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ANNALI DI STORIA BRESCIANA 5 Cultura musicale bresciana Reperti e testimonianze di una civiltà a cura di Maria Teresa Rosa Barezzani e Mariella Sala Ateneo di Brescia Accademia di Scienze Lettere ed Arti -0 Pagine di guardia.indd 3 03/01/18 12:19

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ANNALI DI STORIA BRESCIANA 5

Cultura musicale brescianaReperti e testimonianze di una civiltà

a cura di Maria Teresa Rosa Barezzani e Mariella Sala

Ateneo di BresciaAccademia di Scienze Lettere ed Arti

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© 2017 Editrice MorcellianaVia Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia

Prima edizione: dicembre 2017

Redazione a cura di Enrico ValseriatiIndice dei nomi a cura di Marcello Mazzetti e Livio Ticli

Crediti fotografici:Bologna, Biblioteca Universitaria

Brescia, Biblioteca Civica QuerinianaBrescia, Musei Civici di Arte e Storia

Brescia, Museo DiocesanoBrescia, Pinacoteca Tosio-Martinengo

Cremona, Biblioteca del Seminario VescovileLondra, British Library

Londra, British MuseumOxford, Bodleian Library

Tolosa, Musée Paul-DupuyTunisi, Museo del Bardo

Gli Annali di storia bresciana, promossi dall’Ateneo di Brescia,sono realizzati con il contributo della

UBI Fondazione CAB

www.morcelliana.com

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm), sono riservati per tutti i Paesi. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org

ISBN 978-88-372-3155-2LegoDigit srl - Via Galileo Galilei, 15/1 - 38015 Lavis (TN)

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Maria Teresa rosa Barezzani

Notazioni neumatiche a Brescia nei secoli x-xiii

1. Premessa

Considerando il quadro generale delle notazioni a partire dalle loro prime apparizioni si osservano alcuni fenomeni:

1) intorno al x secolo e contemporaneamente si avverte nei centri scrittori la necessità di annotare il repertorio del canto liturgico della chie-sa cattolica romana già completamente formulato. Le cause di questa esi-genza potrebbero essere due:

a) comincia a venir meno l’insegnamento orale fin lì strettamente os-servato;

b) si cerca un adeguamento alla Admonitio [Capitolare] emessa da Carlo Magno il 23 marzo 789 dietro consiglio di Alcuino1.

2) Il sistema dominante è la scrittura a neumi. 3) Le scritture sono però diverse (e non si tratta semplicemente di

“mani”), anche se i neumi sono comunque riconoscibili specialmente nel-le notazioni a elementi uniti (dal momento che quando i neumi sono di-sgregati sono leggibili soltanto previo studio, vedi certe morfologie della metense e più o meno tutte quelle della nonantolana).

4) Nei grandi centri scrittori (San Gallo, Metz-Laon, Benevento) si tende a differenziare la scrittura neumatica con caratteristiche proprie per distinguerla dalle altre; le caratteristiche, tuttavia, devono assicurarle la perfetta identificazione anche a distanza di tempo e anche dopo che han-no subìto modificazioni locali (vedi la metense a Como e quella che ve-diamo più tardi nell’area danubiana).

Le notazioni più forti costituiscono delle vere e proprie “famiglie”.5) Nei centri minori o periferici si adotta – generalmente adattando-

la – una delle notazioni dominanti. In questo modo si impongono le de-rivazioni: Bobbio copia da San Gallo, Pavia dalla bretone di Chartres, Como dalla metense.

Prima di entrare nel tema prefissato dovremo tenere presente il ter-mine greco «diàstema» che significa distanza, intervallo. Questo termine

1 Admonitio generalis (23 marzo 789, cap.72) mgh Capit. I, 60: «Et si scolae legentium pue-rorum fiant, psalmos, notas, cantus compotum, gramaticam per singula monasteria vel episcopia et libros catholicos bene emendate. Et si opus est evangelium, psalterium et missale scribere per-fectae aetatis hominis scribant cum omni diligentia». Riportata in Yves Chartier, L’oeuvre musi-cale d’Hucbald de Saint-Amand. Les compositions et le traité de musique, Bibliothèque nationale du Québec, Bellarmin 1995 (Cahier d’études médiévales, Cahier spécial, 5), p. 43 e n. 2, p. 299.

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regola tutte le nostre osservazioni riguardo alla lettura dei neumi: difatti una notazione che permette in qualche modo la lettura degli intervalli è detta diastematica. Con l’alfa privativo rimane adiastematica, priva, cioè, di queste indicazioni: la collocazione dei neumi “in campo aperto” senza alcuna guida non è melodicamente decifrabile.

Il codice 10673 della Vaticana2, in notazione beneventana orientale (o di Bari) che è adiastematica, ha un numeroso seguito in manoscritti con notazioni analoghe, ma con differenti gradazioni di diastemazia; da questo ceppo dipenderanno molte delle italiche che adotteranno – am-morbidendone gli angoli – una scrittura analoga.

Nel dominio delle adiastematiche coesistono caratteri di originalità e di autonomia, sono notazioni esuberanti, ricche di precisazioni e di figure innovative.

In queste pagine osserveremo le notazioni neumatiche a Brescia secon-do un criterio temporale, dalla loro prima apparizione in campo aperto fino alla completa diastemazia, passando attraverso un periodo di oscillazione di tracciati, fino all’applicazione di un sistema perfettamente diastematico con la collocazione dei neumi su due righe, rossa di Fa e gialla di Do.

2. Le adiastematiche

Le prime testimonianze di notazioni neumatiche adiastematiche bre-sciane – per bresciane intendiamo notazioni scritte in loco in manufatti sicuramente appartenenti alla città – provengono dal monastero regale di San Salvatore/Santa Giulia, monastero voluto da Desiderio re dei longo-bardi e da sua moglie la regina Ansa.

Due manoscritti di natura differente ne portano le insegne: il primo di essi, il Salterio-Collettario di Santa Giulia, il queriniano H vi 21 re-datto intorno al Mille3, è un libro destinato alla liturgia; il secondo, è il Memoriale di Santa Giulia4, la cui confezione ebbe luogo, secondo alcuni studiosi, per volere di Lotario e di Ludovico ii5. Questi nomi aprono un

2 Graduel Bénéventaine, n. 10673 de la Bibliothèque Vaticane, xi siècle (pM xiv).3 Per le numerose descrizioni del codice rimando al mio recente Maria Teresa Rosa Barez-

zani, Le notazioni neumatiche del codice queriniano H vi 21, «Rivista Internazionale di Musica sacra», xxxvi/1-2 (2015), pp. 117-167, soprattutto alle pp. 117-118 e note relative.

4 Codice queriniano G vi 7, tradizionalmente noto come Codice Necrologico-liturgico di S. Salvatore o S. Giulia, titolo con il quale apparve nell’edizione di Andrea Valentini, Ateneo di Brescia, Brescia 1887. Il manoscritto conobbe intitolazioni diverse a seconda degli studiosi che nel corso degli anni ebbero a studiarne alcune parti. Recentemente è apparso come Der Memorial-und Liturgiecodex von San Salvatore / Santa Giulia in Brescia, hrsg. von Dieter Geuenich - Uwe Ludwig, Hahnsche Buchhandlung, Hannover 2000 (Monumenta Germaniae Historia Libri Memoriales et Necrologia, Nova Series, iv). In queste pagine lo definiamo sem-plicemente come Memoriale di Santa Giulia.

5 Ludovico ii aveva preso in moglie Angelberga, figlia di Adalgiso conte di Parma, pure educata nel monastero.

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lungo elenco di personaggi più o meno illustri che consegnavano alla san-ta regola del monastero figlie, sorelle, nipoti e mogli secondo una politica svolta ad ampio raggio che vedeva coinvolti nel ix secolo molti monasteri femminili di fondazione carolingia.

Nel Salterio-Collettario le notazioni adiastematiche corredano tre inni con caratteristiche diverse:

1 Aeterne rerum conditor (f. 23r)2 Iam lucis orto sydere (f. 23v)3 Martyris, ecce, dies Agathae (f. 46)

La scelta di annotare soltanto questi tre inni e il loro utilizzo per le Lodi (Aeterne rerum conditor), per l’Ora Prima (Iam lucis orto sydere) e per la festa di Sant’Agata, denota l’importanza che queste composizioni dovevano avere nella liturgia del cenobio. Quanto alle notazioni utilizzate – adiastematiche in campo aperto – esse seguivano l’emblema del tempo, erano, cioè, un orientamento di base, una sorta di recordatio di melodie già apprese in precedenza.

Nel momento in cui nel Salterio-Collettario di Santa Giulia venivano annotati i tre inni la notazione bresciana rientrava nel primo stadio, ma non possiamo affermare che questi tre primi esemplari facessero parte delle proto-notazioni, ossia notazioni imprecise ancora prive di sistemati-cità e di neumi caratterizzanti. La tavolozza che le illustra è povera di se-gni (situazione tutt’altro che anomala data la sillabicità degli inni), ma le grafie presentano in modo del tutto impensabile connotazioni interessanti e permettono di ipotizzare la copiatura da un testimonio preesistente; il fenomeno è evidente nell’inno Aeterne rerum conditor dove le morfolo-gie hanno aspetto deciso nonostante il mezzo grafico inadeguato e il trac-ciato inelegante. Stando ai repertori, la versione letteraria di questo inno non si discosta dalla comune tradizione; per contro, la lezione melodica indicata dalla notazione sembra rimandare a una tradizione a sé stante, non compatibile con altre versioni finora note.

Nel medesimo codice H vi 21 il testo dell’inno Martyris, ecce, dies Agathae è riportato al completo, composto di sei strofe più la dossologia; allo stesso modo lo si legge nel Capitolare 100 di Pistoia (ff. 26v-27r)6 e in una Miscellanea del xiv secolo (f. 57v) giunta nella Biblioteca Queri-niana e qui conservata con la segnatura B vi 87. Parallelamente al codice

6 Ringrazio il dottor Gianni Bergamaschi per questa segnalazione e la dottoressa Miche-langiola Marchiaro per avermi fatto avere la riproduzione dell’inno.

7 Codici liturgici musicali del Fondo Manoscritti della Biblioteca Queriniana, a cura di Remo Lombardi, Compagnia della stampa-Massetti Rodella, Roccafranca 2012 (Annali Que-riniani, Monografie 16). Descrizione della Miscellanea alle pp. 61-64; analisi del contenuto alle pp. 195-201. L’inno appare anche nel repertorio Thesauri Hymnologici Hymnarium. Die Hymnen des Thesaurus Hymnologicus H. A. Daniels und anderer Hymnen-Ausgaben. I. Die

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queriniano la tradizione testuale dell’inno Martyris, ecce, dies Agathae parte dal x secolo, si intensifica tra l’xi e il xiii secolo per spegnersi due secoli dopo. La lezione neumatica di H vi 21 è compromessa da nume-rosi interventi posteriori che con nuovo inchiostro ripassano senza scopo alcuni neumi deformandoli8.

Hymnen des 5. - 11. Jahrhrunderts und die Irish-Keltische Hymnodie aus den altesten Quellen, neu hrsg. von Clemens Blume S.J., Johnson, New York-London 1961, pp. 156-157 (n. 134). Stando a questa pubblicazione, il Martyris, ecce, dies Agathae è attestato, a partire dal x secolo, in un buon numero di manoscritti di varia natura appartenenti a differenti luoghi d’origine.

8 Le glosse sono state aggiunte dopo la notazione musicale come risulta evidente dalla collocazione delle sillabe e dalla loro distribuzione attorno al neuma. Sulla qualità delle glos-se interlineari e marginali, sulle parentele più o meno strette con altri manoscritti, sulle loro funzioni sintattiche e sul loro evidente utilizzo didattico rimando a Martina Pantarotto - Susan Boynton, Ricerche sul Breviario di Santa Giulia (Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. H vi 21), «Studi Medievali», s. iii, xlii/1 (2001), pp. 301-318, soprattutto pp. 311-316, 318.

Fig. 1 – Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. H vi 21, Salterio-Collettario, sec. x-xi, f. 46, inno Martyris, ecce, dies Agathae

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Le numerose mende non apportano chiarimenti utili alla lettura e, nel complesso, la scrittura può apparire un poco rozza, ma le valenze melo-diche sono comunque tradotte in una neumatica corrente. E questo dimo-stra, al di là di ogni dubbio, che già alla fine del x secolo o all’inizio del secolo successivo un ignoto notatore attivo presso il monastero di Santa Giulia conosceva questi procedimenti e li poneva in essere. Fra i neumi, dai quali sono assenti le forme liquescenti anche là dove gli incontri con-sonantici le richiederebbero, un’insolita morfologia assume il ruolo di “neuma qualificante” e poiché questa specie di quilisma-pes cade rego-larmente in corrispondenza di una terza minore con semitono in alto non è improbabile che il notatore intendesse, con grafia insolita, segnalare esat-tamente questo valore melodico; significato che non sarebbe, comunque, isolato o circoscritto a questo specifico manoscritto bresciano, dato che il quilisma-pes inteso come praepunctis ha questo preciso ruolo in altre notazioni9. Per il resto, anche nel caso di questo inno la tavola dei neumi non ha la ricchezza che vedremo nei testimoni con differente repertorio.

Contrariamente a quanto abbiamo osservato nell’inno precedente tro-viamo una veste melodica confacente con i neumi queriniani in un innario di Nevers del xii secolo10, confortante analogia che con una conclusione originale troviamo a Verona e che rimbalza due secoli dopo a Napoli. Una tradizione “castigata” simile alle altre soltanto nelle note portanti dell’im-palcatura appare, sempre nel xii secolo, a Gaeta11.

Il terzo inno, Iam lucis orto sydere, si presenta nel manoscritto queri-niano H vi 21 con le tradizionali quattro strofe, sulla prima delle quali è applicata una notazione pulita e ordinata senza alcuna traccia di ripensa-menti e con particolare attenzione per le liquescenze richiamate dai con-sueti incontri consonantici del testo. La mancata uniformità del tracciato e la differente pressione sulla pergamena segnalano la mano di un notato-re non abituale. Anche in questo caso, la notazione può non essere intesa come propedeutica a scritture successive: i segni riprodotti sono quelli essenziali, tipici di tante notazioni del periodo.

Pur salvaguardando la collocazione all’Ora Prima, l’inno si cantava con melodie differenti e in più celebrazioni durante il corso dell’anno litur-gico; le ricerche fin qui condotte hanno permesso di rilevare sia variazioni di un medesimo dettato melodico in più testimoni, sia l’affollamento di versioni diverse all’interno di un medesimo codice. Oltre alla versione me-

9 Si veda l’aquitana del Graduel de Saint-Yrieix, codice 903 della Bibliothèque Nationale de France del secolo xi (pM xiii), dove è allineato fra i neumi indispensabili per l’individuazio-ne del valore melodico della linea “a secco”.

10 MMMæ, Band 1. Hymnen (i) Die mittelalterlichen Hymnenmelodien des Abendlandes, hrsg. von Bruno Stäblein, Bärenreiter-Verlag, Kassel und Basel 1956, Paris, Bibliothèque Na-tionale de France, n.a. lat. 1235.

11 http://www.hymnos.sardegna.it/iter/iterliturgicum.htm (ultima visita 20 marzo 2017), Iter Liturgicum Italicum. Sito personale di Giacomo Baroffio, ms. Roma, Biblioteca Casana-tense 1574, xii secolo [RoCas].

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lodica più diffusa12 e alle sue ricercate varianti, altre tradizioni melodiche assolutamente inconsuete appaiono in testimoni diversamente localizzati. Tuttavia nessuna delle melodie rintracciate può essere assimilata alle linee neumatiche dell’inno queriniano: questa versione di Jam lucis orto sydere rimane pertanto unica13. Soltanto in un caso e limitatamente al primo verso si può fare ricorso ancora una volta all’innario di Nevers (f. 148v)14: l’ana-logia si verifica in una composizione alternante due differenti melodie in una struttura antifonale che prosegue anche nell’inno successivo.

Pure proveniente dal monastero di Santa Giulia è un secondo testi-mone bresciano in notazione adiastematica. In questo prezioso manufatto – che definiamo semplicemente come Memoriale di Santa Giulia (si veda alla nota 4) – in un foglio rimasto parzialmente in bianco è segnato un responsorio, il Multa egerunt iudei, che rievoca l’episodio della crocefis-sione di Gesù fra i due ladroni e il suo dialogo con uno di essi.

12 Presente anche nei moderni libri liturgici Liber Usualis Missae et Officii pro Dominis et Festis cum canto gregoriano [...], Desclée, Parisiis-Tornaci-Romae 1929, p. 229.

13 Per la descrizione dei neumi di questi tre inni rimando alle Tavole inserite nello scritto segnalato alla n. 3 del presente contributo.

14 MMMæ, Band 1. Hymnen (i) Die mittelalterlichen Hymnenmelodien des Abendlandes, n. 1311

n. e 1312.

Fig. 2 – Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. G vi 7, sec. xi, Memoriale di Santa Giulia, f. 32, responsorio Multa egerunt iudei

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Testo e notazione risalgono all’xi secolo. Il responsorio è rarissimo: infatti, oltre alla versione del Memoriale di Santa Giulia, lo leggiamo sol-tanto nel Graduale-Tropario bolognese (ora manoscritto 123 dell’Angeli-ca di Roma) e nell’Antiphonarium xcvii (100) della Capitolare di Verona, entrambi coevi del Memoriale ed entrambi in notazione adiastematica. Un successivo codice bolognese, che essendo in notazione apertamente diastematica ha permesso la decifrazione della melodia del responsorio, è il Graduale o i 13 del sec. xi-xii, ora appartenente alla Capitolare di Modena. L’inesperienza dello scriba è visibile nei ripensamenti e nelle numerose correzioni del testo; sia le rarefazioni del dettato neumatico, sia per contro la compressione dei gruppi dimostrano che nella stesura del testo – pur a sillabe distanziate – lo scriba non sembra in grado di colloca-re esattamente i gruppi sulle singole sillabe. L’aspetto complessivo della notazione e l’incertezza del ductus tendono a escludere una lunga pratica o un qualsiasi intento calligrafico da parte del notatore. Le modificazioni dei tracciati riguardano il modulo del neuma e l’inclinazione: l’imperfe-zione del mezzo scrittorio (penna spuntata o caduta d’inchiostro) danno luogo a quello che potrebbe apparire come un ruvido chiaroscuro. Presa nel suo insieme, la notazione appare piuttosto primitiva, ma simile a mol-te altre scritture coeve; il lessico rimane scarno e privo di neumi speciali. Dal tracciato di alcuni segni – vedi soprattutto il primo di essi – emerge chiaramente che il notatore, non scriba di professione e privo di un testi-monio da cui copiare, li riproduce facendo appello faticosamente alla sua memoria visiva, ossia a quanto ricorda di aver visto15.

Finora abbiamo osservato composizioni – tre inni e un responsorio – che facevano parte della tradizione del monastero di Santa Giulia. Ma se vogliamo accedere a un intero repertorio della liturgia bresciana dell’xi secolo dovremo fare riferimento a un libro prezioso redatto presso lo scriptorium della cattedrale bresciana. È un manufatto che fino al Sette-cento faceva parte della collezione dell’ex gesuita Matteo Luigi Canonici di Venezia; ora è conservato a Oxford, presso la Bodleian Library con la segnatura Canon. Lit. 366 (per una convenzione che parte dai Solesmensi lo si cita come Bre). È suddiviso in due parti assemblate: Graduale, fogli 1-38; Breviario, fogli 39-275 (+ i fogli 276-284). Bre, solitamente citato e ritenuto un unico codice, in realtà risulta essere l’unione di due manufatti assemblati; ne sono prove: le differenti dimensioni16, l’assetto meno or-

15 Si veda, meglio, in Maria Teresa Rosa Barezzani, Annotazioni intorno al monastero di San Salvatore/Santa Giulia di Brescia e lettura del responsorio «Multa egerunt iudei» del co-dice queriniano G vi 7, Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Brescia, Brescia 2006. Le mirabili melodie di questo ampio responsorio sono state eseguite per la prima volta in tempi moderni nella chiesa di Santa Giulia in occasione della presentazione del volume di cui sopra. Successi-vamente hanno fatto parte del repertorio di canto gregoriano di Nino Albarosa.

16 Sono differenti le dimensioni delle due parti, come mi segnalava il dottor Bruce Bar-ker-Benfield, assistente bibliotecario della Bodleian. Il Graduale misura infatti mm. 300x185,

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dinato, la notazione meno calligrafica che nel Graduale, più sciatta e con differente tracciato della virga, l’uso dilagante del torculus verticale re-supino, e soprattutto la mancanza di razionali raggruppamenti neumatici sul testo, a sua volta tracciato velocemente senza le necessarie spaziature.

Considerato nel suo insieme è il testimone di tradizioni in parte già assestate, che riferiscono di scelte di repertori, di assimilazioni e di influs-si, in momenti in cui si verificavano fenomeni di espansione e fenome-ni di sedimentazione dei repertori, quando l’identità locale della liturgia era frutto delle scelte operate dal centro. Le celebrazioni che spaziano nel Graduale e nel Breviario costituiscono l’inizio della nostra tradizio-ne liturgica all’interno della cattedrale dell’xi secolo. Nel Graduale sono presenti tutte le Messe dell’Anno Liturgico; nel Breviario sono riportate le Ufficiature del Temporale e del Santorale, le feste principali dedicate al Signore, e quelle dedicate ai santi venerati nella città: i santi Faustino e Giovita, santa Giulia, santo Stefano e sant’Agata (per non citare che quelli), ma anche, con celebrazione ampia e solenne, san Filastrio, ottavo vescovo bresciano. Per la selezione di tradizioni locali e di innovazioni questo codice diventa un esemplare unico. Vi si riconoscono le adozioni e gli adattamenti di usi liturgici di centri vicini e lontani: le assimilazioni incidono sull’assetto liturgico, sia nel Graduale, sia nel Breviario dove più forte si avverte l’autonomia di chi ha predisposto la stesura dei testi, scegliendo e accostando liberamente le parti delle Vitae dei santi.

Nelle selezioni operate si ravvisano le antifone bizantine accolte per la prima volta alla fine del ix secolo nell’Antifonario di Carlo il Calvo (ora alla Bibliothèque Nationale de France come Liber responsalis sive antiphonarius 17436), compilato nell’abbazia di Saint-Medard-de Sois-sons e più tardi presente a Compiègne. In queste antifone, che a Brescia ebbero lunga vita17, si ripercorre l’episodio del Battesimo di Cristo e si ricorda l’azione di san Giovanni Battista, coniugando l’Epifania come la celebrazione del Salvatore, all’Ottava dell’Epifania come l’esaltazione del suo Precursore.

Frutto di adozione è pure l’inserimento nella solenne celebrazione di san Pietro, di cinque antifone dei primi Vespri selezionate dall’Ufficia-tura che Hucbald di Saint-Amand, forse discendente da Ludovico il Pio, autore di opere letterarie e agiografiche, compositore, noto ai musicologi come teorico carolingio, scriveva a Reims (e quindi in un periodo com-preso fra l’893 e il 900) per la commemorazione della cattedra di san Pietro in Antiochia (22 febbraio)18.

il Breviario mm. 298x180. La maggior parte della “collezione Canonici” veniva venduta alla Bodleian Library di Oxford nel 1817 dall’ultimo coerede del Canonici, Giovanni Perissinotti.

17 Maria Teresa Rosa Barezzani, Antifone bizantine nella liturgia bresciana, «Brixia Sacra. Memorie storiche della diocesi di Brescia», xvi/3-4 (2011), pp. 123-160.

18 A Reims Hucbald era stato chiamato dall’arcivescovo Folco nell’893 per restaurarvi,

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Pure assimilato nella liturgia bresciana è un responsorio di origine ambrosiana – il Vadis propitiator – creato per il venerdì santo; nel nostro manoscritto è incastonato fra il canto del Popule meus e lo svelamento della Croce attuato dal medesimo cantor in un unico gesto secondo la develatio gallicana. Dato che il manoscritto di cui ci stiamo occupando è totalmente redatto in notazione adiastematica, per avere una lezione me-lodica di questo responsorio conforme al dettato neumatico dovremo rife-rirci a un altro manoscritto, pure bresciano, il Processionale-Cantatorium del xii secolo, ricco di istruttive rubricazioni, che attualmente è conser-vato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna con la segnatura 2551.

Tra la Messa della Santissima Trinità e la prima domenica d’Avvento su alcuni fogli rimasti in bianco (36v-39r) una mano del xii secolo riporta-va un’Epistola, il cui testo risulta essere un apocrifo del Nuovo Testamen-to (Hbr 4); nel testo si invita a rispettare il riposo domenicale e i giorni festivi e si minacciano le peggiori calamità per i non osservanti. A parti-re dai paesi dell’area mediterranea la “lettera dal cielo” ha avuto un’in-credibile diffusione, recepita e tradotta nelle differenti lingue orientali e occidentali19. Considerate nel loro insieme, le versioni pur diversamente rielaborate, presentano caratteristiche comuni: la lettera è scritta da Gesù Cristo, in lettere d’oro o di sangue, è portata sulla terra dall’arcangelo Mi-chele, oppure cade dal cielo a Roma sulla tomba di san Pietro, a Gerusa-lemme, a Betlemme, o in altri luoghi. La sua genesi, stando a Esbroeck20, avrebbe avuto luogo a Gerusalemme nel 453 durante il patriarcato di Teo-dosio; due documenti con le prime datazioni riportano due tradizioni lati-ne: a una di queste è senza dubbio accostabile la versione del nostro Bre. Ignoro come sia giunta nella nostra città la “lettera dal cielo” a meno che non si voglia ipotizzare che sia stata riportata in patria da quel gruppo di nobili bresciani che, stando a una notizia rivelata da Valentino Volta, nel 1099 partiva per la Terrasanta al seguito del valoroso cavaliere Giovanni Brusato per la prima Crociata bandita a Brescia due anni prima21. Non

con Remi d’Auxerre, due Scuole, quella canonicale e quella claustrale, che erano state distrutte dalle incursioni normanne nell’889.

19 Ampiamente studiata a partire dal xix secolo e nei primi anni del secolo successivo, come specifica Michel van Esbroeck, La Lettre sur la Dimanche descendu du ciel, «Analecta Bollandiana», cvii (1989), pp. 267-284.

20 Ibi, p. 284.21 Rotonde d’Italia. Analisi tipologica della pianta centrale, a cura di Valentino Volta, Mi-

lano, Jaca Book 2008, p. 28. Paolo Guerrini, Al tempo in cui il Duomo Vecchio era nuovissimo, «Il Giornale di Brescia», 26 giugno 1946, riferiva che cinquantamila lombardi crocesegnati con a capo l’arcivescovo di Milano Anselmo di Bovisio e il vescovo di Pavia partivano nel settembre 1100 per l’Oriente e fra essi molti giovani bresciani, nobili e plebei, che ritornando in patria riportavano reliquie e memorie e tesori erogati poi per sciogliere voti e promesse a edifici sacri. Notizie che potrebbero essere applicate anche al gruppo di cavalieri bresciani, che di ritorno dalla quinta Crociata al seguito del vescovo Alberto da Reggio nel 1219 avrebbero riportato interessanti reliquie.

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credo che davvero questa lettera entrasse in qualche modo nella nostra liturgia nonostante la minaccia di sanzioni rivolta ai sacerdoti che si ri-fiutavano di leggerla ai fedeli; ritengo piuttosto che fosse riportata per un compiacente adeguamento al suo dilagante uso in quel periodo.

Nell’assetto liturgico della nostra cattedrale trova luogo anche un evento storico che rievoca la conversione dell’imperatore Costantino:

Nella Messa in cui si celebra l’Inventio sancte crucis (f. 25r) il testo dell’Offertorio così lo viene a narrare:

«Veniens vir splendidissimus ad Costantinum regem nocte suscitavit eum du-cens aspice in celum et vide signum crucis Domini per quod accipies virtutem et fortitudinem viso autem signo hoc rex fecit similitudinem crucis quam viderat in celum et glorificavit deum alleluia».

Il riferimento a un episodio storico nella nostra Liturgia è fenomeno tutt’altro che isolato, tant’è vero che a partire dal 1807 e fino al 1940 du-rante l’Ufficiatura dei santi Faustino e Giovita che avveniva nella chiesa cattedrale a loro dedicata, nella Lectio vi erano descritti puntualmente gli eventi collegati all’episodio del Roverotto. Gli avvenimenti avevano

Fig. 3 – Oxford, Bodleian Library, Canon. Lit. 366, sec. xi, Graduale-Breviario bresciano, f. 25r, offertorio Veniens vir splendidissimus ad Costantinum regem

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fondamento storico (13 dicembre 1438) e la credenza popolare aveva fatto il resto. Nella Lettura si citavano le figure che avevano avuto un ruolo nella vicenda narrata, da Nicolò Piccinino fino al cardinale Angelo Maria Querini22.

Poiché la notazione del nostro Bre è assolutamente adiastematica non siamo in grado di leggere la lezione melodica di questo prezioso passag-gio, ma ci resta la possibilità di rilevare le caratteristiche della notazione23 che, pur con giustificabili autonomie, fa parte delle scritture dell’Italia settentrionale ancorate alle morfologie sangallesi e tedesche. Proporzio-nata, con effetti di chiaroscuro particolarmente evidenti nei neumi deriva-ti dall’accento grave; l’insistenza sull’attacco e sulla chiusura del neuma (vedi pes, torculus e derivati) lascerà tracce sulle notazioni bresciane suc-cessive. Qualche sporadico e non intenzionale tentativo di collocazione scalare testimonia che chi annota confida ancora nella ritenzione orale. Lo scriba può utilizzare morfologie differenti per una medesima formula melodica, certo com’è che, comunque, nella resa melodica i segni sono equivalenti. La contrazione nella forma del climacus (che porta lo scriba a segnare un comune climacus là dove altre scritture segnalano lo sdoppia-mento del secondo elemento in due suoni parigrado, oppure in un suono allungato) segnala una delle tendenze personali di questo notatore; quella principale è però la suddivisione dell’intero dettato neumatico in formule ben distinte, perfettamente adattate al testo (che già di per sé denota la conoscenza pregressa delle melodie)24.

Accostata a notazioni di testimoni coevi, custodi di un certo tipo di notazione italica del Nord, esente dai prepotenti influssi della metense come a Como, o dai riflessi bretoni come a Pavia o da quelli catalani della Novalesa, presenta alcune analogie morfologiche, soprattutto in fatto di liquescenze (vedi il cephalicus a occhiello) con Monza 12/775 e 13/76 e soprattutto con Verona cvii proveniente dal monastero mantovano di San Rufino. Fanno parte delle saltuarie parentele che percorrono i codici di questo periodo.

22 I vari passaggi della narrazione erano ricostruiti da Ennio Ferraglio, Echi settecenteschi di un episodio della leggenda dei santi Faustino e Giovita, «Brixia Sacra», s. iii, v/4 (2000), pp. 65-78. Per quanto riguarda il responsorio Refulsit sol in clipeos aureos, che segue la Lectio vi, le origini bibliche del testo e il suo adattamento alla celebrazione dei nostri santi patroni rimando il lettore interessato al mio I miracoli in musica, di prossima pubblicazione.

23 Per la descrizione particolareggiata e l’uso di ciascun neuma rimando a Maria Teresa Rosa Barezzani, La notazione neumatica di un codice bresciano (secolo xi), Fondazione Clau-dio Monteverdi, Cremona 1981; nel contributo citato si presentano i neumi più significativi (si veda la tav. 1 in Appendice).

24 Martina Pantarotto, Manoscritti dei secoli xi e xii: Brescia e dintorni, Tesi di dottorato, Università “La Sapienza” di Roma, xi ciclo, tutor Paola Supino Martini, a.a. 1996-1999 (che si può consultare a Brescia, Biblioteca Queriniana, Tesi, 292), ipotizza che il copista del Graduale ponesse in opera, contemporaneamente, testo e notazione. Altrove si dà come scontato che per tradizione i manoscritti liturgici fossero copiati e annotati in tempi successivi.

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La notazione di Bre si trova in un momento delicato: l’uso talvolta inopportuno dei neumi “speciali” potrebbe essere riferito alla noncu-ranza dello scriba, oppure segnalare semplicemente varianti note local-mente e che si evidenziano verso la fine dell’xi secolo nelle notazioni in campo aperto in prossimità di una generale tendenza verso forme diastematiche. Queste realtà possono generare perplessità quando – ac-cantonato almeno in parte l’insegnamento orale (decennale secondo quanto riferisce Guido d’Arezzo) – si impone un sistema che può essere decodificato da chiunque a prima vista. In una fase transitoria si pre-vede l’adozione di neumi “speciali”, facilmente individuabili, da usare in modo costante con funzione di “neumi-guida”. Usati in modo sem-pre appropriato e funzionale come nel Graduale-Tropario bolognese (manoscritto 123 dell’Angelica), rappresentano un sistema in qualche modo rivoluzionario, ma sono adottati e non in modo costante soltanto da pochi eccellenti notatori: l’affermarsi della diastemazia vanificherà in seguito i loro gloriosi sforzi. Ma il loro sistema in parte mutuato da esperimenti precedenti lascia un importante insegnamento, un segnale di pianificazione: è un generale criterio di preventive programmazioni che informano sia sistemi grafici, sia repertori di ogni epoca e stile, e che oggi rimane testimonianza del fervore creativo che ha sempre se-gnato le menti più feconde.

Anche il notatore del Graduale di Bre fa uso di neumi “speciali”: la doppia clivis e la doppia clivis resupina ne fanno parte così come il torculus verticale resupinus, segno dal significato ambiguo come altre morfologie che denotano incertezze tra le fonti collazionate25.

Nel Breviario, redatto verosimilmente poco dopo il Graduale, la no-tazione presenta aspetti diversi. Viene a mancare una delle caratteristiche della notazione primaria, ossia la puntigliosità nell’ingrossamento ini-ziale di pes e torculus, mentre si intensifica l’uso del torculus verticale resupino che nel Graduale ho posto fra i neumi “speciali” e che una volta segnato da liquescenza è collocato in situazioni in cui la liquescenza non ha alcuna ragione d’essere. Nel complesso la scrittura è più veloce, corsi-va e meno accurata. La disattenta e inadeguata distribuzione delle sillabe del testo è causa frequente sia della compressione dei gruppi neumatici sia della rarefazione del dettato neumatico, così che va dispersa la corretta distribuzione delle formule tanto ricercata nel Graduale.

Notazioni simili a quella del Graduale di Bre si ravvisano in alcuni frammenti:

1) nella Bibbia queriniana G iii 1 appartenente al secolo xi26 (ff. 2842-2843) una delicata neumatica in campo aperto correda parte delle

25 M.T. Rosa Barezzani, La notazione neumatica, pp. 80-81. Riprodotto alla tav. 1 con alcuni dei neumi significativi e con valore melodico costante.

26 Bibbia, Antico Testamento, Ier. 52, 29, Lam. 1-7.

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Lamentazioni di Geremia. Qualche parte risulta priva di notazione per dimenticanza o per abrasione. Le Lamentazioni si svolgono in versetti da cantillare sillabicamente come salmodia, indicata con neumi monosonici (virghe o punti). Ogni versetto ha una intonazione segnata sulla lettera ebraica che gli dà inizio.

f. 2842: l’inizio della Prima Lamentatio è segnato nel foglio prece-dente:

«O vos omnes qui transitis per viam Adtendite et videte si est dolor sicut dolor meus».

A partire da MeTH, appare la prima delle intonazioni e alla fine del versetto è segnata la prima cadenza27.

Iniziando da res si anticipano l’intonatio e la cadenza che saranno proprie della ii Lamentatio.

f. 2843: con THau termina la prima Lamentazione e inizia la seconda. A partire da alepH:

«Quomodo caligine in furore tuo DominusFiliam SionProiecit de caelo terram inclitam Israhel».

Identica è la formula d’intonazione su ciascuna lettera ebraica che apre il versetto e medesima è la formula cadenzale che lo chiude. Casual-mente si fa uso di una breve cadenza intermedia.

Da zai si legge una differente intonatio, anticipante quella che sarà la iii Lamentazione.

Fra le morfologie usate dallo scriba compare l’oriscus, inserito nel climacus, anche nella forma subbipunctis e resupinus.

2) Alcuni frammenti, fogli di guardia di un Graduale (ms. queriniano B ii 12, sec. x-xi, ma forse più probabilmente xi)28 ci consegnano una scrittura imparentata con quella di Bre e con altre scritture analoghe: il neuma che risulta alieno è il torculus verticale che secondo Suñol sarebbe piuttosto di area germanica. Nel confronto delle medesime composizio-ni con il Bre alcune varianti (si veda il versetto Cadent del tractus Qui habitat) espongono una melodia più ornata: sono variazioni consentite o decisamente auspicate in questo tipo di repertorio.

Una notazione strettamente associata con il Bre è quella del Messale di Civate29, più generica, ma tracciata con mano sicura; molti elementi

27 Intonazioni e cadenze sono riprodotte in Appendice alla tav. 2.28 La descrizione del frammento e la bibliografia relativa si trovano in Paolo M. Galimber-

ti, Censimento dei frammenti manoscritti della Biblioteca Queriniana di Brescia, «Aevum», lxxvi (2002), pp. 471-514: 495, n. 72.

29 Paolo Tentori, Il Proprium Missae del Messale di Civate (cod. 2294 N.A. D 127 Biblio-teca Trivulziana di Milano), Novantiqua Multimedia, Lecco 1994.

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escludono la copiatura, indubbiamente i punti di contatto sono molti, ma il confronto va effettuato a grandi linee, senza scendere nei particolari: molte ornamentazioni del Graduale di Bre sono eliminate a favore di una versione più castigata, priva di elementi quilismatici, così come sono pre-ferite le forme comuni a quelle liquescenti. Alcune formule neumatiche sono sostituite da altre con il medesimo spessore melodico.

Per queste ragioni e per la mancanza di punti di riferimento cronolo-gicamente affidabili esiterei a parlare di derivazione di uno dei manufatti dall’altro.

3. Le diastematiche

Si è parlato di notazioni in campo aperto, oggi oscure per noi ma significative a quel tempo. La messa per iscritto delle melodie attraver-so segni era un utile espediente, una sorta di recordatio di melodie già apprese in precedenza. E questo bastò, qui e altrove, finché l’esecuzione dipese da un apprendimento orale faticoso, a lungo protratto, ma quando cominciò ad allentarsi questo supporto, si avvertì la necessità, impellen-te, di usare sistemi diastematici che permettessero una lettura immediata aperta a tutti e che sostituisse, in tutto o in parte, l’apprendimento attra-verso la voce del maestro. Entrarono così in vigore a partire dall’xi-xii secolo scritture desunte – in misura variabile da centro a centro – dalle notazioni precedenti. La didattica del canto liturgico, entrata in una nuova fase, prendeva un nuovo orientamento.

In questo periodo la ricerca di un sistema diastematico era fenome-no generalizzato, tant’è che i centri scrittori si attivavano per realizzare una scrittura che potesse conservare nel tempo il vastissimo repertorio dei canti liturgici della Chiesa cattolica romana, per offrire ai cantori la possibilità di leggere comodamente sia le melodie già apprese, sia quelle di recente acquisizione; si affermavano sistemi diastematici vari, innova-tivi nella teoria (vedi la notazione dasiana del ciclo dell’Enchiriadis e la notazione di Hucbald) che poi nella pratica si riallacciavano agli insegna-menti di Guido d’Arezzo. La possibilità di collocare i neumi su una o più righe precedute da chiavi era il metodo più comodo, tuttavia non fu subito ovunque adottato (vedi San Gallo) e, soprattutto nei centri periferici si continuò per qualche tempo a usare la notazione adiastematica che faceva parte della tradizione. In queste situazioni, per aggirare l’ostacolo della difficile memorizzazione delle melodie i migliori notatori si destreggia-vano per trovare soluzioni adeguate. Come si è già osservato, lo scriba del prestigioso Graduale-Tropario a 123, redatto intorno al 1030 per la catte-drale bolognese, ideava e poneva in atto numerosi segni con morfologie insolite e a quelle legava in modo costante particolari formule melodiche. Poiché i cantori in quei segni trovavano punti di riferimento per rimanere

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“in quota” soprattutto nell’intonazione dei lunghi melismi è stato facile definirli “neumi-guida”30.

Alla conquista della diastemazia si posero in movimento centri im-portanti come Metz-Laon, con una scrittura (la metense) che, dopo essersi insediata a Como, appesantita e arrotondata, si affermava nella elegante e fluente scrittura su quattro righe di Klosterneuburg31 e di Graz32. Con l’e-saltazione di alcuni segni e con la modificazione di alcuni altri si assestava poi nel Missale notatum strigoniense del xiv secolo33. Nei centri in cui la produzione libraria fu consistente (vedi Benevento) si ebbe modo di os-servare il graduale evolversi del processo diastematico. Altrove, come uno sciame compatto, i codici liturgico-musicali di questo periodo diventarono i testimoni delle scritture su due righe (Fa e Do); molte di loro erano anco-ra legate con un filo ombelicale alle piccole morfologie del campo aperto, altre mostravano l’indecisione dello scriba che doveva affrontare un com-pito forse per lui insolito; altre, infine, anticipavano chiaramente con la sosta della penna sui punti di attacco e di risoluzione del neuma quelle che sarebbero state le meravigliose notazioni quadrate dei tempi successivi.

Vediamo ora come si accostava Brescia a questo fenomeno. Un ma-nufatto di piccole dimensioni, il Processionale-Kyriale-Sequenziario del xii secolo, ora conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna con la segnatura 274834 può essere considerato un importante punto di passaggio da una scrittura in campo aperto a una neumatica su rigo.

I piccoli neumi disposti sopra e sotto le due righe di Fa e di Do non mostrano caratteristiche molto rilevanti, sembrano derivare da un testi-monio precedente, morfologicamente solo in parte vicino al Graduale di Bre35. Il primo elemento della clivis segue le regole del tempo ed è oriz-zontale quando deve segnalare il parigrado con la nota precedente o la derivazione da una nota più alta.

30 Maria Teresa Rosa Barezzani, Uno scandicus speciale per una formula d’intonazione: letture e interpretazioni, in Codex Angelicus 123. Studi sul Graduale-Tropario bolognese del secolo xi e sui manoscritti collegati, a cura di Ead. - Giampaolo Ropa, Una Cosa Rara, Cremo-na 1996 (Istituto per la Storia della Chiesa di Bologna-Università degli Studi di Pavia-Scuola di Paleografia e Filologia musicale, Cremona, Saggi e Ricerche, 7), pp. 231-267.

31 Klosterneuburg, Stiftsbibliothek, ms. 588, sec. xii.32 Le manuscrit 807 Universitätsbobliothek Graz (xii e siècle), pM xix, Berne 1974.33 Missale Notatum Strigoniense ante 1341 in Posonio, ed. by Janka Szendrei - Richard

Rybaric, Magyar Tudomanyos Akadamia ZenetudomanyiIntezet, Budapest 1982 (Musicalia Danubiana, 1).

34 Cantorinum seculi xii vel xiii multas complectens sacras preces quae canebantur in missis et in processionibus.

35 Secondo Stäblein e altri studiosi che lo hanno preceduto il manoscritto sarebbe pro-veniente dal monastero di Santa Giulia. Bruno Stäblein, Schriftbild der einstimmigen Musik, Band iii, Musik des Mittelallters und der Renaissance / Lieferung 4. Musikgeschichte in Bil-dern, veB Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1975, p. 129, Abb. 19. Le Litanie comprese in questo codice riportano i nomi di Faustino e Giovita, Apollonio, Antigio, Giulia, Benedetto, Silvestro patrono di Nonantola. Manca il riferimento a Filastrio.

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Altre segnalazioni di confortante diastemazia che, stando a elemen-ti strettamente cronologici potrebbero precedere il 2748, provengono da due Graduali di produzione bresciana attualmente conservati presso la Biblioteca Angelo Mai di Bergamo con le segnature Ma 150 (già psi iii 8) e Ma 239 (già gamma iii 18)36. Considerando l’aspetto paleografi-co-morfologico possono essere considerati alla pari con le scritture coeve e, come tali, prototipi di scritture più mature senza tuttavia che si possa escludere il filo che li collega ancora ai segni di Bre.

Il Liber Antiphonarius redatto tra il xii e il xiii secolo dal pregiato ap-parato grafico e ornamentale37, è stato compilato in loco per la cattedrale e forse portato a termine per la solenne inaugurazione della Rotonda; oggi purtroppo mutilo segna un punto di arrivo, di conferma e di perfeziona-mento delle morfologie, che tuttavia appaiono in molti casi ancora collo-cate con una certa noncuranza riguardo alla scalarità (evidente soprattutto nel margine del f. 45r dove è riportata l’antifona Tribus miraculis). Il trac-ciato è elegante, con un certo intento calligrafico, su righe di Fa e di Do e frammenti di rigo sono aggiunti per la accurata segnalazione del bemolle. Ancora permane la forma del torculus, ma già punti e virghe assumono la morfologia di piccoli quadrati.

Nella liturgia questo Antifonario accoglie numerose prosae che ere-dita dal Bre.

36 Sui due codici si vedano: Stefania Vitale, Il Graduale ms. 150 della Biblioteca Civica “Angelo Mai” di Bergamo xi-xii secolo, Tesi di laurea, Università degli Studi di Pavia, Scuola di Paleografia e Filologia musicale, rel. Giacomo Baroffio, a.a. 1996-1997; Ead., Il canto gre-goriano a Brescia tra xi e xiii secolo, «Civiltà Bresciana», x/3 (2001), pp. 422-447; Serenella Finesso, Due Graduali della Biblioteca Civica di Bergamo, testimoni della tradizione brescia-na, Tesi di laurea, Università degli Studi di Padova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Dipartimento di Storia delle Arti Visive e della Musica, a.a. 1992-1993. Altre precisazioni su questi mano-scritti in M. Pantarotto, Manoscritti dei secoli xi-xii.

37 Remo Crosatti, Il Codice Brescia, Biblioteca Capitolare 13, Liber Antiphonarius divi-norum Officiorum cum notis musicis scriptus circa saeculum xiii. Studio codicologico-liturgi-co-musicale del più antico Antifonario della cattedrale di Brescia, Capitolo della Cattedrale di Brescia - Editrice Turris, Cremona 1996. Simona Gavinelli mi precisa che l’Antifonario Capi-tolare 13 appartiene più al xii che non al xiii secolo. In queste pagine l’Antifonario bresciano è citato come Cap 13. La descrizione codicologica del manoscritto si legge in Paola Bonfadini, Antichi colori. Catalogo della sezione Codici miniati del Museo Diocesano di Brescia, Museo Diocesano di Brescia, Brescia 2002, pp. 21-32.

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Nell’immagine, si legge parte della solenne celebrazione dell’Epi-fania con l’inserzione, tra il responsorio Tria sunt munera preciosa e il versetto Reges Tharsis et insule, di una prosa aggiunta al testo della ce-lebrazione per conferire maggior solennità al rituale. In questo caso, il testo della prosa commenta quanto viene esposto nel responsorio e nel versetto relativo:

«Ab oriente stellam sequentes Aurum et thus mirramque gestantes Hodie magi Christo regi Simul ipsi».

Questa strofa e la successiva38, esposta prima del Gloria, sono en-trambe riprese dal Bre (f. 78v) e, ignorate da altri testimoni e dai consueti repertori, costituiscono un caso unico. La regia liturgica ha regolato tutto il rituale; il melografo – secondo tradizione – ha posto in contrasto le infiorescenze melismatiche del responsorio con l’incisiva sillabicità del-

38 Omnipotenti soli deo In fede patris venerando Sit laus decus atque virtus Sempiterna: lo scriba segnala con le lettere maiuscole le iniziali dei versi della prosa.

Fig. 4 – Brescia, Museo Diocesano, ms. 13, sec. xii-xiii, Liber Antiphonarius (Capitolare 13), f. 43r, prosa Ab oriente stellam sequentes

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le prosae, contrasto che sarà stato certamente sottolineato da differenti compagini vocali.

Più calligraficamente eleganti e più serrate e si presentano forme analoghe nel prezioso Processionale-Cantatorium di area bresciana ora conservato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna con la segnatura 255139.

Nell’immagine, i canti sono alternati alle rubricazioni, alcune delle quali, relative alla develatio crucis, sono già presenti nel Sacramentario benedettino-bresciano (2547) proveniente dal monastero di Sant’Eufemia fondato dal vescovo Landolfo ii nel 100840; per questa ragione e per altre a me sconosciute qualcuno avanza l’ipotesi che il Processionale-Canta-torium 2551 possa provenire da Sant’Eufemia come il 2547. In questo co-dice i neumi sono molto vicini alle forme del Cap 13 e del Bre: la lettura è agevolata da un’accurata scalarità arricchita da linee supplementari. Si viene precisando la struttura quadrata di punti e virghe.

Un deciso passo avanti nella evoluzione delle forme si osserva in un Hymnarium cum notis musicis del xiii-xiv secolo, ora conservato presso

39 Versiculi et Responsoria in processionibus et in missis. Contiene anche i canti relativi alla Messa di san Filastrio (si veda all’interno di questo volume il contributo di Paola Dessì).

40 Il Sacramentario benedettino bresciano del secolo xi (Ricerche sul ms. 2547 della Bi-blioteca dell’Università di Bologna), a cura di Emidio Zana, Ateneo di Scienze, Lettere ed Arti di Brescia, Brescia 1971 (Monumenta Brixiae Historica Fontes, 11).

Fig. 5 – Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 2551, sec. xiii, Processionale-Cantato-rium, bresciano, ff. 7v-8r, responsorio Vadis propitiator

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la Biblioteca Universitaria di Bologna con la segnatura 249341, dove i neumi – seguendo la tradizione del momento – sono decisamente quadrati e romboidali (vedi climacus).

Due fogli sono aggiunti in tempo imprecisato alla fine di questo In-nario; l’appartenenza dei fogli aggiunti al codice 2493 resta, purtroppo, incerta: indubbiamente sarebbe consolante poterli credere di tradizione bresciana, ma non è certo che l’assemblaggio codice-fogli allegati sia avvenuto in sede bresciana e non esistono indicazioni sull’epoca in cui furono uniti al codice i due piccoli fascicoli finali42.

41 Sul centro di conservazione del codice 2493 si veda Elena Tomasoni, L’Hymnarium cum notis musicis, codice ms. 2493 della Biblioteca Universitaria di Bologna (sec. xiv), «Civiltà Bresciana», x/3 (2001), pp. 48-55.

42 Per quest’ultima indicazione ringrazio la dottoressa Rita De Tata della Biblioteca Uni-versitaria di Bologna. Secondo Lodovico Frati, Codici musicali della R. Biblioteca Universi-taria di Bologna, «Rivista musicale italiana», xxiii (1916), pp. 219-242: 226, alla conclusione di un indice a penna inserito nel xviii sec. alla fine del volume, si legge, di mano dell’abate Giovanni Crisostomo Trombelli (1697-1784): «Addiiciuntur fragmenta veterum Breviariorum, ex quibus desumitur hymni ad tertiam, sextam, nonam in Quadragesima. Compara hos hymnos cum iis quos praebet Cassandri collectio», p. 213.

Fig. 6 – Bologna, Biblioteca Universitaria, ms. 2493, sec. xiii-xiv, Hymnarium cum notis musicis, bresciano, f. 23v, inno Jam lucis orto sydere

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In uno di questi fogli si legge una versione dell’inno di sant’Agata, Martyris, ecce, dies Agathae (f. 143)43, riversato in una notazione sor-prendente; nell’interessante reperto, una notazione di chiara impronta adiastematica priva di elementi evolutivi è collocata scalarmente con evidente intento diastematico. La lettura melodica è garantita dalla linea rossa, che lascia intuire la presenza della chiave di Fa mascherata da una striscia di rinforzo della rilegatura.

Nel confronto diretto fra l’inno originale di H vi 21 e la versione di 2493 le piccole ma numerose varianti escludono che quest’ultima versio-ne (in primo modo) sia una diretta filiazione dell’originale queriniano44. Una osservazione di carattere strettamente morfologico esclude una qual-siasi parentela con i testimoni fin qui osservati: l’attacco ondulato di pes, torculus e clivis rimandano ad altre fonti, come se questa versione dell’in-no di sant’Agata fosse il lavoro di un uno scriba occasionale; lavoro che non sembra isolato ma piuttosto compreso inizialmente in un’opera più vasta sottoposta a influssi del ceppo metense.

43 Per questa composizione rimando a supra, par. 2.44 Per altre osservazioni di carattere strettamente paleografico rimando a M.T. Rosa Ba-

rezzani, Le notazioni neumatiche del codice queriniano H vi 21, soprattutto alle pp. 129-130.

Fig. 7 – Bologna, Biblioteca Universitaria, ms 2493, sec. xiii-xiv, Hymnarium, ff. 142-143 [fogli aggiunti], inno Martyris, ecce, dies Agathae

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Un interessante codice miscellaneo del xii-xiii secolo apparteneva alla Biblioteca di San Giovanni Evangelista; sul foglio di guardia com-pare ancora la nota di possesso che attesta: Iste liber est ecclesie Sancti Johannis de foris Brixie. Questo libro insieme al Martirologium Adonis del xii secolo fino al 1867 si trovava nella biblioteca del monastero dei canonici di San Salvatore di Bologna; attualmente è depositato presso la Biblioteca Universitaria di Bologna con la segnatura Bu 2535. A Brescia nell’anno 741 la basilica Concilium Sanctorum era intitolata per la prima volta a San Giovanni; l’appellativo “de foris” era aggiunto nel xii secolo; l’appellativo scomparve intorno al 1500 in quanto ormai la chiesa di San Giovanni non era più fuori dalle mura cittadine, ma grazie all’estensione dell’abitato della Porta Bruciata, rimaneva ormai in centro45. Il codice è costituito da tredici documenti con argomenti di carattere liturgico e musicale, norme per la pratica del canto nell’Officiatura e l’Ordo delle funzioni religiose. Provvisti di notazione musicale sono l’inno eucaristico Divinum mysterium (f. 225r), l’intera Ufficiatura liturgica per sant’An-drea (ff. 233r-240v In Natale sancti Andreae apostoli), riportato alla fine del manoscritto forse perché chiude l’anno liturgico46, e la messa del Commune Beatæ Mariæ Virginis (f. 224v) così composta:

Introito Salve sancta parens (GT, 403) – Benedicta tu: la melodia è ripresa, non a caso, dall’introito Ecce advenit (In Epiphania Domini, GT, 56); nel confronto con il moderno libro liturgico, la versione del manoscritto 2535 non presenta varianti di qualche rilievo.

Graduale Benedicta et venerabilis (GT, 407) – v Virgo Dei genitrix (GT, 407). Per la melodia rimando a GT 509, graduale Domine praevenisti eum dal Commune sanctorum et sanctarum; ad eccezione delle note iniziali dell’incipit e della ca-denza conclusiva, la versione di 2535 sembra essere originale; il versetto Virgo Dei genitrix si accosta a GT ad eccezione del melisma finale.

Communio Regina mundi dignissima Virgo Maria perpetua intercede pro nostra pace et salute que genuisti Christum Dominum sine virili semine [invocazione finale, forse unicum].

45 Remo Crosatti - Oscar Mischiati - Luigi Salvetti, La vita musicale in S. Giovanni Evan-gelista a Brescia. Appunti per una ricerca, Parrocchia di S. Giovanni Evangelista, Brescia 1994. La chiesa raggiunse il massimo splendore nei secoli xii-xiii e i canonici di San Giovanni ottennero ampi privilegi dai pontefici che si sono avvicendati in quel periodo. Il codice, in quanto testimone della vita canonicale a San Giovanni dall’xi al xv secolo, è stato studiato da Rosa Angela Comini. La sua tesi di laurea costituisce un contributo al Corpus Consuetudino-rum Italicum.

46 Secondo E. Zana, Il Sacramentario benedettino bresciano, p. 97, 30 novembre, la festa è segnata in rosso perché era celebrata solennemente in tutte le chiese della città di Brescia che all’apostolo aveva dedicato l’antica cattedrale fuori le mura orientali.

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Nella notazione manca la segnalazione delle chiavi ma la lettura è garantita da linee ditonali e dall’evidenza della linea rossa di Fa. In linea generale i neumi e soprattutto le liquescenze denotano una matrice bene-ventana.

Fig. 8 – Bologna, Biblioteca Universitaria, ms 2535, sec. xii-xiii, Miscellanea, bresciano, f. 224v, introito Salve sancta parens

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La notazione che osserviamo nell’Ufficiatura di sant’Andrea conser-va la medesima cura calligrafica e le stesse caratteristiche che la accosta-no alla beneventana, su due righe, rossa per Fa, gialla per Do, preceduta, quest’ultima, da una minuta chiave di precauzione: molto frequente è il segno che indica la virga liquescente (soprattutto in prossimità delle corde importanti), o il cephalicus nel caso che l’ultimo elemento sia lievemente allungato. L’aspetto generale dei fogli è ordinato e la scrittura elegante: pur legata da una sorta di filo conduttore che in questo periodo unisce molte notazioni diffuse nell’Italia centro-settentrionale, le morfologie acuminate ne fanno un caso a parte, staccandola dalla tendenza generale all’arrotondamento dei moduli beneventani che diventa una costante in

Fig. 9 – Bologna, Biblioteca Universitaria, ms 2535, sec. xii-xiii, Miscellanea, bresciano, f. 233r, Ufficio di sant’Andrea

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molti manoscritti. Questo tipo di notazione, estranea alla linea di deriva-zione dalla “dominante” di Bre, rappresenta una testimonianza preziosa.

Leggiamo un frammento significativo del xii secolo estrapolato dal manoscritto queriniano a ii 8, Bibbia, Profeti, ff. 86r-87r:

«Explicit lamentatio ieremie prophete [...].Incipit oratio eius Recordare domine quid acciderit nobis [...] iratus es contra nos vehementer.Explicit liber ieremie prophete. Incipit liber baruch».

Tutta l’orazione è corredata in forma salmodica da una elegante no-tazione che rende punti e virghe simili a piccoli quadrati: gli altri neumi, ricorrenti come piccole ornamentazioni nelle cadenze, sono una rievo-cazione delle forme adiastematiche di Bre. Si sottolinea la grafia della distropha (o bivirga) e quella del praepunctis parigrado47.

Un ampio frammento dal manoscritto queriniano C ii 648 è formato da fogli di guardia di un Antifonario del xii secolo che secondo Galimberti49 è di probabile area emiliana. Nel frammento sono riportate parti delle Ufficiature di san Benedetto e di sant’Agata. I neumi, con la guida della riga rossa di Fa, hanno reminiscenze beneventane con la tendenza tipica

47 Tracciati alla tav. 3 in Appendice.48 Per la cui riproduzione fotografica ringrazio vivamente Remo Lombardi.49 P.M. Galimberti, Censimento dei frammenti manoscritti, tav. ii, n. 75.

Fig. 10 – Brescia, Biblioteca Queriniana, ms. A ii 8, sec. xii, Bibbia, Profeti, f. 87r, Explicit liber ieremie prophete. Incipit liber baruch

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delle notazioni dell’Italia centrale ad ammorbidire la durezza delle forme angolose a cui si ispirano50.

Nella veloce esposizione di alcuni reperti, dalla quale deve essere escluso qualsiasi intento di esaustività, ho cercato di tracciare il percorso delle neumatiche bresciane a partire dal x secolo con le prime testimo-nianze del Salterio-Collettario di Santa Giulia fino all’Hymnarium del xiii-xiv secolo, ms 2493. Ho inteso rilevare il ruolo della notazione del Graduale di Bre, notazione che definirei volentieri “la dominante”, sulla quale sono delineate con maggiore o minore aderenza le scritture succes-sive. La presenza di una morfologia estranea (si veda la Bibbia dell’xi secolo) non basta a stravolgere l’orientamento generale dell’insieme, né potrebbe esserne causa il ritrovamento casuale dell’inno di sant’Agata nei fogli aggiunti al 2493. Un nuovo indirizzo ci porterebbe la scrittura del frammento C ii 6 legata a consuetudini di altro notatore. Decisamente sorprendente è, invece, la presenza della notazione di chiara derivazione beneventana del 2535 proveniente dalla chiesa di San Giovanni de foris, lavoro altamente professionale.

4. Conclusioni

Riguardo all’origine delle notazioni neumatiche nei vari centri scrit-tori si è ipotizzato un possibile adeguamento all’Admonitio di Carlo Ma-gno, dove, peraltro, non si accennava a una doverosa diversificazione delle morfologie per segnalare l’appartenenza a un centro piuttosto che a un altro. Questo avveniva per decisione dei responsabili del centro, in modo analogo a quanto si era già verificato a livello delle scritture lette-rarie quando – raggiunto il traguardo delle caroline – soprattutto i grandi centri scrittori di Francia e Germania si fronteggiavano per assegnarsi caratteristiche distintive. Per contrastare una voce che vorrebbe “inutili” le scritture neumatiche in campo aperto dal momento che una volta ap-preso il repertorio i cantori non ne avevano bisogno e coloro che non lo conoscevano comunque non erano in grado di leggerle, si può rispondere che: a) sicuramente gli scribi non avrebbero perso tempo ad annotare mi-gliaia di pagine se la cosa non fosse stata necessaria; b) se per annotare e tramandare l’intero repertorio avessero aspettato un sistema diastema-tico nel frattempo la memoria delle melodie sarebbe andata dispersa, o distorta. Dobbiamo tenere presente che se nei secoli x-xiii il tempo della musica fu in gran parte legato alla liturgia, ai suoi riti e ai suoi canti è in-dubbio che fu anche, con altrettanto fervore, il tempo occupato a segnare

50 Per un ottimo esempio sull’argomento rimando al saggio di Antonio Delfino, Il codice Modena, Biblioteca Capitolare O i 13: elementi per una scheda descrittiva, con un’appendice sulla notazione neumatica, in Codex Angelicus 123. Studi sul Graduale-Tropario bolognese del secolo xi e sui manoscritti collegati, pp. 335-371.

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sulle pergamene il vastissimo repertorio che ormai si era definitivamente consolidato, ricco di adozioni alternate alle sedimentazioni locali, le une e le altre volte a dare una sua identità al centro.

Nel dominio delle adiastematiche regnava un assemblaggio di se-gni, un corredo insostituibile di morfologie esuberanti, talvolta estrose e gravide di precisazioni. Durante le inevitabili convivenze non è sempre facile stabilire quali siano gli influssi esterni e quali le autonomie. La migrazione di segni appartenenti alle varie famiglie e il loro innesto su realtà già stabilizzate diede origine a modificazioni e, in alcuni casi, a parziali sovrapposizioni, passaggi obbligati attraverso i quali transitarono le manifestazioni delle arti.

La diastemazia non si affermò ovunque e nel medesimo tempo (esi-stono frutti tardivi, testimonianze adiastematiche ancora nel xiii secolo). Nel dominio delle nuove forme permangono caratteri di originalità e di autonomia, ma sicuramente meno ricercati che nelle prime forme. Nono-stante la genericità delle diastematiche, la connessione con i ceppi ori-ginari è quasi sempre percepibile e le varie tendenze erano ben note al compilatore che ne faceva uso. Anche fra le diastematiche ci fu un pro-cesso evolutivo: a partire da incertezze di tracciati, frutti di ottimistiche convinzioni di ricorsi mnemonici, fino alla stesura perfettamente scalare che non sollevò più alcuna perplessità nel momento dell’interpretazione, lasciando ipotizzare che una notazione coerente e coesa non fosse in real-tà un prodotto originale, ma la copia di un manufatto precedente.

L’xi secolo segnò il tempo che la tradizione richiedeva per la sedi-mentazione del repertorio ma segnò anche il tempo delle adozioni, degli adattamenti e della trasmissione di canti e di rituali adattati con un pro-cesso selettivo che rivelava, nella forte autonomia del melografo, la pre-disposizione al gioco della creatività, gioco nel quale la notazione ebbe soltanto un ruolo secondario poiché fu al servizio del melografo, coinvol-to nelle significanze dei testi51.

L’intero territorio padano partecipava degli imprestiti liturgici, di lin-guaggi univoci e di autonomie testuali e meliche. Così si veniva creando una realtà culturale della Padania. I testimoni di questo processo, i veri protagonisti furono i libri liturgico-musicali che tradivano non solo il li-vello culturale del centro, ma anche le regie liturgiche di una chiesa con l’adattamento delle celebrazioni e la conseguente “flessibilità dei ritua-li”. Poiché i libri furono i testimoni del fluttuare sia delle tradizioni sia delle modificazioni morfologiche delle notazioni, il manufatto non ebbe soltanto una valenza simbolica: se è vero che il libro di preziosa fattura,

51 E la notazione non ebbe un ruolo primario nemmeno quando nel periodo fiammeggiante dell’ars subtilior toccò punte di indescrivibile complessità perché anche allora fu al servizio del compositore che ne adottò le malizie piegandole a criteri personalissimi, ma sempre soggetti alle creazioni melodiche.

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prodotto dietro committenze eccellenti, fu talvolta considerato come una reliquia, un simbolo di riti vassallatici, un donativo in grado di suggellare alleanze, è anche vero che nelle nostre ricerche ci rivolgeremo di prefe-renza al libro liturgico di uso quotidiano, opera diligente di un compilato-re attivo nel chiostro o nel capitolo di una cattedrale, al libro che delinea-va un proprio sistema notazionale destinato a evolvere le sue morfologie in forme più o meno durature. Per questa ragione e senza alcun intento di esaustività ho inteso considerare i libri liturgico-musicali come esemplari unici non solo perché depositari delle tradizioni, ma anche perché mar-catori di innovazioni, nelle quali sbalzava fortemente il pensiero creativo dell’uomo, le sue tendenze manifeste sia nel concepimento di inni e di prosae inserite ad arte nelle grandi cerimonie per aumentarne la solenni-tà sia nelle varianti melodiche consentite al cantore solista. Varianti che potevano essere convalidate oppure parzialmente modificate in testimoni successivi, poiché il tempo interveniva con le sue trame ad allontanarle dalla fonte originaria.

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appendici

Tavole

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Sommario

Sergio onger, Presentazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5Maria TereSa roSa Barezzani, Premessa. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7Daniela CaSTalDo, Musica a Brescia in età romana . . . . . . . . . . . . . 17Maria TereSa roSa Barezzani, Notazioni neumatiche a Brescianei secoli x-xiii . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33

1. Premessa, 33 - 2. Le adiastematiche, 34 - 3. Le diastematiche, 46 - 4. Conclusioni, 57 - Appendici, 60

reMo loMBarDi, I manoscritti liturgico-musicali domenicani pres-so la Biblioteca Queriniana di Brescia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 63

1. Notazioni quadrate, 69 - 2. Litanie. La posizione e l’identifica-zione di S. Caterina nelle litanie femminili, 96 - 3. Litanie maschili, 108 - 4. Conclusioni, 110 - Appendice 1, 114 - Appendice 2, 122

Paola DeSSì, I codici liturgico-musicali medievali di Brescia nel-la collezione di G. C. Trombelli, amico di Padre Martini . . . . . . . . . . 145

1. Nota sul collezionista, 145 - 2. Trombelli e Brescia: manoscritti, libri, medaglie, 146

STefania ViTale, Uno scriptorium femminile nel Settecento a Brescia al servizio del canto gregoriano della Cattedrale? . . . . . . . 159

1. Lo status di miscellanea work in progress - la pluralità delle mani che presentano tratti comuni, 160 - 2. La peculiarità della scrittura, 163 - Appendice 1, 182 - Appendice 2, 186 - Appendice 3, 188

franCeSCo Saggio, Un primo approccio analitico al Modulatio-num liber primus (1560) di Giovanni Contino da Brescia. (Con ca-so di filologia d’autore) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 189

1. Premessa, 191 - 2. I testi, 192 - 3. Le musiche, 197 - Appendice, 212

MarCello MazzeTTi - liVio TiCli, «Quando de quintis terzisquecalabat in unam octavam». Per una storia della prassi esecutivadella musica sacra a Brescia nel tardo Cinquecento . . . . . . . . . . . . . . . 223

Appendice i, 253 - Appendice ii, 256

Daniele Torelli, La produzione polifonica dei monaci cassinesibresciani: riflessioni fra repertorio e contesto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 295

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590 SoMMario

auguSTo Mazzoni, Comporre musica a Brescia negli ultimicent’anni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 337Mariella Sala, L’Opera a Brescia nelle carte dell’Archivio diStato . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 345

1. Musicisti e orchestra, 346 - 2. La stagione 1801-1802, 359 - 3. Libretti d’opera bresciani nelle biblioteche del territorio, 365

MarCo Bizzarini, Aspettando l’imperatrice: vita musicale a Bre-scia nella seconda metà del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 369gioSuè BerBenni, I Serassi e la cultura organaria bresciana . . . . . 381

1. Il tema, 381 - 2. I Serassi, 382 - 3. Il solido legame con gli An-tegnati di Brescia, 385 - 4. La terra bresciana è onorata da ottimi organari, 387 - 5. I Serassi nel territorio bresciano dal 1773 ca. al 1870, 388 - 6. I comuni della provincia, 393 - 7. La città, 394 - 8. La situazione attuale, 397 - 9. La tradizione con l’innovazione, 409 - 10. Le novità dello strumentale: l’organo-orchestra, 410 - 11. Il crescendo rossiniano, 411 - 12. Popolarità, modernità e nazionalità, 411 - 13. L’organo risorgimentale, 412 - 14. Il Carteggio, 414 - 15. Conclusione, 415 - Appendici, 417 - Riferimenti di bibliografia del Catalogo, 476

roDolfo BaronCini, Da Brescia a Venezia: migrazioni, prassistrumentale e patronage. Il caso di Giovanni Antonio Leoni «dalviolin» . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 481

Regesto documentario, 501

faBio Perrone, La liuteria bresciana secondo mons. Angelo Be-renzi (1853-1925) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 505DonaTella reSTani, Tracce di olifanti nella narrazione di unviaggiatore bresciano del Quattrocento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 535ugo orlanDi, Bartolomeo Bortolazzi (1772-1846), virtuoso man-dolinista e chitarrista bresciano. Nuove acquisizioni biografiche . . 545

1. Il nome?, 552 - 2. Compagnie e istruzione musicale, 553 - 3. Con-clusioni, 559 - Appendice documentaria, 560

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 565

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Annali di storia bresciana

1. Brescia nella storiografia degli ultimi quarant’anni, a cura di S. Onger2. Moneta, credito e finanza a Brescia. Dal Medioevo all’Età contempo-ranea, a cura di M. Pegrari3. Dalla scripta all’italiano. Aspetti, momenti, figure di storia linguistica bresciana, a cura di M. Piotti4. Brescia nel secondo Cinquecento. Architettuta, arte e società, a cura di F. Piazza e E. Valseriati, schede a cura di I. Giustina e E. Sala5. Cultura musicale bresciana. Reperti e testimonianze di una civiltà, a cura di M.T. Rosa Barezzani e M. Sala6. Fortunato Martinengo: un gentiluomo del Rinascimento fra arti, lette-re e musica, a cura di M. Bizzarini e E. Selmi [in preparazione]7. Letteratura bresciana del Seicento e del Settecento, a cura di C. Cap-pelletti e R. Antonioli [in preparazione]

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Annotazioni

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€ 35,00

ISSN 2283-7736

Sergio OngerMaria Teresa Rosa Barezzani

Daniela CastaldoRemo Lombardi

Paola DessìStefania Vitale

Francesco SaggioMarcello Mazzetti

Livio TicliDaniele Torelli

Augusto MazzoniMariella Sala

Marco BizzariniGiosuè Berbenni

Rodolfo BaronciniFabio Perrone

Donatella RestaniUgo Orlandi

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Brescia nella storiografiadegli ultimi quarant’anni

a cura di Sergio Onger

Cultura musicale brescianaReperti e testimonianze di una civiltà

a cura di Maria Teresa Rosa Barezzani e Mariella Sala

ANNALI DI STORIA BRESCIANA

ISBN 978-88-372-3155-2

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