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#RifondaLombardiaNews La newsletter del Prc/SE Lombardia 23 febbraio 2017 Appello delle Città in Comune: Insieme davvero. Car* tutt*, nei giorni scorsi ci siamo incontrati tra alcuni amministratori, esponenti associativi e promotori delle assemblee di Roma e di Bologna del dicembre scorso per valutare come proseguire il percorso intrapreso. Ne è scaturito l’appello che vi alleghiamo e la pr oposta di organizzare un

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#RifondaLombardiaNews

La newsletter del Prc/SE Lombardia – 23 febbraio 2017

Appello delle Città in Comune: Insieme davvero.

Car* tutt*, nei giorni scorsi ci siamo incontrati tra alcuni amministratori, esponenti associativi e promotori delle assemblee di Roma e di Bologna del dicembre scorso per valutare come proseguire il percorso intrapreso. Ne è scaturito l’appello che vi alleghiamo e la proposta di organizzare un

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seminario sui temi delle modalità con cui il percorso possa concretamente proseguire. Il seminario si terrà a Roma domenica 19 marzo e sarà preparato, per avere una prima proposta da discutere, con una riunione più ristretta il 5 marzo. Nello spirito inclusivo e di volontà di allargamento che ha contraddistinto sinora il percorso il seminario risulterà copromosso da tutti coloro che comunicheranno la partecipazione. Nei limiti del possibile vi chiediamo di preparare l’incontro con riunioni locali. Giorgio Airaudo Fabio Alberti Ciccio Auletta Maria Luisa Boccia Giusto Catania Emily Clancy Barbara Evola Stefano Fassina Adriano Labbucci Giulio Marcon Federico Martelloni Sandro Medici Gianni Principe Marco Ravera Basilio Rizzo Raffaele Tecce Riziero Zaccagnini Insieme: davvero.

Due mesi sono trascorsi dalle belle assemblee di Roma e Bologna. Due mesi di iniziative diffuse,

che hanno consolidato positive esperienze di lavoro comune, aperto, inclusivo. Liste di cittadinanza e di alternativa, reti associative, comitati, campagne hanno raccolto la sfida della costruzione di un processo nuovo, partecipato, rispettoso delle identità ma non identitario, per dire no alle politiche di austerità e alle politiche liberiste, per riaffermare da sinistra il primato della persona sulla finanza. Un percorso che si arricchisce giorno dopo giorno di contenuti, pratiche e conflitti provenienti da ogni parte d’Italia, legati dall’esigenza di partecipare attivamente alla costruzione dal basso di un progetto e di uno spazio sociale, politico e culturale autonomo ed alternativo al PD e alle sue politiche, al centro-sinistra e alle larghe intese, per darsi e offrire un’opportunità di impegno a quante e quanti non si riconoscono nelle scelte dei recenti governi, e di chi chiuso nel palazzo gestisce il potere secondo i propri peculiari interessi e quelli della finanza e del profitto. Un percorso che costruisce il terreno comune di un’azione programmatica e politica tra soggetti diversi, segnando una discontinuità con il passato senza scorciatoie politiciste e valorizzando le diverse esperienze, le donne e gli uomini che vorranno dare il proprio contributo a questo itinerario in comune. Sui territori, nella nostra azione quotidiana come nella recente battaglia referendaria, siamo strenui difensori della Costituzione contro il tentativo di omologazione al pensiero unico di Renzi e dei suoi sodali: abbiamo riaffermato i principi e le finalità della Costituzione, anche e soprattutto per la sua forza evocatrice di giustizia sociale e di lotta alle disuguaglianze. Lo abbiamo fatto nella consapevolezza che tale forza nasceva da un confronto alto tra modelli socio-economici contrapposti e quindi dal riconoscimento profondo della sua valenza sociale. Proprio quello che Renzi in ossequio al modello liberista volevano e vogliono rimuovere. Il nostro impegno quindi deve essere rivolto in prima istanza all’applicazione profonda del progetto costituzionale, impegno che –

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nel rispetto delle origini della nostra Carta fondamentale – deve essere altrettanto forte nella definizione e nell’attualizzazione di modelli sociali ed economici alternativi a quello che dominante che sta schiacciando la dignità delle persone e dei territori. Ribadiamo la necessità di ribadire il principio della pari dignità delle diverse forme di una politica diffusa e plurale: tutte le soggettività (partiti, associazioni, movimenti, ecc.) contribuiscono con la loro specificità ed il loro ruolo nella costruzione del cambiamento. Questo valore deve trovare concreto riconoscimento nella costruzione di uno spazio plurale e partecipato, senza primati e senza gerarchie. Serve un progetto fortemente partecipato che muova dalle battaglie che quotidianamente portiamo avanti dentro e fuori le istituzioni nei nostri territori e dalla mobilitazione di associazioni, campagna e movimenti: il superamento del vincolo del patto di stabilità per garantire servizi davvero pubblici, come una capillare e accessibile mobilità collettiva; un progetto per la piena e buona occupazione ripristinando ed estendendo i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, per il carattere pubblico e universale del diritto alla salute, il diritto all’abitare, il riutilizzo e il recupero del patrimonio edilizio. Ancora, un progetto per la messa in sicurezza del territorio con le mille piccole opere necessarie al posto di grandi opere inutili; per il risparmio energetico e le energie rinnovabili nel solco di un rigoroso rispetto dell’ambiente, del paesaggio e della salute umana. Occorre favorire le esperienze di riappropriazione e di uso collettivo degli spazi inutilizzati, preservare il territorio da un uso indiscriminato e predatorio quale quello spesso messo in atto dalle multinazionali. In questa agenda devono comparire come centrali questioni come la difesa del carattere pubblico del sistema dell’istruzione, il rilancio del servizio sanitario nazionale, la tutela dei diritti e l’inclusione dei migranti ed un welfare effettivamente universalistico. Inoltre per dare forza a questa agenda dobbiamo assumere come centrale il tema della riconversione civile dell’economia, attraverso la smilitarizzazione dei territori, la riduzione delle spese militari, la costruzione di politiche di pace anche a livello locale. Questa è la strada che vogliamo percorrere insieme e senza indugio per proseguire questo lavoro, “proteggendolo” da accelerazioni, condizionamenti o “febbri” elettoralistiche, senza sottovalutare l’impatto che provocherà l’irrompere di una scadenza elettorale nazionale sempre più vicina. Che sia tra pochi mesi o tra un anno, dopo l’esito del referendum del 4 dicembre, la caduta del governo Renzi, la bocciatura della riforma elettorale, il bilancio disastroso dell’applicazione delle più importanti leggi varate in questo mandato, lo scenario europeo e mondiale in vorticoso mutamento, non sfugge a nessuno che si tratterà di un appuntamento cruciale, a cui possiamo giungere con un progetto e un programma ambizioso e che soprattutto abbia una prospettiva oltre la stessa scadenza elettorale. Raccogliendo l’invito rivolto da molti e molte tra coloro che hanno partecipato alla costruzione di questo nostro percorso, desiderosi/e di dare un orizzonte alla tensione sentimentale oltreché all’urgenza delle ragioni comuni che ci hanno fatto ritrovare insieme, vogliamo condividere l’esperienza e il percorso fatto insieme con tutti e tutte coloro che, come noi, vorranno mettersi radicalmente in gioco e provare senza tentennamenti a costruire su queste basi programmatiche un percorso unitario. Proviamo a fare un passo avanti, necessario, utile, possibile. Proviamo a farlo coinvolgendo realmente le piccole e grandi realtà che sui territori stanno sperimentando percorsi di reale alternativa alle politiche di austerità confrontiamoci sui contenuti e sulle pratiche di un tragitto condiviso, decidendo insieme le forme, i modi, le regole per costruire aggregazioni credibili, partecipate, democratiche, attrattive. Abbiamo un appuntamento importante davanti: quello dei referendum sociali promossi dalla CGIL in primavera. Si tratta di una mobilitazione che dobbiamo sostenere con forza e sulla quale, anche a livello locale, promuovere percorsi unitari e di costruzione di alleanze tra sindacato, associazioni, movimenti, liste civiche e di alternativa.

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Chiediamo, pertanto, a tutte/i coloro che fin qui hanno condiviso questo nostro percorso, di continuare il cammino cominciando a discutere nel merito, sulle forme della politica e sul modo e le regole con cui concretamente potrebbe avviarsi il percorso unitario che immaginiamo. Pensiamo ad un seminario sulle forme della politica che si terrà il 19 marzo a Roma, che sarà preparato in un primo incontro più ristretto il 5 marzo. Facciamolo riportando la discussione e l’elaborazione di questo nostro percorso sui territori, impegnandoci in una discussione articolata e diffusa, appuntando idee, dubbi, riflessioni utili a fare dell’incontro di marzo un momento organizzato e costruito davvero assieme dal basso. Facciamolo subito, perché il tempo è adesso. Vi preghiamo di comunicare la partecipazione a [email protected]

GRANDI OPERE IN LOMBARDIA: «PERDITE PUBBLICHE E PROFITTI PRIVATI».

dal periodico Valori

La prima a rompere gli indugi fu la provincia di Bergamo. Poi, con inaspettato effetto valanga, seguirono la Camera di commercio bergamasca, la provincia di Brescia e la città metropolitana di Milano. Rischia di allargarsi a macchia d’olio il fuggi fuggi da Brebemi, la direttissima Brescia-Bergamo-Milano inaugurata nel luglio 2014, con relativo strascico giudiziario per il rifiuto della società a liquidare le quote. Ma ad aprile le danze fu, un anno e mezzo prima, l’azionista di maggioranza. Era l’aprile 2015 e Casrlo Messina, da un paio d’anni alla guida di Intesa Sanpaolo, annunciò ai soci la dismissione di tutte le partecipazioni autostradali del gruppo entro il 2017. La notizia fu deflagrante quanto ignorata dai media. Finiva così un almeno un decennio di interventismo infrastrutturale (e non solo) della cosiddetta “banca di sistema”, che nelle nuove autostrade lombarde iniettò 590 milioni tra prestiti e quote azionarie, dei quali rischia ora di rivederne la metà. Erano gli anni della coppia Bazoli-Passera, che pur di appoggiare il governo di turno non rinunciarono ad operazioni in perdita. Solo la quota di Brebemi (200 milioni) la banca ha perso il 35% in due anni, mentre la società cumulava perdite per oltre 100 milioni. A pesare sono in gran parte gli oneri finanziari, cioè quel 7% che la concessionaria continua a pagare sul debito monstre di 1,8 miliardi. Senza contare i derivati – negativi per 300 milioni – sottoscritti per fronteggiare il “rischio tassi”, appunto.

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Numeri da brivido, che avrebbero portato qualunque società sulla soglia del Tribunale fallimentare. Ma non Brebemi, che come altre concessionarie beneficia di un trattamento di favore, per usare un eufemismo. Oltre a un contributo pubblico di 320 milioni e all’allungamento della concessione di sei anni a 25 anni e mezzo, deliberati dal governo Renzi, gli azionisti godono di un rendimento garantito del 6,8% sul capitale investito e soprattutto di una “buonauscita” di 1,2 miliardi a fine contratto. Certo, c’è sempre il “rischio traffico”, sul quale si gioca la vera scommessa. Prendiamo i numeri ufficiali, per non sbagliare. Nel Piano economico e finanziario inviato al Cipe nel 2014 è indicata la soglia di 30.800 veicoli giornalieri nel 2015, che dovrebbero salire a 33.200 nel 2016. Parliamo del traffico minimo per far quadrare i conti. Ebbene, nel 2015 sono circolati mediamente 11.955 veicoli al giorno, mentre a giugno 2016 eravamo a 16.000. Non stupisce allora la decisione di Intesa di vendere, nonostante le garanzie pubbliche. Già, ma a chi? Il primo in lista è il gruppo Gavio, che è anche secondo azionista delle società e socio di maggioranza della collegata Tangenziale est esterna di Milano-Teem (il secondo socio è Intesa con il 17%). Gavio si accollerebbe di malavoglia rischi e perdite, ma potrebbe rifarsi sui lavori. Ed eccoci al punto: il vero business sono gli appalti, non certo la gestione. O meglio, la seconda serve ad accaparrarsi i primi. La costruzione di Brebemi venne assegnata per 1,4 miliardi a un consorzio formato da Pizzarotti, CCC e Unieco in qualità di general contractor, tutti soci della concessionaria. Poi c’è il ricco boccone della manutenzione e qui la società ha giocato d’anticipo. I lavori sono stati assegnati direttamente a un’impresa ad hoc (Argentea) costituita più o meno dagli stessi soci di Brebemi, che hanno sottoscritto un contratto da 360 milioni per 19 anni. L’operazione è quantomeno dubbia sul piano legale e sarebbe materia d’indagine dell’Anac, visto che esiste una legge – la 34 del 2012 – che impone di affidare almeno il 60% dei lavori tramite gara (l’80% nel nuovo Codice appalti). Staremo a vedere. Non se la passa meglio Pedemontana, che collega la fascia nord da Cassano Mgnago a Osio Sotto. La prima tratta, fino a Lomazzo, fu inaugurata nel gennaio 2015 e dopo tre mesi registrava 20.000 veicoli giornalieri, contro i 36.000 previsti. L’opera è costosissima: 5,2 miliardi per 90 km. Lo Stato ha messo 1,2 miliardi a fondo perduto (utilizzati al 90%) e le banche solo 200 milioni, mentre il capitale sociale è fermo a 300 milioni (su 536). Aggiungiamo pure un centinaio di milioni di prestito soci subordinato, e il resto è tutto da trovare. Che le cose si sarebbero messe male era chiaro fon dal 2001, ben prima della crisi, grazie ad uno studio approfondito del Politecnico di Milano. Completamente ignorato. La situazione è in un vicolo cieco e rischia di trascinare nel baratro Serravalle, azionista di maggioranza al 79% (Intesa è il secondo azionista con il 18%). Serravalle – storica concessionaria della Milano Genova e delle tangenziali milanesi – è ora controllata dalla Regione Lombardia, ma fino al settembre 2014 era in mano alla provincia di Milano tramite Asam. E fu la Corte dei conti, nel marzo di quell’anno, ad alzare il velo. Nel biennio 2011-2012 Asam accumulò perdite per 295 milioni e debiti in crescita da 205 a 271 milioni. Il motivo? Soprattutto la svalutazione della quota Serravalle, che passò da 690 a 380 milioni, prosciugata in gran parte proprio da Pedemontana. Ecco come bruciare risorse pubbliche e azzoppare un patrimonio dei milanesi, Serravalle, da sempre considerata una macchina da soldi. In questo scenario colpisce l’ostinazione del governatore lombardo Roberto Maroni, che nel nuovo piano sulla mobilità ha già preventivato quasi 400 chilometri di nove autostrade, Pedemontana inclusa. Sono state riesumate arterie che sembravano ormai estinte naturalmente, come la Broni Mortara o la Cremona Mantova, incuranti dei miliardi già spesi. Solo su Pedemontana, Brebemi e Teem, Stato e Regione hanno messo 1,95 miliardi, quando per rinnovare l’intera rete ferroviaria regionale ne sarebbero bastati 1,5.

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Roberto Cuda

LEGGE 194 / PATTA (PRC/SE_LOMBARDIA): «SUBITO CONCORSI IN

LOMBARDIA PER AVERE MEDICI NON OBIETTORI NEGLI 11

OSPEDALI CHE NON GARANTISCONO IL DIRITTO ALL’ IVG».

Milano, 23 febbraio 2017 Antonello Patta, segretario regionale Prc/SE Lombardia ha dichiarato:

«Il concorso della regione Lazio per l’assunzione di medici non obiettori di coscienza con i quali permettere all’ospedale San Camillo di Roma di garantire il diritto all’interruzione di gravidanza è un esempio che va seguito in tutta Italia e in particolare in Lombardia. Nella nostra regione decenni di governo delle destre hanno prodotto lo smantellamento dei servizi nati per garantire una maternità liberamente autodeterminata. Così è stato per i consultori, molti dei quali sono stati chiusi, mentre spesso quelli rimasti sono ridotti a miseri ambulatori, perdendo la funzione originaria di sostegno allo sviluppo di sessualità e maternità libere e consapevoli. Ma particolarmente grave è il fenomeno dell’aumento di medici obiettori che in diversi territori rendono quasi impossibile l’interruzione di gravidanza in strutture pubbliche sicure: in Lombardia

ben 11 presidi ospedalieri su 63, tra quelli con un reparto di ginecologia e ostetricia, hanno in organico

solo medici obiettori.

Le conseguenze, volute, sono l’aumento della piaga degli aborti clandestini rischiosi per le donne e lucrosa

per medici compiacenti e grassi profitti per cliniche private.

E’ dunque più attuale che mai la proposta avanzata da tempo dal PRC della Lombardia per un’intervento della Regione che preveda: “L’obbligo per ogni presidio ospedaliero, con reparti di

ostetricia e ginecologia, di garantire nel rispetto della legge 194, l’interruzione volontaria di gravidanza

con la presenza di medici non obiettori di coscienza per almeno il 70% dell’organico”.

Nell’immediato si facciano subito anche in Lombardia concorsi per l’assunzione di medici non obiettori

presso quei presidi ospedalieri nei quali oggi non è garantito il diritto all’interruzione di gravidanza

previsto da una legge della Repubblica».

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LEGGE 194 – FERRERO (PRC – SINISTRA EUROPEA): «POSITIVO E

INNOVATIVO BANDO AL SAN CAMILLO PER GARANTIRE ALLE

DONNE IL DIRITTO ALL’INTERRUZIONE DI GRAVIDANZA. VATICANO

EVITI INTERVENTI CHE VIOLANO IL CONCORDATO».

LEGGE 194 – FERRERO (PRC – SINISTRA EUROPEA): «POSITIVO E INNOVATIVO BANDO

AL SAN CAMILLO PER GARANTIRE ALLE DONNE IL DIRITTO ALL’INTERRUZIONE DI

GRAVIDANZA. VATICANO EVITI INTERVENTI CHE VIOLANO IL CONCORDATO»

Paolo Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, dichiara: «Positivo e innovativo il Bando per l’assunzione di due medici al San Camillo, finalizzato a garantire alle donne il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza. L’obiezione di coscienza è stata utilizzata

in questi anni per boicottare la legge 194 e finalmente nel Lazio di mette in campo una procedura efficace

per garantire la corretta applicazione della legge.

Il Vaticano, da parte sua, eviti interventi in merito al funzionamento dello stato italiano: violano il

Concordato e si caratterizzano come una indebita intromissione nell’applicazione delle leggi dello stato

Italiano che, fino a prova contraria, è uno stato sovrano».

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Uniti e solidali con la Grecia per cambiare l’Europa

Appello firmato da Susanna CAMUSSO, Francesca CHIAVACCI, Andrea CAMILLERI, Stefano

RODOTA, Renato ACCORINTI, Vezio DE LUCIA, Luigi DE MAGISTRIS, Olga NASSIS,, Monica DI

SISTO, Anna FALCONE, Paolo FAVILLI, Carlo FRECCERO, Tomaso MONTANARI, Moni OVADIA,

Marco REVELLI.

La Grecia ha intrapreso la strada per uscire dalla crisi. Il Fmi e la Commissione Europea pretendono nuove

misure di austerità per dopo il 2018, peraltro in contraddizione tra di loro, che non sono previste né dai

Trattati europei né nella costituzione di nessun paese al mondo, e per questo assolutamente ingiuste,

dannose ed inaccettabili. Non solo la Grecia, ma anche altri Paesi, subiscono le conseguenze nefaste delle

politiche di austerità, nuove richieste di sacrifici e contro riforme. Sessant’anni dopo la firma dei Trattati di

Roma, l’Europa deve tornare alle sue radici democratiche, di pace, di solidarietà e di giustizia sociale.

L’Europa deve riprendere il processo di integrazione, all’insegna di unità e solidarietà. Ciò significa

archiviare la stagione dell’austerità con le sue ricadute negative, oltre che mettere in discussione la cultura

del Patto di stabilità e del Fiscal Compact.

L’austerità ha scatenato la frammentazione dell’Europa, ha sfregiato le costituzioni democratiche con

l’assurdo Patto di stabilità, ha creato disoccupazione di massa in tanti paesi, impoverimento e

marginalizzazione.

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L’Europa non deve tornare nei suoi nazionalismi egoistici, i fili spinati, la divisione dei suoi popoli e dei

suoi lavoratori, la xenofobia e il razzismo.

L’Europa deve e può uscire dalla crisi unita e solidale cambiando politica e riscrivendo i Trattati ingiusti,

creando un grande programma di investimenti pubblici e privati per far ripartire le sue economie e creare

posti di lavoro veri per la prosperità di tutti i suoi cittadini. È necessario che l’Europa avvii una politica di

contrasto al dumping salariale e sociale e faccia di questo il fondamento del Pilastro europeo dei diritti

sociali attualmente in discussione, rilanciando un’idea di welfare inclusivo e di protezione sociale su scala

continentale. Si tratta di scelte urgenti soprattutto per restituire speranza e fiducia nel futuro si giovani

europei.

Facciamo un appello a tutte le forze democratiche a prendere posizione e a mobilitarsi e al governo italiano

di sostenere la Grecia nella riunione dell’Eurogruppo del 20 di febbraio e chiediamo che già il Consiglio

Europeo del 25 di marzo per il 60° anniversario dei Trattati istitutivi dell’UE sia l’occasione per rivendicare

un’Europa diversa e migliore, quella dei suoi popoli e dei suoi principi democratici.

L’Europa, il suo e il nostro futuro, sono nelle nostre mani!

· Susanna Camusso, segretario generale CGIL

· Francesca Chiavacci, presidente ARCI

· Andrea Camileri, scrittore, sceneggiatore e regista

· Stefano Rodotà, giurista, politico ed accademico

· Vezio De Lucia, urbanista

· Luigi De Magistris, sindaco di Napoli

· Olga Nassis, presidente delle comunità greche in Italia

· Renato Accorinti, sindaco di Messina

· Monica Di Sisto, giornalista, campagna contro il TTIP

· Anna Falcone, avvocato, costituzionalista

· Paolo Favilli, storico

· Carlo Freccero, c.d.a RAI

· Tomaso Montanari, storico dell’arte, vicepresidente di

Libertà e Giustizia

· Moni Ovadia, attore teatrale, drammaturgo, scrittore,

compositore e cantante

· Marco Revelli, storico, sociologo e politologo

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LOMBARDIA: «LA 31/2014 SI CONFERMA COME “LEGGE CONSUMA-

SUOLO”».

da Altreconomia

Il TAR della Lombardia ha bocciato una variante urbanistica che rendeva “non

edificabili” alcune aree della città. Secondo il giudice amministrativo, la legge

regionale lombarda contro il “consumo di suolo” limiterebbe, nei fatti, il diritto degli

enti locali di pianificare il territorio. Anche quando gli interventi vanno a ridurre le

superficie urbanizzabili. Ecco perché il caso potrebbe arrivare di fronte alla Corte

Costituzionale

La legge lombarda “per la riduzione del consumo di suolo” (la numero 31 del 2014) non è

efficace, perché -secondo la lettura che ne ha dato Paolo Pileri dalle pagine di

Altreconomia- non “tutela” ma “trasforma” i terreni liberi. E lo ha dimostrato, alla prima

prova dei fatti, un ricorso al TAR contro una variante urbanistica che avrebbe limitato il

consumo di suolo approvata dal Comune di Brescia, ed è stata bocciata.

L’amministrazione del diciassettesimo Comune più abitato del Paese (quasi 200mila

abitanti, con una densità abitativa simile a quella di Roma), infatti, aveva “osato” ridurre -

con una delibera del luglio del 2015- l’edificabilità nell’area del Parco di San Polo, ri-

classificando alcuni lotti, di proprietà di Francesco Passerini Glazel e di Maria Annunciata

Passerini Glazel Pagano, che per questo avevano fatto ricorso al Tribunale amministrativo

regionale.

In particolare, sarebbero venuti a mancare quei terreni edificabili necessari a far ricadere un

diritto a costruire immobili per una superficie pari a 40.168,99 metri quadrati -palazzine per

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un numero complessivo di 400 appartamenti da 100 metri quadrati l’uno-. Con la variante

di riduzione, il Comune in particolare è andato a trasformare quattro “lotti”: due sono stati

classificati come “aree agricole di cintura”; uno inserito tra le “aree di salvaguardia e

mitigazione ambientale”; l’ultimo, invece, è destinato ad ospitare infrastrutture pubbliche (il

parcheggio al servizio della metropolitana).

Per il TAR, che a metà gennaio 2017 ha diffuso la propria sentenza, il Comune di Brescia

non poteva approvare quella variante. Non può -secondo la legge regionale- esercitare il

proprio “diritto a pianificare”, come sottolinea ad Altreconomia il sindaco di Brescia,

Emilio Del Bono.

Il motivo? In attesa che la Regione completi le direttive regionali in merito all’applicazione

della legge del 2014, si è di fronte a una moratoria, un periodo transitorio che di fatto

congela la potestà pianificatoria dei Comuni. Per dirla con i giudici, “da un lato, non è

possibile programmare nuovo consumo di suolo, dall’altro non è possibile cancellare i piani

attuativi previsti dal PGT (Piano di governo del territorio, ndr) per la sola ragione che

comportano consumo di aree agricole o di aree libere”. La moratoria dura 30 mesi, e ha

l’effetto -spiega Del Bono- di “annullare di fatto l’azione urbanistica di un ente per un

intero mandato amministrativo, che dura 5 anni”.

A questo proposito, Legambiente Lombardia, in una nota a commento della sentenza,

specifica come “il piano territoriale regionale attuativo della legge, che nell’intenzione del

legislatore avrebbe dovuto stabilire l’obiettivo regionale di riduzione del consumo di suolo,

è al palo: ad oltre due anni dall’approvazione della legge, infatti, non è ancora all’ordine del

giorno delle Commissioni del Consiglio Regionale. Eppure avrebbe dovuto essere lo

strumento da approntare rapidamente per dar modo a tutte le province e, a cascata, ai

comuni della Lombardia, di adeguare i rispettivi strumenti urbanistici agli obiettivi, peraltro

molto poco ambiziosi, di limatura delle previsioni di nuovo consumo di suolo”.

“Il percorso che ha portato il Comune di Brescia ad adottare la variante del Parco di San

Polo era stato avviato nel 2014, prima dell’approvazione della legge regionale -racconta ad

Ae Emilio Del Bono-: quando abbiamo iniziato il nostro percorso amministrativo ci siamo

resi conto che dal Dopoguerra tutti gli strumenti urbanistici approvati a Brescia inserivano

nuove superfici lorde di pavimento, ed abbiamo voluto agire in contrapposizione, anche

perché le dinamiche demografiche della città e quelle del mercato immobiliare ci portavano

a fare considerazioni di questo tipo”.

Spiega Del Bono che grazie una serie di varianti -una delle quali è quella oggetto del ricorso

dei Passerini Glazel- il Comune di Brescia ha ridotto del 42% la superficie lorda di

pavimento realizzabile secondo il PGT del 2012, da 1.122.740 metri quadrati a 650.000 mq,

e contemporaneamente è andato ad incentivare gli interventi di riqualificazione e

rigenerazione del patrimonio esistente abbattendo gli oneri di urbanizzazione per questo

tipo di interventi, fino a un massimo dell’80% in alcuni quartieri della città.

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Oltre al ricorso già deciso a metà gennaio, sulle varianti urbanistiche del Comune di Brescia

ne pendono altri: complessivamente, sono 38. Contro la prima sentenza, però, l’ente ha

deciso di presentare appello di fronte al Consiglio di Stato, “considerando che la legge

regionale presenti anche profili di incostituzionalità -sottolinea Del Bono, che è avvocato ed

è stato parlamentare per tre legislature-. La domanda che poniamo è questa: una Regione

può limitare i diritti di un Comune al punto da annullare la facoltà di intervenire sulla

pianificazione? Ciò non rappresenta un’invasione di campo?”.

Secondo Paolo Pileri, professore associato di pianificazione e progettazione urbanistica al

Politecnico di Milano, editorialista di Altreconomia a autore del libro “Che cosa c’è sotto”,

“è possibile immaginare che i giudici del TAR abbiamo tuttavia voluto offrire ai colleghi

del Consiglio di Stato un assist, scegliendo in modo accurato le parole da usare, e

richiamando nelle quindici pagine della sentenza alcune delle definizioni contrarie al buon

senso e alla natura che discendono dall’applicazione della legge regionale sul consumo di

suolo. Se una legge è fuorviante o ambigua, il suolo non lo salva”.

Pileri cita alcuni esempi: “È scritto che ‘la definizione normativa di consumo di suolo […]

ha carattere formale, ossia prende in considerazione il territorio non sulla base dello stato

dei luoghi ma per la qualifica che ne è stata data dalla zonizzazione’, ma non è vero che un

campo coltivato è una palazzina solo perché così lo designa il PGT. O, ancora, che ‘…alle

aree urbanizzate sono assimilate le aree urbanizzabili (ossia quelle che, seppure di fatto

ancora libere, sono idonee, secondo la disciplina urbanistica, a ospitare diritti edificatori)’,

anche perché i diritti edificatori non esistono senza un piano attuativo approvato o una

concessione rilasciata”. C’è, infine, un ultima nota: “Il consumo di suolo non è un concetto

naturalistico ma giuridico” si legge nella sentenza. Come aveva scritto nell’aprile dello

scorso anno Paolo Pileri sulle pagine di Altreconomia, “la superficie urbanizzata e quella

urbanizzabile diventano invece nella legge, di fatto, dei sinonimi”, e le motivazioni della

sentenza lo confermano: consumo di suolo è definito dalla trasformazione, per la prima

volta, di una superficie agricola da parte di uno strumento di governo del territorio. Non

servono cantieri, né ruspe.

www.rifondazionelombardia.it

[email protected]