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Narratori Francesi Contemporanei L’airone di Guernica AIRONE DI GUERNICA:Layout 2 30-05-2012 10:51 Pagina 1

Airone di guernica

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Guernica, aprile 1937. Basilio, giovane pittore autodidatta, trascorre le sue giornate presso una palude, a osservare gli aironi cenerini. È ben consapevole della guerra in corso, anzi ha persino cercato di arruolarsi nell’armata repubblicana.

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Narratori Francesi Contemporanei

L’aironedi Guernica

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Collana NARRATORI FRANCESI CONTEMPORANEI

diretta da Gianni Gremese

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Antoine Choplin

L’aironedi Guernica

romanzo

Traduzione dal francese diSilvia Manzio

GREMESE

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Titolo originale:Le héron de Guernica© Le Rouergue, 2011

Copertina: Giulia Arimattei

Stampa: Tipografica Artigiana s.r.l. – Roma

Copyright edizione italiana:GREMESE2012 © New Books s.r.l. – Romawww.gremese.com

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questo libro può essereriprodotta, registrata o trasmessa, in qualsiasi modo o conqualsiasi mezzo, senza il preventivo consenso formale dell’Editore.

ISBN 978-88-8440-725-2

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Il giorno prima, dopo aver lasciato la stazione, Ba-silio si era avventurato senza meta per le strade.Verso sera, stanco, aveva varcato i cancelli dei

giardini del Lussemburgo e si era seduto su unapanchina, un po’ appartata dai viali. Era calata lanotte.

Aveva finito per chiudere gli occhi e, probabil-mente, aveva dormito per qualche secondo, con ilgomito appoggiato sulla valigia e la cartella da di-segno sulle ginocchia.

Più tardi, nell’incertezza delle ore, aveva spiatoil nascere del giorno rabbrividendo, con gli avam-bracci stretti al torso.

Alla fine, aveva udito i canti dei merli e dei bec-cafichi, appena prima del soffio tremolante dellaluce.

Era una giornata strana che iniziava, si dicevaBasilio.

Due settimane prima, era andato al convento diSanta Clara per mostrare il suo lavoro finito a pa-dre Eusebio.

Si erano ritrovati nella penombra del refettorio,

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le cui vetrate erano per la maggior parte infrante.Basilio aveva srotolato il suo dipinto su un lato deltavolo. Il curato l’aveva osservato a lungo, variandola distanza dello sguardo. Di tanto in tanto, alzavala testa e Basilio poteva notare come brillassero isuoi occhi.

«Allora?», aveva chiesto Basilio dopo una pausa.Padre Eusebio non aveva risposto. Aveva conti-

nuato il suo studio in silenzio, avvicinandosi e al-lontanandosi, lanciando uno sguardo verso Basiliodi quando in quando.

Aveva chiesto di poter tenere il dipinto perun’ora o due, e lo aveva restituito a Basilio solo ver-so mezzogiorno, alla Taverna.

«Dimmi, Basilio», aveva chiesto scivolando alsuo fianco, «hai mai sentito parlare di Picasso?».

«Picasso?».«Sì. Un pittore. Spagnolo».«No. Non l’ho mai sentito nominare».«È un grande artista, molto conosciuto qui in

Spagna e anche in Europa».«Ah».«Si dà il caso che gli sia stata commissionata una

mostra molto importante, che si terrà presto a Pa-rigi. L’Esposizione Internazionale delle Arti e Tec-niche, si chiama».

Basilio aveva continuato a intingere il pane nelsuo piatto di zuppa, senza capire dove volesse arri-vare il curato.

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«Insomma, sembra che voglia realizzare un’operasu quello che è successo qui. A Guernica. È Felipe, ilmio amico giornalista, che me l’ha detto».

«Ah».«Ha scelto Guernica, ti rendi conto».Pausa. Basilio, il pane nella zuppa.«Grazie a lui si parlerà di Guernica in Francia,

forse nel mondo intero. Ci si interesserà a quelloche è successo qui da noi. Capisci?».

«Sì», aveva detto Basilio, «capisco».Con un sorriso benevolo, il curato aveva restitui-

to il dipinto a Basilio, arrotolato in un largo cilin-dro.

«È un ottimo lavoro».«Davvero?», aveva chiesto Basilio.«Sì», aveva risposto il sacerdote. «Davvero. E

inoltre, oserei dire che il tuo airone mi fa pensareal nostro Gesù. Dio mi perdoni».

Poi si era allontanato un breve istante per ser-virsi un piatto di zuppa.

Basilio gli aveva domandato se Picasso fosse lì, aGuernica.

«No, non credo».«Ma il lunedì della settimana scorsa era a Guer-

nica», aveva insistito Basilio.«No. Sembra che abbia saputo tutto quello che

è successo attraverso i giornali».Una pausa.«Allora non capisco», aveva detto Basilio.

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«Cosa non capisci?».«Non capisco come possa dipingere gli eventi di

Guernica, se non c’era quando si sono svolti».«Gli artisti possono fare cose del genere», aveva

detto il curato. «Non finisci la tua zuppa?».«No».Il sacerdote si era chinato verso Basilio.«Bene, adesso ascoltami. Vorresti sapere cosa ha

dipinto Picasso a proposito di Guernica?».«Sì, certo».«E andresti fino a Parigi per scoprirlo?».Aveva sorriso ponendo la domanda.«Parigi?».«Se ci arrangiassimo per pagarti il viaggio».Basilio aveva aggrottato la fronte.«E poi ti farebbe bene partire per un po’ da

qui, vedere posti nuovi, non credi?».«Non lo so», aveva balbettato Basilio. «Non so-

no mai partito».«Appunto», aveva detto padre Eusebio.Pausa. Brusio della Taverna, scoppi di voci.«E poi potrai portare con te il tuo dipinto. Non si

sa mai. Potrebbe interessare a qualcuno. Forse lostesso Picasso vorrà darci un’occhiata, che cosa nesappiamo. Tu c’eri, a Guernica. No, Basilio?».

«Sì».«Allora devi semplicemente riflettere. Mi darai

una risposta».

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Dopo aver mangiucchiato senza appetito il restodei biscotti, Basilio ha consultato la mappa di Pari-gi. Con un segno a matita, padre Eusebio aveva cer-chiato il Campo di Marte e il Trocadéro.

«Per il padiglione spagnolo», aveva detto il cura-to, «basterà che ti informi sul posto, non dovrebbeessere troppo complicato».

I primi raggi del sole sono sorti alle sue spalle,tra i tetti, e il canto degli uccelli è diventato assor-dante.

Basilio ha lasciato la panchina, seguendo a bre-ve distanza due passanti mattinieri, per raggiunge-re la rue de Vaugirard.

Quel giorno, il quadro sarebbe stato presentatoalla stampa, e Picasso sarebbe stato necessariamen-te presente, aveva assicurato Felipe. «Certo, ci sa-ranno le autorità e tutti i discorsi, e la gente benvestita», aveva detto padre Eusebio. «Ma cerca dicapire, non si sa mai come potrebbero andare lecose».

«Perché non ci vai tu, a Parigi?», aveva chiestoBasilio.

«Perché ho troppe cose da fare qui, a Guerni-ca».

Più tardi, aveva aggiunto che inoltre, a differen-za di Basilio, lui non era un artista.

Basilio lasciò la rue de Vaugirard per imboccareil boulevard Pasteur e poi l’avenue de Suffren, che

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discese con un incedere ondeggiante e irregolare.La torre Eiffel si era messa a pesare con tutta la suaaltezza sul paesaggio e catturava incessantemente ilsuo sguardo. Una folla di persone passeggiava giàtra le numerose installazioni del Campo di Marte.

Basilio raggiunse la Senna, fece qualche passosul ponte d’Iéna prima di appoggiare la valigia e lacartella da disegno contro il parapetto. Restò lì, inpiedi, per un lungo istante, di fronte al sole ancorabasso, a scrutare il fiume e le imbarcazioni, i battel-lieri al timone.

Subito dopo il ponte, si apriva la prospettiva delTrocadéro, incorniciato sui due lati dai padiglionistranieri.

Basilio notò l’assembramento che si era forma-to nella parte bassa del piazzale. Curioso il modoin cui in quel punto la gente spostasse senza sostalo sguardo da un lato e dall’altro, come gli spetta-tori di una partita di tennis.

Basilio si aggirò tra loro. Sentiva le esclamazionidi meraviglia davanti alla sfida che sembravanolanciarsi i due edifici monumentali, posti l’uno difronte all’altro, in mezzo ai quali si trovava. Il padi-glione tedesco e quello russo.

Anche lui per un attimo alzò il naso a destra e asinistra. E poi proseguì il suo cammino, senza assa-porare niente di quella vertigine.

Duecento metri oltre, rischiò di passare davanti

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all’edificio spagnolo senza notarlo, probabilmenteperché si era immaginato che scovarlo sarebbe sta-ta un’impresa lunga e delicata.

Inoltre, aveva immaginato una costruzione sfa-villante e slanciata; scopriva, invece, un’architettu-ra piuttosto sobria, su tre piani, la cui eleganzadiscreta dipendeva soprattutto dalla natura dei ma-teriali, principalmente vetro decorato con affre-schi stilizzati, uno dei quali rappresentava la cartageografica della Spagna.

Esitò prima di salire la scalinata ancora deserta.In cima ai gradini, un’insegna indicava in diver-

se lingue che il padiglione avrebbe aperto le portea mezzogiorno.

Appoggiò la fronte alla vetrata. Guardò le perso-ne che si affaccendavano al suo interno.

Un momento dopo, scese la scalinata e si siste-mò quanto più comodamente possibile sui primigradini. Doveva pazientare ancora per due ore ab-bondanti.

«Signore, per cortesia».Basilio sussultò. Una ragazza con un abito lungo

era china su di lui.«Parla francese?», chiese gentilmente.Basilio sgranò gli occhi e la donna si mise a par-

lare in spagnolo.«Devo chiederle di lasciare libero il passaggio.

Tra poco apriremo le porte del padiglione».«Credo di essermi addormentato».

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La donna sorrise. Basilio si passò la mano fra icapelli e afferrò la cartella da disegno che era sci-volata in fondo ai gradini.

«Da qualche tempo, non riesco più a dormirequando dovrei».

Si alzò e scosse leggermente il retro dei suoipantaloni con le mani per spolverarli.

«Che ore sono?», chiese Basilio.«Le undici e mezza».Pausa.«La ringrazio», disse la donna, salendo qual-

che gradino senza togliere lo sguardo da lui.«Ancora un po’ e mi sarei perso l’apertura»,

esclamò Basilio a voce bassa.E poi, raggiungendo la donna, con la valigia in

mano e la cartella da disegno sotto il braccio: «Èche ho viaggiato a lungo per vedere l’Esposizio-ne».

«Ah sì?», replicò lei.Questa volta si era voltata e aveva accelerato il

passo per salire la scalinata.«Molto bene, molto bene», proseguì. «Allora,

forse ci incroceremo di nuovo più tardi».«Perché lei lavora qui, non è vero?», continuò

Basilio, salendo gli ultimi gradini giusto dietro ladonna.

«Sì, è così».«Ah, è fortunata. Quindi, sa di certo a che ora

arriverà Picasso».

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La donna si fermò e si girò verso di lui. I trattidel suo volto tradivano un po’ di irritazione.

«Pablo Picasso è atteso per l’inaugurazione uffi-ciale. Alle quindici».

«Ah», fece Basilio. «Perfetto. Capisce, vorrei po-tergli dire una o due parole».

Il volto della donna si incupì, poi si distese. Inuna risatina intenerita, disse che Picasso sarebbestato di certo completamente assorbito dalla stam-pa e dalle autorità.

«Sì, è normale», osservò Basilio, «e non vorreiannoiarlo. Gli dirò semplicemente questo, chevengo da Guernica per vedere il suo dipinto. Èproprio quello che è esposto qui, il suo dipinto suGuernica?».

«Sì».«Bene, allora ecco quello che gli dirò. E anche

che ero laggiù quando ci furono i bombardamenti.Quindi, è come dice padre Eusebio. Non si sa co-me potrà andare, capisce».

Lei gli era di fronte. Lo percorse con uno sguar-do benevolo, dall’alto verso il basso, poi dal bassoverso l’alto.

«Sì, in effetti. Ha ragione, non si sa mai».«È quello che dice padre Eusebio. Tanto più

che, per giunta, ho qualcosa da mostrargli, al si-gnor Picasso».

E con l’indice batté sulla cartella.«Ah», fece la donna.«Vuole dare un’occhiata?», chiese Basilio.

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«È che», balbettò lei, «lo farei con piacere, manon ne ho il tempo. Apriamo il padiglione fraqualche minuto e…».

Mentre parlava, Basilio ha già snodato le cordi-celle e dischiuso la sua cartella, maneggiandola co-me un grande libro prezioso. Si è avvicinato alladonna fino a toccarle la spalla. Le due teste si sonochinate l’una verso l’altra, gli sguardi si sono im-mersi nella cartella.

Pausa.«È lei che l’ha dipinto?», chiese la donna rad-

drizzandosi.«Sì».Lo fissò per un attimo, lui non aveva alzato lo

sguardo dalla cartella. Osservò nuovamente il di-pinto, la sua fronte si avvicinava a quella di Basilio.

«E questo animale», disse la donna, «che cos’è?».«È un airone. Un airone cenerino».Dopo un attimo di silenzio, Basilio ha richiuso

dolcemente la cartella da disegno.«Mi perdoni, ma preferisco non guardarlo trop-

po a lungo», ha detto lui. «A volte mi imperla letempie di sudore e mi impedisce di respirare bene».

La donna ha fatto un cenno leggero con la testacome se capisse cosa voleva dire. Poi gli ha strettoil braccio e si è scusata: «Devo proprio andare,ora». Ed è partita repentinamente.

Soltanto allora Basilio si è reso conto che la sca-linata si era riempita di una decina di visitatori,

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che stavano aspettando l’apertura delle porte chiac-chierando.

A mezzogiorno in punto, la piccola folla ammas-sata sulla scalinata cominciò a riversarsi nella vastahall del padiglione spagnolo. Basilio, che si trovavanel mezzo, avanzò come poté, con la sua valigia e lasua cartella da disegno.

All’interno, i visitatori si ripartivano in tre filed’attesa, procedendo verso un largo bancone e lehostess.

Una di queste era la donna col vestito lungo.Basilio si mise in coda alla fila che conduceva dalei. Dopo qualche minuto, raggiunse il bancone.Lui e la donna si ritrovarono di fronte.

«Questa volta è ben sveglio», disse lei sorriden-do.

Basilio non sapeva cosa rispondere.Si mise a frugare in tasca per trovare i soldi con

cui pagare il biglietto d’ingresso, ma la donna lofermò con un gesto della mano.

«Se me lo permette, sarei felice di darle un invi-to per la giornata in omaggio».

E gli tese un biglietto.«E se vuole, potrà lasciare la sua valigia al guar-

daroba, proprio dietro di lei».«Grazie», rispose Basilio. «Ma davvero, per l’in-

vito, io…».Lei appoggiò le mani sul bancone come se vo-

lesse afferrare le sue.

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«Il quadro di Picasso si trova al primo piano»,affermò la donna. «Vedrà le indicazioni. Potrà am-mirare anche alcuni degli schizzi che hanno prece-duto la realizzazione dell’opera».

Basilio annuì più volte, guardando la donna eallontanandosi lentamente dal bancone.

Depose la valigia al guardaroba come lei gli ave-va detto, ma tenne sotto il braccio la cartella da di-segno.

Poi, senza nemmeno il tempo di uno sguardorapido sul pullulare di installazioni del pianterre-no, prese le scale e si diresse, quasi correndo, versola sala riservata a Guernica.

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