8x8, i racconti della prima serata 2013

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    26 febbraio 2013 | prima serata

    @ Le Mura, Roma

    Marita Bartolazzi

    Serena Blasi

    Daniela Cicchetta

    Federico Fascetti

    Claude Ferretti

    Valeria Sirabella

    Orso Jacopo Torso

    Giulia Valsecchi

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    8x8 Un concorso letterario dove si sente la voce

    Oblique Studio 2013

    I partecipanti alla serata del 26 ebbraio 2013:Marita Bartolazzi, Un cappello;Serena Blasi, Fuori qualcuno ciondola nei corridoi;Daniela Cicchetta, Roma-Tunisi;Federico Fascetti, Tango;Claude Ferretti, Le sopracciglia di nonna Lina;Valeria Sirabella,Il violoncellista;Orso Jacopo Tosco, La farcitura;Giulia Valsecchi,Merkabah.

    Uno speciale ringraziamento alla casa editrice Voland, madrina della serata, e aigiurati Pier Paolo Di Mino, Daniela Di Sora e Giorgio Manacorda.

    I caratteri usati per il testo sono lAdobe Caslon Pro e il Rockwell.Oblique Studio | via Arezzo 18 | 00161 Roma | www.oblique.it | [email protected]

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    Marita Bartolazzi

    Un cappello

    Cera una volta un uomo che viveva in un cappello o, a volerlodire in modo pi preciso, era parte di un cappello. Potrebbe anchedarsi, invece, che osse il cappello a essere parte di lui, o almenodella sua testa.

    Certi giorni il cappello era molto grande, e delluomo sivedevano solo le gambe esili che spuntavano dalla tesa. A volte loera meno, e si poteva scorgere una parte del suo viso. Nonch ilresto, beninteso. Certuni pensavano che lui potesse ingrandire o

    rimpiccolire il copricapo a suo piacimento, ma non era cos. Pudarsi invece che la misura del cappello dipendesse dal numero deipensieri delluomo, o dal suo piacere di are parte del mondo. Machi ha sempre voglia di partecipare al mondo?

    A parte il cappello luomo aveva una vita assai normale. Persinoquando non se ne vedevano che le gambe e una volta solamentei piedi si capiva che era ben sistemato l sotto. Mangiava, peresempio, un panino e si sentiva, lieve, il rumore della crostaranta dai denti che lavoravano con alacrit.

    Parlava al teleono e si sentivano le parole della conversazione,ora placida, ora concitata, risuonare. Aveva un regolare lavoro

    come rappresentante di libri, e lo si poteva vedere per le stradedella citt, con la sua valigetta ventiquattrore, mentre girava perlibrerie e scuole.

    Camminare gli piaceva molto e talvolta questo suo mestiere,che consisteva nellandarsene in giro qui e l con dei libri, sembravaquasi un pretesto per are delle lunghe passeggiate.

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    Un giorno luomo che viveva nel cappello si innamor di uncavallo. Un cavallo nulla di speciale allapparenza. Piccoletto,compatto come una pallottola, con una olta criniera nera. I due sene andavano a passeggio verso la collina e di tanto in tanto lUomocol cappello porgeva al cavallo una manciatina di biada, un po comese gli ofrisse una sigaretta. Il cavallo mangiava la biada, assentivavigorosamente e dava delle piccole testate alla spalla dellUomo colcappello in segno di assenso e conorto. Alla ne della passeggiata

    ciascuno se ne tornava a casa propria molto soddisatto.Un giorno il cavallo, in segno di grande considerazione eafetto, mangiucchi leggermente la tesa del cappello delluomoche invece se ne dispiacque molto. Trov il gesto invadente eirrispettoso e, anche se ece come nulla osse successo, pens incuor suo che il cavallo non era poi cos sensibile come lui avevasempre immaginato.

    LUomo col cappello era molto riservato e custodiva gelosamentei suoi pensieri e sentimenti e, anche se non rimprover mai il cavallo,gli rimase un lieve senso di delusione e di di denza. Qualche voltaprese a are la sua passeggiata da solo, lasciando cadere le briciole

    del suo pranzo in terra per gli uccellini. O orse solo per liberarele tasche. Il cavallo, che era saggio, lo lasci andare senza troppegelosie, limitandosi a are una passeggiata nella direzione opposta,per conto proprio, quando la sua compagnia non era richiesta.

    Mi hai deluso, disse un giorno lUomo col cappello al cavalloe il cavallo annu gravemente. Un po anche tu, pens il cavalloma non lo disse, per delicatezza. Poi riett sul atto che tutto quelpasseggiare inconcludente gli era un po venuto a noia e inoltre eraseccato che lUomo col cappello avesse cos male interpretato il suogesto afettuoso. Cos scacci un paio di mosche con la coda e sene and per conto suo.

    Ingrato, pens lUomo col cappello, come tutti i cavalli,del resto, per si sentiva un po solo senza di lui. Quel suo graveassentire di tanto in tanto lo conortava molto e sottolineava ipunti pi salienti dei suoi discorsi. Dava orza alle sue idee.

    Alla ne dellestate lUomo col cappello passava qualche giornoal mare. Gli piaceva molto la spiaggia semivuota e anche il vento

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    Un cappello

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    non gli dava nessuna noia. Tantomeno rischiava di argli volare viail cappello.

    Buongiorno, disse al pescatore che sorvegliava quattro o cinquelenze insse nella sabbia. Il pescatore non aveva nessun piaceredi essere disturbato mentre pescava ma temendo che lUomo colcappello inciampasse nei sottili li di nailon non vedendoli risposeal saluto e subito aggiunse: Le danno astidio i li?

    Ah, i li, disse lUomo col cappello, e poi riprendendosi,

    certo, i li. No, non mi danno alcun astidio.La spiaggia era un po ventosa, e abbastanza vuota, e ci si potevapasseggiare molto a lungo senza dover scambiare pi di qualcheparola, o un saluto a mezza bocca con qualche passante un popi socievole. Cera anche qualche cane con il suo padrone. Certicani correvano con molta soddisazione nellacqua bassa, dandodei gustosi morsi agli spruzzi sollevati dalla corsa. Certi altririncorrevano bastoni tutti bianchi e bruciati dal salso del mare.

    LUomo col cappello ogni tanto pensava al cavallo e dava qualcheafettuoso nitrito a mezza bocca ricordando le loro passeggiate.Pens anche di scrivergli una cartolina, ma poi rinunci non

    sapendo che soggetto il cavallo avrebbe gradito. Ne mand inveceuna a sua madre, come aceva ogni anno. Forse le mandava anchela stessa cartolina, quella con la spiaggia e il lungomare con lepalme. Non ne era proprio certo ma molto probabilmente scrivevaanche le stesse parole. Insomma, cosa si pu mai scrivere su unacartolina?

    Al suo rientro in citt le lezioni erano cominciate e lUomocol cappello, quando passava davanti a qualche scuola, pensavacon soddisazione ai libri che gli studenti avevano con s. Quelliche lui aveva illustrato e descritto la primavera precedente. Ene ricavava un senso di completezza, come di una cosa messa

    nalmente a posto. A volte, prima delle piogge autunnali che tantolo inastidivano, andava a trovare gli insegnanti per sapere cosapensavano dei libri adottati. Se avevano qualche suggerimento dadare, qualche parte incompleta o inesatta che si sarebbe potutamigliorare. Nessuno in realt gli chiedeva di arlo ma lUomo colcappello teneva in modo particolare a sapere se quei libri, che da

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    nuovi gli erano parsi cos promettenti e pieni di cose interessanti,una volta aperti, scartocciati dal cellophane, sottolineati, avevanomantenuto le promesse e le speranze riposte in loro.

    Un giorno lUomo col cappello se ne and a passeggiare in unbosco. Fra i aggi annosi si stendeva un tappeto di oglie croccantiche illuminava i tronchi di una luce color biscotto. Tutto erasilenzioso e, solo di tanto in tanto, si sentiva un piccolo schioccodi rami rotti. Luomo guard a lungo gli alberi, poi gli venne un

    po sonno. Si accomod sotto il cappello, raccogliendo le gambee rannicchiandosi in modo da essere completamente coperto,sospir un paio di volte e chiuse gli occhi.

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    Serena Blasi

    Fuori qualcuno ciondola nei corridoi

    C il sole oggi, le ossa mi anno meno male. Il vialetto non sembratanto lungo, come nei giorni di pioggia, e il rumore dei sassolinisotto le scarpe non astidioso.

    Posso alzare lo sguardo per incontrare con gli occhi la nedellalbero pi alto. Posso guardare le gambe degli alberi, nascostee deormi. Gli alberi sono segnati dal tempo, come le mie mani.Ho dimenticato di prendere i guanti. Ho mani redde e rugose. Lemie mani non sono state mai belle, neanche da giovane.

    Le biciclette mi superano, da destra e da sinistra, cavalcateda uomini in calzoncini e polpacci muscolosi. Ogni volta che siavvicinano e si allontanano da me, come se stendessi un po delmio strazio sulle ruote veloci. Nellaria stendo la mia angoscia.Quella che mi sanca ogni mattina, che mi rende esausto ancorprima di alzarmi. Stendo nellaria il mio dolore, il terrore di vedereil mio volto riesso e non capire chi ne sia il proprietario. Misento ofeso, ogni volta che mi guardo. Questo sono diventato: unvecchio albero. Uno che deve nascondere le mani nei guanti.

    Oggi che c il sole, per, sono solo uno che vuole sedersi, sullapanchina pi lontana dalle altalene. Quella dove non arrivano

    pallonate. Non so che ore siano, e non ho voglia di chiederlo.Tanto non potrei comunque, non vedo nessuno intorno a me.Se ne vanno via tutti: le biciclette e gli uomini in calzoncini, ivenditori di bibite, i cani.

    Sono uno che ha buttato via tutto nel vialetto, pochi secondi a.Ricordo la ame che avevo, un tempo, di cose, persone, rapporti.

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    tenero pensare a quella smania giovanile. E capire, ora, di nonaver mai cercato lessenziale, che in ondo tutto quello che serve sempre stato qui, su questa panchina. Vicino ai ori gialli, quelliche non emanano odore.

    No, mi sbagliavo. Tutto quello che serve guardare qualcuno,solo come te, seduto sulla panchina di ronte. Come questa donna.Si seduta qui, davanti a me, e si guarda le scarpe. Doveva averelunghi capelli biondi, un tempo. Li porta, con coraggio, sciolti sulle

    spalle. Le punte dei capelli scarmigliate che cadono sul cardigannero. Doveva essere unartista questa donna, orse una scrittrice.La sto guardando, se n accorta.Mi avvicino. Devo arlo, comprendere le ragioni della sua

    solitudine, di quelle piccole ciglia, delle macchie seducenti sullemani delicate.

    Buongiorno, le dispiace se mi siedo?C qualcosa di conortevole nei suoi gesti.No, non mi dispiace.

    Questa una donna misurata, elegante, che non teme diapparire ragile. Lo dicono i suoi vestiti, la sua voce lante.Sembra che siamo gli unici ad apprezzare il sole, in questo

    parco.Io non ho mai amato il sole. Mi aceva male agli occhi ma non

    portavo occhiali, li ritenevo sacciati.Adesso mi guarda anche lei. Occhi azzurri, penetranti come

    occhi neri.E perch qui adesso?Non ne sono sicura. Per mio marito, credo.La sto importunando orse. Dov suo marito?

    Non c pi. Amava il sole. Quando, in casa, le cose simettevano male, veniva al parco. Dimenticava sempre i guanti etornava con le mani violacee. Aveva problemi di circolazione.

    Quando litigavo con mia moglie lei si chiudeva in bagno epiangeva.

    Litigavate spesso?

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    Fuori qualcuno ciondola nei corridoi

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    Non spesso, ma eravamo drammatici.Mio marito non ha mai imparato a are la lavatrice. una

    cosa che non riuscivo a capire. Se la cavava in tutto, ma detestavala lavatrice.

    Mia moglie era bravissima a are i letti, gli angoli delle lenzuolaquadravano perettamente.

    Bussava alla porta del bagno?Come?

    Quando la aceva piangere. Poi bussava alla porta del bagno?Lo acevo, ogni volta. Appena apriva la porta, sproondava ilvolto nel mio collo. La stringevo a me.

    questa la cosa pi importante: come ci si ritrova.Ci guardiamo, come ragazzini al primo appuntamento: quello

    del bacio. Questa una donna che ha saputo conservare la propriatimidezza. bizzarro il suo bracciale. Capelli bianchi e lunghi,cardigan nero e bracciale arancione. Dita lunghe. Mai vistemani pi belle di queste. Devo poggiare la mia mano indegna suquestopera darte. Devo arlo.

    Le dispiace?

    No, non mi dispiace.C qualcosa di caldo nel modo in cui scandisce le lettere. Lenostre pelli si sorano, delicatamente. Siamo un uomo e unadonna, in un parco, seduti su una panchina, che di nascosto sisorano le mani.

    Devo are qualcosa per lei.Mi allontano un attimo. Mi aspetta?Dove vuole andare?Mi dica solo che la ritrover, al mio ritorno.Mi ritrover qui.

    Ripercorro il vialetto, di nuovo. Queste due rose le voglio regalarea lei. Il oraio mi ha guardato sorpreso. Un uomo della mia et checompra rose. Voglio stringere quelle dita lunghe, tra le mie.

    Sono quasi arrivato alla nostra panchina. Vorrei correre, e unaparte di me lo sta acendo.

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    Non c.Lei non c. Possibile?Devo cercarla. Non posso credere che se ne sia andata.

    Comincio ad aver reddo alle mani. Sono uno che cerca una donna,in un parco, con due rose in mano.

    Signor Martini, nalmente. Sempre il suo parco! Venga con me.Non so chi sia questa donna, vestita di bianco. Non sono

    neanche sicuro stia parlando con me. Mi tocca la spalla, il braccio,vuole condurmi da qualche parte. Ma io qui che devo stare. Sonostanco, potrei lasciarmi trasportare, vedere cosa succede.

    Andr tutto bene, stia tranquillo. ora di riposare.A volte le persone mi dicono cose che non capisco. Bisbigliano,

    mormorano, mentre dormo. Mi smuovono, pronunciano nomiche non conosco. Parlano di una malattia che temono. E alloradecido di non aprire gli occhi, non ancora.

    Dove mi sta portando? Usa una crema orte, mi a attraversareuna strada. Quelluomo in macchina porta i ba . Non ho maicapito il senso dei ba . Sono un uomo trascinato da una donna,su un attraversamento pedonale, mentre un individuo, ermo alsemaoro, si liscia i ba .

    E adesso qui che vivo, cos sostengono gli altri. In una clinica,con tappeti e persone sconosciute. C sempre qualcuno che lavae spolvera.

    Sono accerchiato da gente che gioca a carte, che ciondola peri corridoi, anche di notte. Mangiamo tutti insieme, in una salabianca, a volte c la musica. C chi piange a sentirla e allora la

    levano, ma chi ha pianto continua a piangere, e contagia gli altri.E il pranzo diventa un mosaico di ululati.Signor Martini, non va nella sua stanza? Lei gi l. Venga, la

    accompagno.Sono nella stanza dove dicono dovrei dormire. La donna vestita

    di bianco ha chiuso la porta marrone, senza ar rumore. Vorrei

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    urlarle di non lasciarmi qui, di lasciarmi andare o di uccidermi.Di sofocarmi, in silenzio. Ma sono stanco. Questa riga di luce sulpavimento viene da uori, orse la luna, orse un lampione. Tuttoil resto, in ombra. Ci sono due lettini, separati da un comodino.C una vestaglia rossa sul lettino, vicino alla porta, deve essere ilmio giaciglio, posso sproondarci dentro e afondare la testa sottola coperta beige, no a sentire che mi manca il respiro. Nellaltrolettino c una donna, ha lunghi capelli scarmigliati. La riga di

    luce, li rende dargento.

    Io non so chi sia, questa donna. Sono dritto e teso ai piedi del letto.Guardo la sua testa muoversi. Il bracciale arancione sul comodinodeve essere suo. un gioiello bizzarro, somiglia alla riga di luceche illumina i suoi capelli.

    Si sta muovendo, sento che potrebbe girarsi, sorprendermi.Alza solo la testa, deve arle male il collo in quella posizione.Vorrei dirle di sdraiarsi e dormire, di non aver paura.

    Ecco le sue piccole ciglia, dentro la riga di luce. Ci stiamo

    guardando, lei in camicia da notte, calda di letto, sdraiata. Io,ancora nei miei vestiti, in questa giacca inutile, teso e immobile.Fuori, qualcuno in pantoole, ciondola attraverso i corridoi,

    impegna cos la notte.Io e questa donna, intanto, ci stiamo guardando. Vorrei

    proteggerla, carezzarle le guance e cancellare quello sguardoagghiacciato.

    Ma, dopotutto, non so chi sia questa donna.

    Fuori qualcuno ciondola nei corridoi

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    Daniela Cicchetta

    Roma-Tunisi

    Ci risiamo.Ogni volta me la prendo a cuore e quella che dovrebbe essere

    una semplice missione di lavoro nisce per turbarmi. Il mio collegami sotte per questo, ha detto che oggi mi insegner come are perdistaccarmi.

    Non dare condenza e vedrai che sar di cile entrare nellintimodella situazione, prendi un caf o un cappuccino?, e il suo ruolo dimentore dura giusto il tempo di are uno scontrino alla cassa del bar.

    Laeroporto pieno zeppo, lo sciopero della scorsa settimanaha atto accumulare viaggi di lavoro e di piacere e noi ci ritroviamoa are la gincana tra le valigie e la gente che cammina distratta,cercando con gli occhi il desk di imbarco.

    Il nostro uomo non di cile distinguerlo, anche in mezzoa quella conusione, lunico che continua a guardarsi intornocome per cercare una via di uga e la particolarit che lo rendeimmediatamente visibile sono le colonne umane che lo a ancanoin modo poco amichevole. I due poliziotti in divisa che ce lo stannoper consegnare, come un pacco postale.

    Ogni volta cos, preleviamo le persone e i loro sogni per

    riportarli da dove sono venuti.Il mio collega controlla velocemente i documenti e il breveelenco di inormazioni che riduce la vita di una persona a pocopi di mezzo oglio, esigue righe che ci danno la cognizione dellasua pericolosit; importante saperlo perch noi siamo disarmati enon si pu mettere in crisi la sicurezza di un intero volo.

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    Daniela Cicchetta

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    Poi gli recita quelle quattro parole di rito ricordandogli dicomportarsi bene per evitare almeno le manette, lo a con voceconsumata acendola diventare una litania da giuramento sullaBibbia, il ragazzo annuisce con la testa, capisce bene litaliano.

    Sono cinque anni che accio questo lavoro e di persone ne hoviste cos tante da non ricordarmele quasi pi, ne ho sentite distorie, ne ho asciugate di lacrime e ho combattuto spesso controuna ragione che la situazione che stavo vivendo non mi dimostrava.

    In un mondo in cui tutti scappano da s stessi paradossalerapportarsi con chi, invece, ugge per raggiungere s stesso.Preerisco quando mi capitano i criminali, invece, il pi dellevolte, sono semplicemente persone che lasciano radici e afetti perriuscire a credere in qualcosa o per regalare sicurezza ai loro cari. Ilmio compito riportarli al via, come in un crudele Monopoli dellavita, ma senza la speranza di unaltro lancio di dadi.

    Lo osservo. giovane, ha ventidue anni, cos c scritto suldocumento di trasporto, sostitutivo del passaporto che nonpossiede. Indossa jeans aderenti che lo anno sembrare ancora pimagro e una maglietta celeste che ravviva il suo incarnato scuro, gli

    occhiali da vista gli incorniciano lo sguardo rassegnato e le scarpeda ginnastica sembrano di piombo, tanto ci mette a sollevarle neipassi stanchi.

    Lo guardo mentre consegniamo i documenti di imbarco allosteward che sorride allenato. Sono coetanei, stesso taglio di capellima nullaltro da condividere.

    Saliamo per primi, la hostess lievemente imbarazzata ci aaccomodare ai nostri posti, una la da tre in coda allaereo. Lui lopiazziamo in mezzo e il mio collega si sporge un po per buttareancora un occhio alla ragazza che si avvia ad accogliere gli altripasseggeri.

    Niente male, boonchia, togliendosi la giacca e lasciandointravedere le manette allacciate alla cintura. Il ragazzo lo scruta epoi si volge dalla mia parte ma non dice una parola. Ha gli occhirossi.

    Si apre limbarco e inizia la slata dingresso con la ricerca delnumero della poltrona, lalloggiamento dei bagagli a mano e una

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    mezzoretta di spettacolo gratuito di turisti sorridenti allinizio diuna vacanza.

    Io controllo il cellulare, un messaggio di mia moglie recita:Buon viaggio, ricordati che stasera c la cena del compleanno diAnnarita, bacio. Lo spengo e sospiro, per me laereo diventatocome la metropolitana, oggi sono solo due ore allandata e, allequindici, abbiamo la coincidenza per tornare, il tempo di passarein u cio a consegnare il rapporto e poi sar libero per la serata in

    amiglia.Tutto bene?, chiedo al ragazzo.Non mi risponde e si chiude nelle spalle. Io leggo distrattamente

    la rivista della compagnia, cerco tra le promozioni dei proumi taxree e ne adocchio uno che potrebbe piacere a mia moglie, magarial ritorno glielo prendo.

    Il motore rulla e decolliamo, guardo uori e vedo la pistaallontanarsi, poi planiamo verso il mare e ci stabilizziamo inquota in poco tempo. Il ragazzo non dice una parola n cambiaposizione, sembra paralizzato e non credo che ci dar problemi.Probabilmente lo pensa anche il mio collega perch si rilassa e

    prova ad appisolarsi, oggi stranamente taciturno.I nostri posti, trovandosi in ondo, sono proprio vicini al bagnoe il volo un viavai di persone che si danno il cambio, rimanendoin attesa qualche minuto vicino a noi. Il ragazzo li guarda e loroguardano questo strano terzetto al quale non servono le divise ole manette per denunciare chi siano. Abbassano tutti lo sguardo etirano dritti o ci danno le spalle mentre aspettano.

    Il volo intramezzato da uno snack e una bibita, il ragazzo apreil contenitore ma non tocca cibo, io bevo solo il succo darancia, ilmio collega spazzola tutto e poi mi chiede:

    Se non lo mangi posso prenderlo?

    Annuisco e gli passo il vassoio proprio mentre sorvoliamoPantelleria. Il cielo terso e quella laggi a sinistra dovrebbe essereLampedusa, una lentiggine in mezzo al mare.

    Atterriamo a Tunisi alle undici e quaranta, ovviamentescendiamo per ultimi utilizzando luscita posteriore, il mio collegasorride alla hostess che ci augura un proessionale buon soggiorno

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    Daniela Cicchetta

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    da parte della compagnia e si morde la lingua per non risponderlein modo poco appropriato.

    Il tunnel non c e allora ci ritroviamo sulla pista a camminaretra gli altri, potremmo essere tre amici che vanno in vacanza einvece no, siamo due che non vedono lora di tornare a casa e unoterrorizzato dallidea di arlo.

    Appena entriamo in aeroporto ci vengono incontro dei colleghiin divisa locale, hanno il suo stesso incarnato e laria severa dipinta

    sul viso. Non ci sorridono, ci anno segno di seguirli e ci ritroviamonellu cio aeroportuale della polizia tunisina. Il ragazzo in predaal panico, gli parlano e non risponde, quello dietro la scrivaniabatte il pugno sul tavolo e io mi innervosisco perch non capiscouna parola. Comunque, rettolosamente, ci anno rmare due oglidi consegna e ci liberano dalla custodia prendendolo in carico loro.

    A questo punto sento per la prima volta la voce del ragazzo.Sta singhiozzando e ci urla: Vi prego, non mi lasciate qui! Io hopaura! Non capisco niente di quello che dicono, atemi tornare acasa, dai miei!.

    Laccento romano e la richiesta mi strazia, tutto paradossale.

    Guardo ripetutamente lui e i poliziotti tunisini, poi il mio collega,strattonandomi, mi porta via con decisione e chiude la porta allenostre spalle.

    Quando siamo davanti a un caf, al tavolo di un bardellaeroporto, in attesa del check-in del volo che ci riporter aRoma, mi passa il oglio che lui aveva letto al momento dellaconsegna del ragazzo e mi dice: Questo non te lho atto vedere diproposito prima, ormai ti conosco.

    Bevo quello che c scritto e rileggo continuamente le ultimerighe in un amaro riassunto: il cittadino espulso nato a Roma, doveha studiato no al conseguimento della licenza media. I genitori,

    entrambi tunisini, a causa della perdita di lavoro, si sono ritrovatiprivi anche dei requisiti previsti per il rinnovo del permesso disoggiorno, rimanendo comunque sul territorio nazionale in statodi clandestinit e irreperibilit. Da allora il ragazzo contribuisceal sostentamento della propria amiglia con lavori occasionali epiccoli espedienti.

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    Roma-Tunisi

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    Ripiego il oglio e lo metto in tasca.Ti sei rafreddato?, chiede ironicamente il collega, indicando

    i miei occhi rossi.No, rispondo, andiamo, stanno chiamando il nostro volo!.

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    Federico Fascetti

    Tango

    Corrono, si tirano per la maglietta, sinseguono sulla ghiaia delcortile sollevando sbu di polvere come ra che di mitraglia.Soltanto uno rimasto in disparte, seduto sul penultimo gradinodella rampa. Biondo, magro, lentigginoso, con al polso uncronograo dalle dimensioni talmente sproporzionate, rispetto allacorporatura, che sembra sbilanciarlo e impedirgli i movimenti.Ti sorzi di ricordare a quale nome abbia risposto quando haichiamato lappello, ma non ci riesci. Ricordi solo che, leggendo

    a voce alta un brano del sussidiario, inciampato sulla parolaintercambiabile.Perch non giochi insieme a loro?, gli chiedi, dopo esserti

    avvicinato disegnando un percorso attento a non incrociare leimprevedibili rotte degli altri bambini.

    Perch non mi va, risponde. Punta lo sguardo a terra, sulbastoncino che ha inlato nella essura tra i due lastroni checompongono lo scalino.

    Come non ti va? Sono i tuoi amici.Non sono amici miei. Ti piace la mia astronave?Astronave?

    Arriva nello spazio.E quando torna indietro?Non torna pi.Sei tu il pilota?S.Come ti chiami?

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    Federico Fascetti

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    Andrea.Io sono il maestro Luca.Lo so. Ti sei presentato in classe. Sei il maestro Luca Briganti.Veramente sarebbe Brigatti, ma non ti preoccupare. Si sbagliano

    tutti. Insomma, Andrea, tu non vuoi tornare sulla Terra.No.Houston, abbiamo un problema, dici, esibendo la tua migliore

    interpretazione di una voce robotica. Il nostro pilota Andrea non

    ha voglia di rientrare alla base.Andrea scuote il polso per sbloccare il cronograo incagliatoe so a aria dal naso. Non te la senti di biasimarlo. Al suo posto,neanche tu sapresti cosa artene, della compagnia di un tipo comete di un tipo che, mentre spera nella chiamata di una delle scuolepresso cui ha inoltrato il curriculum, si mantiene riordinandogli scafali di un discount e trae soddisazione e speranza per iluturo dai complimenti di chi gli ripete che dimostra meno deisuoi trentanni. Allet di Andrea si ha un uto speciale, per certecose.

    Non ti sono simpatici i tuoi compagni?

    Alcuni s.E gli altri?Gli altri no.Divisi in due squadre, i ragazzini danno la caccia a un Tango

    scovato in chiss quale anratto della siepe. Fammi qualcheesempio.

    Dei simpatici o degli antipatici?Quelli che preerisci.Lui simpatico, dice, indicando un punto indenito nel olto

    del gruppo. Teste, braccia, mani e gambe, laggi, si mescolanocome in un quadro cubista. E lui, per di meno.

    Basta?Basta.Beh, non sono mica tanti.In quel momento, un ragazzino ti picchietta sul braccio con

    le dita. Occhi chiari, denti di porcellana. Fabrizio. Tabellina del7 a memoria, scrittura da manuale di calligraa, un ulmine nella

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    Tango

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    coniugazione dei verbi riessivi. Giochi con noi, maestro? Cimanca il numero dieci.

    Non posso, dici, mostrando i mocassini. Ma perch nonlo chiedi ad Andrea? Immagino che sarebbe contento, se gliproponeste di partecipare. Vero, Andrea, che saresti contento?

    Fabrizio ssa Andrea come se osse lo strambo risultato di unesperimento con le radiazioni. Andrea non gioca mai con noi, epoi non maicontento.

    Andrea sla il bastoncino dalla essura, lo a volteggiare amezzaria. Vai tu, ti dice.Cosa signica che non sei maicontento?Signica che non sorride, risponde Fabrizio al posto di

    Andrea. Non sorride, non scherza e ha sempre la accia appesa.Tre ragazzini, intanto, si sono avvicinati e stanno ascoltando la

    conversazione.Ha la accia appesa e pure da scemo, insiste Fabrizio. Faccia

    da scemo!Ehi! Piantala immediatamente, dici. questo il modo di

    rivolgersi a un compagno?

    Fabrizio ridacchia: ti domandi quanti successi sportivi abbia gisottolineato, con quella smora; quanti giocattoli costosi.Lascia perdere, dice Andrea. Il suo sguardo supera il bastoncino,

    supera la siepe e la recinzione del cortile, supera il pino che disegnala sua ombra calligraca sulla ghiaia. Ti sta ignorando.Anzi, viignora tutti: te, Fabrizio, i ragazzini che si sono allineati alle spalledel leader.

    Credi di intuire il motivo del suo atteggiamento: vi ignoraperch, per lui, voi costituite le diverse maniestazioni di un unicoproblema. Da un lato, la sofocante arroganza dei migliori, deisicuri di s, dei vincenti; dallaltro, linettitudine di chi, chiamato

    a garantire lequilibrio, alla prova dei atti si scopre soggiogatoproprio dalle orze alle quali dovrebbe opporsi. In n dei conti, tusei lesempio vivente di questa legge: stato merito delle pronterisposte di Fabrizio e di quelli come lui, se hai deciso di premiaretutta la classe con questa sortita uori orario in cortile.

    Di, Fabri, andiamo, dice un ragazzino dopo un po.

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    Federico Fascetti

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    S, andiamo. Tanto quello uno scemo, incalza un altro.Sono due scemi, conclude un terzo. Quindi si spostano in

    sincrono, con una manovra da plotone ben addestrato.Andrea sbufa. Il cronograo proietta riessi dargento sul

    gradino. Lastronave intreccia complicati ghirigori nella calura. il 30 maggio, venerd. Le previsioni promettono tempo

    sereno per il ne settimana. In lontananza si odono le sirene diunambulanza; un tappeto battuto; lannuncio monocorde di un

    arrotino.Aspettate, dici a un tratto.Il gruppo si blocca. Fabrizio sputa nella polvere un globo di

    saliva saliva rosa, tinta dalla gomma americana che mastica dastamattina e che si riutato di gettare nel cestino nonostante ituoi ripetuti inviti.

    Aspettate. Gioco io.Andrea ti guarda.Vuoi vedere la mia astronave?, gli sussurri nellorecchio.Ce lhai pure tu, unastronave?Eccome se ce lho. Sta a guardare come decolla.

    Raggiungi i ragazzini.Bianchi di qua, colorati di l, stabilisce Fabrizio, che indossauna maglietta verde osorescente.

    Dietro di te, quattro bianchi si dispongono con la accia dichi consapevole di aver appena pescato la carta sbagliata, ma costretto a scoprire il punto. Andrea ti osserva, e tu capisci ditrovarti in una di quelle situazioni della vita in cui lerrore non una possibilit contemplata. Cos, quando Fabrizio lancia in aria ilpallone e i componenti di entrambe le squadre scattano in avanti,tu ai valere le tue gambe, la tua statura e il tuo peso e raggiungilobiettivo per primo. Subito gli avversari ti piovono addosso. Porti

    la palla sul destro, il piede buono, per proteggerla dagli assalti.Equipaggio pronto al decollo!, gridi, piroettando su te stessoe mandando a vuoto una scivolata assassina di Fabrizio. Carichi ilcalcio. Tre, due, uno

    E poi, c questo istante peretto e lunghissimo, questo innitoistante in cui tutto le voci, il caldo, la ghiaia, il mondo intero

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    si cristallizza in una bolla sospesa. Questo innito istante in cuinon esistono pi gli incarichi in istituti ogni volta diferenti, gliscatoloni da impilare, gli amici che si realizzano nel lavoro, sisposano e gliano, le donne che ti hanno scaricato a causa della tuacronica incapacit di garantire sicurezze.

    Tutto questo non esiste pi. Adesso esistete soltanto tu, Andreae la tua astronave.

    zero!

    Quando la vita riprende, quando la bolla esplode, attorno a tec silenzio.La polvere si posa, i sassolini rotolano lontano.Tiepide gocce di sudore ti colano lungo la schiena, i piedi

    prudono nei calzini di lo.E il Tango una sagoma che rimbalza sulle auto parcheggiate,

    un lampo bianco che si intravede a sprazzi tra le oglie della siepe.Ti volti verso Andrea e sollevi il pollice: missione compiuta,

    quello che vorresti dirgli. Lastronave nello spazio. Vedremo setorner, limportante che sia partita.

    Andrea, per, non ricambia il tuo gesto. Stringe il bastoncino

    e non reagisce. Fatica a controllare il tremolio del labbro ineriore.A anco a lui, il preside gli tiene la mano destra sulla spalla e, conla sinistra, ti a segno di avvicinarti.

    Tango

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    Claude Ferretti

    Le sopracciglia di nonna Lina

    Abitavamo in un casolare con le porte sempre aperte, i pulcinisempre in giro e delle nestre magiche da cui non entrava il sole.

    Cerano giorni in cui mia mamma si disperava e sognava dimpugnareunenorme sega per are delle piroette e tagliare in un istante tutti glialberi che circondavano la casa, diceva che ossero loro a nascondercidalla luce.

    Solo io sapevo la verit e lavevo capita un gioved mattina parlandocon nonna Lina.

    Mia nonna era sempre in casa, o perlomeno da quando io ero nato.Aveva tutti i capelli bianchi e solo le sue sopracciglia erano nere.

    L dove abitavamo era la mia sola amica, lei e i pulcini.

    Ogni mattina io avevo il compito di uscire e cercare le uova vicinocasa. Pap non aveva voluto costruire un recinto per le galline equeste vivevano libere e lasciavano uova ovunque.

    Io dovevo trovarle e nonna mi aiutava da lontano senzaoltrepassare la soglia di casa.

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    Claude Ferretti

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    Un gioved mattina, prima diniziare la ricerca delle uova, laguardai con seriet e le chiesi: Nonna, perch le tue sopraccigliasono nere?.

    Lei rise, toss e ece anche uno starnuto, poi mi guard e disse chequando le sue sopracciglia ossero diventate bianche, lei sarebbedovuta partire lontano, senza di noi.

    Fu in quel momento che capii tutto!Un incantesimo proteggeva la nostra casa e se mia nonna si

    osse esposta alla luce si sarebbe scolorita tutta.

    Dal momento che ero lunico a conoscere il suo segreto decisi cheavrei atto di tutto per proteggerla.

    Ogni mattina controllavo le sue sopracciglia e senza dire nullaa nessuno mi accertavo che non ci ossero raggi di luce in giro.Dopo pranzo, quando lei si riposava, correvo in ogni stanza percontrollare che tutto osse al sicuro e poi uscivo nellaia a giocarecon i pulcini.

    Un giorno mia madre mi mand in so tta per prendere deigomitoli di lana e appena aprii la porta vidi che un enorme raggiodi luce attraversava il buio, entrando dalla nestra sul tetto.

    Chiusi immediatamente la porta e corsi gi per vedere se mianonna osse partita.

    Le sopracciglia erano ancora nere e decisi di non dirle nulla pernon arla spaventare.

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    Le sopracciglia di nonna Lina

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    Tornai in so tta, mi avvicinai alla nestra e mi ermai a pochipassi dalla luce.

    Pi la ssavo e pi mi pareva che si stesse impossessandodellintera stanza.

    Mi guardai intorno e prima che osse troppo tardi corsi versoun vecchio tavolo di legno, quello che utilizzavamo destate perare la salsa di pomodoro e con grande sorzo lo trascinai n sottola nestra.

    Tutto si rivel inutile, il tavolo era troppo basso e la luce entravaancora.

    Cercai qualcosaltro e posai sul tavolo tanti pacchi.Costruii una torre che arrivasse no al vetro e poi presi un

    rotolo di carta con le stelle, di quelli che usavamo a Natale per ilpresepe e lo stesi su tutta la nestra.

    Poco dopo ero circondato dal buio, il raggio era stato scontto!Con immensa soddisazione presi i gomitoli di lana e corsi gi

    da mia madre.

    Quella stessa sera mio padre disse che nonna non sarebbe venutaa tavola e che sarebbe rimasta a letto. Io dissi che volevo portarlela cena e nonostante le obiezioni corsi nella sua stanza con uno deisuoi pezzi di pane secco.

    Era nel letto, sveglia.Non resistetti e le raccontai tutto, le dissi che avevo vinto e

    che presto sarebbe stata meglio. La rassicurai sul colore delle sue

    sopracciglia e le pregai di non andare via.Lei mi sorrise dando un morso al pezzo di pane. Mi disse di nonpreoccuparmi, era solo molto stanca. Mi elogi per il mio coraggioe mi disse che con un custode come me non correva pericoli.

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    Prima di uscire dalla stanza mi voltai e ssando i bordi bianchidel suo letto le chiesi dove sarebbe andata quando lavrebberoportata via. Lei mi sorrise ancora e mi disse che sarebbe diventataun angelo.

    Io le chiesi cosa ossero gli angeli.Lei mi disse che avevano le ali di piume dorate.

    Protessi le sue sopracciglia a lungo e quando, anni dopo, mianonna ci lasci, corsi a contare i pulcini nellaia.

    Ce nera uno in pi.

    Claude Ferretti

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    Valeria Sirabella

    Il violoncellista

    Uno zaino mi urta il braccio, una straniera. Sorride, sorry,poi sparisce tra la gente. Spalle avvolte nei k-way, bambini atracolla e padri stanchi. Ha atto acqua e potrebbe arne ancora, un novembre da starsene a casa ma oggi esta e come si a.Donne a coppie e gruppi di amici discutono seri ai banconi deibar. Caf con panna e creme al cappuccino, orzi in tazza grande,bicchieri dacqua. Traccio linee precise lungo i vicoli, i miei piedicome zampette veloci. Dribblo passanti e motorini parcheggiati,

    mi perdo, voci a caso mi entrano in testa.Lo spazio angusto della strada esplode in piazza, lumanitvi riversata dentro. Sulle teste piovono oggetti luminosi chevenditori ambulanti anno roteare per aria. Un giapponeseosserva serio linsegna di un bar. Il pomeriggio si consuma lento,lo lascio are. Mi siedo sul muretto e sento nelle gambe il piaceredel riposo. Una donna mi ssa le scarpe mentre si massaggia ilpolpaccio. Mi alzo.

    Cammino, rallento, perdo il ritmo e non so dove vado. Mi attiraun suono. Mi accio portare dalle note basse, salgo sulle vibrazionipenetranti. Muovo pochi passi, intravedo tra le teste una punta

    di ottone intarsiata. Mi accio strada e arrivo in prima la. unvioloncello. Un uomo lo suona.Ha unaria da Est Europa, riccioli biondi appiccicati alla ronte.

    Pare una gurina impolverata ritagliata da una vecchia oto pescatain so tta, unorchestra grandiosa in un teatro sarzoso di qualchetempo a. Il rac gli ricopre le spalle, stropicciato sotto le gambe

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    Valeria Sirabella

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    pende dallo sgabello da una parte. tuttuno con lui, come ilcostume di una maschera senza tempo.

    Suona Bach, un pezzo gi sentito in qualche lm. Un uomodi passaggio si erma a piedi uniti, lo ssa con la bocca aperta, ilbambino che tiene per mano pare chiedersi cosa accada. Pi in lun adolescente si a strada tra la gente, si avvicina il pi possibile. a un passo da lui, lo ascolta stupito.

    Luomo sembra solo. Ho la colpevole sensazione di spiarlo in

    un momento intimo, pare ar lamore col suo violoncello. Mi sentoa disagio, guardo altrove. Il Pantheon osserva la scena dallalto,enorme pietra di duemila anni a. Uninsegna luminosa richiamasu un paio di jeans in vetrina. Una bambina con la treccia biondasi avvicina alluomo, a cadere una moneta nella custodia dellostrumento poi radiosa torna dalla mamma, immobile nella suapostazione. Il padre qualche passo pi avanti, impalato davanti alvioloncello. Le corde stridono sotto larchetto. Una ad una, le notestravolgono il volto a chi suona, anno male a chi ascolta.

    Ferite nello stomaco inerte alle nostre vite in bilico suisanpietrini. Lo spartito ondeggia lievemente al vento. Il Pantheon

    sta immobile lass. Pi gi due giovani si ermano, osservano lascena di sbieco, sorridono met per uno. Il cerchio di gente ha unrespiro proprio, autonomo rispetto alla piazza conusa. Si stringeleggermente, vuole intrappolare il violoncellista per sempre, poi siriallarga, come per rispetto. Tanto lui sempre lontano, incorporeo.Un ultimo movimento e larchetto si erma, un momento dolorosocome uscire dalle coperte al mattino. Qualche volto bloccato siscioglie in sorriso, si lascia andare a una parola, alcune gambe chesi allontanano. Una moneta piove nella custodia.

    Luomo sorride, sembra un altro. Dice grazie, a un inchino colbusto poi subito riprende a suonare, un pezzo di cile, soltanto per

    s. gi dentro al suo mondo. Qualcuno va via allimprovviso, igenitori so ano il naso ai bambini, li richiamano allordine primadi inlarsi tra la olla. Un oggetto luminoso mi sora la manica,sento voci straniere alla ontana. Il cielo si atto pi scuro, lepersone si muovono convulse. Luci nette di lampioni orlano ipalazzi. Mi sposto a caso per un po, poi mi ermo. Mi chiedo dove

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    Il violoncellista

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    vado, e perch. Mio padre ha chiesto di vedermi, gli ho detto cheavevo da are. Sar passato un mese dallultima volta. Decido dicomprare le paste alle mandorle che piacciono a lui.

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    Orso Jacopo Tosco

    La farcitura

    Crolla la pioggia e il vento miagola un suono di topi e erro.Tutti i grigi pi codardi sono schierati come scudi di polizia a

    vietare il blu del cielo.Io invece ho otto anni, mi chiamo Matilde, e mia madre un

    pandoro.Da un anno e mezzo viviamo a Londra, che per chi non lo

    sapesse la abbrica di pioggia pi grande del mondo. qui che tutta la pioggia viene prodotta e sperimentata e ce ne

    sono di molti tipi.La pioggia a binario di treno, dritta, scema, che si lascia acilmentesconggere dagli ombrelli e orse le piace pure.

    La pioggia a imitazione di nuvola, leggera come zucchero, tuttamossa dal vento, sbadata e sbandante, sembra poco o niente ma invincibile.

    Poi c la pioggia orizzontale che serve a ricordare a tutti ipasseggiatori di Londra che oltre i palazzi e le strade e i pali dellaluce c comunque un orizzonte, e che lorizzonte atto a ormadi pioggia orizzontale ma bagna meno perch sempre lontano.

    Quando un certo tipo di pioggia ha avuto successo a Londra

    allora la si manda in giro per il mondo.Per capire se la pioggia di quel certo giorno piaciuta, bastasommare il numero di volte in cui la gente alza la accia al cielo edice uck, che una parola inventata a questo proposito.

    Le molte telecamere aggrappate agli angoli delle case servonoappunto a calcolare il numero dei uck, e non a caso si chiamano

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    Orso Jacopo Tosco

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    Cctv, cio camere che contano tutte le volte. Mia madre e i suoiamici le maledicono, perch loro sono pandori, e i pandori odianole otograe. Secondo loro dietro le otograe c sempre la polizia,e la polizia, dalle inormazioni che ho ricevuto in questi ultimiotto anni, lavora principalmente per impedire ai pandori come miamadre di ottenere la arcitura.

    La casa in cui io e i pandori viviamo una vecchia scuola andataa male.

    Chiunque labbia costruita ha dimenticato di metterci ilriscaldamento, e secondo me per questo che come scuola nitamale.

    Mia madre dice che ci viviamo perch cos non dobbiamopagare la tto.

    Che poi non del tutto vero. Perch per colpa dellaria bagnatae redda che sputano le nestre dobbiamo sempre aumentare ilnumero dei maglioni di lana e dei t caldi per scaldarci le mani,quindi indirettamente la tto lo acciamo pagare alle pecore a cuirubano la lana e alle piante del t, che se ho capito bene abitanoparti di mondo lontane e dotate di riscaldamento di serie.

    Ho provato a spiegarlo a mia madre, ma lei ha atto ungesto duro con la mano, da karateka, come per dire: Io i tuoiragionamenti li taglio con il polso. E allora ho inlato la testa nelmaglione, perch quella la diesa delle tartarughe e le tartarughesono sempre vecchie e intelligenti e io mi do.

    Bisogna avere pazienza.Specialmente con mia mamma e i suoi amici.Io, ad esempio, mi diverto a guardare il pavimento. Perch

    atto di una moquette dura e appiccicaticcia che serve a imitare lapelle degli eleanti, visto che gli eleanti non si traseriscono mai epoi mai a Londra, e allora in qualche modo questa moquette serve

    a arci sentire meno la loro mancanza.Ma questo genere di passatempi vale per me, non per miamamma e per gli altri.

    Perch io sono nata arcita di mio, mentre loro sono vuoti.Come i pandori tradizionali.

    E loro odiano essere dei pandori tradizionali.

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    La loro preoccupazione principale trovare la arcitura.Quando la trovano sono tutti pi contenti e non vedono lora

    di usarla.A me non piace molto guardarli mentre si arciscono, perch

    usano delle siringhe atte apposta, sono come quelle dei panettierima pi sottili e a punta, e spesso la arcitura talmente di cileda inlare che esce del sangue dal braccio, o orse la marmellatastessa con cui si arciscono che esce uori, in ogni caso mi piace

    poco.Mia mamma lo sa, e inatti quando il momento di arcirsi midice di andare a are i compiti. Questa la dimostrazione che laelicit, quando vera, occupa tanto spazio e ruba memoria. Perchmia madre sa che io non vado a scuola e quindi non ho compitida are, per questo il suo modo di celebrare la contentezza edevitarmi un dispiacere.

    La storia della arcitura un segreto che mia madre e i suoiamici non vogliono ar sapere a nessuno, la gente inatti dispone digrandi riserve di razzismo a questo proposito, come se osse colpaloro essere dei pandori tradizionali in un mondo di pandori arciti.

    Io penso che sia una cosa ingiusta e che bisognerebbe guerreggiareper zittire queste bocche piene di razzismo, ma mia mamma nonvuole, e mi ha atto promettere di non parlarne mai.

    Ad esempio in Italia cera lassistente sociale che me lo chiedeva,che mi chiedeva se mia madre a delle cose strane con le siringhe.

    Io rispondevo sempre di no.Anche perch io so delle cose a riguardo dellassistente sociale.So che il suo lavoro lo stesso lavoro del termometro.Solo che il termometro a le prove alla ebbre, per vedere se

    c o se n andata, mentre lassistente sociale a le prove allamoretra me e mia madre, per capire se orte abbastanza o ci sono dei

    problemi.Quando ci sono dei problemi mi mettono a dormire con altribambini in posti tristi pieni di suore con un solo marito che permotivi loro chiamano padre. Se invece lamore tra me e mia madreva a gone vele allora io vivo con lei e i suoi amici pandori.

    Io preerisco quando lamore unziona.

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    Ma lassistente sociale ha una sua classica di mamme, unaclassica come quella delle canzoni, sempre in movimento, e luila aggiorna. lui che decide se una mamma quella settimana andata bene o meno bene, e se i gli devono dormire altrove,oppure se possono vivere tutti assieme.

    Io la trovo una cosa poco piacevole da are e mi dispiaccio perlui.

    Mia madre invece lo chiama liname o linamone, e per

    sottolineare il suo poco amore per lui bestemmia la Madonna, cheper mia madre un modo di scrivere il punto esclamativo con lavoce.

    E mia mamma una che il punto esclamativo con la voce lousa spesso.

    Ma non quando si arcita. No, quando arcita mia mammaresta beata come una che sta acendo un bel sogno. Nemmeno isuoi amici parlano dopo la arcitura. Al limite anno dei versi dibava, o come una piccola tosse.

    Quando sento che il momento con le siringhe nito ed arrivato il silenzio, io allora vado a vedere i pandori.

    Loro non mi vedono perch di solito hanno gli occhi chiusi,o anche se mi vedono mi chiamano con nomi sbagliati e quindi come se non mi vedessero.

    Mi piace guardarli.Mi piace sapere che in quei momenti loro sognano di essere

    dei pandori per sempre arciti e sono elici. Sono elici perch neiloro sogni la polizia non a le oto, le vecchie scuole hanno tutte ilriscaldamento e la arcitura acile da trovare e costa meno cara,non bisogna nascondersi per arcirsi e non c bisogno di classicheper le mamme, e orse non c nemmeno bisogno di arcirsi, perchqualsiasi pandoro va bene, tradizionale e non.

    Secondo me in quei sogni ci sono anche tutti gli eleanti chevivono sotto le moquette sporche delle nostre case redde, e ci sonoanche le tartarughe che si complimentano con me per come inlola testa dentro il maglione, quando mia madre ritorna indietro dalsogno arrabbiata, perch si rende conto che la arcitura bugiarda,e come tutte le cose bugiarde nisce in retta, e secondo me nei

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    sogni dei pandori le tartarughe pronunciano altri segreti chepotrebbero essermi utili per suggire al malumore di mia madre,ma io non riesco a sentire le loro voci, allora resto con la acciadentro il maglione, e piango per la rabbia di mia madre, per larabbia del pandoro svuotato, e so che non colpa sua se mi dicedelle cose brutte, so che lamore come una grata, una grata chea passare la pioggia e blocca le cose dimenticate sui marciapiedi,ma alle volte la spazzatura magra come la pioggia e allora riesce

    a passare e va a inquinare lacqua, ed un peccato, ma la grata ciha provato, come ci prova mia madre, e questo il punto, secondome: la dolcezza del tentativo.

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    Vorrei chiedere a mia madre a chi sta sorridendo. Al campo non ciera permesso chiedere nulla. Non era concesso dai grandi e, davantialla nostra espropriazione, io e mia madre eravamo entrambe pipiccole. Volevamo convincerci che, oltre i vagoni e le urla, saremmovissute senza il pegno di un risveglio di sirene. Non appartenevamoalla ricchezza, mio padre era morto prima che lammanco per spesedi malattia acesse del mio diritto allo studio un argomento dicartapesta. Eravamo sole, con uno scudo calpestato e diviso per due.

    Se ossi rimasta nella nostra casa, le avrei suonato il violino prima diaddormentarci.Sapevo di avere dieci anni. Ero nata allalba, ma le ore non

    contavano in mezzo alle altre voci tutte accalcate. Di certo, nullaavrebbe inranto il nostro segreto dal giorno dellarrivo allInerno:strani esseri alati attraversavano le pareti imbiancandole di luce. Igradini ricordavano la scala che precedeva la mia vecchia stanza,avevo smarrito gli occhi nel passato e vedevo la mia so ttaovunque. Non era dellisolamento che avevo paura, ma della luceirraggiata n dove si riugiava il tesoro. Per scovarlo, avrei dovutoarmi largo tra quegli sconosciuti muti e trasparenti. Sagome che

    non avevano un luz, un ossicino perenne come tutti noi, ma aliintrecciate in una ruota inarrestabile.Allinizio li detestai, non bastava il carro di Ezechiele a

    tormentarci? Mia madre conosceva a memoria i versetti del proetae anchio avevo imparato a gurarmi quegli esseri secondo la suarivelazione. Fu lei a mostrarmi i nuovi arrivati, diceva che non

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    dovevo intendere per orza la parola di Ezechiele perch l, nelcampo, qualunque apparizione o visione celeste avrebbe placatolorrore di una vita andata persa.

    Arrivarono pi in retta dei dodici Khayyot, li chiamammo idiscendenti del proeta. Non eci in tempo a notarli, che subitosalirono con leleganza di una schiera di principi e svanirono oltrela porta, sempre aperta al reddo. Se ne poteva cogliere da lontanola marcia ammirando la regolarit di un esercito che batteva il

    tempo. Dovevo percorrere anchio quella scala prima o poi, dicevamia madre, ma senza voltarmi indietro. Dovevo uggire ngendoche osse un afronto eroico. Non mi restava che attendere per nonintralciare la processione e non essere intralciata.

    Tentai di misurare i loro passi senza peso, mentre si accordavanoallascesa con una trovata armonica di requenze e scatti. Pensai allamia gonna sparita chiss dove, ora mi copriva ununiorme ruvidache odiavo. Con la gonna avrei potuto distinguermi, almeno, lavevoindossata a Pesach. Ma non vidi altro che bianco in quella sequenzaradiosa e tremai per un impulso irragionevole. Ero gracile e respiravomale. Nel rattempo, mia madre si port avanti, io, invece, perseverai

    nellindecisione; mi acevano male i gomiti nascosta comero enessuno si sarebbe accorto di me, se non avessi pianto.I passeggeri alati diventarono lossessione sovrapposta ai volti delle

    altre gemelle del campo. Erano sempre pi numerosi, nonostantela salita sembrasse rallentare come in attesa di qualcuno. Non avreisaputo scegliere un nome per loro, e non sopportavo lidea del biancoche riassumeva tutte le gradazioni. Bramavo piuttosto una diferenza:i colori signicavano una promessa, un conne cui aggrapparmi,mentre il corpo reclamava acqua e una posizione eretta.

    Venivamo da notti insonni a battere i denti per la ebbree il gelo, mia madre aveva ssato lo sguardo oltre il campo

    ricordandomi che avremmo dovuto vincere separatamente perritrovarci. Conobbi in retta un vocabolo prima ignorato: mirino.Dopo essersi tolta luniorme, si mise al centro dei uochi e igrandi la colpirono srenati. Mi tappai gli orecchi, i discendentisospesero il cammino. Se ne and cantando e la sua voce non smisedi are eco nella mia testa e nel mio stomaco vuoto: Annullati

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    i voti, glimpegni, le consacrazioni, le scomuniche, i giuramenti,le obbligazioni, invochiamo remissione, perdono, espiazione pertutti i nostri peccati. Conorme a quanto scritto: sar perdonato atutta la congregazione dei gli dIsraele, e al orestiero che dimorain mezzo a loro perch tutto il popolo commise la cosa per errore.Scelse la versione di Bruch, u per lui che iniziai a suonare il violino.

    Una gemella mi prese a calci per armi uscire da uno dei loculi.Finsi di essere sorda, muta e subii in attesa di vedere di nuovo i

    passeggeri alati. Il loro cono illuminato percorreva la scala lungola parete livida di lamenti e, solo dopo alcune ore, ui in gradodi riconoscere mia madre quasi a met della la ordinata. Era lavittoria suprema, il ricongiungimento con leternit. Sapevo cheogni azione comportava uno sorzo, ma volevo essere salvata etornare al mio violino, emettere il suono per cui mi ero esercitata.Forse, ritrovarsi consisteva anche in questo: osservare dallalto levecchie abitudini e lasciarle andare, senza piegare il labbro comeprima dei singhiozzi.

    Provai a muovere la spalla sinistra su cui per ore avevo riversatotutto il peso e capii che, per noi, il tesoro coincideva con un

    miracolo: salvarci entrambe con un atto eroico o morire gi salve. Inuovi Khayyotli avevamo orgiati in nome di una resistenza senzapretese verosimili. Quella scalinata era lunico luogo in cui nessunoriusciva a produrre rumore. Sarei dovuta correre uori, riutarmi disoccombere e sterminare la mia indolenza. Mia madre laveva attoe adesso sorrideva.

    La ssai e distinsi le nostre et prima del campo: io con la miagonna chiara, lei in un vestito blu cobalto con la spilla davorio dipap. Cercai di ripulire quel ritratto dalla polvere che mi annebbiavagli occhi e gra ava la pelle. Ricordai anche il giorno in cui i grandici avevano prelevate dal quartiere e rese olla tra gli insulti: chi si era

    salvato era stato preavvertito, chi aveva osato uggire, condannato.Mio padre u lo spettatore assente alla congiura, la malattia gliaveva evitato lInerno.

    Una luce gialla prov ad accecarmi, distinto afondai il visonel terreno appestato. Qualcuno mi sollev brutalmente orseper rompermi la testa, ero sempre pi rigida, le mani e i polsi

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    imbalsamati dal terrore. Non capii chi mi stesse scuotendo, orseuno dei discendenti. Tutto u sgomberato nel giro di qualche gridodi liberazione, si era sparsa la voce che i grandi erano nalmentelontani. Il bianco si spense e, una volta allo scoperto, il sacriciodi mia madre continu a battermi nelle tempie. Fui salva, melo ripeterono coprendomi e spingendomi avanti. Ma io preeriichiudere gli occhi e ammirare il tesoro nel suo vestito blu cobaltoindossato a Pesach.