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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI Ver. 01 CAP. 19 -TRIBOLOGIA Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633. G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale Politecnico di Milano CAPITOLO 19 19 TRIBOLOGIA Sinossi a tribologia è la scienza e la tecnologia dell’attrito, usura e lubrificazione. Il presente capitolo descrive quegli aspetti della tribologia che sono rilevanti per i processi produttivi e per l’uso in servizio dei manufatti. Prima di tutto verranno dati alcuni cenni relativamente alle superfici, alla loro struttura e rugosità. Poi verranno illustrati i problemi relativi all’attrito ed all’usura ed il modo con cui essi sono influenzati dalle variabili dei materiali e dei processi, come la natura dei materiali coinvolti, le condizioni delle superfici, gli sforzi di contatto, le velocità e le temperature. La comprensione di tali correlazioni è necessaria per una scelta corretta del materiale degli utensili e degli stampi, come pure dei fluidi di lubrificazione per un determinato processo produttivo. L’impatto economico dell’usura diventa evidente considerando che nei soli USA, il costo per la sostituzione di componenti usurati supera i 100 miliardi di dollari all’anno. Nel settore aerospaziale, stante gli stringenti requisiti di affidabilità e sicurezza, l’incidenza relativa di tale costo è ancor maggiore. In questo capitolo saranno altresì trattati gli aspetti fondamentali dei fluidi di lubrificazione, senza trascurare i problemi sanitari connessi con il loro uso e smaltimento. Infine il problema tribologico verrà contestualizzato in tre casi caratteristici delle costruzioni aerospaziali: i motori, le trasmissioni ad ingranaggi e l’ambiente in cui operano i veicoli spaziali. 19.1 Superfici e superfici costituiscono il confine esterno di ogni manufatto. Il progettista definisce le dimensioni dei manufatti mettendone in relazione le superfici. Queste sono però superfici nominali, che vengono rappresentate da linee nei disegni tecnici. Le superfici non sono però geometricamente perfette e la loro effettiva morfologia dipende dalla tecnologia con cui sono state prodotte. Lo stato delle superfici condiziona numerose proprietà: precisione sicurezza attrito ed erosione fatica e tenacità alla cricca resistenza alla corrosione possibilità di assemblaggio conducibilità termica/elettrica; estetica costo. La tecnologia delle superfici attiene a diversi aspetti: struttura l’analisi microscopica della superficie di un metallo mostra la presenza di diversi strati (cfr. Figura 19.1): L L

CAPITOLO19 TRIBOLOGIA Sinossi L a tribologia è la scienza e la tecnologia dell’attrito, usura e lubrificazione. Il presente capitolo descrive quegli aspetti della tribologia che

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TECNOLOGIE E MATERIALI AEROSPAZIALI – Ver. 01 CAP. 19 -TRIBOLOGIA

Materiale didattico per uso personale degli studenti. Non è consentito l’uso di questo materiale a scopo di lucro. E’ vietato utilizzare dati, informazioni e immagini presenti nel testo senza

autorizzazione. Copyright Dipartimento Ingegneria Aerospaziale - Legge Italiana sul Copyright 22.04.1941 n. 633.

G. Sala, L. Di Landro, A. Airoldi, P. Bettini 1 Dipartimento di Ingegneria Aerospaziale – Politecnico di Milano

CAPITOLO

19

19 TRIBOLOGIA

Sinossi

a tribologia è la scienza e la tecnologia dell’attrito,

usura e lubrificazione. Il presente capitolo

descrive quegli aspetti della tribologia che sono

rilevanti per i processi produttivi e per l’uso in servizio

dei manufatti. Prima di tutto verranno dati alcuni cenni

relativamente alle superfici, alla loro struttura e

rugosità. Poi verranno illustrati i problemi relativi

all’attrito ed all’usura ed il modo con cui essi sono

influenzati dalle variabili dei materiali e dei processi,

come la natura dei materiali coinvolti, le condizioni

delle superfici, gli sforzi di contatto, le velocità e le

temperature. La comprensione di tali correlazioni è

necessaria per una scelta corretta del materiale degli

utensili e degli stampi, come pure dei fluidi di

lubrificazione per un determinato processo produttivo.

L’impatto economico dell’usura diventa evidente

considerando che nei soli USA, il costo per la

sostituzione di componenti usurati supera i 100

miliardi di dollari all’anno. Nel settore aerospaziale,

stante gli stringenti requisiti di affidabilità e sicurezza,

l’incidenza relativa di tale costo è ancor maggiore. In

questo capitolo saranno altresì trattati gli aspetti

fondamentali dei fluidi di lubrificazione, senza

trascurare i problemi sanitari connessi con il loro uso e

smaltimento. Infine il problema tribologico verrà

contestualizzato in tre casi caratteristici delle

costruzioni aerospaziali: i motori, le trasmissioni ad

ingranaggi e l’ambiente in cui operano i veicoli spaziali.

19.1 Superfici

e superfici costituiscono il confine esterno di ogni

manufatto. Il progettista definisce le dimensioni dei

manufatti mettendone in relazione le superfici. Queste

sono però superfici nominali, che vengono rappresentate

da linee nei disegni tecnici. Le superfici non sono però

geometricamente perfette e la loro effettiva morfologia

dipende dalla tecnologia con cui sono state prodotte. Lo

stato delle superfici condiziona numerose proprietà:

precisione

sicurezza

attrito ed erosione

fatica e tenacità alla cricca

resistenza alla corrosione

possibilità di assemblaggio

conducibilità termica/elettrica;

estetica

costo.

La tecnologia delle superfici attiene a diversi aspetti:

struttura – l’analisi microscopica della superficie di un

metallo mostra la presenza di diversi strati (cfr. Figura

19.1):

L L

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il substrato, che costituisce il volume interno;

lo strato superficiale incrudito, la cui struttura

dipende dalla tecnologia di lavorazione;

uno strato di ossido (eventuale);

uno strato di gas adsorbiti (eventuale);

uno strato di contaminanti (eventuale).

Figura 19.1 - Rappresentazione microscopica

schematica della struttura superficiale di un metallo

Perciò la superficie ha caratteristiche molto diverse da

quelle del volume interno del materiale1. Tipicamente

la maggior durezza e abrasività influisce sull’attrito, il

rateo di erosione, le modalità di lubrificazione, nonchè

sulle tecniche di protezione superficiale (cfr. Cap.20).

integrità – descrive i difetti superficiali che

influiscono sulla funzionalità del componente. Essi

possono derivare dalla natura originaria del materiale,

essere intrinseci al processo produttivo o imputabili a

errori tecnologici. Tra i più comuni vengono di solito

annoverati:

cricche

crateri (avvallamenti estesi e poco profondi)

ripiegature (dette anche incollaggi)

zone termicamente alterate

inclusioni non metalliche

attacchi chimici intergranulari

trasformazioni metallurgiche

pitting (avvallamenti piccoli e profondi)

deformazioni plastiche

sforzi residui di origine termoelastica

depositi di particelle metalliche ri-solidificate

texture – è un termine non facilmente traducibile, che

sintetizza tutte le deviazioni sistematiche e

randomatiche della superficie reale dalla superficie

teorica ideale. Essa comprende quattro grandezze,

illustrate in Figura 19.2:

1 Per esempio gli ossidi sono quasi sempre molto più duri del materiale d’origine. Il rapporto tra le durezze dell’ossido e del

metallo vale rispettivamente: 90 per lo stagno, 70 per l’alluminio, 20

per il piombo 2 per il nickel, 1.6 per il rame, 0.6 per il tantalio, 0.3 per il molibdeno.

Figura 19.2 - Difetti, direzionalità, ondulazione, rugosità

superficiali

difetti: irregolarità occasionali (vedi sopra);

direzionalità o lay (cfr. Figura 19.3): orientazione

preferenziale della texture superficiale, dovuta al

tipo dell’utensile da taglio utilizzato;

ondulazione: irregolarità di lungo periodo, dovuta a

deformazione dell’utensile, vibrazioni o variazioni

termiche;

rugosità: irregolarità di corto periodo, di solito

sovrapposta all’ondulazione e dovuta alla natura

del materiale ed al tipo di processo produttivo.

Figura 19.3 – Orientazione preferenziale della texture

superficiale, in funzione dell’utensile utilizzato

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Figura 19.4 - Rugosità

rugosità – facendo riferimento alla Figura 19.4, la

rugosità si definisce come la media delle deviazioni

verticali dalla superficie nominale rispetto ad una certa

base di misura. Può essere utilizzata la media

aritmetica (AA), basata sui valori assoluti delle

deviazioni, espressa come:

Ra = (1/Lm)|y(x)|dx (integrato da 0 a Lm)

oppure:

Ra = (1/n)i=1 |yi| (sommato da 1 a n)

dove:

Ra = media aritmetica della rugosità

y = deviazioni verticali

Lm = base di misura

In alternativa può essere utilizzata la media quadratica

(RMS), che è la radice quadrata della media dei

quadrati delle deviazioni sulla base di misura, espressa

come:

Rq = [(1/Lm)y2(x)dx]

1/2 (integrato da 0 a Lm)

oppure:

Rq = [(1/n)i=1 yi2]

1/2 (sommato da 1 a n)

In alternativa, può essere utilizzata anche la rugosità

massima Rt, definita come la distanza tra il picco più alto e

la valle più profonda. Inoltre, esiste una relazione tra Ra e

Rq, come mostrato nella Tabella 19.1 seguente:

Tabella 19.1 - Relazione tra Ra e Rq per varie lavorazioni

Lavorazione Rq/Ra

Tornitura 1.1 Fresatura 1.1

Rettifica 1.2

Lappatura 1.4

relazione con i requisiti e con le tecniche produttive – i

requisiti in termini di rugosità per le tipiche applicazioni

ingegneristiche possono variare anche di due ordini di

grandezza, come esemplificato nella Tabella 19.2.

D’altra parte, i processi produttivi determinano finitura e

integrità superficiale. Alcuni processi sono intrinsecamente

in grado di fornire finiture migliori di altre. In generale, i

costi di processo crescono con il crescere dei requisiti di

finitura superficiale, in quanto sono richieste lavorazioni

aggiuntive e tempi-ciclo più lunghi. La Tabella 19.3

riassume i valori di rugosità superficiale per i principali

processi tecnologici.

Tabella 19.2 - Rugosità tipiche di alcune applicazioni

ingegneristiche

Applicazione Rugosità [m]

Dischi frizione 3.2 Tamburi freno 1.6

Supporti albero a gomiti 0.32

Sfere cuscinetti volventi 0.025

Tabella 19.3 - Rugosità tipiche di alcuni processi tecnologici

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Il compito del progettista tecnologo è perciò quello di

soddisfare i requisiti simili a quelli riportati in Tabella

19.2 scegliendo l’opportuno processo tecnologico,

riportato in Tabella 19.3, ottimizzando nel contempo il

costo produttivo.

19.2 Attrito

‘attrito è definito come la resistenza al moto

relativo tra due corpi in contatto, sotto l’azione di

un carico normale. Esso gioca un ruolo importante nei

processi produttivi a causa del moto relativo e delle

forze che sono sempre presenti sugli utensili, sugli

stampi e sui pezzi in lavorazione. L’attrito dissipa

energia, in genere sotto forma di calore, che può

influenzare negativamente il processo. Inoltre, siccome

l’attrito impedisce il libero movimento delle

interfacce, esso può anche influenzare

significativamente la deformazione ed il flusso dei

materiali durante la lavorazione. D’altra parte, l’attrito

non è sempre indesiderabile: per esempio, senza

l’attrito, non sarebbe possibile laminare i metalli,

staffare i pezzi su una macchina utensile o fissare una

punta a un mandrino. La teoria dell’attrito si fonda

sulla teoria dell’adesione, la quale si basa

sull’osservazione che due superfici pulite ed asciutte,

indipendentemente dalla loro rugosità, si toccano

solamente in corrispondenza di una ridotta frazione

della loro superficie di contatto apparente (cfr. Figura

19.5).

Figura 19.5 - Contatto tra due superfici reali. Il

rapporto tra le superfici di contatto apparente e reale

può essere di 104-105

In tale condizione, la forza normale N è supportata

solo dalle minuscole asperità: gli sforzi in

corrispondenza di esse sono perciò molto elevati. Si

verifica quindi una deformazione plastica e le asperità

generano delle micro-saldature. Lo scorrimento tra due

corpi che hanno una interfaccia è possibile allorché

viene applicata una forza tangenziale: questa è la forza

necessaria per rompere a taglio le micro-saldature ed è

chiamata forza d’attrito F. Il rapporto tra la forza

d’attrito e la forza normale F/N è il coefficiente

d’attrito . Oltre alla forza necessaria per rompere a

taglio le micro-saldature, può altresì essere presente

anche una forza di incisione, nel caso in cui una delle

due superfici incida l’altra. Tale meccanismo può

contribuire significativamente all’attrito interfacciale, in

quanto causa la rimozione di materiale e la generazione di

minuscoli trucioli. In dipendenza dei diversi materiali e

processi produttivi i coefficienti d’attrito possono variare

significativamente, come mostrato in Tabella 19.4.

Tabella 19.4 - Coefficienti d’attrito durante i principali

processi di lavorazione dei metalli

Quasi tutta l’energia dissipata in attrito viene convertita in

calore (solo una piccola frazione viene immagazzinata

sotto forma di energia di deformazione plastica), alzando

così la temperatura all’interfaccia. La temperatura

aumenta all’aumentare dell’attrito e della velocità relativa,

mentre si riduce all’aumentare della conduttività termica e

del calore specifico dei materiali affacciati. Essa può

diventare così alta da rammollire o addirittura fondere le

interfacce, provocando modificazioni micro-strutturali. La

temperatura può inoltre influire sulla viscosità e su altre

proprietà dei lubrificanti, i quali vengono degradati,

diventando meno efficienti e causando danni superficiali.

Sebbene la loro resistenza sia bassa al confronto di quella

dei metalli, i polimeri sono in genere caratterizzati da

bassi coefficienti d’attrito superficiale. Ciò li rende

preferibili ai metalli per realizzare supporti, ingranaggi e

guarnizioni: i polimeri vengono talvolta definiti materiali

auto-lubrificanti. Gli stessi fattori coinvolti nell’attrito e

nell’usura dei metalli sono presenti anche nei polimeri. Il

componente d’attrito per incisione negli elastomeri e nei

polimeri termoplastici riveste un ruolo fondamentale in

virtù del loro tipico comportamento viscoelastico e della

conseguente perdita isteretica. Un aspetto importante nelle

applicazioni dei polimeri è costituito dall’effetto

dell’aumento della temperatura all’interfaccia a causa

dell’attrito. I polimeri termoplastici perdono la resistenza

e rammolliscono all’aumentare della temperatura. Essi

sono affetti da bassa conducibilità termica e basso punto

di fusione, cosicché, se l’aumento di temperatura non

viene controllato, si possono verificare degrado termico e

deformazioni permanenti. L’attrito tra polimeri e metalli è

simile a quello tra metalli e metalli. Il ben noto basso

attrito del PTFE (Teflon) viene attribuito alla sua struttura

molecolare, che non reagisce con i metalli, cosicché

l’adesione è scarsa e l’attrito è basso. Il comportamento ad

attrito delle ceramiche in questo momento viene indagato

approfonditamente. I meccanismi sono simili a quelli che

presiedono all’attrito nei metalli: l’adesione e l’incisione

contribuiscono in maniera preponderante.

L

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L’attrito può essere limitato tramite l’opportuna

selezione di materiali a basso attrito, come i carburi e

le ceramiche, e attraverso l’uso di film e rivestimenti

superficiali (cfr. Cap.20). I lubrificanti (come gli olii)

o i film solidi (come la grafite) interpongono un film

aderente tra l’utensile, l’attrezzo ed il pezzo in

lavorazione. Il film minimizza l’adesione e

l’interazione di una superficie con l’altra, riducendone

così l’attrito. L’attrito può altresì essere grandemente

ridotto sottoponendo l’interfaccia tra utensile/pezzo o

tra stampo/pezzo a vibrazioni ultrasonore (circa

20kHz). Esse separano periodicamente le superfici,

permettendo al lubrificante di fluire liberamente tra

esse.

Il coefficiente d’attrito viene di solito determinato

sperimentalmente, sia durante il processo produttivo,

sia nel corso di esperimenti di laboratorio in scala

ridotta. Le tecniche usate per calcolare il coefficiente

d’attrito di solito comportano la misura della forza e

delle variazioni dimensionali del provino. I test di

laboratorio sono usati estensivamente (stante le

difficoltà di effettuare misure sugli impianti produttivi

reali e gli alti costi derivanti dal fermo-impianto),

sebbene talvolta essi non riproducano le esatte

condizioni del processo tecnologico, quali: a) le

dimensioni del pezzo in lavorazione e le sue

condizioni superficiali; b) l’entità delle forze in gioco;

c) le velocità operative; d) la temperatura. In ogni

caso, essi possono essere utili per confrontare materiali

o lubrificanti diversi.

Figura 19.6 - Curve per la determinazione dell’attrito

tramite il compression ring test

Il test più comunemente adottato è il ring compression

test, dove un anello viene deformato plasticamente tra due

superfici piane: poiché il suo spessore si riduce, esso si

espande radialmente verso l’esterno. Se l’attrito alla

interfaccia è nullo, il diametro interno e quello esterno si

espandono come se appartenessero ad un disco solido.

Con l’aumentare dell’attrito, il diametro interno si riduce

perché la riduzione del diametro interno comporta un’area

di contatto minore (perciò minore energia d’attrito)

rispetto ad un eguale aumento del diametro esterno. Per

una data riduzione di spessore, esiste un valore di attrito

critico cr in corrispondenza del quale il diametro interno

aumenta per valori di minori e si riduce per valori di

maggiori. Il coefficiente d’attrito viene determinato

misurando la variazione del diametro interno e usando le

curve di Figura 19.6 (ogni anello ha il proprio set di

curve).

19.3 Usura

‘usura è definita come la progressiva perdita o

rimozione di materiale da una superficie. L’usura

riveste una grande importanza tecnologica ed economica,

perché modifica la forma e le dimensioni degli utensili e

degli stampi, influendo conseguentemente sulla qualità dei

manufatti prodotti. Sebbene l’usura generalmente alteri la

topografia della superficie di un componente e possa dar

luogo a rilevanti danneggiamenti superficiali, essa può

anche portare a conseguenze benefiche. P.e., nel periodo

di rodaggio di un meccanismo o di un motore, l’usura

provvede a rimuovere i picchi delle asperità (cfr. Figura

19.7). Così, in condizioni controllate, l’usura può essere

considerata una specie di processo di lucidatura.

Figura 19.7 - Variazioni del profilo di rugosità a causa

dell’usura

Di solito l’usura viene classificata in una delle tipologie

descritte in maggior dettaglio qui di seguito:

L

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usura adesiva – come si è visto precedentemente,

quando viene applicata una forza di taglio a due

superfici reali unite da micro-saldature in

corrispondenza delle asperità, esse si separano

originando l’usura adesiva. Il percorso del cedimento

dipende dalla resistenza del legame adesivo rispetto

alla resistenza coesiva dei due materiali affacciati. A

causa di fattori quali l’incrudimento delle asperità, la

diffusione e la solubilità solida, spesso il legame adesivo è

più resistente di uno dei materiali di base. Così, durante lo

scorrimento, la frattura segue un percorso all’interno del

materiale più cedevole e viene generato un frammento

(cfr. Figura 19.8).

Figura 19.8 - Meccanismo dell’usura adesiva e della generazione delle particelle d’usura

Sebbene tale frammento resti attaccato al componente

più resistente, esso di solito si distacca nelle successive

fasi di sfregamento, producendo una particella d’usura.

Gli strati di ossido superficiale esercitano una forte

influenza sull’usura adesiva. Essi possono agire come

un film protettivo, il quale produce un’usura più

moderata ed una creazione di particelle d’usura2 di

dimensioni più piccole. Il problema dell’attrito adesivo

può essere ridotto tramite i seguenti accorgimenti:

selezione di materiali che non formino legami

adesivi forti;

utilizzo di un materiale più duro dell’altro;

utilizzo di materiali che si ossidino facilmente;

applicare rivestimenti superficiali duri.

La modellazione dei fenomeni di attrito è complessa,

ed è difficile formulare approcci analitico/numerici

veramente aderenti alle reali condizioni operative. Di

conseguenza, lo studio dell’attrito è generalmente

condotto con metodi sperimentali, attraverso

l’equazione di Archard:

V = kLW/H

che consente di determinare il coefficiente d’usura k,

una volta noti il volume dei prodotti d’usura V, la

lunghezza di strisciamento L, la forza normale tra le

superfici W e la durezza superficiale H dell’aderente

più tenero (misurata con una tecnica di indentazione).

Il coefficiente d’attrito varia fra una coppia assegnata

di materiali in dipendenza di carico, velocità e

temperatura. Perciò il coefficiente d’attrito viene

misurato sperimentalmente, in condizioni il più

possibile simili a quelle operative effettive;

2 Questo è il motivo per cui, in ambiente spaziale (trattato più oltre),

dove l’assenza di umidità comporta l’assenza di strati di ossidi superficiali, il problema dell’attrito adesivo è particolarmente

sentito.

usura abrasiva – l’usura abrasiva è causata da una

superficie dura e scabra (o da una superficie contenente

particelle dure e sporgenti) che striscia su di un’altra

superficie. Questo tipo di usura rimuove particelle sotto

forma di micro-trucioli e quindi provoca intagli e graffi

sulla superficie più tenera (cfr. Figura 19.9). La resistenza

all’usura abrasiva dei metalli puri e delle ceramiche è

direttamente proporzionale alla loro durezza. Perciò

l’usura abrasiva può essere ridotta aumentando la durezza

superficiale dei materiali (per esempio tramite trattamenti

termici, cfr. Cap.20) oppure riducendo il carico normale.

Figura 19.9 - Rappresentazione schematica dell’usura

abrasiva

Anche le gomme e gli elastomeri sono in grado di

resistere all’usura abrasiva, in quanto prima si deformano

elasticamente e poi recuperano la loro forma allorché la

particella abrasiva ha attraversato la superficie. Il miglior

esempio è rappresentato dai pneumatici, che possiedono

una lunga durata anche se utilizzati su superfici scabre e

abrasive: anche acciai induriti superficialmente non

avrebbero una pari durata nelle medesime condizioni;

usura corrosiva – conosciuta anche come ossidazione o

usura chimica, è causata da reazioni chimiche o elettro-

chimiche che avvengono tra la superficie e l’ambiente

circostante. Le polveri fini prodotte dalla superficie

costituiscono le particelle d’usura derivanti da questo tipo

di degrado. Quando lo strato corrosivo viene distrutto o

rimosso a causa dello strisciamento o dell’abrasione, si

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forma un altro strato e il processo di rimozione e di

formazione dello strato di corrosione si ripete. Tra gli

ambienti corrosivi vanno annoverati l’acqua, l’acqua

marina, l’ossigeno, gli acidi, i prodotti della

combustione, quali il solfuro di idrogeno e il biossido

di zolfo. L’usura corrosiva può essere ridotta: a)

scegliendo materiali che resistano all’attacco chimico

ambientale; b) controllando l’ambiente; c) riducendo le

temperature operative per ridurre la cinetica chimica

delle reazioni di ossidazione;

usura per fatica – detta anche fatica superficiale o

usura per frattura superficiale, si produce quando la

superficie di un materiale è sottoposta ad una

sollecitazione ciclica: l’esempio tipico è quello delle

piste di rotolamento dei cuscinetti volventi. Le

particelle d’usura generalmente derivano da

meccanismi di pitting. Un altro tipo di usura consiste

nella fatica termica, che vede il generarsi di cricche

superficiali causate dagli sforzi di origine termo-

elastica indotti da variazioni termiche cicliche:

esempio tipico è quello di uno stampo freddo che

viene a contatto ripetutamente con il materiale caldo

da lavorare. Poi le cricche coalescono fino a provocare

sfogliamento e usura per fatica. Quest’ultima può

essere ridotta: a) riducendo gli sforzi di contatto; b)

limitando la variazione termica ciclica; c) migliorando

le proprietà del materiale tramite la rimozione di

impurità, inclusioni e difetti che possano agire da punti

di innesco;

usura per impatto – consiste nella rimozione, da parte

di particelle impattanti, di piccole quantità di materiale

da una superficie: esempio tipico è quello delle pale

d’elica o dei rotori degli elicotteri operanti in ambienti

desertici, con presenza di granelli di sabbia in

sospensione. In tal caso l’usura viene limitata tramite

le fasce anti-abrasive;

erosione – è causata da un flusso di particelle libere

che abradono una superficie;

fretting corrosion – è un fenomeno molto comune

nelle costruzioni aerospaziali costituite da lamiere

metalliche chiodate: esso consiste nel danneggiamento

di parti in movimento mutuamente compresse e

comporta la com-presenza a livello microscopico di

fenomeni di:

saldatura

deformazione plastica

reazione chimica

abrasione

spesso il fretting è altresì associato a:

fatica

corrosione

usura

il fretting è influenzato da:

entità del moto relativo

entità e distribuzione delle pressioni di contatto

stato di tensione

numero di cicli di fatica accumulati

natura dei materiali a contatto

condizioni superficiali dei materiali a contatto

frequenza del moto relativo

temperatura

natura dell’ambiente circostante

Di solito l’azione del fretting induce danneggiamenti per

fatica attribuibili alla nucleazione prematura di difetti; di

conseguenza i processi che introducono tensioni residue di

compressione (come pallinatura e rullatura a freddo)

migliorano il comportamento a fatica in presenza di

fretting. L’abrasione prodotta dal fretting è pericolosa in

quanto riduce l’interferenza del collegamento; essa viene

valutata per mezzo di leggi semi-empiriche del tipo:

Wtot = (k0L1/2

– k1L)C/F + k2SLC

dove:

Wtot = perdita di peso totale del provino

k0, k1, k2 = costanti determinate empiricamente

L = forma di contatto normale

C = numero dei cicli di fretting

F = frequenza del fretting

S = scorrimento durante un ciclo di fretting

Anche i polimeri possono andare soggetti a fenomeni di

usura, con modalità simili a quelle tipiche dei metalli. Il

comportamento ad usura abrasiva dipende in parte dalla

capacità del polimero di deformarsi elasticamente e di

recuperare poi la propria forma, così come gli elastomeri.

Il parametro che presiede a questo comportamento è il

rapporto tra la durezza e il modulo elastico dei materiali

coinvolti: la resistenza dei polimeri all’usura abrasiva

aumenta all’aumentare di tale rapporto. I polimeri più

resistenti all’usura abrasiva sono i poli-imidi, poli-

ammidi, poli-carbonati, poli-propilene, acetali e poli-

etilene ad alta densità: per questo sono adatti per produrre

ingranaggi, pulegge e parti in movimento di meccanismi.

Essi possono anche essere miscelati con lubrificanti

interni, come il PTFE (Teflon), silicio, bisolfuro di

molibdeno, grafite e particelle elastomeriche.

Per quanto riguarda le plastiche rinforzate e i materiali

compositi, la loro resistenza all’usura dipende dalla

natura, percentuale volumetrica, orientazione del rinforzo

entro la matrice polimerica. Le fibre di carbonio, vetro e

aramidiche (Kevlar) migliorano la resistenza all’usura, ma

comportano un meccanismo di danno aggiuntivo: il pull-

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out (estrazione) delle fibre dalla matrice. L’usura è

maggiore quando la direzione di scorrimento è

parallela alle fibre, proprio perché esse possono essere

estratte più facilmente; inoltre le fibre continue

conferiscono maggior resistenza all’usura perché sono

più difficili da estrarre e prevengono la propagazione

delle cricche, fungendo da crack-stopper.

Infine l’usura delle ceramiche: quando esse strisciano

su un metallo, l’usura dipende da: a) deformazioni

plastiche su piccola scala e fratture superficiali fragili;

b) reazioni chimiche superficiali; c) indentazione; d)

fatica. I metalli possono essere trasferiti alle superfici

delle ceramiche, formando ossidi metallici: così, in

realtà, lo strisciamento avviene tra il metallo e la

superficie di ossido metallico. Per altro, le tecniche di

lubrificazione convenzionali non sono particolarmente

efficaci nel caso delle ceramiche.

L’usura può essere osservata e misurata tramite diversi

metodi: la scelta è dettata dal livello di accuratezza

richiesto e da eventuali vincoli esterni (p.e.

l’impossibilità di smontare il componente). Possono

essere messi in atto metodi visuali, tattili, basati sulla

misura dimensionale, sull’uso di profilometri o sulla

misurazione del peso del particolato prodotto. Talvolta

la rilevazione del livello di vibrazione o di rumore può

essere ricondotta al grado di usura del componente.

L’usura dei componenti dei motori a reazione viene

misurata tramite l’analisi spettroscopica delle

particelle contenute nel fluido lubrificante.

19.4 Lubrificazione

a lubrificazione è il processo di applicazione dei

fluidi lubrificanti allo scopo di ridurre l’attrito e

l’usura nei casi in cui questi fenomeni si manifestano.

Esistono quattro metodi di lubrificazione adottati nei

processi produttivi (illustrati in Figura 19.10a-d):

Figura 19.10 - Metodi di lubrificazione: a) a film spesso;

b) a film sottile; c) di tipo misto; d) superficiale.

a film spesso – le superfici sono completamente

separate e la viscosità del lubrificante costituisce il

parametro più importante. Tipica di operazioni ad

alta velocità, essa dà luogo a superfici a buccia

d’arancia, le dimensioni della cui granulosità

dipendono dalle dimensioni dei grani cristallini;

a film sottile – se il carico tra le due parti (pezzo da

lavorare e stampo) aumenta o la velocità e la

viscosità del fluido di lubrificazione si riducono, lo

spessore del meato di lubrificante diminuisce. Tale

situazione accresce l’attrito all’interfaccia e

comporta una leggera usura;

di tipo misto – nel caso, un’aliquota significativa

del carico viene sopportata dal contatto fisico tra le

superfici. La parte rimanente è sopportata dal

meato fluido intrappolato nelle tasche costituite

dalle valli tra un’asperità e l’altra;

superficiale – in questa situazione, il carico è

sopportato dalle superfici a contatto, ricoperte da

un film superficiale di lubrificante, di spessore

molecolare. I lubrificanti superficiali sono gli olii

naturali, i grassi, gli acidi grassi, gli esteri ed i

saponi. Questi strati superficiali si possono

rompere a causa di: a) de-adsorbimento causato

dall’elevata temperatura; b) asportazione durante lo

strisciamento. Private dello strato lubrificante, le

superfici possono così usurarsi gravemente.

Poiché le valli della rugosità superficiale possono fungere

da tasche ove il lubrificante si accumula, esse possono

trovarsi a sopportare un’aliquota rilevante del carico. Per

questo motivo è importante che il pezzo da lavorare abbia

rugosità maggiore dello stampo, altrimenti quest’ultimo

ne danneggerebbe la superficie. La rugosità raccomandata

per gli stampi è di circa 0.4m. Anche la geometria dei

pezzi interagenti è importante ai fini della lubrificazione:

il movimento del materiale da lavorare nella zona di

deformazione, come pure durante la trafilatura, estrusione

e laminazione deve consentire l’apporto di un film spesso

e stabile di lubrificante all’interfaccia tra stampo e pezzo.

I lubrificanti devono svolgere molteplici funzioni:

ridurre l’attrito

ridurre l’usura

migliorare lo scorrimento del materiale

fungere da barriera termica tra pezzo e stampo

fungere da coadiuvante alla sformatura

I lubrificanti fluidi che soddisfano questi requisiti sono:

L

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olii – sono filmogeni e sono molto efficienti

nella riduzione di attrito e usura, ma possiedono

bassa conducibilità termica e calore specifico,

quindi non smaltiscono efficientemente il

calore; inoltre sono difficili da rimuovere dalla

superficie del pezzo finito. Possono essere di

origine minerale, vegetale, animale oppure

miscele di questi tipi3;

emulsioni – sono misture di fluidi immiscibili,

di solito olii, acqua e additivi; in particolare, gli

emulsionanti impediscono la coalescenza delle

goccioline in sospensione. Le emulsioni hanno

un aspetto lattiginoso e si differenziano in olii

solubili in acqua e refrigeranti a base acquosa.

Esistono le emulsioni dirette (olio disperso in

acqua) e le emulsioni indirette (acqua dispersa

in olio). Le prime sono efficaci anche come

refrigeranti nelle lavorazioni ad alta velocità;

soluzioni sintetiche e semi-sintetiche – le prime

sono fluidi costituiti da sostanze inorganiche

dissolte in acqua; le seconde sono simili alle

prime, ma con l’aggiunta di olii emulsionabili;

saponi, grassi e cere – i saponi sono i prodotti

di reazione dei sali di sodio e potassio con gli

acidi grassi. I saponi alcalini sono solubili in

acqua, non quelli metallici. Essi sono

particolarmente efficienti come lubrificanti

superficiali. I grassi sono lubrificanti solidi o

semi-solidi consistenti in saponi, olii minerali e

additivi. Essi sono molto viscosi e aderiscono

bene alle superfici. Le cere possono avere

origine animale o vegetale (paraffine), sono più

fragili dei grassi e trovano impiego solo nella

lubrificazione del rame, degli acciai inox e delle

leghe per alte temperature.

Inoltre i lubrificanti sono miscelati con additivi,

ciascuno dei quali aggiunge un’ulteriore particolare

funzionalità:

inibitori di ossidazione

agenti di prevenzione della ruggine

inibitori di schiuma

stimolanti della bagnabilità

agenti per il controllo dell’odore

antisettici e biocidi4.

Lo zolfo, il fosforo, le clorine (detti additivi per

pressioni estreme–EP), sono additivi molto efficaci:

essi reagiscono chimicamente, creando film di solfuri

o cloruri metallici.

3 Le miscele vengono formulate per ottimizzare le proprietà di viscosità-temperatura, tensione superficiale, resistenza al calore e

filmogenicità. 4 Per evitare la crescita di micro-organismi come alghe, batteri e virus.

In virtù delle loro peculiarità, vengono talvolta adottati

anche lubrificanti solidi, i più comuni tra i quali sono:

grafite – grazie alla sua cedevolezza a taglio

rispetto ai piani basali, la grafite è caratterizzata dal

basso coefficiente d’attrito in tale direzione e

perciò può diventare un buon lubrificante solido,

specie a elevata temperatura. L’effetto si esplica

però solo in presenza di aria/umidità: in assenza, la

grafite si comporta come un abrasivo. Nel settore

aerospaziale, la grafite è usata in forma di C60

(fullerene), le cui molecole sferiche si comportano

come sfere di cuscinetti volventi;

bi-solfuro di molibdeno – è un lubrificante solido

lamellare che funziona come la grafite, ma è

efficiente anche in condizioni ambiente. Il bi-

solfuro di molibdeno (MoS2), come la grafite, può

essere sfregato sulle superfici da lubrificare o

apportato da una soluzione colloidale in olio;

metalli – un film superficiale di metalli teneri

(piombo, indio, cadmio, stagno o argento), in virtù

della loro bassa resistenza, può fungere da

lubrificante, ma solo per bassi valori della forza di

contatto. Essi sono depositati chimicamente sulla

superficie di metalli duri (acciai, acciai inox, leghe

per alte temperature) e fungono da lubrificanti

solidi superficiali, così come alcuni tipi di ossidi;

polimeri – così come per i metalli, anche alcuni

polimeri (PTFE–Teflon, polietilene, metacrilati) in

forma di film superficiali, possono fare da

lubrificanti solidi, ma non per alte temperature;

vetri – pur essendo un materiale solido, esso

diventa viscoso ad elevata temperatura e può

quindi servire da lubrificante. La viscosità dipende

dalla temperatura e non dalla pressione. Inoltre il

vetro ha bassa conducibilità termica e funge quindi

da barriera tra pezzo e stampo.

Spesso i lubrificanti non aderiscono bene alle superfici e

vengono asportati dall’azione di sfregamento. In questi

casi, le superfici vengono trasformate per mezzo di una

reazione con acidi (conversione), diventando così rugose,

spugnose e facilmente bagnabili dai lubrificanti liquidi.

Esempi: strato di conversione di fosfato di zinco per gli

acciai al carbonio e di ossalati per gli acciai inossidabili.

Per scegliere il lubrificante liquido adatto ad una

particolare applicazione vanno considerati svariati fattori:

specificità del processo tecnologico

parametri tecnologici del processo

natura del materiale in lavorazione

natura del materiale dell’utensile o dello stampo

compatibilità del fluido con tali materiali

eventuale necessità di preparazione superficiale

metodo di adduzione del fluido

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modalità di rimozione del fluido

possibilità di contaminazione del lubrificante

requisiti di immagazzinamento del fluido

trattamento (o riciclaggio) dei lubrificanti reflui

considerazioni biologiche ed ambientali

fattori economici globali

Inoltre (per gli olii) va tenuta in conto la dipendenza

della viscosità dalla temperatura e dalla pressione.

Infine, si deve considerare qual è la funzione primaria

richiesta: lubrificante o refrigerante. Gli olii sono

buoni lubrificanti, ma scarsi refrigeranti; al contrario le

soluzioni acquose: la miglior soluzione di

compromesso (adottata nel 80-90% dei casi) consiste

in fluidi a base acquosa. Da ultimo va ricordato che i

lubrificanti:

non devono lasciare residui tossici e/o

pericolosi

non devono provocare effetti di corrosione

devono essere controllati periodicamente per

evitare il deterioramento dovuto all’accumulo

di batteri, ossidi e particelle d’usura.

19.5 Casi particolari di interesse

aerospaziale

el presente capitolo si sono trattati soprattutto gli

aspetti della tribologia legati a processi

tecnologici. In quest’ultimo paragrafo vengono invece

illustrate le problematiche tribologiche di alcune

condizioni di servizio tipiche del settore aerospaziale:

quelle dei motori, delle trasmissioni e dei veicoli

spaziali operanti nel vuoto:

motori – nei motori a combustione interna, un’aliquota

rilevante di energia viene dissipata a causa dell’attrito

meccanico; nei motori alternativi, circa il 50% di

questa deriva dall’accoppiamento pistoni-cilindri (cfr.

Figura 19.11). Invece nei motori a turbina le maggiori

perdite per attrito sono imputabili ai cuscinetti e

supporti degli alberi rotanti.

Come per tutti i sistemi progettati per funzionare con

un lubrificante liquido, il parametro tribologico chiave

è lo spessore del film lubrificante che separa le

superfici dei componenti interagenti. Più precisamente

è lo spessore del film lubrificante paragonato alla

combinazione delle rugosità delle superfici: il rapporto

di spessore del film :

= h/(Rrms(sup1)2 + Rrms(sup2)

2)

1/2

dove h è lo spessore del film lubrificante, mentre

Rrms(sup1) e Rrms(sup2) sono le rugosità quadratiche medie

delle due superfici.

Figura 19.11 - Dissipazione di energia dovuta agli attriti

meccanici

La Figura 19.12 mostra la correlazione tra ed il

coefficiente d’attrito ed evidenzia altresì i meccanismi di

lubrificazione e i regimi in cui funzionano rispettivamente

gli accoppiamenti pistone-cilindro (per motori alternativi)

e albero-supporto (per motori a turbina).

Figura 19.12 - Relazione tra ed il coefficiente d’attrito

Nel primo caso (illustrato in Figura 19.13), dal punto di

vista tribologico, i punti cruciali sono a) le fasce di tenuta

(in genere tre) che devono garantire la tenuta pneumatica e

la continuità termica tra pistone e cilindro; b) la parte di

pistone sottostante le fasce (skirt).

N

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Figura 19.13 - Rappresentazione schematica del contatto pistone-cilindro ai fini dello studio tribologico

Figura 19.14 - Variazione dello spessore del film

lubrificante al variare dell’angolo di manovella

A causa del moto del pistone, le fasce di tenuta possono

sperimentare lubrificazione a film spesso, sottile, mista e

superficiale, in conseguenza della variazione di spessore

del film durante il ciclo di combustione (cfr. Figura

19.14). Anche la skirt contribuisce (in ragione del 30%

circa) al totale dell’attrito dell’assieme pistone-cilindro;

per questo viene di solito realizzata (come il resto del

pistone) in una lega alluminio-silicio rivestita in PTFE o

grafite per ridurre l’attrito. Anche i cilindri sono realizzati

in lega di alluminio, con rivestimenti placcati per ridurre

l’usura. Le fasce sono prodotte in acciaio cromato o

rivestito per plasma-spray con molibdeno, ceramiche o

cermets. In ogni caso, la texture delle superfici deve

contemperare bassa rugosità e capacità di ritenzione del

lubrificante.

Nel caso dei motori a turbina, la criticità tribologica

risiede nell’accoppiamento albero-supporto. Il materiale

per i supporti deve essere scelto in maniera da soddisfare

requisiti che spesso sono contraddittori (cfr. Tabella 19.5):

Tabella 19.5 - Requisiti per i materiali dei supporti

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La soluzione di compromesso di solito consiste in

supporti tri-metallici (mostrati in Figura 19.15) con

struttura portante in acciaio, rivestimento in bronzo o

alluminio e finitura (per sputtering o elettroplaccatura)

in Pb-Sn-Cu o Sn-In. Oggigiorno non sono rari anche i

rivestimenti ceramici. Tutte le architetture devono

contemperare la riduzione di attrito, che porta ad un

risparmio energetico e deriva da finiture con materiali

teneri, e la durability, che viene massimizzata

dall’adozione di finiture con materiali duri.

Figura 19.15 – Supporti tri-metallici per il

soddisfacimento dei requisiti richiesti.

trasmissioni a ingranaggi – il contatto tra i denti degli

ingranaggi viene riconosciuto come una delle più

complicate applicazioni della tribologia: nonostante

l’estensiva ricerca sulla lubrificazione degli

ingranaggi, è stato sottolineato come non sia stato

ancora possibile trasformare l’arte della lubrificazione

degli ingranaggi in una scienza. La situazione sta

gradualmente cambiando, soprattutto grazie al rapido

sviluppo della lubrificazione elastoidrodinamica

(EHL). In ogni caso, il problema è di primaria

importanza nelle tecnologie delle costruzioni

aerospaziali, stante il fatto che l’affidabilità e la

sicurezza di alcune realizzazioni classiche, quali la

trasmissione degli elicotteri ed i motori turboelica, si

basano proprio sul buon funzionamento di sistemi di

ingranaggi e del loro sistema di lubrificazione. Tra le

molte tipologie di ingranaggi, quelle più comunemente

utilizzate sono:

a denti diritti (Figura 19.16a)

elicoidali (Figura 19.16b)

epicicloidali (Figura 19.16c)

a vite senza fine (Figura 19.16d)

Il processo di lubrificazione ed i cedimenti correlabili

con la lubrificazione di tutte queste tipologie hanno

molto in comune, poiché i carichi applicati a tutti

questi ingranaggi sono trasmessi attraverso contatti

Hertziani lubrificati, noti anche come contatti

elastoidrodinamici (EHL).

Figura 19.16 - a-d: Tipologie di ingranaggi: a) a denti diritti;

b) elicoidali; c) epicicloidali; d) a vite senza fine

Esistono almeno quattro modi principali di cedimento dei

denti degli ingranaggi che sono direttamente correlabili

con il deterioramento della lubrificazione o con il cambio

delle prestazioni della lubrificazione al contatto dei denti

degli ingranaggi, come l’annullamento dello spessore del

film lubrificante, l’aumento repentino della temperatura di

contatto e l’eccessiva presenza di particelle d’usura nel

lubrificante. Tali modi di cedimento sono:

macro-pitting, quando si formano crateri aventi

forma e dimensione uguali alla superficie del

contatto Hertziano;

micro-pitting, quando si formano crateri di piccole

dimensioni (dell’ordine del micron), ma fitti e

omogeneamente diffusi

scuffing, quando a causa dell’alta temperatura di

contatto le asperità superficiali si plasticizzano e si

trasferiscono sulla superficie accoppiata;

erosione diffusa, quando i classici fenomeni di

adesione, abrasione, corrosione e fatica danno

luogo ad una diffusa rimozione di materiale.

Per la maggior parte degli ingranaggi, la geometria del

contatto tra i denti in qualunque punto lungo il percorso di

contatto durante l’intero accoppiamento può essere

determinato dalla teoria Hertziana per due cilindri o due

ellissoidi. Le velocità di rotolamento e di strisciamento

possono pure essere determinate a partire dalle relazioni

cinematiche degli ingranaggi. Con tali dati d’ingresso e

tramite le teorie EHL possono essere determinate le

prestazioni della lubrificazione, con speciale attenzione a:

a b

c d

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dove sono localizzate le aree di minimo

spessore del film lubrificante in corrispondenza

delle quali può avvenire la fatica per contatto e

quali sono i valori critici per questi spessori;

dove sono localizzate le aree di alta temperatura

di contatto in corrispondenza delle quali si

innesca lo scuffing e quali sono i valori critici

per queste temperature.

Una teoria completa della lubrificazione degli

ingranaggi, teoricamente, dovrebbe essere in grado di

determinare:

gli effetti transitori imputabili a carichi, raggi di

contatto, velocità di rotolamento e strisciamento

variabili;

effetti dell’accoppiamento temperatura/spessore

del film per determinare la distribuzione della

temperatura superficiale dei due ingranaggi;

effetti della rugosità sulla lubrificazione;

modelli accurati di attrito, tenendo conto del

film fluido e delle asperità di contatto.

Nelle applicazioni aerospaziali, generalmente, si

trovano ingranaggi che ruotano ad elevata velocità, nei

quali il parametro (definito precedentemente) è

maggiore di 3. In queste condizioni valgono due

assunzioni importanti:

le superfici di contatto sono perfettamente lisce;

la distribuzione dello spessore del film nella

regione di contatto non è influenzata da

rugosità, texture ed orientazione rispetto alla

direzione di flusso del lubrificante.

Tutto ciò non è più valido nella maggior parte delle

altre applicazioni, nelle quali è molto minore di 3 e

devono essere tenuti in conto anche gli effetti della

rugosità sulla lubrificazione. In questi casi deve essere

considerata la lubrificazione di modo misto, che

dipende dalla pressione del fluido generato

idrodinamicamente, e dalla pressione di contatto solido

in corrispondenza delle asperità.

In sintesi, possono essere tratte le seguenti conclusioni:

l’efficienza e la durabilità della maggior parte

dei tipi di trasmissione di potenza ad ingranaggi

(non solo nel settore aerospaziale) dipende

fortemente dalle prestazioni della lubrificazione

al contatto dei denti. La rugosità e la texture

delle superfici, le proprietà chimiche e fisiche

del lubrificante, ed anche i suoi additivi,

devono essere scelti attentamente, per dar luogo

a elevati valori di , bassi attriti di contatto e

temperature superficiali per allungare la vita

ante-pitting, per minimizzare le perdite di

potenza ed evitare le rotture per scuffing;

le teorie di lubrificazione elastoidrodinamica

(EHL) sono state attentamente sviluppate e poi

applicate con successo per prevedere le proprietà

del lubrificante per le più comuni tipologie di

ingranaggi. Cionostante, queste analisi ben si

applicano a superfici di contatto perfettamente

lisce5 (tipiche del settore aerospaziali): in tutti gli

altri casi si deve ricorrere a teorie di modo misto,

che tengono conto dell’effetto della rugosità;

la maggior parte delle attuali teorie predittive del

macro- e micro-pitting e dello scuffing dei denti

sono empiriche o semi-empiriche. Grazie allo

sviluppo di algoritmi computazionali avanzati in

grado di prevedere accuratamente i contatti tra le

asperità, la pressione del fluido e la temperatura al

contatto si hanno forti prospettive di sviluppare più

avanzati ed accurati modelli di cedimento dei denti

degli ingranaggi per pitting e scuffing.

sistemi spaziali – l’usura adesiva costituisce una forma di

usura molto grave, caratterizzata da elevati ratei di usura e

coefficienti d’attrito pure elevati, oltre che instabili. I

contatti striscianti possono essere rapidamente distrutti

dall’usura adesiva e, nei casi estremi, il movimento può

essere impedito da coefficienti d’attrito molto elevati. I

metalli sono particolarmente sensibili all’usura adesiva

che, in genere, rappresenta l’ultimo stadio di un processo

avviato dall’incapacità del lubrificante di mantenere

separate le superfici striscianti. La maggior parte dei solidi

aderisce ad un altro solido solo se talune condizioni sono

soddisfatte: di solito ciò non avviene grazie a strati

superficiali contaminanti costituiti da ossigeno, vapore

acqueo condensato, ossidi e residui di lubrificante.

L’atmosfera terrestre fornisce naturalmente questi strati

contaminanti, i quali impediscono molto efficacemente

l’adesione tra solidi. Ciò non accade nell’atmosfera dello

spazio: per tale motivo il problema dell’attrito adesivo è

particolarmente sentito nei veicoli e nei sistemi spaziali6 e

merita perciò in questa sede una speciale considerazione.

Per altro, l’adesione si riduce all’aumentare della rugosità

superficiale e della durezza delle superfici affacciate. Gli

esperimenti condotti in condizioni di alto vuoto mostrano

per quasi tutti i materiali un comportamento tribologico

totalmente diverso da quello mostrato in aria libera. Qui di

seguito vengono analizzati i meccanismi di adesione per

accoppiamenti tra materiali di diversa natura:

metallo-metallo – a parte i metalli nobili come l’oro ed il

platino, ogni altro metallo è sempre coperto da un film di

5 Questo deve essere tenuto in conto al momento della progettazione

delle lavorazioni di finitura dei denti degli ingranaggi delle trasmissioni 6 I casi di sistemi spaziali che implicano lo scorrimento di superfici sono

numerosi: si pensi alle articolazioni dei bracci robotici e agli snodi dei

sistemi di dispiegamento dei pannelli fotovoltaici e delle antenne. Caso curioso è rappresentato dal cavo del satellite tethered, costituito anche da

trefoli di fibre poli-aramidiche. Venne dimostrato che i modificati

meccanismi di attrito tra di essi influivano in maniera rilevante sulla dinamica globale del cavo.

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ossido, spesso così sottile (pochi nm) da essere

invisibile, che impedisce il vero contatto tra i metalli

ed impedisce l’usura, a meno che venga

deliberatamente rimosso. In questo caso si generano

forze di adesione anche 20 volte maggiori delle forza

di contatto, specie per coppie di metalli uguali.

Quando esiste una forte adesione avviene

trasferimento dal metallo più debole al metallo più

forte, come illustrato schematicamente nella Figura

19.17:

Figura 19.17 - Meccanismo di trasferimento del metallo in

conseguenza dell’adesione

Figura 19.18 - Relazione tra coefficienti di adesione e durezza per alcuni metalli

Il meccanismo di adesione tra metalli avviene a causa

del trasferimento di elettroni liberi tra le superfici a

contatto, da quella a maggiore a quella a minore

densità elettronica (modello Jellium). Il meccanismo

dipende dalla struttura cristallina del metallo (è minore

per quella esagonale compatta), dalla reattività, dal

modulo elastico e dalla durezza (cfr. Figura 19.18),

che riducono la plasticizzazione;

metallo-polimero – anche in questo caso si verificano

forti adesioni a causa della presenza nei polimeri di

non-metalli (come la fluorina) che danno luogo a

interazioni chimiche, in aggiunta a forze attrattive di

Van der Waals;

metallo-ceramica – in particolari condizioni si possono

verificare forti adesioni a causa di interazioni chimiche

tra gli ioni ossigeno contenuti negli ossidi superficiali del

metallo e la ceramica. Quindi solo i metalli nobili non

danno luogo a fenomeni di adesione con le ceramiche;

polimero-polimero – l’adesione è debole ed è dovuta a

forze attrattive di van der Waals;

ceramica-ceramica – l’adesione è debole, essendo dovuta

a forze di Van der Waals, e viene ulteriormente ridotta a

causa dell’elevata durezza superficiale delle ceramiche.

La forte adesione tra le asperità delle superfici a contatto

produce due effetti principali: viene generata una grande

componente di forza d’attrito e le asperità possono essere

rimosse dalla superficie per formare particelle d’attrito o

strati trasferiti. Di seguito si analizzano tali fenomeni:

crescita di giunzioni puntuali – se inizialmente è presente

una forza normale di contatto in grado di provocare la

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plasticizzazione delle asperità, l’area di contatto

aumenta, la pressione normale si riduce (cfr. Figura

19.19) e la forza tangenziale aumenta fino a

raggiungere lo sforzo di taglio di snervamento: di

conseguenza, il coefficiente d’attrito aumenta ed il

sistema può diventare instabile;

Figura 19.19 - Diagramma schematico della crescita di

giunzioni in corrispondenza delle asperità a causa della

forza d’attrito

deformazione delle asperità – quando non si

producono particelle d’attrito, il contatto può dar luogo

a rilevanti deformazioni, come quello mostrato in

Figura 19.20;

Figura 19.20 - Modello della deformazione delle asperità

a causa dell’attrito adesivo

Figura 19.21 - Diagramma schematico della formazione

di una particella d’attrito

formazione di particelle d’attrito – l’azione combinata

dell’adesione tra le asperità e del moto di scorrimento

provoca forti deformazioni delle asperità (vedi sopra):

il materiale delle asperità più cedevoli si deforma in

una serie di bande di scorrimento per adattare il moto

relativo: quando le bande raggiungono un valore limite, si

innesca una cricca che provoca la formazione di una

nuova banda fino alla separazione di una particella

d’attrito (Figura 19.21).

formazione di strati di trasferimento – la particella di

metallo staccatasi da una delle asperità rimane attaccata

all’altra superficie. In dipendenza delle condizioni, essa

può venir rimossa dai contatti successivi e divenire una

particella d’usura vera e propria, oppure può creare uno

strato di trasferimento, con il meccanismo di Figura 19.22:

Figura 19.22 - Formazione e rimozione di una particella di

trasferimento

Ciò accade tra metalli caratterizzati da mutua solubilità

(p.e. alluminio e rame), ma non tra metalli mutuamente

insolubili (p.e. ferro e argento). Quando metalli diversi

strisciano l’uno sull’altro ha luogo un tipo di alligazione

meccanica: si formano particelle di lega, che all’aumentare

delle dimensioni diventano delle lamelle (cfr. Figura

19.23).

A causa delle elevate deformazioni, le particelle di

trasferimento incrudiscono e diventano sufficientemente

dure da provocare delle rigature nell’aderente più tenero,

come mostrato nella Figura 19.24.

Teoricamente esistono diverse tecniche adatte a ridurre o

eliminare l’attrito adesivo, ovvero:

sfruttare l’azione degli strati contaminanti;

provvedere un’adeguata lubrificazione;

scegliere opportunamente gli accoppiamenti.

Nelle applicazioni spaziali le prime due soluzioni non

sono applicabili, in quanto l’atmosfera spaziale non è tale

da indurre la formazione di ossidi superficiali e perché i

lubrificanti sono proscritti dall’impiego spaziale7. Rimane

quindi attuabile la terza soluzione, evitando i seguenti

accoppiamenti:

tra metalli identici;

tra metalli mutuamente solubili;

tra un metallo chimicamente reattivo e uno inerte;

7 Per evitare pericoli di sublimazione e di out-gassing (cfr. capitolo sul degrado dei materiali in ambiente spaziale).

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tra metalli puri (sono preferibili le leghe).

Sono invece raccomandabili gli accoppiamenti:

tra metalli e polimeri;

tra metalli nobili (oro e platino).

Figura 19.23 - Formazione di particelle di trasferimento a struttura lamellare

Figura 19.24 - Meccanismo di creazione di una rigatura da parte di una particella di trasferimento incrudita

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