… 8.3. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 9. Disagio sociale ………………………………………………… 9.1. Povertà: quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità9.2. Donne che hanno subito violenza………………………………… 9.3. Assistenza penitenziaria e post-penitenziaria : quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità9.4 . Dipendenze : quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità 9.5. Nomadi : quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità
Cap. 10. Il distretto sociale …………………………………………………10.1. Quadro di riferimento ………………………………………………10.2. Offerta e analisi dei servizi…………………………………………10.3. Potenzialità e criticità ………………………………………………
Cap. 11. Le politiche abitative ……………………………………………… 11.1. Quadro di riferimento …………………………………………… 11.2. Analisi e offerta dei servizi ……………………………………… 11.3. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 12. Il personale dei servizi sociali ed educativi…………………… 12.1. Il personale dei servizi sociali ed educativi ……………………… 12.2. Formazione e aggiornamento professionale……………………… 12.3. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 13. La spesa e l’entrata nel settore socio assistenziale…………… 13.1. I dati del consuntivo 2001………………………………………… 13.2. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 14. L’attività socio-sanitaria della Zona territoriale 7 (ex ASL 7) 14.1. Quadro di riferimento …………………………………………… 14.2. Offerta e analisi dei servizi ……………………………………… 14.3. Potenzialità e criticità ……………………………………………
Cap. 15. Igiene e tutela della salute umana ed animale
Cap. 16. Invalidità e pensioni sociali nella città di Ancona ……………15.1. Introduzione ………………………………………………………15.2. Pensioni sociali e di invalidita’ in Ancona …………………………
Cap. 17. Terzo settore …………………………………………………… 16.1. Le associazioni di volontariato …………………………………
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16.2. Le cooperative sociali …………………………………………… 16.3. Onlus………………………………………………………………
Cap. 18. Dizionario sociale ………………………………………………
NOTE ILLUSTRATIVE PER IL REPORT
Indicazioni generali:
1. DATI RIFERITI AL 2003 O ALL’ANNO PIU’ RECENTE DISPONIBILE;
2. LE TABELLE DEVONO RICERCARE DUE INFORMAZIONI: A) LE TENDENZE NEL TEMPO DEI FENOMENI;B) LA COMPARAZIONE CON REALTA’ PIU’ VASTE (PER ESEMPIO, REGIONE, NAZIONE).
3. COORDINAMENTO (nome operatore)
4. SUPPORTO TECNICO (nome operatore)
5. TEMPI DI REDAZIONE: CONSEGNA DEI CAPITOLI ENTRO GIUGNO 2004, CORREZIONI ED INTEGRAZIONI ENTRO LUGLIO 2004, STESURA DEFINITIVA ENTRO AGOSTO 2004.
6. LO SCHEMA DEI VARI CAPITOLI RIMANE LO STESSO DEL RAPPORTO 2002: QUADRO DI RIFERIMENTO, OFFERTA E ANALISI DEI SERVIZI, POTENZIALITA’ E CRITICITA’. I SINGOLI PARAGRAFI VANNO COSTRUITI SEGUENDO LA FALSARIGA DEL RAPPORTO 2002. Vedi INDICE e INDICAZIONI SPECIFICHE PER I SINGOLI CAPITOLI.
7. NELLA REDAZIONE DEI CAPITOLI OCCORRE RICERCARE LA PIU’ AMPIA COLLABORAZIONE E PARTECIPAZIONE DEI COLLEGHI-COLLABORATORI. NON DEVE ESSERE SOLO IL LAVORO DEI RESPONSABILI DI SETTORE.
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8. IMPAGINAZIONE: UTILIZZARE I FILE (GIA’ INVIATI) DEL RAPPORTO DEL 2002 E SEGUIRE LA STESSA DISTRIBUZIONE. IL PRO-MEMORIA PER L’IMPAGINAZIONE E’ COMUNQUE RIPORTATO IN ALLEGATO NELLEPRESENTI LINEE GUIDA.
9. RILEGGERE IL TESTO PRIMA DELLA SUA CONSEGNA. I CAPITOLI CONSEGNATI PER IL RAPPORTO 2002 ERANO SPESSO PRIVI DI PUNTEGGIATURA E, A VOLTE, POCO CURATI.
Indicazioni specifiche per i singoli capitoli:
Prefazione (del Sindaco e dell’Assessore)
Introduzione (referente ………) (Perché il report, il percorso, la sintesi del report)
1. Quadro socio-economico e demografico (referente ………)1.1. Introduzione 1.2. La popolazione residente nella città di Ancona 1.3. l’occupazione nella città di Ancona1.4. Conclusioni
Riprendere ed aggiornare il quadro del Rapporto 2002 valutando se spostare alcune tabelle nei capitoli specifici. Aggiungere un breve quadro della situazione economica ed occupazionale cittadina (Descrizione delle caratteristiche socio-demografiche della popolazione di Ancona, Popolazione complessiva e trend della popolazione, popolazione per distretto, maschi e femmine, popolazione per fasce di età, tasso di natalità, tasso di mortalità, saldo naturale, tasso di incremento migratorio, confronti con dati regionali e nazionali, indice di vecchiaia, indice di dipendenza dei giovani, indice di dipendenza degli anziani, indice di struttura della popolazione attiva)
2. La famiglia (referente ………..)2.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).2.2. Offerta e analisi dei servizi 2.3. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
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3. La prima infanzia (referenti ………………………)3.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).3.2. Offerta e analisi dei servizi3.3. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
4. I minori (referenti …………………………)4.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).4.2. Offerta e analisi dei servizi4.3. Le politiche giovanili (referente ………)4.4. L’istruzione scolastica (referente ……….)4.5. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
5. Gli anziani (referente ……………)5.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).5.2. Offerta e analisi dei servizi5.3. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
6. I disabili (referente ……………)6.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).6.2. Offerta e analisi dei servizi6.3. L’inserimento lavorativo dei disabili (referente ………………)
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6.4. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
7. Disagio psichico (referente ……………)7.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).7.2. Offerta e analisi dei servizi7.3. I suicidi7.4. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
8. L’immigrazione (referente …………..)8.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).8.2. Offerta e analisi dei servizi8.3. Potenzialità e criticità del settore assistenziale (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
9. Disagio sociale (referenti ………………………………………….) 10.9.1. Povertà: quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e
criticità (referenti ………………………)9.2. Donne che hanno subito violenza (referenti ……………..)9.3. Assistenza penitenziaria e post-penitenziaria: quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità (referenti ……………)9.1. Dipendenze: quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità (referenti ……………………………)9.1. Nomadi: quadro di riferimento, offerta e analisi dei servizi, potenzialità e criticità (referenti ……………………………)(Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle
informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore.
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Nelle potenzialità e criticità va inserita una valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
10. Il distretto sociale (referente ……………..)10.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).10.2. Offerta e analisi dei servizi10.3. Potenzialità e criticità del settore assistenziale (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
11. Le politiche abitative (referenti …………………………)11.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).11.2. Offerta e analisi dei servizi11.3. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
12. Il personale dei servizi sociali, educativi e sanità (referente ………………..)a. Dotazione di operatori nei servizib. Formazione e aggiornamento professionale (referente ………………)c. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli
aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
2. La spesa e l’entrata nel settore socio-assistenziale (referente ………………)a. La spesa e l’entrata complessiva b. La spesa e l’entrata per settoric. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli
aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
3. L’attività socio-sanitaria della ASL 7 (referente ………….)
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14.1. Quadro di riferimento (Nel quadro di riferimento vanno riportati i dati demografici specifici e tutte quelle informazioni atte a comprendere il settore e le sue necessità. In particolare le valutazioni devono tendere ad interpretare la situazione sociale cittadina e le domande emergenti. Opportuni sono i collegamenti con la realtà regionale e nazionale. Norme, regolamenti e accordi (nazionali, regionali e comunali) vanno citati se recenti e se incidono nel settore).11.2. Offerta e analisi dei servizi11.3. Potenzialità e criticità (breve valutazione di sintesi in cui si evidenziano sia gli aspetti positivi sia gli aspetti che meritano un approfondimento o un intervento in vista di possibili miglioramenti dei servizi erogati o di modalità di funzionamento).
15. Igiene e tutela della salute umana ed animale (referenti ……………..) 16. Invalidità e pensioni nella città di Ancona (referente ……………….)
(numero invalidi e numero pensioni per relativa tipologia, con particolare riferimento a tutte quelle erogazioni previdenziali-assistenziali di sostegno alla disabilità e di garanzia di un reddito minimo. Reperire i dati sulle indennità di accompagno nella città di Ancona e sulle provvidenze previdenziali erogate a ciechi e sordi).
17. Il terzo settore (referente ………….)16.1. Le associazioni di volontariato16.2. le cooperative sociali16.3. Le Onlus
18. Sintesi prospettica (da inserire se possibile)
19. dizionario sociale (referente ……………)
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Come impaginare il “Rapporto sociale” in formato “libro”
1. Impostazione della paginaL’impostazione della pagina sul computer dovrà essere la seguente:formato A4 (cm 21x29,7);
scegliere Imposta pagina-Dimensioni dal menu File:margine superiore cm 4,0; inferiore cm 4,0; sinistro cm 3,0; destro cm 3,0;intestazione: cm 0;pié di pagina: cm 3,0;rilegatura: 0.
L’Indice, la Prefazione e l Introduzione o altre parti introduttive avranno inizio sempre in pagina dispari. Anche il primo capitolo partirà su pagina dispari, mentre gli altri capitoli possono iniziare indifferentemente su pagina pari o su pagina dispari.
2. Caratteri, corpi (dimensione del carattere) e interlineaSi suggeriscono i seguenti corpi:
titolo capitolo: corpo 18 nero Times New Roman Interlinea “singola”. Non mettere mai il punto alla fine del titolo del capitolo, così come alla fine dei titoli del paragrafi, sottoparagrafi, didascalie delle figure/tabelle;
titoli paragrafi: corpo 14 nero Times New Roman; titoli sottoparagrafi: corpo 12 nero Times New Roman; titoli sotto-sottoparagrafi: corpo 12 corsivo Times New Roman;
testo: corpo 12 Times New Roman interlinea “esatta 13 pt”;
tabelle, letterizzazione figure: di norma in corpo 10 Times New Roman. Nei grafici può essere utilizzato anche un corpo maggiore o minore quando si vogliono evidenziare singole parole o quando è necessario per stare nella larghezza della pagina. La didascalia della tabella/figura va fatta in c. 10 nero.
appendici, glossario, bibliografia: corpo 10 Times New Roman interlinea “esatta 11 pt”;
numero pagina: centrato in basso nella pagina in Times New Roman corpo 10 corsivo;
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elencazioni in punti: rientrare di cm 0,6.
3. Spazi bianchiPeriodi: La prima riga di ogni periodo, deve rientrare, come in questa digitazione, di 5 mm (il
rientro è regolato in Word con i comandi “Formato”, “Paragrafo”, “Speciale”, “Prima riga”, “Rientra di”).
Titolo capitolo: non centrarli sulla pagina ma allinearli a sinistra. La distanzatra il titolo, se è di una riga, e il testo o il titolo del paragrafo è di 10 spazi in corpo 11 interlinea
13. Il numero di spazi sarà ridotto a scalare se il numero delle righe del titolo è superiore.
Titoli paragrafi, sottoparagrafi e sotto-sottoparagrafi e altri titoli o parole in evidenza su riga a sé: lasciare 2 righe bianche nell’interlinea adottata (13 pt) prima di digitarli e ancora una seconda riga bianca dopo averli digitati. Se il titolo finisse a fine pagina spostarlo alla pagina successiva aumentando il numero di righe bianche (di norma una o due sono sufficienti). Anche i titoli dei paragrafi, sottoparagrafi, ecc. sono allineati a sinistra, senza rientrare di cm 0,5.
Righe vedove e righe orfane. Sono così dette la prima riga o l’ultima di un periodo quando (nel primo caso) rimangono sole alla fine di una pagina o (secondo caso) sole all’inizio di una nuova pagina. I programmi più recenti provvedono automaticamente alla correzione di questa anomalia impostando “formato” “paragrafo” “distribuzione testo” “controlla righe iso-late”.
Spazi bianchi all’inizio della pagina: eliminarli sempre.
4. Maiuscole e controllo ortografico
Evitare il più possibile le maiuscole di rispetto. evitare il più possibile l’uso del maiuscolo.Passare sempre il testo con il controllo ortografico del programma: consente di evitare errori
specie negli accenti, anche se dà la sicurezza di eliminare tutti gli errori. Evidenzia invece in diversi casi gli errori nella digitazione degli spazi (ad es. lo spazio dopo l’apostrofo ma non tra una parola e il segno di punteggiatura o un doppio spazio).
5. SillabazioneEffettuare sempre la sillabazione del testo (comandi “strumenti” “lingua” “sillabazione” “sillaba
automaticamente documento”.
6. Altre “regole”• Bibliografia: seguire i criteri standard internazionali:. titoli dei periodici e dei libri in corsivo senza virgolette inglesi;. titoli degli articoli tra “virgolette inglesi”;. nome autore: nel testo il cognome dell’autore va preceduto, quando citato, dal nome; nella
bibliografia alla fine del capitolo o del libro e nelle citazioni bibliografiche in nota mettere sempre prima il cognome.
Se l’opera citata ha più autori, mettere prima il cognome del primo autore e lasciare, se lo si desidera, prima il nome per gli altri autori. Non mettere la virgola tra il cognome e il nome dell’autore ma solo (nel caso di più autori) tra il primo autore e quelli successivi digitando preferibilmente una “e” prima del nome dell’ultimo auto-re. Quando il nome proprio dell’autore non è riportato per esteso ed è composto da due o più lettere iniziali (es. G. C. Trentini) spaziare tra una sigla e l’altra;
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. data di pubblicazione: preferibilmente, metterla tra parentesi dopo il nome. Può essere messa anche alla fine: per i libri dopo il luogo di pubblicazione, divisa da una virgola; per gli articoli dopo il nome della rivista o dopo il numero del fascicolo, sempre divisa da una virgola.
.editore: metterlo solo per i volumi, dopo il titolo, separato da questo da una virgola. Mettere, quindi, sempre dopo una virgola, il luogo di pubblicazione;
.nelle bibliografie, non rientrare la prima riga di ogni titolo elencato e rientrare di 0,5 cm le eventuali righe successive alla prima.
Esempi:Henry J. C. e Bolton M. M. (1991), “Time and outcome evaluation”, Journal of Business, 55: 54-
62.Mooney H. (1950), Explorations in the world, Oxford University Press, New York.
Parole sottolineate: non farle. Comporle normalmente in neretto tondo o, se il neretto tondo è già stato molto usato, in neretto corsivo, se si vuole differenziarle; in corsivo chiaro, se si desidera dare minore enfasi.
Punti (elencazioni di): quando l’elencazione è preceduta da una frase che finisce con due punti, fare minuscola la prima parola di ogni punto e mettere il punto e virgola alla fine di ogni singolo punto. Quando invece la frase che precede l’elencazione finisce con il punto, fare maiuscola l’iniziale della prima parola e mettere il punto dopo l’ultima parola.
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Bibliografia e riferimenti normativi
Associazione Nuovo Welfare, Il lungo cammino della riforma, Roma, 2002.
ASSR, Differenze ma anche strategie comuni nelle normative regionali, Monitor n.6/2003
ASSR, Due modelli molto trendy: la Fondazione e il Project-Finance, Monitor, n.3/2003.
Battistella A., “Piani di zona: e ora?”, Prospettive sociali e sanitarie, 8, 2003.
Comune di Ancona, Rapporto sociale 2002, Ancona, 2002.
De Ambrogio U., “Il processo di costruzione dei Piani di zona sperimentali in Emilia
Romagna”, Prospettive sociali e sanitarie, 6, 2003.
D. Lgs 18/8/2000, n. 267: “Testo unico degli enti locali”.
Il Sole 24 ore sanità, “Distretti d’Italia in passerella: quanti, chi, cosa”, 18-24 marzo 2003,
pag.10.
Legge 8 novembre 2000, n. 328: “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di
interventi e servizi sociali”.
Ministero della Salute, Attività gestionali ed economiche delle ASL e aziende ospedaliere nel
2000, Roma, 2001.
Montanelli R. e Parente C., La scelta della forma di gestione per i servizi sociali: i quesiti
strategici e le possibili soluzioni, in Longo F. (a cura di), “Servizi sociali: assetti istituzionali e
forme di gestione”, EGEA, Milano, 2000.
Pesaresi F., La governance dei Piani sociali di zona, in “Prospettive sociali e sanitarie”,
n.20/2003.
Pesaresi F., L’applicazione della legge 328: un primo bilancio, Servizi sociali Oggi, n. 3/2004.
Ranci C., Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002.
Regione Campania, Linee guida per la programmazione sociale 2003 e per il consolidamento
del sistema di welfare della regione Campania, gen-2003.
Regione Marche: D.C.R. 1 marzo 2000, n. 306: “Piano regionale per un sistema integrato di
interventi e servizi sociali 2000-2003”;
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Regione Marche: D.G.R. 19 marzo 2002, n. 592: “Deliberazione amministrativa n. 306/2000:
Piano regionale per un sistema integrato di interventi e servizi sociali – Modifica alla DGR
n.337/2001 – Istituzione degli ambiti territoriali”;
Regione Marche: D.G.R. 12 novembre 2002, n. 1968: “Approvazione delle linee guida per la
predisposizione e l’approvazione dei piani di zona 2003”.
Regione Molise: L.R. 7/1/2000, n. 1: “Riordino delle attività socio-assistenziali e istituzione di
un sistema di protezione sociale e dei diritti sociali di cittadinanza”.
Regione Sicilia: Indice ragionato per la stesura del Piano di zona. Allegato tecnico-operativo al
piano socio-sanitario della Regione Siciliana, 14/3/2003.
Regione Toscana, Orientamenti per la concertazione, la programmazione e le scelte
organizzativo gestionali per il piano di zona 2002-2004, ott-2002.
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