11
Φιλική Συναυλία Studies in Mediterranean Archaeology for Mario Benzi BAR International Series 2460 2013 Edited by Giampaolo Graziadio Riccardo Guglielmino Valeria Lenuzza Salvatore Vitale

2013StrategieMuseo Musealizzazione Archeologica

Embed Size (px)

DESCRIPTION

Texto sobre musealização da arqueologia.

Citation preview

Φιλική Συναυλία Studies in Mediterranean

Archaeology for Mario Benzi

BAR International Series 24602013

Edited by

Giampaolo GraziadioRiccardo Guglielmino

Valeria LenuzzaSalvatore Vitale

Published by

ArchaeopressPublishers of British Archaeological ReportsGordon House276 Banbury RoadOxford OX2 [email protected]

BAR 2460

Φιλική Συναυλία: Studies in Mediterranean Archaeology for Mario Benzi

© Archaeopress and the individual authors 2013

ISBN 978 1 4073 1068 8

Articles written in English by non-native speakers were edited for language by Teresa Hancock Vitale

Printed in England by Information Press, Oxford

All BAR titles are available from:

Hadrian Books Ltd122 Banbury RoadOxfordOX2 7BPEnglandwww.hadrianbooks.co.uk

The current BAR catalogue with details of all titles in print, prices and means of payment is available free from Hadrian Books or may be downloaded from www.archaeopress.com

433

STRATEGIE PER UN MUSEO ‘DIDATTICO’. FORME POSSIBILI DI MUSEALIZZAZIONE ARCHEOLOGICA

FULVIA DONATI

ABSTRACT sTraTegIes for a ‘dIdaCTIC’ MuseuM: possIble approaChes To The exposITIon of anTIquITIes. The aim of this paper is to define the ‘didactic’ role of the Archaeological Museum: our focus is addressed towards an aspect of primary importance that is too often neglected, that the structure of the museum should involve a real ‘teaching’ task and the whole complex must be thought of as a living environment able to lead visitors through well organized, original, and easily accessible paths. The Museum itself should enumerate among its first goals that of reaching the ears of the visiting people in a straightforward manner, as if it could really speak to the public with a crystal clear voice.This task can be accomplished with a well planned mixture of sections, paths and preparations, all joined in a multimedia environment capable of emphasizing the beauty of the arts with entertaining possibilities.We should reconsider the traditional containers purchased in catalogues and at exhibition waysides in favor of new architectural means like glass walls and other creative solutions able to nullify the distance between the spectacle and the spectators (e.g. MAEC Museum at Cortona).Nowadays the archaeological museum is no longer a comprehensive collection of a whole century, but can be created around a precise topic or even an isolated object; even better is when installations can take place in proximity to archeological ruins.

KEYWORDS Archaeological museum, archaeological areas, ruins, museology

Attività per più versi importante e non prescindibile nella divulgazione dei contenuti del museo - che costituisce uno dei compiti primari di tale istituzione - è l’organizzazione di sezioni didattiche che lavorano in seno al museo elaborando tecniche e percorsi tarati sulle varie fasce di utenza.1 Sui servizi educativi nel campo dei Beni Culturali, indirizzati per lo più a un pubblico in età scolare, attivati e potenziati presso le Soprintendenze e i maggiori Musei Statali, soprattutto in seguito all’Accordo quadro tra i competenti Ministeri, datato ormai al 1998, che oggi versano come tutto il settore in gravi difficoltà, esiste una ricca esperienza sul campo supportata da un’ampia letteratura (Jalla 1999: 18-22; Mascheroni 1999: 33; Rossini 1999; Pinna 2000: 79-83; Xanthoudaki 2000: 10-13; Gabrielli 2001: 105-111, 141-146; Antinucci 2004; Hooper-Greenhill 2004: 51-77; Gellereau 2005; Prete 2005; Antinucci 2006: 163-173; Cataldo Paraventi 2007, 196-238; Maggi 2008). D’altra parte essere guidati nelle sale di un museo o all’interno di un’area archeologica da operatori che rendono più facile e interattivo l’approccio alla visita (detti perciò anche facilitatori), ha costituito almeno una volta un’esperienza comune e godibile per tutti.

Ma quello che interessa portare qui all’attenzione, risalendo più a monte del processo, è piuttosto la necessità, non di rado disattesa, che sia lo stesso museo a porsi come dovere primario quello di ‘parlare’ al pubblico, cioè comunicare in modo accessibile e non banale, fine nelle forme in cui è stato concepito e organizzato. Ciò riguarda innanzitutto una chiara articolazione delle sezioni in cui

1  Il presente contributo costituisce una rielaborazione ampliata e aggiornata della comunicazione presentata al Convegno ‘Il Museo incontra il pubblico: Museologia e didattica’, organizzato dall’Ente Provincia di Livorno, in data 18 dicembre 2008.

è strutturato, attraverso i suoi percorsi logici e fisici fino agli apparati allestitivi e ai mezzi informativi veri e propri a cui è affidata la comunicazione, in una parola nel modo di proporsi, narrare i suoi contenuti ed esibire la propria immagine.

Per didattica non si intende certo la riduzione in pillole a pochi concetti elementari dei vari aspetti della storia e della vita degli uomini del passato che i manufatti, esposti in ‘distanti’ vetrine, ci documentano; né siamo interessati a un ruolo meramente (e pedantemente) educativo/didascalico, somministrato dall’alto a dei soggetti da (in)formare, anche perché - per chiunque ne abbia esperienza - è evidente come anche un pubblico di bambini di livello scolare primario sia sempre molto esigente e mai passivo. L’obiettivo che vorremmo raggiungere ha piuttosto a che fare con l’esperienza della riflessione e interpretazione del dato storico e umano che emerge dal fenomeno illustrato, reso comprensibile, godibile e vantaggioso anche per chi è più ‘attrezzato’ culturalmente (se si esce dal museo così come ci si è entrati, a cosa serve visitare i musei?); a ciò si accompagna, non secondariamente, l’impegno nel suscitare interesse e attrattiva non trascurando i mezzi del mettere in scena (= allestire) in grado di coniugare insieme bellezza e spettacolo, senza per questo rinunciare al rigore della verità documentale e storica.

Se nel pubblico che visita i musei - anche quello italiano che i musei stranieri li va a vedere, mentre è meno presente sul suolo nazionale - abbiamo generalmente a che fare con persone mediamente colte e informate, ciò avviene grazie a una buona formazione scolastica, per quanto sempre più carente a questo riguardo, e ai canali di informazione che pure non mancano, sebbene persistano gli stereotipi più banali. In base a questi l’interesse viene

434

Fulvia Donati

accentrato esclusivamente sull’evento, ad esempio la scoperta archeologica o l’inaugurazione di una mostra di grosso richiamo, anche quando d’occasione (Melucco Vaccaro 1989: 274-300; Strinati 2009: 43-46), mentre piuttosto monocordi sono gli argomenti usati e basati su luoghi comuni duri da contrastare, specie per quanto riguarda il mondo antico, come si può constatare in più casi. Prevale ancora quasi ovunque l’idea dell’archeologia come disvelamento di tesori legati al mondo sotterraneo e dell’oltretomba, mistero da decifrare, accanto al fascino di capolavori artistici d’eccezione, tornati di nuovo a fare da fondale allo svolgersi di meeting internazionali o chiamati a fungere da marchio di qualità del ‘made in Italy’, per volontà del politico di turno. Questa visione viene del resto assecondata da esposizioni costruite solo su percezioni emozionali, o attrezzate per le visite in notturno, molto richieste in alcuni siti archeologici italiani importanti, come ad esempio Paestum o la villa romana di Oplontis, che pure mancano a tutt’oggi di fondamentali sussidi informativi; sulla stessa linea si pongono eventi espositivi dove l’oggetto archeologico appare come una sorta di epifania celeste entro sale completamente oscurate, pratica non sempre giustificata dal messaggio da trasmettere. Erede di una lunga serie di mostre - dall’esposizione dei Ritratti dal Fayum degli anni ‘80 (Misteriosi volti dall’Egitto, Roma, Palazzo Ruspoli 1997-98), alla più recente Mostra dei Guerrieri di terracotta (Cina. Celeste Impero, Roma Scuderie del Quirinale 2007), il cui allestimento è stato curato dal regista teatrale Luca Ronconi - l’idea si è propagata anche alle realizzazioni museali permanenti, fra cui una delle più recenti e apprezzate è il riallestimento dello Statuario del Museo di Antichità Egizie di Torino avvenuto in occasione delle Olimpiadi invernali (2006), dove professionalità diverse da quelle di competenza tradizionale del museo sono state chiamate a rinnovare la veste di alcune sale oggi indubbiamente molto più dotate di ‘appeal’ (Ferretti 2006; Roccati 2009, 62-63; Vassilika 2009, 79). Nelle parole dello scenografo cinematografico Dante Ferretti, incaricato di questa musealizzazione, è chiaramente manifestata l’intenzione di: ‘realizzare il mistero, mettere il buio e creare con la luce per ottenere ‘un allestimento un po’ onirico, una cosa un po’ sognata…’.

Le imponenti sculture in basalto e diorite si trovano ora immerse in un ambiente oscurato a dominante di colore rosso, dilatato da superfici a specchio e con suggestivi giochi di luci e riflessi che sfruttano i più moderni effetti di rendering, senza alcuna preoccupazione di riannodare quel legame col proprio contesto fisico e cronologico di appartenenza (articolo di D. Acacia Peyrani, Tutti a vedere l’Egizio bello come un sogno, La Stampa, Torino 19.02.2006) [Figura 1]. Accorgimenti che vengono puntualmente descritti dallo stesso Ferretti: ‘Ho scurito le pareti, coperto le finestre, abbassato il soffitto e messo un pavimento che richiamasse la sabbia d’Egitto… ho messo degli specchi che riflettessero le statue illuminate come una presenza…’.

A questa visione è venuta a contrapporsi l’immagine tradizionale, polverosa e assai meno allettante, del museo

archeologico come serie indistinta di umili oggetti se non di frammenti che non suscitano alcuna attrazione, pensiero riflesso in molti dei giudizi entusiastici, reperibili in rete, dei visitatori del nuovo allestimento di Torino (es.: ‘Il Museo Egizio di Torino ha cambiato pelle: i preziosi reperti non sono più allineati in squallidi stanzoni ma sono valorizzati dal bellissimo allestimento dell’architetto Dante Ferretti’; www.aton-ra.com/egitto/viaggi-egitto/racconti-viaggi-egitto/123, 15 luglio 2009. Nonostante il successo di pubblico, non sono mancate le critiche degli addetti ai lavori all’istallazione, fondate, oltre che sugli alti costi assorbiti, sull’aspetto dissonante assunto dallo Statuario rispetto al resto del Museo, tuttora in corso di completo rinnovamento.

Se è vero - come si sostiene da sempre (già Argan 1955) - che le mostre temporanee siano più stimolanti e riescano a comunicare meglio, grazie al fattore eccezionalità dell’evento in rapporto alla caducità spazio/temporale, da cui il museo avrebbe molto da imparare (ma anche molti musei delle Scienze offrono buoni modelli!), è frequente anche il caso di mostre assai pubblicizzate, ma affidate a un messaggio povero di contenuti, esclusivamente basato su una pretesa eccellenza artistica del patrimonio nazionale: potrei citare fra queste la mostra recente, allestita nello splendido MAEC di Cortona (v. più avanti) ‘I Tesori dell’Ermitage’ (2008) il cui allestimento appare freddo e distante e i pur bellissimi manufatti etruschi non denunciano alcun filo conduttore fra loro, nessun rapporto territoriale o storico - del resto difficile a ricostruire - sono lì in terra d’Etruria, ma potrebbero essere in qualunque altro posto (appunto a San Pietroburgo, ma anche a Dubai…). Dello stesso segno mi pare la numerosa serie di mostre dedicate alla pittura parietale romana (ad esempio la Mostra ‘Rosso Pompeiano’, Roma. Palazzo Massimo alle Terme 2008; e ‘Roma. La Pittura di un impero’, Roma, Scuderie del Quirinale 2009-2010) che inanellano esemplari antologici della pittura antica per lo più provenienti dai centri vesuviani, agevolmente visibili in luogo non troppo distante.

Dopo il fortunato circuito di mostre coordinate nel cosiddetto ‘Progetto Etruschi’ promosso negli anni Ottanta dalla Regione Toscana (Zanni 2007), che vedeva nel Museo Archeologico di Firenze l’evento centrale (Cristofani 1985) collegato ad altre mostre satelliti su singoli temi specifici, si è tentato di rinnovare più volte l’esperimento fino all’attuale iniziativa (dicembre 2010) molto più modesta ‘Terre degli Etruschi’, definita - ricalcando una formula già adottata per il museo - quale ‘mostra diffusa regionale’ dedicata agli aspetti del banchetto e del vino. Essa ha luogo in cinque Musei Archeologici della regione ed è presente anche in altre sedi in versione multimediale con proiezione di DVD sulle tematiche della cultura e della civiltà etrusca, realizzato da un regista grossetano (Francesco Falaschi). Al di là di iniziative di segno diverso, non si può non rilevare come il linguaggio utilizzato negli spazi pubblicitari e informativi riservati all’iniziativa (www.terredeglietruschi.it) faccia ancora ricorso alle trite formule che vendono il prodotto culturale

435

Strategie per un muSeo ‘didattico’. Forme poSSibili di muSealizzazione archeologica

in quanto finalizzato alla ‘promozione del turismo italiano nel mondo’, mentre quello degli Etruschi rimane un ‘popolo misterioso e affascinante che raggiunse gradi di civiltà davvero unici’.

Si può desumere da qui come l’archeologia mostri comunque di avere ancora grandi capacità di attrazione sul pubblico, anche se sembrano oggi ‘saturati’ i filoni tematici più richiesti, come quelli sopra ricordati,2 e da più parti si inviti autorevolmente a una autoregolamentazione in materia di grandi eventi, dispersivi di risorse e spesso di scarso valore conoscitivo (Bernini, Mercalli e Talini 2009).

Ma, al di là di tali aspetti legati all’effimero, quali strategie di maggiore equilibrio possiamo dunque mettere in campo nell’esibizione del museo permanente?

Se fattori importanti risultano quindi una bella scenografia, unitamente a una maggiore facilità di approccio verso quanto viene esibito, resa possibile dall’illustrazione di un singolo aspetto, o classe di manufatti, o periodo storico, ciò ha portato oggi il museo archeologico, non più accentratore di opere selezionate, a divenire una realtà più piccola, più

2  I dati statistici rilevati di recente sembrano d’altra parte documentare una flessione nel gradimento delle mostre archeologiche a vantaggio delle corrispondenti esposizioni di argomento storico artistico (Berlingò 2007: 47-50).

radicata nel territorio, perché legata all’illustrazione di un unico contesto, se non addirittura museo di un solo oggetto (Donati 2007).

In tal senso è indispensabile che il museo ritorni consapevolmente sul luogo d’origine, recuperando il filo di una narrazione che dovrebbe essere presupposto al suo esistere, fondata su ogni materiale documentario reperibile, siano essi fonti scritte, testimonianze materiali, dati storici del rinvenimento e della storia degli studi. Tale lavoro di indagine preliminare è presupposto essenziale alla costruzione del discorso da illustrare e non può essere demandato ad altri che all’archeologo: il museo che ho in mente infatti non è un museo ‘chiavi in mano’ all’architetto progettista che studia le soluzioni dell’allestimento ‘a prescindere’, ma un organismo studiato caso per caso in rapporto al contenuto da esporre, alla storia da narrare nello spazio disponibile reso - esso - flessibile alle esigenze di quello.

Ciò spiega perché le esposizioni meglio riuscite, di contenuto archeologico, siano sempre frutto di un lavoro condotto ‘a più mani’ che hanno dietro una motivazione occasionata da uno scavo recente, da una (ri)scoperta, dall’occasione di un restauro o dal risultato di uno studio scientifico che produca nuovi dati o una rilettura del contesto indagato, oggetto di una pubblicazione da tradurre poi in opera divulgativa (vedi ad esempio la piccola

436

Fulvia Donati

Mostra ‘I segni del potere’, Roma, Museo di Palazzo Massimo alle Terme 28 febbraio 2007). Ciò evidenzia tra l’altro come una accorta politica sia quella che prevede la promozione di piccole mostre nel museo che presentano sezioni di materiali nuovamente acquisiti o già presenti nelle collezioni ma poco fruiti, da riversare poi in assetto permanente all’interno di quello.

Indispensabile in ogni caso, anche nelle forme museali più semplici, la messa in opera di strutture espositive progettate appositamente in funzione dell’ambiente, sfruttandone le caratteristiche architettoniche e dei contenuti espositivi, evitando l’utilizzo di vetrine o contenitori modulari in serie acquistati su catalogo (un tanto al metro!); ancora meglio laddove si è arrivati al superamento dei tradizionali spazi contenitori (= vetrine), e del rapporto tradizionale: spettatore (fuori), e materiali (dentro), ottenendo quando possibile un coinvolgimento più diretto del soggetto che visita il museo. Ciò corrisponde del resto a quanto ci indica un’indagine conoscitiva condotta di recente (1996-2006) dal Servizio II della Direzione Generale per l’Archeologia su esperienze museali che presentano aspetti innovativi circa forme di allestimento e comunicazione (Noè, Molle e Melillo 2007: 25-31).

La flessibilità dello spazio può essere ottenuta con la creazione di pareti o interpareti, in materiale opaco (es. cartongesso) o trasparente (cristallo), multifunzionali

attrezzate per gli scopi espositivi, per creare setti che contengano singoli oggetti isolati dal resto su cui creare un focus (es. esposizione dell’anfora argentea di Porto Baratti: Piombino, Museo del territorio di Populonia), o quali superfici su cui scrivere testi e applicare illustrazioni e supporti didascalici che fuoriescano dallo schema e dalle dimensioni imposti dai tradizionali pannelli. Efficaci sono gli esempi realizzati per il riallestimento del Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano, nella sezione protostorica curata dall’architetto Giovanni Bulian dove vetrine allungate ‘a treno’ appositamente studiate per gli spazi stretti degli ambulacri superiori del chiostro sono seguite da interpareti bianche su cui corrono diagrammi cronologici e tipologici di riferimento alle culture rappresentate. Da segnalare poi il recentissimo rifacimento del Museo dell’Accademia di Cortona (Bruschetti e Vaccari 2007; Longobardi, Mandara e Pavese 2008), dove sono state del tutto eliminate le tradizionali vetrine o teche, rimpiazzate da diaframmi trasparenti in vetro a tutta altezza che segnano un’invisibile barriera fra gli oggetti dell’esposizione e lo spazio percorribile delle sale [Figura 2]; all’osmosi fra i due ambienti assegnati contribuisce l’illuminazione distribuita su più fonti di luce e un gioco di rimandi e immagini-guida che scaturiscono da fonti proiettanti sia all’interno della vetrina che all’esterno (uso di circa 20 proiettori che proiettano nelle pareti di fronte o a soffitto immagini o scritte relative alle tematiche illustrate nelle diverse sezioni del percorso).

437

Strategie per un muSeo ‘didattico’. Forme poSSibili di muSealizzazione archeologica

Ma anche il piccolo Museo Archeologico di Peccioli, nel territorio della Val d’Era (Pisa), illustra bene come il museo (Bruni 2008) possa adattarsi agli spazi sfruttandone a proprio vantaggio le particolarità, in questo caso utilizzando le profonde nicchie nella muratura del Palazzo Fondi Rustici in funzione di contenitori espositivi a cui l’illuminazione conferisce una certa atmosfera, e si segnala anche per chiarezza efficace la ricostruzione di un ambiente modesto della casa romana come la cantina dei dolii [Figura 3].

In altri casi il contesto è riproposto entro sale del museo appositamente progettate con ricollocazioni spaziali credibili, fra cui si può citare ad esempio il Museo dei Campi Flegrei al Castello di Baia con le belle ricostruzioni contestuali del Tempietto degli Augustali di Miseno e del triclinio-Ninfeo di Punta Epitaffio, e meno efficacemente nelle nuove sale riallestite delle sezioni di Cuma e Pozzuoli (Zevi 2008; Miniero 2008; Zevi 2010).

In casi particolarmente felici il museo nasce insieme o addirittura sopra i resti archeologici superando così quella secolare divisione fra edificio museale, luogo privilegiato della conservazione ma astratto perché troppo depurato, e scavo archeologico identificato con la rovina come luogo primordiale, destinato all’abbandono e all’incuria, incomprensibile ai più. Quando tale soluzione è possibile, e intelligentemente adottata, il museo per così dire ‘si libera’ delle complesse strategie didattiche e di ricontestualizzazione che hanno occupato circa un secolo

438

Fulvia Donati

gli addetti ai lavori nell’elaborare modi e tecniche via via disponibili (gigantografie, modelli plastici e ricostruzioni tridimensionali). Il messaggio appare evidente in alcune condizioni di musealizzazione archeologica recenti e decisamente godibili, com’è il caso delle domus dell’Ortaglia che estende (2003-2005) in un’ala del Museo della Città di Brescia (complesso di Santa Giulia e San Salvatore) la presentazione delle strutture di due domus tardo-repubblicane imperiali mantenute e offerte alla visita in situ senza manomissioni o intrusioni (Morandini e Rossi 2005; Tortelli e Frassoni 2009).

Criterio cui anche realtà museali più piccole recentemente create aderiscono: si veda il piccolo Museo affacciato sul lago di Massaciuccoli (LU), allestito nel 2009 in forma quasi ‘aerea’ di padiglione trasparente in acciaio e vetro [Figura 4] che si appoggia, con sistema di piattaforma e passerelle in tavolato ligneo, sui resti archeologici della mansio romana di via Pietra a Padule (Anichini et al. 2006: 550-556).

Come il messaggio sia oggi cambiato secondo le nuove sensibilità e tendenze museografiche lo avvertiamo anche quando, nell’esteso circuito dei Musei Vaticani, la visita alle prestigiose collezioni storiche si accompagna a settori di nuova concezione come la musealizzazione (ancora non fruibile a tutti) della necropoli di Santa Rosa, recentemente scoperta nel sottosuolo in seguito ai lavori giubilari per l’autoparco e allestita lasciando in posto i monumenti sepolcrali e i contesti funerari più modesti con quel che resta delle suppellettili di arredo, orientati secondo i percorsi viari originari. La visione dall’alto su passerelle

sospese a cui sono ancorati brevi pannelli esplicativi a leggio [Figura 5], permette un’immersione diretta densa di suggestioni che illustra molto più efficacemente di quanto non facciano nelle sale tradizionali le teorie di sarcofagi e rilievi funerari delle collezioni ex lateranensi, la testimonianza archeologica e umana del sito individuato.

Ciò rende chiari i motivi dell’apprezzamento del Parco Archeologico nel quale si individua oggi una delle forme ottimali di musealizzazione che consentono di mantenere in posto le strutture archeologiche monumentali senza ‘deportare’ i suoi pezzi migliori.

Quanto ai criteri della comunicazione, come risulta sempre dall’indagine sopra citata (Noè, Molle e Melillo 2007), essa deve essere in grado di coniugare verità e rigore con il coinvolgimento emotivo del pubblico che, come è noto, può essere facilitato se associato ad altri fattori percettivi dell’attenzione, come colore - forma - materiale - immagine. Tali marcatori potranno contrassegnare diverse sezioni logiche del percorso espositivo aiutandone la memorizzazione in un sistema ramificato o a scatole cinesi.

Nei limiti del possibile, il museo dovrebbe essere in grado di ‘parlare da solo’, affidando a notazioni scritte aggiuntive solo il commento generale e quello più capillare all’esposizione, collocate in comode posizioni per la lettura: da parte loro gli oggetti si raccontano nel modo in cui ne può essere integrata la forma, o in cui vengono esposti rispettandone la funzione originaria, con suggerimenti grafici, plastici o fai da te, il tutto in

439

Strategie per un muSeo ‘didattico’. Forme poSSibili di muSealizzazione archeologica

gradevolezza e bellezza degli apparati. Può succedere al contrario che un bell’esemplare di cratere attico a figure rosse, attribuito al ceramista greco Euphrònios, venga ‘sminuito’ da una cattiva esposizione in una saletta spoglia e mal illuminata del Museo C. Mecenate di Arezzo, dove le informazioni relative sono relegate, in un denso testo scritto in formato editoriale e privo di immagini, in un tradizionale pannello a parete [Figura 6].

Meglio laddove ad esempio le didascalie entro vetrina associano illustrazioni grafiche che mostrano la possibile funzione o impiego degli oggetti esposti, ad esempio la donna o l’uomo con gli ornamenti della propria veste, il guerriero, l’animale con i suoi finimenti, come avviene nel Museo della Crypta Balbi a Roma, dove diventa più facile suscitare interesse anche per aspetti più minuti della vita quotidiana; mentre grandi tavole con disegni ricostruttivi realizzati con grafica accattivante che mostrano ambientazione di scene di vita e di attività artigianali o produttive esentano dall’utilizzo di lunghi testi scritti.

Strategie possibili sono ad esempio il vaso posto su piatto ruotante che ‘viene incontro’ allo spettatore e consente di apprezzare lo sviluppo della decorazione dipinta sul corpo di questo, riprodotto graficamente in modulo ingrandito sul fondale, oppure il suggerimento della forma intera del reperto frammentario con sagoma bi/tridimensionale in materiale semiopaco o trasparente, o il tracciato lineare del profilo di forme ceramiche sul piano di appoggio delle stesse; ma i pezzi si raccontano anche grazie alle loro

associazioni materiali che ne mostrano la corretta funzione o il loro ambiente di ritrovamento (vedi la ‘vetrina acquario’ appositamente realizzata per l’esposizione in vasca di acqua desalinizzata del tesoretto monetale di Rimigliano, San Vincenzo, Livorno, nel Museo del Territorio di Populonia a Piombino); ma i manufatti antichi possono anche essere riprodotti in copie ‘di sacrificio’ da diffondere liberamente nelle sale del museo per un rapporto più ‘amichevole’ e ravvicinato, ma molti altri esempi potrebbero essere citati.

Interessanti e di grande valore didattico, utilmente integrabili anche all’interno di reti o sistemi museali più complessi, sono poi altre forme di museo senza oggetti originali o i cosiddetti musei virtuali, realizzati per mezzo di immagini, mezzo vocale e sonoro e con l’ausilio di copie dei manufatti archeologici: un caso interessante, anche se già mostra segnali di criticità, è quello del ‘Museo Narrante dell’Heraion alla foce del Sele’, in località Capaccio, Paestum (SA), che racconta un secolo di ricerche archeologiche presso il santuario di Hera Argiva i cui resti sorgono in prossimità del museo ospitato all’interno di un antico edificio rustico ristrutturato (Masseria Procuriali). Qui sono adottate interessanti soluzioni e tecniche innovative con istallazioni a carattere multisensoriale e multimediale, che seppure privo di materiali originali, rendono il percorso ricco di sensazioni sonore e visive, stimolate dalla riproduzione di ambienti e di manufatti, ad esempio repliche tridimensionali delle metope templari appese al soffitto che raccontano in prima persona i miti,

440

Fulvia Donati

le storie e le interpretazioni degli studiosi sui complessi figurati antichi (Cipriani 2009).

Con i nuovi mezzi disponibili, dal classico audiovisivo solitamente allestito in salette separate, all’inizio o alla fine della sequenza di visita all’interno del museo, si può passare a introdurre dentro le sale del museo schermi al plasma o proiezioni di immagini in movimento che interagiscono con quanto esposto in vetrina o nei classici pannelli (cf. sistemi con tecnologie 3D presentati alla Borsa del Turismo Mediterraneo di Paestum, novembre 2009, tecnologie interattive e realtà virtuali applicate all’archeologia), che arricchiscono e abbelliscono l’esposizione con effetti di luci e colori che meglio si rapportano ad un pubblico oggi abituato a tale mezzo (vedi Museo dei Fori Imperiali ai Mercati di Traiano a Roma e Museo Archeologico dell’Accademia Etrusca di Cortona); a ciò è possibile aggiungere piste sonore che accompagnano le sezioni espositive, oltre che eventualmente sensazioni olfattive evocative di certi ambienti, quasi un ‘Museo che respira’ secondo la definizione adottata nell’esperienza realizzata (luglio 2010) da Renzo Piano a San Francisco in ottica ecosostenibile con criteri a risparmio energetico, ma questo è un altro museo…

BIBlIogrAFIA

Anichini, F., Bonamici, M., Campetti, S., Donati, F., Fabiani, F., Gattiglia, G., Gualandi M.L., Montemagni, S., Paribeni, E. 2006. Musei archeologici della Versilia. Una rete possibile? Notiziario della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana 2, 543-556.

Antinucci, F. 2004. Comunicare nel museo, Roma-Bari.

Antinucci, F. 2006. La fruizione (dei beni culturali) dal punto di vista del fruitore. Per un programma di ricerca e sviluppo. Workshop di Archeologia classica 3, 163-173.

Argan, G.C. 1955. Problemi di museografia, Casabella continuità 207, 64-68.

Balbi De Caro, S. e Reggiani, A.M. (a cura di) 2007. Guida ai Musei e ai Siti Archeologici Statali, Quaderni MiDA, Roma.

Berlingò, I. 2007. Archeologia: perché no?, in Balbi De Caro e Reggiani 2007, 47-50.

Bernini, R., Mercalli, M. e Talini, N. (a cura di) 2009, Effetto Mostre. L’organizzazione delle mostre in Italia e all’estero, Firenze.

Bruni, S. (a cura di) 2008. Museo Archeologico di Peccioli, Pisa.

Bruschetti, P. e Vaccari, M.C. 2007. Museo dell’Accademia Etrusca e della città di Cortona, Cortona.

Cataldo Paraventi, L. 2007. Il Museo oggi. Linee guida per una museologia contemporanea, Milano. Cipriani, M. 2009. Nuove tecnologie e pubblico: alcune

considerazioni sul sito di Paestum. In La Regina 2009, 95-101.

Cristofani, M. (a cura di) 1985. Civiltà degli Etruschi (Catalogo della Mostra, Firenze), Milano.

Donati, F. 2007. Esperienze di musealizzazione archeologica: nuove forme dall’anno Duemila. In Balbi De Caro e Reggiani 2007, 62-72.

Ferretti, D. 2006. Museo delle Antichità Egizie, Torino. In Vassilika, E. (a cura di), Riflessi di pietra. L’antico Egitto illuminato da Dante Ferretti, Milano.

Gabrielli, C. 2001. Apprendere con il Museo, Milano.

Gellereau, M. 2005. Les mises en scène de la visite guide: communication et médiation, Paris.

Hooper-Greenhill, E. 2004. Musei: didattica, apprendimento ed edutainment. In P.A. Valentino, e L.M.R. Delli Quadri (a cura di), 2004. Cultura in gioco. Le nuove frontiere di musei, didattica e industria culturale nell’era dell’interattività, 51-77, Firenze-Milano.

Jallà, D. 1999. Standard di qualità e di risorse per i musei. Nuova Museologia 1, 18-22.

La Regina, A. 2009, L’archeologia e il suo pubblico, Firenze.

Longobardi, G., Mandara, A. e Pavese, F. 2008. Il vetro e la pietra. Un museo a Cortona, Roma.

Maggi, S. (a cura di) 2008. Educare all’antico. Esperienze, metodi, prospettive, Roma. Mascheroni, S. 1999. Verso un sistema nazionale di educazione al patrimonio culturale. Nuova Museologia 1, 33.

Melucco Vaccaro, A. 1989. Archeologia e restauro, Milano.

Miniero, P. 2008, I percorsi topografici e tematici. In Zevi et al. (a cura di) 2008, 25-30.

Morandini, F. e Rossi, F. (a cura di) 2005. Domus romane dallo scavo alla valorizzazione, Milano.

Noè, M., Molle, C. e Melillo, I. 2007. Allestimenti museali e comunicazione: alcune recenti esperienze. In Balbi De Caro e Reggiani 2007, 25-31.

Pinna, G. 2000. La funzione educativa del museo. In Pinna e Sutera (a cura di), Per una nuova museologia, Milano, 79-83. Prete, C. 2005. Aperto al pubblico. Comunicazione e e servizi educativi nei musei, Firenze.

Roccati, A. 2009. Appunti sulle funzioni e finalità scientifiche di un museo d’egittologia e sui modi di proseguirle. In La Regina 2009, 57-70.

Rossini, O. (a cura di) 1999. Museologia e Didattica museale, Roma.

Strinati, C. 2009. Utilità o danno delle mostre? La sostenibilità delle esposizioni nella politica culturale dei musei. In Bernini, Mercalli e Talini 2009, 43-46.

441

Strategie per un muSeo ‘didattico’. Forme poSSibili di muSealizzazione archeologica

Tortelli, G. e Frassoni, R. 2009. Santa Giulia di Brescia. Dalle domus romane al museo della città, Milano.

Vassilika, E. 2009. Il caso del museo egizio di Torino come esempio per la rifunzionalizzazione di un museo statale. In La Regina 2009, 71-84.

Xanthoudaki, M. 2000. La visita guidata nei musei: da monologo a metodologia di apprendimento. Nuova Museologia 2, 10-13.

Zanni, L. 2007. La gestione del patrimonio archeologico tra passato e futuro: valutazione del progetto etruschi, Firenze.

Zevi, F. 2008. Il progetto del Museo dei Campi Flegrei nel Castello di Baia. In Zevi, Demma, Nuzzo, Rescigno, Valeri (a cura di) 2008, 20-24.

Zevi, F. 2010, Il nuovo museo del Castello di Baia. Introduzione: dall’Antiquario Flegreo al Castello di Baia. MEFRA 122, 2, 339-344.

Zevi, F., Demma F., Nuzzo, E., Rescigno, C. e Valeri, C. (a cura di) 2008. Museo archeologico dei Campi flegrei. Catalogo generale, Napoli.