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Elisa, Eleonora ed Annamaria della classe 5AS, commentano... commentano... commentano... commentano... Addio cultura umanista per i ragazzi non ha senso di MARCO LODOLI

Addio cultura umanista: articolo di M. Lodoli e commenti

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Articolo di Marco Lodoli pubblicato sul quotidiano "La Repubblica" il 30 ottobre 2012 e commento di alcune studentesse della classe 5AS dell'Istituto "Marco Belli" di Portogruaro (VE).

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Elisa, Eleonora ed Annamaria

della classe 5AS, commentano...commentano...commentano...commentano...

Addio cultura umanista

per i ragazzi non ha senso

di MARCO LODOLI

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Sto leggendo il giornale, sì, quello di carta, anche se

non di rado mi ritrovo a “sfogliare” lo schermo del

tablet, e leggo dello sfogo di una docente che dice:

“Io non esisto più, sono diventata invisibile". Già,

penso, capita anche fra i colleghi della mia scuola di

scambiare simili considerazioni.

Mi sento chiamata in causa, leggo velocemente il

resto dell’articolo di Marco Lodoli e, un po’

incuriosita, decido di sottoporlo all’attenzione dei

miei studenti; sono interessata a conoscere le loro

riflessioni. Alcune di esse le trovate di seguito.

Prof.ssa Maria Rita Bellomo

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La Repubblica, 31/10/2012

Addio cultura umanista

per i ragazzi non ha senso

Noi insegnanti parliamo di autori e temi che ai giovani

sembrano polverosi e malinconici. È come se l'oceano di

passato che ha tenuto insieme generazioni non riuscisse ad

arrivare al presente. Non è detto però che il disinteresse per la

tradizione sia una pura sciagura.

di MARCO LODOLI

"IO NON ESISTO più, sono diventata invisibile", mi dice una

professoressa con la voce spezzata e gli occhi umidi. "Entro in

classe, comincio a spiegare e subito mi accorgo che nessuno

mi ascolta. Nessuno, capisci? E così per giorni, mesi, forse per

tutto l'anno. La mia voce non gli arriva, parlo e vedo le parole

che si dissolvono nell'aria, e dopo un poco mi sembra che

anch'io mi dissolvo, resta solo un senso di impotenza, di

fallimento". Quante volte negli ultimi anni ho raccolto dai miei

colleghi sfoghi di questo genere: professori di lettere, storia,

filosofia, arte che si sono ben preparati per la loro lezione e

che finiscono a parlare nel vuoto, come radioline lasciate

accese in un angolo, e a poco a poco si scaricano, si spengono

malinconicamente. Perché accade questo, perché sembrano

saltati i ponti e le rive si allontanano sempre di più? A riguardo

mi sono fatto un'idea.

Finita, esaurita, muta, forse non proprio morta e sepolta ma di

sicuro messa in cantina tra le cose che non servono più: la

cultura umanista sembra aver concluso il suo ciclo, ai ragazzi

non arriva più niente di tutto quel mondo che ha ospitato e

educato generazioni e generazioni, che ha prodotto una

visione del mondo complessa eppure sempre animata dalla

speranza di poter spiegare tutto nel modo più chiaro, adeguato

alla mente dell'uomo, alle sue domande, ai suoi timori. Finito,

possiamo mettere una pietra sopra alla filosofia greca, alla

potenza e all'atto, alla maieutica e all'iperuranio, alla

letteratura latina, alla poesia italiana da Petrarca a Luzi, al

pensiero cristiano e a quello rinascimentale, con le loro

differenze e le loro vicinanze, ai poemi cavallereschi e agli

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angeli barocchi, all'idealismo tedesco e al simbolismo francese,

a Chaplin e Bergman, Visconti e Fellini: è tutto precipitato giù

per le scale buie della cantina, tutto scaraventato alla rinfusa

nel deposito degli oggetti perduti. È chiaro che da qualche

parte, in un eccellente liceo classico, esiste e resiste un

ragazzo che legge Platone, scrive sonetti, suona il violino e

studia la pittura di Raffaello, la vita per fortuna si diversifica

per avanzare. Ma per la stragrande maggioranza dei ragazzi di

oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa

più niente. È un universo in bianco e nero, malinconico,

pensante e dunque pesante, polveroso come una parrucca. E

non serve che gli adulti lo lucidino per farlo apparire più vivo:

se brilla lo fa come una bara.

È così, c'è poco da fare, l'oceano del passato non arriva più a

lambire la spiaggia del presente. Anche Huckleberry Finn

rifiuta la storia di Mosè e della manna nel deserto quando

scopre che Mosè è morto da secoli, della gente morta un

ragazzo non sa che farsene, dice Huck e forse ha ragione. Ma

per la mia generazione, e quella di mio padre, e quella di mio

nonno - e più indietro non vado - il passato non era un

tempo che svaniva insieme ai foglietti del calendario. Certi

morti non erano mai morti. Fossero gli eroi greci o quelli del

Risorgimento o Che Guevara, fosse Mozart o John Coltrane o

Luigi Tenco, i grandi continuavano a vivere nell'immaginazione

e nella riconoscenza dei ragazzi. Una catena d'acciaio o una

ghirlanda di fiori univa il meglio al meglio, la bellezza alla

speranza, la forza alla fiducia. Leggevo Dostoevskij e Tolstoj

come se fossero dei fratelli maggiori, non li collocavo nel regno

cupo dei morti, le loro parole erano vive, non sussurrate da un

tempo lontanissimo fino a perdersi nell'incomprensibilità. E i

quadri di Bellini e quelli di Morandi entravano a far parte dello

stesso museo interiore, ogni giorno una nuova opera si

sistemava su una parete vuota: e le pareti erano infinite, come

le meraviglie del passato.

Oggi i ragazzi non si voltano più indietro, gli prende subito la

tristezza perché alle spalle avvertono solo un cimitero degli

elefanti. La vita è adesso, qui e ora, e poi di nuovo qui e ora, e

quello che è stato è stato, e tutte le chiacchiere dei vecchi

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sono fumo nel vento. Il presente si nutre di se stesso,

digerisce se stesso e va avanti. L'arte, il pensiero, la

letteratura dei secoli andati è lenta, è puro impedimento

vitale, ruminamento in epoca di fast food. Naturalmente anche

la politica esce con le ossa rotte dalla fabbrica delle nuove

produzioni mentali e sentimentali: anche la politica è fumo nel

vento. Questa è la stagione del desiderio, dell'onnipotenza

tecnologica, dei corpi che vanno più veloci del pensiero, è la

stagione del disprezzo verso ogni forma di misura, di armonia,

di compostezza classica, di ragionamento lento e articolato.

Sillogismi, rime, consonanze, prospettive, equilibri, riflessioni

sulla miseria e la grandezza dell'uomo: via, giù tra le macchine

da cucire e il cinema muto, tra i libri dei poeti e i fiori secchi.

La cesura è netta, un taglio secco, del passato non si recupera

quasi nulla, la cultura umanista finirà tutta quanta in una bella

mostra a Roma o a Firenze, e ci sarà la fila per ammirare il

cadavere mummificato: ma i ragazzi stanno tutti altrove,

davanti a qualche schermo acceso, su qualche aereo che vola

sul mondo, in un futuro che allegramente, superbamente, se

ne frega di ciò che è stato e che non sarà mai più.

Non è detto che questo dichiarato disinteresse per la tradizione

sia una pura sciagura. Il mondo cambia di continuo, a volte

lentamente, per passaggi quasi impercettibili, a volte in modo

brusco, in una sola stagione, in un minuto. I nostri ragazzi

leggono altri libri, ascoltano altra musica, amano e odiano in

un altro modo, ragionano seguendo strade invisibili, e noi

adulti non dobbiamo solo rimproverarli perché non conoscono

Cechov o Debussy, Pasolini o Bob Dylan. Dobbiamo invece

assolutamente capire dove stanno andando, perché ci salutano

senza nemmeno voltarsi, perché non si fidano più della nostra

cultura. Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria

non basta a reggere l'urto con le onde fragorose del mondo

che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più

nei cataloghi e nei musei.

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Risposta all’articolo: “Addio cultura

umanistica- per i ragazzi non ha

senso”

“Il rifiuto per la letteratura”

In un articolo del 31/10/2012, Marco

Lodoli, noto professore e scrittore romano,

nel quotidiano “La Repubblica”, ha

presentato la cultura umanistica con un

“addio”. Il patrimonio letterario italiano sta

a poco a poco svanendo dagli interessi dei

giovani d’oggi, ma ciò non sempre è visto

in modo negativo, così come sostiene

Lodoli stesso.

È vero, la gioventù sta mutando e continuerà a farlo. Si aprono dinnanzi

ad essa nuove visioni riguardanti la vita, con i propri stili e le proprie

aspirazioni. Non si ricercano più quei valori considerati preziosi dalle

generazioni precedenti. Non si ha più un profondo interesse per la

filosofia, per la letteratura classica o per la poesia, un tempo oggetto di

grande passione e strumento ideale per comunicare a ogni persona i

propri sentimenti o sventure che siano. Inoltre, non si coglie più quello

spirito che l’autore tentava di trasmettere e non si viene più rapiti dalle

peculiarità, forse anche bizzarre, legate al mondo classico. Tutto viene

accantonato, quasi soffocato, da quella che oggi chiamiamo modernità.

Nuova mentalità, nuove abitudini e nuovi interessi. C’è chi ancora cerca

di recuperare e far emergere le antiche virtù, sperando in qualche

modo di far riaffiorare il ricordo dei suoni melodiosi, ma allo stesso

tempo cupi, delle espressioni di cui la letteratura va a comporsi,

generando così una sorta di nostalgia per coloro che hanno già

affrontato queste letture e una “clamorosa” scoperta per coloro che,

invece, ne sono del tutto estranei.

Sin da piccoli veniamo introdotti nel cosiddetto “mondo delle favole”,

quello ricco di misteri, di personaggi fantastici e di missioni impossibili.

Poi, man mano che cresciamo, veniamo accompagnati, passo dopo

passo, verso un mondo più ampio e reale, sino ad arrivare ai classici di

Pascoli, di Dante, di Zola e via dicendo. A questo punto, però, la vera e

propria missione impossibile non viene più vista come, per esempio, la

sconfitta di una leggendaria creatura, bensì come la capacità di

affrontare questi grandi autori. I giovani non manifestano alcun

Dalla Nora Elisa

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interesse nei confronti di essi. È tutto troppo “antico” e noioso. Di fatto, si

sente dire spesso: “Perché devo studiare la vita di persone che non ci

sono più, pur sapendo che dopo un certo periodo non ricorderò nemmeno

e che, tra l’altro, non mi servirà in futuro?”. Io stessa mi pongo questo

quesito. Rifletto sul mio possibile avvenire e mi chiedo in quali occasioni

potrò mai parlare di ciò che un noto autore ha fatto nel corso della sua

vita o delle opere che ha realizzato. Non trovandovi la cosiddetta “utilità”,

si passa direttamente alla monotonia. Ciò che prevale sono appunto la

noia e il senso di inutilità, così come la grande diversità con cui vengono

narrati i fatti. Quel linguaggio, con termini classici, appare talmente

differente dal comune modo di parlare che quasi non rende possibile la

comprensione di quanto si sta leggendo, perciò veniamo presi da un

rifiuto in senso generale.

Occorre tener presente, però, che tale rifiuto non riguarda

necessariamente tutti. Si sta facendo riferimento alla maggior parte dei

giovani, ma non a tutti i giovani. Non dobbiamo lasciarci annichilire dalla

affermazione perentoria di Marco Lodoli: “Per la maggioranza dei ragazzi

di oggi tutto il patrimonio culturale del nostro paese non significa più

niente”.

La cultura umanista, soprattutto quella classica, è semplicemente

trascurata, incompresa e rimpiazzata da altri generi, più inclini alle

giovani personalità dei ragazzi di questi tempi.

D’altra parte una cosa è certa, evidenziata pure dal giornalista Lodoli. Si

guarda più al presente e al futuro, piuttosto che al passato. Quest’ultimo

è sinonimo di antichità, di qualcosa che si è superato e concluso. Che

senso ha, quindi, per i giovani, ripescare certe nozioni e tendenze che

non hanno nulla a che vedere con loro stessi? Pare quasi come una fuga

dal mondo antiquato visto con noia e una continua corsa verso il

progresso, come se esso potesse dissolvere le rovine del passato.

Tutto sta cambiando e non solo la mentalità. Concordo col fatto che ogni

giorno ci sono nuovi generi musicali, nuovi libri, nuovi atteggiamenti e

nuove direzioni verso determinati stili di vita.

In linea generale il termine “giovani” oggi è inteso come evoluzione/

miglioramento. Ora come ora, la più parte del mondo giovanile è legata

alla tecnologia piuttosto che al sapere classico, mentre un tempo la vera

“tecnologia” era data proprio da un libro di letteratura.

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Commento l’ articolo “Addio cultura

umanista, per i ragazzi non ha senso”

Rileggendo l’articolo scritto da Marco Lodoli,

pubblicato sul quotidiano “La Repubblica” il

31 ottobre 2012, l’immagine che viene

tracciata dei giovani studenti italiani non è

delle più rosee.

La tesi sostenuta da Lodoli è che ai giorni

nostri i giovani abbiano perso l’interesse nel

conoscere ciò che appartiene al passato, ciò

che fa di noi quello che siamo, in sostanza le

radici della nostra cultura.

Da ragazza, e ancora di più da studentessa, mi trovo in parte in accordo

con quello che afferma il professore e scrittore Lodoli. In effetti, anche

frequentando miei coetanei, questo disinteresse verso lo studio e

l’apprendimento del passato è abbastanza percepibile. Tranne qualche

rara eccezione, la maggior parte delle persone che conosco non legge,

per puro piacere personale, grandi classici come “La Coscienza di Zeno”,

l’ “Iliade” o i “Malavoglia” e, anzi, vede queste storie come dei “mattoni”

che l’insegnante di italiano o di altre materie obbliga a leggere.

A parer mio, questa distanza che i ragazzi sentono con tutto ciò che

riguarda il passato, e con la cultura umanista in particolare, è data da

una serie di fattori diversi.

Prima di tutto, la nuova generazione che mi vede coinvolta è figlia del

progresso, dello sviluppo e delle innovazioni tecnologiche, e sono proprio

queste ultime, forse, che tendono a mostrarci il passato come antiquato,

superato e non più “utile”.

In una società in cui l’ultimo modello di telefono uscito nel mercato

diventa vecchio, tecnologicamente parlando, dopo tre mesi, in seguito

all’uscita di un nuovo oggetto high-tech, pensare che i giovani possano

entusiasmarsi e immedesimarsi nel protagonista di un romanzo classico

diventa abbastanza difficile da immaginare.

Le parole stampate su un libro, bisogna essere sinceri, non potranno mai

competere con la strabiliante tecnologia degli ultimi anni. Va detto anche,

però, che per quanto strabiliante un computer possa essere, non

Pasquali Eleonora

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trasmetterà mai le emozioni che un bel libro può suscitare.

I ragazzi di oggi hanno altri cantanti che li appassionano, altri poeti, altri

libri che li emozionano e persino un altro modo di comunicare. Social

network, internet praticamente sempre alla propria portata e telefoni ad

alta tecnologia sono una lama a doppio taglio: se usati nel modo giusto

possono essere strumenti utilissimi per la formazione, ma se vengono

usati nel modo sbagliato non fanno altro che allontanare i ragazzi dalla

realtà. Mi rendo conto che la cultura classica e umanista in genere siano

importanti per noi, in quanto fondamenta di ciò che siamo, ma in

un’epoca di incertezza e di crisi economica e di valori, è comprensibile

come i giovani siano poco interessati a conoscere le opere letterarie del

passato, o a studiare i quadri degli artisti del ‘500 e a guardare film muti

e in bianco e nero, perché il loro pensiero costante è: “A cosa mi serve

sapere certe cose per trovare lavoro? Conoscere la vita di Dante non mi

farà portare a casa lo stipendio!”.

È un momento storico che fa vivere alla giornata, che lascia noi giovani

nel costante pensiero che il nostro futuro è un enorme punto di domanda

su uno sfondo scuro, e poco importa che alcuni letterati ne abbiano già

parlato in passato: sono persone vissute secoli fa e che non hanno più

nulla da dirci.

Bisogna quindi, a livello didattico, far capire ai ragazzi che dietro a queste

opere ci sono in realtà diversi spunti di riflessione, e che, forse, sono

anche più attuali che mai.

L’animo umano è sempre invaso da inquietudini e turbamenti che

possono essere la paura dell’ignoto o il domandarsi che cosa ne sarà del

futuro; esattamente le stesse paure che oggi la fanno da padrone.

Forse bisogna cambiare qualcosa nel modo in cui certe cose vengono

spiegate: non solo soffermarsi sull’aspetto didattico, ma avvicinare i

ragazzi alla comprensione della riflessione che sta dietro un’opera, con

esempi della vita quotidiana e sentimenti in cui anch’essi possono

ritrovarsi. Bisogna cercare di invogliare i ragazzi alla lettura, mostrandola

non come un obbligo, perché alla fine si finisce per fargliela odiare.

Oppure bisogna accettare che i giovani si stanno allontanando da ciò che

gli adulti vogliono trasmettere loro, e cercare di comprendere il loro

nuovo modo di vedere la vita, che, forse, riuscirà a trovare un punto

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d’incontro con la cultura umanista tanto snobbata dalle nuove

generazioni.

Mi auguro solamente che la letteratura, con i suoi grandi esponenti, non

si limiti a diventare uno strumento con il quale le persone mostrano la

loro “intelligenza” copiando citazioni sul proprio profilo facebook,

altrimenti sì che potremo dire di aver davvero ucciso la cultura!

PREGIUDIZI: IO PROPRIO NON CI STO!

Articolo di risposta a "Addio cultura

umanista, per i ragazzi non ha senso"

di Marco Lodoli

Leggendo l'articolo del professor Lodoli,

apparso il 31 ottobre 2012 nel quotidiano

“La Repubblica”, in cui la gioventù moderna

è descritta come una massa uniforme di

giovani freddi ad ogni forma di cultura, mi

sono sentita presa in giro. Lodoli riporta la

testimonianza di alcuni colleghi che si

lamentano del disinteresse dei propri alunni

verso le materie umanistiche, ma - mi chiedo – qualcuno ha interpellato

gli alunni?

Ammesso e non concesso che la maggior parte dei giovani davvero non si

interessi più dell'arte nei musei, nelle cattedrali e nelle teche, e pensi solo

al divertimento e alla modernità, trovo ingiusto generalizzare. A mio

parere, bisogna educare alla cultura sin da piccoli. Io posso portare la mia

esperienza personale, e di certo, se io queste “cose da museo” le amo

moltissimo è grazie alla mia famiglia.

Fin dalla più tenera età sono cresciuta circondata dai libri che sfogliavo

instancabile e bramosa di imparare a leggere. Ho iniziato ad amare l'arte

guardando mia madre dipingere, ho ammirato la grazia di mia sorella al

pianoforte quando mi suonava “Sangue Viennese” di Strauss. Ma il mio è

un caso particolare.

Ricordo vividamente quando, ai tempi delle scuole elementari, la maestra

chiedeva quanti libri avevamo in casa, e c'era chi rispondeva cinque o sei.

Varsori Annamaria

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È dunque davvero colpa della nostra generazione se la cultura umanista

viene abbandonata? O l'amore per la cultura era già andato perso tempo

fa? Perché oltre ad acculturare i giovani non proviamo a farlo anche con i

“vecchi”? Perché attraverso i nuovi mezzi di comunicazione non facciamo

capire alle persone che andare a teatro è mille volte più emozionante che

andare al cinema? Che un libro è il regalo più bello? Perché non facciamo

innamorare i bambini dei musei creandone di interattivi?

I bambini hanno fame di cultura e sono portatori di un’immensa curiosità.

Ciò che bisogna domandarsi è perché questa curiosità si spegne davanti

ad una televisione (90% spazzatura).

Non dico che il professor Lodoli si sbagli, perché raramente trovo un

amico disposto ad accompagnarmi ad una mostra, eppure qualcuno l’ho

convinto e ho fatto risvegliare in lui la sua curiosità primordiale.

Conosco tantissime persone che piuttosto di andare in discoteca

verrebbero con me ad un concerto, persone con le quali mi confronto

entusiasta dopo le ore di filosofia, persone con le quali scambio libri, cd,

disegni, poesie e pensieri.

Bisogna andare più in fondo della semplice evidenza, perché ho il

sospetto che questa teoria del disinteresse giovanile sia solo un

pregiudizio. Quando una persona ama la cultura si vede e, volente o

nolente, è un amore contagioso.

APPELLO A TUTT I GL I INSEGNANTI RESSEGNAT I :

mettete passione in ciò che date, perché noi studenti la percepiamo e si

accende una fiammella nell'animo che può solamente crescere mano a

mano che la alimentiamo.

Dylan una volta ha detto che l'arte è semplice come respirare. Ma forse

Dylan non dovrei conoscerlo, giusto?

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Istituto “Marco Belli” di Portogruaro (VE)

Anno scolastico 2012-2013