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M. Fasolio, Trebisonda
Trebisonda dalla separazione al divorzio.
Politica e potere ai confini di Bisanzio nel basso medioevo
di Marco Fasolio
Introduzione
Nel contesto italiano, se escludiamo gli addetti ai lavori, la 'fortuna' di Trebisonda
è quasi esclusivamente dovuta alla locuzione “perdere la trebisonda”, ossia
smarrire l'orientamento e, lato sensu, perdere il controllo di sé. Non è affatto
chiaro quale ne sia l'origine, ovvero se si tratti di una semplice sostituzione
all'interno dell'analoga espressione “perdere la tramontana”, o piuttosto
nasconda un riferimento al peso che la città pontica ebbe nel basso medioevo per
la navigazione commerciale di Genova e Venezia nel Mar Nero1. Qualora
scegliessimo la prima delle soluzioni proposte, si tratterebbe presumibilmente di
una semplice confusione per assonanza fra 'tramontana' e 'trebisonda', forse con
qualche tenue legame di natura 'marinara', dal momento che entrambi i termini
afferiscono in qualche modo al campo semantico della navigazione2. Se, invece,
prendessimo in considerazione la seconda ipotesi e approfondissimo le ragioni
per le quali proprio Trebisonda è giunta a rappresentare in italiano l'emblema del
1 Una terza ipotesi potrebbe ricondurre al fatto che Trebisonda fu l'ultima città controllata da
principi di tradizione bizantina a essere catturata dai Turchi (1461). Sebbene si tratti di una
spiegazione del tutto plausibile, risulta meno convincente rispetto alle precedenti. Un etimo del
genere giustificherebbe piuttosto un significato quale 'perdere ogni speranza', privo dei connotati
in qualche misura 'marinareschi' e legati al concetto di orientamento che caratterizzano il modo
di dire corrente. Sul modo di dire v. in breve G. Pittano, Frase fatta capo ha, Zanichelli, Bologna
1992, p. 228; Trebisonda, in Vocabolario Treccani on-line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana
(http://www.treccani.it/vocabolario/trebisonda, consultato il 30/12/2018). 2 In quanto si tratta rispettivamente di un vento che soffia da Nord e, come accennato, di una città
portuale.
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punto di riferimento nautico-geografico tanto da essere traslata in una frase
idiomatica, ci accorgeremmo di quanto, seppur inconsapevolmente, 'perdendo la
trebisonda', i locutori evochino dinamiche politiche, sociali ed economiche di
portata plurisecolare.
La presunta etimologia storica rimanda a una fase ben precisa della storia
di Trebisonda, vale a dire al periodo che inizia all'incirca nella seconda metà del
XIII secolo e si conclude con la sua caduta in mano ai Turchi ottomani nel 1461.
A partire dell'aprile del 1204, grosso modo in concomitanza con la conquista di
Costantinopoli da parte dei cavalieri della quarta crociata, la città e il suo distretto
si erano sganciati dalla sovranità bizantina per opera dei fratelli Alessio e Davide
Comneni – nipoti del deposto imperatore d'Oriente Andronico I Comneno (1182-
1185) – e dei loro alleati georgiani. Fallito il tentativo di Davide di riunire sotto il
suo dominio i territori asiatici della diaspora bizantina, Alessio e i suoi successori
avevano ripiegato sulla costruzione di un principato regionale che, nonostante le
ridotte dimensioni e la limitatezza delle risorse a disposizione, avrebbe
conservato la propria indipendenza sino alle soglie dell'evo moderno3.
In seguito alla restaurazione imperiale di Michele VIII Paleologo (1259-
1282) a Costantinopoli nel 1261, i Genovesi4 ebbero libero accesso al Bosforo e,
contestualmente alla costruzione del loro impero coloniale nel Mar Nero a partire
dalla seconda metà degli anni Settanta del XIII secolo, Trebisonda assunse un
ruolo fondamentale nelle transazioni commerciali della città ligure con l'Oriente5.
3 Tra la cospicua letteratura sulla fondazione dell'Impero di Trebisonda si v. M. Fasolio, “Una
comparazione possibile? La crisi di Bisanzio e lo sviluppo dei principati separatisti di Trebisonda
e d'Epiro”, in A. Luongo, M. Paperini (a cura di), Medioevo in Formazione. Studi storici e
multidisciplinarità, Debatte, Livorno 2015 (Atti del seminario, Vercelli 9-12 ottobre 2014), pp. 210-
221, spec. 212 sg.; A.A. Vasiliev, The Foundation of the Empire of Trebizond (1204-1222), in
«Speculum», XI, 1936, pp. 3-37; A.G.K. Savvides, Ιστορία της αυτοκρατορίας των μεγάλων
Κομνηνών της Τραπεζούντας (1204-1461), Αδελφών Κυριακίδη, Θεσσαλονίκη 2009, pp. 29 sgg. 4 Che pochi mesi prima, a Ninfeo, avevano stipulato con Michele VIII un trattato di alleanza in
funzione anti-veneziana, che prevedeva anche cospicui privilegi commerciali per la metropoli
ligure. Su queste vicende v. D.M. Nicol, The last centuries of Byzantium 1261-1453, Cambridge
University press, Cambridge 1992, pp. 33 sgg. Sulle relazioni tra Bisanzio e Genova v. S. Origone,
Bisanzio e Genova, ECIG, Genova 1992. 5 Genova non avrebbe sfruttato immediatamente l'apertura degli empori pontici, dato che la sua
posizione dominante nei traffici commerciali e quale potenza coloniale si sarebbe sviluppata
pienamente solo dagli anni Ottanta del XIII secolo in avanti. Riguardo a ciò si v. S.P. Karpov,
L'Impero di Trebisonda, Venezia, Genova e Roma, 1204–1461: rapporti politici, diplomatici e commerciali,
Il Veltro Editrice, Roma 1986, pp. 141 sgg.; M. Balard, La Romanie génoise (XIIe-début du XVe siècle),
2 voll., Società Ligure di Storia Patria, Genova 1978 (Atti della Società Ligure di Storia Patria,
Nuova Serie, XVIII/1-2), vol. I, pp. 45 sgg.; E. Basso, Identità nobiliare in una città di mercanti: i Guerci
e i Maloceffi nella Genova dei secoli XII-XIII, in «Bullettino dell'Istituto storico italiano per il medio
evo», CXVI, 2014, pp. 131-170; A. Musarra, Benedetto Zaccaria e la caduta di Tripoli (1289): la difesa
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La metropoli pontica costituiva, infatti, l'unico approdo sicuro in Anatolia
settentrionale, giacché il resto del litorale era infestato dai pirati turchi, e nel
territorio controllato dai Comneni si trovava uno dei pochi passi transitabili per
attraversare il Tauro e raggiungere i mercati dell'Armenia e dell'Ilkhanato
mongolo6. Allorché, alcuni anni più tardi, anche i Veneziani ebbero nuovamente
la possibilità di transitare attraverso gli stretti, si interessarono all'emporio
pontico e poi seppero stabilire accordi con i signori locali, Trebisonda divenne il
principale centro intermediario per i flussi commerciali che percorrevano l'asse
che dall'Europa occidentale prosegue verso il Caucaso e la Persia e mantenne tale
ruolo sino alla sua definitiva conquista da parte di Maometto II7.
Il perdurare della funzione della capitale del piccolo impero dei Comneni
quale scalo commerciale per le repubbliche italiane8 e, in generale, nelle rotte
navali attraverso il Mar Nero può fornire una valida giustificazione alla fama che
Trebisonda aveva acquisito sul finire del medioevo. Una fama che, forse, l'aveva
resa proverbiale a tal punto da consentirle di conservare il suo posto nella
semantica anche quando il suo ruolo nella storia si era ormai esaurito da tempo
ed era stato dimenticato dai parlanti.
Quella che abbiamo finora brevemente descritto per tentare di ricostruire
l'etimo storico del modo di dire è, tuttavia, soltanto lo stadio conclusivo della
vicenda medievale di Trebisonda. L'indipendenza dell'area pontica e il
significativo sviluppo del suo capoluogo nello scacchiere economico della
Romània post-1204 sono invero l'esito di processi che affondano le radici in una
fase più risalente rispetto al XIII secolo. Le peculiarità geografiche della regione
– alla quale solo di sfuggita abbiamo accennato in precedenza – ebbero un
significativo influsso nell'orientare quei processi, la cui descrizione è l'oggetto del
d’Outremer tra ragioni ideali e opportunismo, in Id. (a cura di), Gli Italiani e la Terrasanta, Atti del
Seminario di Studio (Firenze, SUM, 22 febbraio 2013), SISMEL, Firenze 2014, pp. 219-237. 6 A.A.M. Bryer, D. Winfield, The Byzantine monuments and topography of the Pontos, 2 voll.,
Dumbarton Oaks Research Library and Collection, Washington D. C. 1985 (Dumbarton Oaks
Studies, XX), vol. I, pp. 37-58; Id., The Estates of the Empire of Trebizond, in Id., The Empire of
Trebizond and the Pontos, Variorum, London 1980, pp. 370-477, spec. 374 s.; S.P. Karpov, L'Impero
di Trebisonda, cit., pp. 29 sgg. 7 Per le relazioni commerciali tra Trebisonda e Venezia v. S. P. Karpov, L'Impero di Trebisonda, cit.,
pp. 71 sgg. Per quanto concerne la navigazione veneziana sul Mar Nero nel basso medioevo v.
S.P. Karpov, La navigazione veneziana nel Mar Nero XIII-XV sec., Edizioni del girasole, Ravenna
2000. Sulla caduta della città in mano ottomana cfr. A.G.K. Savvides, Ιστορία της αυτοκρατορίας,
cit., pp. 161-168; S.P. Karpov, Последний форпост Византии: падение Трапезундской империи в
1461 году, in «Вестник Истории, Литературы, Искусства» I, 2006, pp. 129-145. 8 Negli anni Cinquanta del XV secolo anche Firenze, che allora controllava Pisa, si era interessata
all'emporio sul Mar Nero e aveva allacciato rapporti diplomatici con i basileis locali al fine di
stabilire accordi commerciali con il principato: A.A.M. Bryer, Ludovico da Bologna and the Georgian
and Anatolian Embassy of 1460-1461, in Id., The Empire, cit., pp. 178-198, spec. 185 s.
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presente contributo. Attraverso la ricostruzione del milieu storico, sociale,
geografico e politico dell'area gravitante intorno a Trebisonda, ci occuperemo,
cioè, di delineare i tratti di una società di confine, quella pontica, che nel corso
del tempo aveva assunto caratteri specifici, chiaramente distinguibili dal resto del
mondo bizantino coevo e aveva favorito la deriva separatista della regione nel
tardo medioevo. L'analisi verterà fondamentalmente sulle classi dirigenti locali,
le quali, in particolare dall'ultimo quarto dell'XI secolo, furono le principali
fautrici del progressivo distacco delle strutture di potere pontiche dai tradizionali
circuiti di Bisanzio. Un distacco che, pur non avendo determinato direttamente
l'esito della spedizione dei fratelli Comneni, l'aveva reso una conseguenza assai
probabile delle problematiche che l'Impero aveva vissuto a partire dopo la morte
di Manuele I Comneno (1143-1180).
1. La Chaldia, geografia e società di un'area di confine
Trebisonda si trova sulla sponda meridionale del Mar Nero a circa 900 chilometri
dall'imboccatura dello stretto del Bosforo, dunque a breve distanza dal limite
orientale della penisola anatolica9. In età giustinianea la città apparteneva alla
provincia Armenia I della diocesi Pontica10, mentre, in seguito alle profonde
trasformazioni che il sistema amministrativo bizantino aveva subito a partire dal
secondo quarto del VII secolo11, confluì nel tema Armeniakon. Con la
ridefinizione dei confini tematici avvenuta tra l'VIII e il IX secolo – allorché molti
dei distretti anatolici originari furono divisi in unità dalle dimensioni più ridotte
– Trebisonda divenne il capoluogo del tema di Chaldia, che era stato scorporato
dalla grande circoscrizione dell'Armeniakon12. A eccezione di un breve interludio
nel corso del terzo quarto del XII secolo, la città conservò la sua funzione e la sua
collocazione amministrativa sino al 1204, quando, in seguito all'operazione
militare compiuta dai fratelli Comneni, divenne la capitale di un principato
indipendente13.
I funzionari bizantini furono presumibilmente ispirati dall'orografia e
dall'idrografia del territorio nel disegnare il profilo del nuovo tema, dal momento
che i suoi limiti occidentali e orientali coincidevano rispettivamente con i fiumi
Iris e Akampsis – nelle cui vicinanze erano poste le fortezze di Limnia e Gonia –
9 Un centinaio di chilometri circa dal Caucaso georgiano. Sulla geografia storica di Trebisonda, v.
A.A.M. Bryer, D. Winfield, The Byzantine monuments, cit., vol. I, pp. 178 sgg. 10 J.F. Haldon, The Palgrave Atlas of Byzantine History, Palgrave Macmillan, Basingstoke 2005, p. 34. 11 Che videro, specialmente in Anatolia, la progressiva sostituzione delle circoscrizioni
amministrative di tradizione romana con i cosiddetti temi. 12 H. Glykatzi-Ahrweiler, Recherches sur l'administration de l'empire byzantin aux IXe-XIe siècles, in
«Bullettin de correspondence hellénique», LXXXIV/1, 1960, pp. 1-111, spec. 78 sgg. 13 Sul ruolo della metropoli si v. il rimando bibliografico cit. alla n. 9.
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mentre a sud corrispondevano con l'imponente catena montuosa delle Alpi
pontiche. Questa morfologia rendeva in passato e, in parte, rende tuttora
piuttosto complicato raggiungere via terra Trebisonda e il suo circondario da
Costantinopoli, siccome il solo punto di accesso percorribile dall'entroterra sono
i cosiddetti 'cancelli' o 'porta del Ponto', un passo situato a circa 2500 metri di
altezza a una decina di chilometri a sud della città, mentre la conformazione
irregolare del litorale ha reso di fatto impercorribile la strada costiera sino alle
soglie del nuovo millennio. Praticamente il solo metodo agevole e sicuro per
raggiungere la Chaldia da Occidente era via mare, il che, in combinazione con
alcune 'costanti geopolitiche' proprie dell'Anatolia romana e bizantina, favorì
alcuni sviluppi di natura strategico-militare e sociale14.
Sin dall'incorporazione del regno del Ponto da parte di Nerone (54-68) nel
62 d.C. il limite orientale dell'area divenuta poi il bacino territoriale della Chaldia
coincise con l'estremo confine orientale dell'Impero, al di là del quale si
estendevano i potentati Georgiani e Armeni e, dalla seconda metà del VII secolo
in avanti, anche il Califfato e i suoi principati satelliti15. Dall'ultimo quarto dell'XI
secolo, quando la basileia perse in via definitiva il controllo sull'Anatolia centrale
– dove, in seguito alla battaglia di Manzicerta (1071), si erano stanziati Turchi e
Turcomanni – anche le montagne a sud del tema assunsero la funzione di confine
tra Bisanzio e il barbarikon16. Oltre a essere una provincia di confine sul piano
squisitamente politico, la Chaldia lo fu anche dal punto di vista linguistico-
culturale, poiché almeno per ciò che concerne la sua fascia di insediamenti
costieri, era la regione più orientale dell'ecumene in cui gli ellenofoni costituivano
ancora la maggioranza della popolazione.
L'elemento linguistico ebbe scarso impatto nel determinare la posizione
della Chaldia nella strategia geopolitica dell'Impero, ma la protezione offerta
dalla conformazione geografica del territorio contribuì indubbiamente allo
sviluppo del tema e, in particolare, del suo capoluogo in un rilevante snodo
logistico per le operazioni militari che avevano come oggetto l'Anatolia orientale
14 A.A.M. Bryer, D. Winfield, The Byzantine monuments, cit., vol. I, pp. 1 sgg., 96-100, 299 sgg. 15 J.F.Haldon, The Palgrave Atlas, cit., pp. 102-106; N. Oikonomides, “L’Organisation de la frontière
orientale de Byzance aux Xe–XIe siècles et le taktikon de l’Escorial”, in M. Berza, E. Stanescu (a
cura di), Actes du XIVe congrès international des études byzantines: Bucarest, 6-12 septembre 1971, 3
voll., Editura Academiei Republicii Socialiste Romania, Bucuresti 1974, vol. I, pp. 285–302. 16 M. Angold, The Byzantine Empire, 1025-1204: a political history, Longman, London New York
1997, pp. 44 sgg., S. Vryonis jr., The Decline of Medieval Hellenism in Asia Minor and the Process
of Islamization from the Eleventh through the Fifteenth Century, University of California Press,
Berkley Los Angeles London 1971 (Publications of the Center for Medieval and Renaissance
Studies, IV), pp. 103 sgg. Sulla Chaldia e i Selgiuchidi in quegli anni v. anche A.G.K. Savvides,
The frontier - zone Themes (Chaldia – Coloneia) to the Seljuk beginnings, in «Αρχείον Πόντου»,
48, 1998/1999, pp. 219-231.
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e il Caucaso. Fino all'inizio del XIII secolo la basileia ebbe il pieno controllo della
navigazione attraverso il Mar Nero17, condizione che rendeva sufficientemente
sicuro il trasporto delle truppe via mare verso il teatro orientale e Trebisonda un
approdo naturale per i convogli bizantini. Sebbene fosse collocata in una
provincia limitanea – dunque vicino a un potenziale scenario di conflitto armato
– la città si trovava a una discreta distanza dall'effettivo confine Est ed era ben
protetta da eventuali attacchi terrestri grazie all'orografia propria del Ponto sud-
orientale. Una volta sbarcati i reggimenti in città, gli ufficiali romani e bizantini
sarebbero stati liberi di programmare l'azione senza il timore che un'improvvisa
incursione nemica potesse sconvolgere i loro piani, pur trovandosi abbastanza
vicini al teatro delle operazioni.
L'uso di Trebisonda quale base logistica per lo scacchiere orientale da parte
dell'Impero è attestato, non a caso, sin dal I secolo d. C. Per Nerone fu il punto di
partenza della campagna contro l'Armenia degli anni 58-63; in età proto-
bizantina, Giustiniano I (527-565) – dopo avere intuito le potenzialità strategiche
della città – ricostruì a sue spese le mura urbane18, Belisario la elesse a punto
d'appoggio per la guerra persiana del 541-542, mentre Eraclio I (610-643) si
accampò poco più a Oriente prima di dirigersi a sua volta contro i Sassanidi19.
Dal regno di Basilio II (976-1025) in avanti l'afflusso di funzionari, eserciti e
imperatori verso Trebisonda crebbe in misura significativa, al pari del peso che il
fronte anatolico nord-orientale stava acquisendo nella politica estera e interna
dell'Impero. Proprio in quegli anni erano scoppiate in Anatolia le rivolte a guida
aristocratica di Barda Foca e Barda Sclero contro le politiche di Basilio II, mentre
Costantinopoli rinnovava i suoi tentativi per assumere il controllo dei principati
bagratidi20 a Oriente della Chaldia21. Nonostante la penetrazione delle tribù
17 Prima della quarta crociata i mercanti e i convogli occidentali non furono ammessi nel Mar
Nero: v. per esempio D.M. Nicol, Byzantium and Venice: a Study on Diplomatic Relations, Cambridge
University Press, Cambridge 1988, pp. 39 sgg.; e ancora nell'ultimo trattato prima del 1204 (1198)
tra Venezia e l'Impero, in G.L.F. Tafel, G.M. Thomas, Urkunden zur älteren Handels-und
Staatsgeschichte der Republik Venedig mit besonderer Beziehung auf Byzanz und die Levante vom neunten
bis zum Ausgang des fünfzehnten Jahrhunderts, 3 voll., Wien 1856-1857 (Fontes Rerum Austriacarum.
Diplomataria et Acta, XII-XIV), vol. I, doc. LXXXV, pp. 246-280, le città pontiche non rientravano
tra quelle nelle quali i mercanti lagunari avrebbero potuto svolgere i loro affari. 18 W. Miller, Trebizond: the Last Greek Empire, Hakkert, Amsterdam 1968, pp. 8-10; A.A.M. Bryer,
D. Winfield, The Byzantine monuments, cit., vol. I, pp. 180-182. 19A. A. M. Bryer, Cities of Heraclius, in Id., The Empire of Trebizond, cit., pp. 15-30. 20 I Bagratidi erano il principale clan dell'aristocrazia armena e georgiana e qualche esponente del
lignaggio deteneva allora il controllo di alcuni piccoli principati dinastici posti a Est del confine
bizantino in Anatolia. Su questo lignaggio v. C. Toumanoff, Manuel de généalogie et chronologie
pour l’histoire de la Caucasie chrétienne, Edizioni Aquila, Roma 1976, pp. 96 sgg. 21 Su questa fase della storia bizantina rimandiamo all'ottima monografia di Catherine Holmes:
C. Holmes, Basil II and the Governance of the Empire, Oxford University Press, Oxford 2005, pp. 240
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turche all'interno della penisola anatolica nell'ultimo quarto dell'XI secolo avesse
in teoria preservato lo status di 'confine caldo' per il distretto di Trebisonda,
alcune dinamiche locali – che approfondiremo più avanti – attivatesi in
conseguenza della disfatta di Manzicerta (1071) determinarono una brusca
interruzione dell'afflusso di ufficiali e truppe della basileia nella zona.
Dal punto di vista socio-culturale la peculiare geografia della Chaldia, la
sua posizione eccentrica rispetto al centro del potere politico, insieme alla
porosità dei confini politici tipica delle età antica e medievale, furono decisive nel
promuovere l'evoluzione di un ceto dirigente dai caratteri significativamente
distinti da quelli di buona parte dell'élite bizantina. In primo luogo all'interno del
tema risiedevano cospicue minoranze di Lazi, Georgiani e Armeni, in parte
autoctone, in parte provenienti dalle regioni confinanti, che in molti casi, pur
conservando alcuni tratti distintivi, si erano ellenizzate, integrate nella società
locale ed erano entrate nei ranghi del notabilato. In secundis il conflitto pressoché
ininterrotto con gli Arabi che contraddistinse il confine orientale di Bisanzio
all'indomani della conquista islamica di Siria e Persia generò l'esigenza di un
presidio capillare del territorio tematico, la cui conseguenza fu la formazione di
un ceto dirigente guerriero pronto a rispondere con le armi alle continue minacce
per la sicurezza della regione. Dalle loro basi economiche e di potere – perlopiù
localizzate in aree rurali e, non di rado, in prossimità delle vie di comunicazione
del tema – gli esponenti dell'aristocrazia pontica, oltre a proteggere il territorio
bizantino, lanciavano redditizie incursioni nel vicino Dar al-Islam e sfruttavano la
loro posizione per riscuotere 'pedaggi' più o meno legittimi da coloro che
attraversavano le loro terre22.
Non sono soltanto gli autori bizantini a registrare i comportamenti propri
della élite guerriera del Ponto, dal momento che anche due fonti arabe di fine VIII
secolo corroborano l'assunto che vuole i suoi membri impegnati principalmente
nella guerra, nel saccheggio e a taglieggiare i viandanti diretti a Trebisonda. Ibn
al-Fakih – che, alludendo probabilmente alla locale élite guerriera, non manca di
sottolineare il fatto che lo stratego avesse a sua disposizione un consistente
numero di uomini armati – e Tabari si riferiscono rispettivamente al capoluogo
della Chaldia e alla Chaldia stessa con il termine 'Ikrita/Ikritiyah'23. Secondo
sgg; mentre sul ruolo che Trebisonda ebbe in questa fase v. M. Fasolio, Ai margini dell'Impero.
Potere e aristocrazia a Trebisonda e in Epiro nel basso medioevo, Tesi di dottorato, Università del
Piemonte Orientale 2017, pp. 46 s. 22 Come racconta nel IX secolo l'agiografo di san Giorgio di Amastri, in L. Brehier, Les populations
rurales au IXme siècle d'après l'hagiographie byzantine, in «Byzantion», 1, 1924, pp. 177-190, spec. 187.
Sui caratteri dell'aristocrazia locale cfr. A.A.M. Bryer, D. Winfield, The Byzantine monuments, cit.,
vol. I, pp. 299-304; M. Fasolio, Ai margini dell'Impero..., cit., pp. 48 sgg. 23 L'affermazione di Ibn al-Fakih si trova in in Costantino Porfirogenito, De thematibus, ed. a cura
di A. Pertusi, Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano 1952 (Studi e Testi, CLX), pp. 137
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l'opinione di Ernst Hongimann e di Agostino Pertusi24 quello di Ibn al-Fakih e
Tabari può essere un riferimento ai cosiddetti akritai, ossia quei signorotti cristiani
armeni o greci che negli anni tra la fine dell'VIII e gli inizi del X vivevano sulla
frontiera tra Bisanzio e l'Islam e che, con il tacito avallo del basileus, ma al difuori
del coordinamento imperiale, controbilanciavano le scorrerie arabe in Anatolia
con le loro razzie nelle terre del Califfato25. Presumibilmente gli akritai erano così
numerosi in Chaldia e le loro iniziative così efficaci, da indurre i due autori arabi
ad associare, se non a confondere, il loro nome con quello vero e proprio del tema.
Sia chiaro, l'aristocrazia anatolica condivideva in larga misura l'attitudine
bellica dei lignaggi pontici e, come questi ultimi, prediligeva incarichi
nell'apparato militare26. Nondimeno, le classi dirigenti bizantine – in particolare
le componenti della corte e dell'amministrazione civile – avvertivano piuttosto
chiaramente l'alterità dei ceti dominanti della Chaldia, vuoi per la loro
inclinazione ad agire con una discreta autonomia rispetto all'autorità pubblica27,
vuoi per la significativa presenza di stranieri più o meno ellenizzati tra le loro
fila. È Costantino VII Porfirogenito (912-959), tra le righe delle sue opere, ad
avvertire i lettori bizantini in merito ai tratti che contraddistinguono la
popolazione del tema e la sua aristocrazia armata. L'imperatore sostiene nel De
thematibus che l'origine del termine 'Chaldia' è persiana ed è dovuta agli antichi
abitanti del luogo, i Caldei, i quali vi si erano trasferiti nell'antichità28. Pur nei
termini del gusto antiquario che contraddistingue la sua produzione letteraria,
s.; mentre quella di Tabari è riportata in E.W. Brooks, Byzantines and Arabs in the Time of the Early
Abbasids, in «English Historical Review», 15, 1900, pp. 728-747, spec. 740. 24 Forse le più affascinanti e, senza dubbio, le più accreditate in letteratura. Per l'opinione di
Pertusi v. Costantino Porfirogenito, De thematibus, cit., p. 139; mentre per quella di Hongimann v.
E. Honigmann, Die Ostgrenze des byzantinischen Reiches: von 363 bis 1071 nach griechischen,
arabischen, syrischen und armenischen Quellen, Institut de philologie et d'histoire orientale, Bruxelles
1935 (Corpus Bruxellense Historiae Byzantinae, III), p. 53. 25 Sugli akritai v. C. Makrypoulias C., Ακρίται, in Εγκυκλοπαίδεια Μείζονος Ελληνισμού, Μικρή
Ασία (http://www.ehw.gr/l.aspx?id=3478, consultato il 30/12/2018); A. Kazhdan, A.-M. Talbot, A.
Cutler, T.E. Gregory, N.P. Ševčenko (a cura di), The Oxford Dictionary of Byzantium, 3 voll., Oxford
University Press, New York-Oxford 1991, vol. I, p. 47; N. Oikonomides, L'"Epopée" de Digénis et
la frontière orientale de Byzance aux Xe et XIe siècles, in «Travaux et Mémoires», 7, 1979, pp. 375-397. 26 Esiste una mole considerevole di studi riguardo alle élites bizantine: tra tutti segnaliamo in
merito al tema dell'aristocrazia anatolica il fondamentale A. P. Kazhdan, L’aristocrazia bizantina
dal principio dell’XI alla fine del XII secolo, a cura di S. Ronchey, Sellerio, Palermo 1997, pp. 67 sgg.;
e i saggi raccolti in J.-C. Cheynet, The Byzantine Aristocracy and its Military Function, Variorum,
Aldershot 2006. Per un orientamento bibliografico riguardo al tema v. M. Fasolio, The Byzantine
Aristocracy. Outlines of a Historiographical Debate, in «History of Historiography», 71/1, 2017, pp.
15-45. 27 Come akritai o 'taglieggiatori' semi-autorizzati di coloro che passavano per le strade sotto il loro
controllo. 28 Costantino Porfirogenito, De thematibus, cit., p. 73.
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con l'indicazione etimologica29 Costantino VII sembra celare una considerazione
sugli abitanti attuali della provincia: se i loro antenati non erano Greci, ergo i
'Caldei' di oggi, anche se in parte 'civilizzati', non possono essere considerati
Romei30 veri e propri. Nella parafrasi di una lettera di Romano I Lecapeno (920-
944) rivolta a un ufficiale appena nominato stratego di Chaldia contenuta nel De
administrando imperio il Porfirogenito aggiunge: "e quando sarai giunto in Chaldia
prendi con te gli arconti più capaci, che ritieni essere coraggiosi e fidati"31. In altri
termini: cerca di ingraziarti i notabili locali e coinvolgili quanto più ti è possibile
nel governo, perché altrimenti agiranno senza il tuo consenso, come loro
costume, e non potrai contare sul loro appoggio quando ne avrei bisogno per
difendere il tema.
Gli 'arconti' della Chaldia apparivano dunque quali irrequieti e potenti
dinasti semi-barbari, elemento, quest'ultimo, che ancora nella seconda metà del
XII secolo era stato evidenziato apertamente da Niceta Coniate ed Eustazio di
Tessalonica. Nel racconto dell'usurpazione di Andronico I Comneno ai danni
della reggenza costantinopolitana in carica dopo la morte di Manuele I (1180) e
della successiva strage degli abitanti latini della capitale, sia lo storico, sia il
prelato si riferiscono agli uomini del nuovo basileus – quasi tutti originari della
Chaldia, dove Andronico era stato governatore sino al 1182 e da dove era partito
per raggiungere il Bosforo – come 'Paflagoni', vale a dire 'Pontici' nel linguaggio
arcaizzante di entrambi. Mentre, però, Niceta si limita a questa indicazione simil-
etnica32, che pure segnala in maniera abbastanza esplicita la loro diversità rispetto
29 Indipendentemente dal fatto che fosse vera come egli sostiene, citando l'Anabasi di Senofonte,
o di fantasia. 30 Con questa parola, derivata dalla lettura con pronuncia reuchliniana del greco 'Ῥωμαίος', ossia
'Romano', e largamente adottato nella bizantinistica italiana, intendiamo restituire l'idea che i
Bizantini e poi i Greci sotto la turcocrazia ebbero di sé. Come è noto, i sudditi del basileus si
consideravano romani in tutto e per tutto; tuttavia definire un Greco del XIV o del XVIII secolo
'Romano' genererebbe un'ovvia confusione, che il termine 'Romeo' è facilmente in grado di
evitare. 31 Constantine Porphyrogenitus, De administrando imperio, ed. a cura di G. Moravcsik, trad. inglese
di R.J.H. Jenkins, Dumbarton Oaks Center for Byzantine Studies, Washington D. C. 1967 (Corpus
Fontium Historiae Byzantinae, I, Series Washingtonensis), p. 218. 32 Nel caso si fosse trattato di una semplice descrizione concernente l'origine delle truppe al
seguito di Andronico Comneno e non di una connotazione etnica, ci saremmo aspettati
un'espressione diversa e più neutra, come 'oriundi della Paflagonia/del Ponto' o 'provenienti dalla
Paflagonia/dal Ponto', dal momento che, in fin dei conti, la Chaldia era pur sempre una provincia
sottoposta all'autorità imperiale e i suoi abitanti parlavano greco. Nicetae Choniatae Historia, 2
voll., ed. a cura di J.-L. Van Dieten, De Gruyter, Berolini-Novi Eboraci 1975 (Corpus Fontium
Historiae Byzantinae, XI, Series Berolinensis), vol. I, p. 229.
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M. Fasolio, Trebisonda
ai Romei 'standard', Eustazio33 aggiunge che i loro modi di fare rozzi e il
comportamento che tennero a Costantinopoli in occasione dei tumulti anti-latini
tradivano inequivocabilmente la loro barbarie.
L'immaginario bizantino sull'aristocrazia e sugli abitanti del Ponto,
complice il perdurare dell'isolamento politico e geografico che la regione conobbe
sin dall'ultimo quarto dell'XI secolo, rimase pressapoco immutato anche dopo il
1204, in seguito alla costituzione di un'entità politica indipendente entro i vecchi
confini della Chaldia. Agli inizi del XIV secolo lo storico Giorgio Pachimere
definiva il Grande Comneno34 "signore dei Lazi"35, quantunque sapesse
perfettamente che egli apparteneva a un'antica dinastia bizantina e che i suoi
sudditi erano per la stragrande maggioranza Romei e Cristiani. Indubbiamente
l'affermazione di Pachimere era, almeno in parte, figlia della polemica scoppiata
dalla seconda metà del XIII secolo in merito alla legittimità dei principi bizantini
– imperatori di Trebisonda e despoti d'Epiro in primis – che non riconoscevano la
supremazia dell'Impero restaurato da Michele VIII nel 126136. Di conseguenza,
bollare i sudditi della basileia pontica come stranieri era anche uno strumento di
cui lo storico si serviva al fine di delegittimare un pericoloso avversario politico
dei Paleologi, giustificando al contempo in qualche modo la loro incapacità
nell'imporre la propria sovranità sui Comneni. Cionondimeno, sembra quasi
altrettanto evidente che l'espressione scelta da Pachimere riecheggiasse – pur
inconsapevolmente e con finalità leggermente diverse da quelle di chi lo aveva
preceduto sull'argomento – pregiudizi in apparenza piuttosto radicati nella
cultura bizantina in merito alla presunta 'incompleta ellenizzazione' o barbarie
tout court dei Greci pontici37.
33 I commenti del quale sulle vicende che concernono Andronico I devono essere comunque
valutati con beneficio d'inventario, considerati i pregiudizi che il metropolita nutriva nei
confronti del basileus. Eustazio di Tessalonica, La espugnazione di Tessalonica, ed. a cura di S.
Kyriakidis, Istituto Siciliano di Studi Bizantini e Neoellenici, Palermo 1961, pp. 30-34. 34 Titolo con il quale si auto-definivano i sovrani di Trebisonda: sull'argomento v.
O. Lampsides, Le titre "Megas Komnenos" (Grand Comnène), in «Byzantion», 37, 1967, pp. 114-125;
R. Macrides, What's in the name «Megas Komnenos», in «Αρχείον Πόντου», 22, 1958, pp. 238-245. 35Georges Pachymérès, Relations historiques, 5 voll., ed. a cura di A. Failler, Les Belles Lettres, Paris
1984-2002 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, 24), vol. II, p. 653. 36 Sulla polemica, analoga a quella di Pachimere in merito all'Epiro, si v. per esempio le posizioni
di Georgii Acropolitae Opera, 2 voll., ed. a cura di A. Heisenberg, P. Wirth, Teubner, Stutgardiae
1978, vol. I, p. 83; e dei patriarchi Michele IV Autoriano (1206-1212) e Germano II (1223-1240),
rispettivamente in N. Oikonomides, Cinq actes inédits du patriarche Michel Autôreianos, in «Revue
des Études Byzantines», XXV, 1967, pp. 113-145, spec. 118; e in V. Grumel, J. Darrouzès, V.
Laurent, Les regestes des actes du Patriarcat de Constantinople, 7 fascc., Institut francais d'études
byzantines, Paris 1971-1991, fasc. IV, p. 47, n. 1239. 37 Non ultimi quelli già citati di Niceta Coniate ed Eustazio di Tessalonica.
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Benché l'opinione di Pachimere e di altri autori bizantini dell'età paleologa
sui Pontici fosse in qualche misura l'esito di una sedimentazione dei clichés che la
limitata conoscenza della società trebisontina alimentava presso gli eruditi e gli
intellettuali di corte, lo stesso non si può dire se volgiamo lo sguardo alle
informazioni che da altre fonti ci sono giunte in merito al comportamento e alle
attività svolte dagli 'arconti' locali. Andrea Libadeno e Michele Panareto – autore
di una Periegesi il primo, e storico della corte dei basileis di Trebisonda il secondo38
– raccontano di come, per quasi l'intera durata dei quarti centrali del XIV secolo,
il piccolo impero fosse stato ostaggio delle fazioni aristocratiche. Queste fazioni
ebbero per decenni il pieno controllo di fortezze, città e di cospicue porzioni del
territorio che, in teoria, sarebbero state sottoposte all'autorità imperiale, ma sulle
quali il governo non fu in grado di esercitare concretamente i suoi diritti sovrani
fino alla seconda parte del regno di Alessio III (1349-1390)39.
In effetti, ancora nel XV secolo molti esponenti dell'élite militare vivevano
in maniera analoga ai loro antenati dei secoli precedenti, gli akritai, come attesta
il diario di viaggio di Ruy Gonzalez de Clavijo, capo della legazione spagnola
diretta alla corte di Tamerlano. Mentre si allontanava da Trebisonda in direzione
di Tabriz, sul confine imperiale il convoglio di Clavijo si imbatté in Leone
Cabazita, signore di Adrasa. Posto a sorveglianza di un angusto passo di
montagna, il castello di quest'ultimo "contiene sempre ladri e uomini cattivi; e
anche il suo signore è un ladro" che costringe, tramite i suoi sgherri, tutti coloro
che desiderano oltrepassare le sue terre a pagare un pedaggio. Leone stesso
ammetteva apertamente che:
la sua terra era arida e scabra [...], che egli era sempre in guerra con i Turchi, i quali erano i suoi
vicini, che egli e la sua gente non avevano nulla di che vivere a eccezione di quello che veniva
dato loro da coloro i quali passavano da quelle parti e ciò che rubavano dai loro vicini. 40
Se non conoscessimo la data dell'incontro tra Clavijo e Cabazita (1404),
difficilmente saremmo capaci di distinguere il secondo da un akrites pontico del
IX o del X secolo, dal momento che ne possedeva tutti i caratteri: attitudine
bellica, controllo di una zona di confine o di transito, guida di continue incursioni
verso i territori islamici, pratica del taglieggiamento sistematico dei viaggiatori
che avevano la sventura di incontrare lui o i suoi uomini.
38 Dunque difficilmente tacciabili di scarsa conoscenza della realtà pontica o di ostilità
pregiudiziale nei confronti della popolazione locale. 39 Michael tou Panaretou Περὶ τῶν μεγάλων Κομνηνῶν, ed. a cura di O. Lampsides, in «Αρχείον
Πόντου», 22, 1958, pp. 5-128, spec. 64-78; Ο. Lampsides, Ἀνδρέου Λιβαδηνοῦ βίος καὶ ἔργα,
Ἐπιτροπὴ Ποντιακῶν Μελετῶν, Ἀθῆναι 1975, pp. 60-66. Si v. anche A. G. K. Savvides, Ιστορία
της αυτοκρατορίας, cit., pp. 86 sgg. 40 Ruy Gonzales Clavijo, Embajada a Tamorlan, ed. a cura di F. L. Estrada, C.S.I.C., Madrid 1943,
pp. 80-82.
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M. Fasolio, Trebisonda
I processi politici avviatisi in seguito alla battaglia di Manzicerta e lo
sconvolgimento degli equilibri di potere nella regione che ne conseguirono – e
che costituiranno l'argomento del prossimo paragrafo – condussero al rapido
allontanamento della Chaldia dal resto dell'ecumene bizantina. La separazione
del Ponto da Costantinopoli, sancita poi in via definitiva dalla campagna di
Alessio e Davide Comneni, insieme ai caratteri della geografia politica, fisica e
antropica della Chaldia e alla presenza ininterrotta di un governo romeo e
cristiano a Trebisonda41, unico caso in tutta l'Anatolia, produsse in loco una sorta
di microcosmo. Un microcosmo dall'aspetto certamente 'romeo', ma nel quale la
grecità medievale si era sviluppata in modi alquanto dissimili dalla basileia dei
Paleologi e dall'Epiro, in quanto mantenne il Ponto al riparo dalle profonde
trasformazioni che, invece, il resto della civiltà bizantina aveva subito in quegli
anni. Lo testimoniano non solo la permanenza delle strutture sociali arcaiche alle
quali abbiamo accennato prima, ma anche la conservazione di un sistema
amministrativo42 e di alcune formule di cancelleria che a Bisanzio erano
scomparse ormai dal tempo dei Comneni43, solo per limitarci agli aspetti più
specificamente 'politici' della questione. Persino la lingua, come già è possibile
intravedere in età medievale nell'opera di Panareto44, si allontanò
progressivamente dal greco parlato negli altri angoli del mondo bizantino, sino
a divenire mutuamente incomprensibile, come ebbero modo di scoprire i
profughi pontici che dal 1916 cominciarono ad affluire in Grecia nel tentativo di
sfuggire al genocidio perpetrato dalle autorità ottomane.
2. Separatismo e autononomia da Manzicerta alla metà del XII secolo
Benché i prodromi dell'atteggiamento che l'aristocrazia pontica avrebbe tenuto
nei confronti della basileia e degli altri protagonisti dello scacchiere anatolico
bassomedievale fossero in parte riconoscibili già al tempo delle rivolte
aristocratiche di fine X secolo45, fu nell'ultimo quarto dell'XI secolo che il processo
di distacco della Chaldia dalla compagine imperiale ebbe inizio. L'instabilità
cronica del governo centrale, seguita all'estinzione della linea maschile della
dinastia basilide dopo la morte di Costantino VIII nel 1028, coincise con lo
41 Indipendentemente dal fatto che questo riconoscesse o meno l'autorità del governo di
Costantinopoli. 42 A.A.M. Bryer, Rural Society in the Empire of Trebizond, in «Αρχείον Πόντου», 28, 1966, pp. 152-
160. 43 Ν. Oikonomides, The chancery of the Grand Komnenoi. Imperial traditon and political reality, in
«Αρχείον Πόντου», 35, 1979, pp. 299-332. 44 Si v. la breve analisi di Lampsides nella premessa all'edizione dell'opera, in Michael tou
Panaretou Περὶ τῶν μεγάλων Κομνηνῶν, cit., pp. 17-19. 45 M. Fasolio, Ai margini dell'Impero..., cit., pp. 59-72.
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M. Fasolio, Trebisonda
sfarinamento del sistema tematico, la cui crisi, già manifestatasi nei decenni
precedenti, fu acuita dalle politiche fiscali e di reclutamento attuate dai successori
di Basilio II. Contemporaneamente, il predominio dell'aristocrazia civile della
capitale ai vertici dell'apparato burocratico alimentava, insieme all'applicazione
di misure particolarmente invise al ceto militare anatolico, la frustrazione di
quest'ultimo e, col tempo, determinò lo scollamento tra i suoi interessi e quelli
della corte. Ancora prima della disfatta di Manzicerta le strutture imperiali
avevano mostrato preoccupanti segni di cedimento e, alla vigilia della battaglia,
l'amministrazione bizantina in Anatolia era ormai sull'orlo del collasso.
La sconfitta contro il sultano selgiuchide Alp Arslan – ancorché di modesta
entità sul piano strettamente militare46 – funse da detonatore per le tensioni
politiche e sociali che percorrevano l'Anatolia bizantina e si trasformò
rapidamente in un disastro dalle proporzioni inimmaginabili. Gli strateghi dei
temi avevano osservato il lento svuotarsi delle prerogative difensive proprie delle
loro circoscrizioni ai tempi dello scontro con l'Islam47 ed erano perciò del tutto
impreparati ad affrontare un'invasione su larga scala. Indebolite e prive del
fondamentale supporto dell'aristocrazia militare autoctona – che si sentiva poco
coinvolta nella gestione del potere e, perciò, aveva scarsa propensione a
condividere le responsabilità belliche con il governo – le strutture pubbliche non
offrirono alcuna resistenza organica all'avanzata turca e in meno di un decennio
quasi l'intera penisola anatolica era stata persa48.
46 J.-C. Cheynet, Mantzikert: un désastre militaire? in «Byzantion», 50, 1980, pp. 410-418. 47 Dal X secolo l'Impero era passato all'offensiva sul fronte orientale e le caratteristiche dei temi,
così come si erano formate tra VII e VIII secolo, erano lentamente mutate, in parte proprio per far
fronte alle nuove esigenze strategiche: N. Oikonomides, L’Évolution de l’organisation administrative
de l’empire byzantin au XIe siècle, in «Travaux et Mémoires», 6, 1976, pp. 125–152; H. Glykatzi-
Ahrweiler, Recherches sur l'administration, cit., pp. 16 sgg. 48 Su questo periodo la letteratura scientifica è piuttosto cospicua. In questa sede ci limitiamo a
segnalare: C. Holmes, Basil II, cit., pp. 303-313; M. Angold, The Byzantine Empire, cit., pp. 35 sgg.;
Vryonis jr., The Decline of Medieval Hellenism, cit., pp. 1 sgg.; C. Morrisson, La dévaluation de la
monnaie byzantine au XIe siècle: essai d’interprétation, in «Travaux et Mémoires», 6, 1976, pp. 3–48;
A.E. Laiou, “Exchange and Trade, Seventh–Twelfth Centuries”, in A.E. Laiou (a cura di), The
Economic History of Byzantium: from the Seventh through the Fifteenth Century, 3 voll., Dumbarton
Oaks Research Library and Collection, Washington D. C. 2002 (Dumbarton Oaks Studies, 39), pp.
697-770, spec. 736 sgg.; L. Andriollo, S. Métivier, Quel rôle pour les provinces dans la domination
aristocratique de XIe siècle?, in «Travaux et Mémoires», 21, 2017, pp. 505-530; J.-C. Cheynet, “La
résistance aux turcs en Asie Mineure entre Mantzikert et la première croisade”, in M. Balard, J.
Beaucamp, J.-C. Cheynet, C. Jolivet-Lévy, M. Kaplan, B. Martin-Hisard, P. Pagès, C. Piganiol, J.-
P. Sodini (a cura di), ΕΥΨIΧΙΑ: mélanges offerts à Hélène Ahrweiler, 2 voll., Publications de la
Sorbonne, Paris 1998 (Byzantina Sorboniensia, 16), vol. I, pp. 131-147; Id., Dévaluation des dignités
et dévaluation monétaire dans la seconde moitié du XIe siècle, in «Byzantion», 53, 1983, pp. 453-477. H.
Glykatzi-Ahrweiler, Recherches sur la société byzantine au XIe siècle: nouvelles hiérarchies et nouvelles
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M. Fasolio, Trebisonda
Non mancarono, però, alcune iniziative isolate da parte individui
carismatici, perlopiù magnati locali o ex-generali, che furono capaci di raccogliere
un certo consenso intorno a sé e di coordinare un numero di armati sufficiente
per contrastare i Turchi. I promotori di tali iniziative agivano in piena autonomia
da Costantinopoli e, grazie anche al sostegno della popolazione e del clero,
riuscirono a respingere gli invasori e, talora, a ritagliarsi vere e proprie signorie
personali49. Considerato ciò che abbiamo accennato in merito all'aristocrazia del
Ponto, non stupisce che tra coloro i quali si erano opposti all'offensiva turca vi
fosse anche un topoteretes locale – ossia un notabile con qualche prerogativa più
o meno formalizzata di presidio del territorio50 –, Teodoro Gabras51.
Questi apparteneva a un lignaggio con probabili ascendenze armene,
profondamente radicato nella regione e presumibilmente di tradizione akritica, i
cui membri erano noti soprattutto per la propensione ad associarsi alle ribellioni
anti-imperiali52. Forte dell'appoggio da parte della bellicosa élite pontica, in una
data imprecisata tra la metà degli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta
dell'XI secolo Teodoro si era impadronito di Trebisonda, la quale,
apparentemente, era caduta in mano turca pochi anni dopo il 1071. Anna
Comnena sostiene che, in seguito alla conquista, Gabras abbia tenuto la città
come se fosse stata una sua proprietà privata, forse sottintendendo il fatto che,
oltre a governarla senza mandato imperiale, si era anche impossessato delle terre
fiscali, al fine di allestire la difesa del territorio. Qualche tempo dopo,
indicativamente tra il 1085 e il 1090, Teodoro si recò a Costantinopoli, dove allora
regnava Alessio I Comneno, il quale, nondimeno, lo avvertiva come una presenza
scomoda e decise di rispedirlo in Chaldia Ponto dopo averlo nominato duca di
solidarités, in«Travaux et Mémoires», 6, 1976, pp. 99-124; L. Neville, Authority in Byzantine
provincial society, 950-1100, Cambridge University Press, Cambridge 2004, p. 5 sgg. 49 Il caso più noto, ma non l'unico, è quello di Filareto Bracamio, sul quale si v. C. J. Yarnley,
Philaretos: Armenian Bandit or Byzantine General?, in «Revue des études arméniennes», 9,1972, pp.
331–353; e J.-C. Cheynet, Les Brachamioi, in Id. La societé byzantine. L’apport des sceaux, 2 voll.,
Association des amis du Centre d'histoire et civilisation de Byzance, Paris 2008 (Bilans de
recherche, 3), vol. II, pp. 377-412, spec. 390-410, n. 13. 50 Sul ruolo del topoteretes v. J.-C. Cheynet, Toparque et topotèrètès à la fin du XIe siècle, in «Revue des
études byzantines», 42, 1984, pp. 215-224. 51 La prima menzione di Teodoro è in un Tetravangelo del 1067, in V. N. Beneševič, Monumenta
Sinaitica archaeologica et palaeographica, 2 voll., Памяти Академия Никодима Павловича
Кондакова, Petropolis 1912-1925, vol. I, col. 52, t. 37. 52 Sui Gabras v. H. Bartikian, “Les Gaurades à travers les sources arméniennes”, in N. Garsoïan
(a cura di), L’Arménie et Byzance. Histoire et Culture, Publications de la Sorbonne, Paris 1996
(Byzantina Sorboniensia, 12), pp. 19-30; A.A.M. Bryer, A Byzantine Family: the Gabrades, c. 979-c.
1653, in Id., The Empire of Trebizond, cit., pp. 164-187; H. Bartikian, Η Βυζαντινή αριστοκρατική
οικογένεια των Γαβράδων. Ιστορική, προσωπογραφική και γενεαλογική μονογραφία,
Ηρόδοτος, Αθήνα 1993.
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M. Fasolio, Trebisonda
Trebisonda53. Beninteso, la nomina a duca era un atto puramente formale, dal
momento che sanciva un potere che Gabras già deteneva di fatto e non conferiva
al sovrano la possibilità di incidere sulle dinamiche della politica locale. La sola
precauzione che Alessio I assunse – forse l'unica che poteva permettersi con i
Normanni che premevano da Occidente e i Turchi ormai giunti sulle rive
dell'Egeo54 – affinché l'autonomia del duca di Trebisonda non degenerasse in
qualcosa di più pericoloso per la basileia, fu di tenere come ostaggio suo figlio
Gregorio a Costantinopoli, con la promessa di farlo sposare in futuro con una
principessa della dinastia regnante55. In teoria il titolo di duca avrebbe implicato
l'accettazione dell'autorità imperiale da parte di Teodoro, mentre dal matrimonio
di Gregorio sarebbe derivata l'inclusione dei Gabras nel sistema di parentele
tipico del regime comneno56, nondimeno nulla di significativo cambiò nella
gestione del potere in Chaldia.
L'anomalia costituita da Teodoro Gabras nel sistema amministrativo
imperiale era palese non solo in virtù delle modalità con cui egli aveva ottenuto
il suo incarico. Invero, al contrario dei governatori provinciali 'ordinari', per i
quali era previsto a Bisanzio un avvicendamento assai frequente57, Alessio I non
fu in grado di sostituire il duca se non alla sua morte, avvenuta nel 1098 in
circostanze anch'esse rivelatrici della singolarità della sua posizione. Nel
tentativo di difendere Paipert58, che, come nel caso di Trebisonda, aveva
conquistato sua sponte, Teodoro fu sorpreso e catturato dal figlio del sultano del
Khorasan Ismail, il quale, constatata la sua indisponibilità a convertirsi all'Islam,
lo torturò e poi lo uccise59. L'elemento che, tuttavia, segnala con maggiore
chiarezza come la sovranità imperiale sul territorio governato da Teodoro fosse
soltanto nominale non è tanto l'intraprendenza militare del duca – ineludibile
nell'Anatolia di fine XI secolo – né la natura de facto vitalizia del suo incarico –
rara, ma non ignota a Bisanzio – quanto piuttosto la sua condotta nelle questioni
di 'politica interna'. Le fonti lasciano spazio a pochi dubbi su questo punto, dal
momento che Gabras si appropriò di due funzioni tradizionalmente
53 Anne Comnène, Alexiade, 3 voll., ed. a cura di B. Leib, Les Belles Lettres, Paris 1937-1945, vol.
II, p. 151. 54 Sui primi anni del regno di Alessio I, si v. in breve M. Angold, The Byzantine Empire, cit., pp. 115
sgg. 55 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. II, pp. 151 s. 56 Sul quale è fondamentale É. Patlagean, Un Medioevo greco: Bisanzio tra IX e XV secolo, Dedalo,
Bari 2009 (ed. orig. Un Moyen Âge grec: Byzance, 9e-15e siècle, Albin Michel, Paris 2007), pp. 148-
166. 57 H. Glykatzi-Ahrweiler, Recherches sur l'administration, cit., p. 45. 58 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. III, pp. 29 s. 59 A. Papadopoulos-Kerameus, Συμβολαὶ εἴς τὴν ἱστορίαν Τραπεζοῦντος, in «Византийский
Временник», XII, 1906, pp. 132-147, spec. 135-137.
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appannaggio del publicum, ossia il finanziamento delle celebrazioni religiose e il
conio. Giovanni Lazaropoulos afferma che Teodoro e i suoi familiari avevano
garantito la prosecuzione dei festeggiamenti in onore sant'Eugenio
sobbarcandosene personalmente i costi, mentre i precedenti governatori si erano
serviti delle risorse del tesoro60. Gli studi di Bendall e Hendy sulle monete di fine
XI secolo provenienti dalla zecca trebisontina, inoltre, hanno dimostrato come
questa non appartenesse al circuito delle officine imperiali, ma fosse sorta
'abusivamente', cioè senza l'avallo del basileus, e i suoi prodotti fossero intesi
quasi esclusivamente per la circolazione in ambito locale61.
Il profilo di Teodoro che emerge al termine della nostra descrizione ci
indurrebbe a collocarlo tra i dinasti più o meno indipendenti, amici di Bisanzio –
come anni addietro erano stati i dogi/duchi di Venezia62 – piuttosto che tra i
funzionari imperiali, dato che si occupava di tutti gli aspetti più rilevanti della
politica interna ed estera nei suoi domini senza che il sovrano potesse interferire
in alcun modo. Eppure Gabras riconosceva in maniera piuttosto esplicita la
funzione del basileus come fonte di legittimazione e di prestigio, giacché aveva
accettato sia la nomina a duca, sia il matrimonio di suo figlio con una principessa
della dinastia regnante e persino le sue monete, per quanto 'abusive', recavano
sul recto l'effige di Alessio I. Gli eventi che seguirono dopo la morte di Teodoro
nel 1098 avrebbero evidenziato che l'ambiguità della sua condizione di membro
dell'aristocrazia bizantina, ufficiale imperiale e, al contempo, signore territoriale
non era appannaggio del duca e della sua cerchia soltanto, ma si ripercuoteva
anche sui rapporti tra la Chaldia e la basileia. La gestione 'privata' del potere – per
60 J.O. Rosenqvist (ed. a cura di), The Hagiographic Dossier of St. Eugenios of Trebizond in Codex
Athous Dionisiou 154, Dept. of Classical Philology, Uppsala 1996 (Acta Universitatis Upsaliensis.
Studia Byzantina Upsaliensia, 5), p. 214. 61 A.R. Bellinger, P. Grierson, M.F. Hendy (a cura di), Catalogue of the Byzantine Coins in the
Dumbarton Oaks Collection and in the Whittemore Collection, 5 voll., Dumbarton Oaks Research
Library and Collection, Washington D. C. 1966-1999, vol. IV/1, pp. 427-434; S. Bendall, The Mint
of Trebizond under Alexius I and the Gabrades, in «The Numismatic Chronicle7», 17, 1977, pp. 126-
136; Id., The Coinage of Trebizond under Isaac II (A. D. 1185-1195). With a Note on an Unfinished
Byzantine Die, in «American Numismatic Society Museum Notes», 24 (1979), pp. 213-217; Id., A
New Twelfth-Century Byzantine Coin from the Mint of Trebizond, in «The Numismatic Chronicle»,
142, 1982, p. 163. 62 Sulla strategia bizantina verso i dogi e gli altri dinasti che gravitavano nell'orbita dell'Impero v.
E. Nečaeva, Embassies – Negotiations – Gifts: Systems of East Roman Diplomacy in Late Antiquity,
Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2014 (Geographica Historica, 30), pp. 54-56; E. Chrysos, “Byzantine
diplomacy, A. D., 300-800: means and ends”, in J. Shepard, S. Franklin (a cura di), Byzantine
diplomacy, Variorum, Aldershot 1992 (Papers from the Twenty-Fourth Spring Symposium of
Byzantine Studies, Cambridge, March 1990), pp. 25-39; J. Shepard, Byzantine diplomacy, A. D., 800-
1204: means and ends, in J. Shepard, S. Franklin (a cura di), Byzantine diplomacy, cit., pp. 41-71.
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usare le parole di Anna Comnena63 – in un contesto complicato come l'Anatolia
post-Manzicerta richiedeva l'appoggio incondizionato della società locale, in
particolare da parte del ceto militare, e questo non poteva che implicare una
qualche alterazione delle consuete formule dell'amministrazione bizantina. È
verosimile che Teodoro, pur riservandosi alcune prerogative di governo64, abbia
favorito una maggiore condivisione dei processi decisionali tra gli esponenti del
notabilato pontico – al quale egli stesso apparteneva – e garantito loro più libertà
d'azione nelle rispettive aree di influenza, affinché l'opposizione ai Turchi e
l'autonomia da Costantinopoli godessero di una base di consenso più larga
possibile65.
Tali meccanismi di condivisione delle responsabilità politiche si
consolidarono durante la lunga permanenza di Teodoro al comando della
Chaldia e, ovviamente, non svanirono dopo i fatti di Paipert. Ciò nondimeno,
benché Trebisonda non fosse allora definitivamente perduta per la basileia, le
prassi di gestione del potere sviluppatesi nell'ultimo quarto dell'XI secolo si
erano incistate nel sistema di governo locale a tal punto da risultare irreversibili
e da impedire, anche ai funzionari più ligi alle direttive costantinopolitane
succedutisi a Teodoro, di ripristinare le procedure standard dell'amministrazione.
A riprova di queste ipotesi in merito alle difficoltà riscontrate dagli ufficiali
imperiali nell'applicare le disposizioni governative in Chaldia vi è la
sopravvivenza di alcune strutture arcaiche interne al tema. Anthony Bryer ha
riscontrato che per tutta la durata dell'Impero di Trebisonda fu operativa la
distrettuazione militare del territorio in banda, tipica dei themata del X e dei primi
quarti dell'XI secolo66, ma che le riforme amministrative attuate in età comnena
avevano abolito nel resto dell'Impero67. A meno di supporre un'improbabile
volontà da parte del governo centrale di preservare tali suddivisioni soltanto in
Chaldia, è verosimile che le condizioni in cui versava la provincia e l'ostilità delle
63 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. II, p. 151. 64 Prerogative che era in grado di gestire in prima persona, forse anche grazie al fatto che si era
appropriato di una quota consistente delle risorse pubbliche locali. 65 Su Teodoro si v. in breve A.A.M. Bryer, A Byzantine Family, cit., p. 175, n. 3; B. Skoulatos, Les
personnages byzantines de l’Alexiade: analyse prosopographique et synthèse, Éditions Nauwelaerts,
Louvain 1980 (Universitè de Louvain. Recueil de travaux d’histoire et de philologie, série 6, fasc.
20), pp. 295-298, n. 200; A. Rigo, Il martirio di Teodoro Gabras (BHG 1745), in «Analecta
Bollandiana», 116, 1998, pp. 147-156; A.M. Bryer, A. Dunn, J.W. Nesbitt. “Theodore Gabras, Duke
of Chaldia (†1098) and the Gabrades: Portraits, Sites and Seals”, in A.E. Laiou, A. Avramea, E.
Chrysos (a cura di), Βυζάντιο: Κράτος Και Κοινωνία. Μνήμη Νίκου Οικονομίδη, Ινστιτούτο
Βυζαντινών Ερευνών, Αθήνα 2003, pp. 51-70; più analiticamente M. Fasolio, Dentro il sistema e
contro l’Impero: l’ascesa politica di Teodoro Gabras e la costruzione dell’autonomia pontica dopo la battaglia
di Manzicerta, in «Storicamente», XIV, 2018 (10.12977/stor719, consultato il 31/12/2018). 66 A.A.M. Bryer, Rural Society, cit., pp. 152-160. 67 H. Glykatzi-Ahrweiler, Recherches sur l'administration, cit., pp. 61 sgg.
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classi dirigenti ai funzionari di Costantinopoli avessero avessero reso pressoché
impossibile adeguare l'amministrazione locale a quella delle altre province
bizantine e che quindi si fossero conservate alcune strutture precedenti
all'avvento di Alessio I.
Se gli anni di Teodoro Gabras erano stati l'incubatrice del particolarismo
politico e dell'autonomia del Ponto, il XII secolo fu il laboratorio del separatismo,
che, nel 1204, sarebbe sfociato nella costituzione di un principato indipendente.
A fasi durante le quali il governo centrale era capace di imporre funzionari
sganciati dalle logiche locali di potere e familiari
si alternarono, in maniera quasi carsica, momenti durante i quali le 'istanze
teodoriane' riemergevano prepotentemente, non di rado attraverso modalità
assai più violente rispetto al passato. La dinamica 'oscillatoria' della politica
trebisontina sembrava rispondere a un canovaccio abbastanza preciso.
L'imperatore riusciva inizialmente a nominare un governatore estraneo alla
Chaldia, ma questi non possedeva né le risorse68 né i legami personali con il ceto
dirigente locale necessari ad assumere le redini dell'amministrazione entro il
sistema formatosi sotto Teodoro Gabras: perciò la sua azione risultava inefficace.
Per risolvere il problema l'unica opzione era rivolgersi a un esponente del ceto
militare del Ponto, il quale avrebbe potuto contare sulla collaborazione dei suoi
pari, ma allo stesso tempo avrebbe avuto a disposizione gli strumenti utili a
comportarsi come Teodoro o, peggio, ribellarsi apertamente al sovrano: cosa che
avveniva puntualmente.
Nel 1098, in apparenza, l'ordine era tornato a Trebisonda, giacché a Teodoro
era succeduto Michele Dabateno, fedele ad Alessio I e originario della lontana
Eraclea Pontica69, nondimeno, allorché il nuovo duca fu richiamato nella capitale
per essere sostituito con Gregorio Taronita nel 110370, la situazione precipitò
nuovamente. Gregorio apparteneva a un ramo della dinastia bagratide
68 Né le poteva reperire in loco tra quelle pubbliche solitamente a disposizione dei funzionari, dal
momento che Teodoro le aveva probabilmente requisite al momento della conquista di
Trebisonda. Le condizioni nelle quali versava allora l'Impero, inoltre, non consentivano al basileus
di dotare il governatore di un apparato coercitivo sufficiente a superare i problemi di governo
con l'uso della forza. 69 Eraclea si trova effettivamente sul Mar Nero, come l'aggettivo 'Pontica' suggerisce, tuttavia
dista parecchie centinaia di chilometri da Trebisonda, dunque Dabateno non può essere
annoverato tra gli esponenti della classe arcontale dell’ex-tema di Chaldia: cfr. Anne Comnène,
Alexiade, cit., vol. III, p. 75. Su Dabateno v. B. Skoulatos, Les personnages, cit., p. 74, n. 46 e la relativa
bibliografia. 70 Tutta la vicenda di Gregorio da noi riportata è raccontata in Anne Comnène, Alexiade, cit., vol.
III, pp. 75-77.
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trasferitosi a Bisanzio nella seconda metà del X secolo71 che, in base a
testimonianze sia coeve, sia posteriori al 120472, si era alleato con il clan Gabras
sin dai tempi delle rivolte aristocratiche contro Basilio II e si era costruito un
cospicuo nucleo patrimoniale in Chaldia73. Già prima della nomina a duca,
Gregorio si era distinto in alcune operazioni nel Ponto orientale74 e fu forse anche
per questa ragione che la scelta di Alessio I cadde su di lui. Fu però una decisione
malaugurata, dal momento che ancora prima di giungere in Chaldia Gregorio si
ribellò al sovrano, catturò Dabateno insieme ad alcuni arconti di Trebisonda e li
rinchiuse nella fortezza di Tebenna. Constatata la scarsa inclinazione del nuovo
duca a ritornare sui suoi passi, il basileus allestì una spedizione con a capo il
cugino di Gregorio, Giovanni Taronita75, nella speranza che questi riuscisse a
persuadere il ribelle a desistere, evitando uno scontro fratricida. Gregorio,
tuttavia, invece di ascoltare le parole di Giovanni, cercò un abboccamento con
l'emiro danishmendide del Djanik Gümüshtegin Ghazi (1104-1134)76 e, mentre si
dirigeva a Colonea per congiungersi con le truppe dell'alleato, fu sorpreso dal
cugino, catturato e condotto in catene a Costantinopoli nel 1106.
Qualora estrapolassimo l'episodio dal suo contesto, non ci offrirebbe grandi
spunti di riflessione, poiché in tal caso si tratterebbe soltanto dell'ennesima
rivolta scoppiata nel corso della millenaria storia di Bisanzio. Gregorio Taronita,
tuttavia, era membro di un lignaggio da tempo radicato in Chaldia e per giunta
storicamente vicino ai Gabras: dunque era prevedibile che cercasse di sfruttare i
suoi rapporti con l'aristocrazia pontica e l'incarico che Alessio I gli aveva conferito
al fine di ritagliarsi uno spazio di autonomia politica. Fin qui nulla di eclatante,
visti i recenti trascorsi di Teodoro Gabras, ma ciò che è significativo in questo
71 Sui Taroniti è ancora valido lo studio di N. Adontz, Les Taronites à Byzance, in «Byzantion», 11,
1936, pp. 21-42. 72 F.I.Uspenskij, V.V. Benešević (ed. a cura di) , Вазелонские акты. Материалы для истории
крестьянского и монастырского землевладения в византии XIII-XV веков, Издание
Государственной Публичной Библиотеки, Ленинград 1927 (Госудаственная публичная
библиотека в Ленинграде, серия V, Orientalia 2), p. 33, n. 59, pp. 36 sg., n. 62. 73 Questa teoria in merito al radicamento in Chaldia dei Taroniti è ampiamente discussa in M.
Fasolio, Ai margini dell'Impero..., cit., pp. 111-114. 74 Theophylacti Achridensis Epistulae, ed. a cura di P. Gautier, Association de Recherches
Byzantines, Thessalonicae 1986 (Corpus Fontium Historiae Byzantinae, XVI/2, Series
Thessalonicensis), pp. 414-417, 426-433, nn. 78, 81. 75 Su di lui v. B. Skoulatos, Les personnages, cit., pp. 155 s., n. 93; K. Varzos, Η γενεαλογία των
Κωμνηνών, 2 voll., Κέντρον Βυζαντινῶν Ἐρευνῶν, Θεσσαλονίκη 1984 (Βυζαντινά κείμενα και
μελέται, 20/α-β), vol. I, pp. 128-132. 76 Sui Danishmendidi v. N. Oikonomides, “Les Danishmendides, entre Byzance, Bagdad et le
sultanat d'Iconium”, in Id., Byzantium from the ninth century to the fourth crusade. Studies, texts,
monuments, Variorum, Aldershot 1992; A.G.K. Savvides, Ο βυζαντινός Πόντος, οι Σελτζούκοι
και οι Ντανισμεντίδες Τούρκοι, in «Αρχείον Πόντου», 47, 1996, pp. 91-106.
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caso sono i due gesti che Gregorio compì nel corso della sua breve ribellione,
ossia il rapimento di Dabateno e di alcuni arconti di Trebisonda al seguito di
quest'ultimo e il tentativo di allearsi con Gümüshtegin per contrapporsi a
Giovanni Taronita.
Non era forse casuale che proprio Dabateno, il quale aveva incarnato le
prerogative del basileus in Chaldia, fosse accompagnato da esponenti del
notabilato della metropoli pontica e che la prima mossa di Gregorio Taronita
fosse stata catturarli e imprigionarli. Possiamo supporre che i gruppi dirigenti
del capoluogo e delle altre città pontiche fossero più propensi a rinsaldare i
legami con la capitale, verosimilmente in virtù del fatto che un'eventuale
secessione avrebbe danneggiato i loro affari77, e che, pertanto, avessero guardato
con sospetto sia alla condotta di Teodoro Gabras sia al profilo di Taronita. I clan
guerrieri legati ai Gabras, al contrario, avvertivano la presenza del governo
centrale come superflua, dal momento che avevano riconquistato e difeso
Trebisonda senza che l'imperatore intervenisse in alcun modo in loro aiuto e
dunque sarebbero stati ragionevolmente più propensi ad appoggiare la ribellione
di Gregorio. Grazie ai suoi trascorsi in loco e alla rete di alleanze familiari dei
Taroniti, è probabile che il duca fosse a conoscenza della divisione in seno alle
classi dirigenti pontiche e che, siccome – per citare l'Alessiade – "da lungo tempo
covava la ribellione"78, forse già avesse pianificato di colpire gli arconti urbani,
suoi potenziali oppositori, per poi affidarsi ai lignaggi rurali.
Presumiamo che il seguito di Gregorio fosse grosso modo equiparabile per
dimensioni e composizione a quello di cui si era circondato a suo tempo Teodoro
Gabras; nondimeno, a differenza del suo predecessore, Taronita si era
apertamente ribellato al sovrano e, forse, avvertì la necessità di reclutare ulteriori
alleati per far fronte alla imminente reazione di Alessio I. Gregorio non ebbe altra
scelta che rivolgersi all'emiro Danishmendide, giacché il suo territorio confinava
con la Chaldia e, perciò, era presumibilmente l'unico in grado di intervenire in
tempi brevi contro le truppe di Giovanni Taronita. Tale scelta – vale a dire cercare
l'intesa con un vicino signore musulmano – era inedita in Chaldia negli anni
posteriori alla battaglia di Manzicerta79 e fu determinata da fattori
prevalentemente contingenti, dal momento che Gregorio confidava nel fatto che
77 La nostra ipotesi è che costoro traessero il proprio sostentamento principalmente dall'attività
mercantile e che quindi avessero tutto l'interesse a conservare buoni rapporti con Costantinopoli. 78 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. III, p. 75. 79 Anche se non del tutto inedita per i ribelli che sceglievano Trebisonda come base di partenza,
dato che Barda Sclero, quando diede avvio alla sua rivolta contro Basilio II, era stratego della
Chaldia e aveva al suo fianco truppe e signori islamici provenienti dalle zone a Est del confine
bizantino. V. per esempio quanto afferma Yaḥyā al-Anṭakī, Cronache dell’Egitto fāimide e dell’impero
bizantino (937-1033), ed. a cura di B. Pirone, Jaca Book, Milano 1998 (Patrimonio Culturale Arabo
Cristiano, 3).
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solo con l'aiuto tempestivo di Gümüshtegin sarebbe riuscito a sconfiggere gli
imperiali, ma divenne un precedente al quale sia i successivi governatori ribelli,
sia i Grandi Comneni si sarebbero ispirati nei decenni seguenti.
L'esperienza di Gregorio Taronita a Trebisonda si era conclusa nel volgere
di un triennio (1103-1106) e, nonostante fosse per certi versi analoga, se non
addirittura più radicale di quella di Teodoro Gabras80, fu probabilmente troppo
breve per potersi evolvere in qualcosa di più 'strutturato' rispetto a una semplice
ribellione81. Dopo la cattura di Gregorio è verosimile che ancora una volta la
basileia fosse rientrata in possesso della Chaldia e, visto il silenzio delle fonti sugli
eventi del Ponto di quegli anni, che gli imperatori fossero nuovamente riusciti a
imporre funzionari fedeli al governo centrale. Tuttavia, così come era accaduto in
seguito al 1098, poco più di una decina di anni dopo il periodo di relativa
tranquillità successivo alla cattura di Gregorio Taronita (1106), riaffiorarono
prepotentemente in superficie le pulsioni autonomiste della regione. Costantino
Gabras, figlio o nipote di Teodoro82, fu nominato duca di Trebisonda in un anno
compreso tra il 1116, allorché guidò l'ala destra delle truppe di Alessio I nella
battaglia di Filomelio83, e il 1119, quando per la prima volta fonti arabe e siriache
lo menzionano con il suo nuovo incarico84. Non vi sono indizi riguardo alla
dinamica che indusse Alessio I o, con maggiore probabilità, suo figlio Giovanni
II (1118-1143) a scegliere un uomo potenzialmente così pericoloso come un
parente prossimo di Teodoro Gabras per governare la Chaldia: nondimeno
possiamo immaginare che sulla decisione del basileus avessero influito pressioni
ed esigenze di varia natura. Da un lato ci fu presumibilmente il tentativo
dell'aristocrazia pontica di persuadere il sovrano a conferire il titolo di duca a un
personaggio più vicino alla propria sensibilità politica. Dall'altro, è possibile che
lo stesso imperatore si fosse accorto di come il perdurare dai tempi di Teodoro
80 Fu innanzitutto una ribellione in piena regola e, inoltre, Gregorio aveva cercato alleati fuori dal
perimetro della basileia. 81 Su Gregorio si v. anche B. Skoulatos, Les personnages, cit., pp. 156-158, che però fa confusione
con un suo omonimo più tardo, e F. Chalandon, Les Comnéne. Études sur l'empire byzantin aux XIe
et XIIe siècles, 2 voll., Picard et Fils, Paris 1900-1912 (Mémoires et documents de l'École des Chartes,
4/1-2), vol. I, pp. 241 s., che sono gli unici a non confonderlo con Gregorio Gabras, figlio di
Teodoro. Per una discussione sull'identità di Gregorio e sulla bibliografia che lo riguarda v. M.
Fasolio, Ai margini dell'Impero..., cit., pp. 119 s. 82 Su questa questione si v. la sintesi sulle fonti e la storiografia in M. Fasolio, Ai margini
dell'Impero..., cit., pp. 95 s. 83 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. III, p. 202. 84 Ibn-Alatyr, Extrait de la chronique intitulée Kamel-Altevarykh, in Recueil des historiens des croisades.
Historiens orientaux, vol. I, Imprimerie Nationale, Paris 1872, p. 341; Gregorii Abulpharagii sive
Bar-Hebraei Chronicon Syriacum, ed. a cura di P. J. Bruns, G. W. Kirsch, apud Adamum Fridericum
Boehmium, Lipsiae 1789, pp. 306 s.; Michel le Syrien, Chronique, 4 voll., ed. a cura di J.-B. Chabot,
Ernest Leroux, Paris 1899-1910, vol III, p. 205.
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Gabras dell'anomalo sistema di potere proprio della regione rendesse poco
incisiva l'attività di governo di un ufficiale che non vi era pienamente inserito.
Può dunque darsi che la designazione di Costantino – il quale, peraltro, aveva in
più di una occasione dimostrato la sua abilità come stratego in aree di confine85 –
fosse stata un azzardo calcolato, con lo scopo di recuperare il rapporto con le élites
locali e scongiurare un'impasse amministrativa altrimenti inevitabile.
Costantino attese qualche anno prima di ricalcare le orme dei suoi
predecessori, dal momento che la prima notizia riguardo alla sua ribellione risale
al 1126. Teodoro Prodromo ci informa, nella monodia in onore del suo maestro
di teologia Stefano Scilize, del fatto che questi era stato ordinato metropolita di
Trebisonda, ma non era riuscito a raggiungere la sua sede a causa della 'tirannide'
di Costantino Gabras86. Non siamo in grado di individuare il momento preciso
nel quale il duca stabilì di rivoltarsi contro l'Impero, ma presumiamo che una
data di poco anteriore alla menzione di Teodoro Prodromo, cioè intorno alla metà
degli anni Venti del XII, sia la più plausibile. Eppure, già prima del 1126
Costantino aveva manifestato una certa propensione ad assumere decisioni in
autonomia, dal momento che nel 1119 aveva accolto a Trebisonda l'emiro ibn-
Mangudjak di Celzene, allora in conflitto con Gümüshtegin Gahzi e Balak di
Melitene. La scelta del duca si rivelò disastrosa, in quanto le forze congiunte di
Trebisonda e ibn-Mangudjak furono sbaragliate dagli avversari e lo stesso
Costantino fu catturato, per poi essere riscattato – forse dai suoi stessi familiari,
come sembra suggerire Barebreo – in cambio di 30000 dinari87. Agli inizi degli
anni Trenta la ribellione era ancora in corso, se consideriamo che il sebastokrator
Isacco Comneno88, fratello di Giovanni II, che nel 1130 aveva disertato il campo
bizantino nel corso di una spedizione contro i Danishmendidi, si era rifugiato
presso Gümüshtegin ed era stato da questi utilizzato per negoziare un'intesa con
Costantino, il quale era evidentemente in rotta con il basileus89. Le circostanze non
erano mutate nemmeno sul finire del decennio, giacché nel 1139 l'imperatore
aveva allestito un'altra campagna per liberarsi dei Danishmendidi e del duca di
Trebisonda, ma la defezione presso i Selgiuchidi di Giovanni Comneno90, figlio
85 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. III, pp. 111, 168, 202. 86 L. Petit, Monodie de Théodore Prodrome sur Etienne Skylitzès métropolitaine de Trébizonde, in
«Известия Русского археологического института в Константинополе», VIII, 1902, pp. 1-14,
spec. 9 s. 87 Per le fonti, incluso Barebreo, v. la n. 83. 88 Su costui si v. K. Varzos, Η γενεαλογία, cit., vol. I, pp. 238-254. 89 Michel le Syrien, Chronique, cit., vol. III, p. 230. 90 Per un suo profilo v. K. Varzos, Η γενεαλογία, cit., vol. I, pp. 480-485.
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del sebastokrator Isacco, ne aveva vanificato gli sforzi, costringendolo a ripiegare
verso la capitale91.
Sulle vicissitudini di Costantino in seguito alla fallita spedizione bizantina
del 1139 non vi sono informazioni sicure, visto che la sola fonte a menzionarlo
dopo quella data è la monodia di Teodoro Prodromo, dalla quale apprendiamo
che nel 1140 "un famosissimo generale" era riuscito a scacciare il ribelle dalla sua
sede, consentendo così a Stefano Scilize di raggiungere finalmente Trebisonda92.
È nondimeno sospetto che sia Niceta Coniate, sia Giovanni Cinnamo, ossia i
principali storici del tempo, tacciano del tutto sulla vicenda, siccome la ribellione
di Costantino proseguiva ormai da almeno una quindicina d'anni e il suo
allontanamento dal Ponto sarebbe stato un colpo notevole per il basileus. La
possibilità per Scilize di recarsi a Trebisonda – elemento sul quale non nutriamo
riserve, dal momento che questi era il dedicatario e il protagonista del
componimento – indica che in qualche modo il duca ribelle fu costretto ad
abbandonare la sua sede o quantomeno ad accettare l'insediamento del
metropolita. Il silenzio degli storici coevi – i quali avrebbero senz'altro avuto tutto
l'interesse a menzionare un tale successo dell'imperatore – lascia però spazio
all'ipotesi che il cedimento di Costantino fosse stato temporaneo e che, in qualche
modo, quest'ultimo avesse continuato a condizionare la vita della regione o se ne
fosse addirittura riappropriato dopo il 1140.
3. Il ruolo di Costantino Gabras e dei suoi epigoni: notazioni conclusive
L'esperienza di Costantino Gabras condusse la proiezione secessionista della
classe dirigente pontica ad assumere una fisionomia ancora più definita, non solo
e non tanto in ragione delle attività che il duca svolse nel campo della 'politica
estera'93, peraltro affini a quelle di Gregorio Taronita di qualche anno prima,
quanto piuttosto in virtù del suo atteggiamento nei confronti dell'eredità di
Teodoro Gabras e delle istanze provenienti dal governo centrale. Stando a un
sinassario settecentesco che rielabora materiale più antico ora non più accessibile,
Costantino recuperò le spoglie mortali di Teodoro Gabras da un certo Amir Alì94,
91 Nicetae Choniatae Historia, cit., vol. I, pp. 34-36; Ephraemii Monachi Imperatorum et
patriarcharum recensus, ed. a cura di I. Bekker, Impensis Ed. Weberi, Bonnae 1840 (Corpus
Scriptorum Historiae Byzantinae, XXI), p. 168; Anonymou Σύνοψις χρονικὴ, in Μεσαιωνικὴ
βιβλιοθήκη, 7, a cura di K. N. Sathas, Jean Maisonneuve, Παρίσιοις 1894, p. 205. Quest’ultima è
la cronaca di Teodoro Scutariota. 92 L. Petit, Monodie..., cit., p. 11. 93 Ossia l'alleanza con l'emiro di Celzene e l'abboccamento con i Danishmendidi. 94 A. Papadopoulos-Kerameus, Συμβολαὶ..., cit., pp. 136 s., sul sinassario pp. 133 s., 137; e anche
A. Rigo, Il martirio, cit., pp. 147-156.
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forse lo stesso Ismail di cui parla Anna Comnena95, le riportò a Trebisonda ed
edificò un monastero a lui dedicato per custodirle. Se non fosse per una crisobolla
del 1364 del Grande Comneno Alessio III in favore dei Veneziani che conferma
l'esistenza di un monastero di Teodoro Gabras nei pressi di Trebisonda96,
saremmo stati poco propensi a credere al racconto del sinassario, anche solo a
causa della distanza temporale che lo separa dall'episodio. Eppure, almeno su
questo punto e in merito al martirio di Teodoro – sul quale, quantunque sia
l'unica fonte superstite, è indirettamente corroborato da un accenno di Giovanni
Zonara97–, il sinassario pare effettivamente attingere a tradizioni locali vicine agli
eventi che descrive e, salvo alcune annotazioni un po' 'folcloristiche', può essere
considerato attendibile. Se poi alla costruzione del monastero aggiungiamo il
rifiuto da parte di Costantino di accettare l'insediamento di un metropolita
nominato dalla sinodo costantinopolitana e la prosecuzione, attestata da
Giovanni Lazaropoulos, del finanziamento alle festività in onore di
sant'Eugenio98, il passaggio dalla fase autonomista di fine XI secolo a una più
netta forma di separatismo appare compiuto.
Con la traslazione dei resti di Teodoro Gabras in un santuario a lui intitolato
Costantino lo aveva elevato a simbolo tangibile delle aspirazioni delle élites locali,
circondandolo dell'aura mistica e fuori dal tempo di cui godono i martiri e i padri
fondatori, e contemporaneamente ne aveva rivendicato appieno l'eredità politica
quale campione della grecità pontica. Una rivendicazione che Costantino non si
limitò a declinare nel senso della continuità con le pratiche del passato, come nel
caso dell'evergetismo verso le manifestazioni della religiosità locale o delle
spregiudicate intese con i vicini potentati turcomanni, ma che si estese anche
all'ambito ecclesiastico. Certo, configurare il mancato approdo di Stefano Scilize
a Trebisonda come un'affermazione di autonomia tout court da parte del clero
pontico è probabilmente una forzatura, in quanto potrebbe celare un mero
conflitto personale tra Costantino e il metropolita designato o il timore da parte
di quest'ultimo nel raggiungere un'area dove era in corso una ribellione. Tuttavia,
se teniamo in considerazione l'evoluzione duecentesca dei rapporti tra la sede
costantinopolitana e quella trebisontina – allorché in seguito a un intenso
negoziato il patriarca accettò di circoscrivere il suo ruolo nell'elezione del
95 Anne Comnène, Alexiade, cit., vol. III, pp. 29 s. 96 D. Zakythinos, La chrysobulle d’Alexis III Comnène empereur de Trébizonde en faveur des Vénitiens,
Les Belles Lettres, Paris 1932 (Collection de l'Institut néo-hellénique de l'Université de Paris, 12),
p. 34; lo stesso monastero è citato anche da un passo dell'agiografia di sant'Eugenio di Trebisonda,
in J. O. Rosenqvist (ed. a cura di), The Hagiographic Dossier..., cit., p. 314. 97 Ioannis Zonarae Epitomae historiarum libri XVIII, 3 voll., ed. a cura di M. Pinder, T. Büttner-
Wobst, Impensis Ed. Weberi, Bonnae 1841-1897 (Corpus Scriprorum Historiae Byzantinae, XLVII-
XLIX), vol. III, p. 739. 98 Già attestato per Teodoro Gabras, ivi, p. 214.
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metropolita alla sola ratifica delle decisioni assunte dalla sinodo locale99 –
potremmo definire l'episodio, se non come un precedente, almeno come un
sintomo dei successivi sviluppi in materia ecclesiastica. Favorito dal retaggio
familiare e dalle indubbie abilità personali, Costantino Gabras si era inserito alla
perfezione in un sistema di potere particolarmente adatto al suo profilo e ormai
consolidato. Oltre due decenni di dominio pressoché incontrastato gli avevano
consentito di riprendere le politiche di Teodoro Gabras, svilupparle in maniera
più o meno consapevole secondo l'esempio di Gregorio Taronita nelle relazioni
con il mondo islamico, e applicarle in maniera organica a tutti gli aspetti della
vita pubblica del Ponto. Prototipo del dinasta pontico, Costantino aveva sfruttato
le favorevoli condizioni geopolitiche della Chaldia per condurre alle estreme
conseguenze il particolarismo sociale e culturale proprio della regione, il che non
solo aveva allargato lo iato che già la divideva da Costantinopoli, ma aveva creato
tutti i presupposti affinché, in un eventuale momento di debolezza dell'Impero,
la separazione diventasse definitiva100.
La testimonianza più rilevante riguardo a come la cospicua distanza
geografica e politica tra la capitale e la Chaldia fosse percepita come la norma
nell'epoca dei Gabras proviene da una fonte esterna a Bisanzio, il
Melikdanishmendname101. Si tratta di un poema epico, la cui unica versione
esistente risale al 1360, che narra le vicende di Melikdanishmend (?-1104),
fondatore dell'emirato danishmendide, e dei suoi successori e incorpora le
tradizioni che, presumibilmente in forma orale, circolavano tra le popolazioni
turcomanne dell'Anatolia centro-orientale. In base alle ipotesi di Irene Melikoff –
curatrice e tradut