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CONVEGNO INTERNAZIONALE "La Convenzione delle Alpi e la Convenzione dei Carpazi: esperienze a confronto. Gli Appennini, una catena montuosa europea" Sarnano (MC) 23 - 24 aprile 2014

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CONVEGNO INTERNAZIONALE "La Convenzione delle Alpi e la Convenzione dei

Carpazi: esperienze a confronto. Gli Appennini, una catena montuosa europea"

Sarnano (MC) 23 - 24 aprile 2014

PIANI PER LA MONTAGNA

Ing. Alfonso CALZOLAIO

Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Il Parco è stato istituito con la “Legge Quadro sulle Aree Protette” n.394 del 6 dicembre 1991

Si estende per circa 150.000 ha ZPS (IT7110128) 14 SIC

Il territorio protetto interessa 3 Regioni (Abruzzo, Lazio, Marche) 5 Province (Teramo, L’Aquila, Pescara, Rieti, Ascoli Piceno) 44 Comuni (14 TE 16 AQ 10 PE 2 RI 2 AP)

L’Ente è stato istituito con DPR del 5 giugno 1995

REGOLAMENTO DEL PARCO

(art.11, L.394/91)

PIANO PER IL PARCO

PIANO PLURIENNALE ECONOMICO E

SOCIALE (art.14, L.394/91)

(art. 12, L.394/91)

STRUMENTI PER LA GESTIONE DEL TERRITORIO PARCO

(Delib. Comm. Straord. n.10 del 21/12/2001) (Delib. Cons. Direttivo

n.7 del 19/02/2004) (Delib. Cons. Direttivo n.35 del 21/12/1999)

IL PIANO PER IL PARCO

In Italia la vera e sistematica politica dei Parchi è stata avviata con la L. n.394 <<Legge Quadro sulle aree protette>> del 6 dicembre 1991. Questa legge ha rappresentato un punto di svolta per la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del Paese. L’art. 12 della L.394/91 prevede che la tutela dei valori naturali, ambientali, storici, culturali, antropologici tradizionali nella ricerca del giusto equilibrio tra conservazione e sviluppo sia perseguita attraverso uno strumento quale il Piano per Il Parco. Il Piano è uno strumento di pianificazione “territoriale” (non di pianificazione unicamente urbanistica, anche se vi sono evidenti analogie) e “programmatica” nel senso di strumento di trasformazione dei vincoli di salvaguardia in indirizzi programmatici d’intervento. La L.394/91 ha introdotto una novità di grande rilievo nell’ambito della pianificazione territoriale e ambientale, nel senso che attribuisce agli enti parco poteri decisionali e competenze in materia di pianificazione.

Delib.Cons. Direttivo n.35 del 21/12/1999:“Approvazione Piano per il Parco”

PIANO PER IL PARCO Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga

Inoltrato alle Regioni nel marzo dell’anno 2000 per l’adozione (art.12, c.3, L.394/91 prevede l’adozione entro 90 giorni dall’inoltro)

Adozione del Piano del Parco da parte delle Regioni interessate

REGIONE ABRUZZO Del. Cons. n.135/11 del 18/05/2004 REGIONE LAZIO Del. Giunta. n.1145 del 23/12/2005 REGIONE MARCHE Del. Giunta n.976 del 11/09/2006

STATO DELL’ARTE DELLA PIANIFICAZIONE DEI 24 PARCHI NAZIONALI ITALIANI

8 PIANI PER IL PARCO vigenti su 24 parchi nazionali istituiti PN Dolomiti Bellunesi (2001), PN Majella (2009), PN Aspromonte (2009), PN Vesuvio (2010), PN Arcipelago Toscano (2010), PN Cilento Vallo di Diano (2010), PN Asinara (2010), PN Foreste Casentinesi, M.F, Campigna (2010).

Fonte ISPRA (agg. 31/12/2013)

In Italia negli ultimi decenni è stata avviata una coraggiosa politica per la conservazione ambientale e più del 10% della superficie nazionale è organizzata in aree protette (va ricordato che proprio l'Università di Camerino - Dipartimento di Botanica ed Ecologia - insieme al Comitato Parchi Nazionali e Riserve d'Italia, il WWF ed altri partner in occasione del convegno"Strategia 80 per i parchi e le riserve d'Italia" svoltosi a Camerino il 28-30 ottobre 1980 lanciava la sfida del 10% del territorio nazionale da tutelare). Oggi i parchi sono un grande patrimonio nazionale (24 parchi nazionali, oltre 130 parchi regionali e 30 aree marine protette) che si estende per circa 3.060.000 di ettari contribuendo in maniera significativa alla conservazione della biodiversità nel nostro Paese. L’assenza del piano per il parco o il ritardo nella sua redazione o approvazione ha da una parte portato allo svilimento del valore di questo strumento di pianificazione e dall’altra indebolito la credibilità dei parchi (soprattutto di quelli di nuova istituzione) alimentando critiche al sistema delle aree protette.

IL PIANO PER IL PARCO IN UN CONTESTO DI COOPERAZIONE. IL DIFFICILE RACCORDO CON GLI STRUMENTI DI PIANIFICAZIONE.

La pianificazione di un qualunque territorio e in particolare di un Parco Nazionale è un processo tutt’altro che semplice. Il tema della pianificazione dei parchi ha costituito e costituisce ancor oggi in Italia uno dei nodi fondamentali e di forte dibattito tra gli addetti ai lavori. La pianificazione dei parchi ha subìto un notevole sviluppo, ma stenta a concretizzarsi in maniera generalizzata e questo per diverse ragioni: 1) l’approccio alla pianificazione prevista dalla L.394/91 è stato solo di tipo

etico e ideale. In tutti questi anni non ci sono state leggi integrative (solo la L.426/98 dove

viene prevista la contestualità tra il PPP e PPES) che abbiano apportato modifiche all’art.12, della L.394/91, che si limita soltanto ad evidenziare quali debbono essere i contenuti obbligatori del piano e le sue procedure di approvazione.

A 23 anni dalla sua istituzione occorrerebbe porsi l’obiettivo di dare corpo alle politiche per la conservazione della natura, cercando di cambiare il modo di gestire le aree naturali protette. E’ mancata una vera politica della conservazione della natura, in grado di definire obiettivi e indirizzi precisi per realizzare in maniera coerente e corretta la giusta gestione sostenibile del patrimonio naturale. Al momento soltanto una limitatissima percentuale (8 piani per il parco vigenti su 24 parchi nazionali istituiti -fonte ISPRA dic. 2013) è stata in grado di completare la procedura di definizione del piano. Per alcuni parchi, per esempio il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga la fase di “adozione” è stata lunghissima: 4 anni da parte della Regione Abruzzo, 5 anni da parte della Regione Lazio e 6 anni da parte della Regione Marche, quando invece l’art. 12, c.3, della L.394/91 prevede l’adozione entro novanta giorni dal suo inoltro (è in discussione al Senato il ddl n.119 di riforma della L.394/91, dove il c.5 dell'art.12 verrebbe così modificato: <<qualora il piano non venga definitivamente approvato entro dodici mesi dall'adozione, esso si intende comunque approvato>>).

Pertanto è responsabilità delle stesse Regioni (il legislatore della L.394/91 assegna alle regioni un ruolo centrale e di primo piano) se i piani sono ancora in questa fase e i parchi sono rimasti in "ombra". In mancanza del piano per il parco si applicano le “misure di salvaguardia” allegate al DPR 05/06/1995 istitutivo dell’Ente Parco (da ricordare tre sentenze del Consiglio di Stato n.3516, n.3517 e n. 3518 del 2012 che hanno sottolineato che: a) le norme di salvaguardia dei Parchi non possono essere eterne e cioè non possono essere operanti per un tempo lungo; b) che un piano se adottato si può applicare immediatamente; c) il piano può superare le norme dei piani paesistici, in quanto i parchi sono considerati detentori di superiori prerogative ambientali). La conseguenza è che i parchi hanno subìto pressioni, limitazioni e contrasti e vengono spesso percepiti unicamente come “vincoli”. La salvaguardia dell’ambiente non deve essere solo una questione di conservazione passiva, ma deve essere un obiettivo da perseguire attivamente mediante forme di gestione del territorio più fini e articolate, che consentano di arrivare a nuovi modelli di sviluppo nel giusto rapporto tra uomo e ambiente.

2) L’attribuzione agli enti parco di poteri decisionali e competenze in materia di

pianificazione ha colto impreparata la cultura tecnica e politica del Paese. Nonostante la ricchezza dei vari strumenti urbanistici, il nostro territorio è stato

“governato male” a causa della rigidità degli stessi, che non hanno consentito uno scambio di informazioni tra un livello e l’altro, dei forti interessi economici accentrati su di essi e dell’incapacità politica di implementarli e/o modificarli. Va, inoltre, evidenziato che la questione ambientale ha trovato disattenta e in difficoltà l'urbanistica tradizionale dotata di strumenti analitici inadeguati rispetto all’evoluzione degli scenari territoriali, economici e dei processi decisionali. Oggi il Paese ha bisogno urgentemente di ridefinire il ruolo di una nuova urbanistica, capace di articolare un rapporto dialogico, intenso e costruttivo tra i diversi attori ai vari livelli. In questo scenario le convergenze semantiche e programmatiche tra i concetti di paesaggio, ambiente e territorio, e la ricerca di una pianificazione sostenibile, in grado di coniugare conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale, costituiscono tematiche complesse per la redazione del Piano per il Parco. Il rapporto fra l'individuazione delle attività compatibili e la finalità della tutela rimane sempre il fulcro intorno al quale muovere il sistema della pianificazione delle aree protette.

3) L’effetto di “sostituzione” ad ogni livello degli strumenti urbanistici ha

creato notevoli problemi di raccordo con la pianificazione vigente. …….Il piano ha validità di almeno dieci anni, inoltre ha effetto di dichiarazione

di pubblico generale interesse e di urgenza e di indifferibilità per gli interventi in esso previsti e sostituisce ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali o urbanistici e ogni altro strumento di pianificazione. Questi devono obbligatoriamente conformarsi a quanto previsto dallo stesso Piano per il Parco. Il piano una volta pubblicato nella G.U. e nel bollettino regionale è immediatamente vincolante nei confronti delle amministrazioni e dei privati (art.12, c.8, L.394/91). Il Piano Paesaggistico prevale sul Piano per il Parco solo per quanto attiene alla tutela del paesaggio (art. 145, c.3 del D.Lgs. 22.01.2004 n.42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio”, modificato dal D.Lgs. 24.03.2006 n.157) e non comprende la tutela della flora, della fauna, delle componenti ambientali e gli interventi attivi di salvaguardia degli stessi, che restano di competenza degli enti parco. La norma (art. 12, c.7, L.394/91) istituisce uno strumento caratterizzato da un effetto più che di sovraordinazione, tipico di tutti gli atti di pianificazione sovracomunale, di vera e propria sostituzione.

Si tratta di un meccanismo troppo radicale per il quale il processo di approvazione dei piani dei parchi sconta ancora oggi considerevoli ritardi. Per mettere in moto un giusto processo come quello richiesto, è necessario colmare in maniera coordinata le conoscenze e dotarsi di strumenti pianificatori condivisi, che mantengano una coerenza programmatica ai diversi livelli. Tutto questo non è avvenuto, in quanto, il difficile rapporto tra la pianificazione dell’assetto del territorio e di tutela ambientale da un lato e le politiche di sviluppo locale dall’altro hanno evidenziato un’incoerenza di fondo tra la pianificazione istituzionale (Regione, Provincia, Comune) e gli ambiti nei quali si manifestano le trasformazioni territoriali. Pertanto, la complessità dei rapporti tra i parchi e i contesti socio-economico-territoriali e la complessità degli intrecci di interessi e di problemi di vario genere non consentono un dialogo sostanziale tra gli strumenti pianificatori ai vari livelli.

4) Assenza di una politica nazionale di cooperazione fra Stato, Regioni ed

Enti locali che non ha saputo collocare il sistema delle aree protette in una strategia nazionale per la conservazione e la gestione della biodiversità.

Dopo l’approvazione della Legge quadro n.394/91 e grazie anche all’impegno del mondo ambientalista, le aree protette hanno goduto di un certo “interesse” da parte della politica (es. negli anni novanta sono state istituite un elevato numero di aree protette). Interesse che però nel corso degli anni è andato scemando sempre più, e già dall’inizio dell’anno 2000 è progressivamente iniziato un vero e proprio appannamento delle aree naturali protette (es. riduzione delle risorse e degli impegni a favore delle politiche di sostegno alla valorizzazione dei parchi, anche a causa della grave crisi della finanza pubblica. Si è anche parlato di autofinanziamento dei parchi). Come conseguenza si verificherà (in alcuni casi si è già verificato) che i parchi finiranno inevitabilmente per isolarsi rispetto al contesto territoriale nel quale sono inseriti e non saranno più in grado di assolvere all’importante finalità di valorizzazione dello stesso.

CONCLUSIONI Se i parchi sono concepiti come aree attraverso le quali garantire la tutela dell’ambiente, al fine di preservare la biodiversità, la valorizzazione delle risorse naturali e consentire lo sviluppo sostenibile, allora occorre che gli Enti Parco si dotino in tempi brevi (per es. 1 anno) del piano per il parco. PROPOSTA Proprio perché risulta fallimentare avere un unico piano sovraordinato che riassuma in sé tutti i contenuti della pianificazione ordinaria ai vari livelli, il piano per il parco deve essere un piano snello, non complesso nella sua articolazione o nel suo impianto normativo. La sua giusta definizione potrebbe essere quella di Piano di Settore che da un punto di vista gerarchico della pianificazione si dovrebbe collocare al di sotto del piano paesistico regionale e la sua approvazione di diretta competenza dell’Ente Parco, delegata dalla Regione per quanto attiene la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio (l’art.4, c.16, della L.106/2011 ha, infatti, modificato il c.6 dell’art. 146 del D.Lgs. 22.01.2004 n. 42 “Codice dei beni culturali e del paesaggio” nel senso che la Regione può delegare tale esercizio oltre che alle Province e ai Comuni, anche agli Enti Parco).

Le politiche dei parchi devono basarsi sempre più sulla concertazione interistituzionale e sulla cooperazione degli attori locali, al fine non solo della legittimazione sociale, ma anche della maggiore efficacia dell’azione di tutela. Le azioni di tutela non devono essere solo apposizioni di vincoli, nel senso che il piano per il parco deve garantire al territorio ogni possibilità organizzativa, progettuale, propositiva e creativa e, pertanto, esse devono essere proposte all’interno della pianificazione. Sembra ormai tramontata l’illusione che la conservazione possa essere perseguita esclusivamente con strategie di pianificazione fondate sul solo vincolo. Regole e strategie condivise devono sostituire le politiche di vincolo. Oggi il Parco è vincente se le sue regole non sono intese come vincoli e limitazioni, ma come norme di comportamento civile. E’ chiaro che la stretta integrazione tra il piano per il parco e il PPES (art. 14 L.394/91 viene redatto dalla Comunità del Parco) consentirebbe di mitigare la separazione tra le politiche di vincolo e protezione e le politiche di spesa e investimento.

La coerenza e la compatibilità tra le iniziative di sviluppo economico e la tutela del patrimonio ambientale vanno sempre verificate nelle scelte progettuali che si intraprendono. Non è vero che lo sviluppo economico possa sempre garantire la protezione dei beni ambientali, come d’altronde non è vero che la natura possa essere tutelata legando la sola economia alla conduzione di attività strettamente tradizionali. Il piano per il parco deve sempre garantire queste due finalità: la conservazione degli ecosistemi naturali e lo sviluppo compatibile delle comunità locali (soprattutto se le comunità locali sono comunità di montagna). Già nella fase di formazione del piano occorre concertare le scelte con tutti i soggetti istituzionali competenti per territorio in materia di pianificazione territoriale ed urbanistica, quello che viene chiamato processo di copianificazione. Le previsioni del piano (la zonazione di cui all'art.12 L.394/91) si sostituiscono a tutti gli effetti ai Piani Territoriali di Coordinamento Provinciali, nonché agli strumenti urbanistici comunali (PRG o PRE) per le sole zone omogenee “E” (Zone agricole) e per le Zone di sviluppo Turistico.

Ferma restando l’impostazione dialogica e interattiva del piano con i PRG, nasce, comunque, la necessità di una cooperazione che consenta ai Comuni un’attiva partecipazione e un coinvolgimento diretto al processo di formazione del piano medesimo. La Comunità del Parco (organo dell’ente parco composta dai rappresentanti dei comuni, delle province e delle regioni costituenti il parco) partecipa alla definizione dei criteri riguardanti la predisposizione del piano indicati dal Consiglio Direttivo del Parco ed esprime il proprio parere vincolante sul piano stesso. Pertanto, sia i Comuni che le Province sarebbero coinvolte direttamente nel processo di pianificazione già nella fase di formazione del piano. In questo approccio innovativo alla pianificazione, il piano per il parco deve assolutamente contemplare i seguenti obiettivi prioritari di gestione: la ricerca scientifica (essenziale per riconoscere ciò che si ha intenzione di conservare), la protezione della naturalità, la conservazione dei caratteri culturali e tradizionali, la fruizione del territorio, il turismo. Inoltre, in questa prospettiva la rivisitazione della zonazione del piano, potrebbe essere quella riferita alle “unità di paesaggio”, intese come ambiti territoriali con valori identitari ben definiti, considerando anche

il sistema della rete ecologica nazionale, al fine di superare la frammentarietà e le discontinuità ambientali e assicurando le condizioni di sostenibilità (nel senso che i corridoi ecologici assicurano l'unitarietà paesistica ed ecosistemica consentendo, di fatto, di non isolare i parchi dal territorio che li circonda). La rete ecologica (definita anche infrastruttura ambientale; l’89% dei PTCP presentano riferimenti alla rete ecologica -fonte Ispra) può rappresentare l’incontro e la sinergia tra la conservazione della biodiversità e la gestione urbanistica del territorio, pertanto elemento fondamentale dell'approccio strutturale al paesaggio. La gestione della biodiversità passa necessariamente per una gestione complessiva del paesaggio e delle sue risorse, come d’altronde la tutela del paesaggio è indissociabile dalla conservazione della natura. Poiché nessun paesaggio è un’isola (il parco di fatto è un sistema biologico aperto), nel Piano per il Parco le decisioni che riguardano la conservazione dell’integrità del paesaggio hanno interdipendenze con la pianificazione e la gestione dell'intero territorio (esteso anche oltre i confini del parco) e con lo sviluppo socio-economico delle popolazioni residenti.

PROPOSTA Piano di Settore al di sotto del piano paesistico regionale e la sua approvazione di diretta competenza dell’Ente Parco, delegata dalla Regione per quanto attiene la funzione autorizzatoria in materia di paesaggio (l’art.4, c.16, della L.106/2011). Il Piano per il Parco deve essere un piano snello, non complesso nella sua articolazione da redigersi in tempi brevi (1 anno). Le previsioni del piano (la zonazione di cui all'art.12, L.394/91) si sostituiscono a tutti gli effetti ai PTCP, nonché agli strumenti urbanistici comunali (PRG o PRE) per le sole zone omogenee “E” (Zone agricole) e per le Zone di sviluppo Turistico. La Comunità del Parco (organo dell’ente parco composta dai rappresentanti dei comuni, delle province e delle regioni costituenti il parco) partecipa alla definizione dei criteri per la predisposizione del piano indicati dal Consiglio Direttivo del Parco ed esprime il proprio parere vincolante sul piano stesso. Pertanto, sia i Comuni che le Province sarebbero coinvolte direttamente nel processo di pianificazione, già nella fase di formazione del piano.

Grazie per l’attenzione

Dr. Ing. Alfonso Calzolaio

Ente Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga (Board of the National Park of Gran Sasso e Monti della Laga) RESPONSABILE Servizio Tecnico Urbanistico e Territoriale

Via del Convento, 1 – 67010 Assergi (AQ) - ITALY Telephone + 39 0862/60521 Fax +39 0862/606675

E-mail: [email protected] Web page:http://www.gransassolagapark.it