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6^ GIORNATA 2014/15 LA VALUTAZIONE D’AZIENDA CON EXCEL Sessione di approfondimento

2015.02.24 Dispensa MB 6^GG 2014 2015 Approfondimento · operativa, la seconda all’interpretazione in senso st retto del fenomeno della leva finanziaria e la terza alla valutazione

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6^ GIORNATA

2014/15

LA VALUTAZIONE D’AZIENDA CON EXCEL

Sessione di approfondimento

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GRUPPO EUROCONFERENCE S.P.A. Via E. Fermi, 11 37135 Verona Tel. 045/8201828 Fax 045/583111 Sito internet: www.euroconference.it e-mail: [email protected] Tutti i diritti sono riservati È vietata la riproduzione anche parziale e con qualsiasi mezzo. Editing e impaginazione: Erica Cestaro Stampa a cura di Officina Grafica Editoriale Gli autori, pur garantendo la massima affidabilità dell’opera, declinano ogni responsabilità per eventuali errori e/o inesattezze relative all’elaborazione dei presenti contenuti. Chiuso per la stampa il 24/02/2015

DIREZIONE SCIENTIFICA Sergio Pellegrino, Giovanni Valcarenghi e Paolo Meneghetti DIREZIONE ORGANIZZATIVA Sergio Pellegrino COORDINAMENTO DIDATTICO E ORGANIZZATIVO Marta Calegaro LOGISTICA CONGRESSUALE Delia Rosso, Silvia Mondinelli SERVIZIO CLIENTI Barbara Adami, Laura Roma MARKETING Irene Rebonato, Stefano Varalta ASSISTENZA E WEB MASTER Federica Dal Corso

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INDICE

Contributi di approfondimento

6 STRATEGIA, VALORE E EQUILIBRIO. SCELTE MANAGERIALI E IMPATTO SULL’IMPRESA a cura di Claudio Ceradini

19 SIGNIFICATO E DETERMINAZIONE DEL COSTO DEL CAPITALE a cura del Comitato Scientifico Euroconference

29 LA NOZIONE DI VALORE DELL’IMPRESA E IL PROCESSO DI VALUTAZIONE a cura del Comitato Scientifico Euroconference

41 LA DUE DILIGENCE: FUNZIONE, TIPOLOGIE E MODALITÀ DI ESECUZIONE a cura di Massimo Buongiorno e Marco Capra

48 PREMI E SCONTI DI MAGGIORANZA NELLA VALUTAZIONEa cura di Massimo Buongiorno

54 VALUTARE UN’ACQUISIZIONE: LE MAGGIORI CRITICITÀa cura di Massimo Buongiorno

61 IL METODO PATRIMONIALE SEMPLICEa cura del Comitato Scientifico Euroconference

71 IL METODO MISTO CON VALUTAZIONE AUTONOMA DELL’AVVIAMENTO a cura del Comitato Scientifico Euroconference

77 LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO AZIENDALE: L’IMPATTO DEGLI INTANGIBILI a cura di Massimo Buongiorno

86 L’EVA TRA INDICATORE DI PERFORMANCE E METODO VALUTATIVO a cura di Massimo Buongiorno

94 ALCUNI CASI PARTICOLARI DI VALUTAZIONE D’AZIENDAa cura del Comitato Scientifico di Euroconference

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Schemi operativi di sintesi

104 VALUTAZIONE D’AZIENDA

107 LA BUSSOLA PER LA VALUTAZIONE

115 I METODI DI VALUTAZIONE

124 CASO: VALUTAZIONE DI UNA MICROIMPRESA

129 RUOLO DEL PROFESSIONISTA NELLA VALUTAZIONE E NEGOZIAZIONE

132 VALUTAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI

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Contributi di aggiornamento

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STRATEGIA, VALORE E EQUILIBRIO. SCELTE MANAGERIALI E IMPATTO SULL’IMPRESA

a cura di Claudio Ceradini

L’imprenditorialità, e cioè la capacità, come ben espone Bertini1, di perseguire il successo con azioni e decisioni “che si inquadrino in un rapporto evolutivo delle forze interne dell’azienda con quelle dell’ambiente in cui essa gravita”, costituisce una delle più significative determinanti del valore. Il gestore che sia in grado da un lato di prevedere e comprendere l’evoluzione dell’ambito in cui opera e dall’altro di adattare la struttura dell’impresa a tali mutevoli condizioni, pone le premesse per il raggiungimento ed il mantenimento nel tempo di un consistente vantaggio competitivo e di un adeguato livello di profittabilità e rischio di valore2. Su questo tema il presente contributo tenta un approfondimento sistematico di un possibile metodo, che sia di ausilio alla funzione imprenditoriale per ottimizzare l’azione delle relative politiche al fine di rendere massima e duratura la redditività del capitale ed il valore dell’impresa. Un siffatto strumento diverrebbe di ausilio alla funzione imprenditoriale nella misura in cui fosse in grado di evidenziare ed apprezzare gli effetti sulla redditività e sul valore del capitale d’impresa delle diverse opzioni di politica aziendale.

1. Il contesto

Uno dei modelli di rappresentazione ed analisi della redditività aziendale maggiormente utili allo scopo di questo contributo, è certamente la formulazione nota come “leva finanziaria” di Modigliani e Miller, ed è forse il caso, a questo punto, di ricordarne brevemente la struttura ed il significato. È a tal proposito indubitabile che, in tema di studio della redditività aziendale, le analisi hanno condotto alla nascita, negli anni, di diverse scuole di pensiero. Una relativa unitarietà di vedute tuttavia conduce ad individuare in due fenomeni le principali determinanti della redditività: i volumi e l’efficienza da un lato, la struttura delle fonti di finanziamento e l’impatto tributario dall’altro. Nel tempo i concetti hanno subito progressivi perfezionamenti e si è assistito ad una integrazione dei paradigmi vecchi con quelli nuovi. Si possono comunque, ai nostri fini, rintracciare due posizioni principali ed antitetiche:

1 Cfr U. Bertini, Scritti di Politica Aziendale, Geppichelli, Torino, 1995. 2 Cfr G. Hamel, C. Prahalad, Alla conquista del futuro, Il Sole 24 Ore Libri, Milano 1995.

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Strategia, valore e equilibrio. Scelte manageriali e impatto sull’impresa

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1. la prima che, sulla base di definite ipotesi sul funzionamento del mercato dei capitali3, sostiene l’assoluta irrilevanza e ininfluenza della scelta fra capitale proprio e capitale di debito, ai fini dell’accrescimento del valore di mercato dell’azienda;

2. la seconda, i cui diversi contributi sono stati rivolti alla formulazione di parametri per la valutazione dell’ottimale struttura del passivo aziendale e all’interpretazione e quantificazione dell’effetto di leva finanziaria.

La formulazione matematica della leva finanziaria consente di evidenziare entrambi i profili di analisi di cui sopra, sia quello più strettamente legato alla struttura delle fonti, sia anche quello operativo. L’effetto di leva finanziaria dipende infatti, oltre che dalla composizione delle fonti del passivo e dal carico tributario, anche dalla redditività operativa. Considerate le interconnessioni economiche e finanziarie, il concetto di leva finanziaria costituisce quindi uno strumento di rappresentazione e di governo delle articolate relazioni che determinano la redditività del capitale proprio. Matematicamente l’espressione a cui faremo riferimento sarà la seguente:

( )[ ]ITSriiROIROIROE −+= Ove: ROE (Return on Equity) =

ROI (Return on Investement) =

i (Onerosità capitale di terzi media) =

r.i. (Rapporto di Indebitamento) =

I.T.S (Incidenza della tassazione e della gestione straordinaria) = ( )OFRO

Rn

ed Rn = Reddito netto RO = Reddito Operativo CN= Capitale Netto OF = Oneri Finanziari CT = Capitale di Terzi Oneroso CN = Capitale Netto CI = Capitale Investito, pari a CT + CN

Senza entrare nel dettaglio di questo meccanismo peraltro noto, sarà sufficiente ricordare il significato di leva finanziaria. Dalla stessa formulazione matematica si intuisce come l’espansione del rapporto di indebitamento provochi un effetto incrementativo o rettificativo sulla redditività del capitale netto, in relazione al segno della differenza tra ROI e i, definita spesso per brevità “spread”. Tale effetto subisce

3 Le ipotesi alla base di questa impostazione, che fu anche di Modigliani e Miller, si possono così riassumere (cfr Ottavio Ziino, Le leve aziendali - considerazioni critiche e spunti di analisi pg 82-83):

1.Gli investitori e le imprese sopportano il medesimo costo del capitale; 2. Il mercato dei titoli è caratterizzato dalle condizioni della concorrenza perfetta e non vi sono imposte sul reddito delle imprese o sui dividendi, né costi connessi alla negoziazione o all’emissione dei titoli. 3. Le imprese non possono fallire e, in ogni caso, il fallimento non comporta alcun costo.

CN

Rn

CI

RO

CT

OF

CN

CT

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in certa misura un ridimensionamento per effetto dell’incidenza sul reddito netto della gestione straordinaria e tributaria. Il rapporto di indebitamento agisce in senso moltiplicativo, aumentando la redditività del capitale di rischio se la redditività del capitale investito (ROI) risulta superiore all’onerosità del capitale di terzi (i) o riducendola, in caso contrario. Si determinano quindi tre distinte aree di indagine relative, la prima alle determinanti della redditività operativa, la seconda all’interpretazione in senso stretto del fenomeno della leva finanziaria e la terza alla valutazione dell’impatto della gestione straordinaria e tributaria. Sotto il profilo operativo il ROI rappresenta la capacità di reddito dell’impresa a prescindere sia dalle fonti di finanziamento, sia da elementi estranei all’attività caratteristica. Esprime anche il livello di efficienza delle scelte aziendali con riferimento alla gestione caratteristica e quindi la capacità dell’impresa di approvvigionarsi economicamente di fattori produttivi e di collocare prodotti e servizi sui mercati a prezzi remunerativi. Il ROI deriva dal rapporto tra reddito operativo e capitali investiti nell’impresa e la massimizzazione di tale indicatore costituisce uno dei principali obiettivi del gestore accorto. Le politiche di volumi, prezzi e margini connesse a questo aspetto e che hanno trovato efficace rappresentazione, pur con i ben noti limiti, nella B.E.A.4, trovano nel ROI adeguata sintesi. Il rapporto fra indebitamento finanziario e mezzi propri e la connessa costosità del sistema delle fonti costituiscono tutt’oggi argomento di studio. Il problema di una struttura finanziaria ottimale è riconducibile ad una questione di minimizzazione del costo complessivo dei capitali apportati da soci e terzi finanziatori. Nel corso degli anni diverse scuole di pensiero si sono espresse al riguardo, giungendo a consolidare i due approcci fondamentali di cui in precedenza. Il primo approccio sostiene l’esistenza di un grado di indebitamento (leverage) ottimale che permette di ridurre il costo del capitale fino ad un punto di minimo. L’altra tesi ritiene invece che non vi sia correlazione fra valore dell’impresa e struttura del capitale. Recenti contributi5, tuttavia, consentono di preferire la prima delle due interpretazioni. Il coefficiente di indebitamento rappresenta, se eccessivo, una causa di fragilità dell’azienda, poiché, a parità di rendimento e di costo dei capitali, concorre all’aumento della variabilità del risultato economico di periodo. Il prelievo tributario, infine, costituisce un fattore rettificativo della redditività; “Tenendo presente, infatti, che la leva finanziaria altro non è che il moltiplicatore della redditività, può sostenersi che, …, l’impresa che voglia esaltare la propria redditività netta, od assicurarne la stabilità, può operare o sulla variazione dell’indebitamento, ovvero, se a ciò impedita per motivi legati alla propria struttura finanziaria, anche mediante la ricerca di benefici fiscali”6. La formulazione matematica della leva finanziaria esplicita, quindi, almeno tre grandi aree, sufficientemente distinte le une dalle altre, con le quali la funzione imprenditoriale non può non confrontarsi. Quanto precede non costituisce, in senso assoluto, una novità. I meccanismi di governo della redditività e la stretta connessione con il posizionamento competitivo aziendale e le tecniche e gli strumenti di pianificazione strategica hanno costituito e costituiscono a tutt’oggi oggetto di frequenti analisi ed approfondimenti7.

4 Break Even Analisys 5 La formulazione del costo dell’indebitamento oneroso potrebbe essere così formulata i=(i1+γC.T./C.I.) x (1-t), riconducendo il valore di i a

funzione del tasso risk free (i1) e di una maggiorazione legata al livello di indebitamento ed al settore di appartenenza (γC.T./C.I). Cfr Ettore

Castellani, Struttura finanziaria ottimale di impresa e creazione di valore, in Analisi Finanziaria, , IFAF, n. 42. 6 Massaroni E. Il tasso di prelievo fiscale: sua influenza sull’effetto leva finanziaria , ….. , pg103 7 In questo senso si sono espressi i principali filoni dottrinali, dalla scuola di Harvard ai più recenti contributi di Abell, Hamel e Prahalad.

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Strategia, valore e equilibrio. Scelte manageriali e impatto sull’impresa

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Tuttavia lo scenario all’interno del quale la funzione imprenditoriale si realizza è ai nostri giorni in grande evoluzione. Grandi cambiamenti sono avvenuti ed altri se ne prospettano, sotto diversi profili. L’ultimo ventennio ha reso accessibili mercati prima sostanzialmente sconosciuti. Dopo il 1989 e gli storici avvenimenti di quell’anno, pur tra grandi difficoltà, all’imprenditoria si è dischiusa l’opportunità di realizzare prima insperate economie di approvvigionamento di alcuni dei più significativi fattori produttivi e di accedere a nuovi fronti di domanda dei propri prodotti, con rilevanti effetti sui volumi di vendita. Quelle circostanze costituiscono unicamente un esempio delle potenzialità che la sempre maggiore libertà di circolazione di beni e capitali comporta e che la funzione imprenditoriale non può ignorare, nel rispetto di regole e limitazioni che le mantengano all’interno di politiche sostenibili anche sotto il profilo sociale. Si assiste in questi anni alla evoluzione del modello di impresa, che da nazionale e fortemente legata al territorio è già divenuta multinazionale e che ora tende ad evolvere verso un modello sovranazionale8, in cui il legame tra impresa e territorio si attenua sino a diventare impercettibile ed in cui la localizzazione si realizza sul “mercato globale”9, operando scelte di politica aziendale finalizzate all’incremento della redditività e della profittabilità. Le attuali possibilità, in termini di tecnologia e strumenti giuridici, consentono non solo alle imprese di grandi dimensioni ma anche all’imprenditore medio e piccolo, ma efficiente, di strutturare la propria attività attingendo alle opportunità legate non solo alla maggiore efficienza ed ai volumi, ma anche agli altri profili sopra delineati, pur all’interno di precisi limiti. Riprendendo una efficace articolazione del Valenti, la triade impresa-società-azienda si scompone e ricompone nel territorio in relazione alle logiche di flessibilità, convenienza ed elasticità. In questo nuovo scenario è estremamente importante comprendere quale sia la portata delle scelte possibili, affinché modificazioni delle tecniche di governo aziendale possano essere adottate alla luce degli effetti attesi sulla struttura sia economica che patrimoniale dell’impresa. Sotto altro profilo questi stessi scenari richiedono un approccio diverso e maggiormente scientifico anche alle istituzioni. In questo ambito il ruolo dello Stato in un mercato ove gli spazi territoriali “sembrano esistere solo sulle carte geografiche”10 non può non subire sostanziali modificazioni. Le violazioni che lo Stato tende a subire in termini di dominio sulla materia imponibile “locale”11 richiedono un ripensamento delle sue funzioni, che alcuni ritengono debbano limitarsi alla fornitura delle infrastrutture essenziali e che invece possono, ritengo, spingersi alla realizzazione di strumenti evoluti che favoriscano i meccanismi di sviluppo della redditività e dei connessi indicatori macroeconomici. La competizione che negli ultimi anni si è realizzata tra stati in tema di creazione delle condizioni di attrazione di capitali di impresa, nell’ambito della quale la leva del carico tributario ha rappresentato sostanzialmente l’unico aspetto significativo12, deve evolvere verso meccanismi e strumenti diversi e più funzionali alla propria crescita. In tal senso la Commissione dell’Unione Europea ha già emesso un consistente documento, parte del cosiddetto “pacchetto Monti”, che consiste nel Codice di Condotta1314, e nella proposta di altre due Direttive, in materia di interessi e canoni infragruppo e tassazione dei redditi di capitale. L’intervento della U.E. risponde proprio alla opportunità di evitare

8 Cfr Piergiorgio Valente, Imprese invisibili e fiscalità, in Il Fisco, n. 21/2002 9 Piergiorgio Valente, Op. cit. 10 Piergiorgio Valente, Op. cit., cfr Il Continente Digitale – Società Globale, Geofiscalità, ed. Il Sole 24 Ore Libri, 2002 11 Esempio ne sia il fenomeno esasperato del country shopping. 12 Cfr il Rapporto emesso dalla Commissione delle Comunità europee nel marzo del 1992, intitolata Rapport du Comité de reflexion des experts indépendants sur la fiscalità des interprises e l’indagine ANDAF sui profili qualitativi della fiscalità d’impresa. 13 Adottato dal 01.12.1997 14 Il Codice di Condotta contiene alcune indicazioni, di natura politica non vincolanti per i paesi aderenti, consistenti nella riduzione degli effetti distorsivi della concorrenza tributaria, nella prevenzione della perdita di gettito da parte degli stati della tendenziale riduzione del carico tributario sul lavoro dipendente e nell’evoluzione dei sistemi fiscali verso meccanismi che favoriscano la creazione di posti di lavoro.

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che il risparmio tributario e non le condizioni di profittabilità e di massimizzazione del valore diventino l’elemento discriminante per la canalizzazione dei capitali di impresa. La tendenza europea, quindi, è verso la progressiva armonizzazione delle normative e delle regole ed il sostanziale allineamento del carico tributario. 2. Una proposta di metodo

Il modello che si propone si sostanzia nella scomposizione analitica delle diverse determinanti della redditività aziendale e nella quantificazione dei relativi effetti, al fine di poter apprezzare l’impatto delle singole scelte di politica aziendale, sia in riferimento alle performances reddituali che alle conseguenti tendenze di valore del capitale economico. La logica di scomposizione deriva dalle tecniche di analisi degli scostamenti tipiche dei sistemi informativi di controllo della gestione, in aree sia commerciali che produttive, e consiste nella enucleazione dei singoli fattori determinanti e nella quantificazione delle variazioni di redditività connesse alla variazione di ognuno di essi. La formulazione matematica proposta evidenzia, come già sottolineato, le tre aree di interesse: • area operativa, la cui sintesi numerica degli effetti sia di volume15 che di efficienza16 è rinvenibile

nel ROI; • area finanziaria, che si esplicita nella costosità del capitale di credito (i) e nella relativa modulazione

rispetto al capitale di rischio (r.i.); • area tributaria, connessa al carico tributario unitario (t) e che si esplicita nel fattore di correzione

ITS che assume, in assenza di incidenza della gestione straordinaria, valori corrispondenti ad 1-t17. Imponendo alle diverse variabili dell’espressione matematica variazioni progressive è possibile isolare l’effetto delle singole scelte. Tale obiettivo si ottiene, sotto il profilo metodologico mediante il calcolo di una serie di quantità d’aziende strumentali allo scopo e costituite da configurazioni del ROE dapprima rispondenti alle reali condizioni di gestione e successivamente modificate in relazione alla variazione delle singole determinanti. Ne risultano, secondo questa impostazione, le seguenti configurazioni di ROE: 1. ROE: redditività del capitale di rischio al momento di analisi, 2. ROE-lo: redditività del capitale di rischio in presenza di un aumento dei volumi di vendita, e quindi

dello sfruttamento dell’effetto leva operativa, 3. ROE-mc18: redditività del capitale di rischio in presenza dei precedenti elementi e di una variazione

dell’efficienza e quindi del margine di contribuzione unitario, 4. ROE-i: redditività del capitale di rischio in presenza dei precedenti elementi e di una variazione

dell’onerosità media del capitale di terzi (i), 5. ROE-ri: redditività del capitale di rischio in presenza dei precedenti elementi e di una variazione

dell’articolazione delle fonti di finanziamento a favore del capitale di terzi o di rischio e conseguentemente del rapporto di indebitamento (ri),

6. ROE-t: redditività del capitale di rischio in presenza dei precedenti elementi e di una variazione del carico tributario t.

Il calcolo delle differenze emergenti tra le diverse configurazioni di ROE conduce alla determinazione degli scostamenti, e quindi degli effetti delle singole scelte possibili. In dettaglio: 15 Riconducibili più strettamente all’utilizzo della leva operativa. 16 Riconducibili a miglioramenti o peggioramenti del margine di contribuzione. 17 L’espressione Rn/RO – OF, in assenza di gestione straordinaria, può essere riscritta (RO–OF) x (1-t) / (RO–OF), che semplificando risulta uguale a (1-t). 18 Gli effetti volume ed efficienza comportano modificazioni di segno uguale od opposto su un unico parametro, il ROI.

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Strategia, valore e equilibrio. Scelte manageriali e impatto sull’impresa

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va

mca

ia

vp

mca

ia

vp

mcp

ia

vp

mcp

ip

1. Variante ROE-lo: variazione della redditività del capitale di rischio per effetto di un aumento deivolumi di vendita, e quindi dello sfruttamento dell’effetto leva operativa,

2. Variante ROE-mc: variazione della redditività del capitale di rischio per effetto di una variazionedell’efficienza e quindi del margine di contribuzione unitario,

3. Variante ROE-i: variazione della redditività del capitale di rischio per effetto di una variazionedell’onerosità media del capitale di terzi (i),

4. Variante ROE-ri: variazione della redditività del capitale di rischio per effetto di una variazione delrapporto di indebitamento (ri),

5. Variante ROE-t: variazione della redditività del capitale di rischio per effetto di una variazione delcarico tributario t.

La struttura logica del modello trova efficace, ritengo, rappresentazione nella seguente figura, in cui i suffissi “a” e “p” qualificano le variabili nella loro dimensione, rispettivamente attuale e previsionale.

va

mca

ia

ria

ta

vp

mca

ia

ria

ta

vp

mcp

ia

ria

ta

vp

mcp

ip

ria

ta

vp

mcp

ip

rip

ta

vp

mcp

ip

rip

tp

Roe Roelo Roemc Roei Roeri Roet

Vroelo Vroemc Vroei Vroeri Vroet

Un’impostazione come quella che precede costituisce per l’imprenditore ed anche per l’analista uno strumento di ausilio nella fase di selezione delle diverse opzioni di valore. Le logiche di pianificazione strategica, indipendentemente dalla scuola o dalle correnti di pensiero a cui si riferiscono, richiedono che alla fase di deliberazione della strategia segua un momento di selezione delle opzioni con cui l’indirizzo generale trova concretezza. E’ questo un momento assolutamente significativo del complessivo processo di previsione, con cui la creatività imprenditoriale trova contestualizzazione negli scenari economici e patrimoniali aziendali19. Le opzioni possibili, diversamente sinergiche rispetto al raggiungimento degli obiettivi strategici di periodo devono necessariamente essere selezionate, sulla base di criteri sia reddituali, sia anche di diverso ordine. Solo dopo la quantificazione della convenienza e la conferma della sostenibilità, sia operativa che patrimoniale, delle opportunità possibili, è ragionevole operare le inderogabili scelte di valore, accantonando le iniziative premature, non convenienti o eccessivamente rischiose. In questo contesto la metodologia sopra delineata vuole costituire un contributo per evidenziare e rappresentare con immediatezza gli effetti reddituali delle diverse opzioni, e le relative determinanti. E’ inutile sottolineare peraltro che, all’aspetto reddituale, pur nella sua più ampia articolazione (operativa, finanziaria e tributaria), non può affiancarsi un’analisi di tipo diverso, di sostenibilità tecnica

19 Cfr Bettina Campedelli, Il Piano di Impresa, G. Geppichelli, Torino, 2001

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e logistica e di apprezzamento da parte del mercato, che anzi della fase di verifica reddituale costituiscono in certa misura il presupposto. Volendo calare per esigenze di chiarezza l’impostazione che precede in un possibile esempio numerico, si ipotizzi di voler stimare l’andamento della redditività di alcune opzioni di sviluppo e di gestione di un’impresa che presenta i seguenti elementi economici e patrimoniali di sintesi, espressi in migliaia di Euro:

Voci ImportiRicavi di vendita 5.000,0 Margine di contribuzione unitario 45,0%Interest rate (i) 7,0%Tax rate (t) 36,0%Capitale di Terzi (CT) 4.000,0 Capitale Netto (CN) 1.000,0 Capitale Investito (CI) 5.000,0 Margine di Contribuzione 2.250,0 Costi Fissi 1.800,0 Reddito Operativo (RO) 450,0 Oneri Finanziari (OF) 280,0 Imposte 61,2 Reddito Netto (Rn) 108,8 Rapporto di indebitamento (ri) 4,0ROI 9,0%ROE 10,9%

Si ipotizzi ora che l’indirizzo strategico maturato, per effetto delle considerazioni svolte in tema di attrattività del mercato e posizionamento competitivo aziendale conducano alla deliberazione di una strategia di investimento ed espansione verso nuovi e potenzialmente remunerativi segmenti di mercato, territorialmente collocati sia all’interno dei confini nazionali che oltre. Una siffatta situazione è tutt’altro che rara, non soltanto in imprese di grandi dimensione, ma anche in quella parte non secondaria delle PMI capaci di esprimere efficienza e progettualità. L’indirizzo strategico richiede evidentemente una contestualizzazione in opzioni di intervento, le quali tutte presentano più o meno diversi livelli di espansione dei volumi, modificazione dei margini di contribuzione ed operativo medi, fabbisogno finanziario e connessa modificazione della struttura patrimoniale, impatto tributario. La più volte citata modificazione dell’ambiente in cui l’imprenditore opera, che evolve con rapidità verso scenari “globali”, i cui legami con il territorio nazionale divengono sempre più labili, rende sempre più significativa l’analisi complessiva di tutte le determinanti della redditività. L’impresa può approvvigionarsi di fattori produttivi sui mercati economicamente più convenienti, collocare i prodotti sui mercati più remunerativi, provvedere alla copertura del fabbisogno finanziario attingendo alle fonti di credito più economiche. Si ipotizzi quindi che le analisi preliminari eseguite consentano di prevedere il seguente andamento di alcune delle quantità d’azienda sopra riportate:

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Strategia, valore e equilibrio. Scelte manageriali e impatto sull’impresa

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Forecast

step Ricavi di vendita 1,0% Margine di contribuzione unitario -0,2% Interest rate (i) 0,1% Tax rate (t) -0,5% Rapporto di Indebitamento (ri) -0,01

Nella sostanza, quindi, una delle opzioni possibili prevede un incremento dei volumi di vendita dell’1% ed una consequenziale variazione positiva del ROI connessa allo sfruttamento dell’effetto leva operativa20. Contemporaneamente è prevedibile un calo del margine di contribuzione unitario, dovuto al diverso mix aziendale di produzione e vendita che la nuova iniziativa comporta, una variazione in aumento dell’onerosità media del capitale di terzi, pur in presenza di una riduzione del rapporto di indebitamento, in considerazione della diversa e mediamente più onerosa struttura delle fonti, ed una riduzione pari allo 0,5% del tax rate, connessa al favorevole regime tributario di alcuni mercati ed alla relativa accessibilità. Le componenti sono molte e gli effetti sulla redditività spesso contrapposti. Il decremento del margine di contribuzione unitario, l’andamento dei tassi di interesse e la variazione del rapporto di indebitamento tendono a deprimere la redditività del capitale netto. Al contrario la variazione positiva dei volumi di vendita ed il tendenziale calo dell’impatto tributario ne favoriscono la crescita. Il grafico che segue rappresenta le diverse componenti che divengono sempre più accentuate al crescere degli step di analisi, e consente di apprezzare come alla variazione attesa della redditività contribuiscano diversamente le singole determinanti di cui sopra. Grafico 1.

20 Ogni variazione delle quantità d’azienda oggetto di analisi viene determinata “ per step”, volendosi evidenziare gli effetti delle scelte per livelli diversi di variazione assoluta. Ne emerge evidentemente un problema di modulazione degli steps di variazione dei singoli elementi, che richiedono sia verificata la condizione di coerenza reciproca.

-20%

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

Vroe

t/ri/i/mc/v

Vroe-lo

Vroe-mc

Vroe-i

Vroe-ri

Vroe-t

Vroe-Tot

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Dall’analisi del grafico si evince con immediatezza la rilevanza delle diverse componenti che costituiscono il quadro di sintesi della previsione reddituale. La sintesi favorisce l’efficace canalizzazione degli sforzi verso quelle aree di gestione che si rivelano maggiormente significative. Nel quadro aziendale che precede, del tutto esemplificativo, emerge la minor significatività della gestione finanziaria rispetto a quella operativa. L’aumento del tasso di interesse e la riduzione del rapporto di indebitamento non incidono, come la pur contenuta variazione del margine di contribuzione. Al contrario il solo effetto leva operativa sostiene sostanzialmente la crescita della redditività. E’ quindi chiaro che, in un caso siffatto, lo sforzo maggiore dovrà essere rivolto all’area operativa della gestione, a meno che non possano essere ipotizzati completi stravolgimenti dell’onerosità del passivo e della struttura delle fonti. Se la canalizzazione dello sforzo imprenditoriale verso il recupero di efficienza potesse consentire di ipotizzare concretamente il contenimento del calo del margine di contribuzione, l’effetto sulla redditività del capitale risulterebbe maggiore rispetto ad un’analoga azione compiuta sul tasso di interesse. La rappresentazione grafica di queste valutazioni può essere apprezzata con i grafici n. 2 e n. 3. Nel primo la riduzione del margine di contribuzione è stata contenuta allo 0.1% in luogo dell’originario 0.2%, e la variante complessiva del ROE verificata per comodità all’ultimo step (n. 21) risulta positiva e pari al 19% circa. Nel grafico successivo, il n. 3, è stata ipotizzata la costanza dell’’onerosità media dell’indebitamento, in luogo dell’aumento originariamente previsto del 0.1% per step. La variante complessiva del ROE apprezzata al medesimo step risulta inferiore rispetto al caso precedente e di poco superiore al 16%. Le ragioni di tali diverse portate delle singole scelte vanno ricondotte alla struttura economica e patrimoniale. Una differenza modesta tra redditività del capitale investito ed onerosità dell’indebitamento rende poco significative variazioni non sostanziali del rapporto di indebitamento. La leva finanziaria non trova grandi applicazioni in questo genere di situazioni, dove rispetto all’esigenza di incremento reddituale può spesso prevalere quella di tendenziale consolidamento dei mezzi propri rispetto a quelli di credito, per ragioni sia di equilibrio che di prudenza21. Il livello di leva operativa, al contrario, che nel caso esemplificato assume un valore pari a 5, proietta, a parità di struttura, variazioni significative del reddito operativo a fronte di incrementi sufficientemente modesti del volume di vendita. Il secondo dei due effetti, quindi, consente di ipotizzare risultati più incisivi sulla redditività e conduce quindi la funzione imprenditoriale a favorire l’adozione di questo tipo di leva, all’interno delle opzioni possibili.

21 In presenza di “spread” limitati l’effetto leva può divenire con una certa rapidità e per effetto dell’andamento dei mercati finanziari e dei relativi tassi, in gran parte al di fuori del controllo della singola azienda, un meccanismo moltiplicativo dei risultati economici negativi.

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Strategia, valore e equilibrio. Scelte manageriali e impatto sull’impresa

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Grafico 2

Grafico n. 3.

A diverse valutazioni avrebbe condotto una analoga scelta di politica aziendale, con identiche proiezioni modificative delle variabili, ove calato in un contesto aziendale maggiormente sensibile alla gestione finanziaria. Ipotizzando in tal senso un valore inferiore della leva operativa22, pari ad esempio a 1,2 in luogo di quello emergente dall’esempio precedente23, le stesse proiezioni porterebbero ad un quadro della redditività completamente diverso (grafico n. 4), in cui le componenti legate alla modificazione, anche contenuta, dei parametri finanziari (i e r.i.) assume rilevanza e significatività più consistenti.

22 Determinata come rapporto tra margine di contribuzione e reddito operativo. 23 Nell’esempio precedente il rapporto tra il margine di contribuzione (2.250) ed il reddito operativo (450) è pari a 5.

-10%

-5%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

Vroe

t/ri/i/mc/v

Vroe-lo

Vroe-mc

Vroe-i

Vroe-ri

Vroe-t

Vroe-Tot

-20%

-15%

-10%

-5%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

30%

35%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

Vroe

t/ri/i/mc/v

Vroe-lo

Vroe-mc

Vroe-i

Vroe-ri

Vroe-t

Vroe-Tot

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I crescenti maggiori volumi di vendita generano un effetto espansivo sulla redditività più contenuto (inferiore all’8%) rispetto all’esemplificazione precedente (pari quasi al 30%). Allo stesso modo la variante del margine di contribuzione, negativa, deprime la redditività in misura meno incisiva. Assumono quindi rilevanza più significativa le componenti finanziarie e le relative opzioni di politica aziendale. La variazione del tasso di onerosità del capitale di terzi assume grande rilevanza e diviene uno degli elementi di maggiore importanza nella determinazione dei prevedibili livelli di redditività. Grafico 4

La valutazione di questi aspetti non può generalmente prescindere dalla realtà aziendale in cui è calata. In queste condizioni è possibile stimare concretamente sia le tendenze delle singole determinanti della redditività, sia anche le relative interconnessioni. Va precisato, infatti, come le singole determinanti non possano essere considerate come assolutamente indipendenti l’una dalle altre, ma come invece la stima delle relative variazioni attese non possa spesso prescindere dall’andamento altrui. Le interconnessioni esistenti devono quindi essere attentamente e puntualmente verificate. Ad alcune può essere attribuita una portata sufficientemente generale anche se non assoluta; esempio ne sia la tendenza alla riduzione del costo dell’indebitamento con il consolidamento del patrimonio rispetto al capitale di terzi, in ragione della diminuzione del rischio. In altri casi invece la verifica non può che essere puntuale, come ad esempio la possibilità di mantenere il livello di efficienza e di relativa contribuzione economica in presenza di più o meno consistenti aumenti di volume. L’analisi aziendale, tuttavia, consente normalmente di disporre di elementi sufficienti per formulare previsioni attendibili. Non va dimenticato, infatti, che questa impostazione risponde ad esigenze di approccio generale e di verifica di iniziative per le quali si richiede comunque, eventualmente, una successiva approfondita analisi nell’ambito delle metodiche che la redazione di un piano di impresa prevede24.

24 Bettina Campedelli, op. cit.

-6%

-4%

-2%

0%

2%

4%

6%

8%

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21

Vroe

t/ri/i/mc/v

Vroe-lo

Vroe-mc

Vroe-i

Vroe-ri

Vroe-t

Vroe-Tot

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Strategia, valore e equilibrio. Scelte manageriali e impatto sull’impresa

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3. Una possibile interpretazione più ampia

Un diverso ed altrettanto interessante approccio a questa metodologia può essere costituito dall’analisi delle determinanti essenziali della redditività e dello sviluppo del tessuto imprenditoriale di un determinato settore dell’economia. Ove cioè l’oggetto di analisi cambiasse e divenisse, in luogo della singola impresa, un settore economico, sarebbe possibile individuare gli aspetti critici del relativo sviluppo e consolidamento. Ad oggetto diverso corrisponde evidentemente utente diverso, e ritengo che nell’ambito delle opportunità di evoluzione del ruolo dello Stato alla luce del cambiamento degli scenari economici, un tale genere di analisi rivesta una notevole importanza, in relazione agli effetti macroeconomici che lo sviluppo delle imprese può generare. Diviene a questo punto però necessario soffermarsi molto brevemente sulla natura e sulla disponibilità delle leve a base delle determinanti della redditività. Si è precedentemente ricordato che le tre aree fondamentali (operativa, finanziaria e tributaria) richiedono oggi un costante monitoraggio, poiché la sempre maggiore libertà di circolazione apre opportunità che possono comportare acquisizione o perdita di anche consistenti margini di vantaggio competitivo. Tuttavia va detto che, mentre questo tipo di considerazioni mantiene una attualità in riferimento alla singola impresa, le tendenze in atto e i recenti storici avvenimenti in tema di politica monetaria europea sottraggono parzialmente al sistema nel suo complesso la disponibilità reale di alcune leve di azione. Si è accennato alla lodevole tendenza dell’Unione Europea alla emissione di documenti ed alla adozione di comportamenti che limitino sino ad annullarla la distorsione creata dalla concorrenza esclusivamente tributaria tra stati. L’emissione del Codice di Condotta ed i lavori della Commissione presso l’Unione Europea conducono, seppur tra notevoli difficoltà e resistenze, alla tendenziale armonizzazione di regole ed entità del carico tributario, che diverrà nel tempo una variabile di interesse sempre minore. Parimenti, ed in questa sede vi si accenna solamente, la istituzione della Banca Centrale Europea tende a rendere sempre meno significative le differenze nell’onerosità dell’indebitamento connesse alla territorialità dell’ente emittente. Il ruolo di primo piano attribuito alla B.C.E. di mantenimento della stabilità dei prezzi e del conseguente potere di acquisto dell’Euro richiede un coordinamento europeo anche delle politiche dei tassi di interesse, oltre che della massa monetaria e di altri parametri. La tendenza quindi anche in questo caso è verso il livellamento delle differenze riscontrabili territorialmente, a favore di una sostanziale omogeneità. Se quindi la ricerca dell’economicità delle fonti di credito e la localizzazione in aree caratterizzate da minori carichi tributari è oggi una necessità ed una opportunità per la singola impresa, che è in condizione di beneficiare dell’incremento del tasso di concorrenza all’interno del sistema del credito così come delle tecnologie e degli strumenti giuridici che rendono accessibile il modello sovranazionale di impresa, altrettanto non può dirsi, o perlomeno non con la stessa rilevanza, a livello istituzionale. Ove l’ottica divenga generale, l’area critica significativa rimane quella operativa, connessa con le conseguenti variazioni della struttura patrimoniale (ri). L’aspetto istituzionale con valenza strategica diviene, dalle precarie misure di attrazione tributaria o simili, la istituzione di strumenti che favoriscano lo sviluppo e l’equilibrio delle imprese. Nella misura in cui imprese efficienti e manageriali, trasparenti e con capacità progettuale possano usufruire di meccanismi di ausilio allo sviluppo ed alla realizzazione dei progetti, il sistema nel suo complesso beneficerebbe di effetti macroeconomici di sicuro interesse25. Una volta accettato e condiviso che il ruolo delle istituzioni debba essere rinnovato e propositivo, e debba incidere negli aspetti e nelle aree che non provochino distorsioni ma stimolino 25 E’ ad oggi in corso una valutazione di questi aspetti, finalizzata all’apprezzamento degli effetti macroeconomici dello sviluppo d’impresa ed alla progettazione degli strumenti allo stesso necessari od utili.

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creatività, trasparenza ed efficienza nelle imprese, allora è possibile ipotizzare interventi connessi allo sviluppo. L’area tributaria non presenta, come visto, le prospettive e le aperture necessarie. Le politiche monetarie e di stabilità dei prezzi hanno ormai respiro europeo e conducono ad una sempre maggiore omogeneità territoriale dei tassi di interesse. In queste aree le istituzioni possono poco. Dove gli spazi sono ampi ed i prevedibili risultati significativi, è nell’area operativa connessa alle potenzialità di sviluppo dimensionale e nella contestuale conduzione verso strutture patrimoniali che massimizzino il valore del capitale economico. All’imprenditore il compito di governo efficiente e manageriale, alle istituzioni quello di fornire il mezzo per favorire il rinvenimento della copertura finanziaria ed il consolidamento patrimoniale26.

In breve: 1. Dalla formulazione matematica della leva finanziaria si intuisce come l’espansione del

rapporto di indebitamento provochi un effetto incrementativo o rettificativo sulla redditività del capitale netto.

2. La leva operativa proietta variazioni significative del reddito operativo a fronte di incrementi sufficientemente modesti del volume di vendita.

3. L’area operativa è quella che ha più margine di manovra per accrescere il valore dell’impresa.

26 Un’ipotesi in tal senso può essere costituita dalla individuazione dei meccanismi di accesso di aziende di dimensioni medie a mercati finanziari non speculativi. Il concorso di tali meccanismi alla realizzazione di progetti imprenditoriali di sviluppo dell’attività, ed al contestuale consolidamento dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi è suscettibile di favorire l’incremento della redditività e del valore d’impresa. In tal senso va accolta con favore l’iniziativa di Borsa Italiana del luglio 2003, resasi operativa nel dicembre dello stesso anno, per un segmento di quotazione maggiormente adeguato alle esigenze delle PMI.

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SIGNIFICATO E DETERMINAZIONE DEL COSTO DEL CAPITALE

a cura del Comitato Scientifico Euroconference

Il costo del capitale per l’azienda e la stima del rendimento atteso dagli investitori e del rischio sotteso all’investimento possono essere viste come due facce della stessa medaglia; ai fini valutativi dell’azienda questi parametri possono essere determinati in modo indifferente con la conseguenza che si utilizza normalmente la prospettiva del rendimento per l’investitore, nell’ambito della stima del costo del capitale proprio, e la prospettiva del costo del capitale per l’azienda, nella stima del costo del debito.

1. Il rischio e il premio per il rischio

Il costo del capitale è funzione di due componenti: i. un tasso espressivo del rendimento di un’attività finanziaria priva di rischio in un dato periodo; e ii. un premio al rischio. In linea concettuale, questi dati sono riconducibili alla nota equazione:

r = k = rf + s dove: rf = tasso privo di rischio s = premio al rischio (spread). In forza del “principio di coerenza”, le grandezze (flussi e tassi) devono essere coerenti rispetto al trattamento del rischio. Ovvero, se i valori da attualizzare fossero privi di rischio, allora per il principio della coerenza si dovrebbe utilizzare un tasso pari alla sola componente priva di rischio. Al contrario se i valori da attualizzare sono rischiosi, il tasso di attualizzazione deve essere adattato al rischio. Ma cosa rappresenta esattamente il rischio in un modello valutativo basato su flussi attesi? Il rischio esprime il “timore” (ex-ante) dell’investitore di non ottenere il rendimento atteso; il premio per il rischio rappresenta quindi un tentativo empirico di quantificare questo “timore”. In altri termini, il premio al rischio può essere inteso come il maggior rendimento che un investitore richiede per essere tutelato dalla possibilità di ottenere dall’investimento meno di quello che si aspetta. Dal punto di vista operativo, a parità di valore dei flussi attesi da un’azienda, più elevato è il rischio che quei flussi non si realizzino e più si riduce il valore. L’attenzione del valutatore è diretta alla comprensione dei fattori che sono alla base dei risultati aziendali e quindi della capacità di realizzare in futuro i flussi attesi.

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La dottrina individua tre situazioni tipiche di rischio che possono verificarsi nel caso di valutazioni d’azienda: i. scenari dominati da fattori di mercato; ii. scenari nei quali prevalgono iniziative innovative; iii. scenari caratterizzati dalla presenza di rischi specifici. I fattori di mercato, ricordati nel primo punto, non sono genericamente riconducibili al rischio nelle vendite, che sarebbe in realtà estendibile alla maggioranza delle aziende, ma specificamente riferiti: – ai settori ciclici, quali ad esempio il siderurgico, l’automobilistico o l’immobiliare, dove i ricavi sono

fortemente dipendenti dalla fase del ciclo. In queste situazioni, l’esperienza dei cicli precedenti può aiutare a prefigurare scenari verosimili di sviluppo ed a costruire parametri che esprimono l’esposizione al rischio;

– alla sensibilità dei margini alla variazione dei ricavi. Quanto più il livello dei costi fissi è elevato rispetto a quelli variabili (situazione di alta leva operativa) tanto più i margini saranno sensibili a variazioni anche piccole dei ricavi, aumentando l’esposizione al rischio.

Il rischio di mercato non è solo legato alla ciclicità dei ricavi ma anche al cambiamento delle abitudini di consumo che porta ad una progressiva contrazione delle vendite senza possibilità di recupero. La natura innovativa di un business (secondo punto) comporta inevitabilmente un grado elevato di rischio, poiché non esiste una storia pregressa sulla quale verificare le performance aziendali. Tale situazione è tipica delle aziende neo-costituite, le cd. start-up, che sono percepite come maggiormente rischiose rispetto a aziende consolidate e con buone performance. Tuttavia è opportuno distinguere tra start-up che: – nascono per sfruttare un’innovazione tecnologica o per soddisfare un bisogno dei consumatori

ancora non servito; – nascono all’interno di settori consolidati e con una strategia imitativa, spesso a seguito della

volontà dell’imprenditore di “mettersi in proprio”. Infine, la presenza di rischi specifici (terzo punto) ha spesso un impatto significativo sui risultati, ma è difficilmente classificabile. Tra i rischi specifici si possono includere: – la dipendenza dei ricavi dell’azienda da uno o pochi clienti con potere contrattuale maggiore e

bassi costi di transazione alla sostituzione con un concorrente (ad esempio nei settori della componentistica per l’industria meccanica);

– la presenza di accordi contrattuali rescindibili che hanno per oggetto risorse critiche per l’azienda. Ciò può valere per i ricavi (ad esempio licenze di utilizzo di marchi di terzi27) ma anche per l’accesso a materie prime di particolare qualità (ad esempio tessuti pregiati nell’abbigliamento);

– l’assenza di una struttura manageriale in grado di sostenere l’azienda, ove l’imprenditore venisse a mancare.

2. Il rischio operativo e il rischio finanziario nel costo del debito e del capitale proprio

I fattori sopra analizzati permettono di identificare con maggiore precisione la rischiosità insita nei flussi operativi dell’azienda. La logica vuole quindi che si attualizzino tali flussi ad un tasso che sia espressivo del rischio “operativo”, ovvero del rischio che dipende dalle caratteristiche della gestione del business. Si tratta però di un tasso che non può essere ricavato direttamente ma sulla base di un ragionamento indiretto. Partiamo dal constatare che il fabbisogno finanziario necessario per sostenere il mantenimento e lo sviluppo delle aziende viene coperto con flussi:

27 Ad esempio, i ricavi di un’azienda che organizza eventi fieristici dipendono dagli accordi contrattuali con la società proprietaria degli spazi.

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Significato e determinazione del costo del capitale

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– generati internamente dall’attività dell’azienda e non distribuiti; – raccolti all’esterno, ovvero i capitali di debito o di rischio. Concentrando l’attenzione sulle fonti esterne è importante notare che, dal punto di vista finanziario, il capitale di debito ed il capitale proprio hanno una natura simile, poiché in entrambi i casi, l’investitore si attende un rendimento adeguato al profilo di rischio. Ecco allora che si introduce un principio basilare della finanza, quello della cd. “sostituibilità dell’investimento”: il rendimento di un’attività deve essere allineato rispetto a quello di investimenti alternativi appartenenti alla stessa classe di rischio. Cosa significa questo? In parole povere, che il capitale ha un costo opportunità, ovvero deve esistere un rendimento al quale un investitore rinuncia, scegliendo di mettere le proprie risorse in una determinata azienda. La differenza sostanziale è legata ad aspetti contrattuali e non finanziari. In virtù dei principi sopra menzionati (avversione al rischio e sostituibilità dell’investimento), il rendimento del capitale proprio deve essere maggiore del rendimento del capitale di debito, poiché in caso contrario il proprietario avrebbe convenienza a vendere l’azienda ed investire in attività alternative ugualmente rischiose. Ciò premesso, proviamo ora a porci nell’ottica di un creditore finanziario e chiediamoci in cosa consiste il rischio che questi fronteggia. La risposta è semplice: si tratta dell’intero capitale e del rendimento atteso. Perché tale rischio si concretizzi è necessario che l’impresa sia insolvente, cioè non abbia flussi operativi in grado di far fronte ai propri impegni in termini di flussi finanziari. Il creditore finanziario, quindi, non guarda a tutto il flusso atteso dell’azienda, ma si concentra sulla rischiosità di quella parte necessaria ad evitare l’insolvenza dell’azienda. Si ipotizzi una situazione aziendale caratterizzate dal seguente profilo di flussi attesi:

1 2 3 4 5 Flussi operativi 23.000 22.500 24.300 22.100 18.800 Rimborso finanziamento (4.000) (4.000) (4.000) (4.000) (4.000) Oneri finanziari (1.300) (1.040) (780) (520) (260) Flussi al netto del servizio del debito

17.700 17.460 19.520 17.580 15.540

Il rischio per il creditore finanziario è legato alla effettiva possibilità dell’azienda di generare flussi operativi almeno pari a 5.300 nel primo anno, 5.040 nel secondo e così via. La quota residua non è rilevante per lui. Allora, riprendendo il nostro ragionamento, e ricordato che il costo del capitale è funzione del rischio di non ottenere il rendimento atteso, se ne trae che il costo del debito rifletterà il rischio di insolvenza e non il rischio operativo dell’azienda; è pur vero che il rischio operativo è una componente del rischio di insolvenza, ma quest’ultimo è influenzato anche da altri fattori, come ad esempio il grado di indebitamento dell’azienda (ovvero il suo grado di “rischio finanziario”). Il proprietario dell’azienda fronteggia invece un diverso tipo di rischio che è propriamente individuato nella “volatilità” dei risultati. È evidente che nel caso dei proprietari il rendimento atteso è rappresentato dai flussi residuali, ossia una volta sottratti quelli posti al servizio del debito. E la rischiosità di tali flussi è funzione del rischio operativo che incide sulla probabilità che si ottengano flussi operativi diversi dalle attese, come pure del rischio finanziario poiché, inevitabilmente, al crescere del rapporto di indebitamento, aumenta la porzione di flussi operativi contrattualmente destinati a terzi, rendendo più aleatori i flussi residui.

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In altri termini, il costo del capitale proprio remunera congiuntamente il rischio operativo ed il rischio finanziario dell’azienda. Solamente nel caso in cui l’azienda non sia indebitata il rischio operativo viene direttamente remunerato in quanto costo del capitale proprio. 3. La formula di determinazione del costo del capitale per l’azienda oggetto di

valutazione

I ragionamenti sviluppati ci mettono a disposizione gli strumenti utili per poter costruire la funzione del costo complessivo del capitale per un’azienda che, come abbiamo visto, dipende: – dal rischio operativo e dalle sue determinanti; – dal ricorso al debito rispetto al capitale proprio, che attraverso il rischio finanziario influenza sia il

costo del debito sia il costo del capitale proprio. Il costo del capitale complessivo, in termini matematici, è rappresentato da una media ponderata del costo del capitale proprio e del costo del debito. Il costo medio ponderato del capitale è spesso indicato con l’acronimo inglese “WACC” (Weighted Average Cost of Capital). In formule, il WACC può essere scritto nel seguente modo: dove: ke = costo del capitale proprio kd = costo del capitale di debito ce = E/WASSET = coefficiente di ponderazione espressivo dell’utilizzo del capitale proprio cd = D/ WASSET = coefficiente di ponderazione espressivo dell’utilizzo del debito T = aliquota d’imposta sul reddito d’impresa che consente la deduzione del costo del debito I “coefficienti di ponderazione” esprimono l’incidenza del capitale proprio e del debito sul valore dell’impresa. Proviamo con un esempio a capire quali sono i problemi in gioco. Si supponga che un’azienda ALFA abbia: – flussi operativi attesi pari ad un valore costante di 500; – un valore del debito pari a 3.000 ad un costo del 6%; – un rendimento del capitale proprio del 9%. Si ipotizzi, per semplicità, di ignorare l’incidenza delle imposte sul reddito di impresa. Prima di determinare il WACC è necessario ricavare il valore del capitale proprio; lo facciamo applicando la formula della rendita perpetua applicata ai flussi operativi espressi al netto degli oneri finanziari, ossia: WEQUITY = Sommando a WEQUITY il debito (pari a 3.000) risulta che WASSET è uguale a 6.556. Applicando la formula precedente del WACC si ottiene: dove:

ce = WEQUITY/WASSET = (3.556) / (6.556) = 54% cd = D/WASSET = (3.000) / (6.556) = 46%

kWACC

=kec

e+k

dc

d(1-T)

556.3%9

)3000%6(500 =×−

WACC=9%´54%+6%´46%=7,6%

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Significato e determinazione del costo del capitale

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Supponiamo ora che esista un’azienda BETA assolutamente identica ad ALFA con la sola differenza di un maggiore indebitamento, pari a 4.000 a un costo del 6%, ciò significa che BETA pagherà interessi pari a 240 in luogo dei 180 di ALFA. Ne deriva la seguente struttura di flussi differenziali:

ALFA BETA Differenze Flussi operativi 500 500 0 Interessi (180) (240) 60 Flussi netti 320 260 60

Il problema teorico è determinare il costo del capitale proprio di BETA. Poiché le due aziende sono uguali il rischio operativo è identico, cambia solamente il rischio finanziario che è più elevato in BETA, più indebitata rispetto ad ALFA. Nel WACC, il rischio finanziario è espresso dai coefficienti di ponderazione che conseguentemente cambiano in BETA. Ma di quanto cambiano? Gli economisti Modigliani e Miller dimostrarono che il cambiamento compensa esattamente l’incremento del costo del capitale, in modo tale da lasciare invariato il WACC. Infatti, se il WACC fosse diverso ciò significherebbe che a parità di flussi operativi e di rischio operativo sottostante quei flussi, WASSET sarebbe diverso, violando così il principio di avversione al rischio enunciato in precedenza. La conseguenza fondamentale di questo modello è che, date le ipotesi precedenti, le scelte di struttura finanziaria non influiscono sul valore dell’impresa, perché questo dipende esclusivamente dal rischio operativo. Le scelte finanziarie hanno invece impatto sulle modalità di distribuzione del valore tra i creditori finanziari ed i proprietari. Allora, riprendendo il nostro esempio, l’incremento dell’indebitamento comporta un incremento di ke che possiamo misurare, risolvendo per ke la formula del WACC. Si ottiene: Qual’è il significato di questi risultati? In primo luogo, si conferma la relazione tra costo del capitale proprio e rapporto di indebitamento. Tale costo deve crescere perché aumentano i costi fissi del debito, a parità di flussi operativi, rendendo quindi più rischiosi i flussi netti. Ciò implica anche che si riduce il WEQUITY a causa dell’incremento del debito, a parità di WASSET. Non torna, invece, la relazione tra WACC e rischio operativo. Secondo il modello di Modigliani e Miller, infatti, il rischio operativo è misurato dal WACC, mentre in precedenza abbiamo sostenuto che il rischio operativo è misurabile direttamente solo nel ke di un’impresa non indebitata. La risposta può essere rintracciata in due evidenti limiti del modello. Rappresentati: – dall’assenza di imposte sulle imprese; – dall’assenza del rischio di insolvenza nella funzione di determinazione del costo del debito (esso,

nell’esempio, rimane stabile al 6%). 4. Il fattore imposte sul reddito

L’introduzione delle imposte ha un effetto sui dati di base delle aziende ALFA e BETA nel nostro esempio. Infatti, supponendo un’aliquota del 33% si ottiene:

ALFA BETA Differenze Flussi operativi 500 500 0

ke=k

WACC+(k

WACC-k

d)

D

WEQUITY

=7,6%+(7,6%-6%)´4.000

2.556=10,17%

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Interessi (180) (240) 60 Imposte (106) (86) (20) Flussi netti 214 174 40

E’ agevole verificare come la differenza tra ALFA e BETA si sia ridotta da 60 a 40. Il maggior indebitamento consente a BETA di ottenere infatti un vantaggio fiscale pari a 20, corrispondente alle imposte risparmiate grazie alla deducibilità degli interessi. Passiamo ora a determinare WASSET e WEQUITY in presenza di imposte. WASSET è pari al valore di un’impresa non indebitata più il valore del beneficio fiscale del debito; ossia, il primo addendo rappresenta il valore dei flussi operativi attualizzati al tasso espressivo di tale rischio ed il secondo rappresenta l’incremento di valore derivante dal vantaggio fiscale che un’azienda ottiene dal maggiore indebitamento ed è quindi pari al risparmio annuo d’imposta attualizzato all’infinito al costo del debito. Nel nostro esempio il WASSET di ALFA è pari a:

WASSET = WASSET UNLEVERED + WBENEFICIO DEBITO = Nel caso di BETA, WASSET è invece pari a: Possiamo osservare che il primo addendo è identico poiché i flussi ed il rischio operativo sono uguali per le due società mentre cambia solo il beneficio fiscale del debito. E’ interessante notare che se attualizzassimo al costo del debito il vantaggio incrementale di 20 otterremo un valore pari a 330 che è esattamente la differenza tra il WASSET di ALFA e BETA. Dato WASSET possiamo quindi determinare tutti i valori e i tassi che ancora ci mancano per ALFA e BETA e riassumerli nella seguente tabella:

ALFA BETA Wequity 2.398 1.728 ke 8,9% 10,1% kwacc 6,2% 5,8%

La formula del costo del capitale proprio, in presenza di imposte, diventa: L’aspetto che più colpisce è che ora il WACC decresce al crescere dell’indebitamento (e non potrebbe essere altrimenti dato che WASSET aumenta) e non coincide più con il tasso espressivo del rischio operativo, solitamente definito ko. I tassi di riferimento nella valutazione di un’azienda sono ora 4 e vale la seguente relazione:

ke > ko > kWACC > kd

facilmente desumibile dal differente profilo di rischio, inerente i flussi sottostanti.

500´(1-33%)

7,6%+

3.000´6%´33%

6%=4.408+990=5.398

500´(1-33%)

7,6%+

4.000´6%´33%

6%=4.408+1.320=5.728

)1()( TW

Dkkkk

EQUITYdWACCWACCe −−+=

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Significato e determinazione del costo del capitale

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5. Il rischio di insolvenza

L’ipotesi di costanza del costo del debito contraddice l’esistenza del rischio di insolvenza che dipende anche dal livello di indebitamento in rapporto al valore d’impresa. Possiamo quindi attenderci che il costo del debito oltre un certo livello di indebitamento tenda a crescere. Al crescere del livello del debito, cresce anche il relativo costo, mentre il rischio operativo non varia al variare dell’indebitamento. Il rendimento del capitale proprio deve crescere per scontare il maggior rischio dei flussi netti, mentre il valore del capitale proprio diminuisce costantemente. La progressiva sostituzione del debito con il capitale proprio ha un effetto positivo sul WACC che si riduce costantemente incrementando il valore d’impresa; il modello di Modigliani e Miller è valido ed accettabile solo per imprese con un livello di indebitamento relativamente contenuto per le quali l’assunto di debito risk-free non è irrealistico. La rimozione di tale assunto implica una revisione del modello che richiede alcune ipotesi alternative che trattino il rischio di insolvenza in forma implicita od esplicita. Una soluzione correttiva diffusa, proposta da Damodaran, considera esplicitamente il rischio di insolvenza. Partendo dal modello di Modigliani e Miller si è sostenuto che il valore dell’impresa indebitata è pari a: WASSET =WASSET UNLEVERED + WBENEFICIO DEBITO In particolare, sotto l’ipotesi che il valore del debito rimanga stabile nel tempo: Damodaran sostiene che il valore del beneficio fiscale del debito debba essere rettificato per tenere conto del rischio di insolvenza nel seguente modo: dove: kd = costo del debito Rrf = rendimento di un’attività priva di rischio ko = costo espressivo del rischio operativo aziendale Il fattore correttivo permette di ricostruire i fattori all’origine del rischio di insolvenza e cioè il rischio operativo, al denominatore, che rimane costante al crescere dell’indebitamento, ed il rischio finanziario espresso dalla differenza tra il costo del debito netto d’imposta ed il rendimento di un’attività priva di rischio (definito spread). La correzione di Damodaran non ha impatto su WASSET UNLEVERED poiché esso dipende esclusivamente dai flussi operativi e dal rischio sottostante, mentre incide sul valore del beneficio fiscale introducendo un effetto compensativo costituito dal rischio di insolvenza, crescente al crescere del debito. La digressione teorica che precede ci ha permesso di individuare alcuni punti fermi nella determinazione dei tassi di attualizzazione: • i tassi di rendimento sono funzione della rischiosità dei flussi sottostanti (principio dell’avversione

al rischio); • il costo del debito ed il costo del capitale proprio sono funzione del rischio operativo e del rischio

finanziario; • WASSET è funzione del rischio operativo, del beneficio fiscale derivante dal debito finanziario e del

rischio di insolvenza;

WBENEFICIO DEBITO

= D´T

o

rf

k

TR )1)(D(k-DT W d

DEBITO BENEFICIO

−−=

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• l’assunzione di Modigliani e Miller che al crescere dell’indebitamento aumenti WASSET è valida solamente entro livelli normali di debito. Conseguentemente, la correzione di ke per tenere conto del rischio finanziario ha senso economico solo entro tali livelli. Se vengono superati devono essere utilizzate modelli alternativi.

6. Il costo del capitale proprio

Quanto discusso ci ha indicato come il costo del capitale proprio sia una componente fondamentale delle funzioni del valore basate sui flussi, poiché costituisce il tasso di attualizzazione nell’approccio equity side e una delle componenti del WACC se si utilizza un approccio asset side. È anche emerso come esso equivalga al rendimento atteso dai proprietari dato il livello di rischiosità dei flussi. Ai fini dell’utilizzo operativo dei modelli valutativi è necessario conoscere tale rendimento che purtroppo non è direttamente osservabile sul mercato. La determinazione del costo del capitale proprio non può quindi che passare attraverso metodologie di stima che non ci consentono di effettuare un calcolo inconfutabile di ke, ma ci permettono di disporre di un parametro ragionevolmente affidabile. La letteratura ha suggerito molte vie diverse per stimare ke; quelle più diffuse nella prassi sono: • le metodologie fondate sull’estrapolazione del costo del capitale dai prezzi correnti delle attività

finanziarie quotate; • le metodologie fondate sui modelli teorici di analisi del profilo di rischio/rendimento di un titolo

azionario (in particolare il CAPM). Il Capital Asset Pricing Model (CAPM) è sicuramente il modello più utilizzato. Il modello è applicabile direttamente alle sole società quotate mentre la stima del capitale delle altre società avviene per comparazione con un campione di società quotate simili a quella da valutare. L’ipotesi principale alla base del CAPM consiste nella distinzione tra due tipologie di rischio: • il rischio diversificabile (o non sistematico); • il rischio non diversificabile (o sistematico). L’applicazione di questo modello passa attraverso talune seguenti considerazioni: • detenere azioni in luogo di obbligazioni emesse da un emittente privo di rischio deve

necessariamente comportare un maggior rendimento per compensare il maggior rischio; • ogni titolo è caratterizzato da un rischio specifico, diversificabile, e da un rischio “generico” che

esprime la sensibilità di quel titolo all’andamento del mercato complessivo; • il rendimento di mercato non remunera il rischio specifico di un singolo titolo ma solamente quello

“generico” ovvero il rischio non diversificabile o rischio di sistema. Da queste premesse teoriche si può ora derivare la celebre equazione rappresentativa del costo del capitale proprio secondo il CAPM: dove: Rrf = rendimento di mercato di un’attività finanziaria priva di rischio Rm = rendimento del portafoglio complessivo di mercato B = coefficiente espressivo della sensibilità di un titolo al rendimento di mercato Il costo del capitale proprio dipende quindi da due addendi: il primo espressivo del rendimento di attività non rischiose, il secondo del premio al rischio che remunera la componente non diversificabile.

ke=R

rf+b(R

m-R

rf)

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Significato e determinazione del costo del capitale

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Date queste premesse, il premio è pari all’intero premio al rischio del mercato azionario (Rm – Rrf) moltiplicato per un coefficiente B che esprime quanto varia il titolo rispetto alla variazione del portafoglio di mercato. La stima di Rrf

Il tasso Rrf è il rendimento adeguato offerto da investimenti caratterizzati dall’assenza di rischio di credito per il finanziatore. Tipicamente, i soggetti emittenti di passività prive di rischio sono pubblici quali lo Stato, gli Enti locali e simili. In tali casi, il rischio di insolvenza è praticamente nullo. Le caratteristiche ideali di un titolo privo di rischio da utilizzare nel modello del CAPM per la valutazione di un’azienda sono le seguenti: • è preferibile ricorrere ad un emittente pubblico, meglio se uno Stato; • il tasso da utilizzare è il rendimento sotto l’ipotesi che il titolo venga mantenuto fino alla scadenza;

esso può essere facilmente ricavato per ogni tipologia di titoli dai quotidiani specializzati; • è preferibile scegliere un titolo zero coupon rispetto ad un titolo che paga cedole.; • il tasso Rrf deve essere omogeneo rispetto alla valuta dei flussi da attualizzare. Dovendo assumere come riferimento il mercato la soluzione preferibile è quella di utilizzare il rendimento a scadenza del BTP coupon stripping a più lunga scadenza (attualmente 30 anni). La stima del premio al rischio del mercato azionario (Equity Risk Premium, ERP)

Il premio al rischio rappresenta la remunerazione che un investitore richiede in più rispetto al rendimento di un’attività priva di rischio. Non si tratta, quindi, di una grandezza prontamente leggibile sul mercato o determinabile con certezza. I metodo per la stima del ERP sono sostanzialmente due: • l’utilizzo delle serie storiche; • la determinazione del ERP implicito nei prezzi di mercato. Tecnicamente si tratta di misurare il ERP come differenza tra il rendimento effettivo del mercato azionario e degli opportuni titoli privi di rischio. L’utilizzo delle serie storiche è sicuramente il più frequente nella prassi, poiché il dato è più facilmente reperibile ed oggettivamente dimostrabile. La soluzione alternativa è il ricorso al premio implicito nei prezzi di mercato. Il coefficiente beta Il coefficiente beta esprime la sensibilità di ogni titolo alla variazione del portafoglio di mercato. Una diffusa ma sbagliata interpretazione del coefficiente beta ritiene che esso sia una misura del rischio complessivo inerente i flussi di un’azienda; in realtà, come precedentemente esaminato, il coefficiente beta rappresenta solamente la remunerazione al rischio non diversificabile. Il coefficiente beta del portafoglio di mercato è sempre pari ad 1. I titoli che hanno un coefficiente beta che si avvicina ad 1 hanno lo stesso rischio sistematico del mercato mentre se il valore è molto inferiore ad 1 i titoli sono definiti difensivi, poiché attenuano il rischio del mercato. Al contrario, se il valore supera di molto l’unità, i titoli sono definiti aggressivi. Essi amplificano il rischio del mercato. Alcune rettifiche ulteriori rendono i risultati maggiormente significativi e riducono i rischi di errore. Tali rettifiche riguardano: • la correzione per rendere prospettico il coefficiente beta; • la correzione per tenere conto dell’effetto dimensione; • la correzione per tenere conto della struttura finanziaria prospettica.

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Il rischio al quale sono sottoposti i flussi netti aziendali è di tipo operativo e finanziario. Secondo le ipotesi alla base del CAPM, le determinanti del coefficiente beta vanno ricercate nei fattori di rischio che variano insieme al rischio sistematico. Essi sono di tipo operativo e riguardano: • il tipo di business ed in particolare la dipendenza dei flussi dagli stati congiunturali dell’economia.

Più un’azienda è stabile rispetto all’andamento dell’economia (cioè meno ciclica) più basso sarà il rischio; al contrario più un’azienda è sensibile alla variazione nel trend economico più avrà un coefficiente beta elevato;

• il grado di leva operativa che deriva dal confronto tra i costi fissi ed il totale dei costi. Maggiore è l’incidenza dei primi sui secondi, maggiore è la rigidità che caratterizza la struttura operativa dell’impresa e più elevato è il rischio ad essa associato.

Il rischio può dipendere anche dal livello di indebitamento. Al crescere dell’indebitamento, il coefficiente beta assume un maggior valore. Il problema riguardante la stima del costo del capitale proprio nelle imprese medio piccole è di ordine pratico-applicativo: si tratta cioè di utilizzare le metodologie analizzate in precedenza in modo appropriato. Il processo di determinazione del costo del capitale proprio è costituto dalle seguenti fasi: 1. definizione della più opportuna metodologia di stima; 2. scelta del campione delle società quotate comparabili; 3. determinazione del costo del capitale proprio per ciascuna società; 4. calcolo dei parametri statistici di riferimento del campione; 5. aggiustamento dei parametri statistici all’azienda da valutare; 6. calcolo del costo del capitale proprio per l’azienda da valutare.

In breve: 1. Il costo del capitale è funzione di due componenti:

- un tasso espressivo del rendimento di un’attività finanziaria priva di rischio in un dato periodo, e - un premio al rischio.

2. Il rendimento del capitale proprio deve essere maggiore del rendimento del capitale di debito.3. Il costo del debito riflette il rischio di insolvenza e non il rischio operativo dell’azienda. 4. Il costo del capitale complessivo è rappresentato da una media ponderata del costo del

capitale proprio e del costo del debito. 5. La progressiva sostituzione del debito con il capitale proprio ha un effetto positivo sul costo

del capitale complessivo.

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LA NOZIONE DI VALORE DELL’IMPRESA E IL PROCESSO DI VALUTAZIONE

a cura del Comitato Scientifico Euroconference

L’adeguata pianificazione ed organizzazione del processo valutativo rappresenta una fase fondamentale nell’attività che è chiamato a svolgere il valutatore; a tale scopo, vi sono alcuni fattori fondamentali che si ritrovano in qualunque processo valutativo, fra i quali spicca una chiara e sistematica raccolta di dati ed informazioni sull’attività oggetto di valutazione, sia mediante l’uso di fonti interne che mediante il ricorso a fonti esterne alla stessa. Ciò affinché, seppur caratterizzata da una inevitabile soggettività, la valutazione finale possa presentarsi sempre connotata dai caratteri di razionalità, chiarezza, dimostrabilità e verificabilità.

1. La nozione di valore

Il termine “valore”, da sempre presente nella terminologia aziendale, è venuto via via assumendo un’importanza ed un significato del tutto peculiari. Nel momento in cui, da una formalizzazione astratta sulla quale esiste una generale accettazione, muoviamo sul piano della determinazione del valore, ossia della quantificazione di un numero che esprime la ricchezza prodotta e generabile dall’impresa è necessario recuperare maggiore chiarezza e precisione di linguaggio. È immediatamente percepibile come esistano due differenti significati della parola valore. Il primo, di natura economica, si riferisce all’equivalente in denaro di un qualunque bene, normalmente materia di scambio, ma che può anche essere utile nel soddisfare bisogni. E’ valore in questo senso tutto ciò che può essere oggetto di compravendita. Si distingue chi tende a riconoscere una sostanziale equivalenza tra valore e prezzo, riconoscendo come prevalente la nozione di valore di scambio, e chi invece legge un valore nelle componenti intrinseche del bene, indipendentemente dal fatto che possa essere venduto; è sufficiente che esse soddisfino un bisogno. Una seconda accezione di valore si riferisce invece a doti morali, virtù che appartengono ad un individuo e che sono oggetto di apprezzamento da parte della collettività in uno specifico contesto spaziale e temporale. Siamo quindi nell’ambito di caratteristiche soggettive che diventano valori nel momento in cui incontrano il consenso collettivo. Il valore è quindi in buona parte soggettivo poiché diventa tale quando è riconosciuto dall’esterno.

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Se il riconoscimento del valore riguarda, in luogo di un individuo, un qualunque bene siamo in presenza di una valutazione, o di un processo di valutazione come accade per i beni più complessi, effettuata da un soggetto ritenuto idoneo. Confrontiamo allora i due significati di valore che abbiamo individuato. Secondo la definizione economica parrebbe che il valore di un bene sia oggettivo e determinabile in modo univoco; la definizione generalista sottolinea invece come la valutazione sia un processo che dipende dall’apprezzamento soggettivo. In altre parole, valutare imprese può, per taluni versi, essere ritenuta un’operazione più semplice, poiché il risultato finale dipende dall’applicazione di modelli matematici ai dati che provengono dalle imprese stesse. Tali considerazioni inducono molta letteratura a ritenere che esista un valore oggettivo che prescinde dal soggetto valutatore e dalle finalità per cui l’impresa viene valutata. Partiamo dal primo punto: l’indifferenza del valore rispetto a chi effettua la stima. Nella realtà, coloro che hanno un’esperienza, anche limitata, di valutazione sono ben consapevoli del fatto che le imprese sono un bene complesso e articolato. Tale fatto, impone di tenere conto contemporaneamente di una tale molteplicità di aspetti da rendere indispensabili semplificazioni, ipotesi e stime, proprie del valutatore, riconducibili solo in parte ad aspetti oggettivi e spesso la bravura del valutatore consiste proprio nel cogliere quanto non è scritto e immediatamente percepibile o dimostrabile. Ecco allora farsi avanti una posizione alternativa alla precedente (esistenza di un valore oggettivo “assoluto”) che sottolinea la figura cruciale del valutatore e tende a considerare la tecnica di valutazione quasi come “un’arte”. Anche questa posizione è inesatta e chiaramente inaccettabile. La reintroduzione della soggettività nella valutazione come estro artistico del valutatore è, di nuovo, avulsa dalla realtà: basti pensare che le valutazioni sono volte generalmente a tutelare gli interessi economici di individui e società e la determinazione del valore non può essere lasciata al libero arbitrio del valutatore, anche se professionista di chiara fama. La risposta più obiettiva non deve essere ricercata nella nozione di valore, bensì nel processo attraverso il quale il medesimo è determinato. Il valore è soltanto un numero mentre gli aspetti critici risiedono nelle modalità attraverso le quali si perviene ad esso. Ne deriva che la soluzione di equilibrio deve coincidere con un rigoroso processo di valutazione che, pur riconoscendo l’inevitabilità degli aspetti soggettivi, riduca al minimo i “giudizi di valore” e permetta ai terzi di ricostruire tutti i passaggi compiuti. Il processo di valutazione deve quindi fondarsi sui seguenti presupposti: – razionalità della funzione del valore; – dimostrabilità dei dati utilizzati; – chiarezza dell’esposizione delle semplificazioni, delle ipotesi e delle stime soggettive; – verifica dell’impatto sul valore di semplificazioni, ipotesi e stime alternative. 2. I punti fondamentali del processo valutativo

Per funzione del valore si intende la relazione matematica che lega i dati di partenza (o driver del valore) con il risultato finale. I cosiddetti metodi (o criteri) di valutazione non sono altro che le differenti funzioni del valore dimostratesi più affidabili nel tempo. La funzione del valore può essere semplice, implicando una mera somma algebrica, come nei metodi patrimoniali, oppure più complessa, richiedendo più passaggi successivi per pervenire al risultato (si pensi ai metodi finanziari a tre stadi oppure alle opzioni reali).

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La nozione di valore dell’impresa e il processo di valutazione

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Permane in ogni caso imprescindibile che tale funzione sia razionale, attributo che non deve essere interpretato in modo riduttivo. La razionalità non consiste nella funzione in sè, per la quale è ragionevole ipotizzare che, se rientra in metodi consolidati, sia razionale, ma nell’applicabilità di quella funzione del valore alla società da valutare. La dimostrabilità di tutti i dati utilizzati per la valutazione è il secondo presupposto sul quale si deve reggere il processo valutativo. Il principio, che deve guidare il valutatore, è mettere chi legge la relazione di valutazione nella condizione di recuperare in proprio gli stessi dati citati dal valutatore. Deve perciò essere data una piena disclosure: – della tipologia di dati utilizzati; – delle modalità di elaborazione degli stessi; – delle fonti da cui provengono. È opportuno notare come la disclosure non debba riguardare solo i dati che provengono dall’azienda da valutare, ma anche da tutte le altre fonti esterne utilizzate per la valutazione (ad esempio il tasso atteso di inflazione stimato dalla BCE oppure i tassi di rendimento medi di settore). Oltre ai dati “certi”, ogni valutazione, come sopra menzionato, contiene alcune semplificazioni, ipotesi e stime che il valutatore deve compiere per giungere al risultato finale. Tali decisioni devono essere opportunamente documentate, indicando chiaramente: – le ragioni che le hanno rese necessarie; – il processo seguito per definirle; – l’impatto sul valore di decisioni alternative. In questo caso, la relazione di stima deve consentire al lettore di poter ricostruire i modelli quantitativi utilizzati per l’applicazione della funzione del valore. Esistono poi differenti motivi per i quali si rende necessaria una valutazione (ad esempio per l’acquisizione di una partecipazione o per valutare le performances manageriali). La questione su cui riflettere è se il valore debba essere influenzato dalle finalità valutative o se sia da considerare neutrale rispetto ad esse. Accade frequentemente che la determinazione del valore sia solamente una parte di operazioni più complesse (ad esempio un aumento di capitale o una scissione) che forniscono chiare indicazioni su come il processo di valutazione si debba svolgere. La valutazione ai fini della quotazione sul mercato mobiliare prevede che si tenga conto anche dei valori di mercato di società quotate simili, aspetto marginale se la stessa azienda dovesse essere oggetto di conferimento. Nella valutazione di un’acquisizione si devono considerare le sinergie potenziali che possono essere sviluppate successivamente, mentre nella determinazione del rapporto di cambio in una fusione normalmente non si considerano. In conclusione, appare evidente che non esistono valori d’impresa oggettivi e neppure neutrali. Può quindi accadere che alla stessa impresa, valutata da due soggetti diversi per la medesima finalità, sia attribuito un valore differente senza che alcuno dei due sia in errore: è sufficiente, ad esempio, che si attribuisca un peso diverso alle aspettative di crescita di ricavi. Ciò non deve spaventare poiché, di norma, se il processo di valutazione è stato rigoroso per entrambi, le differenze devono essere di entità poco significativa. Tornando all’esempio, la crescita attesa dei ricavi deve certamente essere oggetto di stima in quanto potenziale, ma emerge, in una valutazione rigorosa, dalla considerazione dei risultati storici, delle risorse attualmente a disposizione e di quelle che ragionevolmente potranno essere acquisite. Conseguentemente l’esito finale non potrà rivelarsi significativamente diverso. Non esiste pertanto il “giusto” valore d’impresa ma valori più o meno condivisibili.

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Solo qualora il processo di valutazione non sia rigoroso, ma svolto in modo frettoloso o superficiale, le differenze nei valori si elevano a livelli tali da non rendere i risultati condivisibili dagli altri soggetti coinvolti. 3. Le fasi del processo di valutazione

Nel precedente paragrafo si è fatto esplicito riferimento al processo di valutazione, che costituisce la successione delle fasi necessarie alla determinazione del valore. Pur essendo molto difficile riassumere tali fasi in uno schema generale, la seguente Tavola 1 prova a definire gli stadi strettamente necessari, in assenza dei quali è molto dubbio che il processo possieda quelle caratteristiche di rigorosità alle quali si è fatto riferimento nel precedente paragrafo. Tavola 1. Le fasi del processo di valutazione

Il processo di valutazione si articola su tre fasi. Durante la fase preliminare, una volta definite finalità e oggetto della valutazione, il valutatore deve dotarsi di quante più informazioni è in grado di raccogliere in merito: – al settore dove opera l’azienda da valutare; – all’azienda stessa con particolare riferimento alla sua impostazione strategica, ai punti di forza e di

debolezza ed alle performances storiche. Tali informazioni si rendono necessarie per definire la funzione del valore che meglio si adatta alla tipologia di azienda e alle specifiche esigenze valutative. La fase esecutiva si sostanzia invece nella costruzione del modello di valutazione, che traduce in numeri la funzione del valore prescelta. Il risultato del modello deve, in un successivo momento, essere soggetto ad un’analisi di simulazione per verificarne la sensibilità rispetto ad alcune variabili fondamentali.

Definizione delle finalità e dell’oggetto della valutazione

Scelta della funzione del valore

Fas

e pr

elim

inar

e

Raccolta della base informativa

Costruzione del modello di valutazione

Analisi di simulazione Fas

e es

ecut

iva

Determinazione del valore

Stesura della perizia

Fas

e di

sin

tesi

Analisi della performance

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La nozione di valore dell’impresa e il processo di valutazione

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La fase di sintesi conduce a riassumere tutte le analisi effettuate in un unico numero che le rappresenta. Il processo si conclude con la stesura della perizia che rappresenta il documento che viene messo a disposizione (unitamente agli allegati) del committente. 4. La fase preliminare e di raccolta di informazioni

Primo compito del valutatore durante la fase preliminare è quello di comprendere quali finalità rendono necessario determinare il valore di un’azienda. Una prima categoria di finalità è ravvisabile nei trasferimenti di aziende o di rami aziendali e risiede nella necessità, in capo alle controparti, di ancorare la negoziazione ad alcuni punti fermi, oltre i quali non esiste più convenienza economica nell’operazione. Nelle acquisizioni il corrispettivo incluso nel contratto trae origine dalla combinazione di più elementi e si articola assumendo la valutazione quale continuo riferimento ma pur sempre di natura “volontaria” ovvero non richiesta espressamente da alcuna normativa. Le altre operazioni straordinarie, fusioni, conferimenti e scissioni, impongono invece al valutatore l’aderenza a specifiche prescrizioni di legge che ne limitano la libertà di scelta e di comportamento. In tali situazioni, infatti, la contropartita per il venditore non è costituita dal pagamento di un prezzo ma dall’attribuzione di azioni o quote, in ragione della valutazione compiuta dal perito delle società coinvolte. La necessità di valutare l’azienda si pone anche in altri contesti di sviluppo aziendale e per diverse tipologie di operazioni straordinarie, quali la quotazione in Borsa e gli aumenti di capitale, per i quali ritorna il problema della tutela delle minoranze (determinazione del valore teorico del diritto d’opzione). In queste situazioni la libertà di scelta del valutatore, oltre che dalle normative vigenti, è anche limitata dalle prassi correnti sul mercato mobiliare che tendono a preferire alcune funzioni del valore rispetto ad altre (ad esempio le valutazioni comparative rispetto a quelle analitiche). In non poche situazioni, la valutazione si rende necessaria per operazioni straordinarie la cui finalità non è riconducibile alla crescita od al riposizionamento strategico dell’azienda ma, piuttosto, alla ridefinizione della compagine societaria. Sono situazioni classiche di questo tipo i litigi tra soci, che rendono inevitabile l’uscita di uno o più degli stessi, l’esercizio del diritto di recesso, l’attribuzione ai soci di attività aziendali secondo proporzioni diverse da quelle esistenti. Una necessità permanente e sistematica di conoscere il valore delle aziende proviene anche dalla progressiva estensione dell’adozione dei principi contabili internazionali IAS-IFRS. Come noto, gli IAS-IFRS impongono alle imprese di verificare annualmente il valore delle partecipazioni detenute attraverso un processo definito impairment test che è di fatto riconducibile ad una valutazione d’azienda. Infine, la valutazione d’azienda acquisisce rilevanza in sede di contenzioso, sia giuridico che tributario, ove emergano differenti interpretazioni in merito ad operazioni concluse o qualora le parti vogliano preliminarmente tutelarsi “certificando” con una perizia i valori assunti come riferimento (ad esempio il prezzo d’acquisizione o quello d’esercizio delle stock options). Data la particolare delicatezza di queste situazioni, dedicare estrema attenzione al rispetto dei quattro presupposti del processo valutativo precedentemente indicati, diventa aspetto imprescindibile. Anche se tale considerazione può apparire banale, non è infrequente che una valutazione venga commissionata senza particolari motivazioni, ma semplicemente per sapere quanto la propria azienda possa valere. Fatta salva la piena legittimità di un interesse di questo tipo, è bene che il valutatore ne sia pienamente consapevole al fine di evitare spiacevoli equivoci durante il processo valutativo.

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Per il valutatore, è impossibile non tenere conto del contesto generale all’interno del quale la valutazione si colloca e, pur nel rispetto dei presupposti generali del processo valutativo, a tale contesto dovrà rendere confacente la stima. Congiuntamente alle finalità della perizia, deve essere definito anche l’oggetto della valutazione che può essere costituito da: – un’azienda; – un ramo d’azienda; – un pacchetto di azioni o quote, totalitario, di maggioranza o di minoranza, di una società. L’azienda rappresenta il modo attraverso il quale si genera la ricchezza; è cioè “ordine economico” e quindi un’attività sistematica ed organizzata “secondo le proprie leggi” che sono di natura economica. La valutazione può anche avere per oggetto un ramo d’azienda. In termini giuridici, il ramo d’azienda deve consistere in un’articolazione dell’attività economica dotata di una propria autonomia organizzativa (art. 2112 c.c.) e funzionale mentre le definizioni tratte dalla dottrina economico-aziendale identificano un ramo d’azienda come un sottoinsieme aziendale costituito da una o più combinazioni prodotto/mercato e caratterizzato da una strategia competitiva propria. A sua volta una combinazione prodotto/mercato si distingue in forza dei seguenti elementi: – le caratteristiche del mercato di sbocco; – i tassi di sviluppo della domanda; – le caratteristiche del mercato di approvvigionamento; – il grado di cambiamento tecnologico; – la struttura dell’offerta; – la dinamica concorrenziale attuale e prospettica; – le caratteristiche dei prodotti sostitutivi; – la legislazione e le normative rilevanti; – l’atteggiamento degli attori istituzionali; – le caratteristiche del processo produttivo; – la struttura dei costi. Per quanto attiene al ramo d’azienda, il problema più critico nasce con riferimento all’individuazione della “parte” d’azienda che possieda i requisiti richiesti ma, superato questo ostacolo, il processo valutativo non comporta peculiarità sostanziali rispetto alla valutazione di un’azienda. La valutazione può infine avere per oggetto azioni o quote di società e diventa critica quando riguarda pacchetti di maggioranza o di minoranza del capitale poiché è invalsa nella prassi l’abitudine di applicare premi ai primi e sconti ai secondi. E’ questo un tema particolarmente complesso e richiede un adeguato approfondimento. Il tema dei premi e degli sconti è stato oggetto di numerose ricerche empiriche. L’applicazione di un premio di maggioranza trova presupposto nella possibilità di controllare la società con solamente il 51% dei diritti di voto; ne deriva quindi che l’intero beneficio ritraibile dal controllo può essere ottenuto senza acquistare l’intero capitale. Il valore di una singola azione o quota è quindi più elevato nell’ipotesi di acquisizione del solo controllo rispetto ad un’acquisizione totalitaria. La differenza tra i due valori unitari viene definita premio di controllo. I benefici derivanti dal controllo sono riconducibili a due fattori principali: • benefici privati derivanti dal controllo, ovvero dalla possibilità di nominare i “propri”

amministratori, di decidere gli indirizzi strategici e di realizzare operazioni sul capitale; • sinergie, ovvero maggiori flussi derivanti dall’integrazione tra l’azienda target e l’acquirente. Le numerose verifiche empiriche compiute hanno avuto per oggetto le società quotate ed hanno misurato il premio di OPA che include il valore di entrambi i benefici. I risultati sono molto variabili ed

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oscillano tra valori trascurabili ed anche il 40%. Tuttavia l’estensione dei risultati ottenuti ad ogni valutazioni di un pacchetto di controllo pare arbitraria per diverse ragioni. In primo luogo, il valore delle sinergie può essere determinato in modo puntuale senza ricorrere a soluzioni arbitrarie. Inoltre esso è applicabile nel contesto di un’acquisizione e non in termini generali. Per quanto attiene ai benefici privati, essi trovano applicazione se l’azienda è in grado di generare liquidità in eccesso rispetto alle necessità operativa, negli altri casi l’entità di tali benefici è trascurabili. A parere di chi scrive la valutazione dei benefici privati non può essere forfetaria ma deve fondarsi su una stima esplicita, basata su dati dimostrabili. Lo sconto di minoranza è normalmente inteso come l’inverso del premio di maggioranza ma la logica sottostante è invece profondamente differente. Lo sconto di minoranza dovrebbe, infatti, più profondamente essere definito sconto di illiquidità, ovvero una diminuzione da applicare ad un pacchetto di minoranza di una società non quotata in ragione della sua limitata negoziabilità. L’attribuzione dello sconto avviene su base empirica, applicando su base analogica i risultati degli studi empirici compiuti confrontando il valore pre e post-quotazione di una società. Lo sconto minimo è pari a circa il 20% e il massimo al 40%. Lo sconto viene applicato sul valore della quota secondo il seguente processo: • stima del valore del patrimonio netto della società; • stima del valore teorico del pacchetto di minoranza da valutare; • applicazione del premio sul valore teorico in funzione dell’entità della quota, delle dimensioni della

società, del settore di appartenenza e delle caratteristiche dell’azionista/socio di controllo. Il valutatore è per definizione un “generalista” ovvero non possiede una competenza specifica relativa al business di ciascuna delle aziende che deve valutare. Ciò spiega la necessità di acquisire le conoscenze che gli mancano attraverso la raccolta di un’approfondita base informativa, ovvero dell’insieme dei dati che dovrà utilizzare per la valutazione. La raccolta delle informazioni è l’attività che comporta il maggior consumo di tempo e che crea sovente rilevanti problemi al professionista non abitualmente dedito all’attività di valutatore, per cui nel seguito del paragrafo la trattazione privilegerà gli aspetti operativi rispetto a quelli più teorici ed astratti. La ricerca deve orientarsi verso due direzioni: all’esterno dell’azienda ed al suo interno. La raccolta delle informazioni esterne all’azienda Le informazioni esterne riguardano in prima battuta il settore di appartenenza dell’azienda da valutare. Pur se l’evolversi delle strategie competitive delle imprese ha progressivamente reso meno determinante l’influenza del settore (o dei settori/business) di appartenenza sulle performances aziendali, un approfondimento degli aspetti salienti di quest’ultimo rimane imprescindibile. Le informazioni da raccogliere possono essere sintetizzate nelle seguenti: • la fase del ciclo di vita del settore; • la sensibilità al trend economico; • le previsioni di crescita nel medio periodo; • il grado di concorrenza interna; • la presenza di barriere all’ingresso; • la dinamica di tecnologie sostitutive per il soddisfacimento degli stessi bisogni; • la rilevanza della regolamentazione pubblica.

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La fase del ciclo di vita di un settore è fattore determinante del valore perché le esigenze e le caratteristiche di un’impresa che opera in un settore di recente sviluppo sono completamente diverse da quelle relative ad imprese attive in settori maturi. La sensibilità al trend economico indica quanto la fase espansiva o recessiva dell’intero sistema economico impatta sui risultati del settore (ad esempio ricavi e margini operativi). Gli esempi classici sono il settore alimentare e i prodotti di lusso. Quando la crescita del sistema si riduce, la contrazione della domanda è maggiore per i beni superflui (i prodotti di lusso non estremo) piuttosto che per i prodotti alimentari che soddisfano bisogni primari; al contrario nelle fasi espansive, la domanda di beni alimentari non può crescere oltre un determinato livello di soddisfazione mentre per i beni non necessari gli spazi sono molto più ampi. La considerazione congiunta della fase del ciclo di vita del settore e la sua sensibilità al trend dovrebbe guidare ad una stima del tasso di crescita atteso nel medio periodo. Il grado di concorrenza all’interno del settore influenza le performances attraverso i margini operativi. Un basso livello di concorrenza permette di mantenere alto il livello dei prezzi e conseguentemente una redditività accettabile anche in presenza di inefficienze gestionali (si pensi a molti segmenti della telefonia); al contrario, dove la concorrenza è molto forte, possono sopravvivere solamente le imprese più efficienti che pur in presenza di prezzi decrescenti mantengono margini sufficientemente elevati. Esistono significative interrelazioni tra i fattori descritti: è normale che un settore in forte crescita nella fase iniziale del ciclo di vita sia caratterizzato da un basso grado di concorrenza, poiché la crescita della domanda lascia spazio a tutti gli operatori, mentre quando il settore tende alla maturità le imprese possono espandere i ricavi solo a danno dei concorrenti. Il grado di concorrenza dovrà poi essere valutato in chiave dinamica per comprendere se e quanto la situazione esistente sia sostenibile anche in futuro. Pur riconoscendo la difficoltà della stima, è quantomeno opportuno interrogarsi sulla possibilità che nuovi operatori (o nuove tecnologie) entrino nel settore introducendo regole del gioco innovative e che i prodotti attuali possano essere sostituiti da altri, frutto di tecnologie diverse e più avanzate. Ulteriori esempi possono essere citati con riferimento allo sviluppo di nuove tecnologie che consentano l’introduzione di prodotti sostitutivi. Prima di trattare l’analisi interna all’azienda, pare opportuno fornire alcune indicazioni circa le fonti delle informazioni di natura esterna al settore. Una prima fonte di dati consiste nelle pubblicazioni a cura delle associazioni di categoria che forniscono statistiche solitamente aggiornate. Il contenuto di base che la maggior parte delle associazioni offre, copre i seguenti punti: – analisi della struttura del settore e dei principali aspetti di discontinuità rispetto al passato; – indicazione delle modifiche normative che riguardano il settore; – evoluzione dei ricavi e dei volumi di vendita per settore nel suo complesso e per gli specifici

segmenti che lo compongono; – evoluzione dei costi delle materie prime e del personale; – elenco delle imprese associate. Nei casi più fortunati, le associazioni forniscono anche ulteriori informazioni quali previsioni di mercato, analisi della redditività, ricerche effettuate su un campione di associati su tematiche specifiche che in taluni casi possono interessare il valutatore. È frequente inoltre che vi siano pubblicazioni specifiche di settore, spesso curate dalle associazioni stesse, che integrano i dati esistenti e li approfondiscono con ulteriori analisi, interviste a esperti e così via.

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Solitamente i dati possono essere scaricati direttamente dal sito internet dell’associazione e quasi sempre sono gratuiti. Rimane chiaro però che raramente i dati pubblicati dalle associazioni di categoria sono sufficienti per costituire una base informativa adeguatamente articolata. Una seconda fonte è costituita dalle pubblicazioni (monografie, atti di convegni, articoli scientifici) di matrice universitaria o da centri di ricerca assimilabili. Questa fonte può fornire informazioni estremamente ampie ed articolate ma è soggetta ad alcuni limiti: – la copertura settoriale non necessariamente è esaustiva e può accadere che venga analizzato un

mercato più ampio o più ristretto rispetto a quello di riferimento dell’azienda da valutare. Ad esempio, se si valuta un’azienda che produce farmaci oncologici non ha molto senso approfondire il settore farmaceutico nel suo complesso;

– i dati potrebbero non essere aggiornati, fatto questo che nei settori tradizionali e maturi non costituisce un rilevante problema, ma in altri settori, quali l’hi-tech, libri e articoli di più di due anni sono ormai obsoleti.

Per i lettori meno addentro alle attività accademiche, vale la pena ricordare che nei siti internet di quasi tutte le università è possibile accedere all’elenco delle opere possedute dalla biblioteca. È sufficiente visitare tre o quattro università per avere un quadro complessivo sufficientemente affidabile delle pubblicazioni esistenti. Una fonte potenzialmente enorme di dati è rappresentata dai periodici e dai quotidiani che certamente, per quanto il mercato di riferimento possa essere limitato, hanno presentato nei propri articoli alcune informazioni che possono essere ricostruite utilizzando opportune banche dati. Infine, una fonte da non trascurare è rappresentata dalle istituzioni pubbliche. In primo luogo, non può mancare nella fase di ricerca delle informazioni una visita al sito internet dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, costituita a seguito dell’introduzione della normativa antitrust in Italia. Tra le diverse attribuzioni l’Autorità ha anche quella di verificare che le acquisizioni e le fusioni non conducano ad un’eccessiva concentrazione e che le imprese leader di settore non abusino della loro posizione. Per giudicare su entrambi gli aspetti è necessario che venga preventivamente svolta un’analisi di settore, pubblicata nella delibera che approva o impedisce un’operazione. Queste analisi sono molto numerose, aggiornate, affidabili e completamente gratuite, salvo l’onere in capo al valutatore di dedicare tempo alla disamina delle delibere; data però la ormai pressoché completa digitalizzazione dell’archivio, tale attività non comporta un eccessivo spreco di tempo. In molti casi, il valutatore risolve il problema della raccolta dei dati rivolgendosi all’impresa stessa. Questa soluzione è accettabile in una seconda fase, ossia dopo che il valutatore abbia maturato una propria idea sul settore; tale soluzione può rivelarsi utile al fine di accedere a dati disponibili esclusivamente in azienda (ad esempio può accadere che le associazioni di categoria forniscano agli associati dati riservati) o frutto di analisi commissionate dall’azienda stessa (quali le analisi sulla quota di mercato). Ove invece il valutatore si formasse un’opinione del settore basandosi esclusivamente su dati forniti dall’azienda, essi potrebbero essere fuorvianti o parziali. La raccolta delle informazioni interne all’azienda La raccolta delle informazioni interne e specifiche dell’azienda si indirizza verso due direzioni. La prima riguarda il reperimento dei dati quantitativi e documentali ed è normalmente la più semplice e rapida. Si tratta di recuperare: • la visura storica dell’azienda; • i documenti completi dei bilanci relativi ad almeno gli ultimi tre esercizi;

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• il bilancio di verifica per il periodo intercorrente tra la data dell’ultimo bilancio chiuso e la data della valutazione;

• gli eventuali documenti previsionali (piano aziendale, budget annuale, budget di tesoreria, budget di funzione).

La seconda è invece più complessa ed articolata poiché si tratta di individuare da un lato le risorse delle quali l’azienda si avvale per lo svolgimento della sua attività e dall’altro le modalità di organizzazione delle attività stesse. Sono esempi di risorse afferenti la gestione commerciale, il marchio, il portafoglio prodotti, l’elenco dei clienti, l’accesso ai canali distributivi ma anche le modalità di approccio al cliente per le aziende con vendita diretta. Riguardano invece la gestione produttiva il know-how, la tecnologia e le specifiche competenze sviluppate: nel settore dello stampaggio di metalli per applicazioni nell’automotive, i macchinari sono analoghi per tutti ma quello che realmente distingue le aziende è la capacità di utilizzarli con la massima precisione e il minimo spreco di materia prima. Per quanto attiene alla componente organizzativa, il valutatore deve comprendere l’efficacia dei processi decisionali e di delega, della qualità e motivazione delle risorse umane, l’adeguatezza della struttura organizzativa sia sotto il profilo qualitativo sia quantitativo. Anche in questo caso è importante che vengano effettuate una o più visite all’azienda per rendersi conto in loco della situazione esistente. Considerando congiuntamente le risorse disponibili, l’organizzazione e il contesto settoriale (descritto al punto precedente) il valutatore può esprimersi in merito alla coerenza delle attuali strategie competitive e quindi delle performances attese. Il modello ha quale punto di partenza le performances attuali dell’azienda che devono essere indagate in profondità per comprendere quali sono i principali fattori che le determinano. Il passaggio dalle performance attuali a quelle attese dipende dalle strategie aziendali che a loro volta devono essere coerenti con le tre variabili evidenziate. In altri termini quanto si sostiene è che un’impresa di successo è tale quando possiede risorse con valore, quando ha un’efficace gestione dei processi organizzativi, quando opera in un business favorevole ma soprattutto quando è capace di elaborare strategie in grado di valorizzare ciascuno dei singoli fattori e tradurli a sistema. Tali considerazioni riguardano il futuro dell’azienda che assume rilevanza ai fini valutativi ma devono preliminarmente essere rintracciate nel presente. L’enfasi sulla strategia introduce un aspetto critico nelle valutazioni d’azienda in merito al peso che deve essere attribuito alla funzione imprenditoriale. Dato il presupposto della dimostrabilità e dell’oggettività del valore si dovrebbero escludere, dalla funzione del valore, le capacità dell’imprenditore in tutte quelle situazioni nelle quali non vi è certezza circa la permanenza dello stesso presso l’impresa in futuro. È evidente che, da un lato, la frequenza con la quale le aziende e le società sono cedute ad altri imprenditori e, dall’altro, la presenza di inevitabili barriere di natura fisica, rendono impossibile il verificarsi del requisito indicato e quindi la posizione teorica dovrebbe essere riletta nel senso di non valutare mai le capacità imprenditoriali. Anche le finalità della valutazione influiscono sulla scelta di considerare o meno le capacità imprenditoriali. Le valutazioni finalizzate a cessioni di attività aziendali prescindono dalle specifiche competenze imprenditoriali, poiché l’attuale imprenditore intende disimpegnarsi; al contrario, le valutazioni finalizzate ad acquisizioni dovrebbero includere un giudizio sulle qualità dell’imprenditore “entrante”. Concludendo, su questo punto, rimane il dubbio sul corretto comportamento da seguire, in presenza, di capacità imprenditoriali molto scarse pur se l’azienda dispone di risorse di elevato livello qualitativo.

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La nozione di valore dell’impresa e il processo di valutazione

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In questa situazione, tipica delle valutazioni finalizzate ad operazioni di riorganizzazione o di ristrutturazione, è ipotesi molto realistica che l’imprenditore debba cambiare e sia sostituito da un soggetto con normali capacità in modo da sfruttare al meglio le risorse disponibili, il cui valore potenziale dovrebbe essere considerato per intero, anche se al netto degli eventuali investimenti da compiere per riportare l’azienda in bonis. È peraltro opportuno notare che la valutazione delle qualità imprenditoriali è affidata interamente alla preparazione culturale, all’esperienza, alla profondità della base informativa ed infine alla capacità di sintesi del professionista stesso. Come già indicato nel paragrafo 1, il processo valutativo è inevitabilmente segnato da elementi di soggettività ineliminabili. Le modalità operative di raccolta e di analisi dei dati Per rendere operativi i concetti sviluppati nei punti precedenti è necessario un approccio sistematico che consideri i principali processi aziendali (marketing e commerciale, produzione e logistica, ricerca e sviluppo, amministrazione e finanza, organizzazione e risorse umane) ma che sia anche sufficientemente flessibile per tenere conto delle specificità aziendali. È evidente che la primaria fonte di informazioni è l’evoluzione dei dati di bilancio. Normalmente una valutazione non richiede la revisione del bilancio ma il valutatore dovrà comunque analizzare criticamente i documenti ed evidenziare eventuali anomalie. In merito alle modalità attraverso le quali deve essere condotta l’analisi dei bilanci storici, la quantità di materiale disponibile è estremamente elevata, ma spesso ai fini di una corretta ricostruzione è necessario procedere preliminarmente a: – rettificare le poste di bilancio che potrebbero fornire un’interpretazione distorta dei risultati

aziendali (ad esempio, operazioni di leasing, factoring o cartolarizzazioni dei crediti); – riclassificare i bilanci (sia lo Stato Patrimoniale che il Conto Economico) per identificare le relazioni

critiche tra i differenti prospetti; – redigere il rendiconto finanziario e la struttura dei flussi che si riferiscono alle differenti aree

gestionali. In una fase successiva, sarà possibile, attraverso opportuni indici di bilancio, apprezzare in termini quantitativi ogni componente del diamante. Ad esempio, la crescita dell’azienda è da intendere come crescita dei ricavi. L’importanza di questo indicatore è immediatamente percepibile: senza fatturato viene meno il presupposto fondamentale all’esistenza dell’azienda e la dimensione dei ricavi influenza la struttura dei costi e del capitale investito, anche se la trasmissione nel tempo di tale effetto può essere diversa. La crescita delle vendite ha, infatti, un impatto immediato sui costi per acquisti e sul capitale circolante, più diluito nel tempo sui costi del personale (ad esempio tra sei mesi ed un anno) e solitamente oltre l’anno sul capitale fisso (prima di investire in impianti, attrezzature, immobili l’azienda si preoccupa di verificare la stabilità dei ricavi). Alcuni autori sottolineano l’importanza di suddividere la crescita in quattro componenti: – la crescita organica; – l’effetto derivante dai tassi di cambio per le imprese con parte del fatturato generato all’estero; – la crescita derivante da acquisizioni o da altre operazioni straordinarie; – l’effetto di modifiche nei principi contabili che l’impresa adotta. Tale suddivisione consente di ottenere maggiore chiarezza in merito alle determinanti della crescita, anche se non sempre è possibile ottenere le informazioni sufficienti per scorporare le diverse componenti senza ricorrere a supposizioni arbitrarie.

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In altri termini, si tratta di individuare i punti di forza dell’azienda che ne spiegano la performance al di sopra della media o al contrario i punti di debolezza alla base di risultati non brillanti. Per quanto molti manuali si sforzino di delineare articolate check list di elementi da considerare, gli aspetti veramente critici ed influenti non sono moltissimi, soprattutto una volta scartati i fattori che non distinguono l’azienda rispetto al settore. Ad esempio, il portafoglio clienti è una risorsa importante per tutte le aziende ma diventa un punto di forza nel momento in cui i clienti siano particolarmente fedeli, redditizi, non rischiosi o rapidi e affidabili nei pagamenti. Le considerazioni svolte con riferimento al passato devono poi essere tradotte al futuro attraverso la valutazione delle strategie attuali dell’azienda e della loro capacità di rinforzare i punti deboli e di valorizzare quelli forti. Questa valutazione è puramente qualitativa e presenta un elevato grado di soggettività tuttavia il valutatore può aiutarsi studiando il business model delle imprese concorrenti oppure interpellare esperti di settore per avere i chiarimenti ritenuti necessari. Le valutazioni compiute in questa fase sono estremamente importanti poiché costituiscono il filtro attraverso il quale saranno costruite le ipotesi valutative.

In breve: 1. Non esistono valori d’impresa oggettivi e neppure neutrali; non esiste pertanto il “giusto”

valore d’impresa ma valori più o meno condivisibili. 2. Primo compito del valutatore è quello di comprendere la finalità della valutazione

dell’azienda. 3. Il valutatore, essendo un “generalista”, deve acquisire le conoscenze che gli mancano

attraverso la raccolta di informazioni. 4. La ricerca delle informazioni deve orientarsi verso due direzioni: all’esterno dell’azienda ed al

suo interno.

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LA DUE DILIGENCE: FUNZIONE, TIPOLOGIE E MODALITÀ DI ESECUZIONE

a cura di Massimo Buongiorno e Marco Capra28

La due diligence è venuta acquisendo sempre più una maggiore articolazione svolgendo una più completa funzione informativa e di tutela per l’investitore e per le diverse figure coinvolte nell'ambito delle operazioni di acquisizione aziendali e straordinarie. La due diligence si è infatti sviluppata da un nucleo originario di analisi ed investigazioni volte a verificare la correttezza dei bilanci, la posizione tributaria e previdenziale e i contenziosi in essere o eventuali della società potenzialmente oggetto di un trasferimento, verso una valutazione complessiva dei rischi aziendali, ivi inclusi quelli derivanti dall’inquinamento ambientale o finanche connessi alla formula imprenditoriale (cd. due diligence strategica o di business). La centralità del ruolo che la due diligence sta assumendo nelle operazioni straordinarie stimola un approfondimento in merito: • alle diverse forme tecniche che la due diligence può assumere (contabile, fiscale,

legale, ecc.); • alle modalità di esecuzione in relazione alla tipologia di operazione straordinaria che

coinvolge la società da analizzare (la due diligence per un’acquisizione differisce da quella per una quotazione);

• al settore di appartenenza ed al business specifico che l’azienda svolge (la due diligence per un negozio di vicinato è molto differente da quella per un’azienda chimica).

1. La funzione della due diligence ed il suo posizionamento nel processo di acquisizione

La due diligence trova la più frequente applicazione nelle acquisizioni di azienda o di partecipazioni societarie dove il potenziale acquirente percepisce una forte esigenza di tutela a fronte dell’assunzione dei rischi derivanti dall’investimento che intende effettuare. Durante la fase di negoziazione del prezzo di acquisizione, il potenziale acquirente può solo assumere che le informazioni che gli sono state fornite e sulle quali ha fondato le sue valutazioni economiche, siano vere. Nelle operazioni più articolate che coinvolgono grandi imprese, è possibile che il potenziale acquirente abbia potuto accedere ad alcuni documenti societari (cd. preliminary due diligence) ma la regola è che permanga una forte asimmetria informativa tra il venditore e chi intende acquistare.

28 Contributo tratto da La Rivista delle Operazioni Straordinarie, 10/10, Euroconference Editore

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Tale situazione è accettabile fino a che la negoziazione è in una fase preliminare, per una ovvia indisponibilità del venditore a fornire informazioni riservate, ma, dopo che è stato trovato un accordo di massima sul prezzo e sulle principali coordinate dell’operazione, è evidente che, affinché la trattativa possa concludersi, è necessario che il potenziale acquirente possa verificare che le assunzioni corrispondano al vero. Estremizzando i concetti, la due diligence può essere proprio definita come questo processo di verifica volto a ridurre le asimmetrie informative durante il processo di acquisizione. Più in dettaglio, la due diligence non è altro che un’attività organizzata, finalizzata alla raccolta, controllo e verifica di informazioni di natura patrimoniale, finanziaria, economica, gestionale, strategica, fiscale, ambientale (o quant’altro), relativamente ad un'azienda o ad un ramo di essa oggetto di acquisizione o possibile acquisizione, in modo da ottenere, come risultato finale, una fotografia particolareggiata della realtà presa in esame. Proprio per la sua natura di attività organizzata e sistematica, la due diligence richiede un contributo significativo dell’organo amministrativo della società e dei principali responsabili; tale necessità si scontra con l’altrettanto importante esigenza di mantenere la riservatezza in merito all’operazione in corso fino a che non sarà conclusa. Per risolvere il problema, storicamente la due diligence veniva effettuata dopo la sottoscrizione del contratto preliminare, la cui efficacia era subordinata anche al risultato della due diligence stessa (tipicamente con riferimento ad eventuali aggiustamenti di prezzo). In altri termini il contratto doveva essere rivisto per tenere conto delle risultanze della due diligence. Nel periodo più recente, si è assistito ad una progressiva anticipazione della due diligence, immediatamente dopo la lettera di intenti nelle negoziazioni più articolate o dopo che si è trovato un accordo sul prezzo in quelle più semplici. Tale soluzione consente un duplice beneficio: verificare subito la presenza di eventuali deal breaker, ovvero ostacoli insormontabili alla conclusione della trattativa e arrivare alla stesura del contratto avendo una maggiore consapevolezza da entrambe le parti della reale situazione aziendale, evitando delicate revisioni del contratto. 2. Gli obiettivi e le modalità attuative della due diligence

L’obiettivo generale della due diligence può essere, in estrema sintesi, ridotto all’individuazione preventiva dal maggior numero possibile di rischi ai quali la società oggetto di una possibile operazione straordinaria può andare incontro. Tali rischi emergono da un’analisi critica dei principali fattori influenti sulle perfomances aziendali ai fini di individuare i punti di forza e soprattutto di debolezza dell’azienda. L’obiettivo generale di evidenziazione dei rischi impliciti nell’operazione straordinaria si declina poi operativamente in obiettivi specifici, che possono essere così sintetizzati: 1. verificare che i dati effettivi della società corrispondano a quanto rappresentato nella fase

negoziale o preparatoria all’operazioni straordinaria; 2. identificare gli aspetti di natura legale, economica, fiscale o di altro tipo che dovranno essere

oggetto di specifiche pattuizioni nel contratto d’acquisto finale; 3. identificare le rettifiche da apportare alla struttura dell’operazione per tenere conto delle

risultanze della due diligence. Nella prassi, per contenere tempi e costi dell’intervento, sovente si ricorre alla cd. Limited due diligence: in tale caso, occorrerà definire con precisione il perimetro dell’intervento. Altro aspetto da definire tra le parti è il “regolamento” della due diligence (in data room fisica o virtuale, con o senza estrazione di copie, con o senza ispezioni fisiche e carotaggi, ecc.).

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La due diligence: funzione, tipologie e modalità di esecuzione

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La verifica della corrispondenza dei dati effettivi con quelli rappresentati La valutazione della convenienza di un’operazione, sia essa un’acquisizione, una quotazione o anche un finanziamento bancario, viene effettuata, come ricordato sopra, da almeno una delle parti, solitamente quella che investe denaro, sulla base delle seguenti assunzioni: • che il bilancio della società sia redatto nel rispetto delle norme di legge e coerentemente ai principi

contabili e quindi rappresenti in modo veritiero le condizioni di svolgimento dell’attività aziendale; • che i documenti previsionali, quali il budget per l’anno in corso e il business plan per gli anni

successivi, siano stati costruiti sulla base di ipotesi realistiche, siano internamenti coerenti e si fondino su un corretta rappresentazione del modello di business.

Un errore frequente è quello di attribuire un’importanza preponderante alla verifica della prima assunzione e riservare un’attenzione marginale alla seconda. In realtà, ricostruire le condizioni di più probabile svolgimento futuro dell’attività aziendale e quindi della redditività prospettica è tanto importante quanto comprendere se il bilancio rifletta esattamente gli accadimenti passati. Il primo punto è sostanzialmente riconducibile a una certificazione del bilancio e il professionista incaricato della due diligence dovrà attenersi agli standard di revisione e in special modo verificare che: • tutte le poste siano state contabilizzate; • le attività patrimoniali siano fondate su validi documenti inventariali; • i crediti e le rimanenze siano stati correttamente valutati; • i crediti siano stati iscritti al lordo di eventuali operazioni di anticipazione bancaria; • il processo di ammortamento sia stato costruito tenendo conto dell’effettiva vita utile dei cespiti; • le partecipazione iscritte al criterio del costo siano state opportunamente svalutate; • i fondi per rischi e oneri rappresentino in modo esaustivo i rischi aziendali; • i contratti su derivati eventualmente sottoscritti siano stati trattati correttamente. La verifica della correttezza dei documenti previsionali richiede un approfondimento dell’indagine sotto molteplici profili. In primo luogo, andrà studiato il modello di business dell’azienda ai fini di comprendere le fondamenta delle perfomances attuali e stimare quelle prospettiche. La rappresentazione grafica delle relazioni che dovranno essere costruite viene presentata nella seguente Tavola 1. Questa attività che viene definita “due diligence strategica” (o di business) considera due famiglie di fattori influenti sulla performance: quelli che derivano dal settore (opportunità e minacce) e le caratteristiche intrinseche dell’azienda che costituiscono in chiave prospettica punti di forza e di debolezza. La due diligence della componente settoriale si traduce nella raccolta più ampia possibile di dati e informazioni relative al business della società, soprattutto a possibili evoluzioni nel mercato, nella tecnologia, nelle normative.

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Tavola 1. L’analisi delle performance attese

L’impatto delle opportunità e delle minacce sui risultati aziendali non è diretto, ma mediato dalle caratteristiche specifiche di ogni impresa, rendendo necessaria la comprensione del business model dell’impresa, ovvero: • con quali prodotti l’impresa è presente sul mercato; • attraverso quali canali i beni o servizi vengono venduti; • quali tecnologie sono utilizzate e quale forma assumono i processi produttivi; • come si configura l’organizzazione aziendale; • quale tipo di controllo viene esercitato dal vertice aziendale. Le analisi svolte in sede di due diligence strategica devono trovare puntuale conferma nei piani aziendali sui quali si è basata la stima del valore dell’azienda. In particolare, si dovrà verificare che: • le ipotesi sulle quali si basa il piano aziendale non siano irragionevoli; • il modello di previsione sia stato correttamente costruito sulla base delle precedenti ipotesi; • i dati finanziari previsionali siano coerenti con gli ultimi bilanci aziendali, con particolare

riferimento ai principi contabili sottostanti. Le eventuali differenze tra le risultanze della due diligence e quanto rappresentato possono, nel caso delle acquisizioni, comportare: 1. un aggiustamento nel prezzo se si tratta di differenze di lieve entità; 2. una miglior definizione delle garanzie; 3. la necessità di procedere ad una nuova valutazione ed alla conseguente rinegoziazione del prezzo

se si tratta di scostamenti che impattano in modo significativo sulle performance attese. E’ evidente che nella terza situazione il processo di acquisizione compie un passo indietro poiché non è sicuro che, dopo la revisione della valutazione da parte dell’acquirente, si possa ritrovare un accordo tra le parti. Nel caso di due diligence per operazioni diverse dalle acquisizioni, quali la quotazione od il finanziamento bancario, l’emergere di performance attese significative minori di quelle previste può costituire un deal breaker poiché compromette l’intero equilibrio economico dell’operazione. Ad esempio, in un finanziamento l’importo da erogare e la struttura di rimborso dipendono dalla capacità prospettica dell’azienda di generare i flussi di liquidità: ove risultasse in due diligence che tali flussi

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La due diligence: funzione, tipologie e modalità di esecuzione

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sono stati sovrastimati tutti i parametri fondamentali dell’operazione devono essere nuovamente discussi. L’identificazione dei rischi impliciti Una specifica area di attenzione riguarda la posizione fiscale dell’azienda, che può così articolarsi: 1. riscontro del certificato dei carichi pendenti (art. 14, D.Lgs. n. 472/97); 2. controllo degli obblighi dichiarativi e di versamento con riferimento alle imposte dirette, all’IVA, al

sostituto d’imposta, ecc.; 3. analisi e valutazione della posizione aziendale in merito al contenzioso in essere, minacciato e

potenziale. I rapporti di lavoro posti in essere dall’azienda costituiscono un’ulteriore significativa fonte di rischi e richiedono che il soggetto che svolge la due diligence esamini: • i contratti collettivi di lavoro subordinato applicati ai dipendenti e gli accordi interni e i contratti di

parasubordinazione, a progetto e di consulenza continuativa al fine di verificare che non nascondano rapporti di lavoro, nei fatti, di tipo subordinato;

• la posizione di ciascun dipendente con riferimento alla data di inizio del rapporto di lavoro, la qualifica, le mansioni, e le ore lavorative (anche per il part-time), il reddito lordo da ciascuno percepito, gli eventuali fringe benefit e incentivi, i rapporti di formazione lavoro o apprendistato o a termine o lavoro temporaneo o ancora in periodo di prova. Nelle aziende di maggiori dimensioni tale esame può essere svolto sulla base di un campione significativo per ciascuna qualifica;

• il DURC per verificare la regolarità della posizione contributiva; • la regolarità del calcolo del TFR maturato, anticipato e versato ai fondi; • la posizione dell’azienda con riferimento alle categorie protette; • il contenzioso in essere, minacciato e potenziale, stimando il probabile esito per l’azienda. In tempi recenti una maggiore attenzione, in sede di due diligence, è stata riservata ai potenziali rischi emergenti dalla violazione delle norme di sicurezza e di tutela dell’ambiente. Gli aspetti più critici che dovrebbero essere considerati riguardano: • la conformità alla normativa vigente del sito produttivo e dei beni; • l’esistenza delle certificazioni e autorizzazioni necessarie per l’attività produttiva (concessione

edilizia (o sanatoria), certificato agibilità locali, certificato prevenzione incendi, certificazione ASL di conformità degli impianti elettrici di messa a terra, rispetto della normativa igienico-sanitaria per i locali produttivi, documentazione comprovante il regolare smaltimento dei rifiuti prodotti;

• la quantità, il tipo ed eventualmente la nocività delle emissioni di qualsiasi genere comprese quelle acustiche ed elettromagnetiche. Nei casi più critici, oltre alla verifica documentale si rende necessaria anche quella fisica facendo ricorso ad ispezioni ed esami quali carotaggi, prelievi e simili;

• la valutazione del rischio in merito alla sicurezza dei dipendenti con particolare attenzione alla verifica del manuale sulla sicurezza ed alla nomina e formazione dei responsabili per la sicurezza, dei lavoratori, dell’evacuazione, dell’addetto al primo soccorso;

• l’analisi e la valutazione della posizione aziendale in merito al contenzioso in essere, minacciato e potenziale.

Le aree ricordate sopra (fiscalità, rapporti di lavoro, sicurezza ed ambiente) sono sicuramente le più critiche tuttavia una investigazione completa dovrà considerare anche: • il contenzioso in essere, minacciato e potenziale, stimando il probabile esito per l’azienda,

derivante da tutte le possibili fonti non incluse nelle precedenti e da altri rapporti giuridici (ad

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esempio rivendica di beni di terzi, posizioni da sostituire o surrogare quali, cauzioni, fidejussioni, garanzie);

• le pattuizioni contenute nei contratti destinati a proseguire dopo l’acquisizione quali quelli con i clienti, con i fornitori di beni e servizi, con gli agenti, di locazione, di assicurazione e simili;

• la posizione dell’impresa rispetto al mercato finanziario e bancario in particolare. Si dovranno esaminare le clausole incluse nei contratti di finanziamento, di leasing finanziario e nei contratti derivati. L’analisi della Centrale Rischi si dimostra particolarmente utile per evidenziare situazioni critiche (sconfinamenti, scaduti);

• tutti gli atti, fatti e circostanze che possano pregiudicare il libero godimento dell’azienda ed alterarne il valore.

L’efficacia della due diligence in ordine ai rischi emersi e non emersi Il punto è critico e la regolamentazione dipende dall’equilibrio tra le parti e dalla circostanza che, di regola, il report non è noto al cedente: ad ogni buon conto, l’acquirente vorrà che l’esito della due diligence non limiti le garanzie circa i rischi, mentre il venditore cercherà di far discendere dalle indagini una sorta di manleva generale. L’identificazione delle modifiche da apportare alla struttura dell’operazione L’emergere di rischi impliciti nell’azienda da acquistare comporta la necessità per il potenziale acquirente di trovare una opportuna tutela. Essa può essere ottenuta secondo tre modalità: 1. includendo pattuizioni contrattuali che consentano al potenziale acquirente di scaricare il rischio

sul venditore, che fornisce idonee garanzie a fronte del verificarsi dell’evento dannoso. Il soddisfacimento dell’acquirente avviene normalmente con la tecnica del cd. escrow (ad esempio attraverso un conto vincolato, costituito dal venditore con parte del corrispettivo derivante della cessione e addebitato quando ricorrono le fattispecie per le quali l’acquirente è stato garantito);

2. riducendo il prezzo di acquisizione, già concordato, per un importo pari al valore attuale del rischio futuro;

3. modificando la struttura dell’operazione in modo da ridurre o annullare l’assunzione del rischio in capo al potenziale acquirente. Acquisire l’azienda in luogo dell’intero capitale di una società, evita di trasferire all’acquirente tutti i rischi in capo alla società (pur evidenziando che, in linea di principio, l’acquirente può rispondere dei debiti dell’azienda ceduta risultanti dalle scritture contabili).

Quando nessuna delle tre soluzioni risulta percorribile in sede negoziale e il rischio implicito è di rilevante entità, esso diventa un deal breaker ovvero interrompe le trattative ed impedisce il raggiungimento di un accordo tra le parti. 3. Conclusioni

La due diligence è un’attività necessaria nella maggior parte delle operazioni straordinarie e in particolare nelle acquisizioni di aziende o di partecipazioni. Lo svolgimento di tale attività da parte di professionisti specializzati permette di fare emergere rischi impliciti per il potenziale acquirente od investitore inerenti: • una sopravalutazione dell’azienda fondata su dati di bilancio non veritieri e/o su piani

eccessivamente ottimistici;

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La due diligence: funzione, tipologie e modalità di esecuzione

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• la presenza all’interno dell’azienda di fattori potenzialmente in grado di generare oneri futuri in capo al potenziale acquirente od investitore dei quali è responsabile il venditore.

Poiché la due diligence viene solitamente effettuata quando vi è accordo sul prezzo o valore dell’azienda, l’individuazione di significativi rischi impliciti comporta una ristrutturazione conseguente del contratto (in termini di adeguamento del prezzo, delle garanzie o della struttura dell’operazione) oppure in assenza di un accordo tra le parti l’interruzione della trattative.

In breve: 1. La due diligence svolge un’importante funzione informativa e di tutela per l’investitore e per

le diverse figure coinvolte nelle operazioni. 2. La due diligence consiste in un’attività organizzata, finalizzata alla raccolta, controllo e verifica

di informazioni di natura patrimoniale, finanziaria, economica, gestionale, strategica, fiscale, ambientale, relativamente ad un'azienda o ad un ramo di essa, in modo da ottenere, come risultato finale, una fotografia particolareggiata della realtà presa in esame.

3. La due diligence trova la più frequente applicazione nelle acquisizioni di azienda o di partecipazioni societarie dove il potenziale acquirente percepisce una forte esigenza di tutela a fronte dell’assunzione dei rischi derivanti dall’investimento che intende effettuare.

4. La due diligence definita “strategica” (o di business) considera due famiglie di fattori influenti sulla performance: quelli che derivano dal settore (opportunità e minacce) e le caratteristiche intrinseche dell’azienda che costituiscono in chiave prospettica punti di forza e di debolezza.

5. La due diligence della componente settoriale si traduce nella raccolta più ampia possibile di dati e informazioni relative al business della società, soprattutto a possibili evoluzioni nel mercato, nella tecnologia, nelle normative.

6. L’identificazione dei rischi impliciti consiste nell’individuazione dei possibili rischi relativi alla fiscalità, ai rapporti di lavoro, alla sicurezza all’ambiente ed al contenzioso in essere, minacciato e potenziale.

7. Le eventuali differenze tra le risultanze della due diligence e quanto rappresentato possono comportare un aggiustamento nel prezzo, una miglior definizione delle garanzie, fino alla necessità di procedere ad una nuova valutazione ed alla conseguente rinegoziazione del prezzo, oppure, in assenza di un accordo tra le parti, l’interruzione delle trattative.

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PREMI E SCONTI DI MAGGIORANZA NELLA VALUTAZIONE

a cura di Massimo Buongiorno29

Il presente lavoro si propone di evidenziare le criticità inerenti il passaggio dal valore complessivo della società a quello delle relative partecipazioni al capitale, distinguendo in particolare tra pacchetti di minoranza e pacchetti di controllo. Si investigano le ragioni sottostanti l’applicazione dei premi e degli sconti e le modalità di calcolo all’interno di un modello generale. Nella seconda parte dell’articolo si dedica invece spazio all’applicazione del modello a specifiche finalità valutative quali le acquisizioni, le fusioni, il recesso del socio e le valutazioni fiscali.

1. Alcune riflessioni preliminari

La letteratura e la prassi sono solite esprimersi in merito alla valutazione delle “aziende”, ma spesso il termine azienda viene usato in modo non corretto. Se usassimo tale termine secondo il significato che gli è proprio, sia in senso giuridico (vedi art. 2555 c.c.), sia in senso economico, dovremmo intendere il compendio di beni e di risorse (attività ma anche passività) che sono necessarie per esercitare l’attività di impresa. L’azienda è quindi valutabile per intero o solamente in parte, ma quest’ultima deve comunque riferirsi ad un ramo d’azienda ovvero ad un compendio che, pur non esaurendo i beni e le risorse dell’azienda nel suo complesso, è comunque in grado di operare autonomamente sul mercato come impresa. In realtà, la gran parte delle valutazioni non ha per oggetto aziende o rami d’azienda, bensì partecipazioni al capitale, espresse da azioni o quote sociali. La maggiore differenza tra le due nozioni di valutazione non risiede nei criteri valutativi che possono essere applicati indifferentemente, bensì nella possibilità riservata esclusivamente alle partecipazioni di rappresentare quote non totalitarie. Si pone, quindi, il problema in capo al valutatore di decidere se il valore di una singola azione o quota ideale sia pari a un valore medio costante pari al rapporto tra il valore del patrimonio netto (solitamente definito Equity value) e il numero totale delle azioni o quote ideali, o se invece debba variare in ragione di: 1. premi di maggioranza, quando il valore unitario attribuito alle azioni o quote è maggiore del

valore medio; 2. sconti di minoranza, quando tale quando il valore unitario attribuito alle azioni o quote è minore

del valore medio. La natura dei premi e degli sconti è solo parzialmente simmetrica e richiede una trattazione separata.

29 Contributo tratto da La Rivista delle Operazioni Straordinarie, 11/13, Euroconference Editore

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Premi e sconti di maggioranza nella valutazione

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2. Un modello per la determinazione di premi e sconti

Il tema dei premi e degli sconti ha trovato ampio spazio in letteratura ed è stato oggetto di numerose ricerche empiriche. L’applicazione di un premio di maggioranza trova presupposto nella possibilità di controllare, generalmente, la società con solamente il 51% dei diritti di voto; ne deriva, quindi, che l’intero beneficio ritraibile dal controllo può essere ottenuto senza acquistare l’intero capitale. Il valore di una singola azione o quota è quindi più elevato nell’ipotesi che si detenga il controllo a mezzo di partecipazioni di maggioranza, rispetto a un’acquisizione totalitaria. I benefici derivanti dal controllo sono riconducibili a due fattori principali: • benefici “privati” derivanti dal controllo, ovvero dalla possibilità di nominare gli amministratori, di

decidere gli indirizzi strategici, di realizzare operazioni sul capitale; • sinergie, ovvero maggiori flussi derivanti dall’integrazione tra l’azienda target e l’acquirente. I benefici “privati” possono essere usufruiti in qualunque momento della vita di una società, mentre le sinergie sono tipicamente sfruttabili nel momento in cui si realizza un’acquisizione. Ne deriva che la prima famiglia di benefici può essere considerata un elemento del quale tenere conto in ogni valutazione di partecipazione; al contrario la seconda famiglia riguarderà specificamente le valutazioni funzionali alle decisioni di acquisizione. Il seguente esempio aiuta a comprendere il funzionamento dei benefici privati. Si ipotizzi che: 1. l’Equity value di una società sia pari a euro 12 milioni; 2. il numero di azioni in circolazione sia pari a 3.000.000.

Da quanto sopra deriva che il valore medio di una azione sia pari a 4 euro. Ipotizziamo ora che una componente dell’Equity value pari a euro 2 milioni sia attribuibile al controllo e quindi sarà di pertinenza solamente del pacchetto azionario di controllo, quindi dal 51% a crescere fino al 100%. Il risultato che si ottiene è rappresentato nella figura seguente.

0% 50% 100% Partecipazione detenuta

V a l o r e u n i t a r i o dell’azione/quota senza premi/scon

V a l or e u n i t a r i o dell’azione/quota i n p r e s e n z a d i premi

V a l o r e u n i t a r i o d e l l ’ a z i o n e / q u o t a i n presenza di scon

Valore u n i t a r i o dell’azione/quota 4,64

4

3,33

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Poiché una componente dell’Equity value è attribuibile solamente al pacchetto di controllo, ne deriva che sarà interamente attribuibile al pacchetto del 51%, mentre al 49% non sarà attribuito nulla. Il pacchetto al 51% vale pertanto la componente “base” dell’Equity Value, pari a euro 10 milioni, moltiplicata per la percentuale di possesso (euro 5,1 milioni), più l’intero valore del controllo (euro 2 milioni). Ognuna delle 1,53 milioni di azioni vale pertanto euro 4,64. Ripetendo gli stessi calcoli per un pacchetto al 70% si trova un valore di euro 4,29, che porta a un valore del pacchetto pari a euro 9 milioni; ovviamente, il valore unitario dell’azione contenuta nel pacchetto totalitario sarà pari a euro 4. In sintesi, il premio di maggioranza è tanto maggiore quanto più il pacchetto detenuto si avvicina al 51%, mentre si riduce fino al valore medio nell’ipotesi di possesso del pacchetto totalitario. Nell’esempio, si ipotizza che il valore massimo delle azioni, incluso il premio, sia pari a euro 4,64, contro un valore medio di euro 4, che equivale a circa il 16%. Il modello che si è sviluppato determina analiticamente il valore del controllo; tuttavia, nella trasposizione alla realtà, emergono notevoli problemi pratici di valutazione. La letteratura, analizzando le determinanti del valore del controllo, ha rilevato come esse siano riconducibili da un lato alla possibilità di esercitare i diritti amministrativi della società e dall’altro alla possibilità di “sfruttare” la società per ottenerne benefici “particolari”, che potrebbero non rientrare nemmeno tra le finalità aziendali. Ne deriva, pertanto, che gli spazi per l’attribuzione di premi di controllo sono tanto maggiori quanto più i modelli di governance lo consentano, ovvero quanto più è facile per la maggioranza imporre il proprio volere alla minoranza, senza che quest’ultima possa efficacemente opporsi. I premi di maggioranza saranno quindi: • maggiori nei paesi con un ordinamento giuridico meno orientato alla tutela delle minoranze e con

un sistema giudiziario che non permette una pronta risposta in caso di violazioni; • minori per le società quotate per le quali il controllo esercitato dal mercato, dagli organi di vigilanza

(in Italia CONSOB) e dal gestore stesso (in Italia Borsa Italiana) tendono a ridurre gli spazi per i benefici “privati”;

• maggiori per le società di ridotte dimensioni e dove la maggioranza viene a coincidere con l’amministrazione della società stessa. In tali situazioni, le minoranze anche qualificate stentano a reperire tutte le informazioni che vorrebbero in merito all’andamento della gestione e spesso si creano rilevanti asimmetrie informative tra la maggioranza/amministrazione della società e le altre compagini sociali.

Come si può notare i riferimenti indicati sono più di natura qualitativa che quantitativa, rendendo l’attribuzione dei premi di maggioranza legati ai benefici “privati” assai aleatoria nella prassi. La dottrina (si vedano ad esempio i diversi lavori di L. Guatri sul tema) si è attestata sull’attribuzione di premi di maggioranza variabili tra un minimo del 15% e un massimo del 30%, a seconda delle caratteristiche della società da valutare, rispetto alle indicazioni fornite più sopra. Le ricerche empiriche, non molte in realtà, hanno individuato per l’Italia un intervallo di ragionevolezza per le società quotate compreso tra il 12% e il 18%, che quindi verrebbe a sovrapporsi con il minimo indicato dalla dottrina. Nella prassi è assai improbabile vedere applicati premi maggiori del 30% mentre è possibile che in situazioni particolari i premi possano ridursi, fino anche ad annullarsi. Ai fini della quantificazione del premio si procede nel modo seguente: 1. determinazione dell’Equity Value (ad esempio euro 12 milioni); 2. determinazione del valore unitario medio di una azione o quota (ad esempio euro 4);

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Premi e sconti di maggioranza nella valutazione

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3. applicazione di un premio sul valore unitario (ad esempio per un pacchetto del 70% il 7% per un valore unitario di circa euro 4,29);

4. calcolo del valore del pacchetto moltiplicando il numero delle azioni per il relativo valore unitario (ad esempio euro 4,29 per 2,1 milioni di azioni pari a euro 9 milioni).

Risulta evidente come la scelta in merito al “corretto” premio da applicare sia in buona parte lasciata all’interpretazione soggettiva del valore, pur all’interno di intervalli codificati, ma assai ampi. Tornando alla figura precedente, rimangono da considerare gli sconti di minoranza, ovvero il valore attribuibile a ciascuna azione inclusa nei pacchetti di minoranza. Il modello determina tali valori come rapporto tra il valore del pacchetto senza considerare il valore del controllo e il numero delle azioni possedute. Ad esempio, nota la componente base, pari a euro 10 milioni, ne deriva che al pacchetto del 30% sarà attribuibile un valore pari a 3 milioni, ai quali corrispondono 900.000 azioni per un valore unitario pari a euro 3,3. Per come è stato determinato, è evidente che il valore unitario sarà costante, indipendentemente dall’entità del pacchetto di minoranza. In questo modo si ottiene che la somma del valore del pacchetto di maggioranza e di minoranza porta sempre all’Equity value stimato, pari a euro 12 milioni. Si è infatti riportato sopra che il valore del pacchetto al 70% vale euro 9 milioni, mentre il pacchetto residuo ne vale 3. Purtroppo nella prassi non è infrequente assistere a evidenti errori. Ciò avviene quando il valutatore non controlla che l’attribuzione del premio - e corrispondentemente dello sconto - ai pacchetti di maggioranza e minoranza non abbia effetti sull’Equity Value totale. Un esempio può agevolare una migliore comprensione del punto. Si ipotizzi, come nel caso riportato sopra, che per un pacchetto del 70% il valutatore abbia attribuito un premio del 7% sul valore medio unitario. Ne deriva che lo sconto di minoranza sul pacchetto al 30% non può essere attribuito in modo arbitrario, ad esempio ipotizzando uno sconto sul valore medio unitario del 20%, perché in tal caso si avrebbe: 1. valore di una azione nel pacchetto di minoranza pari a euro 3,2 ottenuto moltiplicando euro 4 per

(1-20%); 2. valore del pacchetto pari a euro 2,88 milioni (euro 3,2 per 900.000 azioni); 3. l’Equity value totale, pari alla somma del valore attribuito ai due pacchetti, euro 9 milioni ed euro

2,88 è inferiore all’Equity value, stimato pari a 12 milioni. L’esempio mostra come il valutatore possa stimare il premio o lo sconto, ma non entrambi autonomamente, poiché in tal caso non si avrebbe una corretta allocazione dell’Equity value, che ovviamente non può essere influenzato dalla presenza di premi o sconti. 3. Il premio nelle acquisizioni

Le considerazioni svolte in precedenza sono da leggere in riferimento alla stima del valore dei pacchetti in termini generali e astratti, prescindendo dalle finalità per le quali il capitale viene valutato. Nella realtà, però, le finalità di stima hanno una notevole rilevanza rispetto al tema oggetto di analisi. In primo luogo è interessante analizzare l’entità dei premi e degli sconti rispetto alle valutazioni di acquisizione. Per quanto attiene ai premi, essi sono riconducibili alla presenza di benefici potenziali in capo all’acquirente, spesso definiti sinergie. In estrema sintesi, le sinergie dipendono dalla capacità di sfruttare risorse a disposizione dell’acquirente e più spesso dell’acquisita in modo più profittevole attraverso una combinazione

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aziendale. Ad esempio, una piccola azienda che ha sviluppato un prodotto o una tecnologia innovativa potrebbe ottenerne un migliore sfruttamento attraverso l’utilizzo dei canali distributivi di una azienda grande e operante su molteplici mercati e settori. Anche in questo caso un piccolo esempio può essere di aiuto. Si ipotizzi che l’Equity value di una società sia valutato euro 4 milioni per l’intero capitale che si suddivide in tre pacchetti, il primo di controllo del 60% e gli altri due al 20%. Non sono applicabili premi e sconti come definiti in precedenza. Un potenziale acquirente ritiene che le sinergie che sarà in grado di sviluppare siano pari a euro 1,5 milioni. Ne deriva che il prezzo massimo30 che l’acquirente sarà disposto a pagare sarà pari all’Equity value più il valore addizionale che sarà in grado di sviluppare, ovvero complessivamente euro 5,5 milioni. Andrà però notato che l’acquirente può sfruttare le sinergie potenziali anche acquistando solamente il pacchetto di controllo e, quindi, riducendo l’investimento complessivo a un massimo di euro 2,4 milioni (60% dell’Equity value), più euro 1,5 milioni. Ne deriva che, anche in questo caso, il valore per quota del pacchetto di controllo è più elevato del valore unitario medio e naturalmente del valore unitario delle quote nei pacchetti di minoranza. L’attribuzione di un valore in caso di acquisizione dei pacchetti di minoranza assume talvolta risvolti più complessi. Esistono infatti casi nei quali un acquirente dopo essere entrato in una società acquistando un pacchetto di controllo, ha poi riconosciuto lo stesso prezzo ai pacchetti di minoranza (a volte anche di più) pur di acquisire la totalità del capitale e azzerare possibili fonti di contenzioso. Al contrario, specie nell’attuale contesto di mercato, ci si chiede se la stima del potenziale prezzo di cessione di un pacchetto di minoranza debba incorporare anche uno sconto ulteriore legato alla illiquidità dell’asset. La risposta è unanimemente considerata positiva ma deve essere letta esclusivamente nella presente congiuntura di mercato che è caratterizzata da scarsa liquidità e da un ridotto numero di operazioni, che rende di fatto assai difficile, se non impossibile, cedere pacchetti di minoranza di società controllate da altri. Una volta superata l’attuale situazione non vi è motivo per ritenere che in un contesto normale di mercato, un pacchetto debba valere meno di quanto risulta dall’applicazione dei corretti modelli valutativi, eventualmente rettificati per tenere conto di premi di controllo, come definiti sopra. 4. Premi e sconti nelle valutazioni con diverse finalità

L’ipotesi di acquisto/cessione di partecipazioni spiega una buona parte delle valutazioni; tuttavia le finalità valutative sono molteplici, creando quindi perplessità in merito alla possibilità di applicare premi e sconti. Più in dettaglio, le valutazioni che nascono dall’esigenza di tutelare le minoranze, per opinione condivisa dalla dottrina e dalla prassi, non dovrebbero includere l’applicazione di premi e sconti, venendo altrimenti a confliggere con la finalità principale. Sono da considerare in questo senso le valutazioni sottostanti la determinazione del rapporto di cambio in una fusione che, come noto, risulta dal rapporto tra il valore corrente delle azioni o quote dell’incorporata e il valore corrente delle azioni dell’incorporante. Nella determinazione di tale valore

30 Ovviamente l’acquirente cercherà di riconoscere al venditore un prezzo molto più basso di quello massimo, poiché in caso contrario non creerebbe valore attraverso l’acquisizione (o lo creerebbe in misura molto inferiore). Inoltre, si dovrà considerare il profilo di rischio in capo all’acquirente di mancata realizzazione delle sinergie.

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Premi e sconti di maggioranza nella valutazione

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i pacchetti di maggioranza e quelli di minoranza “pesano” allo stesso modo e, anzi, una discriminazione in tal senso tra la compagine societaria motiverebbe un giudizio di non congruità da parte degli esperti ai sensi dell’2501 sexies c.c.31 Analoghe considerazioni valgono per la valutazione delle quote nell’ipotesi di recesso del socio. Il diritto di recesso è riconosciuto dall’art 2437 c.c. per le società per azioni e dall’art. 2473 c.c. per le srl. L’esercizio del diritto comporta la liquidazione della quota da parte della società. L’art. 2437-ter c.c. definisce le modalità attraverso le quali deve essere determinato il valore della quota da liquidare. Esso prevede che “il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali”. Al di là delle evidenti preferenze del legislatore verso un criterio misto patrimoniale reddituale per la determinazione del valore, non pare che una norma interpretabile ad esclusiva tutela del socio dissenziente (e quindi delle minoranze societarie) possa essere declinata prevedendo uno sconto rispetto al valore medio unitario. Inoltre, la stessa interpretazione letterale della norma porta ad escludere che il socio possa non partecipare proporzionalmente alle consistenze patrimoniali delle società ed alle prospettive di reddito32. Allo stesso modo non paiono applicabili premi e sconti nelle valutazioni richieste in ottemperanza a norme fiscali, in particolare quelle richieste per la rideterminazione del valore fiscale delle partecipazioni sociali detenute da persone fisiche a fronte del versamento di un’imposta sostitutiva. In tale contesto, risulta evidente che, a ciascuna partecipazione, debba essere attribuito un valore proporzionale alla quota detenuta, non essendo compatibile (e difficilmente spiegabile) con la finalità della norma una differenziazione legata all’applicazione di premi e sconti. Infine, andrà evidenziato come nelle valutazioni richieste in caso di contenzioso, in merito alla congruità dei prezzi pagati a fronte di partecipazioni di controllo o di minoranza, vi sia invece spazio per l’applicazione dei premi e degli sconti, poiché si tratta di ricostruire il corretto percorso valutativo in ipotesi di acquisizioni.

In breve: 1. Il premio di maggioranza è tanto maggiore quanto più il pacchetto detenuto si avvicina al 51%,

mentre si riduce fino al valore medio nell’ipotesi di possesso del pacchetto totalitario. 2. I premi sono riconducibili alla presenza di benefici potenziali in capo all’acquirente, definiti

sinergie. 3. Le valutazioni che nascono dall’esigenza di tutelare le minoranze non dovrebbero includere

l’applicazione di premi e sconti.

31 Considerazioni analoghe valgono naturalmente per le fusioni pure e per le scissioni con concambio. 32 Quanto riportato per il diritto di recesso può essere applicato anche al caso della liquidazione delle quote agli eredi del socio defunto.

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VALUTARE UN’ACQUISIZIONE: LE MAGGIORI CRITICITÀ

a cura di Massimo Buongiorno33

La valutazione d’azienda è esercizio assai diverso dalla valutazione di una acquisizione. La letteratura si è ampiamente soffermata su questa distinzione ma l’ha ricondotta alla stima del potenziale sinergico quando invece la prassi evidenzia che sono molteplici le voci sensibili che si presentano ad interpretazioni opportunistiche delle parti. Nel presente articolo verranno esaminate le scelte di metodo in relazione alla determinazione della posizione finanziaria netta che impatta sul valore con riferimento ai criteri di mercato e basati sui risultati attesi negli approcci che stimano il corrispettivo di acquisizione come differenza tra il valore complessivo del capitale investito e la posizione finanziaria netta. Ugualmente controversa è la determinazione dell’Ebitda che pure viene a costituire una grandezza fondamentale di riferimento nelle valutazioni con il metodo di mercato. Il lavoro si sofferma infine sulle scelte di convenienza del venditore in merito all’opportunità di cedere in blocco impresa e immobili strumentali di proprietà all’interno dei diversi contesti valutativi. Conclude la rassegna dei temi l’analisi delle clausole di earn-out quale strumento per riconciliare la valutazione oggettiva di una impresa con le aspettative del venditore.

1. Dalla valutazione dell’azienda alla valutazione di una acquisizione

E’ opinione comune che la valutazione di un’azienda e la valutazione di un’acquisizione siano sostanzialmente identiche e che valutare l’una equivalga a valutare l’altra. Tale convinzione, come i consulenti specializzati nelle operazioni straordinarie ben sanno, è assai sbagliata. In primo luogo, le valutazioni d’azienda possono essere rese per molteplici finalità della quali la possibile acquisizione/cessione è solamente una, ancorché probabilmente la più frequente. Proprio perché la valutazione delle aziende risponde a esigenze differenti essa dovrebbe tendere, pur entro i limiti della specifica finalità, ad un valore oggettivo od almeno condivisibile sul mercato, tenendo delle inevitabili soggettività quali le ipotesi del valutatore in merito alla futura evoluzione aziendale. La valutazione di un’acquisizione è invece sempre specifica poiché riguarda un’operazione con parti ben definite, coinvolte in un processo negoziale nel quale ciascuno mira a massimizzare il proprio vantaggio.

33 Contributo tratto da La Rivista delle Operazioni Straordinarie, n.1/14, Euroconference Editore

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Valutare un’acquisizione: le maggiori criticità

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La teoria economica ha da tempo ricondotto queste tematiche ad un aspetto in particolare, ovvero il potenziale sinergico che consiste nella possibilità di creare attraverso l’acquisizione una nuova combinazione aziendale capace di generare sinergie derivanti da un miglior utilizzo e sfruttamento delle risorse esistente sia materiali (impianti, macchinari, magazzini) sia immateriali (marchi, rete distributiva, brevetti e tecnologia). Quanto maggiore è il potenziale sinergico tanto maggiore sarà il valore che l’azienda da acquisire viene ad assumere per l’acquirente. Rispetto ad un valore corrente di mercato (fair value) dell’azienda, l’acquirente è disposto ad offrire qualcosa in più in ragione delle potenzialità che potrà sfruttare in seguito. Ne deriva pertanto che mentre il fair value dell’azienda rimane costante, il valore di acquisizione è variabile in funzione del potenziale sinergico che ciascun acquirente interessato all’operazione potrà sviluppare in ragione delle proprie caratteristiche. A ben guardare però, oltre alle sinergie, sono molteplici i possibili fattori di criticità nel passaggio dal valore d’azienda al valore d’acquisizione. Tali voci “sensibili”, tipicamente nella negoziazione di un’acquisizione, portano a discussioni che apparentemente riguardano la tecnica valutativa ma che in realtà nascondono l’obiettivo delle parti di ottenere il maggior risultato possibile. Il presente lavoro è proprio indirizzato a fare chiarezza su questi aspetti, evidenziando le voci sensibili e l’impatto che possono avere in ragione dei differenti criteri valutativi utilizzati dalle parti e ponendosi come “guida” per discernere fino a che punto nel processo negoziale la controparte richiami una effettiva prassi consolidata o dove invece ponga in essere comportamenti meramente opportunistici. Verranno analizzati in dettaglio: 1. Le differenti modalità di determinazione della PFN; 2. Le differenti modalità di determinazione dell’Ebitda; 3. Le decisioni in merito alle immobilizzazioni strumentali con mercato liquido; 4. Le clausole di earn-out. 2. La determinazione della posizione finanziaria netta

Un primo punto di criticità riguarda la determinazione della posizione finanziaria netta. Tutti gli approcci valutativi di tipo asset side (tipicamente approccio dei multipli di mercato e approccio fondato sui risultati attesi), che pervengono alla stima del valore del capitale economico di un’impresa (Wequity) attraverso la stima del valore complessivo del capitale investito (Wasset o Enterprise Value), richiedono la determinazione della posizione finanziaria netta che esprime il debito finanziario complessivo dell’impresa. Tali metodi trovano nella prassi ampia diffusione all’interno della negoziazione delle acquisizioni34. La determinazione della posizione finanziaria netta (PFN) ha rilevanza trasversale rispetto ai diversi criteri valutativi richiamati ed ha un significativo impatto negoziale poiché, dato il Wasset, quanto maggiore è la PFN tanto minore sarà Wequity e quindi il corrispettivo che l’acquirente deve riconoscere al venditore. La definizione comunemente accettata di PFN include tutte le passività onerose e la liquidità immediatamente disponibile o comunque disponibile nel brevissimo e senza rischio di oscillazione dei prezzi. Le passività che in gran parte costituiscono la PFN sono di natura finanziaria, tipicamente debiti verso il sistema bancario o a fronte dell’emissione di prestiti obbligazionari.

34 E’ appena il caso di notare che l’Organismo Italiano di Valutazione nel documento in corso di approvazione, Principi Italiani di Valutazione attribuisce a questi metodi ampia dignità ed è, quindi, assai probabile che essi trovino maggiore diffusione in futuro anche in contesti valutativi diversi da quelli di acquisizione.

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In merito al debito bancario si richiedono alcune precisazione poiché a fronte di voci di chiara interpretazione ve ne sono altre più problematiche. Rientra nella PFN tutto il debito verso banche in essere alla data della valutazione e correttamente registrato in bilancio (o nel bilancio di verifica per situazioni infrannuali). Rientra, tuttavia, nella PFN anche ciò che potrebbe non essere stato registrato in bilancio. Il riferimento è a due situazioni specifiche: 1. le operazioni di leasing finanziario (cioè tutte quelle operazioni che consentono l’acquisto di un

cespite nel tempo, con traslazione dei rischi di deperimento o di obsolescenza in capo all’impresa e con contestuale finanziamento per l’acquisto) rientrano nella PFN e, quindi, se l’impresa redige il bilancio secondo i principi contabili nazionali dovrà procedere alla “rettifica leasing” secondo quanto indicato dallo IAS 17;

2. il finanziamento del capitale circolante nella forma delle anticipazioni bancarie salvo buon fine delle ricevute bancarie o delle fatture sono spesso trattate dai software di contabilità come estinzione del credito a fronte di un incremento di liquidità. Ovviamente questa rappresentazione è scorretta perché il credito verso il cliente è ancora aperto e in caso di mancato pagamento a scadenza il debito nei confronti della banca rimane e dovrà essere estinto nelle modalità previste contrattualmente. La rettifica di questa posizione richiede un intervento “manuale” che normalmente viene effettuato in bilancio, ma che potrebbe non essere stato fatto in occasione di bilanci infrannuali che sottostimano l’entità del debito. Considerazioni analoghe valgono per tutte le anticipazioni o anche cessioni del credito pro-solvendo.

Ove in sede di negoziazione di un’acquisizione dovessero essere sollevate dall’acquirente questioni inerenti i due punti precedenti è evidente che esse sono del tutto legittime poiché si tratta in realtà di errori valutativi. E’ assai più discutibile, invece, l’inclusione nella PFN del fondo TFR per l’importo in essere al momento della valutazione, in quanto sul punto non esiste un posizione condivisa in letteratura: da un lato, vi è, infatti, la posizione di chi ritiene che poiché il fondo TFR riguarda i dipendenti (costo operativo) debba essere considerata come una passività operativa; dall’altro, invece, vi è chi vede nella rivalutazione annuale del fondo TFR una forma di onerosità del debito. A parere di chi scrive la prima posizione è preferibile non essendo immaginabile un’azienda in funzionamento senza dipendenti, mentre le scelte in merito alla dimensione del debito dovrebbero essere discrezionali. In questo modo il fondo TFR è da intendersi come già valorizzato nel Wasset; tuttavia è facile cogliere la posizione dell’acquirente in sede negoziale che vede il fondo TFR come un impegno finanziario a fronte del quale si vorrebbe ridurre il corrispettivo da riconoscere al venditore35. La scelta, quindi, di includere il fondo TFR nella PFN non può definirsi una prassi comune, ma viene a dipendere dalla negoziazione tra le parti. Un’ulteriore criticità risiede nei finanziamenti soci la cui attribuzione a PFN o a patrimonio netto dipende da considerazioni assai sottili. Tuttavia, nella valutazione di acquisizione il tema non è particolarmente critico poiché ove venisse considerato patrimonio sarebbe parte del corrispettivo, ove, invece, venisse considerato debito sarebbe rimborsato secondo le modalità previste contrattualmente. Rimane ovviamente possibile che anche in presenza di un finanziamento soci chiaramente identificabile come debito le parti possono decidere il rimborso anticipato contestualmente al closing36.

35 La riforma del TFR entrata in vigore il 1° luglio 2007 (D.Lgs. 252/2005) ha parzialmente modificato il contesto poiché per le imprese con più di 50 dipendenti il fondo TFR non si accumula più, riducendo nel tempo il problema che rimane invece inalterato per le imprese minori. 36 Solitamente si ritiene che un finanziamento soci con una struttura di rimborso predefinita e con una remunerazione in linea rispetto al mercato sia da considerare debito, mentre, in caso contrario, si avvicini maggiormente al patrimonio. Tuttavia la valutazione può variare da caso a caso.

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Valutare un’acquisizione: le maggiori criticità

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Rimangono da considerare le passività originariamente non finanziarie ma che possono divenire tali ove non fossero onorate a scadenza. E’ il tipico caso di acquisizioni di imprese in tensione di liquidità con un carico di debiti nei confronti dei fornitori, dello Stato (per imposte, ritenute e contributi non pagati) che trascende una situazione ordinaria. Pur in mancanza di chiari riferimenti in letteratura, è prassi consolidata che lo scaduto debba essere incluso nella PFN sia perché oneroso (gli interessi moratori) sia perché non correttamente valorizzato nel Wasset che ipotizza una situazione di ordinario funzionamento dell’impresa. E’ appena il caso di notare che la posizione opposta è assai difficilmente difendibile dal venditore in sede negoziale, a fronte dell’innegabile impegno al rimborso che l’acquirente viene ad assumere. Le considerazioni che precedono sono estendibili alle acquisizioni di partecipazioni in società di capitale e alle acquisizioni dell’intera azienda ai sensi degli art. 2555 e ss c.c.. Nel caso di acquisizioni di rami d’azienda la scelta se includere la PFN nel perimetro di cessione è discrezionale, ferma restando la disciplina dell’art. 2560 c.c. che prevede la responsabilità solidale del cedente e del cessionario rispetto ai terzi relativamente ai debiti precedenti la cessione. Infine, assume rilevanza il momento temporale di rilevazione della PFN. Solitamente essa viene rilevata al momento della valutazione, ma essendo una grandezza che varia continuamente, al closing, risulterà, con ogni probabilità, diversa. Per ovviare a tale problema sono possibili due soluzioni: 1. definire tra le parti il corrispettivo dell’acquisizione al lordo della PFN, misurare il dato della PFN

più recente possibile prima del closing e, quindi, calcolare il corrispettivo netto (soluzione normalmente preferibile).

2. determinare il corrispettivo netto sulla base della PFN al momento della valutazione e conguagliare al closing per eventuali differenze a favore dell’acquirente o del venditore.

3. La determinazione dell’Ebitda nelle valutazioni con il metodo di mercato

Le valutazioni effettuate con il metodo di mercato si fondano sull’assunzione che il valore di una impresa possa essere calcolato moltiplicando una grandezza di riferimento per un coefficiente moltiplicativo che viene dal mercato (campione di società comparabili per le quali si conosce il valore37) o più semplicemente in uso abituale nel settore. Attualmente la grandezza di riferimento abituale nel calcolo è divenuta l’Ebitda, ma la sua modalità di determinazione non è univoca. Nell’accezione anglosassone, l’Ebitda (Earnings Before Interest Taxes Depreciation and Amortization) equivale al risultato della gestione corrente e, pertanto, prescinde dalla remunerazione del capitale immobilizzato che viene invece considerata nell’Ebit (Earnings Before Interest Taxes). Questa interpretazione si traduce in pratica nella differenza tra i ricavi e tutti i costi operativi tranne gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni. Al contrario, la tradizione continentale vede nel Mol (Margine operativo lordo) la differenza tra i ricavi e tutti i costi di natura monetaria, ovvero che si sono già tradotti in un’uscita monetaria (ad esempio il personale) o che comporteranno un’uscita a breve (gli acquisti di materie prime trascorso il periodo di dilazione di pagamento). Ne deriva che tutte le svalutazioni del circolante e gli accantonamenti al fondo TFR per le imprese con meno di 50 dipendenti e ai fondi rischi sono escluse dal Mol. E’ opinione frequente nella prassi che Ebitda e Mol siano due sinonimi, ma in letteratura hanno un significato molto diverso che nelle valutazioni comparative di mercato può tradursi in una significativa differenza di valore.

37 Perché quotate o oggetto di recenti operazioni straordinarie.

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Da quanto sopra deriva che prima di procedere con la valutazione, è necessario che le parti condividano un approccio ed eventualmente concordino eventuali rettifiche da apportare all’Ebitda per tenere conto: 1. di eventuali costi legati alla struttura societaria e non inerenti il business operativo (quali, ad

esempio, emolumenti abnormi agli amministratori); 2. di differenti modalità di capitalizzazione dei costi ad utilità pluriennale (ricerca, pubblicità). 4. Gli immobili strumentali con mercato liquido

Le immobilizzazioni strumentali con mercato liquido che sono parte del patrimonio d’impresa entrano nel processo di stima e fanno normalmente parte di Wasset; tuttavia, in un contesto di acquisizione potrebbe porsi un problema di convenienza circa la cessione in blocco di impresa e immobilizzazione. Verranno di seguito analizzati due casi possibili, il primo si riferisce alla valutazioni di mercato e il secondo a quelle fondate sul criterio dei risultati attesi. Si ipotizzi che una impresa abbia un Ebitda pari a euro 500.000 e che il multiplo applicabile sia pari a 4,5. Il Wasset risulta pari a euro 2,25 milioni. Si supponga ora che l’impresa svolga la sua attività produttiva all’interno di un fabbricato di proprietà (tipica immobilizzazione strumentale liquida), per cui l’Ebitda non comprende alcun costo per affitto. La proprietà intende cedere l’impresa, per cui una valutazione oggettiva porterà al valore indicato. Il venditore però potrebbe ottenere un risultato più soddisfacente, decidendo di non vendere il fabbricato e stipulando un contratto di locazione con l’impresa. Perché ciò avvenga è necessario che il mercato delle locazioni di fabbricati sottostimi il valore degli immobili rispetto a quello delle compravendite. Si ipotizzi in primo luogo che il valore di mercato del canone, data la posizione e la metratura del fabbricato, sia pari a euro 175.000. Ove si procedesse alla scissione del fabbricato e alla sottoscrizione del contratto di locazione tra l’impresa industriale e la società beneficiaria si avrebbe una riduzione dell’Ebitda da euro 500.000 a euro 325.000 con una conseguente riduzione del Wasset a euro 1.462.500. Ne deriva che il valore del fabbricato, implicito nella valutazione con il metodo dei multipli è pari alla differenza tra i due valori ovvero euro 787.500 (euro 2.250.000 meno 1.462.500). Se il valore corrente del fabbricato sul mercato è superiore a euro 787.500 non è conveniente vendere il fabbricato “in blocco” con l’impresa, ma è conveniente tenerlo separato ed eventualmente venderlo successivamente in modo separato38. Alla convenienza del venditore si accompagna spesso una valutazione di opportunità dell’acquirente che essendo normalmente interessato all’attività d’impresa, e non alla gestione immobiliare, preferisce “ereditare” un contratto di locazione e ridurre l’investimento nell’acquisizione. Nel caso in cui la valutazione si fondi sui risultati attesi, si perviene al valore attualizzando tali flussi di risultati ad un tasso di sconto espressivo del valore finanziario del tempo e del rischio implicito nei flussi attesi. Si supponga di utilizzare il modello più semplice, ovvero quello che ipotizza costanza di flussi nel tempo. Si supponga che per la stessa impresa analizzata in precedenza il flusso di cassa operativo da attualizzare sia pari a euro 191.250 e che il tasso di attualizzazione sia del 8,5%39. Anche in questo caso il Wasset è pari a euro 2,25 milioni. Se la proprietà decidesse di non vendere il fabbricato, il flusso

38 Intorno alla metà del primo decennio del 2000, la crescita del valore degli immobili, rispetto a quello delle locazioni, rendeva quasi sempre più conveniente tenere separato l’immobile dall’impresa. Al contrario, nel periodo successivo, la contrazione del valore ha incrementato la convenienza della cessione “in blocco”, sempre che, naturalmente, l’acquirente sia disposto ad acquisirlo. 39 Si ricorda che il flusso operativo è pari all’Ebitda meno le imposte, la variazione di capitale circolante commerciale e gli investimenti in immobilizzazioni.

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Valutare un’acquisizione: le maggiori criticità

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operativo si ridurrebbe in misura pari al canone di euro 175.000 al netto del risparmio d’imposta legato ai maggiori costi deducibili. Ipotizzando un’aliquota effettiva del 40%, il flusso operativo si riduce a euro 121.250 che equivale ad un Wasset di euro 1.426.471. Anche in questo caso, la riduzione del Wasset, e quindi del corrispettivo che il venditore al netto del PFN verrebbe a ricevere, è uguale al valore implicito del fabbricato nella valutazione pari a euro 823.529. Valgono le stesse considerazioni di convenienza del caso della valutazione con i multipli. E’ evidente che l’adozione di un differente moltiplicatore o tasso di attualizzazione altera il profilo decisionale, per cui una volta che all’interno di un processo negoziale si sia arrivati ad una condivisione su tali parametri fondamentali, il venditore potrà svolgere al meglio le proprie analisi di convenienza. Si noti che pur in presenza di un analogo Wasset, il valore implicito del fabbricato è diverso tra la valutazione con i multipli e quella fondata sui risultati attesi. Tali divergenze dipendono dalle modalità di stima del multiplo e del tasso e, in particolare, dal trattamento del rischio implicitamente incluso. Sul piano operativo, le differenze nei risultati a cui si può giungere impiegando differenti criteri valutativi dovrebbero indurre le parti a definire in anticipo, rispetto all’esercizio valutativo, i metodi da adottare dettagliandone le varianti da applicare. 5. La clausola di earn-out

A conclusione di questa rassegna delle differenze che possono esistere tra valore d’azienda e valore d’acquisizione meritano attenzione le clausole di earn-out. Tali clausole hanno ricevuto crescente attenzione nel passato decennio anche nelle acquisizioni in Italia, pur provenendo, come il nome tradisce, dal contesto anglosassone. Tali clausole sono applicabili in presenza di una differenza di valore tra le parti che nasce da visioni diverse in merito all’evoluzione della performance dell’impresa. Si supponga che il venditore/imprenditore ritenga che il Wasset sia pari a euro 5 milioni in ragione del positivo concretizzarsi di un insieme di azioni sviluppate nel tempo che incrementeranno l’Ebitda da euro 800.000 a euro 1.000.000 dato un multiplo pari a 5. Al contrario, una valutazione più oggettiva dell’impresa, fatta propria dal potenziale acquirente, porta ad un valore di euro 4 milioni (euro 800.000 per 5 volte). Essendo significativa la distanza tra le parti, è ragionevole ipotizzare che la trattativa possa non concludersi. Ove invece venisse accettata una clausola di earn-out, il venditore riceverebbe al closing euro 4 milioni con la possibilità di ricevere fino ad un milione di euro entro un periodo predefinito se effettivamente si registrerà l’incremento previsto dell’Ebitda. Questa clausola funziona bene se il venditore rimane in azienda, come responsabile diretto del raggiungimento degli obiettivi; è di più complessa attuazione nel caso contrario. Tipicamente le fattispecie nelle quali ricorrono queste clausole sono le acquisizioni di aziende “imprenditoriali” da parte di grandi imprese oppure nel caso di investitori finanziari. Le clausole di earn-out richiedono che vengano definiti nel contratto di acquisizione: 1. la grandezza di riferimento sulla quale misurare la performance. Può essere un valore assoluto

(Ebitda o Ebit) oppure un indicatore (Ebitda ratio, Ros, ROI). 2. il momento temporale nel quale verificare il conseguimento del risultato (solitamente uno o due

anni). 3. l’entità dell’earn-out, ovvero il maggior corrispettivo da riconoscere e le relative modalità di calcolo

(ad esempio modalità tutto/niente oppure graduazioni in funzione della porzione di risultato raggiunto).

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In breve: 1. La valutazione di un’azienda e la valutazione di un’acquisizione rispondono a esigenze

differenti: la prima dovrebbe tendere ad un valore oggettivo, la seconda è variabile in funzione del potenziale sinergico che ciascun acquirente attribuisce all’operazione.

2. I fattori di criticità nella negoziazione di un’acquisizione sono tipicamente la determinazione della PFN, dell’Ebitda, le immobilizzazioni strumentali e le clausole di earn-out.

3. La PFN include tutte le passività onerose e la liquidità immediatamente disponibile, ma la contrattazione potrebbe portare a includere anche le operazioni di leasing finanziario, le anticipazioni bancarie salvo buon fine, il fondo TFR, i finanziamenti soci.

4. È necessario che le parti condividano un approccio ed eventualmente concordino eventuali rettifiche da apportare all’Ebitda per tenere conto di costi non inerenti il business operativo e le diverse modalità di capitalizzazione dei costi ad utilità pluriennale.

5. Nella valutazione delle immobilizzazioni strumentali con mercato liquido il valore implicito del fabbricato è diverso tra la valutazione con i multipli e quella fondata sui risultati attesi.

6. Le clausole di earn out sono applicabili in presenza di visioni diverse in merito all’evoluzione della performance, tipicamente nelle acquisizioni di aziende “imprenditoriali” da parte di grandi imprese oppure nel caso di investitori finanziari.

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IL METODO PATRIMONIALE SEMPLICE

a cura del Comitato Scientifico Euroconference

I metodi patrimoniali sostengono che il valore di un’azienda sia funzione del valore delle singole attività e passività che determinano il patrimonio netto di bilancio. Date le modalità attraverso le quali il bilancio è costruito non tutte le poste rilevanti esprimono un reale valore di mercato, per cui si rende necessario operare interventi e aggiustamenti valutativi.

1. Ambito applicativo e limiti del modello

Il metodo patrimoniale è diretto a determinare il valore del capitale investito dai soci nell’azienda. Esso è il frutto di due componenti distinte: il Patrimonio Netto di bilancio e la differenza tra le rettifiche nette d’imposta dell’attivo e del passivo patrimoniale. Una corretta applicazione del metodo deve prevedere tre fasi successive: 1. la verifica dei valori contabili di attività e passività per assicurarsi che il Patrimonio Netto di bilancio

sia stato determinato correttamente; 2. la stima a valori correnti delle attività e passività che conduce all’accertamento di plusvalenze e

minusvalenze rispetto ai valori di bilancio; 3. la determinazione dell’onere fiscale potenziale derivante dalle plusvalenze accertate (al netto delle

minusvalenze). È legittimo interrogarsi in merito all’ampiezza dello spazio di applicazione per una quantificazione patrimoniale dei beni strumentali all’esercizio d’impresa. Per provare a rispondere alla domanda si consideri il caso di società di costruzioni che, a fronte di un insieme di difficoltà operative, presenta un valore determinato secondo il metodo dei flussi. Dall’analisi patrimoniale risulta invece un valore più elevato. Data la tipologia dell’azienda appare ragionevole che il valutatore abbia fatto ricorso ai due metodi. E’ facile capire che il valore patrimoniale non è mai il più razionale per la sintesi valutativa, che è invece guidata dal metodo basato sui flussi, l’unico in grado di considerare congiuntamente tutti gli aspetti rilevanti. Il premio e lo sconto che emergono come differenze tra il valore dei flussi e quello patrimoniale sono grandezze note da molto tempo alla dottrina ed alla prassi e si definiscono avviamento nel caso del premio (o goodwill con terminologia anglosassone) e avviamento negativo o più frequentemente badwill nell’eventualità dello sconto. La dottrina è solita distinguere tra: - le stime semplici (o metodo patrimoniale semplice) che determinano il valore del patrimonio con

riferimento esclusivo alle attività e passività iscritte in bilancio; - le stime complesse (o metodo patrimoniale complesso) che comprendono anche la valorizzazione

degli intangibili.

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Ritornando al quesito iniziale, il metodo patrimoniale può essere considerato una funzione accettabile del valore solo se riesce a spiegare interamente l’avviamento, o in modo generico o, preferibilmente, analitico. Per fare questo è però necessario, tranne casi specifici, che la funzione del valore si complichi ulteriormente assumendo la forma nota in dottrina come metodo misto. L’informazione patrimoniale determina, in effetti, il valore delle risorse a disposizione dell’azienda, presupposto della capacità di generare flussi potenziali. 2. Le verifiche dei valori contabili

Il primo passaggio nell’applicazione della funzione del valore è costituito dalle verifiche dei valori contabili. Oggetto dell’attività è verificare che il bilancio della società sia stato redatto in congruità con i principi contabili. Un aspetto di particolare importanza è costituito dalla data di riferimento della situazione patrimoniale da accertare che può: - coincidere con la data di chiusura dell’ultimo bilancio; - coincidere con la data di chiusura dell’ultimo bilancio infrannuale, se l’azienda è tenuta alla sua

redazione; - corrispondere alla data di chiusura di una situazione patrimoniale redatta appositamente per

l’esigenza valutativa. Non necessariamente è il valutatore medesimo a svolgere le verifiche, poiché il bilancio sui cui si lavora potrebbe essere stato preliminarmente certificato da una società di revisione. In questa situazione, l’attività di verifica del valutatore si limita all’analisi delle eventuali eccezioni al bilancio indicate dal revisore, ovvero delle poste in merito alle quali il revisore sollevi perplessità legate ad una scorretta contabilizzazione oppure a dubbi circa la consistenza stessa delle voci. Anche nel caso in cui il bilancio non sia certificato il valutatore potrebbe delegare l’attività di verifica ad un revisore. Dove il valutatore procede direttamente alla determinazione del Patrimonio Netto Contabile si rende necessario verificare tutte le poste dell’Attivo e del Passivo patrimoniale e determinare per differenza il Patrimonio Netto Contabile. In particolare, è necessario verificare che: - tutte le attività siano state contabilizzate; - le poste dell’attivo siano fondate su validi documenti inventariali; - i crediti esprimano le effettive possibilità di recupero; - gli accantonamenti del passivo corrispondano a quanto effettivamente (debiti) o probabilmente

maturato (fondi); - i ratei e i risconti siano stati analiticamente determinati in proporzione al tempo; - i rischi sia segnalati (ad esempio nei conti d’ordine) sia non segnalati (rischi di azioni di regresso)

siano stati adeguatamente valutati. Non è chiaramente possibile e travalica gli obiettivi del presente lavoro un’analisi dettagliata di ciascuna delle fasi: tuttavia, alcune poste particolarmente critiche meritano di essere esaminate in dettaglio. La prima di esse è costituita dai crediti nell’attivo circolante, in merito ai quali deve essere stimato il presumibile valore di realizzo: si tratta quindi di valutare precisamente gli eventuali accantonamenti e svalutazioni. E’ importante che il valutatore si preoccupi, inoltre, di ricostruire l’importo totale dei crediti qualora l’incasso venga anticipato attraverso operazioni finanziarie quali ricevute bancarie, anticipazioni salvo buon fine, factoring e cartolarizzazioni. Tra i crediti iscritti tra le poste di attivo immobilizzato è opportuno soffermarsi sulle operazioni all’interno del gruppo ed in particolare sui

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Il metodo patrimoniale semplice

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crediti nei confronti delle controllate e delle controllanti al fine di comprenderne l’effettiva onerosità e le modalità di rimborso. Allo stesso modo dovranno essere analizzati i debiti verso società del gruppo riportati nel passivo. Il valutatore deve anche preoccuparsi che i fondi rischi al passivo siano stati determinati correttamente con riferimento a: - i contenziosi di natura legale, tributaria e previdenziale attuali e potenziali; - oneri futuri legati all’assistenza ed alla garanzia sui prodotti venduti; contratti finanziari stipulati dall’azienda con caratteristiche di particolare rischiosità40. Devono essere indagate le singole voci che compongono il Patrimonio Netto Contabile con l’obiettivo di verificare se alcune poste controverse siano da includere o da escludere. 3. Le rettifiche dei valori contabili

La seconda fase applicativa del metodo patrimoniale riguarda l’accertamento di eventuali plusvalenze e minusvalenze che emergono dal confronto tra il valore di mercato delle attività e passività patrimoniali ed il relativo dato risultante dal bilancio e precedentemente verificato. Lo svolgimento di questa attività richiede una base informativa specifica (oltre naturalmente ai documenti contabili ed agli eventuali approfondimenti che il valutatore richiede direttamente all’organo amministrativo dell’azienda da valutare) che consiste in: - perizie di stima, redatte da specialisti indipendenti rispetto all’azienda da valutare, che esprimono

il valore corrente di singole attività patrimoniali, materiali o immateriali; - riferimenti ai prezzi di mercato di specifiche attività (ad esempio al mercato dell’usato o a recenti

negoziazioni). Anche il metodo patrimoniale comporta il ricorso ad ipotesi soggettive del valutatore che solitamente emergono quando si rettificano le poste di bilancio. E’ opportuno che le rettifiche siano razionali e dimostrabili e che il valutatore si adoperi nella descrizione delle ipotesi adottate per pervenire al risultato finale. Preliminarmente all’accertamento delle plusvalenze e minusvalenze è rilevante la distinzione tra attività strumentali alla gestione caratteristica ed attività estranee. Terreni e fabbricati Questa tipologia di immobilizzazioni, presente in moltissime aziende, può rientrare tra le attività strumentali alla gestione dell’azienda (ad esempio sede ed uffici) oppure tra le forme di investimento della liquidità disponibile e quindi tra le attività estranee. Poiché la valutazione degli immobili civili richiede competenze tecniche particolari che non sempre il valutatore possiede, il valore corrente può essere alternativamente tratto da perizie redatte da esperti e richieste nell’ambito della valutazione oppure da stime già disponibili che dovranno essere esaminate al fine di verificarne la congruità con le finalità valutative e soprattutto il periodo temporale al quale si riferiscono. I criteri attraverso i quali può essere determinato il valore corrente degli immobili civili sono molteplici. Una prima soluzione è rappresentata dal costo di ricostruzione, criterio di impiego più generale che merita un approfondimento. Per costo di ricostruzione (o di riproduzione) si intende l’insieme dei costi che l’azienda dovrebbe sostenere per riprodurre il bene “a nuovo”; nei casi in cui la riproduzione del bene non è fisicamente possibile o non è conveniente (ad esempio perché la tecnologia è diventata obsoleta) il criterio che si utilizza è quello del costo di sostituzione, ovvero il costo necessario per

40 Nel recente passato, molte imprese hanno stipulato, spesso inconsapevolmente, contratti su derivati (opzioni, IRS, futures) con contenuto fortemente speculativo e generando passività potenziali di importo considerevole, il cui valore dovrebbe essere portato a rettifica del Patrimonio Netto Contabile.

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costruire internamente od acquistare dall’esterno beni che soddisfino, con le tecnologie correnti, la stessa funzione d’uso del bene esistente. Anche in questo caso il valore che si ottiene del bene è a nuovo e quindi non tiene conto della progressiva erosione legata a fenomeni di deperimento fisico e di obsolescenza. Un secondo possibile criterio di valutazione è quello comparativo che permette di determinare il valore corrente di un immobile confrontandolo con il prezzo di acquisto di beni analoghi, negoziati recentemente e depurati di eventuali fattori negoziali (ad esempio, libera disponibilità, destinazioni particolari). Un ultimo approccio utilizzabile è il valore attuale del reddito ottenibile dal cespite (canoni di locazione effettivamente percepiti o di mercato nel caso in cui l’immobile sia strumentale) per un idoneo periodo di tempo, solitamente molto lungo (da 20 anni fino all’infinito nel caso di applicazione della formula della rendita perpetua), ad un tasso privo di rischio o comunque con un premio al rischio molto basso. In merito alla scelta tra i metodi presentati, una componente fondamentale risiede nella destinazione degli immobili: se sono intesi come bene strumentale in un’azienda industriale o di servizi o bene di investimento per una società immobiliare, il criterio del valore attuale del reddito tende a prevalere, salvo considerare il valore comparativo come limite minimo. Dove invece l’immobile sia destinato alla vendita l’unico criterio rilevante è quello comparativo. Immobilizzazioni tecniche Le immobilizzazioni tecniche sono una posta contabile caratterizzata da estrema eterogeneità poiché comprende beni molto diversi tra loro, spaziando dal fabbricato industriale agli impianti, alle attrezzature, agli automezzi fino a mobili e macchine per ufficio. Ne deriva che il valutatore, anche in considerazione delle specificità e peculiarità dei beni, non è in grado di determinare un valore per ciascuna di esse. Di norma, per garantire la maggiore attendibilità e fondatezza possibile alle stime, esse sono effettuate da esperti del settore, in funzione del valore corrente di utilizzo dei beni alla data di riferimento della valutazione. Come nel caso degli immobili civili, le perizie redatte dagli specialisti possono essere richieste specificamente per la valutazione in corso, oppure possono essere state svolte anteriormente, e sono utilizzabili a condizione che gli assunti di base siano ancora validi: devono essere state svolte in periodi recenti (preferibilmente non anteriore all’anno) e per finalità coerenti con la valutazione (si dovranno escludere le perizie a fini assicurativi, di cessione a stralcio, di recupero, di riscatto). Il criterio principale di valutazione consiste nel prezzo corrente del bene dove esiste un mercato dell’usato. Sfortunatamente tale requisito si verifica raramente nell’ambito delle immobilizzazioni tecniche e può essere ristretto ai seguenti beni: - fabbricati industriali, per i quali si applica un criterio assimilabile a quello indicato per gli immobili

civili; - macchinari ed attrezzature generiche (ad esempio, torni, presse, scaffalature e muletti per

magazzini) che possono essere impiegati in diverse tipologie di processi di produzione e che sono frequentemente oggetto di negoziazione;

- automezzi (vetture ed autocarri) per i quali sono disponibili dettagliate tabelle di valorizzazione dell’usato.

Negli altri casi il valore corrente è stimato con il criterio del costo di ricostruzione dello stesso bene ovvero del costo di sostituzione secondo le regole applicative indicate in precedenza. In ogni caso il valore del bene a nuovo deve essere svalutato in funzione del deperimento e dell’obsolescenza economica ed operativa.

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Il metodo patrimoniale semplice

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Un caso particolare è quello dei beni in leasing, che, secondo il codice civile (art. 2427) ed i principi contabili nazionali (OIC n. 12), sono iscritti in bilancio con il metodo patrimoniale per cui non figurano tra i cespiti dell’attivo non essendo di proprietà, ma sono indicati in nota integrativa. Tali beni possono avere un notevole valore e possono nascondere elevate plusvalenze. In tali casi, il valutatore, preliminarmente all’accertamento di tali eventuali plusvalenze, dovrebbe rettificare i valori di bilancio, adottando il metodo finanziario. Un ultimo aspetto critico nella valutazione delle immobilizzazioni tecniche riguarda l’effettiva determinazione delle plusvalenze e minusvalenze che deve avvenire confrontando il valore corrente con il valore contabile di bilancio. In questa fase il valutatore dovrà preoccuparsi di verificare: - se precedenti rivalutazioni abbiano già interessato il bene, rilevandone la fondatezza e la misura; - se l’ammortamento del bene sia stato effettuato in considerazione di aspetti tecnico-economici. Partecipazioni Anche questa categoria è costituita da un insieme di attività finanziarie che hanno diversa natura e che dovranno essere analizzate separatamente dal valutatore. Il valore corrente che il valutatore avrà determinato dovrà essere attribuito pro-quota alla società controllante e confrontato con il valore di carico al netto di eventuali svalutazioni. E’ opinione condivisa dalla teoria che in questo caso non debba essere attribuito un premio di controllo. Se esistono crediti eccedenti il valore negativo della partecipata, quest’ultimo sarà azzerato ed il credito svalutato per la differenza. Le partecipazioni in altre società rientrano in una categoria residuale che prevede tutte le partecipazioni iscritte tra le immobilizzazioni finanziarie non incluse nelle categorie precedenti. Ne deriva chiaramente che la consistenza numerica e la rilevanza in termini di valore di tali partecipazioni è assai contenuta. Crediti iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie I crediti iscritti nelle immobilizzazioni finanziarie che hanno, in linea generale, scadenza superiore ad un anno possono trarre origine dall’attività caratteristica oppure da rapporti in essere con le società del gruppo. La determinazione del valore corrente dei crediti passa attraverso due aspetti fondamentali: - determinazione dell’effettivo valore di realizzo; - attualizzazione dell’importo del credito. Rimanenze Tra le attività comprese nell’attivo circolante, le rimanenze costituiscono una componente oggetto di particolare attenzione da parte del valutatore. I criteri da impiegare per riallineare il valore di bilancio del magazzino a quello corrente sono diversi, secondo la tipologia delle rimanenze. Le materie prime sono valutate al costo di sostituzione determinato applicando il prezzo di listino in vigore se le esse sono ancora in produzione oppure il prezzo di prodotti analoghi per funzione d’uso se fuori produzione. Se si tratta di commodities negoziate in mercati organizzati (petrolio, metalli, alcuni prodotti agricoli) può essere utilizzato anche il prezzo ufficiale (meglio se una media dei prezzi dell’ultimo mese). I semilavorati sono valutati sulla base del più recente costo di produzione a disposizione del valutatore al quale è applicata una detrazione in ragione dello stato di avanzamento della produzione al momento della stima.

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I prodotti finiti e le merci pronte per la vendita sono valutati al prezzo di mercato al netto dei costi di vendita e di commercializzazione; i prodotti fuori listino devono invece essere valutati al più probabile valore di realizzo. Premessa indispensabile perché la valutazione delle rimanenze possa fornire risultati soddisfacenti è che il sistema di gestione del magazzino da parte dell’azienda da valutare sia efficace ed in grado di distinguere in modo sufficientemente preciso non solamente il peso delle diverse tipologie di scorte (materie prime, semilavorati e prodotti finiti) ma anche la natura degli stessi e in particolare, con riferimento ai prodotti finiti, l’effettiva presenza di un mercato. Ulteriori specificità che devono essere analizzate riguardano: - la congruità dei coefficienti standard che le aziende utilizzano quale sistematico abbattimento del

valore del magazzino (ad esempio nel settore editoriale con riferimento alle copie in giacenza di un determinato volume);

- la valutazione delle commesse pluriennali quando risulta difficile determinare il prezzo finale della commessa stessa.

Crediti compresi nell’attivo circolante Con riferimento ai crediti commerciali, tenuto conto che la determinazione del valore più probabile di realizzo pertiene alla redazione del bilancio e non all’accertamento di plusvalenze e minusvalenze, l’unico aspetto da considerare riguarda i crediti in valuta estera che dovranno essere convertiti nella moneta con cui viene redatta la perizia al cambio corrente alla data di riferimento della situazione patrimoniale. Nel caso in cui l’azienda da valutare abbia acquisito strumenti derivati per la copertura del rischio di cambio, può essere assunto il tasso di cambio a termine. Considerazioni analoghe valgono anche per i debiti verso i fornitori. Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni Le attività finanziarie non immobilizzate costituiscono tipicamente forme di investimento della liquidità in eccesso in via temporanea o sistematica, come ricordato nel precedente paragrafo. Esse sono normalmente riconducibili ai titoli azionari ed obbligazionari. In relazione ai primi, essi possono essere quotati o non quotati, ma poiché si tratta di investimenti che per loro natura sono smobilizzabili a breve (in caso contrario sarebbero stati iscritti tra le immobilizzazioni finanziarie), si precisa che il caso dei titoli azionari non quotati è estremamente raro. Nell’eventualità assai più frequente di titoli quotati, il criterio di valutazione è quello del prezzo medio di mercato del titolo, misurato su un opportuno periodo di riferimento (solitamente un trimestre è sufficiente per un titolo ad elevata capitalizzazione, mentre per i titoli più sottili può rivelarsi utile ampliare il periodo a sei mesi). I titoli obbligazionari quotati in mercati ufficiali e dotati di un mercato secondario credibile (dove cioè il volume delle negoziazioni è sufficiente a dare credibilità al prezzo) sono valutati al prezzo medio di mercato anche in questo caso misurato su un periodo sufficientemente lungo al fine di stemperare gli effetti di eventuali “picchi” nelle quotazioni (solitamente si ritiene che un periodo di tre mesi sia sufficiente). Debiti finanziari L’unica posta del passivo rilevante ai fini dell’accertamento di plusvalenze e di minusvalenze è rappresentata dal debito finanziario. Come già precedentemente indicato per i crediti finanziari, anche per i debiti si pone il problema se, in caso di passività con scadenza superiore all’anno, il valore nominale debba essere attualizzato.

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Il metodo patrimoniale semplice

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La risposta è generalmente affermativa in tutte le situazioni nelle quali il tasso contrattuale del debito è diverso da quello di mercato: evidentemente è il caso dei debiti a medio/lungo termine a tasso fisso o semi-variabile. Prima di procedere ulteriormente ed a conclusione di questa sezione dedicata alle rettifiche, riteniamo che la successiva Tabella 1, che riassume le modalità di determinazione del valore corrente delle diverse attività e passività, possa contribuire a focalizzare gli aspetti essenziali. Tabella 1. Le modalità di attuazione delle rettifiche dello Stato Patrimoniale

Attività/Passività Modalità di valutazione Condizioni di impiego

Terreni e fabbricati Comparazione con prezzi noti Prezzi noti sufficientemente numerosi e classificabili in

funzione dei fattori rilevanti

Capitalizzazione del reddito ottenibile

dall’immobile

Adatto in particolare se l’immobile non è destinato ad essere venduto a breve

Costo di riproduzione/sostituzione a

nuovo al netto del deperimento e dell’obsolescenza

Da utilizzare quando mancano i presupposti per

applicare i precedenti. Adatto per la valutazione

delle aree edificabili

Immobilizzazioni tecniche

Prezzo corrente Applicabile dove esiste un

mercato dell’usato sufficientemente attendibile

Costo di riproduzione/sostituzione a

nuovo al netto del deperimento e dell’obsolescenza

Da utilizzare quando mancano i presupposti per

applicare il precedente Partecipazioni in società

controllate Valutazione d’azienda

Partecipazioni in società collegate

Valutazione d’azienda

Da applicare dove si verificano le condizioni

necessarie allo svolgimento di un processo di valutazione

rigoroso

Metodo dei multipli di mercato Valutazione sintetica da

utilizzare in assenza di una base informativa articolata

Prezzo offerto o in corso di

negoziazione

Da utilizzare se è in corso una trattativa con un

soggetto terzo e il prezzo offerto è dimostrabile

Partecipazioni in altre società

Metodo dei multipli di mercato

Costo storico (nessuna rettifica) E’ applicabile se

l’acquisizione è avvenuta in

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tempi recenti e non si sono verificati particolari eventi

influenti sul valore

Azioni proprie Azzeramento del valore

Da impiegare se si prevede che verranno annullate o se non sono quotate e non vi sono le condizione per una

cessione

Prezzo di mercato Può essere utilizzato se la

società è quotata

Patrimonio Netto Rettificato Da utilizzare se la società

non è quotata ma vi sono le condizioni per una cessione

Crediti a medio-lungo termine

Attualizzazione dell’importo Da applicare ogni volta che il rendimento dei crediti non è allineato a quello di mercato

Rimanenze

Materie prime Costo di sostituzione da listino Nel caso in cui i prodotti

siano fuori listino si utilizzano prodotti analoghi

Prezzo di mercato Può essere utilizzato se le

materie prime sono quotate

Semilavorati Costo di produzione unitario in

funzione dello stato avanzamento lavori

Si deve utilizzare il dato più recente a disposizione

Prodotti finiti Prezzo di mercato Per prodotti in listino

Più probabile prezzo di realizzo Per prodotti obsoleti Crediti

commerciali/debiti di fornitura

Tasso di cambio alla data di riferimento

Per crediti/debiti in valuta senza copertura del rischio di

cambio

Tasso di cambio a termine Per crediti/debiti in valuta

con copertura

Titoli azionari in portafoglio

Prezzo di mercato se quotati (altrimenti si vedano le partecipazioni

in altre società)

L’intervallo significativo su cui determinare un prezzo medio

è tre mesi se la capitalizzazione è elevata, sei

mesi se è ridotta Titoli obbligazionari in

portafoglio Prezzo di mercato se quotati

Prezzo medio degli ultimi tre mesi

Applicazione della formula finanziaria

generale per il valore

Determinazione del tasso in via analogica ed applicazione

di uno sconto di illiquidità

Debiti finanziari Attualizzazione del debito Da applicare dove il costo del

debito non è allineato al mercato

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Il metodo patrimoniale semplice

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Il calcolo degli oneri fiscali potenziali L’accertamento di plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla riespressione a valori di mercato del valore contabile delle attività e passività procura non pochi problemi al valutatore in merito al trattamento fiscale che deve prevedere. L’emersione delle plusvalenze crea una base imponibile “potenziale” sulla cui tassazione le posizioni in letteratura sono discordanti. Le possibili soluzioni sono tre: - tassare le plusvalenze alle aliquote piene, ovvero quelle in vigore alla data di riferimento della

valutazione; - non tassare affatto le plusvalenze; - tassare le plusvalenze ad aliquote ridotte che tengono conto di un insieme di fattori tali da

contenere l’effettivo carico fiscale. Nella prassi si osserva di frequente l’adozione di abbattimenti convenzionali in un intervallo compreso tra 1/3 e 2/3 dell’aliquota piena. La relazione si fonda sul principio per cui un’aliquota ridotta è giustificabile sul piano teorico solamente se il valore attuale dell’imposta da pagare è inferiore al suo valore corrente e naturalmente a fronte di tale differimento non sono dovuti interessi all’Amministrazione finanziaria. In tale contesto l’aliquota effettiva dipende dalla durata del differimento delle imposte e dal tasso di attualizzazione che dovrebbe scontare l’effettiva rischiosità del differimento anche se normalmente si assume pari al tasso privo di rischio. Ipotizzando che l’aliquota da applicare sia la sola IRES (27,5%) per un periodo di differimento di cinque anni e ad un tasso del 3,5% ne deriva, applicando la formula, un’aliquota effettiva pari al 23,2%. Molto dibattuta è, inoltre, l’ammissibilità del differimento delle imposte a fronte dell’accertamento solo figurativo delle plusvalenze che nascono nell’ambito della valutazione e potrebbero non realizzarsi mai, o comunque in un tempo molto lontano. In tal caso anche il carico fiscale dovrebbe tenere conto della possibilità menzionata ed essere ridotto. Ai fini della determinazione delle imposte potenziali non rileva il momento nel quale le plusvalenze verranno realizzate bensì il fatto che esistano e siano considerate come componente corrente del valore. In altre parole, l’ipotesi del differimento del carico fiscale in funzione del protratto realizzo può essere accettata solamente se anche le plusvalenze sono considerate in ragione del loro valore attuale, poiché se esse sono trattate al valore corrente ciò equivale ad ipotizzare che si realizzino al momento della valutazione e quindi il carico fiscale impatta per intero. In conclusione, l’assunzione di un carico fiscale ridotto attraverso l’adozione di un’aliquota ridotta, deve essere dimostrabile in ragione della normativa esistente per specifiche tipologie di beni e delle potenziali deduzioni di cui l’azienda può usufruire, negli altri casi il ricorso all’aliquota piena appare sempre preferibile. Per quanto attiene infine le modalità di calcolo devono essere sommate tutte le plusvalenze e le minusvalenze (e le eventuali ulteriori deduzioni) e sul risultato ottenuto dovrà essere applicata l’aliquota piena d’imposta al fine di determinare in tal modo gli oneri fiscali potenziali complessivi. Nel caso in cui siano presenti plusvalenze che permettono una tassazione agevolata, od un pagamento differito, e se le finalità valutative lo permettono, le imposte potenziali sono da calcolare separatamente ed aggiungere al risultato finale.

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4. La valutazione delle holding finanziarie: il metodo della somma delle parti

La particolare flessibilità della funzione del valore nel metodo patrimoniale, consistente in una semplice somma algebrica, ne consente un utilizzo assai ampio nella forma nota come somma delle parti. Come si è visto nell’esempio una valutazione per somma delle parti si rende necessaria in tutti i casi in cui sono presenti attività estranee alla gestione, ma un ulteriore esempio può essere utile per individuare un ulteriore ambito di applicazione del metodo. Il metodo della somma delle parti è abituale nelle imprese multibusiness, sia qualora le attività facciano tutte parte di un’unica società, sia nel caso si riferiscano ad una struttura di gruppo. I motivi sottostanti sono facilmente comprensibili alla luce della particolare natura di tali tipologie di imprese. Il valore dipende, infatti, dalla somma del valore delle attività che possiedono normalmente a seguito di una sistematica attività di investimento e dismissione in imprese o in immobili. Queste imprese non sono caratterizzate dalla presenza di significativi intangibili o almeno di intangibili in grado di influire sulla capacità di generare ricchezza e quindi valore. Le rettifiche rilevanti da applicare riguardano il valore di mercato delle attività tipiche che non necessariamente sono quelle immobilizzate, poiché ad esempio le società immobiliari possono scrivere gli immobili destinati alla vendita entro l’anno tra le rimanenze di prodotti finiti. Qualche attenzione potrebbe essere riservata alla eventuale presenza di indebitamento finanziario che deve essere trattato sulla base delle indicazioni precedentemente fornite. L’aspetto che rende possibile l’applicazione di un metodo patrimoniale semplice è l’assenza di un legame funzionale tra i beni che rende apprezzabile la differenza tra il valore dell’azienda e quello della somma dei suoi beni. In altre parole, se la holding finanziaria si limita a detenere le partecipazioni ed ottenere un rendimento dall’incasso dei dividendi e dai capital gain da cessione e la società immobiliare si limita a svolgere un’attività di intermediazione, il metodo patrimoniale semplice è applicabile. Nei casi in cui la holding fornisce servizi alle partecipate di tipo finanziario o gestionale e la società immobiliare gestisce attivamente gli immobili (ad esempio attività di sviluppo) e quindi l’ottica è di più lungo periodo, è preferibile ricorrere ad una funzione del valore che tenga conto di questi aspetti, valutando eventuali intangibili o ricorrendo ad un metodo basato sui flussi.

In breve: 1. Il metodo patrimoniale è diretto a determinare il valore del capitale investito dai soci

nell’azienda. 2. Il primo passaggio è costituito dalle verifiche dei valori contabili. 3. La seconda fase applicativa riguarda l’accertamento di eventuali plusvalenze e minusvalenze

che emergono dal confronto tra il valore di mercato delle attività e passività patrimoniali ed il relativo dato risultante dal bilancio.

4. L’emersione delle plusvalenze crea una base imponibile “potenziale”. 5. Il metodo patrimoniale semplice è applicabile:

- ad una holding finanziaria, se questa si limita a detenere le partecipazioni ed ottenere un rendimento dall’incasso dei dividendi e dai capital gain da cessione; - ad una società immobiliare, se questa si limita a svolgere un’attività di intermediazione.

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IL METODO MISTO CON VALUTAZIONE AUTONOMA DELL’AVVIAMENTO

a cura del Comitato Scientifico Euroconference

L’applicazione del concetto di avviamento alle acquisizioni di aziende è spesso causa di fraintendimenti. Nel contesto valutativo, l’avviamento è la differenza tra due valori, uno basato sui flussi ed uno sul patrimonio, mentre ai fini della redazione del bilancio d’esercizio per avviamento si intende normalmente la differenza che residua, dopo l’allocazione fra gli altri elementi dell’attivo dell’impresa acquisita, tra il prezzo di acquisizione ed il patrimonio netto contabile della società acquisita.

1. L’avviamento nella valutazione d’azienda

Nell’ambito della valutazione dell’azienda, l’avviamento rappresenta il maggior valore che può essere attribuito alle risorse tangibili di un’impresa in funzione del maggior rendimento che esse generano rispetto alle attese del mercato; il valore di avviamento, all’interno di un’acquisizione, può invece essere influenzato da molteplici fattori quali: • la forza negoziale delle parti; • le clausole previste nel contratto; • la ripartizione tra acquirente e venditore degli oneri e dei benefici fiscali; • la differenza tra valore di mercato e valore di libro delle risorse tangibili. Pertanto, è solo ipotizzando che i precedenti fattori siano irrilevanti che le due nozioni di avviamento si possano equivalere. I metodi misti pervengono alla determinazione del valore dell’avviamento facendo ricorso congiuntamente a due funzioni: una basata sul patrimonio e una basata sui flussi. Di conseguenza, la funzione del valore è la somma algebrica di due componenti: - il patrimonio netto rettificato (K), con o senza considerazione delle risorse intangibili (I); e - l’avviamento (A). Ne deriva la seguente formula:

Oppure

AKW +=

AIKW ++=

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Prescindendo dalle versioni più semplificate che considerano l’avviamento pari alla metà della differenza tra il valore reddituale ed il valore patrimoniale, metodi come detto esageratamente semplicistici, la funzione del valore che ha tradizionalmente riscontrato la maggiore diffusione nella prassi è quella nota con il termine di “metodo misto con stima autonoma dell’avviamento”. 2. Il metodo misto con stima autonoma dell’avviamento

La formulazione “classica” di questo metodo è la seguente:

dove: K = Patrimonio netto rettificato R = Reddito medio normale atteso i1 = Tasso espressivo del rendimento di settore i2 = Tasso di attualizzazione del reddito differenziale n = Durata, in anni, del reddito differenziale Esistono poi diverse varianti del metodo, più o meno complesso a seconda che si consideri: • la determinazione analitica del reddito periodo per periodo; • un orizzonte indefinito lungo il quale l’azienda sarà in grado di produrre un reddito differenziale; • il valore delle risorse intangibili in modo separato. Analizzando la formulazione emerge come l’avviamento sia: • determinato autonomamente; • dipendente dall’entità e dalla durata nel tempo della capacità di produrre un reddito differenziale

rispetto al reddito “normale” di settore. L’applicazione del metodo prevede una successione di fasi che possono essere riassunte nelle seguenti: a) determinazione del patrimonio netto rettificato (ed eventualmente del valore degli intangibili); b) scelta della più opportuna figura di reddito e successiva normalizzazione; c) scelta del periodo lungo il quale si ritiene di poter mantenere un reddito differenziale; d) definizione del rendimento atteso di settore e del tasso di attualizzazione del reddito differenziale. In merito alla scelta della figura di reddito, si ricordano le seguenti cautele che è consigliabile adottare: • il reddito deve essere coerente con la grandezza utilizzata per esprimere il rendimento normale di

settore. Poiché si utilizza K che rappresenta il patrimonio netto rettificato, ne deriva che il reddito rilevante è quello a disposizione degli azionisti al netto delle imposte e quindi, siamo nel contesto delle valutazioni cd. equity side;

• la scelta di un approccio equity side richiede che vengano normalizzati anche gli oneri finanziari in funzione dello stock medio di debito e del costo del debito;

• il reddito deve tenere conto delle rettifiche apportate al patrimonio netto e conseguentemente dei maggiori ammortamenti e dell’effetto fiscale;

• dove il modello si applica separando gli intangibili, è necessario escludere dal reddito la componente differenziale imputabile agli stessi intangibili, altrimenti si genera una duplicazione del valore. L’adozione di metodi di valutazione degli intangibili basati sui risultati differenziali consentono di determinare agevolmente il reddito rilevante come differenza tra il reddito totale e la componente differenziale derivante dagli intangibili. Se tali cautele applicative vengono rispettate, il risultato finale della stima dovrebbe essere convergente.

2)( 1 inaKiRKW ¬−+=

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Il metodo misto con valutazione autonoma dell’avviamento

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La lunghezza del periodo di determinazione dei redditi differenziali può essere variabile da un minimo di 5 anni ad infinito. In linea teorica, il periodo dovrebbe trovare un valore massimo nella durata residua dei fattori che sono alla base del vantaggio competitivo e permettono all’impresa di generare redditi differenziali. Nelle applicazioni operative, è frequente che per aziende dotate di redditività elevata e stabile si possano utilizzare periodi più lunghi, anche fino a 10 anni. Appare più discutibile un periodo indefinito, essendo difficilmente ipotizzabile che un’azienda sia sistematicamente in grado di ottenere un risultato superiore alle attese del mercato. Sulla natura e sulle modalità di determinazione dei tassi i1 e i2 necessari per risolvere la funzione del valore è necessario un maggiore approfondimento, essendo tema dibattuto in teoria e oggetto di applicazioni sovente molto arbitrarie nella prassi. Preliminarmente è opportuno soffermarsi sulla natura dei tassi. Il tasso i1 rappresenta il rendimento medio di settore del capitale proprio a valore di mercato, per cui moltiplicando tale rendimento per K si ottiene il reddito normale di settore che l’azienda dovrebbe realizzare. Sono quindi possibili tre situazioni. La prima situazione giustifica la determinazione di un avviamento, poiché si generano redditi differenziali la cui attualizzazione lungo un periodo predefinito porta alla determinazione del valore di avviamento (A). Le altre due situazioni ipotizzano invece che non vi sia avviamento (2) o che sia negativo (3), essendo la capacità di reddito inferiore rispetto alle attese del mercato. Data la natura di i1 e la funzione che svolge all’interno del modello, la sua determinazione deve tenere conto: • della rischiosità generica del settore; • dell’approccio equity side del modello; • del rischio finanziario dell’impresa, dipendente dal grado di indebitamento. In questo contesto è difficile ipotizzare che il tasso i1 possa essere diverso da ke, cioè il costo del capitale proprio come determinato secondo le formulazioni della prassi. Su questa posizione tende ad allinearsi la letteratura più recente. Il tasso i2 è invece rappresentativo del rischio inerente l’effettivo manifestarsi dei redditi differenziali nella specifica azienda da valutare. In merito alla quantificazione di i2 ed alla sua relazione con i1, sono tuttora ravvisabili nella prassi posizioni non univoche. Sono, infatti, considerate possibili le tre differenti situazioni dove:

;

;

. La prima soluzione ipotizza che il tasso di rendimento di settore remuneri i fattori di rischio del modello e che un ulteriore premio al rischio in i2 porterebbe ad una duplicazione dello sconto e quindi ad una

21 ii >

21 ii =

21 ii <

01 >− KiR

01 =− KiR

01 <− KiR

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riduzione eccessiva dell’avviamento. In questa ipotesi i2 è normalmente considerato un puro tasso finanziario, e quindi privo di rischio, necessario per esprimere valori finanziariamente omogenei. Un’interessante argomentazione in dottrina sostiene che le soluzioni alternative alla prima non sono giustificabili perché ipotizzano che l’impresa leader del settore (e quindi in grado di produrre redditi differenziali) sia più rischiosa della media delle imprese. La soluzione dell’uguaglianza dei tassi presuppone uguaglianza di rischiosità tra rendimento medio di settore e redditi differenziali. Conseguentemente anche i2 dovrebbe essere uguale a ke. È interessante notare come Guatri, tradizionalmente difensore della prima soluzione, sostiene di recente che se esistono redditi differenziali positivi allora il tasso corretto da applicare è pari alla “somma del tasso senza rischio e del premio per il rischio di mercato, moltiplicato per il coefficiente beta”. Parrebbe che si tratti di un ke e quindi di un tasso uguale al costo del capitale proprio richiamato più sopra come il metodo più corretto per stimare i1. Infine, vi è anche chi sostiene che il tasso i2 dovrebbe corrispondere ad i1 maggiorato di un ulteriore premio che deriva dalla maggiore rischiosità dei redditi differenziali rispetto alla componente normale di reddito41. Vorremmo sottolineare con un esempio applicativo le ricadute operative del dibattito in merito ai tassi. Tabella 1.

41 Il premio viene quantificato in un intervallo tra 2 e 4 punti percentuali se il modello viene impiegato su un periodo limitato e tra 5 e 6 punti se il periodo è indefinito.

1 2 3 4 52007 2008 2009 2010 2011

Reddito netto normalizzato 1.350 1.420 1.570 1.540 1.680Maggiori ammortamenti da plusvalenze (120) (107) (94) (89) (81)Reddito netto normalizzato totale 1.230 1.313 1.476 1.451 1.599Tasso di inflazione atteso 2% 2% 2% 2% 2%Fattore di conversione a valori correnti 1,020 1,040 1,061 1,082 1,104Reddito a valori correnti 1.206 1.262 1.391 1.340 1.448Reddito medio 1.330Patrimonio netto rettificato 8.300ke 7,5%i1 = ke reale 5,4%Reddito normale 623Reddito differenziale 707Prima soluzione: i 1 > i 2

i2 = tasso privo di rischio reale 1,2%Durata (in anni) 5Valore dell'avviamento 3.411Valore dell'azienda 11.711Seconda soluzione: i 1 = i 2

i2 = ke reale 5,4%Durata (in anni) 5Valore dell'avviamento 3.028Valore dell'azienda 11.328Terza soluzione: i 1 < i 2

i2 = ke + 4% 9,4%Durata (in anni) 5Valore dell'avviamento 2.722Valore dell'azienda 11.022

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Il metodo misto con valutazione autonoma dell’avviamento

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La Tabella 1 riassume i passaggi necessari a determinare il valore. Si notino i seguenti aspetti critici: - i maggiori ammortamenti derivanti dalle plusvalenze incluse nel patrimonio netto rettificato

devono essere considerati nel reddito per coerenza con il valore di K; - i redditi sono espressi a valori correnti, cioè si è proceduto a renderli omogenei per l’inflazione; - i tassi sono espressi in termini reali per coerenza con i flussi che, per come sono stati determinati,

sono evidentemente reali. Esaminando i risultati in tabella emerge come la variazione nel valore dell’avviamento tra la prima soluzione e la terza (rispettivamente la più alta e la più bassa) è del 20%, mentre la variazione del valore dell’azienda è di circa il 6%. Soffermandoci su quest’ultima indicazione, è evidente che tale divario tende ad ampliarsi quanto più è basso il valore patrimoniale K rispetto all’avviamento; andrà peraltro notato che difficilmente aziende con un limitato patrimonio rispetto ai flussi vengano valutate con questo metodo che è tipico di realtà aziendali con una forte componente patrimoniale. Ciò indica che il ruolo del tasso i2 è stato probabilmente sopravvalutato e l’errore che può portare l’adozione di una qualsiasi delle tre soluzioni rispetto alle altre, non appare particolarmente critico. In ogni caso, la scelta di attualizzare i redditi differenziali ad un tasso superiore al costo del capitale non pare giustificata alla luce della teoria finanziaria, tenendo conto che si tratta pur sempre di redditi che l’impresa prevede di realizzare e che la qualifica di redditi “differenziali” dipende dalle modalità di costruzione del modello. Allo stesso modo risulta difficile comprendere per quale motivo si debbano attualizzare flussi attesi ad un tasso non espressivo del rischio. È vero che nel tasso i1 è già compresa la rischiosità aziendale ma ciò vale per i redditi normali non per quelli differenziali. In conclusione, la soluzione preferibile ci pare quella di applicare un unico tasso, coincidente con il costo del capitale proprio.

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La seguente Tabella 2 riepiloga l’intero processo di valutazione. Tabella 2.

La stima del reddito normale è stato calcolato come valore medio dei redditi attesi e si è ipotizzato che il sovrareddito possa avere una durata di 7 anni. Il fattore di conversione si rende necessario per equiparare nel tempo il potere di acquisto.

In breve: 1. Nella valutazione dell’azienda, l’avviamento rappresenta il maggior valore attribuito alle

risorse tangibili di un’impresa in funzione del maggior rendimento che esse generano rispetto alle attese del mercato.

2. Nel metodo misto la lunghezza del periodo di determinazione dei redditi differenziali può essere variabile da un minimo di 5 anni ad infinito.

3. Il tasso i1 rappresenta il rendimento medio di settore del capitale proprio a valore di mercato.4. Il tasso i2 è rappresentativo del rischio inerente l’effettivo manifestarsi dei redditi differenziali

nella specifica azienda da valutare. 5. La soluzione preferibile è quella di applicare comunque un unico tasso, coincidente con il

costo del capitale proprio.

ATTIVITA'Valore di bilancio Rettifica Valore corrente

Immobilizzazioni immateriali 400 0 400Terreni e fabbricati 1.200 500 1.700Impianti e macchinari 1.430 350 1.780Attrezzature 850 (50) 800Altri beni 530 0 530Immobilizzazioni materali 4.010 800 4.810Crediti circolanti 1.250 (60) 1.190Rimanenze 970 (120) 850Ratei e risconti attivi 45 0 45

Totale attivo 6.675 620 7.295

PASSIVITA'Debiti verso fornitori 350 0 350Fondo TFR 2.180 0 2.180Fondi per rischi ed oneri 440 0 440Ratei e risconti passivi 62 0 62

Totale passivo 3.032 0 3.032

PATRIM ONIO NETTO RETTIFICATO 3.643 620 4.263

1 2 3 4 52012 2013 2014 2015 2016

Reddito netto normalizzato totale 943 976 945 996 1.029Tasso di inflazione atteso 2% 2% 2% 2% 2%Fattore di conversione a valori correnti 1,020 1,040 1,061 1,082 1,104Reddito a valori correnti 962 1.015 891 921 932Reddito medio normale 944Patrimonio netto rettificato 4.263i1 = i2 9,2%Reddito normale 391Reddito differenziale 553Durata (in anni) 7Valore dell'avviamento 2.765

Valore dell'azienda 7.028

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LA VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO AZIENDALE: L’IMPATTO DEGLI INTANGIBILI

a cura di Massimo Buongiorno42

La valutazione degli intangibili acquisisce un’importanza particolare nelle situazioni che richiedono di determinare non tanto, o meglio non solo, il valore dell’intera azienda ma anche delle attività che la costituiscono. In passato, quando le attività da valutare riguardavano risorse off-balance e di natura immateriale rientravano nella categoria degli “intangibili” il cui valore era determinato in ipotesi di cessione, ove possibile, oppure nel caso di valutazione dell’intera azienda, attraverso il metodo misto patrimoniale complesso che prevede appunto la valorizzazione di tutte le risorse aziendali iscritte o no in bilancio. In tempi più recenti, l’adozione dei principi contabili internazionali, ma anche la necessità di ricostruire il complessivo valore del patrimonio in contesti di crisi, ha conferito un maggiore peso alla valutazione degli intangibili soprattutto in sede di allocazione del prezzo di acquisizione al bilancio della società acquirente. Una riflessione sui più corretti metodi di valorizzazione degli intangibili, alla luce delle più evoluzioni di dottrina e di applicazioni pratiche, diviene assai opportuna in numerosi contesti aziendali.

1. Le risorse intangibili e valore

Il fenomeno, forse più significativo, che ha attraversato gli ultimi decenni di storia delle imprese ha visto una progressiva “dematerializzazione” delle risorse alla base del vantaggio competitivo. Dove, in passato, l’accesso privilegiato alle risorse materiali, quali migliori materie prime, abbondanza di manodopera, favorevole localizzazione geografica degli impianti, costituiva un indiscusso punto di forza delle imprese, attualmente è altrettanto indiscusso che la competizione si sia spostata su fattori diversi che poggiano su risorse intangibili la cui individuazione è più sfuggevole ma sicuramente non meno importante. In particolare, il marchio, il portafoglio prodotti, la rete di vendita e la tecnologia diventano risorse critiche il cui possesso ed efficiente sfruttamento porta al successo delle imprese, mentre la mancanza alla progressiva marginalizzazione dal mercato. Pur costituendo innegabili fattori competitivi, le risorse intangibili non trovano una adeguata valorizzazione nel bilancio, creando a volte situazioni paradossali dove il patrimonio risulta perso pur

42 Contributo tratto da La Rivista delle Operazioni Straordinarie, n.3/14, Euroconference Editore

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in presenza di significative risorse intangibili con valori che non risultano tra le attività, oppure figurano per importi ben lontani dal loro valore. Proprio per una più corretta ricognizione dell’effettivo valore del patrimonio aziendale si pone allora il problema della valorizzazione delle risorse intangibili. L’evoluzione descritta ha anche mutato gli orientamenti della teoria in merito ai requisiti che gli intangibili devono possedere perché si possa attribuire un valore: all’insistenza sul requisito della trasferibilità43 a terzi dell’intangibile si è progressivamente sostituito il concetto del contributo che l’intangibile porta alla performance complessiva dell’impresa. Il passaggio può apparire di poca rilevanza pratica ma in realtà non è così. Se affermiamo che la risorsa intangibile ha valore solo se trasferibile a terzi, senza modificarne la capacità di utilizzo, ciò significa escludere tutte le risorse che al di fuori dell’azienda che le ha prodotte sono di fatto inapplicabili, sia perchè molto specifiche sia perchè molto legate all’azienda originaria. Inoltre si porrebbe il problema di valutare se l’azienda possa sopravvivere nell’ipotesi di perdita del marchio e delle tecnologie “core”. Al contrario, attribuire un valore proporzionale alla capacità delle risorse di creare ricchezza all’interno dell’impresa appare molto più condivisibile alla luce delle recenti evoluzioni. Purtroppo, la semplicità del passaggio logico non si accompagna ad altrettanta semplicità nell’adeguare i metodi di valutazione che trovano nel valore di “mercato” un ancoraggio naturale. Proviamo, allora, a definire alcuni punti fermi che un valutatore deve tenere presente nella stima della risorsa intangibile: 1. Un intangibile (ad esempio il marchio) possiede un valore se l’impresa che lo possiede è in grado

di generare una performance superiore al rendimento atteso del suo capitale investito e tale maggiore performance non è spiegata da altri intangibili (ad esempio il portafoglio cliente o la rete commerciale);

2. il valore dell’intangibile è tanto maggiore quanto più elevati sono i flussi incrementali di ricchezza che esso sarà in grado di generare in futuro;

3. il valore dell’intangibile si riduce quanto più aumenta il rischio che i risultati che si otterranno in futuro siano minori delle aspettative.

Si consideri il caso dell’impresa Alfa che presenta un capitale investito di bilancio pari a euro 1 milione. Sulla base dei rendimenti attesi di mercato e dato il livello di rischio, il capitale investito dovrebbe rendere il 10% che equivale ad un reddito di euro 100.000. Se il reddito operativo che l’azienda produce è pari a euro 250.000 si genera un sovrarendimento pari a euro 150.000 che non è spiegato dal capitale investito, ovvero dalla differenza tra le attività e passività operative di bilancio. Ciò significa che la capacità di generare i 150.000 euro in più non può che dipendere dalla disponibilità di risorse aggiuntive (l’intangibile che stiamo valutando) che non risultano in bilancio ma contribuiscono ad aumentare il reddito, incrementando i ricavi (intangibili commerciali) o riducendo i costi (intangibili tecnologici). Questo punto stimola ulteriori riflessioni. Poichè il contributo dell’intangibile è residuale rispetto al rendimento atteso del capitale investito, si pone un inevitabile problema nella ripartizione di tale residuo su più intangibili. A tale proposito, è fortemente consigliato accorpare gli intangibili in categorie omogenee (tipicamente il valore degli intangibili legati alla tecnologia e di quelli legati al marketing), piuttosto che ipotizzare ulteriori suddivisioni spesso arbitrarie e a rischio di duplicazioni di valore.

43 G.Brugger, La valutazione dei beni immateriali legati al marketing ed alla tecnologia, Finanza, Marketing e Produzione, 1989, n1.

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La valorizzazione del patrimonio aziendale: l’impatto degli intangibili

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Il valutatore dovrà quindi principalmente interrogarsi in merito all’esistenza di una superiorità del modello di business dell’azienda e delle risorse intangibili sulle quali si fonda. Il lettore esperto di valutazione ed uso a ricorrere al metodo misto patrimoniale reddituale avrà sicuramente colto molti legami tra l’esempio presentato sopra e la stima dell’avviamento secondo il metodo misto patrimoniale/reddituale noto come UEC. In realtà, avviamento ed intangibili sono inscindibilmente legati poichè esprimono congiuntamente il maggior valore che può essere attribuito al patrimonio netto di bilancio (eventualmente rettificato) di un’impresa in ragione della sua superiore capacità di produrre reddito. Definire tale maggior valore, avviamento o valore degli specifici intangibili, dipende, in termini valutativi, esclusivamente dal grado di dettaglio che si desidera utilizzare. La successiva tavola riassume i termini della questione. Tavola 1. La scomposizione degli intangibili aziendali.

2. I principali criteri di valutazione

In merito ai criteri di valutazione degli intangibili, esistono tre criteri fondamentali: • metodica dei risultati attesi che si fonda sull’attualizzazione dei flussi attesi (di cassa o di reddito)

ad un tasso espressivo di un rendimento privo di rischio e di un premio al rischio • metodica di mercato, ovvero di natura comparativa fondata sull’utilizzo di multipli di mercato; • metodica del costo di riproduzione interna dell’attività da valutare oppure del costo di sostituzione

o rimpiazzo all’esterno. 3. Il criterio dei risultati attesi

La prima metodica si fonda sulla determinazione dei risultati differenziali ovvero sui maggiori flussi che l’intangibile è in grado di produrre. Il presupposto per l’applicazione del metodo dell’attualizzazione dei risultati differenziali è che essi siano misurabili rispetto ad una situazione nella quale l’intangibile non è presente. Nella prassi applicativa di questo metodo, solitamente ci si riferisce ai concorrenti che non possiedono l’intangibile e si misura il differenziale rispetto ai risultati mediamente conseguiti.

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Ad esempio, nel caso di un’azienda dotata di un marchio solido e riconosciuto, che in forza del brand riesce a vendere il 50% in più rispetto alle aziende concorrenti prive di riconoscibilità specifica sul mercato e spunta un premium price del 20%, è necessario considerare che il marchio consente di generare ricavi differenziali pari alla forza di vendita che esprime, in termini di prezzo e di volumi. Da non sottovalutare, o meglio, da comprendere accuratamente nella valutazione, sono anche gli eventuali costi differenziali che l’azienda sostiene per mantenere la forza commerciale dell’intangibile. Le maggiori criticità nell’applicazione del metodo riguardano: • la grandezza da assumere a riferimento per misurare il vantaggio competitivo. Se oggetto della

valutazione è un marchio, la grandezza da scegliere sarà il prezzo poiché ad una maggiore notorietà del marchio si accompagna la possibilità di imporre un premium price che rappresenta quanto si intende indagare. Se l’intangibile da valutare è una tecnologia, la grandezza di riferimento più probabile è il costo unitario a seconda che il vantaggio tecnologico permetta di produrre ad un livello qualitativamente superiore ai concorrenti oppure ad un costo più basso;

• i concorrenti da inserire come comparazione, che non devono possedere l’intangibile o comunque non trarre da esso un significativo vantaggio competitivo. Ad esempio nella valutazione del marchio si distingue tra prodotti branded e unbranded che sono presenti in molti mercati, spesso in segmenti differenti;

• la misurazione dei risultati differenziali che deve necessariamente riguardare i margini netti d’imposta e non solamente il differenziale nella grandezza di riferimento. Se, ad esempio, si tratta di valutare un marchio potrebbe emergere un premium price rispetto ai concorrenti del 25%, ma dovranno essere considerati anche i costi da sostenere per mantenere la forza del marchio quali pubblicità, promozione, qualità del prodotto. Ove sia impattato anche il capitale circolante commerciale, il relativo effetto dovrà essere incluso nella valutazione;

• la lunghezza del periodo, lungo il quale determinare i risultati incrementali, dipende dalla solidità del vantaggio competitivo che deriva dall’intangibile in funzione della variabilità dei gusti dei consumatori, del comportamento atteso dei concorrenti, dell’evoluzione dei canali distributivi, e dei previsti salti tecnologici a seconda che si tratti di intangibili legati al marketing o alla tecnologia.

La formula di valutazione può ridursi ad una rendita limitata per N anni nel caso in cui si ipotizzi che il risultato differenziale si mantenga costante nel periodo oppure assumere la forma generale dell’attualizzazione se si ipotizza che il risultato sia variabile. Le formule nel primo e nel secondo caso sono le seguenti:

dove: Rt, = risultato differenziale costante o variabile nei diversi periodi, netto d’imposta; N = durata del periodo di riferimento; i = tasso di attualizzazione.

+

−=Niii

RI)1(

11

= +

=n

tt

t

i

R

1 )1(I

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La valorizzazione del patrimonio aziendale: l’impatto degli intangibili

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Il tasso di attualizzazione è solitamente rappresentato dal costo medio ponderato del capitale (WACC) per la cui stima si rimanda all’ampia letteratura in materia. Nella tabella successiva viene presentato un esempio di stima del valore di un marchio utilizzando il criterio del flusso medio differenziale. Tabella 1. La determinazione del valore del marchio e della tecnologia con il metodo dei risultati differenziali

Ricavi netti totali 12.500

Ricavi netti di un campione di aziende prive di intangibile 8.730 Ricavi differenziali 3.770 dovuti a: • maggiori volumi di vendita 1.500 • premium price 2.270

Costi incrementali per il mantenimento del differenziale dei ricavi 500 Margine incrementale 3.270 Aliquota d'imposta 31,5% Margine incrementale netto 2.240

Periodo di vita utile dell'intangibile (anni) 5 Tasso di rendimento atteso 11% Valore dell'intangibile 8.279

L’esempio di applicazione del criterio dei risultati differenziali al marchio presuppone che per i prossimi 5 anni, si mantenga un differenziale medio-normale atteso rispetto ai concorrenti che viene stimato in 3.270 come differenza tra i maggiori ricavi imputabili al marchio ed i costi incrementali per il sostenimento del marchio. Poiché molto spesso non è possibile trovare un campione di aziende “senza intangibile”, il metodo viene solitamente applicato in via differenziale distinguendo una situazione nella quale l’azienda continua a possedere l’intangibile ed una situazione nella quale esso non è più disponibile (tale variante di metodo è nota come “costo della perdita”). Questa metodica, teoricamente ineccepibile, è praticamente utilizzabile in presenza di un sistema informativo aziendale sufficientemente articolato e per intangibili il cui impatto sia facilmente e univocamente determinabile sui risultati aziendali. 4. Il criterio di mercato

Le metodiche di mercato trovano nel confronto con i dati disponibili di società comparabili utili parametri per costruire l’impianto valutativo. Nella valutazione delle aziende tali parametri sono costituiti dai cosiddetti “multipli di mercato” mentre nella valutazione degli intangibili, sia commerciali sia tecnologici, si utilizzano i tassi di royalties che vengono riconosciuti dal mercato per l’utilizzo commerciale dell’intangibile da valutare. Più in dettaglio, la royalty rappresenta un provento che il proprietario di una risorsa intangibile riceve da un terzo utilizzatore per un determinato periodo. Le royalties sono determinate applicando un tasso predefinito ad una grandezza di riferimento che solitamente è rappresentata dai ricavi di vendita.

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Il metodo dei tassi di royalties, assai diffuso nella prassi, considera il tasso che il mercato è disposto a riconoscere per l’utilizzo dell’intangibile e su tale base ricostruisce il flusso annuo di ricavi generati dall’intangibile stesso. Le fasi sulle quali si articola il metodo sono riassunte di seguito: • selezione di un campione sufficientemente ampio di recenti cessioni in licenza di intangibili simili

a quello da valutare per le quali è noto il tasso di royalty44; • valutazione della forza dell’intangibile da valutare rispetto al campione disponibile; • definizione del tasso di royalty da utilizzare; • previsione della crescita dei ricavi ai quali applicare il tasso di royalty; • stima dei costi di mantenimento del potenziale degli intangibili; • definizione del periodo, espresso in numero di anni, lungo il quale compiere l’analisi; • scelta del tasso di attualizzazione ed applicazione della formula più appropriata. La prima fase è quella più critica poiché per l’applicazione del metodo si richiede che il campione sia “sufficientemente ampio”, le cessioni in licenza “recenti” e naturalmente comparabili. Il requisito dell’ampiezza richiederebbe almeno un campione costituito da 8-10 operazioni. Ove tale numero fosse inferiore, il metodo potrebbe ancora essere applicabile ma meno robusto. E’ invece più discutibile l’applicazione del metodo sulla base di tassi medi di settore, giustificati da affermazioni del tipo “la prassi più accreditata”, “gli usi consueti del settore” e simili che sono in realtà dati indimostrabili. Solitamente, dal campione non si estrae un tasso medio, ma un intervallo di variabilità dello stesso tra un valore minimo e uno massimo e la scelta del posizionamento all’interno dell’intervallo dipende dalla forza dell’intangibile. In altre parole, supponendo che il valore minimo dei tassi di royalties applicati ad un marchio sia dell’8% ed il massimo del 13%, al marchio da valutare sarà applicato un tasso più vicino all’8% od al 13% a seconda della sua forza. Rimanendo al caso del marchio, la sua forza dipende da: • il grado di notorietà; • il tasso di fedeltà del mercato; • la quota di mercato stabilmente detenuta; • la capacità di innalzare barriere all’entrata; • il livello di imitabilità. Nel caso dei brevetti, invece, assume rilevanza, oltre ai due ultimi punti citati per i marchi, anche la vita utile del brevetto e della tecnologia sottostante ed il rischio che venga superata da una innovazione operativa alternativa e più efficiente. Al fine di rendere più oggettivo il posizionamento all’interno dell’intervallo, dove possibile, è opportuno attribuire un punteggio a ciascuno degli attributi della forza del marchio all’interno di una scala e posizionare il marchio in funzione del punteggio ottenuto rispetto al massimo ottenibile. La seguente Tabella 2 mostra un esempio applicativo di tale modo di procedere.

44 Per tale fine possono essere utilizzate numerose banche dati quali ad esempio Royaltyrange.com.

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La valorizzazione del patrimonio aziendale: l’impatto degli intangibili

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Tabella 2. La scelta dal tasso di royalties all’interno di un intervallo

Punteggio

Minimo Massimo Effettivo %

Effettivo/MassimoGrado di notorietà 1 9 7 78% Tasso di fedeltà del mercato 1 9 7 78% Quota di mercato stabilmente detenuta 1 9 6 67% Capacità di innalzare barriere all’entrata 1 9 5 56% Livello di imitabilità 1 9 6 67% Media 1 9 6,2 69% Tassi di royalty Minimo Massimo Intervallo Sintesi dei risultati del campione 8% 13% 5% Posizionamento 69%*5% = 3,4% Tasso di royalty da applicare 11,4%

Ad ognuno dei parametri, precedentemente indicati ed espressivi della forza del marchio, si attribuisce un punteggio in una scala da 1 a 9, dove possibile secondo regole oggettive. La media risulta pari a 6,2 e rappresenta il 69% del massimo ottenibile. Utilizzando l’intervallo di variabilità dei tassi, indicato in precedenza, pari al 5%, semplicemente moltiplicando tale valore per il punteggio ottenuto in termini percentuali (69%) si ottiene il risultato desiderato pari al 3,4%. Aggiungendo tale valore al minimo dell’intervallo si ottiene il tasso di royalty da applicare, pari all’11,4%. La previsione della crescita dei ricavi non comporta problemi specifici. Essa è effettuata sulla base dei piani aziendali, dei budget e, in assenza, degli ultimi dati storici. Può essere espressa in modo sintetico mediante la determinazione di un tasso “g” che rimane stabile per l’intero periodo rilevante oppure in modo analitico definendo puntualmente i ricavi anno per anno. Oltre ai ricavi derivanti dall’intangibile sono rilevanti anche i costi, primi tra tutti, quelli di mantenimento della forza e dell’efficienza dell’intangibile durante il periodo considerato, ma anche le imposte dirette da applicare alla differenza tra i ricavi e i costi appena descritti. Per quanto attiene agli altri aspetti, il modello valutativo riprende quello analizzato in precedenza. La successiva tabella 3 mostra un esempio completo di valutazione di un marchio con il metodo in esame.

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Tabella 3. Valutazione di un marchio con il metodo dei tassi di royalties

1 2 3 4 5 6 7 8 Ricavi attesi 54.733 56.484 58.631 60.155 61.960 63.819 65.733 67.705Tasso di royalty da applicare 11,4% Fatturato del marchio 6.240 6.439 6.684 6.858 7.063 7.275 7.494 7.718 Costo di mantenimento del marchio 2.280 2.330 2.380 2.430 2.479 2.528 2.579 2.630 Reddito differenziale del marchio 3.960 4.109 4.304 4.428 4.585 4.747 4.915 5.088 Aliquota d'imposta 33% Reddito differenziale netto 2.653 2.753 2.884 2.967 3.072 3.181 3.293 3.409 Tasso di rendimento atteso 11% Fattore di attualizzazione 1,110 1,232 1,368 1,518 1,685 1,870 2,076 2,305 Reddito diff. netto attualizzato 2.390 2.235 2.108 1.954 1.823 1.700 1.586 1.479 Valore dell'intangibile 15.276

A ben guardare l’impianto valutativo di questo metodo è in gran parte simile al metodo dei redditi differenziali dal quale si distingue per l’utilizzo di un parametro esterno di mercato relativamente all’aspetto principale della stima, ovvero la quantificazione del maggior contributo che l’intangibile è in grado di fornire. Ne deriva che l’opportunità di applicazione del metodo si fonda sulla reale affidabilità dei dati di mercato e sulla oggettiva comparabilità rispetto all’intangibile da valutare. 5. Il criterio del costo

Questo criterio di valutazione degli intangibili si fonda su due varianti di metodo: • il costo di riproduzione; • il costo di sostituzione. Nel primo caso, all’intangibile viene attribuito un valore pari alla somma di tutti i costi che l’azienda ha sostenuto nel tempo per generare l’intangibile. Ad esempio per il marchio saranno costituiti dai costi commerciali e di marketing, dai costi per la registrazione, mentre per la tecnologia sono invece da rinvenire nei costi di ricerca e sviluppo capitalizzati nel tempo. Il costo di sostituzione presuppone, invece, che esista la possibilità di acquisire dall’esterno un intangibile con analoga funzionalità. I due metodi richiamati sono in realtà ben noti nella prassi poiché vengono utilizzati per le valutazioni patrimoniali nella stima a valori correnti delle immobilizzazioni. Tuttavia nel caso degli intangibili si segnala l’incompletezza del solo riferimento ai costi poiché l’elemento dirimente nella valutazione è il contributo che l’intangibile può portare alla creazione di valore complessivo dell’azienda per cui, a fronte degli stessi costi, tale contributo può essere estremamente variabile. 6. Conclusioni

Il presente lavoro costituisce una rassegna sintetica dei principali metodi valutativi del capitale intangibile e aiuta a rispondere alle domande in merito alla consistenza del patrimonio in situazioni critiche. Rimane peraltro evidente che anche ove risulti da una valutazione che il patrimonio aziendale è maggiore di quello risultante dal bilancio, essa non contribuisce per sé alla ricapitalizzazione della società. Tuttavia tale obiettivo può essere raggiunto con relativa facilità ricorrendo ad operazioni straordinarie singole (ad esempio un conferimento a valori correnti) oppure complesse quali LBO.

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La valorizzazione del patrimonio aziendale: l’impatto degli intangibili

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In breve: 1. La valorizzazione delle risorse intangibili consente una più corretta ricognizione dell’effettivo

valore del patrimonio aziendale. 2. Gli intangibili esprimono il maggior valore che può essere attribuito al patrimonio netto di

bilancio (eventualmente rettificato) in ragione della loro superiore capacità di produrre reddito.

3. Gli intangibili sono valutabili con tre criteri fondamentali: - il metodo dei risultati attesi, - il metodo di mercato, - il costo di riproduzione interna o di sostituzione.

4. Il criterio dei risultati attesi si fonda sui maggiori flussi che l’intangibile è in grado di produrre, nel presupposto che i risultati differenziali siano misurabili rispetto ad una situazione nella quale l’intangibile non è presente.

5. Il criterio di mercato per la valutazione degli intangibili utilizza i dati disponibili di società comparabili per determinare i tassi di royalties che misurano il tasso che il mercato è disposto a riconoscere per l’utilizzo dell’intangibile.

6. Il criterio del costo si fonda su due varianti: il costo di riproduzione ed il costo di sostituzione, ma sono incompleti se utilizzati da soli, poiché l’elemento dirimente nella valutazione è il contributo che l’intangibile può portare alla creazione di valore complessivo dell’azienda.

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L’EVA TRA INDICATORE DI PERFORMANCE E METODO VALUTATIVO

a cura di Massimo Buongiorno45

Il presente lavoro intende riprendere il concetto di Economic Value Added che non è nuovo avendo compiuto ormai vent’anni, ma presenta tuttora aree di interesse non completamente sviluppate e potenzialità notevoli anche per le PMI. La gestione delle imprese nell’ottica della creazione di valore è diventato tema di stretta attualità quando il perdurare di un difficile contesto economico ha messo a dura prova proprio il valore delle aziende; in tale contesto, solamente gli imprenditori che attraverso opportune modifiche del proprio modello di business sono riusciti a “blindare” il valore oggi stanno non solo sopravvivendo, ma anche approfittando di nuove opportunità di crescita. L’EVA è proprio uno strumento operativo che ci aiuta da un lato a blindare il valore se guardato come un indicatore di performance sia attuale sia potenziale e dall’altro a misurare il valore valutando proprio la capacità di aggiungere “qualcosa” al valore di bilancio. Nel seguito del lavoro verrà proprio evidenziata la duplice natura dell’EVA e le conseguenze che ne derivano.

1. L’EVA come indicatore di performance

Sul finire degli anni Ottanta al termine di un decennio di intensa crescita economica, ma anche ricco di eccessi dovuti ad un uso spregiudicato della finanza, si afferma la teoria del valore prima in letteratura e poi sempre più come prassi aziendale. La gestione aziendale, in accordo con questa impostazione, non si pone più quale obiettivo il margine economico (inteso come differenza tra costi e ricavi) che viene sostituito dalla creazione di valore per la proprietà, da intendersi come la differenza tra flussi netti di ricchezza attesi attualizzati ad un tasso di sconto comprensivo del rischio. Il cambiamento di approccio induce differenti modalità di gestione d’impresa poiché si amplia l’orizzonte delle scelte rilevanti tanto da includere: 1. la dinamica del capitale circolante e delle sue tre dimensioni principali (crediti e debiti commerciali

e rimanenze di magazzino) che impattando sui flussi di cassa (e non su quelli di reddito) influisce sul valore;

2. le decisioni di investimento, sia in termini di rinnovo e sostituzione delle risorse esistenti, sia soprattutto negli investimenti di espansione. Con riferimento a questi ultimi, la decisione di

45 Contributo tratto da La Rivista delle Operazioni Straordinarie, n.7/14, Euroconference Editore

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L’EVA tra indicatore di performance e metodo valutativo

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intraprendere un nuovo progetto viene sottoposta al “vaglio del valore” vincolando una risposta positiva alla ragionevole aspettativa che possa incrementarsi nel corso del tempo.

Gestire secondo il valore diviene, quindi, sinonimo di una possibile sinergia tra impresa e finanza, dove il contributo della prima risiede nella capacità di produrre innovazione, creatività ma anche efficienza ed occupazione, mentre la seconda traduce i risultati aziendali in un linguaggio più facilmente comprensibile ai mercati finanziari, rendendo più facile trovare le risorse per sostenere la crescita delle imprese meritevoli (quelle che registreranno la maggiore crescita di valore). Ovviamente non si tratta di nulla di nuovo nella sostanza, ma le modalità con le quali i messaggi vengono veicolati assumono una forza particolare tanto che, con sempre maggiore frequenza, le imprese dichiarano la creazione di valore quale una delle ragioni fondanti della loro esistenza. La convinta adesione ad una gestione orientata al valore poneva però un problema critico di misurazione rendendosi di fatto necessario stimare nuovamente il valore ogni volta che si trattava di valutare una decisione (ad esempio un investimento importante, una acquisizione e così via). Per risolvere questo problema, nei primi anni Novanta viene introdotto il concetto di Economic Value Added (EVA)46 che acquisisce rapidamente un consenso globale. L’EVA può essere definito come un indicatore: 1. sintetico di creazione di valore; 2. utilizzabile in un’ottica periodale. Il primo utilizzo dell’EVA è sicuramente quello di un indicatore di performance coerente con la gestione del valore. La formula dell’EVA è la seguente:

EVA = R.O.N. – W.A.C.C.*C.I. dove: R.O.N. = Reddito operativo netto d’imposta W.A.C.C. = Costo medio ponderato del capitale C.I.= Capitale investito Per comprendere in quale senso l’EVA possa essere interpretato come un indicatore di creazione di valore può essere utile un esempio di finanza personale. Si supponga di dover investire euro 10.000 e che siano possibili tipologie di investimenti con un differente profilo rischio/rendimento. In particolare, viene valutato un titolo di stato con una durata residua di 5 anni, una cedola annuale del 4,25% e una tassazione pari al 12,5%. Ogni anno si ottiene un reddito pari a euro 10.000*4,25% = 425 che al netto della tassazione equivalgono ad euro 372 per cinque anni. Dovendo valutare la convenienza dell’investimento è ora necessario confrontare il progetto esaminato con le alternative che il mercato propone. Si supponga che il rendimento “benchmark” rispetto al titolo esaminato sia pari al 4%. Ne deriva che il reddito ottenibile netto d’imposta è pari a euro 10.000*4%= 400 – 12,5% = 350. Confrontando i risultati si ottiene che il reddito ottenibile dall’investimento è maggiore rispetto a quello benchmark ovvero quello medio atteso di mercato. La differenza pari a euro 22 è nella sostanza assimilabile ad un EVA di progetto ottenibile annualmente. L’EVA totale ottenibile è invece pari a 110, data una vita utile del progetto di 5 anni.

46 Il lavoro che ha introdotto EVA è B.Stewart, The Quest for Value, 1993 al quale ne sono seguiti numerosi altri che si sono dedicati a raffinare la metodologia applicativa.

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Interpretando l’esempio emerge che l’EVA può essere calcolato solo con riferimento alle alternative di investimento di mercato ed esso è positivo solamente quando l’investimento che si intende effettuare rende di più del mercato: quel di più è la creazione di valore misurata anno per anno dall’EVA. L’esempio riportato è teorico poiché nella realtà è assai difficile che sul mercato finanziario possano esistere titoli con un rendimento maggiore rispetto a quello benchmark poiché se così fosse la dinamica dei prezzi riallineerebbe i rendimenti. E’, invece, possibile che progetti di investimento o intere imprese siano in grado di rendere sistematicamente di più del rendimento atteso dagli investitori, dato il livello di rischio. Ciò accade, ad esempio, in presenza di significative innovazioni che possano consentire una significativa crescita dei volumi di domanda e l’applicazione di prezzi da monopolista, come spesso l’innovatore riesce ad essere (non essendo disponibili sul mercato prodotti alternativi). In sostanza, quindi, si ha un’EVA positivo quando il reddito operativo netto ottenuto (o che si prevede di ottenere) è maggiore di quello atteso dato il capitale investito totale e il costo del capitale misurato in ragione della rischiosità dell’impresa e delle scelte di finanziamento. Le tabelle successive mostrano un esempio di calcolo di EVA per un’azienda risalendo dal conto economico e dallo stato patrimoniale riclassificati.

(euro milioni) 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Conto Economico Ricavi delle vendite 26.686 23.239 24.197 25.952 28.124 29.987 31.073 31.923

Variazione rimananze p.f. 354 (198) 344 (259) 89 77 45 35

Valore della produzione 27.040 23.041 24.541 25.692 28.213 30.064 31.117 31.958 Acquisti di materie prime (18.140) (13.579) (17.930) (17.545) (19.618) (20.460) (20.852) (21.141)

Variazione rimenenze m.p. (581) (113) 687 (519) 333 163 95 75 Costi per consumi di materie prime (18.721) (13.692) (17.243) (18.064) (19.286) (20.297) (20.757) (21.066)

I Margine di contribuzione 8.319 9.349 7.298 7.628 8.927 9.767 10.360 10.891 Costi industriali (2.471) (1.859) (2.397) (2.441) (2.624) (2.796) (2.894) (2.972)

Costo del lavoro diretto (1.130) (945) (1.102) (1.124) (1.146) (1.169) (1.192) (1.247)

II Margine di contribuzione 4.718 6.545 3.799 4.064 5.157 5.802 6.274 6.673 Costi commerciali (924) (719) (650) (680) (841) (896) (928) (953)

Costi amministrativi (284) (370) (290) (295) (301) (307) (314) (320)

Personale indiretto (157) (135) (137) (140) (160) (164) (167) (189)

Altri costi del personale (40) (44) (11) (11) (12) (12) (12) (12)

Svalutazioni 0 0 0 0 (44) (47) (49) (50)

Ebitda 3.313 5.277 2.711 2.936 3.843 4.423 4.854 5.199 Ammortamenti (1.100) (981) (1.072) (1.195) (1.324) (1.540) (1.689) (1.813)

Ebit 2.213 4.296 1.639 1.741 2.519 2.883 3.165 3.386 Proventi finanziari 19 5 0 0 0 0 0 0

Oneri finanziari (825) (604) (741) (613) (523) (561) (476) (364)

Saldo gestione straordinaria (183) (143) 0 0 0 0 0 0

Reddito ante imposte 1.223 3.554 898 1.128 1.996 2.322 2.688 3.021 Imposte correnti (496) (1.546) (391) (491) (868) (1.010) (1.169) (1.314)

Reddito netto 728 2.008 508 637 1.128 1.312 1.519 1.707

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L’EVA tra indicatore di performance e metodo valutativo

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Per comprendere se nelle previsioni dal 2014 al 2019 per l’azienda considerata nell’esempio vi sia creazione di valore è innanzi tutto necessario ricostruire il Reddito operativo netto che è pari all’EBIT meno le imposte operative, ovvero quelle gravanti esclusivamente su tale margine (e quindi senza considerare l’effetto degli interessi e della gestione straordinaria). Normalmente tali imposte vengono calcolate applicando l’aliquota effettiva d’imposta (pari al rapporto tra imposta effettiva e base imponibile) all’EBIT e nello stesso modo si è proceduto nella tabella sottostante. Il capitale investito risulta dalla opportuna riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio a pertinenza gestionale (noto anche come criterio finanziario), mentre il WACC è pari alla media del costo del capitale proprio e del capitale di terzi ponderata per l’effettivo utilizzo che di ciascuno viene fatto nella struttura finanziaria dell’azienda47. Ne risulta pertanto la seguente tabella:

47 La trattazione della stima del WACC prescinde dagli scopi del presente lavoro. Si rimanda alla imponente letteratura in materia.

Stato Patrimoniale (euro milioni) 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Crediti commerciali 7.881 8.064 8.949 8.943 8.885 9.468 9.800 10.065Altri crediti 572 181 175 223 247 285 285 285Materie prime 2.078 1.965 2.652 2.133 2.466 2.629 2.724 2.799

Prodotti finiti e semilavorati 1.180 982 1.326 1.067 1.156 1.232 1.277 1.312

Rimanenze 3.258 2.947 3.978 3.200 3.621 3.861 4.001 4.111Ratei e risconti attivi 13 34 34 34 34 34 34 34Debiti commerciali (1.779) (1.046) (2.001) (2.096) (2.238) (2.355) (2.408) (2.444)Debiti tributari e previdenziali correnti (77) (69) (58) (59) (61) (62) (63) (67)Altri debiti (98) (91) (91) (91) (91) (91) (91) (91)Ratei e risconti passivi (21) (21) (21) (21) (21) (21) (21) (21)Capitale circolante netto 9.749 9.999 10.965 10.133 10.377 11.119 11.536 11.871Immobilizzazioni immateriali nette 334 298 260 222 184 146 108 70Immobilizzazioni materiali nette 13.064 12.594 12.710 12.578 12.367 13.565 13.154 12.414Immobilizzazioni totali nette 13.398 12.892 12.970 12.800 12.551 13.711 13.262 12.484Capitale investito operativo 23.147 22.891 23.935 22.933 22.928 24.830 24.798 24.355

(euro) 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Debiti verso banche a breve termine 5.461 4.133 7.176 5.916 5.262 6.698 6.131 5.120Debiti verso banche a medio lungo termine 7.000 6.000 5.000 5.000 5.000 5.000 5.000 5.000Liquidità (84) (20) (20) (20) (20) (20) (20) (20)Posizione finanziaria netta 12.377 10.113 12.156 10.896 10.242 11.678 11.111 10.100Capitale sociale 4.500 4.500 4.500 4.500 4.500 4.500 4.500 4.500Altre riserve 5.542 6.270 6.772 6.899 7.058 7.340 7.668 8.048Utile netto 728 2.008 508 637 1.128 1.312 1.519 1.707Patrimonio netto 10.770 12.778 11.780 12.036 12.686 13.152 13.687 14.255Forme di finanziamento 23.147 22.891 23.935 22.933 22.928 24.830 24.798 24.355

EVA (euro) 2014 2015 2016 2017 2018 2019 NOPAT (EBIT * (1- Aliquota d'imposta)) 926 984 1.423 1.629 1.788 1.913 Capitale investito operativo 23.935 22.933 22.928 24.830 24.798 24.355 WACC 8,09% 8,09% 8,09% 8,09% 8,09% 8,09% C.I.O. medio * WACC 1.936 1.855 1.854 2.008 2.005 1.970 EVA (967) (911) (431) (302) (219) (75)

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Come si può agevolmente verificare l’EVA è negativo per tutti gli anni di piano economico finanziario. Pur se con una tendenza ad una graduale riduzione dell’impatto negativo, l’adozione del piano in esempio porterebbe ad una significativa distruzione di valore, poiché il reddito previsto dal piano non è in linea con quello che dovrebbe essere rispetto alle aspettative degli investitori sia in capitale di rischio sia di debito. Un aspetto interessante che rileva evidenziare è che se fosse stata compiuta una più tradizionale analisi per indici i risultati sarebbero stati nella sostanza simili a quelli riportati di seguito:

Soffermiamoci sugli indici che ricevono solitamente le maggiori attenzioni: 1. Ricavi ed Ebitda crescono in tutto il periodo di piano; 2. il ROIC inteso come rapporto tra reddito operativo (EBIT) e capitale investito operativo pur non

raggiungendo mai il livello del 2013 (18,6%) si mantiene comunque su livelli significativi e tranne i primi due anni è superiore al 10%;

3. l’utilizzo del capitale circolante in percentuale sui ricavi si riduce sensibilmente nel corso del periodo di piano;

4. tutti gli indicatori di sostenibilità del debito mostrano una situazione in uscita di piano migliore di quella in entrata.

Un’analisi tradizionale per indici avrebbe sicuramente giustificato un giudizio positivo del piano, ma al contrario l’utilizzo di EVA mostra una distruzione di valore. Come riconciliare le due posizioni? In realtà, EVA aggiunge qualcosa in più all’analisi per indici. Quest’ultima infatti può permettere di articolare valutazioni comparative rispetto al passato ma più difficilmente rispetto ai concorrenti ed alle evoluzioni di mercato. Al contrario, il punto di forza di EVA è proprio quello di confrontare un dato

Crescita

Ricavi

EBITDA

Reddito operativo

Variazione EBITDA/Variazione Ricavi

Variazione Reddito operativo/Variazione Ricavi

Redditività

ROIC (RO/CIO)

ROI (NOPAT/CIO)

ROS (RO/Ricavi)

Ebitda ratio (EBITDA/Ricavi)

Rotazione di capitale (Ricavi/CINO)

ROE

Investimenti

Capitale circolante netto / Ricavi

Liquidità dell'Ebitda (Ebitda / Flusso operativo)

Investimenti in CFNO/Ricavi

PN/Capitale immobilizzato netto

Struttura finanziaria

Rapporto di indebitamento

Grado di leva finanziaria

PFN/Ebitda

Ebitda/Oneri finanziari netti

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

n.d. -12,9% 4,1% 7,2% 8,4% 6,6% 3,6% 2,7%

n.d. 59,3% -48,6% 8,3% 30,9% 15,1% 9,7% 7,1%

n.d. 94,2% -61,9% 6,2% 44,7% 14,4% 9,8% 7,0%

n.d. -4,59 -11,79 1,15 3,69 2,28 2,69 2,60

n.d. -7,29 -15,00 0,86 5,33 2,18 2,70 2,55

9,6% 18,8% 6,8% 7,6% 11,0% 11,6% 12,8% 13,9%

5,7% 10,6% 3,9% 4,3% 6,2% 6,6% 7,2% 7,9%

8,3% 18,5% 6,8% 6,7% 9,0% 9,6% 10,2% 10,6%

12,4% 22,7% 11,2% 11,3% 13,7% 14,7% 15,6% 16,3%

1,15 1,02 1,01 1,13 1,23 1,21 1,25 1,31

6,8% 15,7% 4,3% 5,3% 8,9% 10,0% 11,1% 12,0%

36,5% 43,0% 45,3% 39,0% 36,9% 37,1% 37,1% 37,2%

#DIV/0! 1,76 13,30 1,30 2,32 -150,98 2,39 2,07

0,0% 2,0% 4,8% 3,9% 3,8% 9,0% 4,0% 3,2%

0,82 1,01 0,93 0,96 1,03 0,97 1,04 1,15

53,5% 44,2% 50,8% 47,5% 44,7% 47,0% 44,8% 41,5%

1,15 0,79 1,03 0,91 0,81 0,89 0,81 0,71

3,74 1,92 4,48 3,71 2,67 2,64 2,29 1,94

4,11 8,81 3,66 4,79 7,35 7,88 10,19 14,27

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L’EVA tra indicatore di performance e metodo valutativo

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interno aziendale (la previsione di reddito) con una informazione che proviene dal mercato, ovvero quanto deve rendere il capitale investito nell’azienda a titolo di capitale proprio o di debito. Si ha, quindi, creazione di valore ogniqualvolta, dopo avere remunerato gli investitori per quanto da essi ritenuto congruo dato il livello di rischio, residua una “sovrareddito” noto appunto come Economic Value Added. Un EVA negativo, invece, non significa necessariamente che l’azienda è in perdita (l’esempio lo dimostra chiaramente), ma solamente che il rendimento del capitale è insufficiente e che alternativamente l’azienda deve: 1. incrementare il livello del reddito atteso con nuovi progetti capaci di creare valore; 2. ridurre a parità di reddito l’impiego di capitale (ad esempio, incrementando l’efficienza nell’utilizzo

del capitale circolante); 3. ridurre il rischio implicito nel costo del capitale (ad esempio, diversificando in business meno

volatili). L’EVA può anche essere utilizzato quale misura a posteriori della creazione di valore; tuttavia, in quel caso è necessario ricostruire nel costo del capitale le aspettative precedenti degli investitori, ovvero all’inizio del periodo da esaminare (ad esempio all’inizio dell’esercizio) e non utilizzare le aspettative correnti che evidentemente scontano informazioni e situazioni differenti. 2. L’EVA come metodo di valutazione

L’Economic Value Added risulta dal paragrafo precedente quale un indicatore importante per misurare la creazione di valore attuale e potenziale e, quindi, per dare concreta attuazione alle strategia aziendali che trovano proprio nella creazione del valore l’obiettivo fondante. Tuttavia nel corso del tempo si è venuto affermando un “metodo EVA” per la valutazione delle aziende che partendo dal significato del modello, come definito sopra, ne ha ricavato un ulteriore criterio che si aggiunge o talvolta si sostituisce a quelli più tradizionali. Secondo il metodo EVA il valore d’impresa è costituito da due componenti distinte: 1. il valore di bilancio del capitale investito; 2. il valore attuale di tutti gli EVA che l’azienda sarà in grado di generare. Poiché si segue un approccio Asset side, per pervenire al valore del capitale proprio sarà necessario sottrarre la posizione finanziaria netta al valore d’impresa. Sotto il profilo teorico, il metodo sostiene, di fatto, che se non esiste alcuna possibilità di ottenere EVA positivi futuri, ma al più essi saranno pari a zero, allora il valore d’impresa converge al valore di bilancio degli assets. Ciò equivale ad affermare che non esiste possibilità di creazione di valore e, quindi, il valore dell’impresa viene a coincidere con quello che qualunque investitore potrebbe riprodurre acquistando separatamente gli assets aziendali. Nei termini del ben noto metodo misto patrimoniale reddituale che assomiglia molto al metodo EVA (pur essendo normalmente declinato in una versione Equity side, lavorando sull’utile netto e non operativo), si potrebbe dire che non esiste sovrareddito e, quindi, l’avviamento è nullo. La necessità di incrementare il valore d’impresa rispetto a quello di bilancio degli assets risiede proprio nella presenza di un reddito non spiegato dagli assets presenti in bilancio e, quindi, generato da ulteriori risorse di natura intangibile, quali marchi o tecnologie o, più semplicemente, competenze diffuse in azienda che chiamiamo genericamente avviamento. Talvolta è oggetto di discussione sia in teoria che nella prassi la dignità del metodo EVA quale criterio autonomo per valutare un’impresa. A tale proposito si consideri il seguente esempio.

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Costo medio ponderato del capitale (WACC): 8% Conto economico Anno 0 Anno 1 EBITDA 900 900 Ammortamenti -150 -150 EBIT 750 750 Imposte -225 -225 NOPAT 525 525 Stato Patrimoniale Anno 0 Anno 1 Capitale circolante 3.000 3.000 Capitale immobilizzato 3.000 3.000 Capitale investito 6.000 6.000 EVA 45 45 CI 6.000 VA EVA 563 Valore d’impresa 6.563 I numeri riportati dipingono la tipica situazione di steady state dell’impresa, tale per cui essa è giunta ad una fase di stabilizzazione nella quale non vi è possibilità di crescita implicita negli assets, ma se l’azienda vuole crescere può farlo solamente reinvestendo parte dei propri utili. Tale situazione è ovviamente teorica, ma ci è utile per comprendere le relazioni che esistono tra il metodo EVA e un classico metodo finanziario (spesso definito DCF). Nell’esempio, il capitale investito vale 6.000 mentre l’EVA all’anno 0 e 1 è costante al valore di 45. Ipotizzando che tale valore sia ottenibile all’infinito e quindi attualizzando tale valore con la formula della rendita perpetua si ottiene un valore attuale degli EVA futuri pari a 45/8% (WACC) = 563. Ne deriva pertanto che il valore d’impresa è pari a 6.563. Se si volesse applicare con le stesse ipotesi un metodo finanziario che è oggi accreditato come il più solido criterio valutativo si dovrebbe ricostruire i flussi come di seguito: Flussi Anno 0 Anno 1 EBITDA 900 900 Var. CCC - - Capex -150 -150 Imposte -225 -225 FCFO 525 525 Valore d’impresa 6.563 Si può notare che i flussi sono costanti al valore di 525. Attualizzando 525 all’infinito al tasso dell’8% si ricava un valore d’impresa pari a 6.563 esattamente coincidente con il valore ottenuto con il metodo EVA.

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L’EVA tra indicatore di performance e metodo valutativo

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Poiché i due metodi forniscono gli stessi risultati hanno pari dignità e, quindi, possono essere utilizzati entrambi con la stessa solidità. Al di fuori della rigidità delle ipotesi dell’esempio però i due metodi non forniscono risultati coincidenti. Ciò accade tipicamente quando non si ha stabilità dei flussi ed i modelli valutativi considerano flussi variabili assunti da un business plan quale quello riportato nell’esempio al primo paragrafo. In tale situazione l’effetto delle politiche di ammortamento impatta sugli EVA (direttamente e tramite l’effetto fiscale), mentre lascia invariati i flussi. I due metodi forniscono, quindi, differenti versioni dell’evoluzione del valore d’impresa, una puramente finanziaria che considera solamente la liquidità attesa (metodo DCF) e l’altra che media un valore patrimoniale con la capacità di generare Economic Value Added e, quindi, considerando nel valore attuale solamente quella porzione di flusso che eccede il rendimento richiesto dagli investitori. In un mondo ideale i due approcci coincidono, nel mondo reale è assai opportuno che essi siano sviluppati all’interno dello stesso processo valutativo per verificarne quanto meno la convergenza essendo da escludere che possano fornire indicazioni di valore troppo lontane.

In breve: 1. L’EVA è uno strumento operativo che può essere utilizzato sia come un indicatore di

performance, attuale e potenziale, sia come un misuratore di valore che valuta la capacità di aggiungere “qualcosa” al valore di bilancio.

2. L’EVA come indicatore di performance è utilizzabile in un’ottica periodale per valutare decisioni di investimento o di acquisizione, poiché è un indicatore sintetico di creazione di valore.

3. Si ha un’EVA positivo quando il reddito operativo netto ottenuto (o che si prevede di ottenere) è maggiore di quello atteso dato il capitale investito totale e il costo del capitale misurato in ragione della rischiosità dell’impresa e delle scelte di finanziamento.

4. L’EVA come metodo di valutazione segue un approccio Asset side e perviene al valore del capitale proprio sottraendo la posizione finanziaria netta al valore d’impresa.

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ALCUNI CASI PARTICOLARI DI VALUTAZIONE D’AZIENDA

a cura del Comitato Scientifico di Euroconference

La valutazione di azienda in alcune circostanze assume carattere particolare e subisce influenze figlie unicamente della circostanza che richiede la stima. È opportuno quindi ripercorrere perlomeno alcune di queste casistiche, cercando di evidenziare quali siano gli aspetti peculiari di ognuna di loro.

1. La valutazione d’azienda nelle operazioni straordinarie

Le operazioni straordinarie diverse dalla cessione richiedono che la valutazione delle società coinvolte sia effettuata secondo quanto previsto dalle norme di legge che si preoccupano della tutela dei diritti patrimoniali dei soci/azionisti e, in particolare, di evitare che non si creino situazioni di vantaggio per le differenti categorie di essi prima e dopo l’operazione. Il metodo di riferimento è quello patrimoniale, come richiesto dalla stessa norma civilistica, normalmente applicato con evidenziazione dell’avviamento sia in senso ampio sia ristretto con valutazione degli intangibili. Il dettato normativo non deve però essere interpretato in modo eccessivamente restrittivo, le altre funzioni del valore non solo possono essere applicate ma devono fornire indicazioni convergenti con il metodo patrimoniale. 2. La fusione

Nel caso della fusione, l’art 2501-quinquies del codice civile, che si occupa della Relazione degli amministratori, prevede che tale relazione “deve indicare i criteri di determinazione del rapporto di cambio” e “devono essere segnalate eventuali difficoltà di valutazione”. L’articolo seguente (2501-sexies) dispone che “uno o più esperti per ciascuna società devono redigere una relazione sulla congruità del rapporto di cambio delle azioni o delle quote che indichi” i metodi seguiti e le difficoltà valutative. Il legislatore appare quindi particolarmente interessato a come si è svolto il processo valutativo delle società coinvolte e come esso si è tradotto nel rapporto di cambio. Come noto il rapporto di cambio rappresenta il numero delle quote od azioni che dovranno essere assegnate agli azionisti o ai soci della società incorporata (o delle società che cessano di esistere nella fusione pura) in contropartita delle azioni o quote annullate. In termini più formali, il rapporto di cambio è pari a:

BETA di taazione/quoun' di Valore

ALFA di taazione/quoun' di Valore cambio di Rapporto =

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Alcuni casi particolari di valutazione d’azienda

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dove: ALFA = società incorporata (o società che si estingue in una fusione pura BETA = società incorporante (o nuova società nella fusione pura)

La precisa indicazione normativa a tutela dei soci ha sollevato nel tempo parecchie disquisizioni in merito alle funzioni del valore da ritenersi più opportune ai fini della determinazione del rapporto di cambio. In primo luogo andrà ricordato che la valutazione non ha valore assoluto, ma relativo in quanto il rapporto di cambio è, appunto, un rapporto tra due valori. Ciò significa che le funzioni del valore, le varianti metodologiche e le ipotesi adottate devono essere quanto più possibili omogenee per tutte le società coinvolte. Il rapporto di cambio esprime la relazione esistente tra il valore delle società coinvolte, prescindendo dai benefici futuri dei quali le società potranno godere a combinazione avvenuta. Al contrario dell’acquisizione, nella valutazione di fusione non si considerano gli effetti sinergici. Nonostante a più riprese sia stata sostenuta l’ammissibilità delle funzioni del valore basate sui flussi, in presenza degli opportuni riscontri e verifiche48, è innegabile che la prassi fatichi a rinunciare alla maggiore dimostrabilità dei metodi patrimoniali, ai quali si accompagna sovente una stima autonoma dell’avviamento, spesso basata su multipli empirici applicati allo stesso modo alle società coinvolte. È importante però che a tale metodo si affianchi una valutazione basata sui flussi attesi e eventualmente una valutazione comparativa di mercato e soprattutto che sia razionale e chiaramente motivato il passaggio tra i possibili rapporti di cambio che emergono dalle funzioni di valore utilizzate e il rapporto di cambio che si presceglie. Nel caso di fusione tra società quotate è imprescindibile il riferimento ai prezzi di mercato delle due società. Infine, gli aspetti più critici da considerare nelle valutazioni di fusione sono riassumibili nei seguenti: • le azioni proprie non rientrano nel numero delle azioni rilevanti per la stima del valore per azione;• deve essere considerato l’effetto sul patrimonio di eventuali dividendi straordinari;• per le società con più categorie di azioni, normalmente si procede prima alla conversione in azioni

ordinarie e poi si procede alla determinazione del rapporto di cambio.

3. Il conferimento e le altre operazioni straordinarie

Le perizie di conferimento sono richieste ai sensi dell’art. 2343 c.c. che si riferisce ai conferimenti in natura in sede di costituzione di una nuova società per azioni (analogamente l’art. 2465 c.c per le società a responsabilità limitata), ma è da applicarsi per analogia anche ai conferimenti di aziende e di rami d’azienda. In quest’ultimo caso, sicuramente il più frequente, dopo avere dimostrato l’esistenza dei requisiti necessari ad identificare un ramo d’azienda, la perizia deve necessariamente assumere la forma di una valutazione patrimoniale, poiché è la stessa norma ad esigere che venga attribuito un valore a ciascuna delle attività e passività che costituiscono il ramo d’azienda. Il giudizio del perito deve in questi casi limitarsi a “certificare” che il valore di conferimento non è inferiore al valore attribuito al patrimonio netto. Se il conferimento riguarda diversi soggetti economici, però diventa necessario tenere conto anche della capacità di reddito del ramo e quindi stimare un avviamento (o un badwill) in via autonoma (metodo misto) o per differenza rispetto al valore del patrimonio netto rettificato. Ovviamente il

48 L.A.Bianchi, La congruità del rapporto di cambio nella fusione, Il Sole 24 Ore, Milano, 2002.

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valutatore è libero di scegliere la funzione che ritiene più opportuna, fatta salva la necessità di procedere comunque alla valutazione patrimoniale. Forme analoghe viene ad assumere la valutazione in caso di trasformazione societaria: anche in quel caso si rende necessaria una valutazione patrimoniale, ma è possibile rettificare il valore risultante applicando un avviamento o un badwill. Un ultimo caso di applicazione dei modelli alle operazioni straordinarie riguarda l’affitto d’azienda e, in particolare, la corretta determinazione del canone. Come noto, l’affitto d’azienda prelude molto spesso ad una successiva acquisizione, per cui i canoni pagati vengono a costituire un anticipo sul prezzo dell’azienda. Ciò accade, ad esempio, nel caso di imprese in crisi a tutela dell’acquirente. In tali situazioni, il problema della corretta determinazione del canone è meno rilevante, essendo di natura puramente finanziaria. Dove, invece, è ragionevole prevedere che l’azienda non verrà ceduta, ma al termine del contratto tornerà al proprietario, la determinazione del canone assume una rilevanza più critica. Poiché il dettato normativo (art. 2561 c.c.) stabilisce che la differenza tra le consistenze d’inventario tra l’inizio e la fine del contratto debbano essere regolate in denaro sulla base dei valori correnti, pare evidente che si debba valutare l’azienda oggetto d’affitto e che la valutazione sia di tipo patrimoniale. Questa considerazione è valida per il conguaglio ma non per il canone. Esso, infatti, rappresenta la contropartita che il proprietario riceve, a fronte dell’indisponibilità della propria azienda. Si costituisce quindi come un costo-opportunità per cui il proprietario deve ricevere un canone almeno pari al rendimento che avrebbe ottenuto a parità di livello di rischio. In altri termini il canone da corrispondere equivale al rendimento che il concedente avrebbe ottenuto cedendo l’azienda e reinvestendo il corrispettivo sul mercato a parità di livello di rischio. Il valore congruo del canone si ottiene moltiplicando il valore dell’azienda per il costo del capitale determinato secondo i modelli presentati in altro contributo della dispensa. Il valore dell’azienda non può configurarsi come mero valore patrimoniale ma dovrà essere rettificato da un avviamento positivo o negativo determinato per differenza rispetto al valore ottenuto applicando una funzione basata sui flussi o di tipo relativo. I passaggi del processo valutativo possono essere riassunti nei seguenti: 1. determinazione del costo del capitale proprio o del WACC a seconda dell’approccio valutativo

(equity side o asset side); 2. stima del valore dell’azienda con una funzione basata sui flussi o con il metodo misto; 3. calcolo del rendimento opportunità. 4. La valutazione nel caso di recesso del socio

Il diritto di recesso è riconosciuto, dall’art 2437 c.c. per le società per azioni (e dall’art. 2473 c.c. per le srl), al socio dissenziente in merito a specifiche delibere assembleari. L’esercizio del diritto comporta la liquidazione della quota da parte della società. L’art. 2347-ter c.c. definisce le modalità attraverso le quali deve essere determinato il valore della quota da liquidare. Esso sostiene che “il valore di liquidazione delle azioni è determinato dagli amministratori, sentito il parere del collegio sindacale e del soggetto incaricato della revisione legale dei conti, tenuto conto della consistenza patrimoniale della società e delle sue prospettive reddituali”. L’interpretazione letterale della norma porta a ritenere che il metodo misto con stima autonoma dell’avviamento sia il metodo di elezione in questo tipo di valutazioni. Nello stesso senso si dovrebbe interpretare il quarto comma dove si legge che “lo statuto può stabilire criteri diversi di determinazione del valore di liquidazione, indicando gli elementi dell'attivo e del passivo del bilancio che possono essere rettificati rispetto ai valori risultanti dal bilancio, unitamente ai criteri di rettifica, nonché altri elementi suscettibili di valutazione patrimoniale da tenere in considerazione”. Il riferimento al metodo patrimoniale è talmente puntuale da porre il problema se

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in questo contesto normativo siano accettabili altre funzioni del valore quali quelle basate sui flussi o sui multipli. A parere di chi scrive, la risposta è positiva sia perché esiste un chiaro riferimento alle prospettive reddituali sia perché è ovviamente nell’interesse del parti arrivare al miglior risultato possibile. In altri termini, in questo tipo di valutazioni il valore dovrà essere determinato sulla base di un metodo misto quale metodo principale ma dovrà essere verificata la convergenza rispetto ad un metodo DCF ed ai riscontri di mercato. 5. Le valutazioni in ottemperanza a norme fiscali

Questa tipologia di valutazioni è per sua natura molto variegata poiché risponde a finalità potenzialmente molto diverse. La principale distinzione che occorre sviluppare riguarda: • le valutazioni obbligatorie, solitamente giurate dal perito; • le valutazioni volontarie, finalizzate alla protezione in caso di accertamento fiscale successivo alla

chiusura dell’operazione. Sono tipicamente riconducibili alla prima categorie le valutazioni necessarie per la rivalutazione delle quote societarie possedute dai privati, mentre il caso più frequente di valutazioni volontarie per ragioni di protezione fiscale sono quelle volte a definire il corrispettivo in caso di cessione d’azienda per precostituire una linea di difesa nel caso di accertamento di valore ai fini dell’imposta di registro. L’art. 51 co. 1 DPR 131/86 prevede che l’imposta sia applicata sul valore venale che corrisponde ad una sorta di fair value e quindi potenzialmente diverso dal corrispettivo. Se invece il corrispettivo viene stabilito su una base valutativa, risulta molto più difficile contestarne la ragionevolezza. Indipendentemente dalle finalità specifiche, è da notare che queste tipologie di valutazione non richiedono una particolare funzione del valore ma è estremamente importante utilizzare dati di base dimostrabili e ridurre al minimo le ipotesi soggettive del valutatore. È quindi una considerazione di opportunità più che una richiesta normativa a rendere i metodi patrimoniali preferibili. È ovviamente possibile utilizzare un metodo complesso ma sono da evitare le valutazioni degli intangibili che si fondano su ipotesi a volte opinabili. 6. La valutazione nelle diverse fasi del ciclo di vita di un’impresa

Il valore di un’azienda dipende molto spesso dal valore dei flussi attesi e dal grado di rischio associato ad essi. Apparentemente può sembrare che questa relazione valga esclusivamente per le funzioni basate sui flussi, ma a ben vedere nelle valutazioni patrimoniali, il valore da attribuire alle singole attività è funzione dei flussi che saranno in grado di generare. Ciò è particolarmente evidente nei modelli per la stima degli intangibili che tengono conto del contributo incrementale al reddito d’impresa. Ad una logica simile presiede anche la determinazione dell’avviamento, sia nei metodi tradizionali (ad esempio l’UEC) sia nei metodi di tipo EVA. Tornando ai metodi patrimoniali, anche la presenza del rischio è facilmente riscontrabile. Ogni volta che si tratta di attualizzare flussi attesi, siano essi costi o margini si utilizzano dei tassi espressivi del diverso grado di rischio. Una valutazione patrimoniale con stima degli intangibili e dell’avviamento può quindi essere considerata come una somma di valori dove ciascuno di essi dipende da flussi attesi e rischiosità dei flussi espressa dal tasso di attualizzazione.

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Nei metodi di tipo EVA il legame con le funzioni basate sui flussi è ancora più evidente, poiché data la grandezza di partenza che può essere il Capitale Investito o il Patrimonio Netto, secondo l’approccio valutativo prescelto (asset side o equity side), il Market Value Added è pari a:

Si noti come l’EVA per ogni periodo è pari alla differenza tra il NOPAT e il rendimento del capitale investito misurato dal prodotto del WACC per il Capitale Investito che varia di periodo in periodo. Poiché il FCO nei modelli basati sui flussi è pari al NOPAT al netto della variazione di Capitale Investito, i fattori considerati nei due modelli sono analoghi. Il metodo dei multipli mostra un apparente distacco dai metodi analitici esprimendo un valore sintetico dell’azienda per comparazione con i prezzi desunti dal mercato. Anche in questo caso, però, i prezzi delle aziende comparabili possono essere stati determinati in modo più o meno efficiente ma sicuramente sono il risultato delle stime medie del mercato in relazione ai rendimenti attesi dato il livello di rischio. Se consideriamo valido il modello di Gordon per la determinazione del prezzo di un titolo, la rilevanza di tali aspetti è subito evidente. Il multiplo non è quindi un deus ex-machina che viene calato dall’alto per risolvere i problemi del valutatore ma un dato che emerge dalla situazione di contesto. Se le funzioni del valore tengono conto, ciascuna secondo le proprie ipotesi e metodologie applicative, degli stessi fattori rilevanti, allora il valore dell’azienda dovrebbe convergere. Soffermiamoci sulle situazioni aziendali critiche dove è più probabile che i valori determinati con modelli diversi tendano a discostarsi in maniera più significativa e richiedano alcuni aggiustamenti: • le imprese in rapida crescita; • le imprese in perdita e in fase di ristrutturazione. 7. Le imprese di rapida crescita

È piuttosto noto come i modelli che si riferiscono a realtà più consolidate scontino una certa difficoltà nella stima di valore di un’impresa in crescita. Rientrano in questa tipologia: – le aziende recentemente costituite; – le aziende operanti in settori innovativi e quindi a rapida crescita; – le aziende che, a seguito di una strategia di diversificazione, hanno investito in settori innovativi. Si ricorda come nel periodo 1999-2001, il fenomeno della cosiddetta “bolla Internet” abbia portato all’attenzione generale il problema della valutazione di aziende senza storia. Si trattava, infatti, nella maggior parte dei casi di poco più che idee imprenditoriali e abbozzi di organizzazione aziendale ma le elevatissime aspettative di crescita che il mercato scontava per tutte le attività legate a Internet portava ad attribuire valori enormi che si basavano sull’applicazione di modelli molto semplificati rispetto a quelli che abbiamo trattato in precedenza. Effettivamente la valutazione di imprese senza passato non è agevole, poiché le ipotesi che si possono articolare per il futuro non sono suffragate da alcuna evidenza che l’azienda sia effettivamente in grado di svilupparsi. In questo caso, ogni funzione del valore presenta difficoltà applicative. L’informazione patrimoniale rischia di essere assai scarna poiché non vi è ancora stata formazione di intangibili che richiedono

= +

×−=n

tt

tt

WACC

CIORWACCNOPATMVA

1 )1(

)()(

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periodi relativamente lunghi. La valutazione patrimoniale tenderebbe quindi a sottostimare le aspettative di crescita dell’azienda. Le funzioni basate sui flussi potrebbero scontrarsi con il problema non irrilevante che i flussi attesi nei periodi più prossimi siano negativi e che quindi l’orizzonte della stima debba essere protratto molto avanti nel tempo per raggiungere il periodo di equilibrio oltre quale calcolare il valore finale. Inoltre, le funzioni basate sui flussi, non considerano le differenti opzioni di crescita, ma si limitano a costruire uno scenario sulla base delle ipotesi più probabili. Questa soluzione potrebbe essere molto limitante per le aziende di recente costituzione che non hanno ancora chiaramente compreso attraverso quali fasi dovrà passare il proprio percorso di sviluppo. Una soluzione sviluppata dalla teoria per risolvere questo problema venne definita delle “opzioni reali”, poiché utilizzava i modelli teorici e gli strumenti analitici derivanti dalle opzioni finanziarie per ipotizzare diversi percorsi di crescita delle imprese. Tale metodo, pur se molto corretto dal punto di vista della razionalità, è rimasto un metodo teorico data la notevole difficoltà applicativa. La funzione del valore più frequentemente adottata per le aziende in crescita è costituita da quella relativa. Anche in questo caso però le difficoltà operative sono molteplici, poiché è molto probabile che già il MOL dell’azienda da valutare sia negativo rendendo impossibile l’applicazione del coefficiente moltiplicativo. I correttivi che più frequentemente vengono adottati sono: – l’utilizzo di un multiplo leading ad 1 o 2 anni calcolato sull’EBITDA o EBIT atteso, nell’ipotesi che

sia positivo; – l’utilizzo di un multiplo sui ricavi o su un driver del valore di tipo non economico. Tornando all’esempio della bolla Internet, non era infrequente vedere valutazioni effettuate sulla base di multipli superiori a 15 volte i ricavi attesi negli anni successivi o calcolati assumendo quale grandezza il numero di accessi alle pagine o il numero di “click”49. È evidente che tali valutazioni, per essere credibili, non possono che passare attraverso una sia pur minima verifica dei presupposti del valore e, in particolare, l’analisi della redditività attesa. Riassumendo nel caso di aziende in forte crescita, le funzioni del valore devono essere rettificate secondo quanto indicato dalla seguente tabella. I modelli di valutazione per le aziende in forte crescita

Funzione del valore Frequenza di utilizzo Modalità applicative Flussi Media Ampliamento dell’orizzonte

valutativo, utilizzo di un premio nel tasso (2-3%)

Patrimoniale Scarsa Nessuna rettifica EVA Scarsa Nessuna rettifica Multipli Elevata Multiplo leading sul MOL

atteso, Multiplo sui ricavi, o su driver del valore con analisi della redditività attesa

Quale che sia il modello utilizzato rimane l’attenzione particolare che il valutatore deve prestare alla verifica della sostenibilità futura del business per evitare di attribuire un valore ad una realtà aziendale incapace di sopravvivere.

49 Tecniche di questo tipo sono descritte in F.Perrini, e-valuation, McGraw-Hill, Milano, 1999.

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8. Le imprese in perdita o in fase di ristrutturazione

Durante il ciclo di vita di un’impresa può accadere che essa si trovi in situazioni di difficoltà, dalle quali può uscire con le proprie forze, con un aiuto esterno o non riuscirci affatto e quindi avviarsi verso la fine della propria esistenza. Il segnale più evidente di tali difficoltà è la perdita operativa. In tali situazioni, può essere spesso necessario determinare il valore dell’azienda che equivale ad esprimere un giudizio sulla capacità dell’azienda a ritornare in equilibrio economico. Ne deriva chiaramente la delicatezza della valutazione di aziende in situazione di crisi. I modelli valutativi più utilizzati in questi contesti sono quelli misti, poiché le funzioni del valore basate ed i metodi relativi sono praticamente inapplicabili, essendo l’azienda in perdita50. La determinazione del valore avviene attraverso i seguenti passaggi: 1. l’analisi delle perdite pregresse; 2. la determinazione dei risultati futuri dell’azienda; 3. la definizione del badwill da applicare. Il valutatore deve riconoscere i motivi che hanno portato allo squilibrio economico ed in particolare se essa nasce da fattori legati al settore di tipo: – permanente (calo della domanda, crescita della competitività, guerra dei prezzi, eccesso di

capacità produttiva); – transitorio (fase negativa del ciclo della domanda, incremento transitorio dei costi delle materie

prime). Nel primo caso le perdite non sono destinate a ridursi, quanto meno nel breve periodo, mentre nel secondo esistono maggiori probabilità di recupero. I motivi delle perdite possono anche trarre origine da fattori specifici all’azienda quali: – problemi di natura commerciale (deterioramento del marchio, livello qualitativo insoddisfacente

dei prodotti e simili); – problemi di natura produttiva (inefficienza/sovradimensionamento degli impianti); – problemi di natura organizzativa (inadeguatezza degli organici, scarsa motivazione del personale,

deterioramento delle relazioni sindacali); – problemi legati all’incapacità manageriale. Normalmente in questi casi è più facile intervenire con piani di ristrutturazione che, una volta individuato il problema (o i problemi), siano in grado di risolverlo. Nelle realtà aziendali in crisi, purtroppo, uno dei problemi più gravi è legato al concatenarsi dei fattori di crisi e ad un effetto trascinamento verso la fine che richiede necessariamente interventi drastici per invertire la direzione. Un secondo aspetto da analizzare è l’entità della perdita solitamente determinata in percentuale rispetto ai Ricavi netti od al Patrimonio Netto. La letteratura51 sostiene che perdite superiori al 5% del fatturato per un periodo superiore all’anno comportino bassissime probabilità di recupero successivo. È evidente che la struttura finanziaria dell’azienda può essere un fattore di accelerazione della crisi, nelle situazioni di elevato indebitamento, oppure di supporto al buon esito della ristrutturazione, in presenza di debito contenuto od addirittura di assenza di debito. Non va dimenticato che, se normalmente le crisi aziendali non traggono origine da squilibri finanziari ma da problemi operativi, la crisi è manifesta nella situazione di insolvenza, cioè l’incapacità dell’azienda di far fronte ai propri impegni. L’analisi del passato aiuta ad articolare delle stime per il futuro. In linea con gli obiettivi della stima, il primo punto da verificare è la possibilità che l’azienda torni in equilibrio e, successivamente, in quanto 50 Vedi L.Guatri, M.Bini, op.cit., pg. 617 e seguenti. 51 L.Guatri, M.Bini, op.cit., pg 619, L.Cotta Ramusino, L.Rinaldi, op.cit.

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tempo, poiché anche se teoricamente un’azienda è recuperabile, potrebbe non esserci la possibilità di disporre delle risorse per il tempo necessario. In questa fase la sensibilità e l’esperienza del valutatore è aspetto cruciale, soprattutto nella capacità di leggere attraverso i piani di ristrutturazione per individuarne fattori di debolezza e di irrealistico ottimismo. Il modello valutativo da utilizzare è quello misto con stima autonoma dell’avviamento (in questo caso del badwill). La formula che appare più corretta da utilizzare è la seguente:

Essa permette di considerare, infatti, la differenza tra R ed i1K per ciascun anno fino ad N. In merito alla durata del periodo di stima, è bene che il valutatore non si limiti ad un orizzonte di breve periodo; poiché si tratta di esprimere un giudizio circa la possibilità di sopravvivenza dell’azienda, il periodo di previsione dovrebbe estendersi almeno a 5-7 anni, pur tenendo conto delle difficoltà di previsione. Per quanto attiene invece al valore patrimoniale di partenza, il valore degli intangibili può essere considerato solo nel caso sia possibile trasferirlo senza che venga danneggiato dalla compromessa situazione aziendale. In pratica, salvo casi rari, non viene considerato, come normalmente non vengono aggiunte le rettifiche al valore dei cespiti ammortizzabili, poiché finirebbero per aumentare ulteriormente le perdite52 annullando l’effetto della rettifica. Il tasso i2 in questa fattispecie dovrebbe riflettere il rendimento di un’attività priva di rischio, poiché l’aggiunta di un premio al rischio agirebbe in senso contrario, aumentando il valore dell’azienda. La successiva tabella mostra un esempio di applicazione della metodologia valutativa. L’azienda considerata ritorna in equilibrio nel 2015 con un utile di 235 ma solo nel 2016 è in grado di generare un sovrareddito positivo. Il badwill viene calcolato utilizzando valori puntuali su un orizzonte di 7 anni ed assume un valore pari a -1.609. Il tasso di attualizzazione è pari al free-risk fino a quanto il sovrareddito è negativo.

52 Tale procedura viene solitamente definita di “rettifica controllata dei cespiti”.

= +

−+=n

tt

t

i

KiRKW

1 2

1

)1(

)(

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102

La valutazione di un’azienda in perdita con il metodo misto

In breve: 1. Nella valutazione d’azienda in ambito di fusioni, le funzioni del valore, le varianti

metodologiche e le ipotesi adottate devono essere quanto più possibili omogenee per tutte le società coinvolte.

2. Nel conferimento di ramo d’azienda, la perizia deve necessariamente assumere la forma di una valutazione patrimoniale.

3. Nella valutazione causa recesso, il metodo misto con stima autonoma dell’avviamento è preferibile.

4. Nelle valutazioni eseguite in ottemperanza a norme fiscali, è estremamente importante utilizzare dati di base dimostrabili e ridurre al minimo le ipotesi soggettive del valutatore.

5. Nel caso di aziende in forte crescita, le funzioni del valore devono essere rettificate. 6. Per la valutazione di imprese in perdita, il modello da utilizzare è quello misto con stima

autonoma del badwill.

ATTIVITA'Valore di bilancio Rettifica Valore corrente

Immobilizzazioni immateriali 350 0 350Terreni e fabbricati 0 0 0Impianti e macchinari 2.360 120 2.480Attrezzature 1.190 50 1.240Altri beni 1.070 (80) 990Immobilizzazioni materali 4.620 90 4.710Crediti circolanti 2.390 (200) 2.190Rimanenze 1.210 (600) 610Ratei e risconti attivi 60 0 60

Totale attivo 8.630 (710) 7.920

PASSIVITA'Debiti verso fornitori 1.670 0 1.670Fondo TFR 1.780 0 1.780Fondi per rischi ed oneri 430 0 430Ratei e risconti passivi 110 0 110

Totale passivo 3.990 0 3.990

PATRIMONIO NETTO RETTIFICATO 4.640 (710) 3.930

1 2 3 4 5 6 72012 2013 2014 2015 2016 2017 2018

Reddito netto normalizzato totale (763) (329) (4) 235 567 568 569Patrimonio netto rettificato 3.930i1 = i2 8,7%Tasso risk free 5,8%Reddito normale 342 342 342 342 342 342 342Reddito differenziale (1.105) (671) (346) (107) 225 226 227Fattore di attualizzazione 1,058 1,119 1,184 1,253 1,518 1,650 1,793Reddito differenziale attualizzato (1.044) (599) (292) (85) 148 137 127Valore dell'avviamento (1.609)

Valore dell'azienda 2.321

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103

Schemi operativi di sintesi

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104

VALUTAZIONE D’AZIENDA

Conferimenti azienda

Trasformazioni societarie “evolutive”Fusioni e scissioni (con disavanzo di concambio imputato a attivo)

Determinazione valore fiscale della partecipazione

Altre fattispecie societarie specifiche (recesso, quotazioni, ecc. …)

Valutazione d’azienda

VALUTAZIONI OBBLIGATORIE

Richieste da Legge per esigenze civilistiche o fiscali:↓

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________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________

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Valutazione d’azienda

105

Tecniche: operazioni finanza straordinaria, piani risanamento, M&A, …

Tutela minoranze o diligenza di amministratori, anche quando non obbligatoriaper legge (cessione di azienda infragruppo)

Conoscitive soci → piani di incentivazione dipendenti, ragioni successorie, …

Determinazione valori di bilancio → impairment test

Esecuzione “consulenze tecniche” in composizioni arbitrali e simili

Valutazione d’azienda

VALUTAZIONI VOLONTARIE

Finalità↓

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

Valutazione d’azienda

RISULTATO VALUTAZIONE

1 Caratteristiche: razionalità, dimostrabilità e stabilità

Minimizzare ogni soggettività della stima

Valori sono risultato di stime, di formule alimentate da dati storici e/o prospe ci → componente soggettiva ineludibile: utilizzo

“bussola della valutazione”

Prezzi sono invece dati di fa o → frutto negoziazione e forza contrattuale delle parti e dinamica domanda – offerta (dato

oggettivo)

2

3

4

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

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106

Valutazione d’azienda

CONCETTO DI VALORE

Valore strategico valore azienda per acquirenti che possono usufruire di sinergie, riduzione costi, efficienze, ecc.

Valore «stand alone»

valore definito su piani aziendali di singola azienda, senza sinergie esterne, apporti e costi impropri

Valore minoranze non negoziabili

Valore partecipazioni non di controllo senza mercato, né capacità di interferire su gestione e decisioni

societarie (sconto di minoranza)

Valore minoranze negoziabili

Valore partecipazioni non di controllo con mercato o capacità di interferire su gestione e decisioni societarie (ad es.: diritti particolari nelle Srl)

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

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________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

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107

LA BUSSOLA PER LA VALUTAZIONE

La bussola

PUNTI CARDINALI

1 Reddito futuro: analisi prospettive future di redditi e di generazione di cassa

Elementi patrimoniali (attività e passività): analisi perimetro patrimoniale dell’azienda, diritti e obbligazioni2

Mercato finanziario esterno: parametri di confronto e valutazione rispetto a imprese dello stesso settore3

Rischio: elementi di incertezza che gravano su prospettive di reddito futuro e crescita / conservazione valori4

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________________________________________________________________________________

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108

Conoscenza settore Individuazione «driver» di ricavi e costiElementi di rigidità della struttura aziendaleElementi di incertezzaCoerenza elaborazioni:

• interna (matematica e economico-aziendale)• storica (rispetto a passato e congiuntura)• esterna (rispetto al settore)

La bussola

REDDITO FUTUROEsecuzione “analisi fondamentale della performance dell’impresa”→ verifica della credibilità e fondatezza dei dati economici e finanziari

espressi nel piano aziendale

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

La bussola

CONFIGURAZIONE E DETERMINAZIONEREDDITO FUTURO

Ricorrente assunzione: dell’EBITDA (risultato gestione

operativa al lordo di ammortamenti)

o dell’EBIT (risultato gestione operativa al lordo solo degli oneri finanziari e tributari)

Necessità normalizzazione reddito futuro atteso: costi connessi a struttura societaria ma non a

business operativo (compensi “straordinari”ad amministratori, “non core assets”, ecc.)

Diverse modalità di contabilizzazione di alcunicosti, ricavi e investimenti

Gestione immobile d’impresa → confronto“proprietà Vs locazione”

Eliminazione costi e ricavi non ricorrenti Neutralizzazione eventuali politiche di bilancio

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La bussola per la valutazione

109

2011 2012 2013Ricavi per servizi 2.950,00 3.050,00 3.250,00 Altri ricavi 150,00 110,00 95,00

3.100,00 3.160,00 3.345,00 Costi per materie prime 350,00- 365,00- 330,00- Costi per servizi 1.850,00- 1.900,00- 1.980,00- Costo per uso beni di terzi 150,00- 160,00- 165,00- Costo del personale 430,00- 440,00- 470,00- Ammortamenti e accantonamenti 90,00- 100,00- 85,00- Oneri diversi 45,00- 75,00- 150,00- EBIT 185,00 120,00 165,00

EBIT consuntivo dell’azienda - ultimo triennio (Valori in Euro/000)

La bussola

EBIT E NORMALIZZAZIONE REDDITO

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________________________________________________________________________________

1. Compenso amministratori: Euro 50 extra non dovuti

2. Progetto speciale effettuato in via eccezionale nel 2013: spesa non ricorrentedi Euro 90

3. Ricavi per locazioni di beni “non core” esclusi da azienda: Euro 454. Assunzione prevista di n. 1 nuovo dipendente nell’area commerciale: Euro 60

• Prospettive del Business Plan:

Ipotesi incremento ricavi prossimo triennio: + 6% annuo

Ipotesi incremento costi prossimo triennio: + 4% annuo

La bussola

EBIT E NORMALIZZAZIONE REDDITOInterventi di “normalizzazione” dell’EBIT

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110

La bussola

EBIT E NORMALIZZAZIONE REDDITOEBIT normalizzato dell’azienda ultimo triennio

2011 2012 2013Ricavi per servizi 2.950,00 3.050,00 3.250,00Altri ricavi 105,00 65,00 50,00

3.055,00 3.115,00 3.300,00Costi per materie prime -350,00 -365,00 -330,00Costi per servizi -1.850,00 -1.900,00 -1.980,00Costo per uso beni di terzi -150,00 -160,00 -165,00Costo del personale -380,00 -390,00 -420,00Ammortamenti Accantonamenti -90,00 -100,00 -85,00Oneri diversi -45,00 -75,00 -60,00EBIT 190,00 125,00 260,00

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

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La bussola

EBIT E NORMALIZZAZIONE REDDITOEBIT normalizzato dell’azienda Business Plan triennale

2014 2015 2016Ricavi per servizi 3.445,00 3.651,70 3.870,80Altri ricavi 53,00 56,18 59,55

3.498,00 3.707,88 3.930,35Costi per materie prime -343,20 -356,93 -371,21Costi per servizi -2.059,20 -2.141,57 -2.227,23Costo per uso beni di terzi -171,60 -178,46 -185,60Costo del personale -436,80 -454,27 -472,44Ammortamenti Accantonamenti -88,40 -91,94 -95,61Oneri diversi -62,40 -64,90 -67,49EBIT 336,40 419,82 510,77EBIT Medio prospettico normalizzato 422,33

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La bussola per la valutazione

111

La bussola

ELEMENTI PATRIMONIALIATTIVITÀ E PASSIVITÀ

Riconciliazione valore economico complessivo azienda con valore singoli elementi attivi e passivi che la compongono

Effetti fiscalità

Individuazione e separata valutazione dei cd. “non core assets”

Determinazione “posizione finanziaria netta” (debiti finanziari al netto liquidità disponibile) → variabile chiave in metodi valutativi con stima del cd. “enterprise value” (valore impresa pari a capitale proprio + debiti finanziari

netti) prima del cd. “equity value” (valore capitale proprio)

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Descrizione Valore bilancio Valore di realizzoImmobilizzazioni ImmaterialiKnow kowCosti di ricerca e sviluppoMarchi e brevettiAltriImmobilizzazioni materialiImpianti e MacchinariImpianti genericiAttrezzatureMobili e arrediAltri

La bussola

RETTIFICHE ATTIVITÀ E PASSIVITÀ

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________________________________________________________________________________

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112

Patrimonio netto rettificatoATTIVITA' Valore di realizzoImmateriali 250,00 Immobili - Impianti, macchinari e altri 700,00 Rimanenze 230,00 Crediti 900,00 Disponibilità liquide 80,00 Totale Attività 2.160,00 PASSIVITA' Valore di stimaDebiti verso fornitori 800,00 Debiti verso banche 350,00 Debiti tributari 80,00 TFR 160,00 Altri debiti 90,00 Totale Passività 1.480,00

Patrimonio netto rettificato 680

La bussola

PATRIMONIO NETTO RETTIFICATO

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________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

La bussola

POSIZIONE FINANZIARIA NETTA (PFN)Definizione semplificata ricorrente

→ (Passività finanziarie – Liquidità disponibili a brevissimo)

Passività finanziariedebiti finanziari, debiti verso banche, prestiti

obbligazionari, debiti verso società di leasing, finanziamento del circolante (ad es.

anticipazioni Riba Sbf)

TFRinclusione nella PFN è discussa e rimandata a

negoziazione (comunque da

ritenersi opportuna)

Debiti commerciali

scadutiopportuno

includerli nella PFN

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La bussola per la valutazione

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A Cassa 10B Altre disponibilità liquidide (c/c attivi) 120C Titoli detenuti per la negoziazione 0D Liquidità (A + B + C) 130E Crediti finanziari correnti 0F Debiti finanziari correnti 250G Parte corrente indebitamento non corrente 60H Altri debiti finanziari correnti 190I Indebitamento finanziario corrente (F + G + H) 500J Indebitamento finanziario corrente netto (I - E - D) 370K Debiti bancari non correnti 0L Obbligazioni emesse 0M Altri debiti non correnti 70N Indebitamento finanziario non corrente (K + L + M) 70O Indebitamento finanziario netto (J + N) 440

La bussola

CALCOLO PFN

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La bussola

MERCATO FINANZIARIO ESTERNO

Ricerca eventuali valori espressi per l’impresa (o imprese analoghe del settore) → ambito: mercati finanziari

Individuazione dati utili per determinazione tasso di attualizzazione redditi futuri:

- tasso di interesse investimenti privi di rischio (risk free)- Differenziale rendimento atteso per investimenti in capitale di rischio

(equity risk premium)- Rischiosità associata a imprese settore di appartenenza

Previsioni esperti su evoluzione futura settore di appartenenza

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114

La bussola

RISCHIO

Riassume apprezzamento →

rischio sotteso ai flussi reddituali futuri

dell’azienda

Soggetto a inevitabile

discrezionalità

Si riflette su • individuazione orizzonte

temporale assunto come riferimento e

• fissazione tasso di attualizzazione applicato

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115

I METODI DI VALUTAZIONE

I metodi

FASI ATTIVITÀ VALUTATIVA

1 Analisi qualitativa azienda

Analisi storica azienda e riclassificazione dati contabili2

Analisi storica e prospettiva mercato di appartenenza3

Individuazione e quantificazione principali variabili economiche, finanziarie e temporali4

Elaborazione scenari futuri5

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116

AttivoPFN

EquityEnterprise

Value

Valore del debito

Equity Value

I metodi

VALORI ASSET E EQUITY SIDERisultato finale s ma → Equity Value

(valore di mercato Capitale netto: Attivo – Passivo)

Possibilità → calcolare prima il cd. Enterprise Value (valore A vo aziendale) e poi sottrarre PFN per determinare Equity Value

Coerenza “valore” - “parametro”: → con reddi netti o flussi di cassa si determina già Valore Equity; → con EBITDA/flussi di cassa operativi si ottiene

Enterprise Value e sommando la PFN si ottiene Equity Value

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I metodi

SCELTA PARAMETRI ASSET E EQUITY SIDE

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I metodi di valutazione

117

I metodi

METODO PATRIMONIALE

Basato su valutazione analitica singoli beni che compongono bilancio

Metodo “semplice” → non include immateriali

Metodo “complesso”→ include immateriali

Valutazione patrimoniale → identifica Valore azienda (W) in termini di Patrimonio netto rettificato (K), calcolato:

↓Patrimonio netto contabile (escluso utile da distribuire)

+ / - Plusvalenza (Minusvalenza) valori correnti degli attivi + / - Effetto fiscale

= Valore del Patrimonio netto rettificato (K)

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________________________________________________________________________________

I metodi

METODO REDDITUALE

Presupposto che valore azienda (W) sia espressione di una funzione del reddito→ processo di capitalizzazione del reddito atteso

W = R / i (capitalizzazione all’infinito)

Tasso di capitalizzazione (i): tasso di rendimento atteso da investimenti con simile

classe di rischio

Reddito da capitalizzare (R): Reddito Medio Prospettico

Normalizzato

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118

I metodi

METODO MISTO

Mix metodo patrimoniale e reddituale→ capitalizzazione limitata del sovrareddito

W = K + (R – i’’ K) a n¬ i’ + SA

Dove:K = Patrimonio netto rettificatoR = Reddito Medio Prospettico RettificatoI’’ = Tasso di rendimento normale di settoren = Numero di anni di attualizzazione della rendita (da 3 a max 10)I’ = Tasso di attualizzazione del sovraredditoSA = Surplus Assets (cespiti non strumentali)

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

I metodi

METODO FINANZIARIO (DCF)

Presupposto che valore azienda (W) sia funzione dei flussi di cassa prospettici azienda e del Valore Terminale

Dove:F (t) = Flussi finanziari “unlevered” annualiTV = Valore residuo (Terminal Value) attività operativa azienda a fine ultimo

periodo “n” consideratoWacc = Costo medio capitale investitoPfn = Posizione Finanziaria Netta alla data valutazione

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

Pfnwacc

TV

wacc

FW

n

n

tt

t

)(1)(11

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I metodi di valutazione

119

I metodi

VARIABILI METODO FINANZIARIO1. Determinazione Flussi di cassa prospettici

2. Stima Costo del capitale (Formula del Wacc)

3. Stima “Terminal Value” (TV): valore al termine della proiezione, calcolato conformula di rendita perpetua o metodo multipli

4. Attualizzazione Flussi di cassa e Terminal Value

N.b.: se prezzo di acquisto inferiore a Valore determinato con DCF investimento è conveniente (in teoria…)

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________________________________________________________________________________

I metodi

CALCOLO TASSO ATTUALIZZAZIONEBeta 1,01 a

Risk equity (rm-rf) 6,50% b

Risk free rate 2,90% c

Spread it risk 2,00% d

Ke 11,47% e=(c+d)+(b*a)

Debt risk premium 2,50% f

Tax 32% g

Kd before tax 7,40% h=c+d+f

Kd after tax 5,03% i=h*(1-g)

Normalized Debt/EV 30% l

Normalized Equity/EV 70% m=100%-l

WACC 9,54% n=(l*i)+(m*e)

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120

I metodi

CARATTERISTICHE E LIMITI DCF

Sovrastima Valore rispetto ad altri metodi (esempio quello dei Multipli) → a ualizza potenzialità future azienda

Fortemente influenzato da valore del “Terminal Value” su cui vi è maggiore alea

Alto grado di soggettività (→ piccole variazioni tasso di attualizzazione o di crescita del business producono variazioni esponenziali di valore)

Utile per calcolare valore massimo teorico di riferimento e non valore puntuale

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Variabili guida più comuni sono

EBITDA o EBIT

I metodi

METODO DEI MULTIPLIMetodo sia “indiretto” (controllo valutazione eseguita con altri metodi) che

“diretto” (valutazione vera e propria – cd. “quick and dirty”)basato su scelta di

Variabile guida Moltiplicatore

W = Variabile guida x Multiplo (+ / - Pfn)

Multiplo dipende da settore di attività

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I metodi di valutazione

121

I metodi

METODO DEI MULTIPLI DIRETTO

1. Scelta e calcolo Variabile guida:

approccio “Asset side” (EBITDA, EBIT, Vendite)/“Equity side” (rapporto P/E)

2. Scelta imprese rappresentative campione e relativi prezzi

(utilizzo software specializzati)

3. Calcolo Multiplo → u lizzo media o mediana del campione

4. Determinazione Valore finale(somma PFN quando si usa approccio “Asset side”)

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I metodi

METODO DEI MULTIPLI INDIRETTO

1. Determinazione Valore (Enterprise Value/Equity Value, a seconda parametroutilizzato) → altro metodo di valutazione

2. Scelta Variabile guida:

approccio “Asset side” (EBITDA, EBIT, Vendite)/“Equity side” (rapporto P/E)

3. Calcolo Multiplo implicito: rapporto fra Valore (1) e Variabile guida (2)

4. Confronto tra Multiplo implicito e Multipli aziende comparabili:

misurazione scostamento

5. Giudizio congruità metodo valutazione principale utilizzato

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122

I metodi

LIMITI METODO DEI MULTIPLI

Tendenza a premiare imprese che non investono e non spendono in R&S

Mul pli → influenza da andamento quotazioni di medio –grandi imprese presenti nei mercati regolamentati

Tendenza a premiare imprese poco performan →favorito effetto di appiattimento della valutazione

1

2

3

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Società sottoposta a valutazione:a) MOL 2013 = 1.498b) assenza di debiti finanziaric) non quotata

Società comparabili(multiplo WASSET/MOL ):

Acquisizioni comparabili(multiplo WASSET/MOL):

Sconto illiquidità

I metodi

RISULTATO METODO DEI MULTIPLI

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1.49811,50 17.727EQUITYW

1.4989,1313.677EQUITYW

17.727(114,5%) 15.155EQUITYW

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I metodi di valutazione

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Euro/000 2008 2009 2010 2011 2012 2013Ricavi 2.000 2.200 2.350 2.700 3.200 3.600

EBITDA 600 630 640 780 880 1.100Ebitda Margin 0 0 0 0 0 0

Reddito (Perdita) 180 220 250 340 410 590Net Profit Margin 0 0 0 0 0 0Patrimonio netto 120 340 590 930 850 1.290

Pfn -90 -220 -320 -600 -710 -900

VALUTAZIONE 2013

Multiplo 6

EBITDA 1.100

PFN (900)

EV 6.600

Equity Value 7.500

I metodi

SINTESI METODO DEI MULTIPLI

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124

CASO: VALUTAZIONE DI UNA MICROIMPRESA

Applicazione quattro metodi “semplificati” alternativi:1. metodo patrimoniale complesso con valutazione insegna (intangibile)2. metodo reddituale3. metodo valore medio4. metodo misto con stima autonoma avviamento

MICROIMPRESA DI SERVIZI

Aspetti rilevanti nella valutazione:1.insegna

2.flussi di ricavi e incassi prospettici3.dotazione patrimoniale

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Caso: valutazione di una microimpresa

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AttivitàImmobilizzazioni Immateriali- Avviamento residuo 250.000,00 Immobilizzazioni materiali- Impianti e attrezzature 305.000,00 Attivo circolante- Rimanenze 15.000,00 - Crediti 6.000,00 Disponibilità liquide- Cassa e conti correnti attivi 12.000,00 Totale Attivo (A) 588.000,00

PassivitàDebiti verso fornitori 105.000,00 Debiti verso banche 145.000,00 Totale Passivo (B) 250.000,00

Patrimonio netto contabile (A - B) 338.000,00

Fatturato2011 265.000,00 2012 278.000,00 2013 258.000,00

Fatturato medio 267.000,00

SITUAZIONE PATRIMONIALE ECONOMICA

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Valore dell'AziendaPatrimonio netto contabile 338.000,00 Rettifiche patrimoniali 80.000,00- Insegna 43.000,00 Valore dell'Azienda 301.000,00

1.PATRIMONIALE COMPLESSO CON INSEGNA Valutazione insegna: stima basata su attualizzazione royalties che

sarebbero astrattamente corrisposte da soggetto terzo del settore perla licenza d’uso insegna “Alfa”→ Stima royalty: 2,5%

Orizzonte temporale: 10 anni Tasso di attualizzazione: 9%

↓Valore insegna (arrotondato) di Euro 43.000,00

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126

Reddito2011 41.500,00 2012 49.000,00 2013 42.500,00

Reddito medio 44.333,33

2.REDDITUALE

Si ha riguardo a flussi reddituali prospettici Aspetti considerati:

i) Precedenti cessioni dell’esercizio commerciale;ii) Anzianità dell’esercizio commerciale;iii) Posizionamento urbanistico

Tempo: rendita perpetua

↓Valore Azienda (arrotondato) di Euro 493.000

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Valore Azienda = (PN rettificato * 1) + ((Reddito medio / i) – PN rettificato) * 0,50

3.VALORE MEDIO

È “metodo misto” che ha riguardo sia a componente patrimoniale che aquella reddituale

Componente reddituale serve come base per stima autonomaAvviamento

“Peso” a entrambe le componenti. Ad esempio:i. “Patrimoniale”: peso pari a 1ii. “Reddituale”: peso pari a 0,5

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Caso: valutazione di una microimpresa

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Metodo Valore medio

Patrimonio netto rettificato 258.000,00 Reddito medio 44.333,33 (Reddito medio / i) 492.592,59 Peso del PN rettificato 1Penso del Reddito Medio 0,5

Valore Azienda 375.296,30

3.VALORE MEDIO

↓Valore Azienda (arrotondato) di Euro 375.000

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4.MISTO CON AVVIAMENTO

Ha riguardo sia alla componente patrimoniale che a quella reddituale Componente reddituale serve come base per la stima autonoma

Avviamento Avviamento → attualizzazione del sovrareddito ad un tasso (i) per un

periodo finito (n)

Valore Azienda = (PN rettificato) + (Reddito – PN rettificato * i) * a _n_i

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Metodo Misto stima autonoma Avviamento

Patrimonio netto rettificato 258.000,00 Reddito medio 44.333,33 Tasso di interesse 0,09 Periodi 5,00 (PN rettificato * i) 23.220,00 Sovrareddito 21.113,33 Attualizzazione Sovrareddito 82.123,50

Valore Azienda 340.123,50

4.MISTO CON AVVIAMENTO

↓Valore Azienda (arrotondato) di Euro 340.000

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Metodo Patrimoniale complesso con valutazione autonoma dell'insegna

301.000,00

Metodo Reddituale 493.000,00 Metodo del Valore Medio 375.000,00 Metodo Misto con determinazione autonoma dell'avviamento

340.000,00

Valore Medio 377.250,00

SINTESI

↓Valore Azienda (arrotondato) di Euro 380.000,00

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129

RUOLO DEL PROFESSIONISTA NELLA VALUTAZIONE E NEGOZIAZIONE

Il professionista

STRATEGIE DI NEGOZIAZIONE

Comprendere meccanismi di valutazione principi comportamento della controparte (industriale o finanziaria?) ragioni investimento

1

Attenzione a normalizzazione EBITDA (o parametro scelto per valutazione)

Condivisione Multiplo applicato

Fissazione chiara PFN e suoi elementi costitutivi

2

3

4

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130

Il professionista

GARANZIEAttenzione a garanzie venditore

su dati Patrimonio netto su PFN su flussi e dati reddituali

→ impa variazioni reddituali sono moltiplicate per il Multiplo (!)

1

Chiara definizione responsabilità termini temporali gestione fatti sopravvenuti

Chiara definizione franchigie limiti massimali garanzie del venditore

2

3

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Cliente vende 30% della sua società. Parametri di valutazione sono:

EBITDA: 5.600Multiplo: 7,5Enterprise Value: 42.000PFN: 11.500Equity Value: 30.500Quota 30%: 10.167

1. Nella negoziazione EBITDA ridotto a 5.000: impatto sul prezzo?

EBITDA: 5.000Enterprise Value: 37.500Equity Value: 26.000Quota 30%: 8.667

2. Nella negoziazione EBITDA viene confermato ma PFN peggiora di 2.000: impatto su prezzo?

PFN: 13.500Equity Value: 28.500Quota 30%: 9.500

3. Parametri confermati, ma DD evidenzia minore magazzinoper 1.000: impatto sul prezzo?

Rettifiche di PN: (1.000)Equity Value: 29.500Quota 30%: 9.833

Il professionista

EFFETTI NEGOZIAZIONE PREZZO

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Ruolo del professionista nella valutazione e negoziazione

131

Il professionista

ATTENZIONI PROFESSIONISTA

Nell’assistere venditore→ tendere a condivisione dei flussi attesi, per evitare impatti su riduzione

negoziale del Multiplo applicato

Nell’assistere compratore→ massima a enzione e rigidità su garanzie contrattuali

Attenzione a → ges one Due diligence ed a sua trasposizione contrattuale

Ges one chiara → formule di eventuale Earn out

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132

VALUTAZIONE DELLE PARTECIPAZIONI

Tecnica valutativa è quella tipica: reddituale, patrimoniale, mista, finanziaria, etc.

kEP 0

0 =reddito

rischio

Le partecipazioni

VALORE

Valore partecipazione origine da valore attività di impresa

e del relativo capitale economico

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Valutazione delle partecipazioni

133

Valore fondamentale (intrinseco)Prezzo fattibile (sconti/premi)

Prezzo negoziato (condizioni negoziali)

Le partecipazioni

DAL CAPITALE ALLA PARTECIPAZIONE

Processo logico deve tenere conto che proprietari delle partecipazioni (azioni o quote) hanno:

diverse possibilità diverse aspettative

in base a relativa posizionevanno distinti:

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________________________________________________________________________________

Valore fondamentale delle azioni di maggioranza 10+ premio puro di controllo 4 = Prezzo delle azioni di maggioranza 14

Valore fondamentale delle azioni di minoranza 8- sconto puro di minoranza -2 = Prezzo delle azioni di minoranza 6

Le partecipazioni

DAL CAPITALE ALLA PARTECIPAZIONE

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Le partecipazioni

VALORE FONDAMENTALE

Valore economico «as is» (valore azioni di minoranza in società bloccata)+ miglioramenti performance realizzabili con trasferimento controllo

10010

= Valore economico «stand alone» 110

+ sinergie universali divisibili 20

= Valore economico «en bloc» (val. azioni minoranza in società contendibile) 130

+ sinergie universali indivisibili 40

= Valore economico per generico acquirente finanziario 170

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________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

Valore economico azioni di minoranza in società a proprietà bloccata

49100 = 100 x = 49

↓Valore economico per azione di minoranza

in società a proprietà bloccata

100100

= = 1

Le partecipazioni

PREZZO FATTIBILE

A

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Valutazione delle partecipazioni

135

Valore economico azioni di minoranza in società a proprietà contendibile

49100

= 130 x = 63,7

↓Valore economico per azione di minoranza

in società a proprietà contendibile 130100

= = 1,3

Le partecipazioni

PREZZO FATTIBILE

B

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________________________________________________________________________________

________________________________________________________________________________

Nuisance value pro-rata

49100

(10+20) x = 14,7

↓Nuisance value per azione di minoranza

in società a proprietà bloccata

14,749

= = 0,3

Le partecipazioni

PREZZO FATTIBILE

C

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136

↓Valore economico per azione

del pacchetto di controllo

130 40100 51 + = 2,08

Valore economico pro-rata pacchetto di controllo

51100 = 130 x + 40 = 106,3

Le partecipazioni

PREZZO FATTIBILE

D

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________________________________________________________________________________

Premi e sconti legati al diritto di controllo Sconti legati al diritto di liquidità

Premi di controllo (e sconto per mancanza di controllo) Sconto per mancanza di liquidità

Sconto per l'assenza del diritto di voto Sconto per la mancanza di negoziabilità

Sconto per l'assenza di persone chiave Sconto per la negoziazione di blocchi

Sconto per l'eccessiva diversificazione

Dal valore fondamentale

al prezzo fattibilee successivamente a quello negoziato,

che emerge dal confronto negoziale particolare

Le partecipazioniPREZZO FATTIBILE - NEGOZIATO

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Valutazione delle partecipazioni

137

Le partecipazioni

PREZZO FATTIBILE GRUPPO FAMILIARE

Valore economico «as is» (valore azioni di minoranza in società bloccata)+ miglioramenti performance realizzabili con trasferimento controllo

10010

= Valore economico «stand alone» 110

+ sinergie universali divisibili 20

= Valore economico «en bloc» (val. azioni minoranza in società contendibile) 130

+ sinergie universali indivisibili 40

= Valore economico per generico acquirente finanziario→ Numero azioni complessive

170100

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PREZZO FATTIBILE GRUPPO FAMILIARE

Le partecipazioni

- Il valore economico di una partecipazione di minoranza di un'impresa a proprietà bloccata corrispondente al 49% del capitale è:

Valore economico "as is" X percentuale di interessenza = 100 X 49% = 49- Il valore economico di una partecipazione di maggioranza corrispondente al 51% del capitale è:

Valore economico "en bloc" X percentuale di interessenza + sinergie universali indivisibili = 130 X 51% + 40 = 106,4

- L'incremento del valore economico della partecipazione divenuta del 51%, corrisponde a:57,3 (= 106,3 - 49)

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