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NEL PROSSIMO NUMERO SINDROMI MIELODISPLASTICHE Il percorso diagnostico • La sindrome 5q- • Le terapie emergenti • Il trapianto di cellule staminali • emopoietiche La qualità di vita • Edizioni Medico Scientifiche - Pavia EDIZIONI INTERNAZIONALI srl Editor in chief Giorgio Lambertenghi Deliliers Anno 6 Numero 1 2009 Seminari di Ematologia Oncologica Mieloma multiplo

Anno 6 Seminari 2009 di Ematologia Oncologica2013/05/02  · 2 Periodicità Quadrimestrale Scopi Seminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiorna- mento che nasce come

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NEL PROSSIMO NUMERO

SINDROMI MIELODISPLASTICHE Il percorso diagnostico • La sindrome 5q- • Le terapie emergenti • Il trapianto di cellule staminali • emopoietiche La qualità di vita •

Edizioni Medico Scientifiche - Pavia

E D I Z I O N I I N T E R N A Z I O N A L I s r l

Editor in chiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Anno 6Numero 12009 Seminari

di EmatologiaOncologica

Mielomamultiplo

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Vol. 6 - n. 1 - 2009

Edizioni Internazionali srlDivisione EDIMES

Edizioni Medico-Scientifiche - PaviaVia Riviera, 39 - 27100 Pavia

Tel. +39 0382 526253 r.a. - Fax +39 0382 423120E-mail: [email protected]

Editor in ChiefGiorgio Lambertenghi Deliliers

Università degli Studi, Milano

Editorial BoardSergio Amadori

Università degli Studi Tor Vergata, Roma

Mario BoccadoroUniversità degli Studi, Torino

Alberto BosiUniversità degli Studi, Firenze

Federico Caligaris CappioUniversità Vita e Salute, Istituto San Raffaele, Milano

Antonio CuneoUniversità degli Studi, Ferrara

Marco GobbiUniversità degli Studi, Genova

Mario PetriniUniversità degli Studi, Pisa

Giovanni PizzoloUniversità degli Studi, Verona

Giorgina SpecchiaUniversità degli Studi, Bari

Direttore ResponsabilePaolo E. Zoncada

Registrazione Trib. di Milano n. 532del 6 settembre 2007

Biologia e genetica molecolare 5ANTONINO NERI

Il paziente giovane 29ELENA ZAMAGNI, PATRIZIA TOSI, MICHELE CAVO

Il paziente anziano 47ALBERTO ROCCI, MARIO BOCCADORO, ANTONIO PALUMBO

Complicanze: aspetti clinici e terapeutici 65MARIA TERESA PETRUCCI, ANNA LEVI, FABIANA GENTILINI

Mielomamultiplo

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PeriodicitàQuadrimestrale

ScopiSeminari di Ematologia Oncologica è un periodico di aggiorna-mento che nasce come servizio per i medici con l’intenzione direndere più facilmente e rapidamente disponibili in formazioni suargomenti pertinenti l’ematologia oncologica.Lo scopo della rivista è quello di as sistere il lettore fornendo-gli in maniera esaustiva:a) opinioni di esperti qualificati sui più recenti progressi in formachiara, aggiornata e concisa;

b) revisioni critiche di argomenti di grande rilevanza pertinenti gliinteressi culturali degli specialisti interessati;

NORME REDAZIONALI

1) Il testo dell’articolo deve essere editato utilizzando il programmaMicrosoft Word per Windows o Macintosh. Agli AA. è riservata la correzione ed il rinvio (entro e non oltre 5gg. dal ricevimento) delle sole prime bozze del lavoro.

2) L’Autore è tenuto ad ottenere l’autorizzazione di «Copyright»qualora riproduca nel testo tabelle, figure, microfotografie odaltro materiale iconografico già pubblicato altrove. Tale materia-le illustrativo dovrà essere riprodotto con la dicitura «per con-cessione di …» seguito dalla citazione della fonte di provenien-za.

3) Il manoscritto dovrebbe seguire nelle linee generali la seguentetraccia:

TitoloConciso, ma informativo ed esauriente.Nome, Cognome degli AA., Istituzione di appartenenza senzaabbreviazioni.Nome, Cognome, Foto a colori, Indirizzo, Telefono, Fax, E-mail del1° Autore cui andrà indirizzata la corrispondenza.

IntroduzioneConcisa ed essenziale, comunque tale da rendere in maniera chia-ra ed esaustiva lo scopo dell’articolo.

Parole chiaveSi richiedono 3/5 parole.

Corpo dell’articoloIl contenuto non deve essere inferiore alle 30 cartelle dattiloscritte(2.000 battute cad.) compresa la bibliografia e dovrà rendere lo statodell’arte aggiornato dell’argomento trattato. L’articolo deve esserecorredato di illustrazioni/fotografie, possibilmente a colori, in file adalta risoluzione (salvati in formato .tif, .eps, .jpg). Le citazioni bibliografiche nel testo devono essere essenziali, maaggiornate (non con i nomi degli AA. ma con la numerazione cor-rispondente alle voci della bibliografia), dovranno essere numera-te con il numero arabo (1) secondo l’ordine di comparsa nel testoe comunque in numero non superiore a 100÷120.

BibliografiaPer lo stile nella stesura seguire le seguenti indicazioni o consultareil sito “International Committee of Medical Journal Editors UniformRequirements for Manuscripts Submitted to Biomedical Journals:Sample References”.

Es. 1 - Articolo standard1. Bianchi AG, Rossi EV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes in bone marrow transplantation. N Engl J Med. 2004; 232:284-7.

Es. 2 - Articolo con più di 6 autori (dopo il 6° autore et al.)1. Bianchi AG, Rossi EV, Rose ME, Huerbin MB, Melick J, MarionDW, et al. Immunologic effect of donor lymphocytes in bone mar-row transplantation. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 3 - Letter1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytes[Letter]. N Engl J Med. 2004; 232: 284-7.

Es. 4 - Capitoli di libri1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocy-tes. In: Caplan RS, Vigna AB, editors. Immunology. Milano:MacGraw-Hill; 2002; p. 93-113.

Es. 5 - Abstract congressi (non più di 6 autori)1. Bianchi AG, Rossi AV. Immunologic effect of donor lymphocytesin bone marrow transplantation [Abstract]. Haematologica.2002; 19: (Suppl. 1): S178.

RingraziamentiRiguarda persone e/o gruppi che, pur non avendo dignità di AA.,meritano comunque di essere citati per il loro apporto alla realizza-zione dell’articolo.

Edizioni Internazionali SrlDivisione EDIMES

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Via Riviera, 39 • 27100 PaviaTel. 0382526253 r.a. • Fax 0382423120

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Seminari

di EmatologiaOncologica

Periodico di aggiornamento sulla clinica e terapia

delle emopatie neoplastiche

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EditorialeEditoriale

GIORGIO LAMBERTENGHI DELILIERSUniversità degli Studi di MilanoU.O. Ematologia 1 - Centro Trapianti di MidolloFondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico,Mangiagalli e Regina Elena

Il primo numero dell’annata 2009 di Seminari diEmatologia Oncologica è dedicato al mielomamultiplo, una malattia clonale delle plasmacellu-le, riconoscibile sul piano biologico anche nellefasi più iniziali, clinicamente silenti. Si tratta diuna neoplasia che in questi ultimi anni ha potu-to beneficiare di tecnologie diagnostiche avan-zate che hanno portato all’identificazione di cito-chine e fattori di crescita che regolano la cresci-ta delle plasmacellule ed il loro rapporto con ilmicroambiente midollare. La combinazione didiversi tipi di analisi citogenetica, oncogenomi-ca e proteomica ha permesso di definire megliola complessa eterogeneità biologica del mielo-ma multiplo, e più recentemente ha contribuitoalla identificazione di nuovi fattori prognosticinonché alla creazione di modelli predittivi dirischio. Sulla base di questi sono stati formulatiprotocolli terapeutici che prevedono l’uso com-binato dei nuovi farmaci, molecolarmente mira-

ti sia verso la cellula mielomatosa sia verso lecellule accessorie responsabili dei processi diangiogenesi e di osteoclastogenesi midollare.Talidomide, bortezomib e lenalidomide, varia-mente associati al desametasone, hanno cam-biato in questi ultimi anni lo scenario terapeuti-co del mieloma multiplo, soprattutto nella fased’induzione dove il raggiungimento della remis-sione completa era fino a pochi anni prerogati-va dei regimi ad alte dosi con trapianto autolo-go di cellule staminali emopoietiche. L’impattoprognostico delle nuove combinazioni risulta evi-dente anche nei pazienti anziani, dove le rispo-ste ottimali sul piano citogenetico e molecolaresono correlate ad un significativo prolungamen-to della sopravvivenza. La diagnosi precoce e iltrattamento delle complicanze, legate sia allamalattia che alle terapie farmacologiche, hannocontribuito notevolmente a migliorare la qualitàdi vita dei pazienti con mieloma multiplo.

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n INTRODUZIONE

Il mieloma multiplo (MM) è una neoplasia incu-rabile caratterizzata dall’accumulo di plasmacel-lule (PC) maligne nel midollo osseo. Le PC mie-lomatose oltre a produrre una elevata quantità diimmunoglobuline (Ig) monoclonali che rappresen-tano il marker di laboratorio più caratteristico del-la malattia, generano una notevole e variegataquantità di citochine che stimolano le cellule stro-mali presenti nel microambiente midollare e chea loro volta favoriscono la proliferazione esopravvivenza del clone mielomatoso. Inoltre,come conseguenza di questa aberrante intera-zione si determina una attivazione degli osteo-clasti che è responsabile delle tipiche lesioniossee che si associano frequentemente allamalattia (1).Il MM può essere preceduto da una manifesta-zione premaligna denominata gammopatia

monoclonale di incerto significato (MGUS), pre-sente rispettivamente in circa l’1% ed il 3% del-la popolazione di età superiore ai 50 e 70 anni.Le plasmacellule clonali nella MGUS costituisco-no meno del 10% delle cellule del midollo osseo,sono quiescenti e non producono danni d’orga-no. È stato dimostrato che la MGUS può pro-gredire verso il mieloma con un rischio annuo dicirca l’1% e con una probabilità di progressio-ne del 25% in un periodo di 20 anni (2-4). Unafase intermedia tra MGUS e MM è rappresen-tata dal mieloma smouldering o asintomatico(SMM), che è caratterizzato da una percentua-le di plasmacellule midollari superiori al 10% edall’assenza di sintomi e danni d’organo e cheprogredisce, dopo variabili periodi di tempo, inmieloma conclamato. Il MM clinicamente attivoè caratterizzato da anemia, lesioni ossee, iper-calcemia e/o disfunzione renale, ed aumentatorischio di infezioni. Nelle fasi avanzate, il MM può progredire versouna forma extramidollare di leucemia plasmacel-lulare (PCL) che talvolta può manifestarsi comeentità primaria senza un precedente riscontro diMM intramidollare. In genere, le diverse fasi tumo-rali hanno una bassa capacità proliferativa chepuò aumentare negli stadi avanzati della malat-tia: le linee cellulari di MM (HMCL) stabilizzate invitro derivano quasi esclusivamente da formeextramidollari primarie o secondarie (Figura 1).Al momento, l’impegno più rilevante dell’attivitàdi ricerca nel mieloma multiplo è diretto allo svi-luppo di terapie molecolari mirate che possano

Indirizzo per la corrispondenza

Prof. Antonino NeriCentro di Ricerca per lo Studio delle LeucemieDipartimento di Scienze Mediche, Università di MilanoUnità Ematologia 1, CTMOFondazione IRCCs PoliclinicoMangiagalli e Regina ElenaVia F. Sforza, 35 - 20122 Milanoe-mail: [email protected]

Biologia Biologia e genetica molecolaree genetica molecolareANTONINO NERICentro di Ricerca per lo Studio delle Leucemie, Dipartimento di Scienze Mediche, Università degli Studi di Milano; Unità Ematologia 1, CTMO, Fondazione IRCCS Policlinico, Mangiagalli e Regina Elena, Milano

Antonino Neri

Parole chiave: mieloma multiplo, aneuploidia, traslo-cazioni IGH, FISH, GEP.

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6 Seminari di Ematologia Oncologica

contribuire ad una migliore durata della rispostain molti dei pazienti affetti dalla malattia. Questoè stato reso possibile dai notevoli recenti progres-si ottenuti con gli studi di citogenetica moleco-lare ed oncogenomica condotti sulle plasmacel-lule maligne e la loro controparte normale.Questi lavori sperimentali hanno aumentato lenostre conoscenze sulla patogenesi della neo-plasia, contribuendo ad una classificazionemolecolare con valenza prognostica ed alla iden-tificazione di potenziali targets terapeutici. Inoltresi è assistito ad un notevole aumento delle cono-scenze per quanto riguarda i meccanismi chefavoriscono l’adesione delle cellule mielomato-se al microambiente midollare e di conseguen-za la loro sopravvivenza, proliferazione e resisten-za ai farmaci.

n ORIGINE DELLA PLASMACELLULA MIDOLLARE

La plasmacellula del mieloma multiplo deriva dauna cellula B del centro germinativo che è stataesposta a tre specifici meccanismi di modifica-zione del DNA che interessano in modo partico-lare il gene delle catene pesanti delle Ig (IGH): laricombinazione delle regioni VDJ, la ricombinazio-ne delle regioni switch e le mutazioni ipersoma-tiche delle regioni variabili (5, 6). La ricombinazione VDJ avviene a livello dei pre-cursori B nel midollo osseo e porta alla formazio-ne del recettore specifico delle cellule B (BCR)mentre il riconoscimento e selezione antigenica,le mutazioni ipersomatiche e la ricombinazione del-

le regioni switch avvengono nel centro germina-tivo dei follicoli linfatici. In particolare, i linfociti Bcon immunoglobuline funzionali di superficie IgM(cellula B naïve) lasciano il midollo osseo ed entra-no nei tessuti linfatici secondari dove successiva-mente all’incontro con l’antigene possono:1) differenziare fuori dal centro germinativo in pla-

smacellule a breve vita (short-lived pre-germi-nal center plasma cells) che esprimono in mas-sima parte IgM e non presentano ipermutazio-ni somatiche;

2) entrare nel centro germinativo dove vannoincontro a ipermutazione somatica e selezio-ne antigenica. Le cellule che non sviluppanouna elevata affinità per l’antigene vannoincontro ad apoptosi mentre le rimanenti ritor-nano nel sangue periferico come cellule B del-la memoria oppure vanno incontro a ricombi-nazione somatica delle regioni switch con cam-bio di classe del locus IGH. Queste ultimemigrano nel midollo osseo dove interagisco-no con le cellule del microambiente midolla-re e differenziano terminalmente in plasmacel-lule a lunga vita (long-lived post-germinal cen-ter plasma cells) che sopravvivono per 30 gior-ni o anche anni (7) (Figura 2).

La elevata incidenza di neoplasie a cellule Bmature che originano da elementi del centro ger-minativo o post-centro germinativo suggerisceche alterazioni del normale re-modeling dei genidelle Ig possa rappresentare un evento impor-tante nello sviluppo delle sindromi linfoprolifera-tive (8). Una delle conoscenze maturate in que-sti anni è che nell’ambito della profonda instabi-lità ed eterogeneità genomica del MM, le traslo-

FIGURA 1 - Progressione clinica ed eventi genetici nel mieloma multiplo. Sebbene non presente in genere nello stes-so paziente, l’evoluzione naturale del MM è caratterizzata da un progressione dalla plasmacellula normale; alla MGUSdove il clone è immortalizzato, non completamente trasformato e non si accumula; a mieloma asintomatico (SMM)dove il clone è chiaramente trasformato, si accumula ma non causa danni d’organo, in particolare riassorbimento osseo;a mieloma conclamato intramidollare, ed infine a forma extra-midollare caratterizzata da elevata proliferazione.

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7Biologia e genetica molecolare

cazioni cromosomiche coinvolgenti i geni delleIg, in particolare quelli della catena pesante sul-la regione cromosomica 14q32, rappresentanolesioni frequentemente associate alle fasi inizia-li della mielomagenesi (9, 10).

n RILEVANZA DELLE ALTERAZIONICROMOSOMICHE NELLA PATOGENESI DEL MM

L’attività mitotica delle cellule tumorali del MM,rispetto a quella di altre forme di neoplasie ema-tologiche, è generalmente bassa come indicato

dai valori (<1%) di labelling index (una misura del-le cellule in fase S del ciclo cellulare) delle pla-smacellule maligne (11). Pertanto, tramite lacitogenetica convenzionale, metafasi anomalesono riscontrate solo in circa il 40% del totale deipazienti ed in circa il 20-35% dei pazienti alla dia-gnosi. La frequenza e l’estensione delle alterazio-ni cromosomiche correlano con lo stadio dellamalattia. Nelle forme extramidollari, cariotipi ano-mali sono riscontrati in circa l’80% dei casi (12,13); pertanto, molte delle alterazioni descritte dal-la citogenetica convenzionale sono caratteristichedella progressione della malattia e non delle fasiiniziali. I cariotipi sono in genere molto comples-

FIGURA 2 - Fisiologia della differenziazione plasmacellulare. Il riarrangiamento funzionale V(D)J dei geni della catena pesan-te (IGH) e leggera (IGL) delle Ig avviene in una cellula pre-B midollare. Questo elemento esprime quindi una immuno-globulina funzionale sulla sua superficie e lascia il midollo osseo come linfocita “vergine” maturo per localizzarsi a livel-lo dei tessuti linfoidi secondari. Nelle fasi precoci della risposta immune, la interazione con l’antigene stimola la forma-zione di un linfoblasto che differenzia in una plasmacellula definita a breve vita (short lived) che muore entro 3 giornie che esprime più frequentemente IgM. Tardivamente nella risposta primaria o nella risposta secondaria, il linfoblastogenerato dalla interazione produttiva con l’antigene entra nel centro germinativo del follicolo linfatico, dove va incon-tro a mutazioni ipersomatiche delle sequenze variabili dei geni delle Ig, a selezione antigenica ed a ricombinazione del-le regioni switch. Questo elemento si localizza successivamente nel midollo osseo dove differenzia in una plasmacel-lula definita a lunga vita (long lived) che può sopravvivere per circa 30 giorni o anche anni.

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8 Seminari di Ematologia Oncologica

si con alterazioni sia strutturali che numeriche: essisi presentano con più di 10 tipi di anomalie in cir-ca la metà dei pazienti e più di 20 in circa il 10%(14). Le alterazioni più frequenti riportate nel mie-loma tramite citogenetica convenzionale sonoguadagni dei cromosomi 3, 5, 7, 9q, 11q, 12q,17q, 18, 19, 21 e 22q (trisomia o tetrasomia), per-dita dei cromosomi 6q, 8, 13q, 14, 16, X (femmi-ne) e Y (monosomia o nullisomia), ed alterazionistrutturali coinvolgenti i cromosomi 14q, 14p, 16q,1q, 1p, 11q13, 19q13, 19p13, 6q, 17q, 2p12,22q11 e 7q. L’introduzione della Fluorescence inSitu Hybridization (FISH), ha permesso l’analisi del-le alterazioni genetiche nel MM indipendentemen-te dalla presenza di cellule proliferanti, dimostran-do come esse siano presenti nella quasi totalitàdei pazienti con MM (15,16). Tecnologie più avanzate e derivate dalla FISH,quali la Comparative Genomic Hybridization(CGH) (17-19) e la Multicolor Spectral Karyotiping(SKY) (20, 21) hanno permesso di esaminare ilgenoma delle cellule tumorali in modo ancora piùglobale e sensibile di quanto non ottenuto tra-mite FISH. Sebbene la SKY permetta di visua-lizzare in grande dettaglio alterazioni cromoso-miche strutturali, quali inserzioni, traslocazioni omarkers cromosomici, un suo limite importante,come anche per la CGH, è la necessità di ana-lizzare cellule in metafase.

AneuploidiaCome dimostrato da tecniche di analisi citofluo-rimetriche del DNA (22, 23) dalla citogenetica con-venzionale (11-14) e più recentemente da tecni-che di citogenetica molecolare (15-17, 19, 24-27),la quasi totalità del pazienti con MM è caratte-rizzata da aneuploidia (13, 15). Quattro categorie di aneuploidia possono esse-re definite sulla base del cariotipo: ipodiploidia(fino a 44-45 cromosomi), pseudodiploidia (da44/45 a 46/47 cromosomi), iperdiploidia (> di46/47 cromosomi), e ipotetraploidia (near-tetra-ploid) (> di 75 cromosomi) (10, 28, 29). Sulla basedella frequente presenza di perdite cromosomi-che nelle linee cellulari tetraploidi, la ipotetraploi-dia viene classificata insieme alla ipo- e pseudo-diploidia come non-iperdiploidia, osservata glo-balmente in circa la metà dei tumori primari.Quindi la rimanente metà dei casi di MM può

essere classificata come iperdiploide e si carat-terizza per trisomie a carico di un gruppo bendefinito di cromosomi quali il 3, 5, 7, 9, 11, 15,19 e 21 (10). I pazienti non-iperdiploidi sono carat-terizzati da una elevata incidenza di traslocazio-ni IGH rispetto a quelli con iperdiploidia (>85%vs <30%), come anche da una maggiore preva-lenza di delezione del cromosoma 13, delle regio-ni 16q, 8p e 1p e guadagno del cromosoma 1q(30,31). Evidenze recenti del nostro ed altri labo-ratori hanno dimostrato come i pazienti iperdi-ploidi possono essere stratificati molecolarmen-te e clinicamente in due gruppi sulla base della: 1) trisomia del cromosoma 11 o 2) delezione del cromosoma 13 e guadagno del

cromosoma 1q (32, 33).La quasi totalità delle linee cellulari di mielomasono derivate da pazienti non iperdiploidi, unaspetto da considerare quando esse vengono uti-lizzate come modello in vitro della neoplasia.

Traslocazioni cromosomiche coinvolgenti i loci delle immunoglobulineLe traslocazioni cromosomiche coinvolgenti illocus IGH sono considerate il più importantemeccanismo di attivazione oncogenica delle neo-plasie a cellule B mature e ne rappresentano unmarker distintivo. Negli ultimi anni, è emerso cheesse costituiscono anche un evento frequenteed importante implicato nelle fasi iniziali dellamielomagenesi. Studi condotti con FISH hannopermesso di predire la presenza di traslocazio-ni IGH in circa il 50% dei casi di MGUS o SMM,in circa il 55-70% dei casi di MM, in circa l’80%dei casi di PCL e nella quasi totalità delle lineecellulari (24, 34, 35). I pochi studi relativi al coin-volgimento delle catene leggere delle Ig (preva-lentemente IGL-λ) indicano che la frequenza diquesto tipo di traslocazioni è circa del 10% nel-le MGUS e del 20% nelle forme di MM intrami-dollare o avanzato (26). Diversamente da altreforme di neoplasie linfoidi, nel MM si ha una mar-cata promiscuità di loci cromosomici che pos-sono essere coinvolti nelle traslocazioni IGH(Figura 3). Quelli più frequentemente interessa-ti sono 11q13 (ciclina D1), 4p16.3 (FGFR3 eMMSET), 16q23 (MAF), 20q11 (MAFB) e 6p21(ciclina D3) che coinvolgono circa il 45% deipazienti (10) (Figura 3).

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9Biologia e genetica molecolare

Traslocazione t(11;14)(q13;q32)La presenza della traslocazione t(11;14)(q13;q32)è identificata tramite FISH in circa il 15-20% deicasi di MM (24,36-38). La traslocazione compor-ta l’attivazione costitutiva del gene della ciclina D1e può essere facilmente diagnosticata in metafa-si anomale con citogenetica convenzionale.Diversamente dalla t(11;14) associata al linfomamantellare, i punti di rottura sul cromosoma 11q13nella traslocazione associata al MM sono disper-si su una regione genomica di circa 700 kb chenon permettono quindi di identificare un cluster(37). La traslocazione può essere riscontrata nel-le MGUS (15-30%) (24, 26, 39) ed è ricorrente nel-la amiloidosi (40). La presenza della t(11;14) è stata correlata con unamorfologia di tipo linfoplasmocitico, espressionedel CD20 e forme non secernenti (36, 41-44). Leconseguenze biologiche della traslocazione riman-gono ancora da chiarire ma è stato suggerito chei casi con t(11;14) abbiano una minore capacitàproliferativa. È stato anche evidenziato che lat(11;14) nel MM non è associata ad una progno-si negativa sia per i pazienti trattati con chemio-terapia convenzionale che, in particolare, per quel-li trattati con chemioterapia ad alte dosi (HD-CTX)e trapianto autologo (ASCT) (36, 45). In linea con questi dati è stato dimostrato che laoverespressione del gene della ciclina D1 valuta-ta con RT-PCR quantitativa in pazienti con nuo-va diagnosi trattati con terapie ad alte dosi eraassociata in modo significativo ad una più lunga

durata di remissione e di sopravvivenza libera daeventi (EFS) (46).

Traslocazione t(4;14)(p16.3;q32)La t(4;14)(p16.3;q32) è una traslocazione criptica,ossia non rilevabile con citogenetica convenzio-nale a causa della posizione estremamente telo-merica delle regioni coinvolte su entrambi i cro-mosomi. Essa è specifica del MM ed è stata identificatadal nostro ed altri laboratori tramite esperimentidi clonaggio molecolare in linee e tumori prima-ri di MM (47-49). La traslocazione è riscontratatramite FISH in circa il 15-20% dei pazienti conMM e comporta la deregolazione di due geni loca-lizzati nella regione 4p16.3: il gene FibroblastGrowth Factor Receptor-3 (FGFR3) che codificaper un recettore tirosino-chinasico, ed il geneMMSET/WHSC1 che potrebbe essere coinvoltoin meccanismi trascrizionali. I punti di rottura coin-volgono una regione localizzata circa 50-100 kbcentromericamente al gene FGFR3 e che contie-ne gli esoni a 5’ e le sequenze regolatorie del geneMMSET. In modo specifico, i punti di rottura interessanola regione a 5’ del terzo esone (inizio della pro-teina) ed il terzo e quarto introne del gene con con-seguente formazione di trascritti ibridi tra esonidel gene MMSET e sequenze delle IGH sul cro-mosoma 4p derivativo che possono essere rile-vati tramite RT-PCR come dimostrato dal nostrolaboratorio (50).

FIGURA 3 - Frequenza e tipo delle traslo-cazioni Ig nel MM. Come descrittoampiamente nel testo, queste trasloca-zioni sono promiscue coinvolgendo dif-ferenti loci. Tramite FISH è possibile iden-tificare i principali tipi di traslocazione incirca il 40-45% dei pazienti con MM.

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10 Seminari di Ematologia Oncologica

Sulla base dell’attività funzionale di FGFR3 e deidati sperimentali in vitro e su modelli animali (51-54), si è sempre considerato che la sua derego-lazione nella t(4;14) potesse avere un importan-te ruolo oncogenico ed in tal senso diversi inibi-tori tirosino-chinasici sono al momento testati perun loro uso in clinica. Circa il 10% dei pazienti cont(4;14) mostrano delle mutazioni attivanti il geneFGFR3 simili a quelle associate a sindromi sche-letriche genetiche come il nanismo o la displasiatanatoforica; tali mutazioni possono rappresenta-re eventi tardivi nella progressione tumorale (55).Bisogna però tenere presente che in una frazio-ne significativa di pazienti (20-30%) con t(4;14) nonsi riscontra la overespressione di FGFR3 che nel-la maggior parte dei casi si associa alla perditadel cromosoma 14 derivativo e quindi dell’alleleFGFR3 traslocato (56, 57). Questa osservazione suggerisce che la derego-lazione di MMSET possa rappresentare la con-seguenza molecolare più importante della traslo-cazione anche se al momento la esatta funzionedel gene come anche il ruolo della sua derego-lazione nella neoplasia non sono stati chiariti. Perquanto riguarda le MGUS, la traslocazione è sta-ta riportata da alcuni studi con una frequenza del10% (26); questi dati non sono stati confermatida altri autori (24, 56). Quando riscontrata nelle MGUS, la lesione appa-re comunque essere insufficiente per la progres-sione in MM poichè i pazienti possono rimanerestabili per anni (26). Nei pazienti con MM concla-mato la traslocazione sembra essere prevalentenei pazienti con isotipo IgA ed esprimenti cate-ne leggere lamba (43, 58) e si associa a forme cli-niche aggressive rappresentando un fattore pro-gnostico sfavorevole nei pazienti trattati sia conchemioterapia convenzionale che con terapia adalte dosi (43, 56, 58, 59). Infine, non è stata osser-vata una differenza in termini di sopravvivenza inpazienti affetti dalla t(4;14) con o senza espres-sione di FGFR3 (56). Recenti studi indicano comenuovi farmaci quali gli inibitori del proteosoma(bortezomib), siano in grado di annullare la valen-za prognostica sfavorevole della lesione (60).

Traslocazione t(14;16)(q32;q23)La traslocazione t(14;16)(q32;q23) è riscontrata incirca il 5% dei casi di MM (24,58,61) e compor-

ta l’attivazione costitutiva del gene MAF, un mem-bro della famiglia dei fattori trascrizionali MAF (61).Essa appare essere specifica delle discrasie pla-smacellulari. La lesione è identificabile tramite FISH e sembraessere un evento precoce in una significativa par-te dei casi, anche se, come per la t(4;14), esisteuna certa controversia circa la sua presenza nel-le MGUS (26, 39). Oltre al gene MAF, un altromembro della famiglia, MAFB, localizzato sul cro-mosoma 20 è coinvolto in traslocazioni in circail 2% dei casi anche se in genere con partner cro-mosomici diversi dalle Ig. Dati recenti indicanoche questi geni regolano in modo positivo la tra-scrizione dei geni della ciclina D2 ed integrina B7che risultano essere fortemente espressi neipazienti con questo tipo di traslocazione (62). Daipochi dati disponibili in letteratura emerge chia-ramente che le traslocazioni coinvolgenti i geniMAF sono associate ad una prognosi sfavorevo-le (58).

Traslocazioni dei geni MYCTraslocazioni coinvolgenti geni MYC, in massimaparte c-MYC, sono assenti o rari nelle MGUS, masono riscontrate in circa il 15% dei MM, nel 40% delle forme avanzate and in circa il 90% del-le linee cellulari (10, 94, 95). Queste traslocazioni sono molto eterogenee ecomplesse interessando più cromosomi e spes-so non coinvolgono i geni delle Ig (definite cometraslocazioni secondarie). Quindi si ritiene che que-ste lesioni rappresentino eventi tardivi, associatialla progressione che avviene quando le cellulemielomatose diventano indipendenti dal microam-biente midollare. Al contrario la elevata espres-sione biallelica di c-MYC che è in genere presen-te anche nelle fasi precoci della neoplasia è il risul-tato della stimolazione da parte della IL6 o di altrecitochine importanti nella sopravvivenza e proli-ferazione plasmacellulare. In uno studio di FISHdel nostro laboratorio condotto su 14 linee e 70pazienti di cui 7 affetti da PCL, sono state iden-tificati riarrangiamenti di c-MYC in 11 linee e 3pazienti (2MM ed una PCL) mentre extra-segna-li o localizzazioni anomale del gene sono statiidentificati in 2 MM e 5 PCL (96). Le implicazio-ni cliniche e prognostiche delle alterazioni del genec-MYC, non sono ancora ben definite; uno stu-

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dio recente di Avet-Loiseau et al. non ha rileva-to un effetto di questi riarrangiamenti sulla pro-gnosi (59).Sulla base delle conoscenze attuali, descritte pre-cedentemente, è ipotesi comune che esistano duemodelli patogenetici nel MM che interessanoognuno circa il 50% dei pazienti: uno caratteriz-zato dalla presenza della iperdiploidia e dallo scar-so coinvolgimento delle traslocazioni cromosomi-che IGH e l’altro definito come non-iperdiploideed associato ad una elevata frequenza di traslo-cazioni IGH. In ogni caso, sembrano esserci 3eventi genetici particolarmente precoci nella mie-lomagenesi e che si presentano parzialmente coe-sistenti:1) le traslocazioni IGH mediate da errori nella

ricombinazione switch e/o nelle ipermutazio-ni somatiche nel centro germinativo;

2) la iperdiploidia associata a trisomia di speci-fici cromosomi;

3) la delezione/monosomia del cromosoma 13. Dati più recenti suggeriscono che anche il gua-dagno del cromosoma 1q possa costituire unevento precoce anche se è maggiormente eviden-te il suo ruolo nella progressione tumorale. Altrelesioni come le mutazioni dei geni RAS e delpathwayNFkB si associano frequentemente a for-me di mieloma conclamato, mentre delezioni delgene p53, del pathway RB1 e traslocazioni MYCsi riscontrano prevalentemente in forme avanza-te ed aggressive (Figura 4). Infine, un eventoimportante che si associa alla quasi totalità deiMM è la deregolazione di uno dei geni della fami-glia delle cicline D. Sebbene i dati disponibili sem-brano indicare che la overespressione delle cicli-ne non determini un aumento della proliferazio-ne, si ritiene comunque che esse possono ren-dere le cellule mielomatose più suscettibili agli sti-moli proliferativi quali quelli legati alla interazionecon le cellule stromali del microambiente midol-

FIGURA 4 - Eventi genetici nella progressione del mieloma multiplo. La progressione è associata ad una sempre mag-giore instabilità cariotipica responsabile della elevata aneuploidia che caratterizza la neoplasia. Le traslocazioni che coin-volgono i geni delle Ig, la iperdiploidia, la delezione del cromosoma 13, il guadagno del cromosoma 1q sembrano esse-re eventi precoci. La linea tratteggiata indica che non si è certi della presenza della lesione (vedi testo per ulteriori det-tagli).

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lare che esprimono IL6, IGF1 o altre citochine(Figura 4).

Delezione 13qCome dimostrato da diversi studi di FISH, la dele-zione 13q è presente in circa il 40-50% dei casie rappresenta una delle più frequenti alterazio-ni nel MM (63-65). La perdita del cromosoma 13qè riscontrata in circa il 10-20% dei casi tramitecitogenetica convenzionale. La delezione è associata in modo positivo ad uncerto numero di alterazioni citogenetiche quali latraslocazione t(4;14) o t(14;16) (in circa il 90% deicasi), la presenza di extracopie del cromosoma1q e di un condizione di non-iperdiploidia (10,24). Per quanto riguarda le MGUS i dati sonoancora controversi con studi di FISH che indi-cano una frequenza di circa il 20% suggerendoche la lesione possa essere coinvolta nella evo-luzione della neoplasia (24) ed altri che riporta-no frequenze comparabili a quelle del MM (26,66). In questo contesto bisogna segnalare chela delezione 13q è stata riscontrata in un rangetra il 75 e 90% del clone neoplastico con unafrazione di pazienti che può presentare delle per-centuali inferiori al 65% (65, 67, 68). Questi dati suggeriscono che la delezione 13qè un evento secondario che può dare un van-taggio proliferativo alla plasmacellula maligna. Idati a disposizione indicano inoltre che la dele-zione 13q è dovuta nel 90% dei casi ad unamonosomia del cromosoma 13 mentre la presen-za di una minima regione di delezione nei rima-nenti casi rimane ancora controversa (68, 69). Sulla base dei diversi metodi di analisi (citoge-netica convenzionale o FISH) la delezione 13qè associata ad una prognosi sfavorevole sia intermini di risposta alla terapia che di EFS e disopravvivenza totale (OS) nei pazienti trattati conchemioterapia convenzionale, HD-CTX e ASCTo trapianto allogenico (14, 45, 63, 65). Importantenotare che recenti dati indicano che la delezio-ne 13q mantiene il suo significato prognosticoin pazienti trattati con HD-CTX ed ASCT solo seassociata alla traslocazione t(4,14) e/o delezio-ne 17p (59). Infine recenti dati ottenuti su pazienti refrattari oin recidiva suggeriscono che la delezione 13qperde il suo significato prognostico dopo tratta-

mento con inibitori del proteosoma quali il bor-tezomib (60).

Delezione 17p13La inattivazione tramite delezioni monoalleliche omutazioni del gene oncosoppressore p53 loca-lizzato sulla regione 17p13 è associata con la pro-gressione tumorale in un gran numero di tumoriumani. Anche nell’ambito del MM, la inattivazio-ne del gene p53 appare essere un fenomeno piùfrequente negli stadi avanzati della malattia. Ingenerale, delezioni 17p13 sono osservate in cir-ca il 10% dei casi di MM mentre mutazioni inat-tivanti il gene p53 sono state osservate nel 5%dei pazienti alla diagnosi, 20-40% dei pazienti infase avanzata/PCL e in più del 60% delle lineecellulari (70-73). La delezione di p53 è associataad una prognosi sfavorevole sia dopo chemiote-rapia convenzionale o terapie ad alte dosi (38, 58,59, 74, 75).

Alterazioni del cromosoma 1Le anomalie del cromosoma 1 rappresentano unadelle più frequenti alterazioni citogenetiche nel MMcon un frequenza di circa il 45-50% dei casi (10,76). È stato ampiamente dimostrato come il brac-cio corto del cromosoma 1 sia più frequentemen-te coinvolto in delezioni, mentre il braccio lungo,1q, sia associato con guadagni ed amplificazio-ni. Il guadagno del cromosoma 1q può avveniretramite formazione di un isocromosoma, duplica-zione o fenomeni di jumping translocation. È sta-to inoltre riportato che il guadagno del cromoso-ma 1q si associa a cariotipi complessi ed in par-ticolare alla delezione 13q e traslocazione t(4;14),ed in genere a forme aggressive della neoplasia(10). In uno studio recente del nostro laboratorio con-dotto su plasmacellule purificate di 77 pazienti alladiagnosi, il guadagno del cromosoma 1q è sta-to riscontrato tramite FISH in 40 pazienti (52%),la maggior parte dei quali (75%) mostrava un soloextra-segnale. La lesione era presente nella tota-lità del clone neoplastico in quasi tutti i pazienti(37/40) e correlava significativamente in modoinverso alla presenza della iperdiploidia ed inmodo diretto con la delezione del cromosoma 13(77). Diversi dati hanno dimostrano recentemen-te come il guadagno del cromosoma 1q sia una

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lesione che aumenta durante la progressionetumorale del MM, dalla condizione di MGUS(15%), a quella di SMM e MM conclamato (45%)fino alle forme in recidiva (70%), quindi suggeren-do che queste regioni contengano geni critici nel-la progressione della neoplasia (78, 79). Infine, èstato dimostrato su un largo numero di pazientiche il guadagno del cromosoma 1q rappresentaun fattore di rischio negativo significativo ed indi-pendente associato ad una ridotta EFS e OS, adun più alto rischio di progressione da SMM a MM,e ad una sopravvivenza inferiore dopo recidiva(79).

Mutazioni attivanti dei geni RASMutazioni attivanti i geni N- e K-RAS rappresen-tano una lesione ricorrente nel MM: infatti, essesono state riscontrate in circa il 30% dei tumorialla diagnosi e in circa il 45% delle linee cellula-ri di MM (80-82). La prevalenza di questa altera-zione è molto bassa nelle forme di MGUS (circail 5%) e per contro non si modifica significativa-mente durante la progressione della malattia: que-ste osservazioni supportano l’ipotesi secondo laquale le mutazioni di RAS possano essere un mar-ker della transizione MGUS-MM (80, 83). Recentistudi indicano che la presenza di mutazioni di RASè sostanzialmente più elevata nei MM che espri-mono alti livelli di ciclina D1 rispetto a quelli cheoveresprimono ciclina D2 (83). La presenza di mutazioni di RAS non è correla-ta con la delezione del cromosoma 13q, con latrisomia del cromosoma 11, con l’amplificazionedel cromosoma 1q o con lo stato di iperdiploidia.L’analisi d’e spressione genica globale ha rivela-to differenze nel profilo trascrizionale tra linee cel-lulari continue con e senza mutazioni di RAS, men-tre non si sono osservate variazioni nell’analisi diplasmacellule da pazienti (81). Questa osservazione, unitamente al fatto che nonè stato riscontrato alcun significato prognosticodelle mutazioni di RAS, supporta l’ipotesi che que-sta alterazione nel MM debba essere considera-ta nel contesto di altre anomalie genetiche.

Alterazioni attivanti il pathway NF-kBNelle plasmacellule normali si evidenzia l’attiva-zione del pathway NFkB, a cui almeno in partecontribuisce l’attivazione di TACI e BCMA attra-

verso i ligandi BAFF e APRIL prodotti dalle cel-lule midollari (84). Recentemente due lavori indi-pendenti hanno evidenziato come nelle plasma-cellule mielomatose il pathway di NFkB risulti ulte-riormente attivato come conseguenza di anoma-lie genetiche (85, 86). Utilizzando le tecniche di gene expression profi-ling (GEP) ed arrayCGH si sono riscontrate talialterazioni in circa il 20% dei pazienti e nel 40%delle linee cellulari di MM. Più in particolare si èosservata overespressione di NIK, NFkB2, NFkB1,CD40, LTBR e TACI, tutti geni che codificano perproteine che attivano la via di NFkB. Inoltre si èriscontrata l’attivazione di questo pathway dovu-ta all’attività alterata di inibitori quali TRAF3, clAP1,clAP2, CYLD e TRAF2. Da questi studi sembra che sia la via canonicache quella non canonica di NFkB siano implica-te in queste alterazioni, anche se l’importanza spe-cifica delle due vie non è ancora stata chiarita. Inuno di questi studi è stato anche riportato che neipazienti che presentano alterazioni nello stato diattivazione di NFkB, il desametasone è poco effi-cace rispetto al bortezomib, mentre i due farma-ci hanno simile attività negli altri pazienti (86).

Inattivazione di geni oncosoppressoriOltre alle cicline D, altri componenti del pathwaydel gene oncosoppressore RB1 sono frequente-mente deregolati nel MM. I geni p16/INK4a ep15/INK4b sono ipermetilati in circa il 30% deicasi di MGUS e MM, come anche nella maggiorparte delle linee di MM in coltura (10, 87, 88). Studirecenti hanno dimostrato che i MM possono espri-mere scarsi o assenti livelli di p16, indipendente-mente dal fatto che il gene sia ipermetilato, sug-gerendo quindi che la metilazione possa rappre-sentare un epifenomeno (89, 90). Comunque, sebbene una mutazione germ-line dip16 in un allele e la delezione nel rimanente siastata riportata in un singolo paziente con MM (91),resta ancora da chiarire se la inattivazione di p16sia un evento importante e presumibilmente pre-coce nella patogenesi del MM. Al contrario, appare evidente dai dati disponibiliche il gene p18/INK4c possa avere un ruolo cru-ciale nello sviluppo e proliferazione plasmacellu-lare. Infatti, una delezione biallelica di p18 è sta-ta osservata in circa il 30% delle linee in coltura

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ed in una frazione significativa di tumori con piùalto indice proliferativo (92). Inoltre la overespres-sione costitutiva del gene in linee che mancanodelle sua espressione, inibisce in modo significa-tivo l’attività proliferativa delle stesse. Infine, la inat-tivazione del gene RB1 localizzato sulla regioneq14 del cromosoma 13, si riscontra in circa il 10%delle linee in coltura ma rappresenta un raro e tar-divo evento nei pazienti con MM (93).

n MM E MICROAMBIENTE MIDOLLARE

Il microambiente del midollo osseo è costituitoda una matrice extracellulare (ECM) formata dadiverse proteine tra cui osteopontina, fibronec-tina, collagene e laminina, da cellule ematopo-ietiche e da cellule accessorie che includono cel-lule stromali (BMSC), cellule endoteliali (BMEC),osteoclasti ed osteoblasti (97). Le cellule accessorie sono in gran parte respon-sabili della produzione e secrezione di citochi-ne e fattori di crescita che supportano e modu-lano non solo la crescita, la sopravvivenza e ladifferenziazione delle plasmacellule ma anche illoro homing e adesione al midollo, i processi diangiogenesi e di osteoclastogenesi (98, 99).Numerosi studi in vitro ed in vivo hanno ormaidimostrato la rilevanza del microambiente midol-lare nella patogenesi del MM. Infatti nella malattia risulta profondamente alte-rata la situazione di omeostasi che regola l’in-terazione cellula-cellula e cellula-matrice attra-verso la complessa modulazione svolta da cito-chine, chemochine e fattori di crescita. Gli effet-ti di tali alterazioni, che si ripercuotono anche sul-le altre cellule del microambiente, hanno comeconseguenza non solo l’espansione del cloneplasmacellulare maligno ma anche un’aumenta-ta capacità angiogenica e l’acquisizione di resi-stenza ai farmaci da parte delle cellule tumora-li, nonchè la formazione di lesioni litiche dell’os-so (100).

Localizzazione ed adesione delle cellule di MM nel midollo osseoLa localizzazione homing delle cellule di MM nelmidollo è principalmente mediata dall’interazio-

ne della chemochina SDF1a con il suo recetto-re CXCR4 espresso dalle cellule di MM, cheinduce la migrazione delle cellule di MM in vitro.Inoltre numerose molecole d’adesione interven-gono a favorire l’homing delle cellule di MM allamatrice o alle cellule accessorie, quali CD44,VLA4, VLA5, LFA1, NCAM, ICAM1, syndecan 1e MPC1. VLA4 espresso dalle cellule di MM indu-ce l’adesione al ECM attraverso la fibronectinae conseguente up-regolazione di p27 ed attiva-zione di NFkB nelle cellule di MM; questo even-to determina la resistenza ai farmaci adesione-mediata (101, 102). L’adesione al ECM mediata dal legame del syn-decan 1, espresso in molte cellule di MM, conil collagene determina l’espressione di MMP1con conseguente aumento della massa tumo-rale e riassorbimento dell’osso (103). La mole-cola di syndecan 1 nella sua forma solubile sup-porta la crescita delle cellule mielomatose e unsuo livello sierico elevato correla con una pro-gnosi sfavorevole (104).

Interazione tra cellule di MM, BMSC e BMECL’adesione delle cellule di MM a BMSC innescauna sequenza di eventi importanti che coinvol-gono diverse citochine. L’attivazione di NFkBdetermina la trascrizione e secrezione da partedelle cellule stromali di IL-6 il più importante fat-tore di crescita per le plasmacellule, con con-seguente stimolo per la crescita, la sopravviven-za, la resistenza ai farmaci e capacità di migra-zione delle cellule tumorali (105). Inoltre le stes-se cellule di MM localizzate nel microambientemidollare producono a loro volta citochinecome TNFa, TGFb e VEGF che ulteriormente sti-molano la produzione di IL6 (106-108).L’attivazione di NFkB inoltre determina l’espres-sione di molecole di adesione e citochine chefavoriscono ulteriormente il legame tra cellule diMM e BMSC. Ad esempio, il legame tra CD40 espresso dallecellule di MM e il suo ligando sulle cellule midol-lari determina l’up-regolazione di LFA1 e VLA4che favoriscono l’adesione alle cellule stromalie stimolano la produzione e secrezione di IL6 eVEGF. Anticorpi diretti contro CD40 inibisconoquesti processi ed al momento è in fase di valu-

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tazione un loro utilizzo nella terapia del MM, con-fermando una strategia terapeutica che hacome target il microambiente midollare. Oltre aNFkB sono attivati altri pathways quali le vie ditrasmissione dei segnali mediati da P13K/AKT,MEK, ERK, JAK2 e STAT3. L’effetto complessi-vo di questi eventi è la up-regolazione di protei-ne che regolano il ciclo cellulare, quali le ciclineD, e di proteine antiapoptotiche, quali BCL-XL,MCL1 ed inibitori delle caspasi (Figura 5). Conseguentemente all’interazione tra le cellulemielomatose e il compartimento delle cellulestromali avviene l’adesione alle cellule endote-liali, che determina la produzione di citochine ad

attività angiogenica, quali VEGF, bFGF e metal-loproteinasi (109). La presenza di queste citochine insieme conquelle prodotte da BMSC determina la forma-zione di nuovi microvasi sanguigni, che suppor-tano ulteriormente la crescita delle cellule tumo-rali (110, 111). Nel microambiente midollare ven-gono quindi ad instaurarsi circuiti autocrini e/ oparacrini mediati da fattori di crescita, citochi-ne e fattori angiogenici che sono responsabilidella progressione della malattia. Infatti il livellodi angiogenesi midollare è aumentato nei pazien-ti con MM avanzato e costituisce un marker pro-gnostico negativo (112). Per questo la neovasco-

FIGURA 5 - Interazione tra cellula di mieloma e microambiente midollare. Il legame delle plasmacellule alle cellule stro-mali del midollo osseo (BMSCs) attiva e favorisce l’adesione delle cellule di mieloma, la loro crescita e sopravvivenza.In particolare, questo legame induce l’attivazione del pathway NFkB che upregola una serie di molecole di adesionesia sulle cellule di MM che sulle stesse BMSCs; le citochine secrete dalle plasmacellule a loro volta attivano la secre-zione di IL-6, tumor necrosis factor b (TNFa), vascular endothelial growth factor (VEGF). A loro volta, tutta una serie dicitochine secrete dalle BMSCs possono attivare diversi pathways molecolari (Jak/STAT3, PI3K/AKT, NFkB e/o MAPK)nella plasmacellula.

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larizzazione del midollo costituisce un target tera-peutico soprattutto nelle forme di MM piùavanzate: la talidomide per esempio inibisce lasecrezione da parte delle cellule endoteliali diVEGF, bFGF e HGF, la proliferazione di questecellule ed il processo di capillarogenesi (113-115).

Interazione tra cellule di MM, osteoclasti ed osteoblastiUna ulteriore conseguenza dell’homing delle cel-lule di MM nel midollo è un’alterazione dell’at-tività osteoclastica che si manifesta con riassor-bimento dell’osso e lesioni litiche dello stesso(116). Il processo di osteoclastogenesi è princi-palmente regolato dall’equilibrio tra RANKL eOPG prodotti dalle cellule stromali e dagliosteoblasti (117). RANKL si lega al suo recettore RANK espressodagli osteoclasti, stimolando la loro differenzia-zione ed attività, mentre OPG si lega a RANKLe ne previene l’attività, inibendo quindi la matu-razione degli osteoclasti (118, 119). L’interazionetra cellule di MM e cellule stromali sposta que-

sto equilibrio a favore di RANKL, promuovendola formazione di lesioni litiche dell’osso (120,121). Inoltre un altro meccanismo contribuiscealla distruzione dell’osso nel MM: le cellule mie-lomatose secernono MIP1a che ulteriormenteinduce la formazione di osteoclasti indipenden-temente da RANKL. Livelli plasmatici aumenta-ti di MIP1a si riscontrano nei pazienti di MM conlesioni ossee (122, 123). La presenza di lesioni ossee nel MM sono anchedovute ad una diminuita attività degli osteobla-sti. Infatti il legame di VLA4 espresso dalle cel-lule di MM con VCAM1 sui progenitori osteobla-stici down-regola il fattore trascrizionale RUNX2che modula la differenziazione degli osteoblastidalle cellule mesenchimali staminali (124, 125).Questo processo è anche regolato da DKK1, uninibitore del pathway canonico di Wnt che si ritro-va upregolato nelle biopsie midollari di pazien-ti con MM. La via di Wnt è particolarmenteimportante in quanto regola anche il rapportoRANKL/OPG e pertanto costituisce un potenzia-le target terapeutico (126, 127) (Figura 6).

FIGURA 6 - Fisiopatologia del riassorbi-mento osseo nel MM. Le cellule di MMsecernono una serie di fattori, in partico-lare MIP1a e TNFa, che inducono la atti-vazione degli osteoclasti. Inoltre esseinducono una elevata produzione diligando per il recettore RANK (RANKL)che determina un’alterazione del norma-le rapporto funzionale con le molecole diosteoprotegerina (OPG) che è un inibi-tore funzionale di RANKL. Inoltre, le cel-lule mielomatose contribuiscono alladeregolazione di molecole (DDK1,RUNX2) che alterano il normale proces-so di differenziazione e maturazione fun-zionale degli osteoblasti a partire dallacellula mesenchimale.

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La rilevanza delle interazioni tra microambientemidollare e cellule di MM nella progressione del-la malattia e nella resistenza ai farmaci ha evi-denziato la necessità di nuovi farmaci e/o asso-ciazione tra farmaci diversi che abbiano cometarget molecole e pathways alterati in questespecifiche funzioni. Questi farmaci interagisco-no con molecole di superficie presenti sulla pla-smacellula tumorale quali CD40 e CS1 oppuresono diretti verso citochine e loro recettori comeFGFR3, IGF1, VEGF e BAFFR. Altri sono picco-le molecole inibitrici di particolari vie di trasmis-sione dei segnali all’interno della cellula qualiMEK, NFkB, PKC, Cycline D, AKT e proteoso-ma. Attualmente tali farmaci sono in via di spe-rimentazione in trials clinici. Tuttavia la comples-sità delle alterazioni genetiche della cellula mie-lomatosa e le conseguenti alterazioni nell’ambi-to delle interazioni con il microambiente midol-lare suggeriscono la necessità di terapie com-binate di più farmaci che permettano di aumen-tare la citotossicità e di superare il problema del-la resistenza ai farmaci.

n IL RUOLO DELL’ANALISI GENOMICA NELLA CLASSIFICAZIONE MOLECOLARE E PROGNOSTICA DEL MM

Lo sviluppo e l’applicazione di tecnologie di DNAmicroarray ha contribuito notevolmente in questiultimi anni allo studio della genomica della cellu-la tumorale sia in ambito pre-clinico che clinico.A questo proposito uno strumento utile è la com-binazione di diversi tipi di analisi molecolare, qua-li la FISH e i DNA microarrays, per la definizionesia del profilo di espressione genica globale (GEP)che del profilo DNA genomico (genotyping array). Gli studi di GEP condotti in diversi laboratori, inclu-so il nostro (128-131), hanno rivelato che le cel-lule mielomatose sono contraddistinte da un pat-tern trascrizionale distinto da quello delle plasma-cellule normali. Al contrario le plasmacellule di mie-loma multiplo non sono distinguibili da quelle deipazienti con MGUS o PCL, mentre pattern di genidifferenzialmente espressi coinvolti nel controllodel ciclo cellulare, nella modificazione del DNA,nella proliferazione ed apoptosi, sono identifica-

bili confrontando plasmacellule di MGUS e quel-le di PCL (Figura 7). Più recentemente Zhan et al.utilizzando analisi di tipo non supervisionato sugeni differenzialmente espressi tra MGUS e MM,hanno identificato un gruppo di MM con un pro-filo trascrizionale definito come “MGUS-like”che presentavano dei parametri clinici favorevo-li ed una più lunga sopravvivenza; questo profi-lo trascrizionale era associato alla maggior par-te dei pazienti che mostravano una sopravviven-za superiore ai 10 anni dall’inizio della terapia (132).L’analisi GEP ha contribuito alla definizione di nuo-ve classificazioni molecolari del mieloma multiplocon rilevanza sia biologica che clinica. In tal sen-so un aspetto importante è che molte delle alte-razioni genetiche presenti nel mieloma multiplo,quali quelle che portano alla attivazione dei geniFGFR3, ciclina D1 o MAF possono essere iden-tificate con GEP; inoltre studi di GEP hanno evi-denziato come la deregolazione di almeno uno dei3 geni delle cicline D 1-3 che controllano il pas-saggio dalla fase G1 alla fase S del ciclo cellula-re, sia associata alla quasi totalità dei pazienti conMM. Sulla base di questa evidenza, Bergsagel etal hanno proposto una classificazione molecola-re basata sulla presenza delle maggiori trasloca-zioni IGH e sull’espressione in GEP dei geni del-le cicline (133). Questa classificazione definita come TC (translo-cation cyclins) riconosce cinque gruppi, TC1-5.In particolare, il gruppo TC1 è caratterizzato dal-le traslocazioni t(11;14) o (6;14) ed overespressio-ne rispettivamente della ciclina D1 o D3; i grup-pi TC4 e TC5 dall’espressione della ciclina D2 erispettivamente dalla traslocazione t(4;14) o daquelle coinvolgenti i geni MAF; il gruppo TC2 daassenza di traslocazioni note e moderata espres-sione di ciclina D1; il gruppo TC3 da espressio-ne della ciclina D2, ciclina D1+D2 o assenza diespressione di entrambi. Studi condotti nelnostro laboratorio indicano questi gruppi con lasola eccezione del gruppo TC3, sono caratteriz-zati da specifici profili di espressione (134). In par-ticolare il gruppo TC2, rappresentato nella mag-gioranza dei casi da pazienti iperdiploidi, è carat-terizzato dall’overespressione di geni coinvolti nel-la biosintesi proteica. Questa classificazione ha una sua potenzialeapplicazione clinica in quanto si basa su markers

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FIGURA 7 - A) Analisi non-supervisionata dei profili di espressione genica di plasmacellule purificate (CD138+) da 11MGUS, 121 MM e 9 PCL e da 4 donatori sani (N). La matrice è stata generata usando un algoritmo di clustering gerar-chico. I campioni sono raggruppati sulla base dei livelli di espressione dei trascritti (595 sonde) che variano maggior-mente nell’intero dataset. Non si osserva un raggruppamento distinto delle tre forme di discrasia plasmacellulare, men-tre i casi di MGUS sono parzialmente raggruppati con la componente normale.*= MGUS; += PCL. B) Rappresentazionedei profili di espressione dei trascritti (283 sonde) identificati come differenzialmente espressi nell’analisi supervisiona-ta multi-classe di 11 MGUS, 121 MM e 9 PCL, effettuata con il software Significant Analysis of Microarrays (SAM). Siosservano geni positivamente/negativamente modulati in modo specifico nelle classi MGUS e PCL, mentre è eviden-te una marcata eterogeneità nel profilo di espressione della classe dei MM. In (A) e (B) ciascuna colonna rappresentaun campione e ciascuna riga un gene. La barra colorimetrica indica le variazioni di espressione genica relative norma-lizzate rispetto alla deviazione standard. La classificazione TC è riportata per i 121 casi di MM. (Hideshima et al., 2004;Agnelli et al., 2005).

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facilmente individuabili con l’analisi in FISH; al tem-po stesso ha dei limiti in quanto la definizione deicut-off per l’espressione dei geni delle cicline nonè un criterio facile; non vengono identificati ipazienti iperdiploidi; il significato clinico-biologi-co dei pazienti con espressione della ciclina D2rimane ancora da chiarire. Successivamente, Zhanet al. sulla base di uno studio di GEP su piatta-forma Affymetrix in 414 MM alla diagnosi ed uti-lizzando un’analisi di tipo nonsupervisionato, han-no proposto una classificazione molecolare delMM in sette gruppi (135) caratterizzati da: una ove-respressione di geni coinvolti nel controllo del ciclocellulare e della proliferazione (gruppo PR per pro-liferazione); una bassa espressione di geni coin-volti nelle lesioni ossee, quali gli antagonisti delpathway wnt come dickkopf 1 (DDK1) and friz-zeld B, ed un basso numero di alterazioni osseefocali alla risonanza magnetica (gruppo LB = lowbone disease); una overespressione dei geniMMSET/WHSC1 e FGFR3 (gruppo MS perMMSET); una overespressione di geni ciclina D1o D3 (gruppi CD-1 e CD-2); una overespressio-ne dei geni MAF o MAFB (gruppo MF); presen-za di iperdiploidia (gruppo HY). Questi autori hanno evidenziato sulla base di unfollow-up medio di 36 mesi, che i pazienti inclu-si nei gruppi PR, MS e MF avevano una progno-si in termini di OS e EFS significativamente peg-giore dei pazienti nei gruppi HY, CD-1, CD-2 e LB.Successivamente, utilizzando la stessa casistica,questi autori hanno identificato un gruppo di 70geni la cui bassa (19 geni) o alta espressione (51geni) è in grado di classificare i pazienti ad altorischio dimostrando inoltre come 17 di questi genisiano in grado da soli di predire la prognosi in que-sto gruppo di pazienti (136). Questo classificatore si è mostrato essere un fat-tore indipendente nel predire l’outcome clinico inuna analisi multivariata che includeva la stadia-zione ISS e le traslocazioni cromosomiche.Interessante il fatto che circa il 30% di questi 70geni sia localizzato sul cromosoma 1 con la mag-gior parte dei geni upregolati localizzati sul cro-mosoma 1q e quelli downregolati sul cromoso-ma 1p. Un gene fortemente upregolato è CKS1B,un membro della famiglia di proteine CKs/Suc1che modulano l’attività di proteine kinasi cicline-dipendenti. In particolare, CKS1B promuove la

degradazione ubiquitina-mediata del gene sop-pressore p27 facilitando la progressione del ciclocellulare. È stato dimostrato come il knockout diCKS1B in cellule di mieloma porta ad un accu-mulo di p27 ed ad un aumento dell’apoptosi sup-portando quindi il ruolo putativo della deregola-zione di CKS1B nella neoplasia (132). Più recentemente, Decaux et al. hanno presen-tato uno studio dell’Intergruppo Francese delMieloma (IFM) derivato dall’analisi GEP di 182pazienti trattati con terapie ad alte dosi e trapian-to autologo (137). Questo studio ha permesso diindividuare, tramite analisi di tipo supervisionato,un pattern trascrizionale caratterizzato da 15 geniassociato in modo significativo alla sopravviven-za ed in grado di identificare pazienti ad altorischio con maggiore accuratezza rispetto ai cri-teri di stadiazione quali ISS e la FISH. Questomodello è stato validato su un test set di 82pazienti ed in tre serie indipendenti di pazienti perun numero complessivo di 853 casi. È importan-te considerare che questo studio è stato condot-to su una piattaforma accademica e quindi nondisponibile commercialmente, e che nessuno dei15 geni identificati da questi autori era incluso nel-la lista dei 70 geni descritti da Shaughnessy etal. (136, 136).La introduzione della tecnica di arrayCGH (aCGH)e più recentemente, quella che si basa su arrayscon oligonucleotidi specifici per polimorfismi a sin-golo nucleotide (SNP-array) ha permesso di esa-minare a livello globale ed in modo sensibile lealterazioni genomiche nelle cellule tumorali ingenerale, e di mieloma in particolare (33, 138, 139).Entrambe le tecniche non richiedono la presen-za di metafasi ma sono in grado di visualizzarein particolare anomalie numeriche, quali delezio-ni o guadagni di regioni cromosomiche, ma nonalterazioni strutturali, quali le traslocazioni cromo-somiche. In particolare, la tecnica di SNP-arrayutilizzando sequenze polimorfiche presenti nelnostro genoma con una frequenza di una ogni 300basi, permette la identificazione di regioni di dele-zione o di guadagno con una alta risoluzione dicirca 2.5 kb (139). Questa tecnica è stata sviluppata da Affymetrixe si è evoluta rapidamente nel corso di pochi annidai primi arrays che contenevano circa 10.000SNPs a quelli odierni specifici per circa 1.5x106

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SNP (139). È importante il fatto che le informa-zioni ottenute non solo ci permettono di individua-re alterazioni nel numero di copie alleliche maanche di identificare l’allele presente. Quest’ultimo dato consente di identificare delleregioni caratterizzate da perdita di eterozigosità(LOH), in particolare quelle che non si accompa-gnano a perdita allelica e che sono in genere ilrisultato di fenomeni di disomia uniparentale (140).Questo tipo di alterazione che può essere di note-vole importanza nella biologia del tumore, non èevidenziabile con citogenetica convenzionale oFISH (138). La condizione più comune di LOH identificata tra-mite SNP-arrays è la monosomia del cromoso-ma 13 come dimostrato in uno studio recente suuna serie limitata di pazienti con MM (138). Altreregioni di LOH frequenti nella neoplasia includo-no il cromosoma 1p, 6q, 8p e 16q. È risultato evi-dente come in alcuni casi di monosomia 13, ladelezione interessava differenti alleli in sottopo-polazioni diverse. Per quanto riguarda il cromo-soma 16q è stata dimostrata la presenza di LOHin tre regioni distinte che si associano alla signi-ficativa riduzione di alcuni geni quali CYLD (unregolatore negativo di NFkB pathway) nella regio-ne 16q12 e WWOX (un putativo gene oncosop-pressore) nella regione 16q23 (141).Nel nostro laboratorio, abbiamo analizzato unpannello rappresentativo di 41 MM e 4 PCL,mediante un approccio integrato di analisi diFISH, genotipizzazione (SNP-arrays) ed espres-sione genica. La prima parte dello studio ha riguardato la mes-sa a punto di un sistema di normalizzazione deidati di genotipizzazione generati su SNP micro-array che prevede la correlazione tra il numerodi copie (CN) identificate mediante analisi in FISHed il valore inferito mediante analisi in microar-ray per ciascuna delle regioni di cui il dato di FISHrisultava disponibile. L’algoritmo implementatoconsente la redistribuzione dei valori generatimediante microarray, utilizzando come valori diriferimento i dati di FISH ed indicanti il correttoCN. Questo ha consentito l’individuazione, nor-malmente mascherata nelle analisi convenziona-li di genotipizzazione mediante SNP microarray,di una consistente frazione di pazienti con MMil cui genoma è affetto da ipotetraploidia. È sta-

ta quindi applicata un’analisi di clustering gerar-chico, che ha consentito di evidenziare come ilguadagno del braccio lungo del cromosoma 1,la condizione di iperdiploidia e le delezioni dei cro-mosomi 13 e 14 sono le principali aberrazionigenetiche che guidano il raggruppamento deicampioni; i casi caratterizzati da uno stato di ipo-tetraploidia sono distinguibili come gruppo bendefinito (Figura 8). In generale, oltre ai guadagnia carico della regione 1q e dei cromosomi coin-volti nell’iperdiploidia, perdite di copie alleliche acarico delle regioni 4p, 6q, 8p e 16q sono stateevidenziate con un’alta frequenza. È stata suc-cessivamente compiuta un’analisi della perditadi eterozigosi (LOH) sulla base dei dati generatisu microarray. Il quadro delineato nel nostro pan-nello di MM prevede la presenza di almeno trescenari:1) LOH in presenza di delezioni mono- o bialle-

liche (il più frequente);2) LOH in assenza di perdita allelica (CN≥2), sug-

gestivo di disomia uniparentale;3) l’assenza di LOH anche quando il CN inferito

indica perdita allelica, suggestivo della presen-za di subcloni contenenti due differenti alleli.

I profili genomici e la presenza di LOH sono sta-ti quindi correlati con i dati di espressione geni-ca. Un’analisi supervisionata multi-classe dei pro-fili di espressione genica dei campioni, suddivisinei cluster precedentemente identificati, ha evi-denziato il coinvolgimento per lo più di trascritticaratteristici della signature del guadagno delbraccio cromosomico 1q e dell’iperdiploidia,descritte in precedenti pubblicazioni (32, 77, 142).Successivamente, un’analisi di correlazione fra ilivelli normalizzati di espressione genica e le varia-zioni locali di CN ha confermato il forte effetto didosaggio genico, in particolare associato a tra-scritti localizzati nella regione 1q. Questi risultatisuggeriscono come alterazioni nei profili diespressione genica nel MM siano in parte ricon-ducibili all’acquisizione di specifiche anomaliegenomiche strutturali. Un’ulteriore correlazione èstata stabilita tra la presenza di LOH e la diminu-zione dei livelli di espressione di specifici geni,identificando una stretta correlazione per unnumero consistente di geni localizzati nella regio-ne 16q22 e per il gene RB1 in 13q14. In genera-le la perdita di eterozigosi (dovuta sia a delezio-

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ne sia a disomia uniparentale) può rappresenta-re una spiegazione al silenziamento genico in alcu-ne regioni cromosomiche nel MM, come conse-guenza di meccanismi epigenetici (quali adesempio l’ipermetilazione a carico di regioni di pro-mozione) regolanti la trascrizione.Infine, la recente scoperta dei geni microRNA(miRNA), una classe di piccoli RNA non codifi-canti coinvolti nella regolazione del ciclo cellula-re e nei programmi di sopravvivenza e differen-ziazione, ha aggiunto un ulteriore livello di com-plessità alla biologia della cellula normale e tumo-rale. Tramite la complementarietà a specifichesequenze di trascritti codificanti proteine, imiRNA dirigono il silenziamento dell’mRNA per

mezzo della degradazione del messaggero o del-la repressione della traduzione (143). Un’alterataespressione dei miRNA è già stata dimostrata innumerosi tumori solidi e, più recentemente, inalcuni disordini ematologici (144-146). Ad oggi,sono state riportate solo poche evidenze diespres sione/deregolazione dei miRNA nel MM:recentemente è stato dimostrato che miR-21 puòessere indotto da STAT3 e mediare la sopravvi-venza IL6-indotta di HMCL (147). Successivamente, Pichiorri et al. hanno riporta-to i risultati di un’analisi di miRNA microarray edi PCR quantitativa real-time (Q-RT-PCR) condot-ta su HMCL, PC di pazienti con MM o MGUS edi controlli normali, mostrando un gruppo di

FIGURA 8 - Istogramma delle frequenze alleliche in un pannelo di 41 MM and 4 PCL analizzate con SNP-array: GeneChip®

Human Mapping 50k Xba 240 (Affymetrix). Nell’asse verticale è indicato il numero dei campioni mentre nell’asse oriz-zontale sono indicati i diversi cromosomi. Sono mostrate le frequenze alleliche dei quattro maggiori gruppi che origi-nano da un’analisi di cluster gerarchico sulla stessa casistica. Cluster 1: prevalenza di pazienti con delezione del cro-mosoma 13 e delezione dei cromosomi 1p, 4p, 14q e 16q; Cluster 2: prevalenza di pazienti ipotetraploidi/quasi-tetra-ploidi; Cluster 3: prevalenza di pazienti iperdiploidi; Cluster 4: prevalenza di pazienti con delezione del cromosoma 13e guadagno del cromosoma 1q.

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miRNA differenzialmente espressi che possonoessere associati con la trasformazione e progres-sione della neoplasia (148). Dati recenti del nostrolaboratorio utilizzando un approccio genomicointegrato hanno rivelato l’espressione coordina-ta di alcuni miRNA intronici coi loro geni ospitideregolati nel MM. In particolare, abbiamo moni-torato i valori di espressione dei trascritti dei geniospiti, generati su un microarray a oligonucleo-tidi Affymetrix, in un pannello di 20 HMCL, iden-tificando i geni ospiti di miRNA la cui espressio-ne variava in modo significativo nel dataset. È sta-to così possibile evidenziare una correlazionesignificativa tra i livelli di espressione di tre geni,MEST, EVL e GULP1, e quelli dei corrisponden-ti miRNA, rispettivamente miR-335, miR-342-3pe miR-561 che è stata confermata anche in tumo-ri primari. I target putativi predetti dei miRNA e iprofili trascrizionali associati coi tumori primarihanno suggerito come MEST/miR-335 eEVL/miR-342-3p possano avere un ruolo nell’ho-ming delle PC e/o nelle interazioni col microam-biente midollare (149). Queste prime evidenze suggeriscono, come giàampiamente osservato in altri tumori, che i miRNApossono giocare un ruolo critico anche nel MM,e il loro profilo di espressione potrebbe aggiun-gere un ulteriore livello alla comprensione dellasua patogenesi. L’integrazione dei dati ottenuticon approcci multipli di tecnologie d’avanguar-dia contribuirà ad incrementare l’affidabilità e lasignificatività delle nostre indagini, e a fornire unasinergia di informazioni in grado di consentire l’in-dividuazione di nuovi pathway patogenetici e nuo-vi trattamenti terapeutici nel MM.

n CONCLUSIONI

Gli studi sulla caratterizzazione molecolare del MMhanno aumentato notevolmente le nostre cono-scenze sulla complessa eterogeneità clinico/bio-logica della neoplasia contribuendo alla definizio-ne di nuovi sottogruppi ed ad una loro migliorestratificazione prognostica. In tal senso, gruppigenetici ad alto rischio, come i pazienti con t(4;14),sembrano poter beneficiare di nuove terapie, qua-li il bortezomib, per superare l’impatto prognosti-co sfavorevole anche dopo terapie ad alte dosi.

Pertanto, è sempre più attuale la necessità diincludere l’analisi genetica nella pratica clinica inmodo da guidare la prognosi ed il tipo di tratta-mento. Al tempo stesso, la disponibilità di tecno-logie avanzate ad alta risoluzione per l’analisi diespressione e del profilo genomico ha dato la pos-sibilità di definire meglio l’eterogeneità della neo-plasia. Nel prossimo futuro, sarà auspicabile chequeste conoscenze possano essere traslate nel-la pratica clinica in modo tale da rendere semprepiù mirata la scelta terapeutica.

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29

Il mieloma multiplo (MM) è una malattia neopla-stica dell’adulto anziano caratterizzata dalla pro-liferazione ed accumulo nel midollo osseo di lin-fociti B e di plasmacellule e dall’aumentata pro-duzione di immunoglobuline monoclonali, com-plete o incomplete (componente M), rilevabili nelsiero e/o nelle urine. Occasionalmente, in meno del 5% dei pazienti,può non essere presente una componente M sie-rica o urinaria; in tal caso il MM viene definito nonsecernente e per il monitoraggio della taglia neo-plastica e delle sue variazioni in corso di terapiaè utile il dosaggio delle catene leggere libere sie-riche (serum free light chain assay) (1). All’aumentata produzione di immunoglobulinemonoclonali, alle loro peculiari caratteristiche chi-mico-fisiche, all’espansione della massa neopla-stica e, soprattutto, alla produzione paracrina edautocrina di citochine sono associati i caratte-ristici quadri clinici di presentazione della malat-tia, tra cui si distinguono, per incidenza e seve-rità, la patologia osteoporotica-osteolitica dell’ap-parato scheletrico, l’interessamento renale e l’au-mentata morbilità infettiva (2).

La tabella 1mostra i criteri per la diagnosi di MM,recentemente revisionati nella stesura delle ulti-me linee guida internazionali (3). La terapia del MM ha preso formalmente avvio apartire dagli anni ’50-’60 con l’introduzione delmelfalan e prednisone, farmaci che sono rimastiessenziali per decenni, e che rivestono ancoraoggi un ruolo di rilievo nell’armamentario terapeu-tico. L’incapacità di altri agenti chemioterapici, dasoli o in combinazione, di influire positivamentesul prolungamento della sopravvivenza, media-mente pari a circa 3 anni, ha portato ad un perio-do di sostanziale stagnazione terapeutica per oltre20 anni.

Indirizzo per la corrispondenza

Prof. Michele CavoIstituto di Ematologia e Oncologia Medica “Seràgnoli”Università degli Studi di BolognaPoliclinico S. Orsola-MalpighiVia Massarenti, 9 - 40138 Bolognae-mail: [email protected]

Il paziente Il paziente giovanegiovaneELENA ZAMAGNI, PATRIZIA TOSI, MICHELE CAVOIstituto di Ematologia e Oncologia Medica “L. e A. Seràgnoli”, Università di Bologna

TABELLA 1 - Criteri per la diagnosi di mieloma multiplo(necessari tutti e tre)*.

1 Plasmacellule midollari ≥10% e/o presenza di pla-smocitoma confermato istologicamente

2 Presenza di componente monoclonale nel siero e/onelle urinea

3 Disfunzione d’organo correlata al MM (1 o più)b:[C] Calcio elevato nel siero (calcemia >10.5 mg/L osuperiore ai valori normali)[R] Insufficienza renale creatinina >2 mg/dL)[A] Anemia (Hb <10 g/dL o 2 g <normale)[B] Lesioni osteolitiche o osteoporosic

*Salmon. Lo stadio IA diventa MM indolente o smouldering.aSe non è rilevabile una componente monoclonale (MM non secernen-te), è richiesta una infiltrazione plasmacellulare midollare ≥30% e/o unplasmocitoma dimostrato istologicamente. bPossono occasionalmente presentarsi altre disfunzioni d’organo: que-ste sono sufficienti a porre diagnosi di MM se dimostrate essere cor-relate al mieloma. cSe è presente solo osteoporosi o una singola lesione e/o plasmocito-ma solitario dimostrato istologicamente è necessaria una infiltrazioneplasmacellulare midollare ≥0%.

Michele Cavo

Parole chiave: mieloma multiplo, chemioterapia ad altedosi, trapianto autologo, nuovi farmaci.

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30 Seminari di Ematologia Oncologica

Agli inizi degli anni ’80 l’introduzione della che-mioterapia con melfalan ad alte dosi seguito daltrapianto di progenitori emopoietici, autologhi eallogenici, ha aperto una nuova era terapeuticadel MM. In aggiunta, nuovi e ancora più promettenti sce-nari terapeutici sono andati delineandosi nell’ar-co degli ultimi 10 anni grazie alla disponibilità difarmaci non antiblastici, in grado di esercitare lapropria attività, oltre che sulle cellule neoplasti-che, anche sulle cellule del microambiente midol-lare, il cui ruolo è cruciale nel promuovere la cre-scita e la progressione del clone mielomatoso enell’indurne la resistenza alla terapia. Esempi paradigmatici di questa nuova classe difarmaci entrati nella pratica clinica quotidiana sonola talidomide ed i suoi analoghi immunomodula-tori, in particolare la lenalidomide, e l’inibitore delproteasoma PS-341 (bortezomib). La dimostrazione dell’elevata efficacia dei nuovifarmaci nei pazienti con MM ricaduto/refrattario,non più responsivi alla chemioterapia, e dei loropeculiari meccanismi d’azione hanno fornito lebasi razionali per lo sviluppo di recenti protocol-li basati sull’impiego di talidomide, bortezomib,lenalidomide in combinazione con vecchie e con-solidate terapie nelle fasi precoci di malattia, alloscopo di aumentare la citotossicità e di supera-re la farmacoresistenza, incrementando così lepossibilità di prolungare la sopravvivenza globa-le (OS). Una recente analisi ha dimostrato un significati-vo prolungamento della OS dalla diagnosi di MMe dopo la ricaduta di malattia negli ultimi dieci anni,dopo l’introduzione dei nuovi farmaci nella prati-ca clinica (4).In questa rassegna, saranno presentate e discus-se le principali opzioni terapeutiche del pazien-te con MM giovane (di età inferiore a 65 anni),con particolare riferimento all’uso della chemio-terapia ad alte dosi con supporto di cellule sta-minali ed alla recente introduzione delle nuovemolecole nel contesto di programmi di trapian-to autologo. Allo stato attuale, il generale consenso dellacomunità scientifica è che un trattamento deb-ba essere iniziato solo nei pazienti che abbianoun MM sintomatico con danno d’organo, comedefinito dalle recenti linee guida (Tabella 1) (3).

n CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI CON SUPPORTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE AUTOLOGHE

Singolo trapianto autologoPionieristicamente impiegato agli inizi degli anni’80 in un piccolo numero di pazienti con MM adalto rischio e refrattario, il melfalan ad alte dosicon supporto di progenitori emopoietici, dappri-ma midollari, e più recentemente del sangue peri-ferico, rappresenta uno dei capisaldi della tera-pia di prima linea per pazienti con MM ed età infe-riore a 65 anni. Benché il trapianto autologo nongarantisca la guarigione del MM, esso aumentasignificativamente la percentuale di raggiungi-mento della remissione completa (RC) (di circail 20-30% in diversi studi di fase II) (5,6) e, sep-pure senza univoca dimostrazione, prolunga lasopravvivenza libera da eventi (EFS) e la OS (conraggiungimento di valori mediani pari a circa 4-5 anni), con una mortalità che attualmente è paria quella della chemioterapia convenzionale (1-2%) (7, 8). Dopo quasi 30 anni di pratica clinica,infatti, questa procedura è ormai standardizzatae diffusa a livello internazionale, tanto da rappre-sentare il 25% dei trapianti autologhi con sup-porto di cellule staminali eseguiti in Europa e negliStati Uniti (9).Le basi razionali per l’applicazione del trapiantoautologo nel MM risiedono sulla esistenza in vitroed in vivo di un effetto dose-risposta per il mel-falan, con conseguente superamento della che-mio resistenza. La formale dimostrazione dellasuperiorità del singolo trapianto autologo nei con-fronti della chemioterapia convenzionale nellaterapia di prima linea del MM deriva da alcunitrials randomizzati che saranno oggetto di ana-lisi per quanto concerne le loro peculiarità e dif-ferenze. Due ampi studi prospettici randomizzati condot-ti dall’ Intergroupe Francophone du Myélome(IFM) (IFM-90) (10) e dal Medical ResearchCouncil (MRC) (11), hanno mostrato un signifi-cativo incremento della percentuale di raggiun-gimento della RC, fino a valori pari a circa il 30-40%, con la chemioterapia ad alte dosi ed un pro-lungamento della sopravvivenza libera da even-ti (EFS) e della OS di circa 12 mesi e 15 mesi,

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rispettivamente (Tabella 2). Più recentemente,sono state pubblicate le analisi finali di altri 3 stu-di randomizzati, che non hanno confermato inmodo univoco il vantaggio in OS del trapiantoautologo rispetto alla chemioterapia convenzio-nale. In particolare, uno studio francese del grup-

po MAG (Myèlome-autogreffe group), mirato apazienti con età compresa tra 55 e 65 anni, hariportato solo un trend per una prolungata EFS,senza una significativa differenza in OS, ed unasignificativa estensione del tempo senza sinto-mi e alla successiva terapia (TWISTT: time

TABELLA 2 - Risultati dei principali studi di singolo e doppio trapianto autologo nel MM.

Studio/Trial Comparazione Random N. paz. Follow-up RC (%) (p) EFS (mediana, OS (mediana,mediano (mesi) mesi) (p) mesi) (p)

Attal ®CHT vs Pre-terapia 200 108 5 vs 22 18 vs 28 44 vs57(IFM 90) autotx (≥nCR) (.01) (.03)

midollo (.001) (a 7 aa 20%vs 35%)

Child ®CHT vs Pre-terapia 401 42 8 vs 44 20 vs 32 42 vs 54(MRC VII) autotx (.001) (.001) (.04)

PBSC (a 4 aa 46%vs 55%)

Bladè ®CHT vs Paz. 216 66 11 vs 30 34 vs 43 67 vs 65(PETHEMA) autotx responsivi (.002) (NS) (NS)

PBSC all’induzione

Barlogie CHT NA 304 114 n.r. vs 41 16 vs 37 43 vs 79(TT1 e (controlli (.0001) (.0001)SWOG) storici) vs (a 10 aa 15%

TT1 vs 33%)(doppio autotx)

Fermand ®CHT vs Pre-terapia 190 120 NR 19 vs 25 47 vs 47(MAG 91) autotx PBSC (.07) (NS)

Attal ®singolo vs Pre-terapia 399 75 42 vs 50 25 vs 30 48 vs 58(IFM 94) doppio autotx (≥nCR) (.03) (.01)

(NS) (a 7 aa 21% vs 42%)

Cavo ®singolo vs Pre-terapia 321 55 33 vs 47 23 vs 35 65 vs 71(BO 96) doppio autotx (≥nCR) (.001) (NS)

(.008)

Fermand ®singolo vs Pre-terapia 193 53 39 vs 37 31 vs 33 49 vs 73(MAG 95) doppio autotx (≥VGPR) (NS) (NS)

(NS)

Segeren ®singolo vs Pre-terapia 303 68 13 vs 28 20 vs 22 55 vs 60(HOVON) doppio autotx (.002) (.01) (NS)

Goldshmidt ®singolo vs Pre-terapia 210 NR NR 23 vs 29 NR(GMMG-HD2) doppio autotx (.03)

Note: RC remissione completa, EFS sopravvivenza libera da eventi, OS sopravvivenza globale, CHT chemioterapia convenzionale, PBSC cellule staminali delsangue periferico, ®randomizzato, TT1 total therapy I, IFM Intergroupe francophone du myèlome, MRC medical research council, PETHEMA programma parael estudio y tratamiento de las hemopatìas malignas, SWOG South west oncology group, HOVON Hemato-oncologie voor volwassen nederland, BO Bologna,MAG Myèlome autogreffe, GMMG german speaking myeloma multicenter group, auto tx autotrapianto, n.r. non raggiunta, p significatività statistica, NS nonsignificativo, nCR remissione quasi completa, NA non applicabile, NR non riportato.

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without symptoms, treatment and treatmenttoxicity) (12). Un secondo studio dell’intergrup-po americano SWOG (Southwest OncologyGroup) non ha riportato una significativa differen-za in termini sia di raggiungimento della RC chedella EFS e OS tra la chemioterapia convenzio-nale e la chemioterapia ad alte dosi (13). Infineil terzo studio del gruppo cooperatore spagno-lo PETHEMA (Programma para el Estudio de laTerapéutica en Hemopatia Maligna) prevedeva larandomizzazione dei soli pazienti responsivi allachemioterapia di induzione, escludendo quindi ipazienti a prognosi peggiore (chemio resistenti)che potevano maggiormente beneficiare dellaterapia ad alte dosi. I risultati di questo protocollo dimostrano un signi-ficativo incremento delle percentuali di RC a favo-re dei pazienti randomizzati a ricevere il trapian-to autologo (30% vs 10% nel gruppo di control-lo), senza evidenziare alcun vantaggio in termi-ni di EFS e OS (14). La controversia tra questi cinque studi è in par-te sicuramente imputabile alla eterogeneità neidisegni dei protocolli e alla differente durata delfollow-up, che li rendono tra loro poco parago-nabili. In particolare differivano significativamen-te i criteri di randomizzazione dei pazienti, la dura-ta e l’intensità della dose della chemioterapia con-venzionale, la dose di melfalan impiegata comecondizionamento al trapianto, la terapia di man-tenimento post trapianto o post chemioterapiaed infine la percentuale di pazienti che effettua-vano il cross over tra il braccio di confronto e lachemioterapia ad alte dosi (Tabella 2).In considerazione degli elementi appena riporta-ti e dei risultati degli studi IFM e MRC, nelle lineeguida stilate dal National Comprehensive CancerNetwork, versione 2.2009, il trapianto autologo èraccomandato come terapia standard per pazien-ti ad esso candidati per età e/o assenza di comor-bidità. Pur in presenza dei vantaggi offerti dal singolo tra-pianto autologo rispetto alla chemioterapia a dosiconvenzionali in termini di incremento significa-tivo della percentuale di ottenimento della RC eprolungamento del tempo alla progressione(TTP), in tutti gli studi pubblicati è rilevabile unaassoluta mancanza di plateau nelle curve di EFSe OS, segno di incapacità di eradicazione del clo-

ne neoplastico da parte di una singola linea di che-mioterapia sovramassimale con supporto di pro-genitori emopoietici autologhi. Nel tentativo di migliorare i risultati terapeuticiattraverso una riduzione del rischio di ricaduta oprogressione della malattia, in alcuni studi sonostate investigate procedure di purging (depurazio-ne) delle cellule tumorali contaminanti la sorgen-te di progenitori emopoietici (15, 16). Nonostantesia stata dimostrata la possibilità di ridurre signi-ficativamente la quota di cellule mielomatosemidollari o presenti nel sangue periferico, l’unicostudio controllato sino a questo momento pub-blicato non ha evidenziato alcun beneficio clini-co dei pazienti così trattati, in termini di OS e EFS(17).Come già accennato, uno degli elementi di discor-danza tra gli studi riportati era rappresentato daidiversi regimi di condizionamento al trapianto,comprensivi o meno della irradiazione corporeatotale (TBI). Il confronto tra queste differenti pro-cedure è stato oggetto di uno studio randomiz-zato condotto dall’IFM che ha consentito di dimo-strare la minore tossicità ematologica ed extra-ematologica di melfalan alla dose di 200 mg/mqnei confronti della combinazione melfalan alladose di 140 mg/mq + TBI (18). Sulla base dei risul-tati di questo studio, il solo melfalan ad alte dosiè attualmente ritenuto essere la migliore terapiapre-trapianto autologo.Non sono disponibili studi prospettici randomiz-zati relativi all’efficacia e tossicità del trapiantoautologo in pazienti di età inferiore a 65 anni e coninsufficienza renale cronica. Ciononostante, da evi-denze derivate da studi non controllati apparechiaro come la procedura sia fattibile, e ad unrischio contenuto, soprattutto utilizzando dosi dimelfalan opportunamente ridotte (sino a 140-100mg/mq) (19, 20).

Doppio trapianto autologoLa correlazione in vivo tra la dose di melfalan ela risposta alla terapia, da un lato, e la rapida rico-stituzione emopoietica assicurata dall’impiego delsangue periferico come fonte di cellule stamina-li, dall’altro lato, hanno portato all’esplorazione,alla fine degli anni ’90, del ruolo del doppio tra-pianto autologo a supporto di due linee sequen-ziali di chemioterapia ad alte dosi, con l’obietti-

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33Il paziente giovane

vo di aumentare la probabilità di ottenimento del-la RC e di prolungare la durata di controllo dellamalattia e l’OS. Il primo studio prospettico di dop-pio trapianto autologo, noto con il nome di TotalTherapy I (TT1), e sviluppato dal gruppo di LittleRock (US), mostrava una percentuale di RC al ter-mine del programma terapeutico pari al 40%, conuna mortalità complessiva non superiore al 3%(21). Con un follow-upmediano di 12 anni, il 30% deipazienti arruolati nel protocollo era vivo a 10 anni,il 15% era libero da eventi ed il 18% mantenevauna condizione di RC. Successivamente, sonostati eseguiti alcuni studi prospettici randomizza-ti volti a paragonare il doppio con il singolo auto-trapianto, i cui principali risultati sono riassunti nel-la Tabella 2. Lo studio randomizzato francese IFM 94, volto aparagonare il singolo verso il doppio autotrapian-to, non ha evidenziato una differenza statistica-mente significativa nella percentuale di raggiun-gimento della RC, mentre è risultato significativol’incremento della EFS e OS a favore del grupporandomizzato a ricevere due autotrapianti di PBSC(42% a 7 anni vs 21% e 20% vs 10% a 7 annirispettivamente) (22). Un secondo ampio studiorandomizzato condotto dal gruppo italiano diBologna ha mostrato l’ottenimento di una mag-gior percentuale di RC (con negatività o positivi-tà dell’immunofissazione sierica) nei pazienti ran-domizzati a ricevere due trapianti, un prolunga-mento significativo (pari a circa 12 mesi) dell’EFSa favore del doppio autotrapianto mentre non hamostrato una differenza significativa in termini diOS tra i due gruppi analizzati (23). Nella tabella 2 sono riportati gli altri studi rando-mizzati di singolo vs doppio autotrapianto, i cuirisultati sono stati contrastanti, soprattutto perquanto concerne l’OS (24-26). A ciò hanno contribuito la differente durata del fol-low-up, l’elevato drop-out rate dei pazienti rando-mizzati al doppio trapianto ma che non l’hanno mairicevuto, l’applicazione del secondo autotrapian-to come terapia della ricaduta dei pazienti rando-mizzati ad un singolo trapianto autologo e l’impat-to dei nuovi farmaci come terapia di salvataggio.Tanto nello studio italiano che in quello francesei maggiori benefici clinici del doppio autotrapian-to sono stati conseguiti in quei pazienti che non

avevano ottenuto una risposta maggiore (RC oalmeno una VGPR) dopo il primo trapianto auto-logo (22, 23). Sulla base di questi risultati, nelle lineeguida stilate dal National Comprehensive CancerNetwork, versione 2.2009, il secondo trapiantoautologo è ritenuto essere una possibile opzioneterapeutica da offrire ai pazienti con risposta nonottimale dopo il primo autotrapianto. Nel tentati-vo di migliorare ulteriormente i risultati terapeuti-ci, più recentemente sono stati disegnati nuovi pro-tocolli, come la total therapy 2 (TT2), nei quali ildoppio trapianto autologo era preceduto da unachemioterapia di induzione intensificata e segui-to da una terapia di consolidamento, con o sen-za l’aggiunta di talidomide (27). In questi studi è stato inoltre evidenziato l’impat-to prognostico sfavorevole sull’outcome del dop-pio trapianto di almeno due fattori: le alterazionicromosomiche (delezione/monosomia del cromo-soma 13, delezione di p53, traslocazioni coinvol-genti il cromosoma 14 sul locus IgH) (28-32) e ele-vati livelli di b2-m alla diagnosi (33). Viceversa, peruna piccola percentuale di pazienti, considerati abasso rischio per l’assenza di anomalie cariotipi-che e per bassi livelli di b2 microglobulina, esisteun plateau nelle curve di sopravvivenza post tra-pianto (34).

n INTEGRAZIONE DEI NUOVI FARMACI CON IL TRAPIANTO AUTOLOGO

La dimostrata efficacia dei nuovi farmaci nel trat-tamento del MM in fase avanzata e refrattaria harappresentato il presupposto del loro successi-vo impiego in pazienti con malattia di nuova dia-gnosi, portando a numerosi studi clinici in pazien-ti giovani, candidati a programmi di terapia ad altedosi con trapianto autologo. In questo contesto,i nuovi farmaci sono stati impiegati nell’intento diraggiungere i seguenti obiettivi: a) massimizzare la riduzione della taglia neopla-

stica prima della chemioterapia ad alte dosi(nuovi farmaci nel regime di induzione pre-tra-pianto);

b) consolidare e migliorare la RC ottenuta dopoil trapianto autologo e, conseguentemente pro-lungare la PFS e OS (nuovi farmaci nel con-solidamento e mantenimento post-trapianto).

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34 Seminari di Ematologia Oncologica

L’introduzione dei nuovi farmaci nei regimi di indu-zione pre-trapianto ha drasticamente modificatoil ruolo della chemioterapia convenzionale, in par-ticolare della combinazione vincristina, adriami-cina e desametasone ciclico (VAD), che ha rap-presentato, per oltre 20 anni (35), la terapia di ele-zione in preparazione al trapianto autologo (36).Di seguito verranno discussi i principali protocol-li comprensivi di nuovi farmaci integrati nel con-testo della chemioterapia ad alte dosi con sup-porto di progenitori emopoietici autologhi, di cuisiano ad oggi disponibili le analisi definitive o irisultati ad interim.

Talidomide in preparazione al trapiantoautologo (Tabella 3)La talidomide ha riscattato un passato nefastoe tristemente famoso grazie alla sua efficacia,dimostrata dapprima in pazienti con MM refrat-tario/ricaduto e, successivamente, come terapiadi prima linea. Con quest’ultima indicazione il far-maco è stato recentemente registrato negli StatiUniti, dove attualmente costituisce la terapia piùfrequentemente utilizzata nel MM di nuova dia-gnosi. Hanno contribuito a questo successo dapprimai risultati di tre studi pilota di fase II nei quali veni-va riportata una risposta alla combinazione tali-domide-desametasone (TD) in un range compre-so tra il 62% ed il 72% (comprensivo di una per-centuale di CR pari all’8-12%) (37-39) e, più recen-temente, di uno studio randomizzato di fase IIIdimostrante la superiorità di TD nei confronti del-la terapia con solo desametasone in termini di pro-babilità di risposta (63% vs 41%, rispettivamen-te; P=.001) (40) e TTP (22.6 mesi vs 6.5, p<0.001).In uno studio retrospettivo case-matched inpazienti candidati a ricevere un doppio trapiantoautologo, l’impiego della combinazione TD cometerapia di prima linea si è dimostrata offrire unsignificativo vantaggio rispetto al classico regimeVAD in termini di una più elevata probabilità diottenimento della risposta ≥PR (76% vs 52%,rispettivamente; P=.0004), senza interferire nega-tivamente con la capacità di raccogliere un ade-guato numero di PBSC (41). La superiorità di TD rispetto a VAD prima del tra-pianto autologo è stata recentemente conferma-ta da uno studio prospettico randomizzato fran-

cese, il cui obiettivo primario era la valutazionedell’ottenimento di una riduzione della componen-te M di almeno il 90% (VGPR). In questo studio,il significativo incremento del rate di VGPR a favo-re di TD nei confronti del VAD prima della raccol-ta di cellule staminali (24.7% vs 7.3%, rispettiva-mente; P=.002) non si è però poi tradotto in unincremento altrettanto significativo della VGPR afavore di TD dopo il trapianto autologo (42).In aggiunta al desametasone, la talidomide è sta-ta anche studiata in associazione ad uno o piùfarmaci chemioterapici convenzionali come tera-pia di induzione prima del trapianto autologo. Inquesto contesto, tre studi prospettici randomiz-zati hanno dimostrato la più elevata percentualedi risposta ottenuta con l’associazione talidomi-de-doxorubicina-desametasone (TAD) nei con-fronti del classico VAD (risposta ≥ VGPR: 33% vs15%, rispettivamente; P=.001 dopo la terapia diinduzione e 49% vs 32%, rispettivamente;P=.001 dopo il trapianto) (43,44) oppure con tali-domide associata ad un regime VAD-simile neiconfronti del medesimo regime privo di talidomi-de (risposta ≥ PR: 81% con 15% CR vs 63% con12% CR, rispettivamente; P=.048) (45). Molto promettente, soprattutto per quanto con-cerne l’elevata probabilità di ottenimento dellaRC, è anche la combinazione ciclofosfamide,tali-domide, desametasone (CTD) testata prospetti-camente nell’ambito di un protocollo randomiz-zato condotto dall’MRC. Infine, l’inserimento ditalidomide nel contesto di una chemioterapiaintensificata di induzione e di consolidamentosomministrate, rispettivamente, prima e dopo ildoppio trapianto autologo (total therapy 2) (TT2)è stata riportata una probabilità di CR pari al 62%vs 43% per il medesimo regime privo di talido-mide; P<.001) (46). In due di questi studi l’inserimento di talidomideha comportato anche un prolungamento signifi-cativo della sopravvivenza libera da progressio-ne di malattia (PFS) e della sopravvivenza liberada eventi (EFS). Nonostante una prima analisi del-lo studio TT2 non mostrasse un vantaggio disopravvivenza nei pazienti che ricevevano talido-mide, un recente aggiornamento dell’analisi conun follow-up più prolungato ha mostrato inveceun significativo prolungamento della OS neipazienti a prognosi sfavorevole per la presenza

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TABELLA 3 - Risultati dei principali studi con talidomide in preparazione al, o nel contesto del, trapianto autologo.

Talidomide + Desametasone nell’induzione pre-trapianto

Studio/Trial N. pazienti CR/nCR ≥VGPR ≥RP EFS/PFS OS TVP(%) (%) (%) (mediana) (%) (%)

Rajkumar 2006 103 CR 4 NR 63 PFS 22 mesi 72 a 2 anni 17(ECOG E1A00,TD vs D fase III)

Rajkumar 2008 235 CR 8 44 63 PFS 15 mesi NR 11.5(MM03, TD vsD fase III)

Cavo 2005 100 CR 13 19 76 NR NR 15(TD vs VAD case match)

Macro 2006 100 NR 35 66 NR NR 23(TD vs VAD,fase III)

Talidomide + altri farmaci chemioterapici nell’induzione pre-trapianto

Goldschmidt 2005/ 201 4 33 72 NR NR 8Lokhorst 2008 (no profilassi)(GMMG-HD3-HOVON 50 TAD vs VAD, fase III)

Zervas 2007 117 15 63 81 PFS 59% 77% a 8(T-VAD-doxil vs a 2 anni 2 anniVAD-doxil fase III)

Barlogie 2006 323 19 NR 60 EFS 65% 24(TT2, fase II) 62 post tx NR 86 post tx 56% a a 5 anni

5 anni

Morgan 2007 124 CR 19 38 87 NR NR NR(MRC Myeloma 51 post txXI CTD vs C-VAD, fase III)

Talidomide in mantenimento

Autore Terapia PFS N. pazienti Prec terapia

Stewart 2004 TAL 200/TAL 400 81% a 1 aa 45/22 Tx auto

Attal 2006 ®TAL vs osserv 56% a 3 aa vs 197 vs 197 Tx auto34% a 3 aa

Abdelkefi 2008 ®TAL per 6 mesi vs 85% a 3 aa vs 98 vs 97 Tx autodoppio auto tx 57% a 3 aa

Barlogie 2008 ®TAL vs no TAL 55% a 5 aa vs NR Tx auto40% a 5 aa

Note: NR non riportato RP risposta parziale, EFS event free survival PFS progression free survival , N° paz numero pazienti, T talidomide D desametasoneVAD vincristina adriblastina desametasone TAD talidomide adriamicina desametasone TT2 total therapy 2 MRC medical research council CTD ciclofosfami-de talidomide desametasone C ciclofosfamide CR remissione completa nCR remissione quasi completa VGPR remissione parziale di ottima qualità PR rispo-sta parziale TVP trombosi venosa profonda, ®randomizzazione, osserv osservazione, aa anni, tx auto trapianto autologo, Prec terapia precedente terapia.

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di alterazioni citogenetiche in cui talidomide eraaggiunta alla chemioterapia (47). In conclusione, esiste ampia convergenza di daticirca la superiorità di risposta offerta da TD o dal-la combinazione talidomide- chemioterapiarispetto ai classici regimi VAD o VAD-simili neltrattamento del MM di nuova diagnosi. Sulla basedi questi risultati, e dell’assenza di una negativainterferenza di talidomide con la mobilizzazionedi progenitori emopoietici autologhi, la combina-zione TD o talidomide-chemioterapia rappresen-ta attualmente una delle terapie di elezione perpazienti candidati ad un successivo trapiantoautologo. La scelta di un programma terapeutico di primalinea comprensivo di talidomide necessita, tut-tavia, di essere soppesata con il rischio di tos-sicità ad esso connesso, in particolare di com-plicanze tromboemboliche, più frequentementevenose. Questo rischio, la cui patogenesi è anco-ra sostanzialmente poco conosciuta, è compre-so tra il 15% ed il 20% circa per TD e può anchesuperare il 30% per l’associazione talidomide-chemioterapia, in particolare nel contesto di regi-mi comprensivi della doxorubicina. È stato ripor-tato come un’adeguata profilassi con eparina abasso peso molecolare oppure con warfarin o,in alternativa, con acido acetilsalicilico consen-ta di ridurre significativamente questa importan-te complicanza, anche se è a tutt’oggi ignoto qua-le, tra questi, sia il regime profilattico dotato dimaggiore efficacia.

Talidomide nel consolidamento/mantenimento dopo il trapianto autologo(Tabella 3)In uno studio randomizzato di fase III la tollera-bilità di due differenti posologie di talidomide (200vs 400 mg al giorno) associata a prednisolone (50mg a giorni alterni) è stata valutata in una seriedi 61 pazienti che avevano ricevuto un trapiantoautologo nei 60-100 giorni precedenti l’inizio del-la terapia di mantenimento (48). Nel gruppo di pazienti assegnati a ricevere la dosemaggiore di talidomide, il 68% ha richiesto unariduzione posologica entro 6 mesi e solo il 41%è rimasto in terapia a 18 mesi dal suo inizio. Percontro, le rispettive percentuali tra i pazienti asse-gnati alla dose minore di talidomide sono state il

31% ed il 76%, rispettivamente. Come atteso, laneurotossicità periferica ha costituito la causa piùfrequente di riduzioni posologiche o di interruzio-ni del trattamento ed è stata, inoltre, la più fre-quente tossicità di grado 3-4 riscontrata nello stu-dio. Analogamente, in uno studio prospettico ran-domizzato di fase III l’incidenza di neuropatia digrado 3-4 osservata durante la terapia di mante-nimento con talidomide dopo doppio trapiantoautologo è stata pari al 7% vs 5% nel gruppo dicontrollo (P<.001) (49). Per quanto concerne, inve-ce, l’efficacia di talidomide, il medesimo studio hadimostrato il vantaggio offerto da questo agenterispetto alla sola osservazione o ad una terapiacon pamidronato in termini di ottenimento dellamigliore risposta dopo il doppio trapianto auto-logo (almeno una VGPR: 67% vs 55% vs 57%,rispettivamente; P<.001) e di un significativo pro-lungamento della sopravvivenza, sia globale(87% vs 77% vs 74% a 4 anni, rispettivamente;P<.04) che libera da eventi (52% vs 36% vs 37%a 3 anni, rispettivamente; P<.009) (49). In parti-colare, un’analisi multivariata ha evidenziatocome il prolungamento della sopravvivenza libe-ra da eventi fosse statisticamente significativo neipazienti che avevano fallito l’ottenimento dialmeno una VGPR dopo il doppio trapianto auto-logo (P<.004) e che non presentavano alla diagno-si alterazioni del cromosoma 13 (P<.006). Analogamente a precedenti studi, il 39% deipazienti aveva dovuto interrompere la terapia dimantenimento dopo un tempo mediano di 8 mesidal suo inizio, più frequentemente a causa di unaneuropatia periferica (49).Infine uno studio randomizzato ha mostrato lasuperiorità di un singolo trapianto autologoseguito da sei mesi di terapia di mantenimentocon talidomide rispetto al doppio trapianto auto-logo (50) (Tabella 3).

Bortezomib in preparazione al trapiantoautologo (Tabella 4)La dimostrata attività di bortezomib, il primo ini-bitore del proteasoma ad essere testato nella pra-tica clinica ed a ricevere l’approvazione negli USed in Europa per il trattamento dei pazienti conMM refrattario o ricaduto (51), ha rappresentatoil razionale di recenti studi investigazionali volti adesplorare il ruolo di questo agente, in associazio-

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ne con il desametasone o con altri farmaci, nelcontesto di programmi comprensivi del trapian-to autologo. Con questo obiettivo, la combinazione bortezo-mib ± desametasone (bort ± dex) è stata inizial-mente indagata in 32 pazienti; di questi, 10 han-no ricevuto soltanto terapia con bortezomib, men-tre nei restanti 22 pazienti al bortezomib è statosuccessivamente associato il desametasone(bort-dex) a causa del mancato ottenimento di unaPR dopo i primi 2 cicli o di una CR dopo 4 cicli(52). Complessivamente, la percentuale di alme-no una PR è stata pari all’88%, includendo un25% di CR o di remissione quasi completa (nCR,definita dalla negatività dell’elettroforesi con posi-tività dell’immunofissazione); l’aggiunta del desa-

metasone al bortezomib ha migliorato la qualitàdi risposta nel 68% dei casi, ma soltanto nel 4.5%ha consentito di ottenere una CR. Successivamente, il gruppo francese IFM ha ese-guito uno studio prospettico, randomizzato di faseIII volto a comparare bort-dex vs VAD prima deltrapianto autologo (IFM 2005-01 trial) (53). I risul-tati dell’analisi ad interim presentati allo scorsoASCO meeting hanno dimostrato la superiorità delnuovo regime nei confronti del gruppo di control-lo in termini di probabilità di ottenimento di unaCR + nCR (obiettivo primario dello studio: 19%vs 9%, rispettivamente) e di almeno una PR (82%vs 67%, rispettivamente). Il vantaggio offerto da bort-dex in termini di rag-giungimento di almeno una VGPR (43% vs 26%

TABELLA 4 - Risultati dei principali studi con bortezomib nell’ambito del trapianto autologo.

Bortezomib + Desametasone nell’induzione pre-trapianto

Studio/Trial N° pazienti CR/nCR (%) ≥VGPR (%) ≥RP (%) EFS/PFS OS (%)

Jagannath 2005 32 25 38 88 Mediana EFS 85% a 2 anni(B ± D fase II) 15 mesi

Harousseau 2008 240 19 47 83 PFS 91% 95% a(IFM 2005-01 VD 19 post tx 63 post tx 84 post tx a 1 aa 1 annovs VAD fase III)

Bortezomib + altri farmaci nell’induzione pre-trapianto

Oakervee 2005 21 CR 24 62 95 Mediana PFS 95% a (PAD fase I/II) Post tx 43 post tx 81 post tx 95 29 mesi 2 anni

Orlowski 2006 57 28 NR 79 NR NR(V Doxil fase II)

Reeder 2007 23 64 86 100 NR NR(Cybor-D fase II)

Wang 2007 38 CR 16 NR 87 NR NR(VTD retrospett) 44 post tx NR NR

Cavo 2008 (GIMEMA 129 nCR 33 61 92 NR NRVTD vs TD fase III) 54 post tx 75 post tx NR

Jagannath 2007 30 42 61 92 NR NR(Cybor-D + VTD fase II)

Barlogie 2007 TT3 303 60 a 2 anni NR NR EFS 84% 87% a (TT3-VTD-PACE fase II) post tx a 2 anni 2 anni

Note: RC remissione completa nCR remissione quasi completa VGPR remissione parziale di ottima qualità RP remissione parziale, EFS sopravvivenza libe-ra da eventi, PFS sopravvivenza libera da progressione, OS sopravvivenza globale, tx trapianto autologo NR non riportato, B bortezomib, D desametasone,VD velcade-desametasone, VAD vincristina, doxorubicina, desametasone, PAD: velcade, doxorubicina, desametasone, V velcade, Cybor bortezomib, ciclo-fosfamide, desametasone, VTD velcade,talidomide,desametasone, TD talidomide, desametasone, VTD-PACE: VTD + ciclofosfamide, VP-16, cisplatino, adri-blastina.

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per il gruppo di controllo) è stato mantenuto anchedopo il primo trapianto autologo, con conseguen-te minore necessità di ricevere il secondo trapian-to per i pazienti assegnati alla terapia compren-siva di bortezomib rispetto al gruppo trattato ini-zialmente con VAD (22% vs 45%, rispettivamen-te) (53). In aggiunta, la maggiore efficacia terapeutica dibort-dex rispetto a VAD è stata anche conferma-ta in pazienti ad alto rischio per presenza di dele-zione/monosomia del cromosoma 13 (CR + nCR:25% vs 11%, rispettivamente) o di elevati livellidi beta2-microglobulina sierica (CR + nCR: 20%vs 9%, rispettivamente).Sulla base del dimostrato sinergismo esistentein vitro tra bortezomib e doxorubicina, l’impiegodi questi due farmaci in associazione al desame-tasone (PAD) è stato esplorato come terapia pri-maria di induzione in una serie di 21 pazienti (54).Di questi, il 95% ha ottenuto almeno una PR edil 29% una CR o nCR, che è stata successiva-mente incrementata sino ad un valore del 59%dopo la somministrazione del primo trapiantoautologo. In un altro studio di fase II, la combinazione bor-tezomib-doxorubicina peghilata liposomiale(recentemente approvata negli US per il tratta-mento del MM refrattario) è stata somministrataper un totale di 8 cicli a 63 pazienti con malat-tia di nuova diagnosi, dei quali 57 sono risultativalutabili dopo i primi 2 cicli di terapia e soltan-to 29 al termine dell’intero programma terapeu-tico (55). La percentuale di ottenimento di almeno una PRè stata pari al 58% e 79%, rispettivamente, men-tre la CR + nCR è stata registrata nel 16% e 28%dei pazienti dopo, rispettivamente, 2 ed 8 cicli diterapia. Il regime PAD è attualmente confronta-to in un protocollo prospettico randomizzato difase III al VAD come terapia di induzione pre tra-pianto autologo dal gruppo olandese HOVON.Bortezomib è poi stato associato alla ciclofosfa-mide e desametasone in numerosi studi clinici difase II, mostrando una elevata efficacia ed unbuon profilo di tossicità (56, 57).Un altro promettente regime di prima linea uti-lizzato in preparazione al trapianto autologo,dopo essere stato applicato con successo neltrattamento del MM avanzato e refrattario, com-

prende l’associazione bortezomib-talidomide-desametasone (VTD). I risultati riportati in una serie di 38 pazienti, 26dei quali successivamente avviati al trapiantoautologo, sono stati i seguenti: probabilità dirisposta pari al 87%, comprensiva di un 16% diCR, e tempo mediano all’ottenimento di unarisposta pari a 1.5 mesi o meno, con conseguen-te necessità di somministrazione di non più didue cicli per ottenere un efficace debulking del-la malattia prima del trapianto autologo (58,59).Un ampio studio multicentrico di fase III è statocondotto nell’ambito del Working PartyGIMEMAMieloma Multiplo, volto a confrontare VTD vs TDcome terapia di induzione e di consolidamentosomministrate, rispettivamente, prima e dopo ildoppio trapianto autologo (60). L’analisi ad interim recentemente presentata hadimostrato un significativo incremento dellapercentuale di ottenimento di una CR +nCR(obiettivo primario dello studio) a favore deipazienti che ricevevano VTD sia dopo la terapiadi induzione (VTD vs TD 33% vs 12%, rispetti-vamente, p=0.001) che dopo il primo trapiantoautologo (VTD vs TD 54% vs 29%, rispettiva-mente, p=0.001). La miglior qualità della rispo-sta per il gruppo randomizzato a ricevere VTDsi è poi tradotto in un significativo prolungamen-to della EFS (p=0.047). In aggiunta, il vantaggiodi VTD su TD è stato confermato anche neipazienti ad alto rischio per la presenza di mono-somia/delezione del cromosoma 13 o 17 e di tra-slocazione t(4;14) (60).In un trial multicentrico statunitense la terapia diinduzione in preparazione all’ASCT in pazienti conMM di nuova diagnosi è consistito nella sommini -strazione sequenziale di 3 cicli di bortezomib(V)/ciclofosfamide (C)/desametasone (D) seguitida altri 3 cicli di bortezomib (V), talidomide (T),desametasone (D) (61). Obiettivo primario dellostudio era di incrementare la percentuale diCR/nCR dal valore di circa il 20%, quale era sta-to ottenuto in trials precedenti con VD ad un va -lore di circa il 40% con la somministrazionesequenziale dei regimi VCD/VTD. I risultati riportati ad una analisi preliminare re -lativamente a 26 pazienti valutabili su un totaledi 30 pazienti arruolati hanno mostrato come lasomministrazione di 3 cicli VTD sequenzialmente

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a 3 cicli VCD abbia consentito di incrementarela percentuale di CR/nCR dal 19% (dopo VCD)ad un valore finale pari al 41% e della percentualedi ≥VGPR dal 54% al 61%, con una percentualecomplessiva di risposte pari al 92%. L’arruolamento nello studio di un più ampionumero di pazienti ed un più lungo follow-uppotranno confermare le potenzialità dello sche-ma sequenziale già dimostrate in via prelimina-re e meglio chiarire l’impatto di questo nuovo regi-me di induzione sull’andamento del trapianto (61).Il regime VTD è stato inoltre associato ad unapolichemioterapia con cisplatino, doxorubicina,ciclofosfamide ed etoposide (PACE) nel conte-sto di un programma terapeutico comprensivodel doppio trapianto autologo (Total Therapy 3)(TT3) (62). Questo regime ha dimostrato una ele-vata efficacia, con percentuali di nCR e CR sta-bili a 2 anni assolutamente di rilievo (80% e60%, rispettivamente) e una OS a due annidell’87% (62). In una recente analisi sono staticonfrontati i risultati della TT3 con la TT2,mostrando come l’aggiunta di bortezomib nel-la TT3 abbia comportato un significativo incre-mento sia della probabilità di ottenimento del-la CR (p=0.003), che della sua durata (p=0.008)e della EFS (p=0.0003) (63).

Analogamente all’associazione TD, anche per laterapia di prima linea con bort-dex o bortezomib-chemioterapia non è stata evidenziata alcunainterferenza negativa con la successiva mobiliz-zazione di progenitori emopoietici autologhi.Differentemente da quanto osservato nelle fasiavanzate della malattia, la piastrinopenia è statariportata molto raramente. L’incidenza di neurotossicità di grado 3-4 è risul-tata compresa tra il 4% ed il 12%, e le compli-canze tromboemboliche sono state non superio-ri al 2-3%.

Lenalidomide in preparazione o meno al trapianto autologo (Tabella 5)La lenalidomide (CC-5013) è un analogo immu-nomodulatore di talidomide che in studi precli-nici ha dimostrato possedere una maggiore atti-vità rispetto al farmaco capostipite, nei confron-ti del quale ha un differente profilo di tossicità,sopratutto per la sostanziale assenza di neuro-tossicità. A seguito di due studi di fase III nei qua-li veniva dimostrato il significativo vantaggio offer-to dall’associazione lenalidomide-desametasone(len-dex) rispetto al solo desametasone nel trat-tamento dei pazienti con MM ricaduto dopo unasingola linea di terapia, la lenalidomide è stata

TABELLA 5 - Risultati dei principali studi con Lenalidomide nei pazienti giovani con MM di nuova diagnosi.

Lenalidomide + Desametasone

Studio/Trial N° pazienti CR/nCR (%) ≥VGPR (%) ≥RP (%) EFS/PFS OS (%)

Rajkumar 2005 34 CR 18 56 91 PFS 83% 92% a (LDfase II) 13 con tx CR 8 39 100 a 2 anni 2 anni

Rajkumar 2007 222 CR 1 42 71 Mediana 87% a (Ld, fase III) 22 mesi 2 anni

Lenalidomide + altri farmaci

Kumar 2007 33 NR 19 84 NR NR(CRd, fase II)

Richardson 2008 53 36 71 98 NR NR(RVD fase I/II)

Wang 2007 23 13 NR 83 NR NR(RVD, retrosp) 46 post tx NR 100 post tx

Note: N° paz numero pazienti RP remissione parziale RC remissione completa nCR remissione quasi completa VGPR remissione parziale di ottima qualitàOS sopravvivenza globale EFS sopravvivenza libera da eventi PFS sopravvivenza libera da progressione NR non riportato LD lenalidomide, desametasoneLd lenalidomide, desametasone basse dosi CRd ciclofosfamide, lenalidomide, desametasone a basse dosi RVD lenalidomide, bortezomib, desametasoneretrosp retrospettivo

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recentemente approvata con questa indicazionenegli US ed in Europa. Così come per la talidomide ed il bortezomib,anche per la lenalidomide la dimostrata efficacianelle fasi avanzate del MM ha rappresentato ilrazionale di studi volti ad esplorare il ruolo di que-sto agente nella terapia di prima linea. In uno stu-dio di fase II, la combinazione len-dex in prepa-razione al trapianto autologo è stata esplorata inuna serie di 34 pazienti, 31 dei quali (91%) han-no ottenuto almeno una risposta parziale, com-prensiva di 6% di risposte complete e 32% diVGPR (64). Nonostante in questo studio la lena-lidomide fosse associata ad alte dosi di desame-tasone (640 mg/mese), il rischio di complicanzetromboemboliche è stato pari al 3%. Questo dato non ha, tuttavia, ricevuto confermain uno successivo studio di fase III, nell’ambitodel quale la combinazione len-dex ad alte dosiveniva comparata con la medesima combinazio-ne includente una dose totale mensile di desa-metasone pari a 160 mg. I risultati di un’analisi ad interim hanno riportatoun rischio di complicanze tromboemboliche parial 18.4% vs 5.4%, rispettivamente; la mortalitàregistrata entro i primi 4 mesi è stata pari al 5%vs 0.5%, e ciò si è tradotto in un vantaggio del10% nella sopravvivenza globale a fa vore del regi-me len-dex a basse dosi (96.5% vs 86% per len-dex ad alte dosi; P<.001) (65). I risultati prelimi-nari di un piccolo studio di fase II su 33 pazien-ti hanno mostrato l’efficacia della combinazionelenalidomide-ciclofosfamide e desametasone abasse dosi come terapia di induzione pre-trapian-to, con una risposta complessiva dell’84% (66).Inoltre è in corso uno studio di fase I/II volto atestare la combinazione di lenalidomide-bortezo-mib e desametasone, i cui risultati preliminaridimostrano una elevata efficacia (71% ≥ VGPR)(67). È necessario un follow-up più prolungato perpoter effettivamente verificare l’impatto di que-ste combinazioni sull’outcome del trapiantoautologo e dei pazienti. La mobilizzazione di progenitori emopoieticiautologhi può essere negativamente influenzatada una terapia prolungata con lenalidomide e laraccomandazione è dunque di limitarne la dura-ta come terapia di induzione pre-trapianto (68). Ilrischio di complicanze tromboemboliche non è,

invece, significativamente differente da quantoriscontrato con il farmaco capostipite e richiede,pertanto, un’adeguata profilassi.

Bortezomib e lenalidomide nelmantenimento dopo il trapianto autologoEntrambi questi agenti sono attualmente inclusiin studi clinici volti a testarne l’efficacia ed il pro-filo di tossicità nella terapia di mantenimento dopoil trapianto autologo. Per la sostanziale assenzadi tossicità neurologica, la lenalidomide rappre-senta un candidato ideale in questo contesto,anche se la mielotossicità correlata all’impiego diquesto agente impone cautela nel suo utilizzodopo la somministrazione di una chemioterapiaad alte dosi. I risultati di questi studi non sonoattualmente disponibili, neppure in forma estre-mamente preliminare.

n CHEMIOTERAPIA AD ALTE DOSI CON SUPPORTO DI CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE ALLOGENICHE

Le basi teoriche dell’applicazione del trapiantoallogenico (da donatore consanguineo o da dona-tore non correlato, HLA identico) risiedono nel-l’azione immunologica che il sistema immunita-rio trapiantato esercita nei confronti della taglianeoplastica residuante nel paziente (GVM=graftversus myeloma) dopo la terapia citoriduttiva.Prendendo in considerazione l’età, la disponibi-lità di un donatore e le adeguate funzionalità d’or-gano, questa opzione è applicabile solo nel 5-10% dei pazienti con MM. Nonostante i signifi-cativi miglioramenti registrati negli ultimi 15anni, la mortalità legata al trapianto (TRM) rima-ne elevata (30-50% nelle diverse casistiche nelprimo anno), come risultato della malattia da tra-pianto verso l’ospite (graft versus host disease)(GVHD) e delle infezioni opportunistiche; la pro-cedura va pertanto riservata solamente a pazien-ti selezionati con caratteristiche di alto rischio dimalattia (69, 70). Di contro, i pazienti che sopravvivono alla pro-cedura, ottengono una remissione completa cli-nica e molecolare più frequente e duratura rispet-to ai pazienti sottoposti al trapianto autologo (71,

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72). L’OS a 3 anni è di circa il 56% e esistonodubbi circa la possibilità che la curva presenti unplateau (73). Il recente avvento del trapianto adintensità ridotta (RIC) o non mieloablativo, conuna riduzione della tossicità immediata post-tra-pianto, ha permesso di ampliare il numero deipazienti a cui applicare la procedura (74). Ciononostante, gli unici soggetti che sembranobeneficiare in maniera significativa di questo tra-pianto sono i pazienti con MM di nuova diagno-si in cui il trapianto allogenico RIC fa seguito adun trapianto autologo, eseguito alcuni mesi pri-ma nell’intento di citoridurre la taglia neoplasti-ca ed immunosopprimere il ricevente (75). Anchein questi pazienti la TRM rimane comunque rela-tivamente elevata (15%), così come la tossicitàlegata alla GVHD acuta e cronica. Uno studio prospettico randomizzato francese,in cui pazienti con MM ad alto rischio per pre-senza alla diagnosi di elevati livelli di b2 micro-globulina e di delezione del cromosoma 13 veni-vano assegnati all’esecuzione di doppio autotra-pianto o di un trapianto autologo seguito da untrapianto allogenico RIC, non ha mostrato diffe-renze nella sopravvivenza globale nei due brac-ci di randomizzazione (76). Viceversa, uno studio prospettico italiano in cui ipazienti venivano randomizzati a ricevere, sullabase della presenza o meno di un donatore fami-liare HLA identico, un doppio trapianto autologooppure un trapianto autologo seguito da un tra-pianto allogenico RIC, ha mostrato un significa-tivo vantaggio in termini sia di EFS che di OS afavore dei pazienti che eseguivano il tandem auto-allotrapianto (80 mesi vs 54 mesi, p=0.01 e 35 vs29 mesi, p=0.02, rispettivamente) (77). Anche inquesto caso le discrepanze tra i due studi sonoin parte spiegabili con differenze nei criteri di arruo-lamento dei pazienti e nei disegni dei protocolli.Infine uno studio retrospettivo dell’EBMT(European Bone Marrow Transplantation) su 320pazienti sottoposti a RIC ha confermato la bas-sa TRM nei confronti dell’allotrapianto standard(24% vs 37% a 2 anni, rispettivamente), ma hamostrato che questa viene ottenuta a scapito diuna minore efficacia della GVM, che sfocia in unariduzione della EFS e OS nei confronti dell’allo-trapianto a dosi piene (OS 38% vs 52% a 3 anni,EFS 19% vs 34.5%, rispettivamente) (78).

Per molti studi di trapianto allogenico RIC ècomunque opportuno un follow-up più lungo pertrarre considerazioni conclusive. Attualmente,quindi, l’impiego del trapianto allogenico non mie-loablativo nella terapia del MM rimane investiga-zionale e consigliabile solo nel contesto di studiclinici prospettici. Nulla è ancora noto circa il con-fronto della procedura trapiantologica auto + allo-trapianto RIC con i nuovi protocolli di trapiantoautologo che prevedono l’impiego combinato deinuovi farmaci non chemioterapici. Sono inoltre in corso alcuni studi che prevedo-no l’integrazione di questi stessi nuovi farmaci nelcontesto del trapianto allogenico-RIC.

n CONCLUSIONI

Nel corso degli ultimi anni il panorama terapeuti-co del MM è stato radicalmente modificato gra-zie all’introduzione nella pratica clinica di nuovi far-maci dotati di maggiore attività rispetto alla che-mioterapia convenzionale ed in grado di potenziar-ne l’efficacia, quando ad essa associati.Attraversol’impiego di questi agenti nella terapia di induzio-ne pre trapianto autologo è stato possibile incre-mentare la probabilità di ottenimento della CR/nCRsino a valori precedentemente ottenuti soltanto conl’applicazione della chemioterapia ad alte dosi (79).I dati qui revisionati, in particolare quelli derivantida studi clinici randomizzati di fase III, offrono unbuon livello di evidenza sul fatto che questi regi-mi comprensivi di nuovi farmaci costituiscano lastrategia terapeutica più promettente al momen-to disponibile per i pazienti con MM di nuova dia-gnosi. In particolare sembra evidenziarsi comeattraverso questo approccio sia possibile incre-mentare significativamente la percentuale di CRdopo il trapianto autologo(54, 61), ridurre la neces-sità di un secondo autotrapianto in una certa per-centuale di pazienti (54) e prolungare significativa-mente la durata di sopravvivenza libera da even-ti (47, 48). Ci sono inoltre alcune evidenze che queste tera-pie combinate con nuovi farmaci possano supe-rare l’impatto prognostico sfavorevole di alcunealterazioni genetico-molecolari, in particolare ladelezione del cromosoma 13 e la traslocazionet(4;14) (54, 61). Al contempo, sono disponibili dati

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circa il ruolo favorevole di questi nuovi agenti nel-la terapia di consolidamento/mantenimento dopoil trapianto autologo (50). Tuttavia, il beneficio cli-nico derivante da questo nuovo paradigma tera-peutico in termini di durata della risposta e di van-taggio di sopravvivenza potrà emergere solo dal-le analisi conclusive di studi clinici ancora in cor-so e con un adeguato follow-up. Il ruolo del tra-pianto allogenico ad intensità ridotta deve esse-re ancora precisamente stabilito nell’ambito ditrials clinici. È altresì auspicabile che la scopertadi nuove classi di agenti possano consentire l’ap-plicazione di terapie mirate sul singolo paziente.

RingraziamentiLavoro finanziato in parte da BolognAIL.

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n INTRODUZIONE

Il mieloma multiplo (MM) è una patologia incura-bile che rappresenta circa il 10% di tutte le neo-plasie ematologiche e la cui frequenza è in costan-te incremento (1, 2). Nel mondo l’incidenza varia da 0,4 a 5 casi per100.000 abitanti, con una maggiore frequenza neisoggetti maschi residenti in paesi sviluppati e neineri americani. Attualmente circa il 35% deipazienti con MM ha meno di 65 anni, il 28% èfra 65 e 74 anni e il 37% dei pazienti ha più di 75anni (3). Questa divisione per età è in continua evoluzio-ne e i cambiamenti in corso nella curva demo-grafica della popolazione generale causeranno nelprossimo futuro un verosimile aumento dell’inci-denza di tale patologia nei soggetti anziani.L’eziologia è sconosciuta e non sono stati finoraindividuati fattori di rischio legati allo stile di vita,al tipo di lavoro o ai rischi ambientali. Come possibili fattori predisponenti sono stati ipo-tizzati: una predisposizione genetica, l’esposizio-

ne a radiazioni ionizzanti o a sostanze chimiche,il fumo di tabacco, l’obesità e l’assunzione di alcol.Nessuna di queste situazioni è stata però finoracorrelata in maniera significativa alla patogenesidel MM (4). In alcuni pazienti il mieloma sintomatico evolve dauna condizione benigna e del tutto asintomaticachiamata MGUS (gammopatia monoclonale disignificato incerto).La MGUS è presente in circa il 3% della popo-lazione generale al di sopra dei 50 anni di età eil rischio di progredire in MM è stimato essere dicirca l’1% annuo. In altri casi, invece di evolvereimmediatamente in MM, la MGUS evolve in unafase intermedia nota come smoldering mieloma(SMM). Il rischio che un SMM progredisca in MMè di circa il 10% all’anno per i primi 5 anni, di cir-ca il 3% per i successivi 5 anni e poi dell’1%annuo. Si è cercato di identificare alcuni marcatori chepotessero predire la progressione a MM ed è sta-to riscontrato come la quantità di proteine mono-clonali e l’estensione dell’interessamento midol-lare possano essere associati a un aumentatorischio di trasformazione in MM (5). Nessuna dif-ferenza in termini di overall survival (OS) è stataperò notata in pazienti con MM de novo o in quel-li che avevano precedentemente una discrasiaplasmacellulare asintomatica come la MGUS o ilmieloma smoldering (SMM) (6).Negli ultimi anni farmaci con un meccanismod’azione innovativo come la talidomide, il borte-zomib o la lenalidomide, si sono dimostrati effi-caci nel trattamento del MM agendo sia sulle pla-

Indirizzo per la corrispondenza

Antonio PalumboDipartimento di EmatologiaOspedale MolinetteVia Genova, 310126 TorinoE-mail [email protected]

Il paziente Il paziente anzianoanzianoALBERTO ROCCI, MARIO BOCCADORO, ANTONIO PALUMBODipartimento di Ematologia, Ospedale Molinette, Torino Antonio Palumbo

Parole chiave: mieloma multiplo, talidomide, bortezo-mib, lenalidomide, paziente anziano.

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48 Seminari di Ematologia Oncologica

smacellule (PCs) monoclonali che sulle cellule delmicroambiente midollare. La combinazione di que-sti nuovi farmaci con la terapia steroidea e gliagenti alchilanti ha permesso di incrementare lepercentuali di risposta alla terapia e la progres-sion free survival (PFS) (7). Nei pazienti di nuova diagnosi di età inferiore ai65 anni, l’utilizzo di un regime di induzione con-tenente desametasone più farmaci di nuova gene-razione seguito da melphalan ad alte dosi e suc-cessivo autotrapianto di cellule staminali (ASCT)ha permesso di aumentare significativamente lapercentuale di risposta. Nei pazienti anziani, di età maggiore di 65 anni,la terapia che per anni è stata considerata stan-dard ovvero melphalan + prednisone (MP) è attual-mente stata sostituita dalla terapia di associazio-ne con nuovi farmaci che ha permesso di otte-nere risultati significativamente migliori nella tera-pia del MM nel paziente anziano o in chi non èeleggibile per un approccio trapiantologico.

n MGUS E SMM

La MGUS è la più comune discrasia plasmacel-lulare, interessa il 3% circa della popolazione conpiù di 50 anni e la sua incidenza aumenta con l’au-mentare dell’età. È caratterizzata dalla proliferazione di un singoloclone di plasmacellule secernenti una proteinamonoclonale (M). Ciascuna proteina M è costitui-ta da una catena polipeptidica pesante (γ per leIgG, α per le IgA, µ per le IgM, δ per le IgD e ε perle IgE) e da una singola catena leggera (κ o λ). Èuna condizione asintomatica caratterizzata da:- Proteina monoclonale <3 g/dl.- Plasmacellule monoclonali nel Midollo Osseo<10%.

- Assenza di danno d’organo attribuibile alla azio-ne delle plasmacellule (8).

La MGUS è associata ad un rischio di progres-sione in MM di circa l’1% annuo. Il riscontro diMGUS è per lo più accidentale, quando un sog-getto esegue l’elettroforesi delle proteine sieriche(SPEP) o urinarie (UPEP) per un controllo di rou-tine. In seguito al riscontro di MGUS vi è un una-nime consenso ad astenersi da alcuna terapiamantenendo solo una attenta osservazione. I sog-

getti con MGUS possono essere stratificati in baseal rischio di progressione a mieloma multiplo(basandosi sulla quantità o sul tipo di picco mono-clonale e di catene leggere nel siero) per decide-re la frequenza dei controlli di follow-up: i pazien-ti con basso rischio possono essere controllati 6mesi dopo la diagnosi e poi ogni 2 anni fino allaeventuale progressione; gli altri soggetti vannoricontrollati dopo 6 mesi dalla diagnosi e poi ognianno (9).Il SMM rappresenta circa il 15% dei nuovi MMdiagnosticati. È una condizione asintomatica chepuò essere diagnosticata accidentalmente ed ècaratterizzata da:- proteina monoclonale >3 g/dl;- infiltrato plasmacellulare monoclonale a livellomidollare >10%;

- assenza di danno d’organo attribuibile alla pro-liferazione delle PC.

Il SMM è associato ad un maggior rischio di tra-sformazione in MM o in patologie correlate rispet-to alla MGUS (dal 10 al 20% per anno) pertantoi pazienti devono essere monitorati più strettamen-te (ogni 3 mesi circa) nonostante non venganotrattati finché non vi sia una franca progressionein MM sintomatico. Come per la MGUS, l’entitàe il tipo di proteina monoclonale sono correlati conla progressione (10).

n DIAGNOSI

Negli stadi iniziali difficilmente si riscontrano sin-tomi di rilievo e molto spesso il MM viene diagno-sticato in maniera casuale, durante un esame delsangue di routine nel quale si riscontrano altera-zioni del quadro proteico. Man mano che la malat-tia progredisce compaiono disturbi sistemicicome: dolore, astenia, infezioni ricorrenti, insuffi-cienza renale e disfunzioni del sistema nervosoperiferico.

Esami da eseguire alla diagnosiIn tutti i pazienti con diagnosi di MM dovrebbe-ro essere eseguiti alcuni esami per permettereuna corretta ed uniforme stadiazione e per segui-re l’andamento della malattia. Fra questi vi sonol’elettroforesi delle proteine sieriche (SPEP) e uri-narie (UPEP) sul campione di urine delle 24 ore

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e l’immunofissazione che permette di determi-nare la classe della proteina monoclonale e diindividuare minime quantità di proteine mono-clonali non rilevabili con l’elettroforesi. Per com-pletare il quadro è necessario quantificare la pro-teina monoclonale utilizzando l’analisi al nefelo-metro. La misurazione delle catene leggere sieriche èstata introdotta nella pratica clinica per quanti-ficare le catene κ e λ non costituenti una immu-noglobulina intatta e permettere di monitorare ipazienti affetti da MM oligo/non secretore, MMa catene leggere e l’amiloidosi primaria. Inoltreil dosaggio delle catene leggere al momento del-la diagnosi rappresenta un fattore prognosticonel MM. La diagnosi di MM si basa anche sulla dimostra-zione di un infiltrato di PCs monoclonali a livel-lo del midollo osseo, pertanto è necessario ese-guire aspirato midollare e biopsia ossea. Perricercare la presenza di un danno d’organooccorre eseguire un emocromo completo, alcu-ni esami ematochimici come la creatinina e il cal-cio e la RX sistematica ossea. La risonanzamagnetica nucleare (RMN) è più sensibile dell’Rxnell’evidenziare lesioni ossee, tuttavia al momen-to attuale la RMN viene considerata un esamedi secondo livello, da eseguire solo se il pazien-te ha dolore osseo senza segni di alterato segna-le all’RX oppure nel sospetto di compressionedelle radici nervose. La tomografia computeriz-

zata (TC) e la RMN sono indicate nel sospettodi plasmocitoma. Gli ulteriori esami da esegui-re al momento della diagnosi sono riconducibi-li ai marcatori prognostici: b2-microglobulina,albumina, LDH e le analisi di citogenetica e FISHsull’aspirato midollare. Un elenco completodegli esami da eseguire alla diagnosi è presen-te nella Tabella 1.

Criteri necessari per la diagnosi di MMA differenza di altre patologie neoplastiche, la tera-pia del MM va iniziata solo quando la malattiadiventa attiva o vi è evidenza di danno d’organo.I pazienti con un MM sintomatico devono inizia-re tempestivamente un trattamento chemiotera-pico. Il MM sintomatico è definito dalla presen-za di:- Componente monoclonale nel siero o nelle uri-ne (nei pazienti con componente monoclonalenon riscontrabile si considera un rapporto del-le catene leggere anormale).

- Infiltrazione di PCs a livello midollare maggio-re del 10% e/o diagnosi istologica di plasmo-citoma.

- Evidenza di danno d’organo attribuibile alla pro-liferazione plasmacellulare (criteri CRAB).C: ipercalcemia (calcio >10.5 mg/L)R: insufficienza renale (creatinina >2 mg/dL)A: anemia (emoglobina <10 g/dl)B: malattia ossea (lesioni litiche o osteopenia)

(11).I sintomi più frequenti alla diagnosi sono l’aste-nia dovuta alla anemia e il dolore osseo dovutoalle localizzazioni di malattia a livello dello sche-letro. In misura nettamente minore sono presen-ti epatomegalia o amiloidosi. Nei pazienti con MGUS o SMM l’identificazionedel danno d’organo rappresenta una progressio-ne chiara a MM e determina un rapido inizio del-la terapia.

n FATTORI PROGNOSTICI

Sebbene dal punto di vista istologico vi sia unacerta omogeneità, l’andamento clinico del MMè abbastanza eterogeneo: alcuni pazienti hannouna malattia che si presenta da subito estrema-mente aggressiva, con una sopravvivenza di

TABELLA 1 - Elenco degli esami da eseguire al momento delladiagnosi di MM.

Esami da eseguire alla diagnosi nel Mieloma Multiplo

Esame EmocromocitometricoElettroforesi delle Proteine SiericheElettroforesi delle Proteine UrinarieImmunofissazione Sierica / UrinariaProteinuria Totale sulle Urine delle 24 oreClearance della CreatininaCalcioAlbuminab2-microglobulinaLDH (Lattico Deidrogenasi)Aspirato MidollareBiopsia OsteomidollareRX sistematica scheletrica

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pochi mesi nonostante le terapie mentre altripazienti possono vivere per più di 10 anni riuscen-do a controllare la malattia per lunghi periodi.Questo aspetto ha spinto i ricercatori a valutaremarcatori prognostici che potessero predire lasopravvivenza e di conseguenza stratificare ipazienti al momento della diagnosi in gruppi condifferente prognosi. Sono stati quindi identifica-ti alcuni fattori prognostici che possono risulta-re utili al clinico per stimare la prognosi del sin-golo paziente. Prima di affrontare i diversi fattori prognosticioccorre ricordare che tali fattori sono stati indi-viduati prima dell’avvento dei nuovi farmaci e glistudi che hanno validato l’efficacia di questi mar-catori predittivi si basano su pazienti trattati conchemioterapia ad alte dosi e autotrapianto o conchemioterapia standard. Con l’introduzione dei nuovi farmaci nella tera-pia del MM appare quindi chiaro come sianonecessari nuovi studi per confermarne la validi-tà o identificare altri fattori prognostici più adat-ti alle nuove terapie. I fattori prognostici univer-salmente accettati sono:- l’International Staging System (ISS): è un model-lo di stratificazione molto semplice, potente eriproducibile che permette di classificare ipazienti in tre classi in base ai valori di b2-micro-globulina e albumina alla diagnosi. Come rap-presentato in Tabella 2, a seconda dei valori diquesti due parametri ciascun paziente vieneclassificato in uno dei seguenti stadi: Stadio Icon una sopravvivenza media di 62 mesi, StadioII con una sopravvivenza media di 44 mesi eStadio III con una sopravvivenza media di 29mesi (12).Oltre ad essere di facile esecuzione, questa clas-sificazione tiene in considerazione 2 diversecaratteristiche del tumore: la b2-microglobuli-na sierica riflette la massa tumorale e la funzio-

nalità renale mentre i valori di albumina sonocorrelati agli effetti dell’interleuchina-6 prodot-ta dal microambiente midollare osseo a livellodel fegato.

- Le anomalie cromosomiche hanno dimostratodi avere un impatto sulla sopravvivenza deipazienti con MM. Una prognosi peggiore è sta-ta riscontrata nei pazienti con presenza di unatraslocazione coinvolgente i geni della catenapesante delle immunoglobuline t(4,14), t(14,16),t(14,20), delezione del 17p13 o alla delezionedel cromosoma 13. Al contrario, una prognosimigliore è stata osservata in presenza dit(11,14), t(6,14) o di iperdiploidia (13-15).

Risultati preliminari sembrano mostrare come siail bortezomib che la lenalidomide possanosuperare la cattiva prognosi legata alla delezio-ne del 13 e alla traslocazione t(4;14). Il bortezo-mib sembra essere più attivo della lenalidomi-de in presenza della delezione del cromosoma17p13mentre l’impatto negativo di queste alte-razioni cromosomiche sull’andamento clinico nonsembra essere modificato dalla chemioterapiaintensiva con autotrapianto (16). Le indagini di gene expression profiling, hannomigliorato la stratificazione dei pazienti e la sta-diazione prognostica ma non sono ancora daconsiderare esami di routine (17, 18). Altri para-metri che si associano ad una prognosi peggio-re sono costituiti da un indice di proliferazionedelle plasmacellule maggiore del 3%, il riscon-tro di cellule con morfologia plasmoblastica, glialti livelli di LDH e un alterato rapporto delle cate-ne leggere (19).Alla luce di quanto esposto, è fortemente racco-mandato che in tutti i pazienti con una nuova dia-gnosi di MM siano ricercate le traslocazioni t(4;14)e t(14-16), la delezione del 17p13, e che sia effet-tuata la misurazione del valore di b2-microglobu-lina e dell’albumina (20).

TABELLA 2 - Criteri di stadiazione dell’International Staging System (ISS).

Stadio Criteri Sopravivenza mediana (mesi)

I b2-microglobulina <3.5 mg/L albumina >3.5 mg/L 62II Pazienti in stadio non I e non III (*) 44III b2-microglobulina >5.5 mg/L 29

(*) Due categorie: b2-microglobulina <3.5 mg/L ma albumina <3.5 mg/L; b2-microglobulina 3,5-5,5 mg/L indipendentemente dal valore di albumina.

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n CONSIDERAZIONI SULLA TERAPIA

Non vi è evidenza che iniziare un trattamento che-mioterapico precoce in pazienti con MM asinto-matico determini un aumento della sopravviven-za rispetto ad iniziare un trattamento al momen-to della comparsa dei sintomi o del danno d’or-gano. Questo concetto è stato ampiamente dimostra-to per il trattamento con farmaci anti-MM stan-dard. Sono tuttora in corso studi clinici per deter-minare se l’utilizzo dei nuovi farmaci in fase pre-coce possa ritardare la progressione da SMM aMM. I pazienti con MM sintomatico devono esse-re trattati immediatamente e la scelta dello sche-ma terapeutico deve essere presa tenendo con-to delle caratteristiche del paziente (es. età e pre-senza di comorbilità) e basandosi sulle evidenzescientifiche.I pazienti con meno di 65 anni e senza comor-bilità rilevanti in anamnesi sono candidati ad unachemioterapia intensiva con supporto di cellulestaminali autologhe. Studi randomizzati hannomostrato come vi sia una maggior percentualedi risposte e una maggior sopravvivenza neipazienti trattati con chemioterapia ad alte dosirispetto ai pazienti trattati con chemioterapia con-venzionale (21). L’approccio trapiantologico inpazienti con più di 65 anni è una opzione tera-

peutica che può essere proposta qualora vi sia-no pazienti in buone condizioni generali, senzacomorbilità di rilievo e con una età non superio-re ai 70 anni. In questi pazienti la dose di mel-phalan dovrà però essere dimezzata a 100mg/m2. Gli altri pazienti dovrebbero essere trattati conchemioterapia standard in associazione ai nuo-vi farmaci (talidomide, bortezomib, lenalidomide)che hanno permesso di aumentare significativa-mente il PFS, l’OS e la qualità di vita dei pazien-ti. In caso di pazienti con età superiore ai 75 annio con comorbilità di rilievo, la dose della terapiaverrà progressivamente ridotta in modo da ridur-re la tossicità.Numerosi studi sono stati eseguiti negli ultimi annio sono tuttora in corso per valutare l’efficacia dinuove associazioni chemioterapiche che com-prendono uno o più nuovi farmaci. Occorre ricordare che i trattamenti chemiotera-pici considerati standard of care devono esseresupportati da una evidenza scientifica che dimo-stri un aumento della PFS in almeno un trial ran-domizzato. Studi non controllati di fase II sono importanti inquanto dimostrano l’efficacia di nuove molecole,ma prima di poter essere considerati terapie stan-dard occorre che vi sia un trial clinico randomiz-zato che ne confermi i risultati su una ampia casi-stica.

TABELLA 3 - Criteri di risposta alla terapia elaborati dall’International Myeloma Working Group (IMWG).

Criteri di valutazione

sCR Ai criteri della CR vanno aggiunti: rapporto catene leggere nella norma, assenza di plasmacellule clonali a livellomidollare (in immunoistochimica e immunofluorescenza).

CR Immunofissazione negativa, scomparsa dell’eventuale plasmocitoma, <5% di plasmacellule a livello midollare.VGPR Proteina monoclonale riscontrabile all’immunofissazione ma non all’elettroforesi oppure riduzione della proteina mono-

clonale sierica >90% e livelli di proteina monoclonale urinari inferiori a 100 mg/24 ore.PR >50% di riduzione della proteina monoclonale sierica e riduzione delle proteine monoclonali urinarie >90% o <200

mg/24 ore oppure se i livelli di proteina monoclonale nel siero e nelle urine non sono misurabili, riduzione >50%nella differenza tra i livelli di catene leggere coinvolte e non coinvolte oppure se non sono misurabili né la protei-na monoclonale né le catene leggere libere nel siero, è richiesta una riduzione >50% dell’infiltrato plasmacellula-re. In presenza di plasmocitoma è necessaria una riduzione >50% del tessuto del plasmocitoma.

SD Non soddisfa i criteri per CR, VGPR, PR e PD.PD Aumento di >25% dei seguenti parametri: componente monoclonale sierica o urinaria, differenza tra i livelli di cate-

ne leggere coinvolte e non coinvolte, percentuale delle plasmacellule midollari. Sviluppo di nuove lesioni ossee opeggioramento di quelle presenti oppure plasmocitoma, ipercalcemia.

CR: complete response; sCR: stringent CR; VGPR: Very Good Partial Remission; PR: Partial Response; SD: Stable Disease; PD: Progressive Disease

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La risposta alla terapia deve essere espressa uti-lizzando i criteri di risposta elaborati dall’InternationalMyeloma Working Group e indicati nella tabella 3.La tabella 4 riassume i regimi di chemioterapiaattualmente utilizzati nei pazienti anziani e le rispo-ste ottenute nei diversi studi clinici.Come si evince da quanto sopra riportato, lamaggior parte dei pazienti con MM non è can-didabile ad un approccio trapiantologico; circa i

2/3 dei pazienti con mieloma ha più di 65 anni ecirca la metà dei pazienti con età inferiore a 65anni non verrà sottoposto a trapianto autologodi cellule staminali. Quindi circa l’80% di tutti ipazienti con MM alla diagnosi non è candidabi-le alla chemioterapia ad alte dosi, pertanto èimportante migliorare i risultati ottenuti con la che-mioterapia standard associando ad essa i nuo-vi farmaci.

TABELLA 4 - Schemi terapeutici e risultati attesi per pazienti con più di 65 anni oppure non eleggibili alla terapia ad alte dosi.

Schema Terapeutico Risposta Sopravvivenza Referenze

MP Mel: 0.25 mg/kg i giorni 1-4; CR: 1-5% PFS/TTP: 50% 27, 40, 29,Pdn: 2 mg/kg i giorni 1-4 >VGPR: 7-25% a 14-21 mesi 30, 31per 12 cicli da 6 settimane >PR: 31-50% EFS: 27% a 24 mesiOppure OS: 50% a 28-34 mesiMel: 4 mg/m2 i giorni 1-7; e 64% a 36 mesiPdn: 40 mg/m2 i giorni 1-7 per 6 cicli da 4 settimaneOppureMel: 9 mg/m2 i giorni 1-4; Pdn: 60 mg/m2 i giorni 1-4 per 9 cicli da 6 settimane

MPT Mel: 0,25 mg/kg i giorni 1-4; CR: 7-16% PFS: 50% a 15-28 mesi 40, 29, 30, 31Pdn: 2 mg/kg i giorni 1-4; >VGPR: 22-43% EFS: 54% a 24 mesiTal: 100-400 mg al dì >PR: 57-76% OS: 50% at 28-52 mesiper 12 cicli da 6 settimane e 80% a 36 mesi(± Tal di mantenimento)OppureMel: 4 mg/m2 i giorni 1-7; Pdn: 40 mg/m2 i giorni 1-7 per 6 cicli da 4 settimane. Tal 100 mg/die fino alla recidiva o alla progressione di malattia

VMP Mel: 9 mg/m2 i giorni 1-4 CR: 35% TTP: 50% a 24 mesi 16Pdn: 60 mg/m2 i giorni 1-4 >VGPR: 45%Bor: 1,3 mg/m2 i giorni 1, 4, 8, >PR: 82%11, 22, 25, 29, 32 per i primi 4 cicli da 6 settimane; i giorni 1, 8, 22, 29 per i restanti cicli da 5 a 9 da 6 settimane

MPR Mel: 0,18-0,25 mg/kg i giorni 1-4 CR: 24% EFS: 95% a 12 mesi 33Pdn: 2 mg/kg i giorni 1-4 >VGPR: 48% OS: 100% a 12 mesiPer 9 cicli da 4 settimane >PR: 81%Len: 5-10 mg i giorni 1-21 fino alla recidiva o alla progressione di malattia.

MP: Melphalan-Prednisone; Mel: Melphalan; Pdn: Prednisone CR: complete response; VGPR: very good partial response; PR: partial response; PFS: pro-gression free survival; OS: overall survival; EFS: event free survival; TTP: time to progression; MPT: Melphalan-Prednisone-Talidomide; Tal: Talidomide; VMP:Bortezomib-Melphalan-Prednisone; Bor: Bortezomib; MPR: Melphalan-Prednisone-Lenalidomide; Len: Lenalidomide.

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n TERAPIA ALLA DIAGNOSI NEL PAZIENTE ANZIANO

Melphalan + PrednisoneLa combinazione orale di Melphalan, Prednisone(MP) è stata per anni considerata il trattamentostandard per i pazienti non eleggibili alla chemio-terapia ad alte dosi con autotrapianto. Il tasso dirisposte a tale terapia è di circa il 50% e lasopravvivenza mediana è di 2-3 anni (22).Numerose combinazioni di farmaci contenentiagenti alchilanti sono state utilizzate senza chesi sia evidenziato un miglioramento della soprav-vivenza globale. Uno studio su 6.633 pazienti hamostrato una percentuale di risposta del 60% nelcaso di chemioterapie combinate contro un53,2% nei pazienti trattati con la più semplice emeno tossica associazione di MP (p <0.001), tut-tavia nessun beneficio è stato osservato sullasopravvivenza nel gruppo che ha ricevuto che-mioterapie combinate (23). Le alte dosi di desa-metasone sono una delle terapie più attive sia sesomministrate da sole che in associazione a unchemioterapico (24, 25). Uno studio randomizzato ha confrontato l’effica-cia della combinazione di melphalan e desame-tasone (MD) rispetto allo standard MP: è emer-so come lo schema MD permetta di ottenere unmaggior numero di risposte complete (CR) manon vi siano differenze in termini di sopravviven-za (26). Recentemente il gruppo di Facon ha conferma-to questi risultati con uno studio randomizzatoche ha arruolato pazienti con MM di età compre-sa fra 65 e 75 anni (27). I pazienti sono stati ran-domizzati in 4 differenti bracci di trattamento: MP,MD, alte dosi di desametasone e alte dosi diDesametasone + interferon α. Lo schema di trat-tamento con MD ha mostrato il tasso di rispo-sta più elevato. Il tempo medio alla progressio-ne è risultato essere raddoppiato dopo trattamen-to con MP o MD, mentre le alte dosi di desame-tasone (con o senza interferone α) non hannoinfluenzato la durata di remissione. La sopravvivenza globale è risultata essere lastessa per i 4 gruppi di trattamento, tuttavia glischemi che prevedevano desametasone hannomostrato una aumentata incidenza di grave tos-sicità, in particolare un aumento delle infezioni

polmonari e della setticemia. Questi risultati han-no evidenziato come, prima dell’introduzione deinuovi farmaci, la terapia orale con melphalan fos-se da considerarsi lo standard of care e doves-se essere inserita in tutte le terapie di induzioneper pazienti non candidabili alla chemioterapia adalte dosi con autotrapianto.Negli ultimi 5 anni sono stati introdotti nuovi far-maci anti-MM (talidomide, bortezomib e lenalido-mide) i quali, utilizzati da soli o in associazione coni chemioterapici standard, hanno permesso diaumentare le opzioni terapeutiche nei pazienti noneleggibili a schemi di chemioterapia ad alte dosie autotrapianto.

TalidomideLa talidomide, usata negli anni ’60 come sedati-vo ipnotico, negli ultimi anni è stata impiegata nel-la terapia di alcune patologie neoplastiche, in par-ticolare nel campo del MM.Melphalan, Prednisone, Talidomide (MPT): quat-tro studi randomizzati hanno dimostrato come loschema MPT aumenti il tasso di risposta e lasopravvivenza libera da eventi (EFS) rispetto alloschema MP; in due di questi studi è stato ripor-tato anche un vantaggio nella sopravvivenza (28-31).Nel trial randomizzato italiano, la terapia orale MPTè stata confrontata con MP in pazienti con più di65 anni oppure di età più giovane ma non eleg-gibili al trapianto (29). Lo schema di trattamentoè mostrato nella tabella 4. Le risposte parziali +complete (PR + CR) sono state il 76% nel brac-cio MPT e il 47.6% nel braccio MP mentre le near-CR (nCR) + le CR sono state il 27.9% contro il7.2% rispettivamente. La EFS a 2 anni è risulta-ta essere del 54% per MPT e 27% per MP(p=0.0006). La sopravvivenza a 3 anni era dell’80% e del 64%rispettivamente (p=0.19).Nello studio di fase III francese, la terapia con MPT(uno schema leggermente diverso rispetto a quel-lo applicato nello studio Italiano e una dose di par-tenza di talidomide pari a 200 mg/die) è stato con-frontato con MP e con dosi intermedie di melpha-lan (100 mg/m2) seguite da ASCT. Una maggior percentuale di PR è stata osserva-ta nel gruppo trattato con MPT o melphalan 100mg/m2 rispetto al gruppo MP (81% vs 73% vs

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40% rispettivamente) (28). Allo stesso modo lapercentuale di CR è risultata significativamentemaggiore nei gruppi trattati con MPT o dosi inter-medie di melphalan rispetto al gruppo MP. La PFSera maggiore nei pazienti che avevano ricevutoMPT rispetto sia ai pazienti trattati con MP(p<0.001) ma anche ai pazienti trattati con dosiintermedie di melphalan e ASCT (p=0.001).Inoltre la OS è risultata essere significativamen-te aumentata nel gruppo MPT sia rispetto al grup-po MP (p=0.001) che al gruppo sottoposto a tra-pianto autologo (p=0.004).In entrambi gli studi l’MPT è risultato essere asso-ciato ad una maggior tossicità severa: almeno unevento avverso di grado 3-4 è stato osservato nel40% dei pazienti trattati con MPT. Gli effetti avver-si più comuni sono stati le infezioni, le complican-ze trombotiche, la neuropatia periferica, la stipsie la tossicità cardiaca. Nel trial italiano, l’introdu-zione di enoxaparina come profilassi ha permes-so di ridurre gli eventi trombotici dal 20 al 3%(p=0.0005). Il rischio di trombosi venosa è parti-colarmente alto nel primi 4-6 mesi di terapia men-tre le infezioni e la tossicità cardiaca sono risulta-te essere più frequenti in pazienti con più di 70 anni.È raccomandata una profilassi antitromboticaanche se al momento non vi sono chiare eviden-ze su quale sia la miglior scelta: eparine a bassopeso molecolare, dosi terapeutiche di warfarin oaspirina giornaliera sono le opzioni preferite (32).I dati ottenuti da questi quattro trial clinici rando-mizzati hanno dimostrato come l’MPT sia supe-riore allo schema MP e quindi sia da considerar-si lo standard of care nei pazienti con più di 65anni o in chi non può essere sottoposto ad auto-trapianto. Come osservazioni secondarie, è stato visto comel’aggiunta della talidomide sembri ridurre l’impat-to negativo della b2-microglobulina. Nello studioItaliano non è stata osservata alcuna differenzanell’OS in base al valore di b2-microglobulina neipazienti trattati con MPT; tale differenza si è inve-ce evidenziata nel gruppo trattato con MP doveil valore di b2-microglobulina rimane un fattoreprognostico. In un recente lavoro questa osser-vazione è stata confermata ed è stato dimostra-to come il valore della b2-microglobulina non pre-dica l’outcome anche in pazienti trattati con tali-domide e desametasone (33).

Bortezomib Il bortezomib è un nuovo farmaco anti tumoraleche agisce inibendo un complesso multi-catali-tico intracellulare chiamato proteosoma respon-sabile della degradazione dei prodotti cellulari. Melphalan, Prednisone, Bortezomib (VMP): lacombinazione di bortezomib + MP è stata valu-tata in uno studio di fase I/II su 60 pazienti conMM alla diagnosi e con età superiore ai 65 anni(metà di essi con più di 75 anni) (34). Il ciclo di terapia VMP è schematizzato nella tabel-la 4. La dose massima tollerata di bortezomib èrisultata essere 1.3 mg/m2. Sette pazienti nonhanno terminato il primo ciclo e quindi non sonorisultati valutabili successivamente. Dopo unamediana di 7 cicli, le risposte parziali sono sta-te l’89%, comprensive del 32% di CR (metà del-le quali con remissione immunofenotipica). A 16mesi l’EFS è risultato essere dell’83% e l’OS del90%. I risultati di pazienti trattati in studi prece-denti con MP erano, a 16 mesi, un EFS del 51%e un OS del 60%. Visti i promettenti risultati infase I/II, è stato disegnato uno studio clinico difase III per dimostrare la superiorità dello sche-ma VMP rispetto allo schema MP. Lo studioVelcade as Initial Standard Therapy Assessment(VISTA) ha confermato la superiorità del VMPrispetto all’MP in termini di percentuale di rispo-ste (le risposte parziali o superiori sono state il71% e il 35% rispettivamente e le CR sono sta-te il 30% e il 4% rispettivamente, p<0.001). L’endpoint primario dello studio era il tempo allaprogressione (TTP) che è risultato essere 24.0mesi nel gruppo VMP e 16.6 mesi nel gruppo MP(p<0.001). Anche l’OS e il tempo alla successi-va terapia sono risultati essere migliori nel grup-po VMP. Gli eventi avversi di grado 3 sono statipiù frequenti nel gruppo di pazienti che ha rice-vuto il bortezomib (53% vs. 44%, P=0.02), anchese non sono state osservate differenze nell’inci-denza della tossicità di grado 4 nei due gruppi(28% and 27%, rispettivamente) (35).Gli eventi avversi di grado 3-4 sono stati registra-ti in particolare nei primi cicli di terapia e neipazienti con più di 75 anni e sono consistiti intrombocitopenia, neutropenia, neuropatia perife-rica e infezioni (in particolare la riattivazione delvirus dell’herpes zoster per cui si raccomanda unaadeguata profilassi). Dati preliminari sembrano

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dimostrare che l’infusione di bortezomib settima-nale, invece della classica bisettimanale, permet-ta di ridurre in maniera consistente la percentua-le di neuropatia di grado 3-4 senza ridurre l’effi-cacia sulla PFS. I dati presentati all’ASH 2008 rela-tivi allo studio italiano di fase III che confrontaVMPT vs VMP hanno infatti dimostrato come laPFS a 2 anni dei pazienti trattati con il protocol-lo VMP che prevedeva infusioni di bortezomib set-timanali sia del 78% contro il 76% di chi ha rice-vuto bortezomib due volte a settimana. La neu-ropatia periferica di grado 3-4 si è ridotta al 3%rispetto al 12% osservato con l’infusione bisetti-manale (35). Da segnalare come non siano staterilevate differenze di percentuale di risposta, PFSe OS a seconda della presenza/assenza di dele-zione del cromosoma 13 o in base al valore di b2-microglobulina (36, 37). Basandoci su questi datisembra che il bortezomib annulli l’effetto progno-stico negativo conferito dalla delezione del cro-mosoma 13 e dai livelli di b2-microglobulina, tut-tavia sono necessari ulteriori studi su un maggiornumero di pazienti per individuare fattori progno-stici affidabili nei pazienti trattati con bortezomib.

Lenalidomide La lenalidomide è un farmaco analogo dellatalidomide ma i risultati iniziali sembrano indica-re che sia più efficace e meno tossico della tali-domide. L’associazione Lenalidomide, Melphalan,Prednisone (MPR) è stata valutata in uno studiodi fase I/II condotto presso il nostro Istituto. Sonostati arruolati 53 pazienti con nuova diagnosi dimieloma e con una età mediana di 71 anni. Tuttii pazienti hanno ricevuto aspirina e ciprofloxaci-na in profilassi. Per valutare sia la sicurezza chel’efficacia di differenti dosaggi di lenalidomide inassociazione a MP, sono state usate 4 dosi dif-ferenti di lenalidomide. È stato osservato comela massima dose tollerata sia stata 0.18 mg/kgdi melphalan + 10 mg/die di lenalidomide. Il pred-nisone (2 mg/kg) e il melphalan sono stati som-ministrati per 4 giorni mentre la lenalidomide per21 giorni. La durata del ciclo è stata di 4 settimane. A que-sto dosaggio, la percentuale di PR è stata del81% comprensiva di un 48% di VGPR e un 24%di CR. L’EFS e l’OS a 1 anno sono stati del 92%e del 100% rispettivamente (38). Questi dati sono

risultati essere migliori dei dati ottenuti in prece-denza con il ciclo MPT. Le tossicità di grado 3-4 hanno riguardato soprattutto tossicità emato-logica (in particolare neutropenia e piastrinope-nia), rash cutanei, infezioni ed eventi trombotici.Questi dati hanno permesso di porre la base peruno studio internazionale randomizzato tuttora incorso che sta confrontando MP vs MPR cometerapia di induzione seguita da lenalidomide inmantenimento. Per ora sono disponibili pochi datisull’influenza dei fattori prognostici in pazienti chericevono lenalidomide. I dati che sono emersi dal-lo studio Italiano sembrano dimostrare come ladelezione del 13q e la traslocazione t(4;14) nonrappresentino un marcatore prognostico perpazienti a maggior rischio. Sembra invece che ipazienti con valori di b2-microglobulina elevatirimangano una categoria a rischio aumentatoanche se trattati con lenalidomide.

Ruolo del melphalan a dose intermedia (100 mg/m2)I pazienti che non sono candidabili al trapiantosono stati trattati per anni con chemioterapia stan-dard contenente agenti alchilanti. Tuttavia neipazienti anziani l’età biologica può in alcuni casiessere diversa dall’età anagrafica, pertanto puòrisultare non semplice definire chi è candidato echi no ad un approccio trapiantologico. La par-tecipazione ad un programma terapeutico chepreveda una fase finale di autotrapianto dovreb-be sempre essere presa in considerazione inpazienti che non abbiano in anamnesi patologiegravi a carico di cuore, polmoni, reni o fegato el’età anagrafica andrebbe riconsiderata alla lucedell’età biologica. Con queste considerazioni, va comunque dettoche un paziente con più di 65 anni dovrebbe esse-re escluso da un trapianto autologo condiziona-to con melphalan 200 mg/m2. Tuttavia nella fasciadi età fra 65 e 70 anni, potrebbe essere indicatauna dose intermedia di melphalan. I risultati di unostudio randomizzato italiano su 194 pazienti connuova diagnosi di MM di età fra 50 e 70 anni han-no dimostrato come la chemioterapia con mel-phalan 100 mg/m2 e l’autotrapianto sia superio-re rispetto a 6 cicli di MP (39). I pazienti trattaticon 100 mg/m2 hanno mostrato a 3 anni unmiglior EFS (37% vs 16%, p<0.0001) e OS (77%

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56 Seminari di Ematologia Oncologica

vs 62%, p=0.0003). Risultati simili si sono avutinel sottogruppo di pazienti con età compresa fra65 e 70 anni. Altri studi tuttavia non hanno confermato questirisultati, come ad esempio lo studio francese IFM99-06 (40). La differenza in tossicità, decessi pre-coci e uscite dallo studio fra questi due trial sup-porta l’ipotesi che il melphalan 100 sia tolleratomeglio in pazienti fino a 70 anni, mentre la tossi-cità diventa inaccettabile al di sopra di tale soglia.

n ALTRE OPZIONI TERAPEUTICHE

Nuovi farmaci associati al Desametasone1. Talidomide, Desametasone (TD): questa com-binazione si è dimostrata efficace in un trial ran-domizzato che ha confrontato TD vs Dex in 470pazienti con nuova diagnosi di MM.(41)L’aggiunta della talidomide al desametasone hapermesso di aumentare la percentuale di PR(63% vs 46%, p<0.001) e il tempo medio allaprogressione (22,6 vs 6,5 mesi), ma non dimigliorare la sopravvivenza. L’aggiunta di talidomide ha determinato ancheuna maggiore tossicità di grado 3-4 (79.5% vs64.2%, p<0.001). Il confronto di TD vs MP su274 pazienti anziani con nuova diagnosi di MMha mostrato una maggior percentuale di PR nelbraccio TD (68% vs 51%, p=0.0044), una PFSsimile ma un’OS significativamente più corta nelgruppo trattato con TD. Inoltre il gruppo con TDha avuto maggior tossicità neuropatica mentreil gruppo MP ha avuto maggiore neutropenia digrado 3-4 (42).2. Bortezomib, Desametasone (VD): in uno stu-dio non randomizzato, 32 pazienti alla diagnosisono stati trattati con solo bortezomib e a chi nonha raggiunto almeno la PR dopo 2 cicli o la CRdopo 4 cicli è stato aggiunto in terapia il desa-metasone (43). Le risposte superiori alla PR sonostate 88%, con 6% di RC e 19% di nCR. Diecipazienti hanno ricevuto solo bortezomib mentrein 22 è stato aggiunto desametasone con unmiglioramento della risposta in 15 di essi. Conuna mediana di 5.5 mesi, la OS stimata a 1 annoè del 87% (43). L’attività del bortezomib in indu-zione è stata anche dimostrata in altri 2 studi difase II con una CR+nCR del 21-59% (44, 45).

3. Lenalidomide, Desametasone (RD): Il South -west Oncology Group (SWOG) ha condotto unostudio randomizzato in doppio cieco (studioS0232) che ha arruolato 198 nuove diagnosi diMM randomizzandole in due bracci: alte dosi diRD (PFS stimata a 1 anno del 77%) vs solo Dex(PFS stimata a 1 anno 55%, p=0.002). L’aggiunta di lenalidomide ha aumentato anchele CR (dal 4% al 22%, p=0.001) ma a 1 annol’OS è risultata essere paragonabile (93% vs91%). Il gruppo trattato con Len+Dex ha avuto unamaggior frequenza di tossicità di grado 3-4, inparticolare neutropenia e infezioni (46). Per ridur-re la tossicità dell’associazione RD, uno studiodell’Eastern Cooperative Oncology Group(ECOG) ha confrontato Len+alte dosi di Dex (480mg/mese, considerato lo standard) conLen+basse dosi di Dex (160 mg/mese) in 445pazienti con nuova diagnosi di MM (47). Lo stu-dio è stato preventivamente interrotto poichél’OS a 1 anno dei pazienti trattati con Len+bas-se dosi di Dex è risultata più elevata (96% vs88%, p<0.001) rispetto al gruppo trattato conLen+alte dosi di Dex.

Nuovi farmaci + CiclofosfamideNel trial Myeloma IX coordinato dal MedicalResearch Council, l’associazione di Ciclofosfa -mide, Talidomide, Desametasone (CTD) è stataconfrontata con lo schema MP in 900 pazienti.Nel gruppo trattato con CTD si è osservata unamaggior percentuale di PR (82% vs 49%) e di CR(23% vs 6%) (48). Non sono ancora disponibili idati sulla durata di remissione ma se risultasse-ro essere superiori a quelli di MP, il CTD potreb-be essere considerata una alternativa alla terapiadi prima linea nel paziente anziano.L’associazione Bortezomib, Desametasone,Ciclofosfamide (BDC) è stata utilizzata in induzio-ne in uno studio di dose finding in pazienti connuova diagnosi di MM e i risultati preliminari han-no mostrato una risposta maggiore o uguale allaPR nell’87% dei pazienti (49).L’associazione Ciclofosfamide, Desametasone,Lenalidomide (CRD) è stata valutata su 21pazienti refrattari/recidivati con età mediana di 59anni. Si è osservata una risposta (CR+PR) nel 65%dei pazienti (50).

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57Il paziente anziano

Nuovi farmaci + AntraciclineOffidani e al. hanno trattato 50 pazienti di etàsuperiore a 65 anni con uno schema che preve-deva l’associazione di Talidomide, Desametasone,Doxorubicina liposomiale peghilata (TAD) ottenen-do un 88% di risposte superiori o uguali alla PR(34% CR e 24% VGPR) (51). Con una medianadi osservazione di 18 mesi, è stata riportata unaEFS del 57% e una OS del 74% a 3 anni. La tos-sicità è risultata essere soprattutto legata alle infe-zioni correlate alla neutropenia. Inoltre occorreporre l’attenzione sulla tossicità cardiaca legataall’utilizzo della doxorubicina.Basandosi sui risultati di uno studio di fase III cheha confrontato Bortezomib vs Bortezomib eDoxorubicina liposomiale peghilata (PAD) inpazienti refrattari o in recidiva che ha dimostra-to come l’aggiunta della Doxorubicina migliori siail TTP che l’OS, la FDA ha recentemente appro-vato il PAD come trattamento nel paziente reci-divato dopo 1 linea di trattamento non compren-dente bortezomib (52). Lo schema Bortezomib, Doxorubicina Peghilata,Desametasone a basse dosi (PAd) è stato testa-to su 64 pazienti con MM refrattario o recidiva-to. Quarantatre pazienti (67%) hanno avutoalmeno una risposta parziale e il 25% di questialmeno una VGPR. La tossicità di grado 3-4 èconsistita in piastrinopenia (48%), neutropenia(36%), infezioni (15%) e neuropatia periferica(10%). Lo studio ha dimostrato come il ciclo PAdpossa essere efficace e avere una tossicità accet-tabile anche in pazienti con MM refrattario o reci-divato (53).Anche la lenalidomide è stata testata in associa-zione ad una antraciclina nello schema che pre-vedeva Lenalidomide, Adriamicina, Desameta -sone (RAD) e che è stato somministrato a 69pazienti (età 46-77 anni, mediana 65 anni) conMM refrattario o recidivato. L’overall response rate (ORR) è stato del 77% con74% di CR+VGPR e, come già evidenziato in altristudi, la presenza della delezione del cromoso-ma 17 o elevati livelli di b2-microglobulina sonostati associati ad una percentuale di risposta infe-riore. La neutropenia e la piastrinopenia di gra-do 3-4 sono state osservate nel 48% e nel 38%per pazienti rispettivamente. Un evento trombo-tico si è osservato nel 4.5% dei pazienti (54).

Altre combinazioniSono stati pubblicati i risultati di uno studio di faseII con Lenalidomide, Claritromicina, Desameta -sone (BiRD) come schema di induzione inpazienti con nuova diagnosi di MM (55). La cla-ritromicina ha delle proprietà immunomodulato-rie e sembra incrementare l’efficacia farmacolo-gica dei glucocorticoidi (56, 57). Lo studio haarruolato 72 pazienti che hanno ricevuto la com-binazione orale di BiRD in cicli da 28 giorni. Su72 pazienti arruolati, il 90.3% ha avuto una rispo-sta, il 38,9% dei pazienti ha ottenuto una RC enel 73.6% dei pazienti si è osservata una ridu-zione di almeno il 90% del picco monoclonale.La tossicità maggiore è stata data dal numero dieventi trombotici, dalla morbilità legata al corti-sone e dalla citopenia. Lo schema BiRD si è quin-di dimostrato un trattamento con effetti collate-rali accettabili per i pazienti con nuova diagnosidi MM anche se sono necessari ulteriori studi pervalutare l’efficacia del BiRD come terapia di indu-zione.Sulla base dei buoni risultati ottenuti dai singolinuovi farmaci in associazione allo schema MP,sono stati messi a punto schemi di chemiotera-pia che associassero due nuovi farmaci e lo ste-roide. Un esempio è lo schema Bortezomib,Talidomide, Desametasone (VTD) che è statotestato in uno studio di fase I/II su 85 pazienti conMM in stadio avanzato. Il 79% dei pazienti haavuto una risposta, 63 di essi una PR fra i qua-li un 22% una nCR. Dopo 4 anni dalla terapia il6% dei pazienti erano event-free e il 23% eranovivi (58). Anche per l’associazione Bortezomib,Lenalidomide, Desametasone (VRD) è in corsouno studio multicentrico di fase II che arruolapazienti con MM recidivato o refrattario. Sono sta-ti finora arruolati 64 pazienti e l’ORR è dell’86%comprendente 24% di CR/nCR e 67% di rispo-ste superiori alla PR. Lo studio è tuttora in cor-so ma ha già permesso di dimostrare come que-sto schema di terapia sia ben tollerato e possaessere applicato a pazienti recidivati anche se nel-le linee precedenti erano già stati sottoposti a unodei farmaci dello schema (59).Ovviamente i pazienti sono in numero limitato eoccorrerà avere un follow-up maggiore prima dipoter trarre conclusioni definitive sulle associa-zioni sopra riportate.

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58 Seminari di Ematologia Oncologica

n RUOLO DELLA TERAPIA DI MANTENIMENTO

La terapia di mantenimento sembrerebbe aumen-tare la percentuale di risposta e la EFS in pazien-ti che hanno ricevuto una terapia di induzione, tut-tavia il ruolo della terapia di mantenimento nel MMè controversa, in particolare nel gruppo di pazien-ti con più di 65 anni.In un ampio studio condotto dal gruppo IFM,pazienti di età inferiore ai 65 anni, dopo esserestati sottoposti a chemioterapia ad alte dosi eautotrapianto, sono stati randomizzati in tre brac-ci di studio: nessun mantenimento, pamidrona-to oppure pamidronato e talidomide. La EFS a3 anni dopo la randomizzazione e la OS a 4 annisono risultate essere significativamente migliorinel gruppo che ha ricevuto talidomide. L’incidenza di eventi trombotici non è risultataessere differente nei 3 gruppi (60). In un altro stu-dio l’associazione talidomide + prednisone è sta-ta confrontata con il solo prednisone come tera-pia di mantenimento dopo ASCT: la PFS a 1 annoè risultata essere 91% vs 69% e la OS a 2 anniè stata del 90% vs 81% rispettivamente (61). Inentrambi gli studi la neuropatia periferica di gra-do 3-4 è stata significativamente maggiore neipazienti che hanno ricevuto talidomide rispettoal gruppo di controllo.Recentemente, pazienti alla diagnosi trattati contalidomide + desametasone sono poi stati rando-mizzati ad un doppio ASCT o ad un singolo ASCTseguito da mantenimento per 6 mesi con talido-mide (62). La PFS a 3 anni è stata del 57% nelbraccio con doppio ASCT e del 85% in chi ha fat-to un ASCT e mantenimento con talidomide(p=0.02).È tuttora in corso uno studio che prevede di con-frontare il mantenimento con talidomide 100mg/die + interferone α 3 MU TIW rispetto al solointerferone α senza talidomide. Lo studio èancora in corso, ma i risultati ottenuti permette-ranno di meglio comprendere il ruolo della tera-pia di mantenimento nel MM (63).Ulteriori studi sono comunque necessari perdeterminare il corretto ruolo della terapia di man-tenimento nel MM, in particolare per determina-re quale potrà essere il ruolo dei nuovi farmaci, ildosaggio e la durata del mantenimento (64).

n TERAPIA ALLA RECIDIVA

Nella recidiva di MM le risposte alla terapia sonodecisamente poco durature nel tempo e non visono dati definitivi su quale sia il regime terapeu-tico migliore (65). La terapia va ripresa quandoricompaiono i segni e i sintomi del danno d’or-gano e i criteri CRAB, così come alla diagnosi,definiscono quando trattare un paziente. Il soloaumento della percentuale di plasmacellule a livel-lo midollare non giustifica l’inizio della terapia, cosìcome un lento incremento della componentemonoclonale.Se la risposta alla terapia precedente è statasuperiore ai 18 mesi e l’ultimo ciclo è stato bentollerato, è considerato opportuno sottoporre ilpaziente al medesimo trattamento. In alternati-va, nel paziente anziano si procede all’uso dei far-maci di nuova generazione che permettono diottenere buoni risultati sia in termini di rispostasia di intervallo libero da malattia. I regimi tera-peutici più utilizzati prevedono l’uso dei cortico-steroidi in associazione a talidomide, lenalidomi-de o bortezomib. Eventualmente, al fine di incre-mentare il tasso di risposta pur tenendo in con-siderazione la maggior tossicità, è possibileaggiungere una antraciclina alle combinazionisuddette.

n TRATTAMENTO DEGLI EFFETTI COLLATERALI INDOTTI DAI NUOVI FARMACI

Effetti collaterali correlati alla terapia con talidomideCome noto la talidomide ha uno spiccato effet-to teratogeno, in particolare se somministrata trail 27° e il 40° giorno di gestazione, pertanto è deltutto controindicato assumerla in gravidanza (66).Gli effetti collaterali più comunemente riscontra-ti in pazienti che assumono la talidomide sonola trombosi, la neuropatia periferica, la stipsi e lasonnolenza. Il rischio di trombosi è basso se sisomministra la talidomide come singolo agente,ma aumenta al 12-26% se associata al desame-tasone e raggiunge il 28% se associata ad unchemioterapico come ad esempio la doxorubi-cina.

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59Il paziente anziano

Il rischio di trombosi risulta particolarmente ele-vato nei primi 4-6 mesi di terapia. Al momentosi raccomanda di utilizzare una profilassi antitrom-botica anche se non vi sono dati che dimostri-no la superiorità di un trattamento rispetto ad unaltro quindi è possibile somministrare eparina abasso peso molecolare, warfarin o aspirina (67).L’incidenza della neuropatia periferica dopoterapia prolungata (più di 6 mesi) con talidomi-de è di circa il 70% e sono da considerarsi fat-tori di rischio la dose di farmaco, la durata deltrattamento, una pre-esistente neuropatia el’età. Per ridurre il rischio di neuropatia, occor-rerebbe eseguire una valutazione neurologica pri-ma di iniziare il farmaco. Inoltre in presenza di unatossicità neurologica di grado 2 o superiore sideve ridurre la dose del farmaco e la durata tota-le della terapia non dovrebbe in ogni caso supe-rare i 6 mesi (68).

Effetti collaterali correlati alla terapia con bortezomibGli eventi collaterali più comuni della terapia conbortezomib sono la piastrinopenia, le infezioni ela neuropatia periferica. La piastrinopenia è tran-sitoria ed è più frequente nei pazienti già piastri-nopenici prima di iniziare il trattamento (69). È inol-tre stata osservata una maggior incidenza di infe-zioni, in particolare di riattivazioni del virus her-pes zoster, in pazienti trattati con bortezomibassociato a chemioterapia ed è quindi altamen-te raccomandata una profilassi antivirale inpazienti con anamnesi positiva per infezionierpetiche (70). La neuropatia periferica colpisce circa il 35% deipazienti e il rischio aumenta durante i primi ciclidi bortezomib per poi stabilizzarsi. La neuropa-tia è più frequente nei pazienti che hanno in pre-cedenza ricevuto terapie neurotossiche (71). Leindicazioni attuali nella gestione della neuropatiasuggeriscono una riduzione della dose commisu-rata alla severità dei sintomi, fino alla sospensio-ne del bortezomib che di solito risolve la neuro-patia.

Effetti collaterali correlati alla terapia con lenalidomideLa tossicità più importante legata all’uso dellalenalidomide è costituita dalla mielosoppressio-

ne (in particolare neutropenia e piastrinopenia) edal rischio trombotico. L’incidenza delle trombosi in pazienti recidivatiche vengono trattati con lenalidomide e desame-tasone varia dall’8 al 18% (67). In assenza di stu-di clinici randomizzati controllati non è possibi-le suggerire una raccomandazione definitiva.Tuttavia basandosi su trials di piccole dimensio-ni non controllati si potrebbe considerare l’aspi-rina un’opzione adeguata nei pazienti a bassorischio di TVP (trombosi venosa profonda) e unadose preventiva di eparina nei pazienti con altorischio di TVP (72).

n CONCLUSIONI

Circa l’80% dei pazienti con MM non sono can-didabili ad una chemioterapia ad alte dosi e auto-trapianto a causa dell’età avanzata o dellecomorbilità. L’outcome di questi pazienti è rima-sto pressoché invariato dal 1960, quando è sta-ta introdotta la terapia con MP, fino a pochi annifa quando sono stati introdotti in terapia nuovi far-maci. Studi recenti hanno dimostrato come la combi-nazione dei nuovi farmaci con la chemioterapiaconvenzionale migliori l’outcome dei pazienti chenon sono eleggibili ad un trattamento con auto-trapianto. Da questi studi appare evidente che ilciclo MPT è da considerarsi oggi lo standard ofcare nella terapia del paziente anziano visti i risul-tati ottenuti da quattro studi randomizzati control-lati che hanno mostrato una migliore e più rapi-da risposta alla terapia e un aumentato PFS rispet-to al ciclo MP. Anche lo schema VMP ha dimostrato di esseresuperiore all’MP in uno studio randomizzato e neiprossimi mesi diventerà una alternativa al MPT.Sono ancora in corso studi per valutare l’effica-cia e la tossicità del ciclo MPR che al momentorimane una opzione proponibile solo all’interno diuno studio clinico. I dati fino ad ora ottenuti sembrerebbero mostra-re che il ciclo MPR ha una minor tossicità purmantenendo i risultati ottenuti con MPT. Al con-trario VMP sembrerebbe essere più efficace per-mettendo di ottenere una maggior percentuale diCR, ma al tempo stesso potrebbe essere grava-

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60 Seminari di Ematologia Oncologica

to da maggior tossicità. La terapia con melpha-lan 100 mg/m2 e autotrapianto rimane una pos-sibilità terapeutica anche nel paziente sopra i 65anni anche se con le limitazioni riportate in pre-cedenza. In ogni caso appare chiaro comequando il melphalan è escluso dallo schema tera-peutico come nei cicli TD o RD, si osserva unaridotta PFS. Le complicanze più frequenti legateall’introduzione della talidomide in terapia sonocostituite dalle trombosi venose profonde, dallaneuropatia periferica e dalla tossicità cardiaca. La neutropenia e la trombosi sono effetti collate-rali tipici della terapia con lenalidomide, mentrela piastrinopenia e la neuropatia periferica sonodi comune riscontro in chi è sottoposto a chemio-terapia con bortezomib. Gli effetti collateraliosservati con l’introduzione dei nuovi farmaci pos-sono essere in parte superati con la riduzione del-la dose del farmaco. Anche il ruolo dei fattori prognostici è stato in par-te rivoluzionato. I fattori prognostici universalmen-te accettati sono la classificazione ISS e le alte-razioni citogenetiche. La delezione del cromoso-ma 13 e 17, le traslocazioni t(4:14) e t(4:16) sonoconsiderate fattori prognostici negativi. Tuttavia inpazienti trattati con MPT non sono state osser-vate differenze in OS in base al valore di b2-micro-globulina. Nei pazienti trattati con VMP ed in un gruppomeno numeroso di pazienti trattati con MPR, lapresenza o l’assenza della delezione del cromo-soma 13 o della traslocazione t(4:14) non modi-fica l’EFS. I differenti effetti collaterali e il ruolo deifattori prognostici nei diversi protocolli di tratta-mento potranno suggerire la scelta della terapiapiù adatta al singolo paziente. Ad esempio la pre-senza di una neuropatia periferica pre-esistenteo una anamnesi positiva per patologie cardiolo-giche può indirizzare la scelta verso una terapiacon lenalidomide, mentre un pregresso episodiodi trombosi può far propendere maggiormente peruna terapia con bortezomib. La presenza di alterazioni citogenetiche suggeri-rà una terapia con lenalidomide o bortezomibmentre in presenza di alti livelli di b2-microglobu-lina si preferirà un trattamento che preveda la tali-domide. Il ruolo della terapia di mantenimentodopo la fase di induzione risulta tuttora in corsodi discussione, in particolare per i pazienti che non

sono sottoposti a chemioterapia ad alte dosi eautotrapianto.

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62 Seminari di Ematologia Oncologica

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63Il paziente anziano

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65

n INTRODUZIONE

Il mieloma multiplo (MM) è una malattia etero-genea che può essere caratterizzata fin dalmomento della diagnosi dalla compromissionedi diversi organi (Tabella 1) come riportato in unlavoro del gruppo della Mayo Clinic (1) in cui vie-ne analizzata una vasta casistica. Pazienti affet-ti da MM presentano nel 97% dei casi una com-ponente monoclonale (CM) nel siero e/o nelle uri-ne che è prodotta da plasmacellule le quali incirca il 96% dei casi sono presenti a livello delmidollo osseo. A questo livello, le stesse plasma-cellule possono contribuire a determinare unaalterata attività degli osteoblasti ed osteoclastitanto da essere causa di compromissione osseache può variare da osteoporosi a lesioni osteo-litiche fino a fratture patologiche, con conseguen-ti dolori ossei riferiti dal 66% dei pazienti e chenei casi di malattia più avanzata può essere cau-sa di ipercalcemia. La infiltrazione midollare può essere motivoanche di anemia, con il 73% dei pazienti che pre-senta una Hb <12 g/dl, e di neutropenia e/o pia-strinopenia nel 15% dei casi. Abbastanza frequen-te può essere il riscontro di una compromissio-ne renale mentre sintomi neurologici, perdita di

peso e febbre da malattia viene riportata in unapiù bassa percentuale di pazienti. Molto impor-tante nella pratica clinica è la conoscenza dellepossibili complicanze della malattia in modo dapoterle affrontare dal punto di vista terapeutico,complicanze che oltre ad essere dovute alla malat-tia possono insorgere anche come conseguen-za dei trattamenti specifici eseguiti nei pazienti.Sarà necessario tener ben presente la possibileinsorgenza di alterazioni metaboliche, tra questela più comune è l’ipercalcemia, di alterazioni neu-rologiche, come le compressioni midollari, di insuf-ficienza renale, di infezioni e di iperviscosità.

n COMPLICANZE DOVUTE ALLA COMPONENTE MONOCLONALE

La sindrome da iperviscosità comprende un grup-po di disordini nei quali il flusso ematico è ridot-to per le alterate caratteristiche delle componen-

Indirizzo per la corrispondenza

Dott.ssa Maria Teresa PetrucciVia Benevento, 600161 Romae-mail: [email protected]

Complicanze: aspetti Complicanze: aspetti clinici e terapeuticiclinici e terapeuticiMARIA TERESA PETRUCCI, ANNA LEVI, FABIANA GENTILINIDivisione Universitaria di Ematologia, Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia,“La Sapienza” Università di Roma

Maria Teresa Petrucci

TABELLA 1 - Sintomi alla diagnosi.

Componente monoclonale (CM) nel siero e/o urine (97%)Infiltrazione plasmacellulare (96%)Lesioni osteolitiche, fratture, osteoporosi (79%)Anemia (Hb <12 g/dl) (73%)Dolori ossei (66%)Affaticamento (32%)Insufficienza renale, creatinina sierica ≥2.0 mg/dl (19%)Infezioni/sanguinamenti (<15%)Ipercalcemia >11 mg/dl (13%)Perdita di peso (12%)Sintomi neurologici (5%)“Febbre da tumore” (<1%)

Parole chiave: lesioni ossee, insufficienza renale, iper-calcemia, trombosi, iperviscosità.

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66 Seminari di Ematologia Oncologica

ti ematiche sia cellulari che proteiche (2). Nel casodel MM è proprio la presenza della CM a livellodel siero che può essere causa di diverse pro-blematiche (Figura 1) come appunto l’aumentodella viscosità ematica. L’aumentata viscosità ematica induce una ridu-zione della velocità del flusso sanguigno a livel-lo tissutale dove è possibile avere una diminu-zione dell’apporto dell’ossigeno e del nutrimen-to con conseguenti segni e sintomi quali aste-nia, anoressia, mal di testa, vertigini, prurito,emorragie microvascolari soprattutto del tubogastroenterico, alterazioni del visus, sintomi

neurologici ed insufficienza cardiaca acuta (3). Leemorragie che interessano soprattutto il micro-circolo sono dovute alla più alta viscosità del san-gue soprattutto nei vasi di diametro più piccolonei distretti in cui la rete vascolare è più svilup-pata. Generalmente la CM riduce anche la plastici-tà delle emazie che si impilano formando dei“rouleaux” cosa che contribuisce all’aumentodella viscosità. I sintomi da iperviscosità ven-gono riportati nel 2-3% dei pazienti con MMe nel 10-20% dei casi con Macroglobulinemiadi Waldenstrom (4).

FIGURA 1 - Sintomi legatialla componentemonoclonale.

FIGURA 2 - Fondo oculare.

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67Complicanze: aspetti clinici e terapeutici

I sintomi da iperviscosità, però, risultano esserepiù comuni nel MM considerando la sua più altaincidenza. L’iperviscosità può essere facilmentediagnosticata con l’esame del fondo oculare(Figura 2) mentre la sua misurazione non è indi-cativa della gravità della malattia non correlan-do necessariamente con il quantitativo della CM(2), ma dipendendo anche dalla sua struttura.Infatti nei casi di iperviscosità, il quantitativo del-la IgM (pentamero) può essere inferiore rispettoa quello necessario per le IgA (dimero) e per leIgG (monomero). Molto discutibile è l’opportunità di eseguire la pla-smaferesi nell’ottica di rimuovere la CM sierica,procedura che viene indicata, anche se semprepiù raramente, soltanto nei pazienti in anuria conimportante sintomatologia (5, 6) e che deve esse-re comunque seguita immediatamente dallaterapia citoriduttiva nell’ottica di contenere l’ul-teriore produzione della CM. In questi casi, con-siderando che l’anemia può ridurre la viscositàematica, le emotrasfusioni devono essere evita-te quando possibile. La CM è in grado di preci-pitare a livello degli organi e di dare così originea depositi di fibrille di amiloide (7) e quindi all’ami-loidosi primaria o secondaria. Quando il deposito avviene a livello renale il dan-no può essere glomerulare e/o tubulare con con-seguente insufficienza renale cronica, quando alivello cardiaco si assiste ad un ispessimento del-le pareti cardiache soprattutto del setto interven-tricolare con grave scompenso. La deposizione dell’amiloide a livello vascolareè causa di fragilità dei vasi e di emorragie cuta-nee soprattutto nelle regioni periorbitali ed inte-stinali (8). Le fibrille di amiloide, oltre ad avere unaazione diretta sui vasi contribuiscono alle mani-festazioni emorragiche di alcuni pazienti, graziead una loro capacità di assorbire i fattori dellacoagulazione causandone un deficit, soprattut-to del fattore X (9). Raramente la CM precipita a temperature bas-se soprattutto nel microcircolo, in questo casosi parlerà di crioglobulinemia che può determi-nare ischemie o infarti delle estremità. Inoltre,anche se ancor più raramente, è possibile ave-re la sindrome di Henoch-Schönlein (HSP) la cuieziopatogenesi è dovuta alla deposizione tissu-tale di immunocomplessi contenenti IgA che atti-

vano il complemento con conseguente dannovascolare. I sintomi (porpora delle estremità, artri-te, dolori addominali, nefrite con proteinuria), chesono molto simili alla più frequente HPS dei bam-bini, possono risolversi con la terapia specificaper il MM (10, 11).

n COMPLICANZE DOVUTE ALL’INFILTRAZIONE DELLE PLASMACELLULARE A LIVELLO MIDOLLARE

L’infiltrazione midollare da parte delle plasmacel-lule può essere causa di riduzione dei precurso-ri delle cellule normali e quindi a livello del san-gue periferico è possibile avere anemia, neutro-penia e piastrinopenia con i conseguenti sintomi(Figura 3). Tuttavia, queste pancitopenie posso-no essere dovute o aggravate anche da altri fat-tori come le stesse chemioterapie. Anemia: La eziopatogenesi dell’anemia, come perle altre neoplasie, anche nel MM è consideratamultifattoriale (Figura 4) essendo dovuta infatti oltreche alla infiltrazione midollare anche alla possi-bile emodiluizione, alla insufficienza renale, allacarenza di fattori quali vitamina B12, acido foli-co e ferro. Può dipendere dall’alterato metaboli-smo del ferro, dai possibili sanguinamenti e piùraramente dall’emolisi. Nella pratica clinica questo segno diventa anco-ra più importante per i pazienti con MM essen-do l’anemia uno degli elementi del CRAB (Figura5) che impongono l’inizio del trattamento speci-fico. Molto importante, quindi, sarà la valutazio-ne della possibile causa dell’anemia proprio perintervenire nel modo più appropriato possibile evi-tando di iniziare terapie specifiche a causa del-l’anemia che può, al contrario, dipendere da tut-ti questi altri fattori. Si valuterà quindi l’opportunità di eseguire emo-trasfusioni, da evitare in caso di emodiluizioni inpresenza cioè di una “falsa” anemia, di sommi-nistrare ferro e/o vitamine in caso di anemia caren-ziale, di eseguire eritropoietina soprattutto nei casicon insufficienza renale, di intervenire sulle pos-sibili perdite ematiche (12). Tutto questo viene ese-guito indipendentemente dalla scelta terapeuticaspecifica per la neoplasia ematologica su cui non

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68 Seminari di Ematologia Oncologica

incide la possibile presenza di anemia che tutta-via quando legata alla malattia si risolve nella mag-gior parte dei pazienti rispondenti alle terapie spe-cifiche. Con uno studio randomizzato è statodimostrato che l’uso di eritropoietina miglioral’anemia nel 65% dei pazienti anche in assenzadi insufficienza renale (13). Il miglioramento del-l’anemia risulta anche in un significativo miglio-ramento della qualità di vita (14). Inoltre, vengo-

no riportati dei dati preliminari riguardo il miglio-ramento della sopravvivenza dei pazienti conmalattia avanzata attribuita alla capacità dell’eri-tropoietina di migliorare i meccanismi immuni anti-mieloma (15, 16). Quando l’emoglobina raggiun-ge i 12 g/dl, l’eritropoietina deve essere sospesao ridotta ad una dose di mantenimento in consi-derazione dei possibili eventi avversi (trombosi) pervalore superiori a 13 g/dl. Tali eventi sono ripor-

FIGURA 3 - Sintomi legatialla infiltrazione midollare.

FIGURA 4 - Eziologiamultifattoriale dell’anemianel paziente con MM.

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69Complicanze: aspetti clinici e terapeutici

tati nel 15-20% dei casi in cui l’eritropoietina vie-ne associata a farmaci quali lenalidomide o altedosi di cortisone (17). Neutropenia: Può dipendere dalla sostituzionemidollare o dalla tossicità dei trattamenti chemio-terapici, e quando associata ai deficit immuno-logici, dovuti alla presenza della immunoglobuli-na patologica a discapito delle immunoglobulinenormali, può essere causa di infezioni che in gene-re colpiscono l’apparato respiratorio e/o quello uri-nario. Le infezioni nei pazienti con MM sono laprincipale causa di morbilità, nel 15% dei casisono il primo segno di malattia e sono maggior-mente a rischio i pazienti durante i primi due mesidi trattamento, quelli con insufficienza renale equelli con malattia attiva rispetto alla malattia sta-bile (18). Disfunzione leucocitaria (opsonizzazio-ne, adesione e migrazione) e disfunzione linfoci-taria (19) (alterato rapporto CD4/CD8, gamma/del-ta, NK/citotossicità) sono da tenere presenti comeulteriore causa di insorgenza di infezioni. Quindi pazienti febbrili devono essere attentamen-te valutati con emocolture, appropriate indaginiradiologiche e trattati con terapia antibiotica. Lafebbre è un segno raro di malattia nel MM, e quin-di quando presente bisogna subito pensare aduna eziologia infettiva. Importante soprattutto neipazienti a rischio provvedere ad una profilassi chein genere consiste in una terapia antibiotica pervia orale (20). Tale indicazione è il risultato di quan-

to ottenuto prima con un limitato studio rando-mizzato (21), eseguito in 57 pazienti con MM alladiagnosi, in cui è stato dimostrato che l’uso in pro-filassi del sulfametoxazolo+trimetoprim verso ilplacebo dà beneficio quando utilizzato nei primi2 cicli di terapia, e successivamente con un piùlargo studio di fase III in cui i pazienti venivanoosservati o trattati con sulfametoxazolo+trimeto-prim o con chinolone (22). La polmonite da Pneumocystiscarini è al contra-rio una infezione che si manifesta raramente anchenei pazienti con MM trattati con alte dosi di cor-tisone. In caso di documentate ricorrenti infezio-ni batteriche e ipogammaglobulinemia è neces-sario considerare anche l’opportunità di sommi-nistrare immunoglobuline (23) per via endoveno-sa, mentre la terapia antifungina in genere non vie-ne eseguita se non per i pazienti sottoposti a pro-cedure trapiantologiche. Come detto i pazienti con MM presentano unaalterata immunità cellulo-mediata che, senza pro-filassi, nel 20% dei casi può risultare in una infe-zione da herpes zoster. Questo è particolarmen-te vero per i pazienti trattati con bortezomib, dovel’incidenza riportata è del 30% dei casi (24), e peri quali deve essere considerata la profilassi anti-virale con aciclovir o analoghi. Per quanto riguar-da le vaccinazioni, discutibile è la loro efficaciaconsiderando la variabilità delle risposte per cuiquesto rimane un campo tutto da esplorare. Non

FIGURA 5 - Definizionedi MM.

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esistono, tuttavia, controindicazioni mediche equindi numerosi pazienti nella pratica clinica rice-vono annualmente i vaccini antinfluenzali e gene-ralmente una singola dose di vaccino antipneu-mococco (25, 26), mentre il vaccino antivaricellanon viene raccomandato trattandosi di un vacci-no con virus attenuato. Piastrinopenia: La riduzione del numero delle pia-strine dovuta ad infiltrazione midollare e ad usodi chemioterapia, di bortezomib o di lenalidomi-de, assieme ad alterazioni della coagulazione,possono essere causa di sanguinamenti sia del-la cute che delle mucose. Si possono avere manifestazioni emorragicheanche per interferenza della CM con i fattori del-la coagulazione (9) e delle membrane piastriniche(27). Possibili sanguinamenti spontanei o dopoprocedure invasive a livello delle mucose posso-no essere attribuiti anche ad un deficit acquisitodel fattore di von Willebrand (VWF) probabilmen-te dovuto a:1. formazione di complessi immuni formati da

VWF-autoanticorpi capaci di neutralizzare l’at-tività del VWF o favorirne l’eliminazione attra-verso il reticolo endoteliale;

2. assorbimento del VWF direttamente da partedelle cellule maligne su cui sarebbero presen-ti i suoi recettori;

3. aumento della proteolisi del VWF;4. riduzione della sintesi VWF (28-30).Per quanto riguarda questa particolare situazio-

ne, al momento non c’è ancora consenso su quel-lo che potrebbe essere il trattamento specifico.La terapia quindi sarà sicuramente sintomatica;si interverrà con trasfusioni piastriniche in casodi gravi piastrinopenia in presenza di sanguina-menti, con terapia specifica per il mieloma nel-l’ottica di ridurre la CM e l’infiltrazione midollare,e con terapia cortisonica che in genere fa partedella terapia specifica per la malattia ematologi-ca. Anche la scelta della terapia per il mielomapotrà dipendere dalla presenza o meno della pan-citopenia e dalla sua causa. In caso di pancito-penie da chemioterapici sicuramente sarà indica-ta una riduzione della posologia dei farmaci som-ministrati, mentre in caso di sostituzione midol-lare si prenderà in considerazione l’opportunità dieseguire dosaggi pieni proprio nell’ottica di agi-re sulle cellule patologiche, in questo caso le pla-smacellule, e fare spazio ai precursori delle cel-lule normali. La presenza della neutropenia e piastrinopenia alcontrario di quanto succede in presenza di ane-mia potrebbe influenzare la scelta della terapiaspecifica soprattutto nell’era dei nuovi farmaciquali la talidomide, il suo derivato, la lenalidomi-de, e il bortezomib. Questi farmaci hanno infattiuna diversa modalità di azione sul midollo (Tabella2). La lenalidomide risulta tossica sul midollo, cau-sando soprattutto neutropenia, al contrario dellatalidomide e del bortezomib (31-35). Quest’ultimoè causa soprattutto di piastrinopenia dovuta ad

TABELLA 2 - Tossicità ematologica.

Talidomide Bortezomib Lenalidomide

No tossicità midollare No tossicità midollare Tossicità midollare

Anemia Anemia Anemia- Rara - Grado 3/4 - 10% - Grado 3/4 - 13%

Trombocitopenia Trombocitopenia2 Trombocitopenia- Non comune - Non comune 35% - Grado 3/4 - 14.7%

- Grado 3/4 - 29%- Recupero del numero di piastrine nei 10 giorni di riposo

Neutropenia Neutropenia Neutropenia- Grado 1/2 - 15-25% - Tutti i gradi 19% - Grado 3/4 - 41%

- Grado ¾ - 14% - Necessità del fattore di crescita - Riduzione transitoria dei neutrofili nel 33.9%con rapido recupero

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un alterato rilascio dei trombociti da parte deimegacariociti più che ad una tossicità midollare,cosa che spiega il rapido recupero con lasospensione del trattamento.

n COMPLICANZE DOVUTE ALLA INSUFFICIENZA RENALE

L’insufficienza renale può dipendere da vari fat-tori e generalmente si manifesta con valori del-la creatinina <4 mg/dl. Il 2-15% dei pazienti puòrichiedere un trattamento dialitico; nel 40-60% deicasi si ottiene una buona risposta al trattamen-to chemioterapico. Nel caso di nefropatia tubu-lare (rene da mieloma) il danno è causato dallaescrezione/filtrazione delle catene leggere che alivello del tubulo distale possono precipitare e for-mare dei veri e propri corpi eosinofili costituiti dal-le catene leggere circondate da cellule gigantimultinucleate. Il grado di severità della insufficien-za renale dipenderà soprattutto dalle caratteristi-che biochimiche dei precipitati piuttosto che dalloro numero. Il deposito delle immunoglobulinea livello glomerulare può essere causa di depo-siti di amiloide cioè di fibrille costituite da cate-ne leggere che si depositano a livello delle mem-brane basali. In questo caso sono per lo più cate-ne leggere di tipo λ, risultano positive alla colo-razione con il rosso Congo, causano sindromenefrosica e il valore della creatinina può essereanche normale. Nella malattia da deposito dellacatena leggera o della CM generalmente la cate-na interessata è la k, la colorazione con il rossoCongo risulta negativa, quindi non si tratta di fibril-le, la possibile sindrome nefrosica è dovuta al

coinvolgimento glomerulare, i livelli di creatininageneralmente sono aumentati ed è possibile ilcoinvolgimento di altri organi quali il cuore e ilfegato. Altra causa di danno renale è la sindro-me acquisita di Fanconi, caratterizzata dalla pre-senza di inclusioni cristalline dovute a incomple-te catene leggere k a livello del tubulo prossima-le, con una incapacità di riassorbimento da par-te dello stesso e conseguente glicosuria, aminoa-ciduria, ipouricemia, ipofosfatemia, osteoporosi,dolori ossei e insufficienza renale moderata. Ladisidratazione, le infezioni, l’uso di farmaci nefro-tossici quali antibiotici, gli antinfiammatori nonsteroidei (FANS) usati per i dolori, l’ipercalcemia,la stessa chemioterapia possono essere causadi alterata funzione renale. L’approccio al paziente con MM a rischio di svi-luppare una insufficienza renale sarà di evitare lecause scatenanti e quindi si dovrà consigliare dibere almeno 2 litri di acqua al giorno, evitandol’uso dei FANS e la disidratazione, l’ipercalcemiae l’iperuricemia (36). Nel 20-60% dei casi è pos-sibile parlare di reversibilità della insufficienza rena-le, che sicuramente è più probabile (50% dei casi)se il valore della creatinina è <4 mg/dl, la protei-nuria delle 24 ore è <1 g e i livelli di calcio sono<11.5 mg/dl, mentre più difficile (meno del 10%dei casi) sarà il recupero della funzionalità rena-le nei pazienti in dialisi, recupero che sarà raris-simo nel caso di pazienti dializzati da più di 4 mesi.Di fronte ad un paziente che è in insufficienzarenale la prima cosa da fare sarà forzare la diu-resi, idratarlo con soluzioni che permetteranno dialcalinizzare le urine, nell’ottica di evitare la for-mazione di ulteriori precipitati, ed intervenire conla terapia cortisonica, unico approccio terapeu-

TABELLA 3 - Aggiustamenti della dose di lenalidomide nei pazienti con funzionalità renale alterata.

Funzionalità renale (CLcr) Aggiustamenti della dose

Lieve insufficienza renale (CLcr>50 ml/min) 25 mg una volta al giorno (dose completa)

Moderata insufficienza renale (30<CLcr>50 ml/min) 10 mg una volta al giorno*

Grave insufficienza renale (CLcr<30 ml/min senza 15 mg a giorni alterni**necessità di dialisi)

Malattia renale allo stadio finale (ESRD) 5 mg una volta al giorno. Nei giorni di dialisi la dose(CLcr<30 ml/min con necessità di dialisi) deve essere somministrata dopo la dialisi

*La dose può essere aumentata a 15 mg una volta al giorno dopo 2 cicli qualora il paziente non risponda al trattamento ma tolleri il medicinale.**La dose può essere aumentata a 10 mg una volta al giorno se il paziente tollera il medicinale.

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tico che si utilizza inizialmente rinviando l’inseri-mento della chemioterapia ad una fase succes-siva. In caso di persistenza dell’insufficienza rena-le, sarà necessario valutare l’opportunità di inizia-re i trattamenti specifici per la malattia ematolo-gica, con l’attenzione di ridurre i dosaggi di far-maci quali gli alchilanti che vengono escreti dalrene e la cui concentrazione può aumentare a livel-lo ematico causando di per sè tossicità midolla-ri con conseguenti pancitopenie. La scelta del trat-tamento specifico si farà tenendo presente il meta-bolismo dei farmaci utilizzati (37, 38). Nessun problema per farmaci quali antracicline,bortezomib, talidomide e le stesse procedure uti-lizzate per il trapianto delle cellule staminali, men-tre sarà necessario ridurre (Tabella 3) il dosaggiodella lenalidomide (39). Come già ripetutamentedetto, la conoscenza delle complicanze dovute allamalattia o come conseguenza delle terapie utiliz-zate è necessaria proprio per evitare l’insorgenzadi problematiche che è possibile prevenire.

n COMPLICANZE DOVUTE ALLA COMPROMISSIONE DELL’APPARATO SCHELETRICO

Il 35% dei pazienti affetti da MM al momento del-la diagnosi presenta una compromissione osseache può variare da osteoporosi, a lesioni osteo-

litiche fino a fratture patologiche con compromis-sione anche neurologiche e metaboliche (Figura6). Tale complicanza può insorgere anche duran-te le fasi successive della malattia per interessa-re una percentuale maggiore di pazienti, ad esem-pio nella fase di recidiva di malattia. Generalmente, comunque, la compromissioneossea è presente nel 75% dei casi se si consi-dera l’osteopenia, l’osteolisi e le fratture patolo-giche con il 58% di fratture vertebrali (40). Lo svi-luppo delle lesioni osteolitiche nel MM è secon-dario al riassorbimento osseo dovuto all’aumen-tata attività degli osteoclasti accompagnata dauna ridotta funzione degli osteoblasti. Al momen-to uno dei campi di ricerca per il MM è propriolo studio dei meccanismi che regolano l’attivitàdegli osteoclasti e degli osteoblasti così come laidentificazione di target terapeutici per preveni-re e trattare le lesioni osteolitiche (41). Nell’eziopatogenesi del rimaneggiamento osseoun ruolo molto importante è riconosciuto a cito-chine ed ormoni che regolano il rapporto tra illigando di RANK e la osteoprotogerina (OPG).L’alterazione del rapporto RANK ligando/OPGcausa l’aumento del riassorbimento osseo (42-44). Tale meccanismo deve essere tenuto benpresente considerando la possibilità di affianca-re alle terapie tradizionali (chemioterapia, radio-terapia, chirurgia e terapia del dolore) anche nuo-vi farmaci quali inibitori degli osteoclasti (bisfo-

FIGURA 6 - Sintomi legati alriassorbimento osseo.

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sfonati, inibitori di RANKL, inibitori della prenila-zione e inibitori del proteasoma) e stimolatori degliosteoblasti (osteoproteine morfogeniche, statine,anticorpi monoclonali anti-PTHrP, antagonisti del-la V3 integrine). Tra questi i bisfosfonati sono sicu-ramente farmaci entrati nell’armamentario tera-peutico dei pazienti affetti da MM (45). È statodimostrato che questi farmaci sono in grado diridurre le complicazioni scheletriche e migliora-re la qualità di vita (46). Ne esistono di varie generazioni, l’ultimo dei qua-li l’acido zoledronico, di gran lunga più attivo deglialtri, e ad esso vengono riconosciuti numerosimeccanismi d’azione quali azione, anti-prolifera-tiva, induzione dell’apoptosi, sinergia di apopto-si con trattamenti anti-neoplastici, inibizionedell’angiogenesi, inibizione del rilascio di citochi-ne e fattori di crescita dal microambiente osseo,inibizione dell’adesività all’osso e inibizione delpotenziale di invasività ossea. In considerazionedi questi meccanismi di azione, questo farmacoè stato utilizzato anche nei casi di mieloma smol-dering, quindi in pazienti che non necessitano ditrattamenti chemioterapici, nell’ottica di valuta-re una loro efficacia in termine di evoluzione dimalattia (47). I bisfosfonati sono farmaci sommi-nistrati per via endovenosa una volta al mese, mail cui uso prolungato può essere causa di sindro-me nefrosica, insufficienza renale, ipocalcemia eosteonecrosi della mandibola (ONJ) (48, 49).Recentemente è stato riportato che l’incidenzadella ONJ è associata all’uso prolungato dei bifo-sfonati (>1 anno) e soprattutto si sviluppa utiliz-zando l’acido zoledronico, più che il pamidrona-to (50, 51). Tali possibili complicanze richiedono sicura-mente una particolare attenzione nella sommini-strazione dei bisfosfonati proprio nell’ottica di evi-tare inappropriate riduzioni o interruzioni di un far-maco di indubbia efficacia per i pazienti con MMsoprattutto con compromissione ossea. Comedetto, l’insufficienza renale interessa già i pazien-ti con MM e quindi è fondamentale tenere pre-sente questa problematica prima di inserire ibisfosfonati in terapia; sarà necessario valutareil valore della clearance della creatinina e prov-vedere alle appropriate riduzioni di dosi e al pro-lungamento del tempo di infusione del farmacoper evitare ulteriori peggioramenti della funziona-

lità renale. Per quanto riguarda l’osteonecrosi del-la mandibola è questa una problematica insortanei pazienti in trattamento con bisfosfonati chenecessitavano di cure del cavo orale eseguitesenza le appropriate precauzioni come uso diantibiotici fino alla completa risoluzione dellelesioni delle gengive, o limitazione delle proce-dure chirurgiche odontoiatriche. Al momento,sicuramente grazie alla maggiore conoscenza ealla profilassi che viene eseguita, è possibile con-tinuare ad utilizzare questi farmaci senza indur-re una complicanza quale ONJ (52). Alla luce diqueste problematiche, sia la Mayo Clinic (53) chela Società Americana di Oncologia Clinica (54)hanno presentato delle linee guida dando indi-cazioni precise riguardo l’uso dei bisfosfonati.- La terapia con bisfosfonati al di fuori degli stu-di clinici non è indicata per pazienti con mielo-ma smoldering/inattivo.

- Se le radiografie sono negative o mostrano sol-tanto osteoporosi, non vi è accordo per l’utiliz-zo dei bisfosfonati.

- La densitometria ossea non è molto utilizzata,ma potrebbe aiutare nel documentare e quan-tizzare la osteoporosi diffusa.

- La durata della terapia non dovrebbe superarei 2 anni.

- Nei pazienti che, con i trattamenti, hanno otte-nuto una risposta completa o una risposta qua-si completa senza evidenza di attività di malat-tia a livello osseo, 1 anno di trattamento è con-siderato ragionevole.

n COMPLICANZE NEUROLOGICHE

Causate generalmente da compressioni dei ner-vi dovuti a compromissione ossea o formazionedi tessuto molle (plasmocitomi). L’interessamentopuò riguardare le radici dei nervi per cui si parle-rà di radicolopatie caratterizzate da dolori, riduzio-ne di forza fino alla paralisi. Quando la compres-sione riguarda la corda midollare, generalmente acausa di crolli vertebrali, la sintomatologia puòvariare da dolore, a paraplegie con possibile per-dita della funzione degli sfinteri. Possibili sonoanche le neuropatie periferiche, diagnosticate cli-nicamente nell’1-13% dei casi, percentuale chesale al 39% quando viene eseguita la elettromio-

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grafia e che possono essere dovute ad una azio-ne demielinizzante da parte della CM, alla ipervi-scosità o all’azione dei farmaci quali la vincristi-na, la talidomide e il bortezomib. In caso di neu-rotossicità iatrogena (55), fondamentale saràintervenire tempestivamente con la riduzione deidosaggi prima di arrivare ad avere dei danni irre-versibili e quindi essere costretti poi alla sospen-sione inappropriata di farmaci molto attivi (Tabella4). Nei pazienti in cui le chemioterapia e/o gli anal-gesici non sono sufficienti per controllare il dolo-re, sarà necessario prendere in considerazionel’opportunità di eseguire un trattamento radiote-rapico localizzato alla zona maggiormente interes-sata dalla problematica ossea. Molte volte, in casodi fratture patologiche, è necessario eseguire inter-venti chirurgici di stabilizzazione delle ossa lungheo vertebrali. Per i pazienti con fratture dei corpi ver-tebrali esistono 2 tecniche utilizzate per stabiliz-zare la vertebra compromessa e alleviare il dolo-re: la vertebroplastica (iniezione di cemento nel cor-po della vertebra collassata) e la cifoplastica (intro-duzione di un palloncino nel corpo vertebrale cheuna volta gonfiato viene riempito di cemento).Ambedue le tecniche si sono dimostrate efficacinell’85% dei pazienti soprattutto in quelli con frat-tura vertebrale da <1 anno. La risoluzione del dolo-re è pressoché immediata, mentre i rischi legatialla procedura sono minimi e includono raramen-te infezioni, sanguinamenti o fuoriuscita delcemento nel canale vertebrale (56). Una vera emer-genza è, per i pazienti con MM, la compressionedel midollo spinale da parte di un plasmocitoma,causa di dolori vertebrali e possibili segni neuro-logici come formicolii delle estremità, disfunzionedegli sfinteri, riduzione di forza degli arti. Se sisospetta un tale quadro, sarà necessario esegui-re una risonanza magnetica nucleare in urgenza

ed intervenire immediatamente con alte dosi di cor-tisone e radioterapia locale. Più raramente è richie-sto un intervento chirurgico.

n COMPLICANZE METABOLICHE

L’ipercalcemia può essere un segno della malat-tia, meno frequente della malattia ossea, chegeneralmente interessa il 30% dei casi nel corsodella storia della malattia. Negli anni, infatti, gra-zie alle diagnosi di MM eseguite sempre più pre-cocemente, difficilmente l’ipercalcemia è presen-te al momento della diagnosi di malattia, mentreè possibile doverla affrontare nei casi di malattiapiù avanzata. La sua patogenesi è dovuta all’ac-cumulo di calcio extracellulare per aumentato rias-sorbimento osseo e ridotta clearance a causa del-l’alterata filtrazione glomerulare. In rapporto alquantitativo di calcio si parlerà di ipercalcemia lie-ve (<12 mg/dl) moderata (≥12 <15 mg/dl) e gra-ve (>15 mg/dl) situazioni che varieranno anche dalpunto di vista sintomatologico. Nel primo caso èpossibile non avere sintomatologia, in caso di iper-calcemia moderata è possibile avere astenia,poliuria e nefrocalcinosi mentre nei casi più gra-vi è possibile avere sintomi neurologici, gastroin-testinali e complicanze cardiovascolari (Figura 7).La terapia da considerare di emergenza consistenel forzare la diuresi con idratazione per via endo-venosa, diuretici, terapia cortisonica ad altodosaggio e bisfosfonati.La sindrome della lisi tumorale (TLS) è una pro-blematica che raramente riguarda i pazienti affet-ti da MM trattati con chemioterapia convenzio-nale comprendente anche gli alchilanti, ma chedeve essere tenuta presente con l’uso delle nuo-ve molecole in considerazione di quanto riporta-to in pazienti trattati con bortezomib (57, 58).Questa differenza può essere spiegata dal fattoche la chemioterapia agisce soltanto sulle cellu-le proliferanti, che nel MM sono in percentualemolto bassa, mentre il bortezomib su tutte le cel-lule neoplastiche in cui è stato attivato l’NF-kB(59). Quindi in caso di pazienti, soprattutto conmasse tumorali importanti, sottoposti a terapie cheprevedono l’uso dei nuovi farmaci viene indicatal’opportunità di idratare il paziente, alcalinizzarele urine ed inserire farmaci ipouricemizzanti.

TABELLA 4 - Gestione della neuropatia periferica conseguenteal trattamento con talidomide.

Grado I Riduzione del 50% della dose di Talidomide

Grado II Sospensione del trattamento fino a risoluzione o riduzione della tossicità al grado I, quindi ripresa della somministrazionecon dosaggio ridotto del 50%

Grado III Interruzione permanente del trattamento

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75Complicanze: aspetti clinici e terapeutici

n COMPLICANZE TROMBOTICHE

I pazienti con neoplasia hanno un alto rischio disviluppare trombosi (60) dovute anche ad immo-bilizzazione, uso di cateteri venosi centrali, che-mioterapia. Nel caso del MM gli eventi trombo-embolici hanno cause multifattoriali quali carat-teristica trombogenica della patologia in sè pro-babilmente dovuta alle caratteristiche fisico-chi-miche delle CM, uso di alcune terapie, quali tali-domide (61), lenalidomide (62), uso di eritropoie-tina soprattutto in associazione a lenalidomide (63)o alte dosi di desametasone rispetto alle bassedosi (64) e possibili altre concause come l’età piùavanzata dei pazienti. In uno studio retrospettivocondotto negli USA, in cui sono state analizzatele cartelle di pazienti ricoverati tra il 1980 e 1996,su 1.000 pazienti è stata riportata una incidenzadi trombosi dello 0.9, 3.1 e 8.7 rispettivamente peri pazienti anziani senza discrasia plasmacellula-re, con MGUS e MM (65). L’osser vazione della piùalta incidenza di trombosi anche nelle MGUS sot-tolinea la possibile caratteristica intrinseca deipazienti affetti da queste alterazioni a svilupparetrombosi (66, 67). Comunemente la più alta inci-denza di trombosi si ha nei pazienti con MM alladiagnosi e durante i primi 4-6 mesi di trattamen-to. Numerose sono state le strategie di profilas-si segnalate per i pazienti con MM che ricevonofarmaci quali talidomide o lenalidomide in com-binazione con desametasone e/o chemioterapianei quali è riscontrata una più alta incidenza di

trombosi, come ad esempio riportato da Baz etal. (68), che segnalano una incidenza del 58% ditrombosi nei pazienti trattati alla diagnosi con tali-domide, desametasone, doxorubicina liposo-miale e vincristina. L’uso di dosi fisse di anticoa-gulante orale non hanno dato risultati incoraggian-ti, al contrario delle dosi terapeutiche risultate effi-caci, nei pazienti trattati con talidomide, ma chenon sono state testate per i pazienti in terapia conla lenalidomide. L’eparina a basso peso molecolare sembra esse-re efficace come profilassi delle trombosi in asso-ciazione a terapie combinate di talidomide, mel-falan o ciclofosfamide ma non quando la talido-mide è combinata con ciclofosfamide, vincristi-na, etoposide, doxorubicina, cisplatino e desame-tasone (69). In attesa, quindi, dei risultati di stu-di controllati che si prefiggono di valutare qualeprofilassi utilizzare, al momento viene consiglia-to l’uso dell’aspirina per i pazienti con nessunoo un fattore di rischio per trombosi, e l’eparina abasso peso molecolare per quelli con più di unfattore di rischio. Quando necessario l’eparina puòessere sostituita dagli anticoagulanti somministra-ti a dosaggi terapeutici (70). Nonostante sianonecessari più dati prima di giungere a conclusio-ni definitive, l’uso del bortezomib in associazio-ne anche con talidomide e lenalidomide non sem-brerebbe aumentare l’incidenza di trombosi neipazienti in terapia (71, 72), ma addirittura la ridur-rebbe, (73) cosa che permetterebbe di non utiliz-zare la profilassi antitrombotica.

FIGURA 7 - Ipercalcemia.

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76 Seminari di Ematologia Oncologica

n CONCLUSIONE

Il MM è una malattia molto complessa che puòessere caratterizzata da numerose complicanzedovute sia alla patologia stessa che alle terapieutilizzate. Nel corso degli anni, grazie anche allapossibilità di eseguire con più facilità lo studio pro-teico del siero e delle urine, la diagnosi viene ese-guita sempre più precocemente cosa che ha por-tato ad una riduzione del numero dei pazienti cheal momento dell’esordio di malattia si presenta-no con insufficienza renale o sintomatologie gra-vi come ipercalcemia o complicanze neurologi-che su cui intervenire in emergenza. Queste problematiche, comunque, devono esse-re tenute ben presenti perché possono interes-sare i pazienti nelle fasi più avanzate della malat-tia e, quando non si prendono le dovute precau-zioni, possono aversi come complicazione dei far-maci utilizzati, siano essi chemioterapici standardo mieloablativi con trapianto di cellule staminali,o le stesse nuove molecole che sempre più ven-gono utilizzate per tutte le categorie dei pazienticon MM. La prognosi di questi pazienti è deci-samente migliorata nel corso degli anni, anche seal momento non è ancora possibile parlare di gua-rigione. Numerosi sono i progressi che si sonoavuti anche in termine di terapia di supporto, chepermettono di utilizzare al meglio le stesse che-mioterapie, anche in pazienti più fragili, contribuen-do all’aumento della percentuale di risposte otte-nute, all’allungamento della durata di queste rispo-ste e quindi della durata di sopravvivenza. Miglioramenti, questi, che incidono positivamentesulla qualità di vita dei pazienti, problematica chesempre più deve essere presa in considerazionee tenuta ben presente quando è necessario deci-dere il trattamento da effettuare. La conoscenzaquindi delle possibili complicanze è fondamenta-le nella pratica clinica perché, come già ripetuta-mente detto, permette di prevenirle, o quanto menodi affrontarle, per evitare ulteriori complicazioni chepossono risultare essere anche fatali.

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