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150 anni della spedizione dei mille
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I 150 anni dalla spedizione dei mille
PROGRAMMA
DATA
APERTURA-
RIAPERTURA
MUSEI
RISORGIMENTO
MOSTRE/EVENTI CONVEGNI CONCERTI
11
maggio
MARSALA
Complesso San
Pietro
Riallestimento del
Museo civico
garibaldino
CALATAFIMI
Colle Pianto Romano
Stele
commemorativa
Pianto Romano di
Andrea Camilleri
SALEMI
Inaugurazione
Nuovo Museo del
Risorgimento
TRAPANI
Museo Pepoli
Visita notturna
Nuova Sezione dei
Cimeli
risorgimentali
TRAPANI
Museo Pepoli
Concerto a cura
del Conservatorio
12
maggio
PALERMO
Fondazione del
Banco di Sicilia
Convegno 'Lo
sviluppo
dell'economia
italiana dallo
sbarco dei Mille
ad oggi' (a cura
della
Federazione
Nazionale dei
Cavalieri del
Lavoro -
Gruppo Sicilia)
15
maggio
PALERMO
Palazzo Abatellis
Posa de 'Il muro del
mare' di Piero
Guccione
PALERMO
Palazzo
Abatellis
Convegno 'Uniti
dal
Mediterraneo':
presentazione
del Premio Al
Idrissi
Concerto 64°
anniversario
Autonomia
Siciliana
PALERMO -
Teatro Politeama
MESSINA-Teatro
Vittorio Emanuele
CATANIA-Teatro
Bellini
26
maggio
MISILMERI
Castello
Convegno 'Il
mito popolare di
Giuseppe
Garibaldi'
28
maggio
PALERMO
Teatro Garibaldi
Apertura Nuovo
Teatro Garibaldi(in
collaborazione con il
comune di Palermo)
PALERMO
Palazzo Mirto
Convegno
'Garibaldi e la
Sicilia dei Florio
: un doppio
scacco'
RINVIATA A
DATA DA
DESTINARSI
PALERMO
Palazzo Steri
Giornata studio
dal titolo
'Giornata di
studio dal titolo
'Ricordando
Braudel.
Mediterraneo un
mare condiviso'
e visita guidata
della mostra
delle carte della
Sicilia del fondo
di Antonino La
Gumina'
29
maggio
PALERMO
Società Siciliana per
la Storia Patria
Inaugurazione del
Museo del
Risorgimento
Vittorio Emanuele
Orlando
PALERMO
Società Siciliana
per la Storia
Patria
Convegno
'Garibaldi in
Sicilia 150 anni
dopo'
4
giugno
PALERMO
Palazzo Mirto
Convegno
'Risorgimento in
Sicilia e
biografie di
siciliani nel
Risorgimento'
PALERMO
Museo d'Arte
Moderna e
Contemporanea
Riso
Commemorazione
della figura del
Barone Riso
5
giugno
PALERMO
Museo Salinas
Un Tesoro riapre il
"Salinas" - gli
argenti di
Morgantina
PALERMO
Museo
Geologico
Gemmellaro
Conferenza
'Scienza e
scienziati tra
Borboni e
Savoia a
Palermo'
7
giugno
PALERMO
Teatro Politeama
Celebrazioni per il
150° anniversario
dell'Arma dei
Carabinieri in
Sicilia
12
giugno
PALERMO
Palazzo Abatellis
Mostra Lo Spasimo
degli Spasimi
13
giugno
PALERMO
Albergo delle Povere
I Mille a Palermo
(il presente programma può subire variazioni, dovute ad esigenze di natura organizzativa)
20
luglio
MILAZZO
Palazzo D'Amico
Inaugurazione della
mostra documentale
della presenza di
Garibaldi a Milazzo
27
luglio
MESSINA
Forte San
Salvatore
Tavola rotonda
sul
Risorgimento a
cura dell'Ateneo
peloritano
29
luglio
CATANIA
Convegno in
occasione della
chiusura delle
celebrazioni del
150°
anniversario
della spedizione
dei Mille (in
collaborazione
con il Comune
di Catania)
Garibaldini e borbonici nel 1860
Il progetto
I manuali di storia indicano la data del 17 marzo 1861 come proclamazione ufficiale del Regno
d'Italia al Parlamento di Torino. In realtà, al di là della cronologia istituzionale, l'Italia si è fatta in
Sicilia tra il maggio e l'agosto del 1860 grazie alla straordinaria "avventura" della spedizione dei
Mille guidata da Giuseppe Garibaldi.
Per una serie di circostanze interne (l'antica avversione dei siciliani ai Borbone) ed internazionali
(l'intervento dell'Inghilterra e della Francia, l'isolamento diplomatico del Regno delle Due Sicilie) la
nostra isola diventò lo spazio politico e militare cruciale per saldare Sud e Nord della penisola in
una nuova compagine statale.
La spedizione dei Mille, tuttavia, al di là dei suoi aspetti eroici e mitici, appare ancora oggi come un
universo inesplorato di eventi, personaggi, contesti sociali, che meritano una ricognizione più
approfondita per cogliere la trama complessa di ombre e di luci su cui si è costruita l'identità
della nazione.
La tradizione risorgimentale ci ha fin qui tramandato l'immagine poco verosimile di un'isola abitata
solamente da volontari e "picciotti" garibaldini, trascurando tutti gli altri protagonisti e le tante
questioni lasciate "aperte" nel 1860: le drammatiche vicende dei "vinti" borbonici, le numerose
insurrezioni popolari, le lotte di fazione tra le élites locali per la conquista del potere locale, la
renitenza alla leva, le drammatiche fratture esplose nella Chiesa e nel clero siciliano, le stesse
battaglie militari vinte e perdute più volte dai contrapposti schieramenti, le resistenze sociali alla
"dittatura" garibaldina, le vicende ancora oscure del finanziamento della spedizione.
Allo stesso modo risultano in gran parte sconosciute le tematiche culturali di quella intensa
stagione dei Mille: la produzione letteraria ed artistica, il folklore popolare, i resoconti giornalistici
della grande stampa europea, le inedite forme della "comunicazione globale" che diedero
all'impresa garibaldina una dimensione mondiale.
La creazione di un sito internet in occasione della celebrazione del 150° dello sbarco dei Mille è
uno strumento utile perché gli eventi collegati all'anniversario vengano comunicati ad un pubblico
quanto più ampio e vario possibile in modo semplice e diretto. Il sito "Sicilia 150" ha quindi lo
scopo di dar conto degli appuntamenti che scandiscono l'agenda delle manifestazioni; di mettere a
disposizione degli utenti testi, documenti ed immagini sul tema del Risorgimento in Sicilia; di
promuovere i luoghi che furono protagonisti di quei momenti, valorizzandone anche le
potenzialità turistiche; di comunicare in modo sintetico i risultati delle ricerche storiche più
aggiornate sul tema, così da rappresentare un punto di riferimento per tutti coloro che sono
coinvolti nelle varie iniziative: scuole, università, associazioni, istituzioni pubbliche e private,
comuni cittadini.
Attraverso l'uso di testi e documenti storici, l'utente viene guidato in percorsi di riscoperta dei
protagonisti e degli scenari legati alla spedizione garibaldina e al processo di unificazione
nazionale. Una sezione apposita sarà dedicata alle Biografie, per conoscere più da vicino i
principali attori di parte garibaldina e borbonica.
La Cronologia serve altresì per avere una visione complessiva degli eventi riportati nella loro
dimensione temporale, così come la sezione Luoghi rende familiari gli spazi all'interno dei quali i
personaggi si mossero. Nella sezione Focus della Storia sono affrontate alcune questioni di
particolare interesse per la comprensione di quegli avvenimenti: quale fu il ruolo della Chiesa e del
clero locale? Quali i focolai delle insurrezioni? Come governò il territorio dell'isola la Dittatura
garibaldina? Come si arrivò all'annessione? Quali le luci e quali le ombre del processo di
unificazione?
Un apposito spazio viene dedicato alla Storia militare, per rivivere le battaglie, conoscere le
strategie, prendere confidenza con gli eserciti in campo, percorrere gli spazi delle fortezze che
dominavano l'isola. L'interazione potrà essere particolarmente coinvolgente nelle pagine
dedicate alla produzione artistica: le opere letterarie e musicali, i dipinti degli anni del
Risorgimento contribuiscono a restituire la temperie culturale di un'isola che era perfettamente
inserita nei circuiti internazionali del Romanticismo.
All'interno di questa sezione uno spazio adeguato è dedicato alla filmografia sul Risorgimento: le
interpretazioni dei registi che nel corso della storia del cinema si sono confrontati con questo tema
costituiscono infatti un tassello importante della lettura del processo di costruzione dello Stato
nazionale.
La Facoltà di Scienze Politiche dell'Università degli Studi di Catania è orgogliosa di presentare il
sito, realizzato da un gruppo di giovani ricercatori già da tempo impegnati nello studio delle
tematiche risorgimentali e nella progettazione di strumenti multimediali per la divulgazione dei
saperi storici.
Si ringrazia l'assessore ai Beni Culturali e all'Identità Siciliana. prof. avv. Gaetano Armao,
per avere condiviso con entusiasmo e patrocinato l'iniziativa, che per la parte informatica si avvale
della consulenza tecnica della Società Siciliana Servizi.
Gli autori
Direttore scientifico: Giuseppe Barone (G.B.), ordinario di Storia contemporanea - Università di Catania.
Redazione: Margherita Bonomo (M. B.), ricercatrice di Storia contemporanea - Università di Catania.
Alessia Facineroso (A. F.), dottoranda di Storia contemporanea - Università di Catania.
Tullia Giardina (T. G.), dottoranda di Storia contemporanea - Università di Catania.
Sebastiano Angelo Granata (S. A. G.), assegnista presso il DAPPSI - Università di Catania.
Marco Leonzio (M. L.), borsista presso l'INSMLI.
Maria Grazia Panebianco (M. G. P.), dottoranda di Storia contemporanea - Università di Catania.
Giancarlo Poidomani (G. P.), ricercatore di Storia contemporanea - Università di Catania.
Chiara Maria Pulvirenti (C. M. P.), dottoranda di Storia contemporanea - Università di Catania.
Concetta Sirena (C. S.), dottoranda di Storia contemporanea - Università di Catania.
Cronologia
19 dicembre 1856 A Mezzojuso viene fucilato Francesco Bentivegna con l'accusa di aver complottato una rivolta nei
comuni di Villafrati, Ventimiglia e Ciminna.
25 maggio 1859 Muore Ferdinando II delle Due Sicilie e gli succede il figlio Francesco II.
16 giugno 1859 Francesco II delle Due Sicilie concede amnistie, condoni di pene e permessi di rimpatrio ai
condannati politici.
3-4 aprile 1860 A Palermo scoppia un moto insurrezionale capitanato dal fontaniere Francesco Riso, che parte dal
convento della Gancia e viene rapidamente sopraffatto dalla polizia, già a conoscenza di quello che
sta accadendo grazie alla rete delle spie del direttore di Polizia Salvatore Maniscalco.
6 maggio 1860 I volontari guidati da Giuseppe Garibaldi partono da Quarto in direzione della Sicilia, a bordo di
due navi a vapore: il "Lombardo" ed il "Piemonte".
7 maggio 1860 I Mille sostano a Talamone (oggi in provincia di Grosseto) per fare munizioni.
11 maggio 1860 I garibaldini sbarcano a Marsala in circostanze "fortuite": protetti da una divisione navale inglese
comandata dal contrammiraglio sir George Rodney Mundy, ufficialmente a difesa degli stabilimenti
vinicoli Ingham e Woodhouse, entrano pressoché indisturbati in città. Alla marina militare
borbonica, giunta subito dopo, non resta che fare fuoco ma i colpi di cannone e di mitraglia sono
corti: minacciano ma non colpiscono.
14 maggio 1860 Arrivo a Salemi, dove Garibaldi assume la dittatura in Sicilia a nome di Vittorio Emanuele II.
Emana un decreto che stabilisce la coscrizione obbligatoria dai 17 ai 50 anni di età, costituendo così
una milizia suddivisa in tre categorie: nella prima dai 17 ai 30 si entra nell'esercito, la seconda si
occupa del mantenimento dell'ordine pubblico nei distretti e la terza assume compiti di sorveglianza
nei comuni.
15 maggio 1860 Battaglia di Calatafimi. I Mille, a cui si aggiungono 500 picciotti siciliani, affrontano le truppe
borboniche guidate dal generale Landi, il quale sceglie la via della ritirata su Palermo.
17 maggio 1860 Garibaldi giunge ad Alcamo, e lì nomina Francesco Crispi segretario di Stato (leggi il decreto). Il
Generale promulga inoltre il decreto che abolisce l'imposta sul macinato e tutte le imposizioni al
consumo decretate dal governo borbonico dopo il 15 maggio 1849.
18 maggio 1860 Il re Francesco II sostituisce il luogotenente principe di Castelcicala con il generale Lanza.
21 maggio 1860 Scontro nei pressi di Monreale fra le truppe borboniche riorganizzate e guidate dal colonnello
svizzero Von Mechel e i Mille, con il rinforzo di 3.000 volontari siciliani comandati da La Masa.
Muore Rosolino Pilo.
27 maggio 1860 Con una manovra diversiva Garibaldi ripiega verso Corleone. La strategia del generale consiste
adesso nel far marciare una parte dei suoi verso il comune siciliano, mentre gli altri si uniscono ai
volontari siciliani di La Masa ed entrano di sorpresa a Palermo da Porta Termini.
27-30 maggio 1860 Insurrezione di Palermo. Gli scontri si susseguono per tre giorni.
30 maggio 1860 Il generale Lanza, comandante della piazza di Palermo, invita Garibaldi sulla nave inglese
Hannibal, sulla quale viene concordata la cessazione delle ostilità.
31 maggio 1860 I garibaldini attaccano Catania, entrano nella città, ma le truppe borboniche guidate dal generale
Tommaso Clary scacciano via gli insorti.
2 giugno 1860 Garibaldi forma un governo rivoluzionario con sei ministeri: Francesco Crispi presiede gli Interni.
Con decreto dittatoriale è disposta la quotizzazione delle terre dei demani comunali tra coloro che si
sono battuti per la patria e l¿ereditarietà di tale diritto per i discendenti.
3 giugno 1860 Viene ordinata la ritirata delle truppe borboniche di Catania su Messina.
6 giugno 1860 Convenzione tra le truppe borboniche e Garibaldi con la quale è stabilita la capitolazione della
Piazza d'Armi di Palermo e la tregua, per permettere l'evacuazione dei militari.
21 giugno 1860 Il consiglio di guerra presieduto da Garibaldi decide la spedizione su Messina.
25 giugno 1860 Francesco II promette la concessione di una Costituzione. Si forma un governo costituzionale.
7 luglio 1860 Espulsione di La Farina dalla Sicilia su ordine del dittatore Garibaldi perché contrario all'annessione
immediata e incondizionata.
20 luglio 1860 Battaglia di Milazzo. Nonostante le perdite siano più numerose tra i garibaldini che tra i borbonici, a
quest'ultimi guidati dal generale Tommaso Clary viene ordinato di ripiegare su Messina.
21 luglio 1860 Garibaldi nomina Agostino Depretis prodittatore di Sicilia.
7 agosto 1860 Fucilazione a Bronte dell'Avvocato Nicolò Lombardo e di altri contadini e popolani su decisione
della commissione di Guerra per gli eccidi e l'occupazione delle terre del comune.
19-20 agosto 1860 Partenza di Garibaldi con 3.000 uomini da Giardini alla volta della Calabria.
6 settembre 1860 Francesco II e la Regina Maria Sofia lasciano Napoli via mare con la loro flotta per raggiungere
Gaeta sotto la protezione dei francesi.
14 settembre 1860 Dimissioni di Depretis dalla carica di prodittatore di Sicilia.
17 settembre 1860 Sgombero delle truppe borboniche da Augusta
Nomina di Antonio Mordini a prodittatore di Sicilia.
1-2 ottobre 1860 La battaglia sul Volturno sancisce la sconfitta delle truppe borboniche e la vittoria dell' esercito
meridionale.
21 ottobre 1860 Plebisciti in Sicilia.
26 ottobre 1860 Incontro di Garibaldi con Vittorio Emanuele II a Teano.
4 novembre 1860 Pasquale Calvi, nella qualità di Presidente della Corte Suprema, dal balcone dello Steri nella Kalsa,
a Palermo, proclama il risultato del plebiscito, decretando l'unione della Sicilia al Regno d'Italia.
1 dicembre 1860 Arrivo a Palermo di Vittorio Emanuele II.
2 dicembre 1860 Nomina di Massimo Cordero di Montezemolo a Luogotenente generale in Sicilia.
13 marzo 1861 La battaglia di Messina, in cui si scontrano le truppe dell'esercito sabaudo guidate da Cialdini e le
ultime forze napoletane al comando di Fergola, determina la sconfitta dei borbonici e la resa del
Cittadella, ultima roccaforte della monarchia di Francesco II in Sicilia.
Un mosaico di attori
Galleria dei
personaggi
Michele Amari (1806 -
1889)
Anita Garibaldi (1821 -
1849) Agostino Bertani (1812 - 1886)
Nino Bixio (1812 - 1873)
Pasquale Calvi (1794 - 1867)
Vito D'Ondes Reggio
(1811 - 1885)
Francesco II (1836 - 1894)
Giuseppe Garibaldi (1807 - 1882)
Giuseppe La Masa (1819
Salvatore Maniscalco (1813 - 1864)
- 1881)
Maria Sofia di
Wittelbasch (1841 -
1925)
Giacomo Medici (1817-
1882)
Ippolito Nievo (1831 - 1861)
Giovanni Pantaleo (1832
- 1879)
Francesco Paolo Perez (1812
- 1892) Rosolino Pilo (1820 - 1860)
Vittorio Emanuele II
(1820 - 1878)
Giovan Luca Von Mechel (1807 -
1873)
Carlo Cattaneo (1801 -
1869)
Francesco Crispi (1818-1901)
Camillo Benso di Cavour
(1810 - 1861)
Giuseppe La Farina (1815 - 1863)
La rete dei comitati antiborbonici in Sicilia
1/2
L'anno che precedette la spedizione dei Mille fu un periodo difficile per il governo Borbonico. La
Sicilia veniva descritta dal Luogotenente Castelcicala come immersa in uno stato di "pubblica
ansietà", di "latente agitazione" e vari fuochi patriottici la tenevano in fermento; destava
preoccupazione, in particolar modo, Messina, dove nel mese di giugno era stato rilevato uno spirito
pubblico "pessimo". Erano soprattutto le notizie che giungevano dal resto d'Italia a destare
"profonda impressione" e a sollevare le speranze di quelle fazioni che miravano alla sovversione
dell'ordine pubblico. Questa la descrizione del frazionamento politico isolano rilevato dal
Luogotenente: «Gli uomini dell'idea italiana unitaria o federativa sono sparutissimi. Ve ne sono in
Messina ed in Catania, nella prima più che nella seconda città, e qualcuno in Palermo. Costoro
non sono compresi nel paese, ove passano per repubblicani, non hanno influenza di sorta, ma sono
pericolosi perché audaci e capaci di tutto, mirando sempre ai disordini per richiamare lo
intervento straniero nel Reame. Questi tali fondano le loro speranze sulla Francia e sul Piemonte. I
dottrinari, una gran parte della nobiltà, il foro, la borghesia delle grandi città, e tutti quelli che
nella mobilità d'un governo rappresentativo trovano un mezzo d'acquistare influenza, potere e
fortuna, tutti costoro aspirano ad un reggimento costituzionale, ma aborrono l'idea di un
Parlamento per tutto il Reame, e la loro religione politica tiene alle tradizioni del 1812. Questo
partito è numeroso, e trova ausilio nella gioventù incauta ed ardente [...] teme di irrompere per
non concitare ed armare una plebe ladra e sanguinaria, e fa assegnamento sulle eventualità
politiche e sulle simpatie dell'Inghilterra. L'immensa maggioranza del paese, proprietari
soprattutto, tende a miglioramenti morali e materiali ed a quel progresso civile che accrescerebbe
la prosperità della Sicilia[...] Non è questo un partito, ma è la massa degli abitanti della Sicilia
che[...] vuole che la Regia Potestà rimanga integra ed inconcussa; che forte sia il Governo e che il
principio d'autorità si fortificasse sempre più a tutela dell'ordine e della società . Questa grande
maggioranza che però è moderata nei suoi desideri, non appoggia per nulla l'Autorità, per la tema
che le ispirano i due partiti accennati[...] e si limita soltanto a formare sterili voti per la
conservazione dell'ordine e dice sempre al Governo - Noi saremo con voi, finché voi sarete forti».
Che molte fossero le tendenze politiche in Sicilia non era novità legata all'attualità del momento.
Già nel 1848 la realtà antiborbonica isolana era infatti divisa tra federalisti e unitari, monarchici e
repubblicani, indipendentisti e fautori di un protettorato, senza mancare comunque di un
denominatore comune: la richiesta di indipendenza e libertà della Patria. Fazionismo e litigiosità si
erano poi ulteriormente acuiti quando la numerosissima emigrazione politica siciliana si era
riversata nelle sedi estere. Da questo iniziale crogiolo era comunque partita la ricerca delle cause
che avevano determinato il fallimento della rivoluzione, e il riconoscimento della necessità di
trovare una solida base sulla quale ricominciare a costruire. Riorganizzare le fila cospirative
risultava urgente anche in relazione alle notizie che giungevano dall'interno della Sicilia, dove, sulle
ceneri ancora calde della fallita rivoluzione, si erano tentate delle rivolte. Era importante evitare la
dispersione e il gruppo di esuli a Genova, prima di altri, percepiva la necessità di un coordinamento
all'interno dell'emigrazione siciliana, subordinato ad un'organizzazione di maggiore autorità, quale
per esempio l'Associazione Nazionale di Mazzini. Intanto, a Malta già in giugno girava tra gli
emigrati siciliani un Progetto di un'associazione segreta da stabilirsi in Sicilia destinata al fine di
liberarla dall'attuale schiavitù, che definiva dettagliatamente le modalità di organizzazione
sull'isola di una rete cospirativa, partendo da una associazione segreta con sede nella capitale, e
diramazioni in tutti i comuni. In particolare, nel documento si specificavano le modalità con cui
dovevano organizzarsi le guerriglie armate, composte da giovani "seguaci dell'indipendenza
Italiana". Nasceva così a Palermo, anche per le continue pressioni di Rosolino Pilo, il primo
Comitato esecutivo siciliano che si avvaleva della formula «Dio e Popolo - Indipendenza e
Libertà», divenuto poi Comitato interno siciliano ed infine Comitato centrale siciliano.
La difficile realtà di uno Stato di polizia, che quotidianamente i cospiratori si trovavano ad
affrontare, servì al superamento del divario fra le varie opinioni consentendo al nuovo comitato
palermitano di unire personalità di colore politico diverso e di stabilire contatti con tutti gli altri
centri cospirativi democratici. Accanto al nuovo comitato mazziniano rimanevano comunque
gruppi antiborbonici concorrenziali, fra tutti a Palermo gli arditi costituzionalisti. Possiamo
immaginare la Sicilia percorsa da una rete cospirativa a maglia larga che univa tutte le città
dell'isola con rotte privilegiate che univano Trapani, Girgenti (Agrigento), Caltanissetta e
Castrogiovanni (Enna) a Palermo, e alcune diramazioni minori che collegavano Siracusa e Catania
con Messina. Micro-reti, poi, toccavano i distretti e i comuni più piccoli. Messina aveva anche una
valida rete di comunicazione con la realtà cospirativa continentale, ed in particolare con Reggio e
Cosenza. Diversamente che nell'isola, all'estero il tentativo di unificare l'emigrazione siciliana sotto
un'unica organizzazione, con l'elezione, in autonomia e in forma democratica, di un Comitato
Centrale siciliano con sede a Parigi, non si tradusse in una esperienza fruttuosa e duratura. Il
comitato di Parigi doveva fungere da direttorio delle questioni siciliane e mediare tra il comitato
mazziniano di Londra e il comitato isolano. La mancanza di concordia, per forti divergenze di
opinioni politiche, e di completa rappresentatività, nonchè la mancata partecipazione alle elezioni di
varie componenti moderate, furono solo alcuni dei motivi che produssero, nel 1852, lo scioglimento
di tale comitato. Nello stesso periodo Mazzini da Londra, per meglio armonizzare le iniziative,
riorganizzava il Partito nazionale accentrando tutta l'azione nelle mani del Comitato nazionale di
Londra, dal quale vennero nominati i Commissari per i centri di Marsiglia, Torino, Genova, Malta,
Tunisi, ecc. Un solo Comitato siciliano all'estero fu riconosciuto, quello di Genova. La
riorganizzazione toccava anche l'interno dell'isola, i comitati delle sette provincie, rappresentati dal
centro di Palermo, potevano ora se necessario comunicare con i Commissari o con il Comitato a
Genova, riservandosi comunque di darne comunicazione a Palermo. Importante il lavoro di
propaganda e di proselitismo in senso unitario svolto nell'isola dalla realtà cospirativa repubblicana
e mazziniana, soprattutto tra i giovani, volto ad organizzare forze in armi, a mantener caldi gli
animi, a raccogliere fondi, piazzando buoni del credito mazziniano e firmando sottoscrizioni.
L'attivismo li espose però maggiormente alla repressione borbonica: ogni apparizione di cartello
sedizioso, ogni scoperta di corrispondenza e materiale entrato in clandestinità si traduceva in arresti.
Il governo borbonico inviò agenti segreti e spie sia nell'isola che nelle diverse sedi di esilio
dell'emigrazione siciliana. Da Malta, l'agente borbonico, infiltrato nel gruppo di Nicola Fabrizi ed
ignoto anche al Console napoletano, dipendente direttamente dal direttore di polizia a Palermo,
aggiornava costantemente il governo su tutte le iniziative cospirative, determinandone spesso il
fallimento. La stretta sorveglianza nell'isola doveva evitare l'immissione clandestina di emissari, di
armi, di libri messi all'indice, di stampe sediziose, di giornali e materiali ritenuti sobillatori e,
dunque, pericolosi per il mantenimento dell'ordine pubblico.
Originale conservato presso Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
La rete dei comitati antiborbonici in Sicilia
2/2
Per scoprire le trame cospirative era oltremodo necessario riuscire a intercettare la corrispondenza
epistolare dei patrioti, poiché questo era il mezzo principale attraverso cui l'estero entrava in
Sicilia e la Sicilia arrivava all'estero. Le lettere, spesso accompagnate da notizie politiche, ritagli
di giornali, materiale per la propaganda, ecc., erano preziose fonti di informazione per i patrioti e
per rendere sicura tale corrispondenza si utilizzavano diversi mezzi.
Originale conservato presso Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Chiaramente risultava più difficile l'ingresso che l'uscita della corrispondenza, perciò ci si serviva
perfino della complicità dei Consolati stranieri o di individui riconosciuti come reazionari. Diffuso
fu l'uso di pedoni e, nel caso di affari di particolare segretezza l'invio di emissari, i quali erano
forniti di particolari segni di riconoscimento. Le lettere con contenuti particolarmente rilevanti
venivano compilate attraverso l'uso di una graticola, in altri casi si faceva uso dell'inchiostro
simpatico, diffusissime erano poi le corrispondenze scritte a reticolo. Le difficoltà nella
comunicazione non riuscirono a isolare i cospiratori siciliani che continuarono a seguire gli
avvenimenti politici italiani ed europei, ad adeguarsi ai cambiamenti in atto. Falliti tra il 1856 e il
1857 gli ultimi tentativi insurrezionali democratici, non superato del tutto il pericolo rappresentato
dall'avanzata del murattismo napoletano, si fece prepotentemente strada l'alternativa di una
unificazione della penisola italiana sotto l'egida monarchica piemontese. Tale idea, già accennata
nel 1854 da Daniele Manin e veicolata poi da Giorgio Pallavicino, divenne concreta con la nascita
nell'estate del 1857 della Società Nazionale italiana di Giuseppe La Farina. Il percorso di La Farina,
con la creazioni di sottocomitati concentrati nell'Italia settentrionale e centrale e l'attivazione di
varie altre iniziative, fu parallelo a quello del partito d'azione di Mazzini, il quale permanendo
dentro le sue posizioni e perseverando nei suoi metodi, chiamò ancora una volta i seguaci isolani,
attraverso il Comitato di Genova, alla fine del 1858 a costituire una speciale organizzazione, col
titolo di Partito d'azione - Sezione Sicula, finalizzata all'iniziativa insurrezionale. Palermo rispose
che, pur continuando nella missione con segreto lavorio in ogni comune per la propaganda e la
preparazione di un'azione, dopo i fatti "incauti e disordinati" del Bentivegna considerava
impossibile che una iniziativa, che venisse da una sola provincia d'Italia e senza aiuti, potesse avere
successo. Il 1859 fu sicuramente l'anno decisivo e di svolta. Nonostante che un democratico del
calibro di Garibaldi, insieme a figure quali Bertani, Medici, Bixio, ecc., avesse aderito alla guerra
del Piemonte e di Napoleone III, i democratici siciliani rimasero vicini al Mazzini. I siciliani Pilo e
Crispi furono tra i sottoscrittori di una dichiarazione del 28 febbraio 1859, rivolta da Londra agli
Italiani, nella quale Mazzini esplicitava che il timore maggiore dei repubblicani nei confronti
dell'appoggio francese alla causa italiana, era l'eventuale impianto di una dinastia di Murat nel
regno di Napoli. L'improvvisa pace, con l'armistizio di Villafranca dell'11 luglio 1859, avvertita
inizialmente come un tradimento dall'opinione pubblica italiana, fu in realtà il punto attorno a cui si
ebbe la svolta poiché un Piemonte svincolato dalla Francia, anche per un repubblicano fermo, come
Mazzini, si traduceva nella possibilità di accettare un programma monarchico. Mazzini scriveva
adesso al Savoia: «Siate anche dittatore, purché facciasi l'unità d'Italia». Conosciamo il grande
fermento isolano durante il periodo della guerra e delle annessioni, periodo in cui continue furono
le corrispondenze interne tra il ricostituito comitato segreto a Palermo e le provincie di spirito
patriottico più intenso come Messina, Catania e Trapani. Era rinata la fiducia e, come scriveva il
Comitato segreto a Cavour, i siciliani sentivano adesso vivamente nel loro cuore di essere "Italiani".
Delle sottoscrizioni si aprirono in favore del Piemonte; pubbliche illuminazioni per festeggiare le
vittorie piemontesi si organizzarono a Messina e Palermo.
Malgrado le benevole concessioni del giovane Francesco II - tra le quali si cita per importanza il
decreto 16 giugno 1859, col quale veniva consentito a 137 esuli politici di rientrare nell'isola e, ai
rimanenti non graziati, di poter comunque sperare dietro supplica nel rimpatrio - l'opinione pubblica
si mostrava poco vicina al Borbone. Lo spirito rivoluzionario si era propagato e, come scriveva un
patriota, la concordia e l'unione di tutti cittadini avevano isolato completamente il governo. In luglio
Mazzini riteneva essere giunto il momento di verificare le condizioni dell'isola per un eventuale
movimento e inviava a tale scopo Crispi, il quale partito il 16 da Londra, fermatosi a Marsiglia da
Bagnasco e a Genova dai fratelli Orlando, toccate Civitavecchia e Napoli, giunse il 26 a Messina,
dove ebbe contatti con diversi patrioti e con i membri del comitato locale, riscuotendo perfino una
cambiale. Il 3 agosto riprese il viaggio toccando Catania e diversi paesi dell'interno isolano,
giungendo il 19 a Palermo. Lasciatala, ripercorse di nuovo l'isola fermandosi dei maggiori centri per
poi proseguire per Malta, Marsiglia, Lione, Torino, Genova, Livorno e Firenze. In quest'ultima città
rivedeva Mazzini prima di recarsi in Settembre a Modena, dove avrebbe incontrato Nicola Fabrizi.
Venne qui raggiunto da una lettera da Palermo e da un telegramma di Giorgio Tamaio da Malta, il
quale lo invitava a trovarsi il 12 ottobre, giorno fissato per un movimento, in Sicilia. Crispi ripartì e
giunto a Messina il 10 notte, venne informato del differimento dell'azione. Intanto, non contento di
tale risoluzione, un gruppo di patrioti di Bagheria decise di insorgere lo stesso; l'azione fu deleteria,
con conseguenze pesanti, un rigoroso disarmo della città di Palermo e molti arresti. L'episodio non
riuscì comunque a frenare l'agitazione isolana e la cospirazione, sempre attiva a Palermo, riusciva
ad attentare alla vita di Maniscalco e a riempire persino il suo mantello, durante una festa, di
proclami rivoluzionari.
Fondamentale fu l'incontro tra Crispi e Carlo Farini per la definizione concreta di un movimento
nelle regioni meridionali d'Italia per la realizzazione dell'unità nazionale coll'utilizzo dei volontari
in Sicilia. Già nel Marzo del 1860 i comitati interni siciliani si dichiaravano pronti a secondare il
progetto, preannunciato da Crispi, di una insurrezione da attuarsi tra il 3 e l'8 aprile, la quale doveva
essere capeggiata da due individui che sarebbero sbarcati in un punto ben definito dell'isola:
Rosolino Pilo e Giovanni Corrao. Impaziente, il Comitato palermitano, che da poco aveva accolto
nella cospirazione il fervente Francesco Riso, volle stabilire da sé l'inizio della rivolta invitando
Messina ad informarne Mazzini e Fabrizi. Le voci di un imminente tumulto erano giunte anche a
Napoli, dove si trovava in quel momento il Luogotenente Castelcicala. Nell'isola correvano
proclami che annunciavano il sostegno piemontese e l'aiuto di Garibaldi; in questa calda atmosfera
si aprirono a Palermo, nella notte tra il 3 e il 4 aprile, i fuochi della rivolta. La spedizione
garibaldina, dopo Villafranca sostenuta anche dai democratici mazziniani, fu prontamente attivata.
La spedizione non colse, dunque, impreparata l'opinione pubblica siciliana, che già da tempo aveva
iniziato a guardare al liberale Piemonte e, soprattutto al suo Sovrano, quale concreta soluzione al
problema dell'isola unitamente a quello italiano.
M.G.P.
Principale bibliografia di riferimento:
- Berti G., I democratici e l'iniziativa meridionale nel Risorgimento, Milano, 1962;
- Casanova E., Il Comitato centrale siciliano di Palermo(1849-1852), in «Rassegna Storica del
Risorgimento», fasc. II, anno 1925; fasc. I-III-IV, anno 1926;
- Della Peruta F., La spedizione dei Mille nella prospettiva dell'«iniziativa meridionale», in
«Archivio storico siciliano», serie IV, vol. XXVII, fasc. II, Palermo, 2001;
- Morelli E., I dieci anni che fecero l'Italia, Firenze, 1977;
- Sansone A., Cospirazioni e rivolte di Francesco Bentivegna e compagni, Palermo, 1891;
- Sansone A., La Sicilia dal 1849 al 1860, in «Archivio storico siciliano», n.s, anno L, Palermo,
1930;
- Villari L., Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento, Roma-Bari, 2009.
La rivolta della Gancia
Il 4 aprile del 1860 alcune decine di uomini con a capo il mastro fontaniere Francesco Riso,
muovendo da un magazzino del convento della Gancia, diedero inizio all'insurrezione palermitana
che avrebbe convinto definitivamente Giuseppe Garibaldi a organizzare una spedizione in Sicilia.
Si trattò di una rivolta organizzata e decisa da un gruppo di artigiani e di popolani membri della
minoranza democratica del Comitato Rivoluzionario palermitano, decisa ad agire senza
tentennamenti, incertezze, attendismi per dare vita a una rivoluzione politica e sociale contro
l'opinione della maggioranza moderata, titubante sul successo dell'impresa e timorosa di un sbocco
insurrezionale difficilmente pilotabile. Fu Riso a rompere gli indugi e a prendere autonomamente la
decisione di insorgere all'alba del 4 aprile. Da un punto di vista militare l'insurrezione fu un
fallimento: cinque insorti furono uccisi in combattimento, quattordici furono catturati quello stesso
giorno e altre centinaia nei giorni seguenti durante i combattimenti fuori Palermo. Tredici degli
insorti, tra cui il padre di Riso furono fucilati il 14 aprile mentre Francesco morì alla fine del mese
per le ferite riportate il 4.
La rivolta, se pur stroncata facilmente, proseguì nelle campagne offrendo il modo a Crispi di
dimostrare a Garibaldi come l'isola fosse pronta ad accogliere la spedizione che questi avrebbe
organizzato di lì a poco.
Riso, in punto di morte, amareggiato per il fallimento della rivolta e per la mancata sollevazione
della città, non immaginava che il 4 aprile sarebbe stato celebrato dall'Italia unita come un mito
civile. Il 29 settembre, infatti, alla vigilia del plebiscito, il prodittatore Mordini decretò che il 4
aprile e il 27 maggio fossero compresi tra le feste nazionali in Sicilia e dal 1861 la rivolta della
Gancia divenne protagonista di celebrazioni ufficiali nelle scuole e in città con distribuzioni di
medaglie ai superstiti, inaugurazioni di monumenti e di lapidi, pubblicazioni, orazioni, cortei
studenteschi in pellegrinaggio nei luoghi dell'insurrezione, della fucilazione dei tredici ecc. Un vero
e proprio rito laico.
Nei primi decenni dello Stato unitario il 4 aprile divenne uno dei tasselli di questa religione civile
attraverso la quale l'Italia creava i propri eroi, miti, monumenti, tradizioni. Nel 1924 le autorità
scolastiche palermitane soppressero la vacanza del 4 aprile e l'ultima volta che questa data è stata
degnamente celebrata è stato nel 1960, in occasione del centenario. Allora il presidente della
Regione siciliana Majorana commemorò la rivolta del 4 aprile con un discorso al teatro Politeama
mentre una solenne cerimonia funebre rievocativa dei martiri fu celebrata proprio nella chiesa della
Gancia.
Forse è esagerato scrivere che, senza la rivolta della Gancia, Garibaldi non sarebbe entrato a
Palermo e che fu essa a permettere la realizzazione della rivoluzione del 1860 ma indubbiamente gli
avvenimenti di quel 4 aprile impressero una accelerazione straordinaria agli eventi e,
retrospettivamente, possiamo oggi affermare che le campane della Gancia annunciarono la morte
del Regno delle Due Sicilie e la nascita dell'Italia unita.
G.P.
Principale bibliografia di riferimento:
- Ingrassia M., La rivolta della Gancia, Palermo, L'Epos 2006.
La spedizione dei Mille
1/2
L'avventura militare di Giuseppe Garibaldi in Sicilia, la spedizione dei Mille, raccontata da
innumerevoli pagine di diari, romanzi e memorie, era già stata resa celebre prima che le navi, su cui
si imbarcarono i garibaldini prendessero il largo da Quarto. Nell'aprile 1860 a Genova in casa del
democratico Agostino Bertani si insediò infatti un comitato che alla luce del sole iniziò a lavorare
ad un progetto per una spedizione militare in Sicilia contro lo Stato borbonico: era necessario
arruolare dei volontari e la propaganda per coinvolgerli venne condotta pubblicamente per tutto il
regno sabaudo. Così non solo Giuseppe Garibaldi poté seguire da vicino i ferventi preparativi,
ospite nella città ligure di Candido Augusto Vecchi a Villa Spinola, ma persino il presidente del
Consiglio, nonché ministro della Marina e ministro degli Affari Esteri del Regno di Sardegna,
Camillo Benso Conte di Cavour, era puntualmente aggiornato sulle fasi dell'organizzazione.
Non fu dunque un'improvvisata missione, ma un meditato e articolato piano, che avrebbe coinvolto
persino i più alti vertici del governo piemontese, quello che condusse allo sbarco di Marsala dell' 11
maggio 1860.
Nella notte tra il 3 e il 4 aprile a Palermo, nel cortile del convento della Gancia era scoppiata
un'insurrezione: la notizia giunse in fretta alle orecchie di Francesco Crispi e Nino Bixio, che il 7
aprile da Genova corsero a Torino dove si trovava Garibaldi, appena eletto deputato di Nizza, per
ricondurlo alla sua prima vocazione, quella di condottiero. Qualora avesse continuato ad esitare - il
15 marzo aveva scritto a Rosolino Pilo: «Nel momento presente non credo opportuno moto
rivoluzionario in nessuna parte d'Italia» - si era pensato al coinvolgimento di un altro illustre
generale, Ignazio Ribotti, certamente caro al mondo del volontariato militare italiano, ma privo del
carisma dell'Eroe dei due Mondi.
Garibaldi parve sciogliere le sue titubanze: non chiese che delle garanzie sulla probabilità di
successo della rivolta siciliana. I cospiratori dal canto loro gliele diedero: si rendevano conto che era
necessario dipingere un quadro quanto più favorevole al successo della spedizione non solo per
convincere colui che avrebbero voluto la guidasse, al quale del resto sarebbe bastato il favore e il
supporto logistico del governo sardo, ma soprattutto per cooptare quanti più volontari fosse
possibile. La mente di questo piano di persuasione fu Francesco Crispi che sulla ribellione in Sicilia
scrisse vari articoli sul giornale "La Perseveranza", diretto dall'amico Cesare Correnti. Ed in effetti
alla chiamata del comitato risposero in molti: giunsero i Cacciatori delle Alpi; a Bergamo, a
Brescia, a Milano, a Pavia, a Como si aprirono centri di arruolamento, in cui si raccoglievano i
volontari che poi sarebbero stati selezionati a Genova.
Intanto la macchina dell'organizzazione si era messa in moto: servivano armi, mappe, imbarcazioni.
Più di mille fucili vennero forniti dal segretario della Società nazionale, Giuseppe La Farina. Erano
armi di qualità sicuramente inferiore rispetto alle carabine Enfield, sulle quali si contava, acquistate
grazie alla sottoscrizione "Per un milione di fucili", che era stata avviata a gennaio da Garibaldi con
il consenso del governo piemontese. Non conobbero mai il suolo siciliano poiché rimasero nei
depositi milanesi, sequestrate dal governatore Massimo D'Azeglio, che si rifiutò di consegnarle a
Crispi, giunto nella città lombarda il 17 aprile: il favore del governo piemontese all'organizzazione
di un tentativo eversivo in un legittimo Stato sovrano, il Regno delle Due Sicilie, col quale si
mantenevano rapporti diplomatici, non poteva manifestarsi così esplicitamente!
Eppure il contributo del Regno sardo alla spedizione appare sostanziale ad un'attenta lettura della
corrispondenza del conte Cavour. Era stato reso partecipe dei piani dei cospiratori in un incontro a
Genova il 22 aprile con Giuseppe Sirtori ed era costantemente aggiornato circa il progresso dei
preparativi dal segretario della Società Nazionale Giuseppe La Farina. Riceveva inoltre regolari
relazioni sulla situazione dell'isola dal marchese d'Aste, comandante del Governolo, da lui inviato in
Sicilia per «una missione di pura osservazione». Il 25 aprile inviò una lettera al suo ambasciatore a
Napoli, il marchese Salvatore Pes di Villamarina, con cui chiedeva, anche a nome del ministro della
Guerra Manfredo Fanti «10 o 12 esemplari della carta topografica della Sicilia in 4 fogli». Il 28
aprile nei panni di ministro della Marina predispose un rafforzamento della presenza militare sarda
nel Mediterraneo e un'intensificazione del pattugliamento della costa meridionale della Sardegna.
Il 28 aprile era il giorno in cui era stata fissata la partenza di Garibaldi e del suo gruppo di volontari.
Ma il 27 aprile era giunto da Malta un telegramma criptato dell'esule democratico Nicola Fabrizi,
che aveva imposto una battuta d'arresto alle operazioni. Così venne decifrato da Francesco Crispi:
«Completo insuccesso nella provincia e nella città di Palermo. Molti profughi su navi inglesi giunti
a Malta. Non vi muovete». E la volontà di non muoversi, se non per tornare a Caprera, espresse
risolutamente Garibaldi. Ma la determinazione del generale non durò che un paio di giorni: il 30
aprile cambiò misteriosamente idea, forse persuaso che Crispi aveva commesso un banale errore di
decodificazione, forse convinto dalle pressioni dei suoi principali collaboratori, o probabilmente
rassicurato dalla consapevolezza dell'appoggio piemontese. Il 1° maggio i febbrili preparativi
ricominciarono.
Nella notte tra il 5 e il 6 maggio i piroscafi Lombardo e Piemonte della Società Rubattino erano
attraccati al porto di Genova. Sul Lombardo avevano viaggiato le carte topografiche inviate a
Cavour dall'ambasciatore Villamarina, e a quei due vapori puntò un commando di quaranta uomini,
guidato da Nino Bixio, che si lanciò all'arrembaggio delle due navi. La scelta non era stata
certamente casuale: i due vapori erano stati indicati ai cospiratori da Giambattista Fauché, agente
della compagnia di navigazione e lo stesso armatore Rubattino non era del tutto estraneo al mondo
della cospirazione patriottica. Aveva già dato un contributo involontario alla causa risorgimentale
nel 1857 quando Carlo Pisacane aveva rubato una sua imbarcazione, il Cagliari, per la spedizione
di Sapri.
A ragione nelle sue memorie l'ufficiale livornese Giuseppe Bandi avrebbe descritto le due navi
come "piroscafi vecchi e stravecchi", dato che, dopo aver stentato a partire, solo il Piemonte fu
messo in moto e prese a rimorchio il Lombardo, per trasportarlo al largo di Quarto.
La spedizione salpò alle prime ore del mattino del 6 maggio: Garibaldi era a bordo del Piemonte
insieme a Crispi. I celeberrimi Mille che si imbarcarono verso la Sicilia erano in realtà 1162, quelli
che approdarono a Marsala 1087. Professionisti, studenti, artigiani ed operai, un'unica donna,
Rosalie Montmasson, moglie di Crispi, provenivano prevalentemente da ambienti urbani,
soprattutto del Nord della penisola. Erano infatti in maggioranza milanesi, pavesi e bergamaschi, 78
erano i toscani, 31 i siciliani e 25 i napoletani. Molti di loro erano già veterani della prima e della
seconda guerra di indipendenza, avevano militato tra i Cacciatori delle Alpi e forti di quella loro
esperienza erano in grado di sostenere i ritmi di una rigida disciplina militare, imposta da Garibaldi
e dagli ufficiali da lui designati, anche nella prospettiva di ottime prospettive di carriera nell'ottica
dell'inclusione di quel corpo di spedizione in una futura più grande armata di liberazione nazionale.
Tra i Mille si contavano persino due ufficiali dell'esercito sardo: il marchese Gaspare Trecchi e
Stefano Türr che a fine campagna sarebbe stato nominato aiutante di campo del re, oltre che due
deputati del Parlamento subalpino, Giuseppe Sirtori e lo stesso Garibaldi.
La mattina del 7 le due navi fecero scalo a Talamone. Lungo la rotta si sarebbero dovuti incontrare
con due barconi con il carico di munizioni, capsule e fucili, necessari alla spedizione, ma
l'appuntamento fallì. Scelsero dunque di fermarsi nel borgo toscano dove speravano di trovare armi
e munizioni. Stefano Türr fu incaricato di spostarsi nella vicina Orbetello, da cui fece ritorno con
polvere, piombo, capsule, cartucce, un centinaio di carabine Enfield, tre cannoni e una colubrina.
Ma la sosta a Talamone servì anche all'organizzazione militare dei volontari, che vennero divisi in
otto compagnie, che confluirono in due battaglioni, agli ordini di Nino Bixio e di Giacinto Carini.
Giuseppe Sirtori venne nominato capo di stato maggiore, Giovanni Acerbi fu scelto come
responsabile dell'Intendenza. Una colonna, guidata da Callimaco Zambianchi si separò dai Mille per
effettuare operazioni diversive nelle Legazioni pontificie, che distraessero gli informatori borbonici
dal reale obiettivo della spedizione.
Proprio mentre i garibaldini erano a Talamone, Cavour prese ufficialmente le distanze dalla
spedizione e ordinò al contrammiraglio Carlo Pellion di Persano di fermarla se avesse fatto sosta in
un porto nazionale. In realtà il governo piemontese non aveva alcuna intenzione di ostacolare i
garibaldini, come appare evidente, considerato che non vennero arrestati a Talamone, e alla lettura
del diario dello stesso Persano che avrebbe dichiarato esplicitamente che l'impresa garibaldina «non
si voleva punto fermare nel suo viaggio per la Sicilia».
E l'11 maggio il Piemonte e il Lombardo giunsero in prossimità delle coste siciliane: Marsala era
l'approdo più vicino e persino indifesa.
Clero siciliano e Risorgimento
La Chiesa e Garibaldi
Il 14 maggio 1860, nello stesso giorno in cui assumeva i poteri di Dittatore di Sicilia, Garibaldi
lanciava il famoso proclama intitolato Ai buoni preti: «Comunque sia, comunque vadano le sorti
d'Italia, il Clero fa oggi causa comune con i nostri nemici, che comprano soldati stranieri per
combattere italiani. Sarà maledetto da tutte le generazioni! Ciò che consola però e che promette
non perduta la vera religione, si è vedere in Sicilia, i preti marciare alla testa del popolo per
combattere gli oppressori». Com'è stato acutamente rilevato, più che di "buoni preti", si dovrebbe
opportunamente parlare di "preti buoni". Buono sarebbe, nell'immagine dipinta dalle parole di
Garibaldi, quel clero siciliano che effettivamente si schierò in modo palese e consistente a favore
della rivoluzione e dell'impresa garibaldina, distinguendosi nettamente dal clero continentale. Lo
stesso Alexandre Dumas, che partecipò all'impresa dei Mille, ironizzando a proposito di un
Garibaldi (notoriamente anticlericale) circondato da preti, non poteva fare a meno di notare lo
straordinario impegno del clero siciliano nella lotta antiborbonica e unitaria. A tal proposito si
considerino due circostanze significative: la prima è che la rivolta del 4 aprile era partita dal
convento della Gancia di Palermo; la seconda è che Garibaldi avrebbe chiamato a reggere il
dicastero per l'Istruzione Pubblica e per il Culto nel Governo Provvisorio un prete liberale, il can.
Gregorio Ugdulena.
Dal 1820-21 in poi, la Chiesa aveva svolto nell'isola un ruolo niente affatto secondario nelle
vicende risorgimentali. Chierici e religiosi d'ogni ordine e paese si erano trovati coinvolti in episodi
rivoluzionari e cospirazioni antiborboniche, e persino gli odiati gesuiti, espulsi dall'isola insieme ai
redentoristi sotto il governo di Ruggero Settimo (come poi nel '60), avevano contributo alla
diffusione delle idee liberali, anche in questo caso distinguendosi dai confratelli della Compagnia
stanziati nella penisola. Così, Giuseppe Romano, uno fra i più insigni teorici del gesuitismo
siciliano, per difendere il suo ordine dagli strali del Gioberti, domandava in senso retorico chi, se
non appunto i gesuiti, avesse formato culturalmente, sotto l'assolutismo borbonico, quella
generazione che aveva poi guidato la rivoluzione del 1848.
Tra il Quarantotto e il Sessanta, essendo stati esiliati i migliori esponenti della cultura politica
siciliana, il clero, che rimaneva il maggiore depositario del sapere non solo religioso, aveva
certamente accresciuto il proprio prestigio, mentre le idee progressiste del padre teatino Gioacchino
Ventura ne ispiravano la parte politicamente più avanzata. Si trattava tuttavia di un clero molto
disomogeneo dal punto di vista della composizione sociale e delle idee politiche. Infatti, se da un
lato l'alto clero che governava una Chiesa detentrice di circa un terzo della proprietà fondiaria
dell'isola era pienamente inserito nell'area del potere costituito; dall'altro, il pletorico basso clero
rimaneva in uno stato di indigenza gravissima. In seno a questo ceto, che si identificava negli umori
e nei bisogni del popolo minuto, muovevano fermenti sociali che, come un fiume carsico,
apparivano sovente qua e là fino poi a confluire nel gran mare della rivoluzione del 1860.
Incendio della Santissima Cappella dell'Incoronata annesso alla Badia Nuova 28 maggio 1860
L'arrivo di Garibaldi da questo vasto clero fu certamente guardato con esultanza, come nel caso
emblematico del francescano p. Rosario da Partanna che, tra il 1853 e il 1856, era stato
imprigionato nel forte di Castellammare con l'accusa di sedizione. Questi, trovandosi nel maggio
del '60 nel convento dei Cappuccini di Mazzara, aveva decifrato i segnali del telegrafo ottico dei
borbonici, e comprendendo che Garibaldi era sbarcato a Marsala, girava esortando il popolo delle
province di Trapani e Girgenti a levarsi in armi.
E così sulle barricate facevano la loro comparsa monache e frati, chi a portare aiuti alla
popolazione, chi a predicare la rivolta in tutte le diocesi di Sicilia, chi a rifornire gli uomini di
Garibaldi, chi semplicemente a benedire la guerra santa della libertà. Alcuni di loro erano chiamati
a presiedere comitati rivoluzionari, come padre La China a Vittoria. Quello del celeberrimo frate
Pantaleo è solo uno dei tantissimi nomi che si potrebbero citare.
Tratto da Vita illustrata di Garibaldi, di A. Balbiani, Milano 1860
Altri anonimi frati, con ironica ammirazione, sono descritti dall'Abba nelle sue Noterelle, impegnati
nella battaglia di Calatafimi: «Macchiette nel quadro grande, veggo quei francescani che
combattevano per noi. Uno d'essi caricava un trombone con manate di palle e di pietre, poi si
arrampicava e scaricava a rovina. Corto, magro, sudicio, veduto di sotto in su a lacerarsi gli
stinchi ignudi contro gli sterpi che esalavano un odore nauseabondo di cimitero, strappava le risa e
gli applausi. Valorosi quei monaci, tutti fino all'ultimo che vidi, ferito in una coscia, cavarsi la
palla dalle carni e tornare a far fuoco».
Ma si ricordi pure il caso celebre del sac. Paolo Sardo che, con un appello "Al clero regolare e
secolare di Sicilia" del 21 luglio, aveva costituito nientemeno che una Legione ecclesiastica, la
quale il primo settembre, avrebbe mosso da Palermo per raggiungere i garibaldini a Messina.
Il duce dei Mille, ancora in un proclama del 2 giugno 1860, aveva ribadito la sua ammirazione per
un clero che dava di sé esempio «stupendo magnifico, glorioso, edificante», e in un articolo del
periodico palermitano L'Italia per gli Italiani del 29 giugno 1860 si poteva leggere: «Nei chiostri,
nelle fraterie, nelle comunie clericali spesso si formano quelle associazioni di idee politiche, che
credono dover proteggere per diffonderle nell'opinione pubblica. Nei giorni che il popolo insorge,
non insorge giammai senza vedere frati e preti che precedono colla croce le masse, che si muovono
ad attaccare la truppa ed a dirigere la resistenza».
I valori evangelici che ispiravano nel basso clero siciliano sentimenti di eguaglianza e libertà,
facevano comunque sempre tutt'uno con una rigida fedeltà alla Chiesa cattolica, rendendo inutili le
speranze di una parte dell'opinione pubblica inglese che credeva possibile una protestantizzazione
dell'isola.
Originale conservato presso Biblioteche riunite Civica e A. Ursino Recupero, Catania
Vero è, comunque, che al seguito di Garibaldi, erano sbarcati anche uomini che aderivano a
confessioni acattoliche, come ad esempio Alessandro Gavazzi, i quali avrebbero contribuito alla
diffusione in Sicilia della loro fede, ingenerando una dura reazione da parte del clero cattolico.
Se ai moti risorgimentali aveva partecipato soprattutto il basso clero, d'altra parte deve anche tenersi
presente che i frati e parroci indigenti, autentica avanguardia della Chiesa che si levava in soccorso
della rivoluzione del Sessanta, erano non di rado spinti da un elementare istinto di classe più che da
sentimenti politici consolidati in modo non dissimile a quanto avvenuto nel '48-49, essi ricercavano
infatti, per il loro contributo alla rivoluzione, premi e cappellanie, suscitando una vaga amarezza nel
frate Pantaleo. Ma ci furono anche religiosi la cui coscienza cristiana si fondeva con istanze di
eguaglianza sociale e che vedevano nei rivolgimenti in atto i limiti di una rivoluzione borghese,
come nel caso leggendario del padre Carmelo di cui racconta Cesare Abba, che si rifiutò di seguire i
garibaldini perché non scorgeva, in quanto stava accadendo, nessuna rivoluzione politico-sociale,
ch'egli avrebbe altrimenti seguito con "il Vangelo e con la croce in mano".
Erano anche numerosi religiosi a predicare autentiche riforme di carattere economico, come il frate
agostiniano Gaetano La Greca, il quale sosteneva che, essendo la terra eredità di Dio per tutta
l'umanità, «tutti vi hanno diritto, e quindi un equo partimento di questa proprietà entra nelle mire
della Provvidenza». Pure fra i sacerdoti colti, influenti furono le idee autonomistiche e cattolico-
liberali del padre teatino Gioacchino Ventura.
I vescovi, invece, si trovavano nella difficile condizione di dovere ubbidienza non solo al pontefice
ma anche alla re, chiunque esso fosse. Era l'antico istituto dell'Apostolica Legazia, che faceva del
sovrano regnante il vero capo della Chiesa siciliana. Così, nella Cattedrale di Palermo, il giorno di
Santa Rosalia (15 luglio) a Garibaldi era concesso il privilegio di partecipare alla messa seduto su
un trono che lo poneva più in alto dell'arcivescovo Naselli; il generale veniva incensato con il capo
coperto, il poncho e la camicia rossa e ascoltava il vangelo con la spada sguainata: egli infatti
dittatore per conto del re, poteva dirsi legatus natus del papa, a prescindere dalla volontà di
quest'ultimo. Tuttavia una posizione così apertamente favorevole a Garibaldi, come quella del
Naselli, era alquanto rara in seno all'episcopato. Prima dello sbarco dei Mille erano state diffuse dai
vescovi nelle varie diocesi diverse lettere pastorali in cui si affermava apertamente la fedeltà al
pontefice, mentre il 31 gennaio e il 26 febbraio 1860 il vescovo amministratore apostolico di
Messina, Giuseppe Maria Papardo, aveva inviato a Pio IX due lettere di devozione a nome dei
presuli di Sicilia. Il papa rispose con una lettera di ringraziamento il 9 giugno 1860, che Garibaldi, a
scopi propagandistici fece poi pubblicare sul Giornale Officiale di Sicilia sul numero del 4 luglio.
In generale però la Chiesa contribuì a favorire una certa mistica della patria risorta, e a fare del
carismatico Garibaldi un eroe di matrice quasi religiosa. Preti e suore favorirono probabilmente
persino la leggenda che voleva il generale parente di Santa Rosalia, come lascia chiaramente
intendere una strofa di una coeva poesia popolare: E me l'ha detto una monaca pia/ch'egli è fratello
di Santa Rosalia!/La santa gli ha mandato/un talismano con la propria mano.
M.L.
Principale bibliografia di riferimento:
- AA.VV., La Chiesa di Sicilia dal Vaticano I al Vaticano II, Caltanissetta-Roma, 1994, 2 vol.;
- Barilà A., Incontri di cattolici nell'epopea garibaldina, in "Rassegna Storica del Risorgimento" ,
1956, pp. 225-230;
- Barone G., Vescovi e città: le nuove diocesi di Caltagirone e Noto (1778-1844), in C. Torrisi (a
cura di), Città capovalli nell'Ottocento borbonico, Caltanissetta-Roma, 1995, pp. 57-83.
- Brancato F., La partecipazione del clero alla rivoluzione siciliana del 1860, in AA.VV., La Sicilia
e l'Unità d'Italia, Palermo 1960;
- Composito R., Fermenti sociali del clero minore siciliano prima dell'unificazione, in «Studi
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- Cultrera G., Garibaldi e i Gesuiti in Sicilia nel 1860, in La Sicilia e L'unità d'Italia. Atti del
congresso internazionale di studi storici sul Risorgimento italiano (Palermo 15-20 aprile 1961), II,
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- Di Giovanni A., Sacerdoti e francescani di Sicilia nell'epopea garibaldina del '60, in «La Sicilia
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- Fiume G., La crisi sociale del 1848 in Sicilia, Messina, 1982, pp. 149-157;
- Gambasin A. , Religiosa magnificenza e plebi in Sicilia nel XIX secolo, Roma, 1979;
- Maurici A., Il clero siciliano nella rivoluzione del 1860, Palermo 1910;
- Sindoni A., Dal riformismo assolutistico al cattolicesimo sociale, vol. I, Il tramonto dell'antico
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- Stabile F.M., Il clero palermitano nel primo decennio dell'unità d'Italia (1860-1870) I, Palermo
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- Titone V., Motivi e indirizzi cattolici nel Risorgimento siciliano, in «Rassegna storica del
Risorgimento», 1956, pp. 557-570;
Zito G.(a cura di), Storia delle chiese di Sicilia, Città del Vaticano, 2009.
I vescovi Luigi Natoli (Caltagirone)
Giovanni Guttadauro (Caltanissetta)
Felice Regano (Catania)
Ruggero Blundo (Cefalù)
Girgenti Sede vacante
Carmelo Valenti (Mazzara del Vallo)
Francesco di Paola Villadicani (Messina)
Ludovico Idèo (Lipari)
Benedetto D'Acquisto (Monreale)
Melchiorre Angelo Lo Piccolo (Nicosia)
Mario Mirone (Noto)
Giovanni Battista Naselli (Palermo)
Michelangelo Celesia (Patti)
Agostino Franco (Piana degli Albanesi)
Cesare Agostino Sajeva (Piazza Armerina)
Angelo Robino (Siracusa)
Vincenzo Ciccolo-Rinaldi (Trapani)
Il plebiscito
«Ad affrettare il compimento dei vostri destini, io scelsi, or sono pochi dì, una via che altri popoli
d'Italia avevano percorsa col plauso d'Europa. E la scelsi perché aveva l'approvazione del
Dittatore, perché guidava ad un patto solenne di conciliazione e di pace, perché non escludeva la
successiva applicazione di un altro principio, che mi ebbe sempre appassionato cultore. Oggi nuovi
casi han cangiato le condizioni dei giorni passati. Bando dunque alle esitanze. Qui si tratta di fare,
colla concordia, la patria. Italiani della Sicilia! dal fondo dell'urna, ove il giorno 21 si deciderà del
vostro avvenire, fate che sorga questo commovente annunzio ai popoli della Penisola: in Sicilia più
non son partiti. Sarà per Garibaldi la miglior prova d'affetto, sarà il mio conforto nel separarmi da
voi». Con queste parole accorate, del 15 ottobre 1860, il prodittatore Mordini dava annuncio alla
popolazione siciliana della convocazione del plebiscito che avrebbe sancito l'annessione al Regno
d'Italia. Quello che sembrava a tutti gli effetti un appello alla pacificazione ed alla concordia,
nascondeva in realtà una complessa trama di rivalità politiche e aspri dibattiti, che avevano
travagliato la Sicilia, proprio in merito alle modalità dell'annessione, praticamente sin dal momento
della proclamazione della dittatura garibaldina, avvenuta il 14 maggio a Salemi (clicca qui per
vedere la Raccolta degli atti del governo dittatoriale e prodittatoriale in Sicilia), appena 3 giorni
dopo lo sbarco dei Mille a Marsala. La conquista della Sicilia, avvenuta manu militari, poneva
infatti la necessità di una ratifica istituzionale che legittimasse, anche diplomaticamente, l'assetto
politico che si era venuto a creare; d'altra parte, però, la storica "peculiarità" del contesto siciliano, e
le prerogative che l'isola aveva da sempre cercato di difendere, e alle quali meno che mai adesso
intendeva rinunciare, richiedevano una particolare cautela nelle modalità con cui l'unione al Regno
d'Italia sarebbe stata attuata: una larga fetta dell'opinione pubblica siciliana, infatti, iniziava a
manifestare il timore che l'annessione si risolvesse in una mera piemontesizzazione dell'isola.
Originale conservato presso Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Dopo un primo periodo di osservazione ed attesa, il problema era divenuto spinoso nel momento in
cui Depretis era stato chiamato ad assumere la prodittatura, il 22 luglio. L'avvocato lombardo non
aveva in realtà alcuna conoscenza del contesto siciliano, e del resto il suo passato da mazziniano -
unito ad una scarsa propensione alle azioni risolute - lo rendevano poco gradito allo stesso Cavour:
la sua nomina, tuttavia, rispondeva alla precisa volontà di condurre l'isola nell'alveo della monarchia
sabauda nel più breve tempo possibile, ed era stato proprio col mandato di affrettare l'annessione
che egli era stato inviato in Sicilia. In effetti, l'opera di Depretis si distingueva immediatamente per
la connotazione squisitamente politica impressa alla prodittatura: così, dopo la promulgazione dello
Statuto albertino (clicca qui per vederne il testo) quale «legge fondamentale della Sicilia», veniva
istituita a Palermo una sezione temporanea del Consiglio di Stato, con il compito di deliberare - in
qualità di corpo consultivo - su tutti gli affari a giudizio del Dittatore; come se ciò non bastasse,
veniva imposto a tutti i funzionari pubblici e agli impiegati civili il giuramento di fedeltà a Vittorio
Emanuele II: si trattava di una politica decisamente annessionista, destinata ad accentuare le
tendenze autonomistiche dell'isola, provocando aspre reazioni. Francesco Ferrara, da Torino, si
preoccupava così di far conoscere direttamente a Cavour le sue perplessità circa un assetto politico
che rischiava seriamente di compromettere gli interessi più stringenti dell'isola; le sue Brevi note
sulla Sicilia, tuttavia, erano destinate a rimanere lettera morta, e addirittura a suscitare la stizzita
replica del primo ministro piemontese che, attraverso il conte Amari, teneva a precisare: «Se l'idea
italiana non ha nessuna influenza in Sicilia, se l'idea di costruir una forte e grande nazione non è
ivi apprezzata, i siciliani faranno bene ad accettare le concessioni del re di Napoli e di non unirsi a
popoli che non avrebbero per loro né simpatia né stima».
Il tono minaccioso di quella replica non valeva, comunque, a smorzare il dibattito, che si faceva
sempre più serrato ad ogni nuovo provvedimento del prodittatore. Sorgeva, così, una poderosa e
quanto mai eterogenea pubblicistica, specchio fedele delle divergenze d'opinione presenti nel
contesto siciliano; i nodi su cui si dibatteva riguardavano non soltanto tempi e condizioni, ma anche
le modalità di espressione del voto: se, cioè, attraverso un plebiscito a suffragio universale, o
piuttosto mediante un'assemblea di rappresentanti del popolo. C'erano, comunque, anche
preoccupazioni di carattere eminentemente economico: era sempre Ferrara a rilevare che le nuove
province annesse in un'amministrazione unificata avrebbero subìto di conseguenza anche il peso del
debito pubblico degli antichi Stati preunitari, e questo a tutto svantaggio di regioni, quali appunto la
Sicilia, che potevano vantare un bilancio in attivo.
Persino tra i moderati unitari, assertori dell'unione immediata ed incondizionata, qualcuno iniziava a
farsi sostenitore dell'opportunità di un'amministrazione particolare per la Sicilia. Lo stesso Amari,
che aveva ricevuto direttamente da Cavour l'incarico di adoperarsi per rendere possibile l'unione
della Sicilia al Regno d'Italia, era fermamente convinto che «dopo una lotta di 45 anni con Napoli,
non si sarebbe potuta togliere alla Sicilia quell'autonomia che godeva sotto il giogo dei Borboni».
In questo contesto, l'operato del prodittatore si faceva ogni giorno più problematico, soprattutto
dopo l'entrata trionfale di Garibaldi a Napoli, il 7 settembre. La conquista della capitale delle Due
Sicilie assumeva infatti i caratteri di un'importante vittoria non solo sul piano militare, ma anche su
quello politico, ed il generale - deciso a proseguire la sua marcia in direzione di Roma - si mostrava
irremovibile circa il rinvio dell'annessione al momento in cui l'unità d'Italia sarebbe stata completa.
Depretis, in questo modo, si ritrovava stretto tra le decisioni garibaldine e le pressioni di Cavour, e
d'altra parte avvertiva con chiarezza il vuoto che si era creato in Sicilia intorno al suo governo: non
gli restava che ammettere il fallimento, e rassegnare le dimissioni dalla sua carica, il 14 settembre
1860.
A sostituirlo era designato Antonio Mordini, scortato a Palermo da un Garibaldi sempre più
determinato a ritardare l'annessione. Arringando la folla festante che li aveva accolti sull'isola, il
generale aveva annunciato: «È a Roma che proclameremo il Regno d'Italia. Là solamente
sanzioneremo la grande unione tra gli uomini liberi e i figli ancora schiavi di questa terra!». La
scelta di Mordini, del resto, era dettata dalla chiara avversione del nuovo prodittatore per la politica
cavouriana: anche a costo di un allontanamento dal suo mentore, Mazzini, l'uomo aveva sviluppato
un profondo rispetto per le autonomie locali e una netta repulsione per qualsiasi forma di
dogmatismo politico, foss'anche quello democratico unitario. C'era di che spaventare la frangia di
annessionisti immediati, che infatti decidevano di inviare una rappresentanza a Torino, in vista
dell'apertura del Parlamento, fissata per il 2 ottobre: lo scopo era quello di presentare un indirizzo al
re, a cui chiedere l'immediata occupazione dell'isola, così come era avvenuto nelle Marche e
nell'Umbria (leggi le valutazioni del deputato Giuseppe Ferrari pronunciate in Parlamento l'8 e l'11
ottobre 1860). La contromossa del Mordini era stata immediata: con la rassicurazione di due
provvedimenti ufficiali che davano alla prodittatura carta bianca sugli affari interni, egli emanava, il
5 ottobre, un decreto che fissava la convocazione dei collegi elettorali per il 21 dello stesso mese,
«ad obietto di eleggere i rispettivi loro deputati»; poi, il 9 ottobre, una nuova disposizione che
stabiliva la convocazione di un'Assemblea di rappresentanti del popolo, a Palermo, il 4 novembre.
In questo modo, alla politica dei plebisciti, adottata dal governo di Torino nell'Italia settentrionale e
centrale, si contrapponeva la libera decisione del popolo attraverso una rappresentanza ben
qualificata: ad essere in discussione non era certo l'unità nazionale, ma le condizioni con cui essa
avrebbe dovuto essere realizzata.
Intanto, la convocazione dei collegi elettorali dava il via a nuovi dibattiti e contrasti, che si facevano
"scottanti" nel momento in cui era reso noto il decreto del prodittatore di Napoli, Giorgio
Pallavicino, che fissava per il 21 ottobre il plebiscito nella città partenopea. Gli annessionisti, a quel
punto, cavalcavano l'onda del timore che l'Assemblea rappresentasse per la Sicilia l'anticamera della
repubblica e dell'anarchia; di più, arrivavano ad ipotizzare che Mordini avesse agito arbitrariamente,
dal momento che a Napoli, dove si trovava Garibaldi, la scelta era andata in favore del plebiscito.
Quelle motivazioni erano particolarmente forti nella parte orientale dell'isola, dove non era assente
una recrudescenza della rivalità dei capoluoghi nei confronti dell'antica capitale siciliana: ci si
preoccupava che la città, divenendo sede di un'Assemblea, crescesse d'importanza a loro danno.
Nella stessa Palermo, tuttavia, le pressioni in direzione del plebiscito avevano come movente il
timore che Napoli, votando secondo i criteri caldeggiati da Torino, assurgesse ad una posizione di
netto vantaggio nei rapporti con il governo Piemontese.
Anche Mordini appariva frastornato per la piega assunta dagli eventi e, in mancanza di precise
direttive da parte di Garibaldi, si vedeva costretto a fare marcia indietro, correggendo la
formulazione dei decreti di ottobre: «in luogo di procedere alla elezione dei deputati, dovranno
votare per plebiscito sulla seguente proposizione - "Il popolo siciliano vuole l'Italia una e
indivisibile con Vittorio Emanuele Re costituzionale e suoi legittimi discendenti?"». Il prodittatore
non rinunciava comunque ad una certa rivalsa, istituendo, il 19 ottobre, un Consiglio di Stato
straordinario, con l'incarico di studiare e proporre le istituzioni più adatte a conciliare i bisogni della
Sicilia con quelli della nazione italiana (clicca qui per leggere la Relazione del Consiglio). Quel
consiglio aveva comunque un carattere meramente consultivo, e del resto le sorti della Sicilia
apparivano ormai ampiamente decise, se il 15 ottobre - ad una settimana dalle consultazioni
elettorali - veniva emanato un decreto che recitava: «il Dittatore Garibaldi dichiara che le Due
Sicilie fanno parte integrante dell'Italia, e che egli deporrà la Dittatura nelle mani de Re».
Questo non impediva l'avvio di una serrata campagna d'opinione a favore del sì, particolarmente
intensa nel contesto siciliano.
L'esplosione delle insurrezioni popolari e la
lotta per il potere locale «A' Siciliani. Chi è Siciliano ed ha un cuore tosto che saprà l'ora che suonerà per noi, la quale è
troppo imminente, imbrandisca le armi e, da qualunque punto ov'ei si trovi, corra o solo o a
squadre pel paese che gli sarà indicato per piombare sulla città che bisognerà espugnare colla
forza. Sarà capo della banda dei singoli paesi chi se ne sentirà la mente ed il cuore, e gli sarà
cassa per occorrere ai bisogni quella de' Percettori e Ricevitori - dietro una esatta consegna
risponderà egli di ogni menoma spesa. Ogni paese resti tranquillo sotto l'assoluta volontà di un
solo che scelto dal popolo non avrà altra missione che far tacere i partiti, impedire, che si versi
goccia di sangue, ed avvertire per espressi qualunque movimento militare gli sarà a conoscenza.
Quantunque le truppe napolitane hanno capito nel maggior numero che dovendo scegliere o
l'infamia e la morte, o la gloria e la fortuna, bisogna loro sposare la causa, nella quale solo da
Italiani possano sperare, se per uscire all'aperto abbandoneranno i paesi da essi presidiati, e questi
si sentiranno di poter abbattere le rimaste, insorgano e vadano ad incontrare i loro fratelli, che per
loro soltanto avranno scelti i maggiori sacrifizi nelle campagne. Da tutti ed in ogni punto poi si
deve intendere a ritardare i movimenti delle milizie, ed armarvi delle loro armi ed abiti. Ogni fatto
che infrange le nostre leggi di virtù sarà punito colla morte. I principi della più santa virtù, le
Potenze dominatrici del mondo, e Dio sia con noi». L'invito all'azione era del 1860, e proveniva da
uno di quei comitati segreti nati in Sicilia già all'indomani del fallimento dei moti del 1848. L'arrivo
di Garibaldi aveva poi dato nuova linfa all'attività cospirativa, rendendo possibile quell'infuocato
effluvio di parole e di iniziative. Nella primavera del 1860 tutta l'isola assisteva infatti ad una
profonda crisi militare ed istituzionale, che la gettava in una difficile fase di transizione, tra il crollo
del vecchio regime e la nascita di una nuova compagine statale. Fra le pieghe di quel processo si
annidavano dei vuoti di potere che le classi dirigenti isolane erano ansiose di occupare, scatenando
aspri conflitti e lotte intestine. In alcuni casi, esse si innestavano nell'alveo del conflitto di classe,
collegato alla più antica e complessa questione demaniale, destinata ad acuirsi dopo l'emanazione
del decreto garibaldino del 2 giugno e a sfociare in vere e proprie jacquerie: Bronte, Biancavilla,
Alcara Li Fusi erano tutti esempi di questo paradigma.
In altri casi, tuttavia, lo scontro si collocava invece in un ambito squisitamente politico - legato cioè
alla gestione del potere locale - e aveva come protagoniste le èlites cittadine, che avvertivano
adesso, tra le deboli maglie del nuovo Stato, il prepotente bisogno di rimodularsi all'interno dello
spazio che si era venuto a creare, cogliendo in pieno le inedite possibilità di governance che si erano
aperte dopo la liberazione dell'isola. Si trattava di ri-utilizzare forme e mezzi di governo che erano
stati sperimentati già nel 1848, cercando però di non commettere gli stessi errori di allora; insomma,
fare il '48 senza rifare il '48: l'uso della stampa, l'attribuzione delle cariche municipali, la gestione
dell'ordine pubblico erano così strumenti fondamentali attraverso cui provare a garantirsi la
leadership dell'amministrazione, e da questa trarre, ove possibile, vantaggi personali. In questi casi -
spicca su tutti l'esempio della Sicilia sud-orientale - la dicotomia tra comunisti (intesi come coloro i
quali rivendicavano la divisione delle terre demaniali) e usurpatori, così significativa nei contesti
etnei, si sovrapponeva o si sostituiva alla più nobile contrapposizione tra moderati e democratici,
egualmente interessati a guidare l'annessione della Sicilia al nuovo Stato, naturalmente
con forme e tempi profondamente diversi tra loro.
Principale bibliografia di riferimento:
- Canciullo G., Terra e potere. Gli usi civici nella Sicilia dell'Ottocento, Catania 2002;
- Poidomani G., Senza la Sicilia l'Italia non è nazione. La Destra storica e la costruzione dello
Stato (1861-1876), Acireale-Roma 2009;
- Romano S.F., Momenti del Risorgimento in Sicilia, Messina-Firenze 1952.
Gli epicentri delle rivolte
ACIREALE
ALCARA LI FUSI
ALTAVILLA
BARONIA
BIANCAVILLA
BRONTE
CASTIGLIONE
CENTURIPE
CERAMI
CESARO'
CORLEONE
LINGUAGLOSSA
MALETTO
MIRABELLA
MIRTO
MODICA
MONTEMAGGIORE
NICOSIA
NISSORIA
NOTO
PACE
PARCO
PATTI
PEDARA
RACALMUTO
RANDAZZO
REGALBUTO
SAN FILIPPO DI AGIRA
TORRETTA
TRECASTAGNI
TUSA
VALLELUNGA
Vincitori
I Mille
«Nella tenda di Achille c'era una lira, e c'era un'arpa nella tenda di Giuda Maccabeo; Orlando
scriveva in versi a Carlo Magno; Federico II dedicava odi a Voltaire. Gli eroi sono poeti. Anche lei
lo dimostra». Così, in una commossa lettera del 20 gennaio 1868, Victor Hugo si rivolgeva a
Giuseppe Garibaldi. Lo sguardo dello scrittore romantico leggeva la spedizione dei Mille come una
straordinaria epopea e osservava i suoi protagonisti come i vati che l'avevano resa memorabile. Ma
chi furono i Mille? Anime elette ad un più alto sentire, «una legione formidabile e quasi fatata», per
dirla con Abba (clicca qui per leggere il brano I Mille di Giuseppe Cesare Abba), o uomini comuni
che sceglievano l'esperienza del volontariato militare per ragioni di riscatto sociale, oltre che per il
bene della patria?
Il primo passo verso la scoperta del variegato mondo dei Mille è la lettura dei loro nomi (vedi in
fondo per leggere l'elenco dei Mille nella scheda Mille nomi).
Nell'aprile 1861 venne istituita una Commissione, composta dai generali Vincenzo Orsini e
Francesco Stocco, dall'intendente generale Giovanni Acerbi, dai colonnelli Giuseppe Dezza,
Guglielmo Cenni, Benedetto Cairoli, dal tenente Giorgio Manin, dai maggiori Luigi Miceli,
Antonio Della Palù e Giulio Emanuele De Cretsckmann, dai capitani Francesco Curzio e Davide
Uziel e dai deputati Salvatore Calvino e Achille Argentino, con l'incarico di comporre un Ruolo
nominativo dei pensionati fra coloro che erano sbarcati a Marsala.
Nel 1864 nel bollettino n. 21 delle nomine e promozioni venne compilata una nuova lista, curata dal
Ministero della Guerra, in base alla quale furono concesse le pensioni, e completata solo nel 1877,
dopo un'inchiesta informativa. L'elenco definitivo venne pubblicato il 12 novembre 1878 in un
supplemento (vedi in fondo) alla "Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia" (vedi in fondo).
La prima domanda da porsi scorrendo le pagine dell'elenco dei Mille è: da dove provenivano?
I 1087 patrioti che sbarcarono a Marsala l'18 maggio 1860 erano in maggioranza lombardi, 435, di
cui 180 bergamaschi, più di 300 tra veneti e liguri, 78 erano i toscani, 31 i siciliani e 25 i napoletani
(vedi in fondo per visualizzare il grafico sulla provenienza geografica dei Mille Mille regioni). Ad
un'attenta analisi di quei dati si comprende come una certa familiarità pregressa nel mondo della
militanza armata fosse decisiva nella scelta di partire: molti erano infatti coloro che uscivano
dall'esperienza dei Cacciatori delle Alpi nella seconda guerra di indipendenza, primo tentativo di
organizzazione sistematica di un corpo di volontari
Erano uomini cresciuti in città: a Bergamo, a Milano, a Pavia, a Genova, a Venezia, a Livorno
avevano sentito parlare della nuova campagna di arruolamento messa in piedi da Agostino
Bertani e si erano precipitati a Villa Spinola non appena era corsa voce che Giuseppe
Garibaldi, già mitico condottiero, li avrebbe guidati. Dunque era l'ambiente urbano il milieu
in cui prendevano forma le istanze di partecipazione dei garibaldini, grazie alla presenza delle
Università, molti erano gli studenti che si arruolarono, e alla circolazione di giornali e idee nei
gabinetti letterari, nei caffè e persino nelle botteghe. Giovani dunque, entusiasti e pronti a
mettersi in gioco.
Il più piccolo tra i Mille era Giuseppe Marchetti, nato a Chioggia il 24 agosto 1849, ma
residente a Napoli, che, non ancora undicenne, aveva preteso di accompagnare il padre Luigi.
Di donna ce n'era una sola, Rosalie Montmasson, al seguito dell'illustre marito, Francesco
Crispi. Due erano i deputati al parlamento subalpino, Giuseppe Sirtori e lo stesso Garibaldi,
due gli ufficiali dell'esercito sardo, il marchese Gaspare Trecchi e l'ungherese Stefano Türr.
Passati alla storia come le camice rosse, in realtà indossavano le divise più disparate e non
mostravano alcuno scrupolo ad indossare l'uniforme turchese sabauda. Giuseppe Bandi ne I
Mille da Genova a Capua affida alla penna ritratti indimenticabili di quella variopinta
comitiva: cappelli a cilindro, berretti all'Ernani, grandi falde di feltro con piuma di struzzo su
volti barbuti, e poi gli abiti da canonici dei tre religiosi spretati, i vestiti alla moda dei più
giovani lombardi, indumenti da viaggio, vecchi soprabiti, palandrane scure e costumi da
marinaio.
Giuseppe Abba non era l'unico scrittore fra i Mille: c'erano ad esempio Francesco
Dall'Ongaro e Ippolito Nievo. Ma tanti erano anche gli scrittori che seguivano dall'esterno la
spedizione: faceva parte del piano di costruzione del mito dare visibilità alla missione
affidandosi a giornalisti italiani e stranieri. Tra questi merita una menzione speciale
Alexandre Dumas, il celeberrimo romanziere francese, che seguì le vicende del 1860 nei panni
del corrispondente per alcuni periodici d'oltralpe: «Le constitutionnel», «La presse» e «Le
siècle». Con una straordinaria capacità affabulatrice, così descrisse l'entusiasmo garibaldino
all'indomani della presa Palermo: «E quelli con le camicie rosse, che corrono qua e là a
cavallo, a piedi, che vengono abbracciati, a cui si stringe la mano, a cui si sorride: quelli sono i
salvatori; quelli sono gli eroi!»
Ma l'impegno di fissare la vivacità dello spirito di quegli uomini nella memoria collettiva non
fu affidato soltanto al taccuino degli scrittori. Sui giornali illustrati vennero pubblicati
innumerevoli ritratti dei protagonisti della rivoluzione, molti dei quali divennero delle vere e
proprie celebrità. Al seguito dei Mille c'era persino un vero e proprio fotoreporter,
Alessandro Pavia, autore dell'Album dei Mille, una galleria di eroi, monumento
straordinariamente moderno a quella che già allora era considerata un'impresa epocale.
Tanta fama e tanta gloria non potevano che riservare un destino luminoso a coloro che
potevano essere considerati i seguaci della prima ora di Giuseppe Garibaldi.
Mille nomi 1. ABBA, Giuseppe Cesare, di Giuseppe, Cairo Montenott, Savona 2. ABBAGNOLE, Giuseppe, di Melchiorre, Casola, Napoli 3. ABBONDANZA, Domenico, di Giuseppe, Genova 4. ACERBI, Giovanni, Giovanni, di Castel Goffredo, Mantova 5. ADAMOLI, Carlo, di Francesco, Milano 6. AGAZZI, Luigi Isaia, di Alessandro, Bergamo 7. AGRI, Vincenzo, Firenze 8. AIRENTA, Gerolamo, di Giovanni Battista, Rossiglione, Genova 9. AJELLO, Giuseppe, di Giusto, Palermo 10.ALBERTI, Clemente, di Arcangelo, Carugate, Monza 11. ALESSIO, Giuseppe 12. ALFIERI, Benigno, di Luigi, Bergamo 13. ALPRON, Abramo Isacco, di Giacobbe, Padova 14.AMATI, Fermo Ferdinando Federico, di Giovanni, Bergamo 15. AMISTANI, Giovanni, di Angelo, Brescia 16.ANDREETTA, Domenico, di Benedetto, Porto Buffoli, Treviso 17. ANDREOTTI, Luigi, di Francesco, San Terenzo al mare Sarzana, Lerici 18.ANFOSSI, Francesco, di Giuseppe, Nizza 19.ANTOGNINI, Alessandro, di Gaetano, Milano 20.ANTOGNINI, Carlo, di Gaetano, Milano 21. ANTOGNOLI, Federico, di Decio, Bergamo 22.ANTONELLI, Giovanni, di Arcangelo, Pedona, Lucca 23.ANTONELLI, Stefano, di Francesco, Saiano, Brescia 24.ANTONINI, Marco, di Pietro, Friuli, Udine 25.ARCANGELI, Febo, di Angelo, Sarnico, Bergamo 26.ARCANGELI, Isacco, di Bartolo, Sarnico, Bergamo 27.ARCARI, Santo Luigi, di Angelo, Cremona 28.ARCHETTI, Giovanni Maria, di Giacomo, Iseo, Brescia 29.ARCONATI, Rinaldi, di Enrico, Milano 30.ARETOCCA, Ulisse 31. ARGENTINO, Achille, di Raffaele, Sant'Angelo de' Lombardi 32.ARMANI, Antonio, di Francesco, Riva di Trento 33.ARMANINO, Giovanni, di Girolamo, Genova 34.ARMELLINI, Bartolo, di Antonio, Vittorio, Treviso 35.ARTIFONI, Pietro, di Antonio, Bergamo 36.ASCANI, Zelindo, di Girolamo, Montepulciano 37.ASPERTI, Pietro Giovanni Battista, di Giovanni, Bergamo 38.ASPERTI, Vito Luigi, di Giovanni, Bergamo 39.ASTENGO, Angelo, di Giovanni Battista, Albissola Marina, Genova 40. ASTORI, Felice, di Giovanni, Bergamo 41.AZZI, Adolfo, di Agostino, Trecenta Polesine, Veneto
42.AZZOLINI, Carlo 43.BACCHI, Luigi, di Angelo, Parma 44. BADARACCHI, Alessandro, di Giuseppe, Marciano 45.BADERNA, Carlo Luigi, di Ferdinando, Piacenza 46. BADINI, Ario, di Pietro, Parma 47.BAICE, Giuseppe, di Sebastiano, Magre', Vicenza 48. BAIGNERA, Crescenzio, di Francesco, Gardone, Brescia 49. BAIOCCHI, Pietro, di Andrea, Atri 50.BAJ, Luigi, di Gaetano, Lodi 51. BALBONI, Antonio, Davide, di Giovanni, Cremona 52.BALDASSARI, Angelo, di Felice, Sale Marasino Iseo, Brescia 53.BALDI, Francesco, di Francesco, Pavia 54.BALICCO, Enrico, di Carlo, Bergamo 55.BANCHERO, Emanuele, di Luigi, Savona 56.BANCHERO, Carlo, Genova 57.BANDI, Giuseppe, di Agostino, Giuncarico, Grosseto 58.BARABINO, Tommaso, di Carlo, Genova 59.BARACCHI, Girolamo, di Antonio, Brescia 60. BARACCHINO, Luigi Andrea, di Domenico, Livorno 61.BARACCO, Giuseppe, di Vincenzo, Finalmarina, Genova 62.BARATIERI, Oreste, di Domenico, Trento 63.BARBERI, Enrico, di Melchiorre, Castelletto sopra Ticino, Novara 64. BARBERI, Giovanni, di Luigi, Castelletto sopra Ticino, Novara 65.BARBESI, Alessandro, di Gaetano, Verona 66. BARBETTI, Fortunato Bernardo, di Giuseppe, Brescia 67.BARBIERI, Innocente, di Giuseppe, Brescia 68.BARBIERI, Gerolamo, di Giovanni Battista, Bussolengo, Verona 69. BARBOGLIO, Giuseppe, di Pietro, Brescia 70.BARONI, Giuseppe, di Giuseppe, Bergamo 71. BARUFFALDI, Tranquillino, di Alfonso, Barbio, Como 72.BARUFFI, Stefano, di Santino, Vignate, Gorgonzola 73.BASSANI, Giuseppe Antonio, di Paolo, Chiari, Brescia 74.BASSANI, Enrico Napoleone, di Giuseppe, Ponte San Pietro, Bergamo 75.BASSINI, Angelo, di Giacomo, Pavia 76.BASSO, Giovanni Battista, Onorato, Nizza 77.BAZZANO, Domenico, di Salvatore, Palermo 78.BECCARELLI, Pietro, di Emanuele, Saturnana, Pistoia 79.BECCARIO, Domenico Lorenzo, di Giuseppe, Genova 80. BEDESCHINI, Francesco, di Giuseppe, Burano, Veneto 81. BEFFANIO, Alessandro, di Giacomo, Padova 82.BELLAGAMBA, Angelo, di Francesco, Genova 83.BELLANDI, Giuseppe, di Giuseppe, Brescia 84. BELLANTONIO, Francesco, di Giuseppe, Reggio Calabria
85.BELLENO, Giuseppe Nicolo', di Paolo, Genova 86.BELLINI, Antonio, di Vincenzo, Verona 87.BELLISIO, Luigi, di Pietro, Genova 88.BELLISOMI, Aurelio, di Pio, Milano 89.BELLONI, Ernesto, di Giovanni Battista, Treviso 90. BENEDINI, Gaetano, di Luigi, Mantova 91.BENESCHI, Ernesto, di Giovanni Battista, Butrchowtz 92.BENSAIA, Nicolo', di Salvatore, Messina 93.BENSAIA, Giovanni Battista, di Salvatore, Messina 94. BENVENUTI, Raimondo, di Ernesto, Orbetello 95.BENVENUTO, Bartolomeo, di Antonio, Genova 96. BERARDI, Giovanni Maria, di Francesco, Brescia 97.BERETTA, Giacomo, di Giovanni, Bazzano, Lecce 98.BERETTA, Edoardo, di Felice, Pavia 99. BERGANCINI, Germano Giacomo, di Carlo, Livorno 100. BERINO, Michele, di Michele, Barge, Cuneo 101. BERIO, Emanuele, di Angelo, Angola, Africa 102. BERNA, Giovanni, di Cristiano, Treviso 103. BERTACCHI, Lucio Mario, di Luigi, Bergamo 104. BERTHE, Ernesto, di Giuseppe, San Giovanni alla Castagna, Como 105. BERTI, Enrico, Vicenza 106. BERTINI, Giuseppe, di Francesco, Livorno 107. BERTOLOTTO, Giovanni Battista, di Francesco, Genova 108. BERTOZZI, Giovanni Battista, di Antonio, Pordenone, Friuli 109. BETTINELLI, Giacomo, di Pasquale, Bergamo 110. BETTONI, Faustino, Mologno, Bergamo 111.BEVILACQUA, Alessandro, di Francesco, Montagnola, Ancona 112. BEZZI, Egisto, di Giovanni Battista, Cusiana Osfama, Trentino 113. BIANCHI, Ferdinando Martino, di Carlo, Bergamo 114. BIANCHI, Luigi, di Francesco, Cermanate, Como 115. BIANCHI, Luigi Pietro, di Francesco, Pavia 116. BIANCHI, Ferdinando, di Costantino, Bergamo 117. BIANCHI, Angelo, di Gaetano, Milano 118. BIANCHI, Achille Maria, di Giovanni, Bergamo 119. BIANCHI, Girolamo, di Felice, Caronno, Como 120. BIANCHINI, Massimo, di Giovanni, Livorno 121. BIANCO, Francesco, di Santo, Catania 122. BIFFI, Luigi Adolfo, di Ermenegildo, Caprino, Verona 123. BIGANSOLA, Cesare 124. BIGNAMI, Claudio, di Carlo, Pizzighettone, Cremona 125. BISI, Giovanni Battista, di Domenico, Legnago, Verona 126. BIXIO, Nino, di Tommaso, Genova 127. BOARETTO, Loredano, di Giovanni Battista, Bovolenta di sopra,
Padova 128. BOASI, Stefano, di Enrico, Genova 129. BOGGIANO, Ambrogio, di Giacomo, Genova 130. BOLDRINI, Cesare, Pietro, di Castellaro, Mantova 131. BOLGIA, Giovanni, di Nicolo', Orbetello, Grosseto 132. BOLIS, Luigi, di Carlo, Bergamo 133. BOLLANI, Francesco, di Giovanni Battista, Carzago, Lonato Brescia 134. BONACINA, Luigi, di Angelo, Bergamo 135. BONAFEDE, Giuseppe, di Domenico, Gratteri, Cefalu' 136. BONAFINI, Francesco, di Francesco, Mantova 137. BONAN-RANIERI, Tertulliano, di Fioravante, Acquaviva, Livorno 138. BONANONI, Giacomo, di Pietro, Como 139. BONARDI, Carlo, di Giovanni Maria, Iseo, Brescia 140. BONDUAN, Pasquale, di Valentino, Mestre, Veneto 141. BONETTI, Francesco, di Giovanni, Zogno, Bergamo 142. BONI, Fedele, di Giovanni, Modena 143. BONI, Francesco Alessandro, Credo in Dio, Brescia 144. BONINO, Giacomo, di Michele, Genova 145. BONSIGNORI, Eugenio, di Francesco, Montirone, Brescia 146. BONTEMPELLI, Carlo, di Pietro, Bergamo 147. BONTEMPO, Giudeppe Rinaldo, di Nicolo', Orzinovi, Brescia 148. BONVECCHI, Luigi, di Pacifico, Treja, Macerata 149. BONVICINI, Federico, di Gaetano, Legnago 150. BORCHETTA, Giuseppe, di Tommaso, Mantova 151. BORDINI, Giovanni, di Pietro, Padova 152. BORETTI, Ercole, Siro, Pavia 153. BORGAMAINERI, Carlo Pietro, di Pietro, Milano 154. BORGOGNINI, Ferdinando, di Francesco, Firenze 155. BORRI, Antonio, di Lorenzo, Rocca Strada, Grosseto 156. BORSO, Antonio, di Antonio, Padova 157. BOSCHETTI, Giovanni Battista, di Pietro, Covo, Treviglio 158. BOSSI, Carlo, di Filippo, Como 159. BOTTACCI, Salvatore, di Antonio, Orbetello 160. BOTTAGISI, Martiniano, di Gaetano, Bergamo 161. BOTTAGISI, Luigi Enrico Agostino, di Carlo, Bergamo 162. BOTTAGISI, Cesare, di Carlo, Bergamo 163. BOTTARO, Vincenzo, Genova 164. BOTTERO, Giuseppe Ernesto, di Luigi, Genova 165. BOTTICELLI, Giovanni, di Bartolo, Brescia 166. BOTTONE, Vincenzo, di Melchiorre, Palermo 167. BOVI, Paolo, di Antonio, Bologna 168. BOZZANI, Eligio, di Pietro, Fontanellate
169. BOZZANO, Domenico, di Salvatore, Palermo 170. BOZZETTI, Romeo, di Francesco, S. Martino Beliseto, Cremona 171. BOZZO, Giovanni Battista, Genova 172. BOZZOLA, Candido, di Andrea, Legnago 173. BRACA, Ferdinando, di Giovanni, Montanare, Cortona Arezzo 174. BRACCINI, Gustavo Giuseppe, di Giovanni, Livorno 175. BRACCO, Giuseppe, di Francesco, Palermo 176. BRAICO, Cesare, di Bartolomeo, Brindisi 177. BRAMBILLA, Prospero, di Prospero, Bagnatica, Bergamo 178. BRESCIANI, Pietro Giuseppe, di Silvio, Andrara San Martino, Sarnico 179. BRIASCO, Vincenzo, di Giuseppe, Genova 180. BRISSOLARO, Giovanni Edoardo, di Giovanni, Bergamo 181. BRUNIALTI, Giovanni Battista, di Antonio, Poiana, Vicenza 182. BRUNTINI, Pietro, di Pietro, Bergamo 183. BRUZZESI, Giacinto, di Lelio, Cervetri 184. BRUZZESI, Filippo, di Lelio, Torrita 185. BRUZZESI, Pietro, di Raffaele, Civitavecchia 186. BUFFA, Emilio, di Paolo, Ovada, Novi 187. BULGHERESI, Iacopo, di Giuseppe, Livorno 188. BULLO, Luigi, di Antonio, Chioggia, Venezia 189. BURATTINI, Carlo, Domenico, Ancona 190. BURLANDO, Antonio, di Andrea, Genova 191. BUSCEMI, Vincenzo, di Antonio, Palermo 192. BUTTI, Alessandro, di Giacomo, Bergamo 193. BUTTINELLI, Giuseppe, di Gaetano, Viggiu', Varese 194. BUTTINONI, Francesco, di Francesco, Treviglio, Bergamo 195. BUTTIRONI, Emilio, di Vincenzo, Suzzara, Mantova 196. BUTTURINI, Antonio, di Pietro, Pescantina, Verona 197. BUZZACCHI, Giovanni, di Benedetto, Medole, Castiglione di Stiv. 198. CACCIA, Ercole, di Giuseppe, Bergamo 199. CACCIA, Carlo, di Giuseppe, Monticelli d'Oglio, Brescia 200. CADEI, Ferdinando, di Giacomo, Calepio, Bergamo 201. CAFFERATA, Francesco, di Francesco, Genova 202. CAGNETTA, Domenico, di Antonio, Pavia 203. CAIROLI, Benedetto Angelo, di Carlo, Pavia 204. CAIROLI, Carlo Benedetto Enrico, di Carlo, Pavia 205. CALABRESI, Pietro, di Luigi Martino, Carteno Breno, Brescia 206. CALAFIORE, Michele, di Francesco, Fiumara, Calabria 207. CALCINARDI, Giovanni, di Andrea, Brescia 208. CALDERINI, Ercole Enrico, di Antonio, Bergamo 209. CALONA, Ignazio, di Giovanni Battista, Palermo 210. CALVINO, Salvatore, di Giuseppe, Trapani
211. CALZONI, Secondo, di Andrea, Bione, Salo' Brescia 212. CAMBIAGGIO, Biagio, di Andrea, Polcevera, Genova 213. CAMBIAGHI, Giovanni Battista, di Felice, Monza 214. CAMBIASO, Gaetano, di Antonio, Campomorone, Genova 215. CAMELLINI, Giuseppe, di Natale, Reggio Emilia 216. CAMICI, Venanzio, di Antonio, Colle di Val d'Elsa 217. CAMPAGNOLI, Giuseppe Carlo, di Antonio, Pavia 218. CAMPANELLO, Antonio, di Gaspare, Palermo 219. CAMPI, Giovanni, di Giuseppe, Monticelli d'Ongina 220. CAMPIANO, Bartolomeo, di Lorenzo, Genova 221. CAMPO, Achille, di Antonio, Palermo 222. CAMPO, Giuseppe, di Antonio, Palermo 223. CANDIANI, Carlo Antonio, di Giovanni Battista, Milano 224. CANEPA, Giuseppe, di Angelo, Genova 225. CANESSA, Bartolomeo, di Benedetto, Rapallo, Genova 226. CANETTA, Francesco, di Domenico, Oggebbia, Pallanza 227. CANFER, Pietro, di Giovanni Battista, Bergamo 228. CANINI, Cesare, di Giuseppe, Sarzana, Genova 229. CANNONI, Girolamo, di Giovanni, Grosseto 230. CANTONI, Angelo, di Fernandino, Mezzani, Parma 231. CANTONI, Lorenzo, di Geremia, Parma 232. CANZIO, Stefano, di Michele, Genova 233. CAPELLETTO, Giuseppe Maria, di Pietro, Venezia 234. CAPITANIO, Giuseppe, di Luigi, Bergamo 235. CAPURRO, Giovanni Battista, di Giovanni Batttista, Genova 236. CAPURRO, Giovanni, di Agostino, Genova 237. CAPUZZI, Giuseppe, di Stefano, Lonato, Brescia 238. CARABELLI, Daniele, di Domenico, Gallarate, Milano 239. CARAVAGGI, Michele, di Carlo, Chiari, Brescia 240. CARBONARI, Raffaele, di Domenico, Catanzaro, Calabria 241. CARBONARI, Lorenzo, di Santo, Ancona 242. CARBONE, Francesco, di Giovanni, Genova 243. CARBONE, Luigi, di Girolamo, Sestri Ponente, Genova 244. CARBONELLI, Vincenzo, di Pietro, Secondigliano, Napoli 245. CARDINALE, Natale, di Girolamo, Genova 246. CARETTI, Antonio, di Angelo, Milano 247. CARINI, Giacinto, di Giovanni, Palermo 248. CARINI, Giuseppe, di Luigi, Pavia 249. CARINI, Gaetano, di Francesco, Corteolona, Pavia 250. CARIOLATI, Domenico, di Nicolo', Vicenza 251. CARMINATI, Agostino Giovanni Bernardo, di Giovanni, Bergamo 252. CARPANETO, Francesco, di Andrea, Genova 253. CARRARA, Giuseppe Antonio Luigi, di Giuseppe, Bergamo
254. CARRARA, Cesare, di Pietro, Treviso 255. CARRARA, Antonio Pietro Giulio, di Bellobuono, Bergamo 256. CARRARA, Giuseppe Santo, di Natale, Bergamo 257. CARTAGENOVA, Filippo, di Giovanni Battista, Genova 258. CASABONA, Antonio, di Giacomo, Genova 259. CASACCIA, Enrico Raffaele, di Girolamo, Genova 260. CASACCIA, Bartolomeo Emanuele, di Andrea, Genova 261. CASALI, Alessandro, di Vincenzo, Pavia 262. CASALI, Enrico, di Vincenzo, Pavia 263. CASANELLO, Tommaso, di Pietro, Genova 264. CASASSA, Niccolo’, di Filippo, Isola Ronco Scrivia, Genova 265. CASIRAGHI, Alessandro, di Vincenzo, Milano 266. CASTAGNA, Pietro, di Agostino, Santa Lucia, Verona 267. CASTAGNOLA, Domenico, di Giuseppe, Genova 268. CASTAGNOLI, Pasquale Natale, di Antonio, Livorno 269. CASTALDELLI, Guido, di Giacomo, Massa Superiore, Veneto 270. CASTELLANI, Egisto, di Carlo, Milano 271. CASTELLAZZI, Antonio, di Osvaldo, Gosaldo, Veneto 272. CASTELLINI, Francesco Maria, di Angelo, Spezia, Genova 273. CASTIGLIA, Salvatore, di Francesco, Palermo 274. CASTIGLIONE, Cesare, di Luca, Tradate, Como 275. CATTANEO, Bartolomeo, di Francesco, Gravedona, Como 276. CATTANEO, Angelo Giuseppe, di Davide, Antignate Treviglio, Bergamo 277. CATTANEO, Angelo, Alessandro, di Pietro, Bergamo 278. CATTANEO, Francesco, di Michelangelo, Novi, Genova 279. CATTONI, Telesforo, di Federico, Tabellano, Mantova 280. CAVALLERI, Gervaso Giuseppe Mario, di Antonio, Milano 281. CAVALLI, Luigi, di Francesco, Sannazzaro 282. CECCARELLI, Vincenzo, di Luigi, Roma 283. CECCHI, Silvestro, di Giovanni, Livorno 284. CEI, Giovanni, di Angelo, Livorno 285. CELLA, Giovanni Battista, di Giorgio, Udine 286. CENGIAROTTI, Santo, Michele, di Caldiero, Verona 287. CENNI, Guglielmo, Lorenzo, di Comacchio, Ferrara 288. CEREA, Celestino, di Francesco, Bergamo 289. CERESETO, Angelo, di Giovanni Battista, Genova 290. CERIBELLI, Carlo, di Gaetano, Bergamo 291. CERVETTO, Maria Stefano, di Domenico, Genova 292. CEVASCO, Bartolomeo, di Giuseppe, Genova 293. CHERUBINI, Pasquale, di Giovanni, S. Stefano di Piovene, Vicenza 294. CHIESA, Giuseppe, di Camillo, Borgo Ticino, Pavia 295. CHIESA, Liborio, di Daniele, Milano
296. CHIOSSONE, Vincenzo, di Paolo, Messina 297. CHIZZOLINI, Camillo, di Carlo, Marcaria, Cremona 298. CIACCIO, Alessandro, di Giuseppe, Palermo 299. CICALA, Ernesto, di Giovanni, Genova 300. CIOTTI, Marziano, di Valentino, Gradisca 301. CIPRIANI, Augusto Cesare, di Giovanni, Firenze 302. CIPRIANI, Bonaventura, di Michele, Godega, Veneto 303. COCCHELLA, Stefano, di Antonio, Genova 304. COCOLO, Giuseppe, di Giovanni Battista, Conegliano, Veneto 305. COELLI, Carlo, di Giovanni, Castel Leone, Cremona 306. COGITO, Guido, di Giuseppe, Acqui, Piemonte 307. COLLI, Antonio 308. COLLI, Gaetano, di Agostino, Bologna 309. COLLINI, Angelo, di Giovanni Antonio, Mantova 310. COLOMBI, Luigi Alberto, di Arcangelo, Misano, Mantova 311. COLOMBO, Girolamo Quintilio, di Natale, Bergamo 312. COLOMBO, Donato, di Abramo, Ceva, Mondovi' 313. COLPI, Giovanni Battista, di Giovanni, Padova 314. COMI, Cesare, di Giovanni, Trescorre, Bergamo 315. CONTI, Carlo, di Bartolo, Bergamo 316. CONTI, Demetrio, di Zefirino, Loreto, Ancona 317. CONTI, Luigi, di Fermo, Sondrio 318. CONTI, Lino, di Defendente, Brescia 319. CONTRO, Silvio, di Luigi, Cologna, Verona 320. COPELLO, Enrico, di Carlo, Genova 321. COPLER, Giuseppe, di Angelo, Tagliuno, Bergamo 322. COPOLLINI, Achille, di Luigi, Napoli 323. CORBELLINI, Antonio Giuseppe, di Angelo, Borgarello, Pavia 324. CORINI, Paolo, di Luigi, Pavia 325. CORONE MARCHI, Marco, di Giacomo, Zoldo, Belluno 326. CORTESI, Francesco, di Giovanni Battista, Sala Baganza, Parma 327. CORTI, Francesco, di Giacomo, Bergamo 328. COSSIO, Valentino, di Niccolo', Talmassons, Veneto 329. COSSOVICH, Marco, di Giuseppe, Venezia 330. COSTA, Giuseppe, di Giovanni, Genova 331. COSTA, Giacomo, di Domenico, Rovereto 332. COSTA, Giuseppe, di Pietro, Genova 333. COSTELLI, Massimiliano, di Gabriele, Reggio Emilia 334. COSTION, Gaetano, di Antonio, Portogruaro, Veneto 335. COVA, Giovanni, di Innocenzo Milano 336. COVOLI, Giuseppe Romeo, di Marco, Bergamo 337. CREMA, Angelo Enrico, di Luigi, Cremona 338. CRESCINI, Giovanni Battista, Ludriano, Brescia
339. CRESCINI, Riccardo Paolo, di Giuseppe, Bergamo 340. CRISPI, Francesco, di Tommaso, Ribera, Girgenti 341. CRISPI MONTMASSON, Rosalia, di Gaspare, S. Zoriz, Annecy 342. CRISTIANI, Cesare, di Ferdinando, Livorno 343. CRISTOFOLI, Giacomo, di Cesare, Clusone, Bergamo 344. CRISTOFOLI, Pietro Angelo, di Filippo, San Vito al Tagliamento, Friuli 345. CRUCIANI, Giovanni, di Antonio, Foligno 346. CRUTI, Francesco, Palermo 347. CUCCHI, Luigi Francesco, di Antonio, Bergamo 348. CURTOLO, Giovanni, di Domenico, Feltre, Belluno 349. CURZIO, Francesco Raffaele, di Francesco, Turi 350. D'ANCONA, Giuseppe, di Isacco, Venezia 351. DACCO', Luigi, di Pietro, Marcignago, Pavia 352. DAGNA, Pietro, di Giuseppe, Pavia 353. DALL'ARA, Carlo, di Giuseppe, Rovigo, Veneto 354. DALL'OVO, Enrico, di Luigi, Ermenegildo, Bergamo 355. DALMAZIO, Antonio 356. DAMELI, Pietro, di Giovanni Battista, Diano Castello, Porto Maurizio 357. DAMIANI, Gianmaria, di Carlo, Piacenza 358. DAMIS, Domenico, di Antonio, Lungro, Calabria 359. DAPINO, Stefano, di Carlo, Genova 360. DE AMEZAGA, Luigi, di Giacomo, Genova 361. DE BIASI, Giuseppe, Bugliolo, Genova 362. DE BONI, Giacomo, di Polidoro, Feltre, Belluno 363. DE CRISTINA, Giuseppe, di Rocco, Palermo 364. DE FERRARI, Carlo, di Nicolo', Sestri Levante, Chiavari 365. DE MAESTRI, Francesco, di Peregrino, Spotorno, Savona 366. DE MARCHI, Domenico Bonaventura, di Francesco, Malo, Vicenza 367. DE MARTINI, Germano 368. DE MICHELI, Tito, di Pietro, Genova 369. DE NOBILI, Alberto, di Cesare, Corfu' 370. DE PALMA, Nicolo', di Raffaele, Torino 371. DE PAOLI, Cesare, di Francesco, Pozzoleone, Vicenza 372. DE PASQUALI, Luigi, di Carlo, Genova 373. DE STEFANIS, Giovanni, di Modesto, Castellamonte, Torino 374. DE VITTI, Rodolfo, di Nicolo', Orbetello, Grosseto 375. DECOL, Luigi, di Giacomo, Venezia 376. DECOL, Giuseppe Francesco, di Felice, Vini, Feltre 377. DEFENDI, Giovanni, di Alessandro, Lurano, Bergamo 378. DEL CAMPO, Lorenzo, di Marco, Genova 379. DEL CHICCA, Giuseppe, di Lorenzo Pierantonio, Bagni S. Giuliano,
Pisa 380. DEL FA, Alessandro, di Giuseppe, Livorno 381. DEL MASTRO, Raffaele Francesco Fabio, di Carmine, Ortodonico, Vallo della Lucania 382. DEL MASTRO, Michele, di Carmine, Ortodonico, Vallo della Lucania 383. DELFINO, Luca Giovanni Battista, di Pasquale, Genova 384. DELLA CASAGRANDE, Giovanni, di Giorgio, Genova 385. DELLA CASAGRANDE, Andrea, di Giuseppe, Genova 386. DELLA CELLA, Ignazio, di Candido, Genova 387. DELLA PALU', Antonio, di Nicolo', Vicenza 388. DELLA SANTA, Vincenzo, di Giuseppe, Padova 389. DELLA TORRE, Carlo Pompeo, di Antonino, Milano 390. DELLA TORRE, Ernesto, di Andrea, Adro, Brescia 391. DELLA VIDA, Natale Cesare, di Vincenzo, Livorno 392. DELLE PIANE, Giovanni Battista, di Andrea, Genova 393. DELUCCHI, Giulio Giuseppe, di Salvatore, Sampierdarena, Genova 394. DELUCCHI, Luigi, di Giuseppe, Montaggio, Genova 395. DENEGRI, Giovanni Battista, di Antonio, Genova 396. DESIDERATI, Basilio Emilio, di Luigi, Mantova 397. DEVECCHI, Carlo, di Francesco, Copiano, Pavia 398. DEZORZI, Ippolito, di Giuseppe, Vittorio Veneto 399. DEZZA, Giuseppe, di Baldassare, Melegnano, Milano 400. DI FRANCO, Vincenzo, di Placido, Palermo 401. DI GIUSEPPE, Giovanni Battista, di Giuseppe, Santa Margherita, Girgenti 402. DILANI, Giuseppe, di Felice, Bergamo 403. DIONESE, Eugenio, di Giovanni, Vicenza 404. DODOLI, Corradino, di Costantino, Livorno 405. DOLCINI, Angelo, di Francesco, Bergamo 406. DONADONI, Augusto Enrico, di Giovanni, Bergamo 407. DONATI, Angelo, di Giacomo, Padova 408. DONATI, Carlo, di Giuseppe, Treviglio 409. DONEGANI, Pietro, di Giuseppe, Brescia 410. DONELLI, Andrea, di Melchiorre, Castelponzone, Casalmaggiore 411. DONIZETTI, Angelo Paolo, di Andrea, Ponteranica, Bergamo 412. ELIA, Augusto, di Antonio, Ancona 413. ELLERO, Enea, di Mario, Pordenone, Veneto 414. ERBA, Filippo, di Luigi, Milano 415. EREDE, Gaetano Angelico, di Michele, Genova 416. ESCUFIE', Francesco Luigi, di Luigi, Torino 417. ESPOSITO MERLI DELUVIANI, Giovanni, Treviglio 418. EVANGELISTI, Paolo Emilio, di Filippo, Genova
419. FABIO, Luigi, di Giovanni, Pavia 420. FABRIS, Placido, di Bernardo, Povegliano, Treviso 421. FACCHINETTI, Alessandro Antonio, di Giovanni, Bergamo 422. FACCHINETTI, Giovanni Battista, di Antonio, Brescia 423. FACCINI, Onesto, di Domenico, Lerici, Genova 424. FACCIOLI, Baldassare, di Girolamo, Montagnana, Veneto 425. FANELLI, Giuseppe, di Lelio, Montecalvario, Napoli 426. FANTONI, Giovanni Battista, di Francesco, Legnago, Verona 427. FANTUZZI, Antonio, di Vincenzo, Pordenone, Friuli 428. FANUCCHI, Alfredo, di Filippo, Salviano, Livorno 429. FASCE, Paolo Federico, di Emanuele, Genova 430. FASCIOLO, Andrea, di Antonio, Genova 431. FASOLA, Alessandro, di Gaudenzio, Novara 432. FATTORI, Giuseppe, di Giovanni Battista, Ostiano, Cremona 433. FATTORI-BIOTON, di Antonio, Antonio, Castel Tosimo, Tirolo 434. FERRARI, Domenico Giovanni, di Luigi, Napoli 435. FERRARI, Paolo, di Pietro, Brescia 436. FERRARI, Filippo, di Bartolomeo, Varese Ligure 437. FERRI, Pietro, di Giacinto, Bergamo 438. FERRIGHI, Felice Giacinto, di Giovanni, Valdagno, Vicenza 439. FERRITI, Giovanni Marsiglio, di Pietro, Brescia 440. FILIPPINI, Ettore, di Antonio, Venezia 441. FINCATO, Giovanni Battista, di Antonio, Treviso 442. FINOCCHIETTI, Domenico, di Luigi, Genova 443. FIORENTINI, Pietro, di Giusedppe, Verona 444. FIORINI, Edoardo, di Giuseppe, Cremona 445. FIRPO, Pietro, di Bernardo, Genova 446. FLESSADI, Giuseppe, di Domenico, Cerea, Verona 447. FOGLIATI, Luigi, di Bartolo, Villarospa, Veneto 448. FOLIN, Marco, di Simone, Venezia 449. FONTANA, Giuseppe, di Giuseppe, Trento 450. FORESTI, Giovanni, di Cristoforo, Pralboino, Brescia 451. FORMIGA, Luigi, di Giovanni, Mantova 452. FORNI, Luigi, di Stefano, Pavia 453. FORNO, Antonio, di Carmelo, Palermo 454. FOSSA, Giovanni, di Domenico, Genova 455. FRANZONI, Guglielmo, di Natale, Parma 456. FRASCADA BELFIORE, Paolo, Ottobiano 457. FREDIANI, Francesco, di Carlo, Comillo, Lecco di Massa 458. FRIGO, Antonio Bartolomeo, di Bartolomeo, Montebello 459. FROSCIANTI, Giovanni, di Paolo, Colle-Scipoli 460. FUMAGALLI, Enrico Angelo, di Gaetano, Senaco, Milano 461. FUMAGALLI, Angelo Luigi, di Francesco, Bergamo
462. FUNAGALLI, Antonio, di Pietro, Bergamo 463. FUSI, Giuseppe, di Carlo, Pavia 464. FUXA, Vincenzo, di Gabriele, Palermo 465. GABRIELI, Raffaele, di Giuseppe, Roma 466. GADIOLI, Francesco, di Antonio, Libiola, Ostiglia 467. GAFFINI, Antonio, di Carlo, Milano 468. GAFFURI, Eugenio, di Fortunato, Brivio, Como 469. GAGNI, Federico, di Giuseppe, Bergamo 470. GALETTO, Antonio Alessandro, di Francesco, Genova 471. GALIGARSIA, Sebastiano, di Michele, Favignana 472. GALIMBERTI, Giuseppe Carlo, di Napoleone, Milano 473. GALIMBERTI, Giacinto, di Napoleone, Milano 474. GALLEANI, Francesco, di Filippo, Genova 475. GALLEANI, Giovanni Battista, di Filippo, Genova 476. GALLI, Carlo, di Pietro, Pavia 477. GALLOPPINI, Pietro, di Francesco, Borgo Sesia, Novara 478. GAMBA, Barnaba, di Giacomo, Eudenna, Bergamo 479. GAMBINO, Giuseppe, di Giuseppe, Voltri, Genova 480. GANDOLFO, Emanuele, di Adamo, Genova 481. GARBINATI, Guido, di Domenico, Vicenza 482. GARIBALDI, Gaetano, di Giovan Battista, Genova 483. GARIBALDI, Giovanni, di Giovanni Battista, Genova 484. GARIBALDI, Menotti, di Giuseppe, Rio Grande del Sud 485. GARIBALDI, Giuseppe, di Domenico, Nizza 486. GARIBALDO, Giovanni Stefano Agostino, di Domenico, Genova 487. GARIBOTTO, Giuseppe, di Giacomo, Genova 488. GASPARINI, Giovanni Andrea, di Bernardino, Carre', Vicenza 489. GASPARINI, Giovanni Battista, di Antonio, Sandrigo 490. GASTALDI, Giovanni Battista, di Domenico, Porto Maurizio 491. GASTALDI, Cesare, di Giovanni, Neviano degli Arduini, Parma 492. GATTAI, Cesare, di Alessandro, Livorno 493. GATTI, Stefano, di Angelo, Mantova 494. GATTINONI, Giovanni Costanzo, di Girolamo, Bergamo 495. GAZZO, Daniele, di Antonio, Padova 496. GERVASIO, Giuseppe, di Antonio, Genova 497. GHERARDINI, Goffredo, di Alessandro, Asola, Mantova 498. GHIDINI, Luigi, di Francesco, Bergamo 499. GHIGLIONE, Giovanni Battista, di Gaetano, Genova 500. GHIGLIOTTI, Antonio Francesco, di Giovanni Battista, Genova 501. GHISLOTTI, Giuseppe, di Luigi, Comunnuovo, Bergamo 502. GIACOMELLI, Pietro, di Antonio, Noventa Vicentina 503. GIAMBRUNO, Nicolo', di Cesare, Genova 504. GIANFRANCHI, Raffaele Felice, di Giovanni, Genova
505. GILARDELLI, Angelo Giuseppe, di Antonio, Pavia 506. GILIERI, Girolamo, di Antonio, Legnago, Veneto 507. GIOLA, Giovanni, di Domenico, Alessandria 508. GIRARD, Omero, di Luigi, Livorno 509. GIUDICE, Giovanni Girolamo, di Domenico, Codevilla, Voghera 510. GIULINI, Luigi Giovanni, di Benigno, Cremona 511. GIUNTI, Edoardo Egisto, di Giovanni, Salviano, Livorno 512. GIUPPONI, Giuseppe Ambrogio, di Giuseppe, Bergamo 513. GIUROLO, Giovanni, di Pietro, Arzignano, Vicenza 514. GIUSTA, Giuseppe, di Antonio, Asti 515. GNECCO, Giuseppe, di Tommaso, Genova 516. GNESUTTA, Coriolano, di Raimondo, Latisana, Friuli 517. GNOCCHI, Ermogene, di Silvestro, Ostiglia 518. GOGLIA, Domenico, di Francesco, Pozzuoli, Napoli 519. GOLDBERG, Antonio, Pest, Ungheria 520. GORGOGLIONE, Giuseppe, di Cesare, Genova 521. GOTTI, Pietro, di Antonio, Bergamo 522. GRAFFIGNA, Giuseppe, di Giovanni Battista, Genova 523. GRAMACCINI, Leonardo, di Bartolomeo, Sinigallia 524. GRAMIGNANO, Stefano, di Fedele, Cagliari 525. GRAMIGNOLA, Angelo Innocenzo, di Ambrogio, Robecco, Cremona 526. GRANDE, Francesco, di Luigi, Tempio, Sassari 527. GRANUCCI, Giovanni, di Paolo, Calci, Livorno 528. GRASSO, Carlo, di Carlo, Cuorgne', Torino 529. GRIGGI, Giovanni Battista Giuseppe, di Stefano, Pavia 530. GRIGNOLO BASSO, Edoardo, di Felice, Chioggia, Veneto 531. GRITTI, Emilio, di Carlo, Cologna, Bergamo 532. GRIZZIOTTI, Giacomo, di Antonio, Corteolona, Pavia 533. GRUPPI, Giuseppe, di Pietro, Pavia 534. GUALANDRIS, Giuseppe Enrico, di Agostino, Almenno S. Bartolomeo, Bergamo 535. GUARNACCIA, Francesco, di Emanuele, Venezia 536. GUAZZONI, Carlo, di Cesare, Brescia 537. GUIDA, Carlo, di Pietro, Soresina, Cremona 538. GUIDOLIN, Antonio, di Pasquale, Castelfranco, Veneto 539. GUSMAROLI, Luigi, di Giuseppe, Mantova 540. GUSSAGO, Giuseppe, di Francesco, Brescia 541. HERTER, Edoardo, di Carlo, Treviso 542. IMBALDI, Francesco, di Pietro, Milano 543. INCAO, Alessandro Angelo, di Domenico, Borgo Costa, Rovigo 544. INVERNIZZI, Carlo, di Pietro, Bergamo 545. INVERNIZZI, Pietro, di Pietro, Bergamo
546. ISNENGHI, Enrico, di Francesco, Rovereto 547. LA MASA, Giuseppe, di Andrea, Trabia, Palermo 548. LAJOSKI, Venceslao 549. LAMENZA, Stanislao, di Vincenzo, Sarracena, Calabria 550. LAMPUGNANI, Giuseppe, di Giacinto, Milano 551. LAMPUGNANI, Giulio Cesare, di Paolo, Nerviano, Milano 552. LAVESI, Angelo, di Giovanni Maria, Belgiojoso, Pavia 553. LAZZARONI, Giovanni Battista, di Giovanni, Bergamo 554. LAZZERINI, Giorgio, di Luigi, Livorno 555. LEONARDI, Giuseppe, di Antonio, Riva, Tirolo 556. LERTORA, Tommaso Santo, di Andrea, Genova 557. LIGEZZOLO, Giovanni, di Francesco, Posina, Vicenza 558. LIPPI, Giuseppe, di Giovanni, Motta, Treviso 559. LORATI, Carlo, Pavia 560. LORENZI, Venceslao, di Lorenzo, Bergamo 561. LUCCHINI, Giuseppe Giovanni Battista, di Giuseppe, Bergamo 562. LUCCHINI, Battista, di Giuseppe, Bergamo 563. LURA', Agostino Vincenzo, di Carlo, Bergamo 564. LUSIARDI, Giovanni Battista, di Francesco, Acquanegra, Cremona 565. LUZZATTO, Riccardo, di Mario, Udine 566. MACARRO, Guglielmo, di Giovanni Antonio, Sassello, Savona 567. MAESTRONI, Ferdinando, di Angelo, Soresina, Cremona 568. MAFFIOLI, Luigi Iacopo, di Francesco, Livorno 569. MAGGI, Giovanni, Martino, di Treviglio, Bergamo 570. MAGISTRETI, Carlo Giuseppe, di Ambrogio, Milano 571. MAGISTRIS, Giuseppe, di Antonio, Budrio, Bologna 572. MAGLIACANI, Francesco, di Virgilio, Castel del Piano, Grosseto 573. MAGNI, Luigi, di Giovanni, Parma 574. MAGNONI, Michele, di Luigi Maria, Rutino, Vallo Lucano 575. MAIOCCHI, Achille, di Giovanni, Milano 576. MAIRONI, Alessio, di Gustavo Federico, Bergamo 577. MAIRONI, Eugenio, di Luigi, Bergamo 578. MALATESTA, Luigi, di Emanuele, Genova 579. MALATESTA, Pietro, di Giovanni, Genova 580. MALDACEA, Mose', di Vincenzo, Foggia 581. MAMOLI, Giovanni Enrico, di Pietro Paolo, Lodi-Vecchio, Milano 582. MANCI, Filippo, di Vincenzo, Povo, Trento 583. MANENTI, Battista, di Angelo, Chiari, Brescia 584. MANENTI, Pietro, di Antonio, Vidigulfo 585. MANIN, Giorgio, di Daniele, Venezia 586. MANNELLI, Giovanni Pasquale, di Antonio, Antignano, Livorno 587. MANTOVANI, Antonio, di Virgilio, S. Martino, Mantova 588. MAPELLI, Achille, di Deferente, Monza
589. MAPELLI, Clemente, di Giuseppe, Bergamo 590. MARABELLO, Luigi, di Antonio, Vicenza 591. MARABOTTI, Angelo, di Giovanni, Pisa 592. MARAGLIANO, Giacomo, di Andrea, Genova 593. MARCHELLI, Bartolomeo, di Giacomo, Ovada, Novi - Alessandria 594. MARCHESE, Giovanni, di Francesco, Genova 595. MARCHESI, Giovanni Battista, di Antonio, Torre Baldone, Bergamo 596. MARCHESI, Pietro Samuele, di Carlo, Covo, Bergamo 597. MARCHESINI, Luciano, Vicenza 598. MARCHETTI, Giuseppe, di Luigi, Chioggia, Veneto 599. MARCHETTI, Stefano Elia, di Vincenzo, Bergamo 600. MARCHETTI, Luigi Giuseppe, di Giuseppe, Ceneda, Treviso 601. MARCONE, Girolamo, di Giovanni, Genova 602. MARCONZINI, Giuseppe, di Girolamo, Ronco sull'Adige 603. MARELLI, Giacomo, di Domenico, Bagnolo Nullo 604. MARENESI, Giuseppe, di Alessandro, Bergamo 605. MARGARITA, Giuseppe Francesco, di Felice, Cuggiono, Milano 606. MARGHERI, Girolamo, di Guglielmo, Sarteano, Siena 607. MARIN, Giovanni Battista, di Giuseppe, Conegliano, Veneto 608. MARIO, Desiderio Lorenzo, di Cesare, Miraglia 609. MARTIGNONI, Luigi, di Giuseppe, Casalpusterlengo, Lodi 610. MARTINELLI, Clemente, di Natale, Milano 611. MARTINELLI, Ulisse, di Giacomo, Viadana, Cremona 612. MASCOLO, Gaetano, di Francesco, Casola, Napoli 613. MASNADA, Giuseppe, di Domenico, Ponte San Pietro, Bergamo 614. MASPERO, Giovanni Battista, di Pietro, Como 615. MATTIOLI, Angelo, di Evangelista, Parma 616. MAURO, Raffaele, di Angelo, Cosenza, Calabria 617. MAURO, Domenico, di Angelo, S. Demetrio, Calabria 618. MAYER, Antonio, di Silvestro, Orbetello 619. MAZZOLA, Giuseppe, di Gaetano, Bergamo 620. MAZZOLI, Ferdinando, di Gioacchino, Venezia 621. MAZZUCCHELLI, Luigi, di Giuseppe, Cantu', Como 622. MEDICI, Alessandro, di Giuseppe, Bergamo 623. MEDICINA, Antonio, di Michele, Genova 624. MELCHIORAZZO, Marco, di Francesco, Bassano, Vicenza 625. MENEGHETTI, Gustavo, di Luigi, Santa Maria Maggiore, Treviso 626. MENIN, Domenico, di Giovanni, Campo Nogara, Veneto 627. MENOTTI, Cesare 628. MERIGHI, Augusto, di Luigi, Mirandola 629. MERIGONE, Francesco Antonio, di Francesco, Gibilterra 630. MERLINO, Appio, di Silvestro, Reggio Calabria
631. MESCHINI, Leopoldo, di Angelo, Sarteano, Siena 632. MESSAGGI, Stefano Giuliano, di Giovanni Battista, Milano 633. MEZZERA, Giulio Pietro, di Emanuele, Bergamo 634. MIANI, Giovanni, di Domenico, Padova 635. MICELI, Luigi, Francesco, di Longobardi, Cosenza 636. MICHELI, Cesare, di Tommaso, Campolongo, Veneto 637. MIGLIACCI, Giuseppe, di Pietro, Montepulciano 638. MIGNONA, Nicolo', di Cataldo, Taranto 639. MILANO, Angelo, di Antonio, Anguillara, Padova 640. MILESI, Girolamo, di Pietro, Bergamo 641. MINA, Alessandro, di Luigi, Gussola, Cremona 642. MINARDI, Mansueto, di Carlo, Ferrara 643. MINETTI, Martino Natale, di Giuseppe, Milano 644. MINNICELLI, Luigi, di Gennaro, Rossano, Cosenza 645. MINUTELLO, Filippo, di Nicolo', Gruno, Bari 646. MIOTTI, Giacomo, di Francesco, Feltre 647. MISSORI, Giuseppe, di Gregorio, Bologna 648. MISURI, Mansueto, di Roberto, Livorno 649. MOIOLA, Quirino, di Giuseppe, Rovereto 650. MOLENA, Giuseppe, di Giuseppe, Venezia 651. MOLINARI, Giuseppe, di Andrea, Venezia 652. MOLINARI, Giosue', di Costantino, Calvisano, Brescia 653. MOLINVERNO, Carlo, di Giuliano, Salvatore, Cremona 654. MONA, Francesco, di Giovanni, Milano 655. MONETA, Enrico, di Carlo, Milano 656. MONGARDINI, Paolo Giovanni, di Giovanni Battista, Bergamo 657. MONTALDO, Andrea, di Emanuele, Genova 658. MONTANARA, Giacomo Achille, Eliseo, Milano 659. MONTANARI, Francesco, di Luigi, Roncole, Mirandola 660. MONTARSOLO, Pietro Giovanni Battista, di Marco, Genova 661. MONTEGRIFFO, Francesco, di Francesco, Genova 662. MONTEVERDE, Giovanni Battista, di Giovanni Battista, S. Terenzo, Sarzana 663. MORASSO, Giovanni Battista, di Paolo, Genova 664. MORATTI, Luigi, di Paolo, Castiglione, Mantova 665. MORELLO, Domenico, di Agostino, Genova 666. MORETTI, Virginio Cesare, di Paolo, Brescia 667. MORGANTE, Rocco, di Vincenzo, Fiumara, Reggio 668. MORGANTE, Alfonso Luigi, di Girolamo, Tarcento, Udine 669. MORI, Giuseppe Giovanni, di Benedetto, Bergamo 670. MORI, Romolo, di Pietro, Civitavecchia 671. MORO, Marco Antonio, di Giuseppe, Brescia 672. MORONI, Vittorio, di Modesto, Zogno, Bergamo
673. MOROTTI, Goffredo Alcibiade, di Giovanni, Roncaro, Pavia 674. MORTEDO, Giovanni Alessandro, di Michele, Livorno 675. MOSCHENI, Pompeo Giuseppe, di Francesco, Bergamo 676. MOSTO, Carlo, di Paolo, Genova 677. MOSTO, Antonio, di Paolo, Genova 678. MOTTINELLI, Bartolo, di Giacomo, Brescia 679. MURO, Giuseppe, di Pietro, Milano 680. MUSTICA, Giuseppe, di Luigi, Palermo 681. NACCARI, Giuseppe, di Antonino, Palermo 682. NARDI, Ermenegildo, di Pellegrino, Parma 683. NATALI, Mauro, di Santo, Bergamo 684. NAVONE, Lorenzo, di Domenico, Genova 685. NEGRI, Enrico Giulio, di Giuseppe, Bergamo 686. NELLI, Stefano, di Domenico, Massa Carrara 687. NICOLAZZO, Gregorio, di Teodoro, Platania, Calabria 688. NICOLI, Fermo, di Giovanni Battista, Bergamo 689. NICOLI, Pietro, di Giovanni Battista, Bergamo 690. NIEVO, Ippolito, di Antonino, Padova 691. NODARI, Giuseppe, di Luigi, Castiglione, Mantova 692. NOVARIA, Enrico, di Domenico, Pavia 693. NOVARIA, Luigi, di Domenico, Pavia 694. NOVELLI, Feliciano, di Francesco, Castel d'Emilio, Ancona 695. NULLO, Francesco, di Arcangelo, Bergamo 696. NUVOLARI, Giuseppe, Ronco, Ferrara 697. OBERTI, Giovanni, di Luigi, Bergamo 698. OBERTI, Giovanni Andrea, di Pietro, Bergamo 699. OCCHIPINTI, Ignazio, Santo, Palermo 700. ODDO, Giuseppe, di Salvatore, Palermo 701. ODDO, Angelo, di Michele, Reggio Calabria 702. ODDO-TEDESCHI, Stefano, di Rosario, Alimena 703. OGNIBENE, Antonio, di Biagio, Orbetello 704. OLIVARI, Stefano, di Angelo, Genova 705. OLIVIERI, Pietro, di Domenico, Alessandria 706. ORLANDI, Bernardo, di Giuseppe, Carrara 707. ORLANDO, Giuseppe, di Giuseppe, Palermo 708. ORSINI, Vincenzo, di Gaetano, Palermo 709. OTTAVI, Antonio, di Ottavio, Reggio Emilia 710. OTTONE, Nicolo', di Stefano, Genova 711. PACCANARO, Marco, di Nicolo', Este, Veneto 712. PACINI, Andrea, di Teofilo, Bientina, Pisa 713. PADULA, Vincenzo, di Maurizio, Padula, Principato Superiore 714. PAFFETTI, Tito, di Felice, Orbetello, Grosseto 715. PAGANI, Giovanni, di Lelio, Tagliuno, Bergamo
716. PAGANI, Antonio, di Giuseppe, Como 717. PAGANI, Costantino, di Giovanni Battista, Borgomanero, Novara 718. PAGANO, Tommaso, di Giovanni Battista, Genova 719. PAGANO, Lazzaro Martino, di Giovanni Battista, S. Martino, Genova 720. PALIZZOLO, Mario, di Vincenzo, Trapani 721. PALMIERI, Palmiro, di Fortunato, Montalcino 722. PANCIERA, Antonio, di Carlo, Castelgomberto, Vicenza 723. PANSERI, Eligio, di Francesco, Bulciago, Lecce 724. PANSERI, Giuseppe, di Andrea, Bergamo 725. PANSERI, Alessandro, di Giosue', Bergamo 726. PANSERI, Aristide, di Saverio, Bergamo 727. PARINI, Antonio, di Nicolo', Palermo 728. PARIS, Andrea Cesare, di Ignazio, Ripa, Pinerolo 729. PARODI, Tommaso, di Antonio, Genova 730. PARODI, Giuseppe, di Giovanni Battista, Genova 731. PARPANI, Giuseppe Giacobbe, di Giuseppe, Bergamo 732. PASINI, Giovanni, di Francesco, Scandolara Riva 733. PASQUALE, Pietro, di Carlo, Sagliano, Biella 734. PASQUINELLI, Agostino, di Giacomo, Zogno, Bergamo 735. PASQUINELLI, Giacinto, di Pietro, Livorno 736. PASSANO, Giuseppe, di Francesco, Genova 737. PATELLA, Filippo, di Giuseppe, Agropoli, Salerno 738. PATRESI, Gilberto, di Michele, Milano 739. PAULON STELLA, Giuseppe, di Osvaldo, Barcis, Friuli 740. PAVANINI, Ippolito, di Mariano, Rovigo, Veneto 741. PAVESI, Giuseppe, di Carlo, Milano 742. PAVESI, Leonardo Ercole, di Giovanni, Cinarolo 743. PAVESI, Urbano, di Domenico, Albuzzano, Pavia 744. PAVONI, Lorenzo, Bergamo 745. PEDOTTI, Ulisse, di Paolo, Laveno, Como 746. PEDRALI, Costantino, di Giuseppe, Bergamo 747. PEDRAZZA, Giacomo, di Andrea, Zane' 748. PELLEGRINO, Antonio, di Giuseppe, Palermo 749. PELLERANO, Lorenzo, di Giuseppe, S. Margherita, Rapallo 750. PENDOLA, Giovanni, di Nicolo', Genova 751. PENTASUGLIA, Giovanni Battista, di Giuseppe, Matera, Potenza 752. PERDUCO, Biagio, di Annibale, Pavia 753. PEREGRINI, Paolo, di Ludovico, Milano 754. PERELLI, Valeriano, di Girolamo, Milano 755. PERICO, Samuele, di Luigi, Bergamo 756. PERLA, Luigi, di Francesco, Bergamo 757. PERNIGOTTI, Giovanni, di Vittorio, S. Pietro, Alessandria
758. PERONI, Giuseppe, di Biagio, Soresina, Cremona 759. PEROTTI, Luigi, di Vincenzo, Torino 760. PERSELLI, Emilio, di Lorenzo, S. Daniele, Friuli 761. PESCINA, Eugenio, di Paolo Luigi, Borgo S. Donnino, Parma 762. PESENTI, Giovanni, di Giovanni Battista, Bergamo 763. PESENTI, Francesco, di Giovanni, Piazza-Basso, Bergamo 764. PESSOLANI, Giuseppe, di Saverio Arcangelo, Atena, Principato Ulteriore 765. PETRUCCI, Giuseppe, di Paolo, Castelnuovo, Livorno 766. PEZZE', Giovanni Battista, di Luigi, Alleghe, Belluno 767. PEZZUTTI, Pietro, di Francesco, Polcenigo, Friuli 768. PIAI, Pietro, di Matteo, Treviso 769. PIANORI, Pietro, di Angelo, Brescia 770. PIANTANIDA, Bruce, di Carlo, Bergamo 771. PIANTONI, Giovanni, di Antonio, Milano 772. PIAZZA, Alessandro, Roma 773. PICASSO, Giovanni Battista, di Francesco, Genova 774. PICCININI, Enrico, di Cristino, Albino, Bergamo 775. PICCININI, Daniele, di Vincenzo, Pradalunga, Bergamo 776. PICCOLI, Raffaele, di Bernardo, Arione Castagna, Calabria 777. PIENOVI, Raffaele, di Andrea, Genova 778. PIEROTTI, Augusto, di Pasquale, Livorno 779. PIEROTTI, Giovanni Palmiro, di Giovanni, Livorno 780. PIETRI, Desiderato, di Giuseppe, Bastia, Corsica 781. PIETRO-BONI, Lorenzo, di Pietro, Treviso 782. PIEVANI, Antonio, di Giovanni Battista, Tirano, Sondrio 783. PIGAZZI, Domenico Giovanni, di Giuseppe, Padova 784. PILLA, Giuseppe, di Angelo, Conegliano, Veneto 785. PINI, Pacifico, di Sebastiano, Isola del Giglio 786. PINI, Antonio, di Giacomo, Grosseto 787. PIROTTI, Pietro, di Bartolomeo, Verona 788. PISTOIA, Luigi, di Giuseppe, Subiaco 789. PISTOIA, Marco, di Stefano, Palermo 790. PIVA, Domenico, di Giovanni, Rovigo, Veneto 791. PIVA, Remigio, di Giovanni Battista, Rovigo, Veneto 792. PIZZAGALLI, Lodovico, di Pietro, Bergamo 793. PIZZI, Giuseppe 794. PLONA, Carlo, di Dionisio, Vicenza 795. PLONA, Giovanni Battista, di Bartolo, Brescia 796. PLUTINO, Antonino, di Fabrizio, Reggio Calabria 797. POGGI, Giuseppe, di Giovanni, Genova 798. POLENI, Carlo, di Giuseppe, Bergamo 799. POLETTI, Giovanni Battista, di Giovanni Battista, Albino, Bergamo
800. POLIDORI, Giuseppe, di Giovanni Battista, Montone, Umbria 801. POMA, Giacomo, di Lorenzo, Trescore, Bergamo 802. PONVIANI, Francesco Attilio, di Domenico, Bergamo 803. PORTA, Ilario, di Felice, Orbetello 804. PORTIOLI, Antonio, di Antonio, Scorzarolo, Mantova 805. POVOLERI, Augusto, Treviso 806. POZZI, Gaetano Giovanni, di Pietro, Pavia 807. PREDA, Paolo, di Pietro, Milano 808. PREMI, Luigi, di Antonio, Casalmoro, Brescia 809. PRESBITERO, Enrico, di Giuseppe, Orta, Novara 810. PREX, Ireneo, di Giovanni, Firenze 811. PRIGNACCHI, Luigi, di Vincenzo, Fiesse, Brescia 812. PRINA, Luigi, di Giuseppe, Villafranca, Verona 813. PROFUMO, Angelo, di Antonio, S. Francesco d'Albaro, Genova 814. PROFUMO, Giuseppe, di Francesco, Genova 815. PULLIDO, Giovanni, di Vincenzo, Polesella, Veneto 816. PUNTA, Paolo Giuseppe, di Alberto, Novi, Alessandria 817. QUARENGHI, Antonio, di Antonio, Villa d'Alme', Bergamo 818. QUEIZEL, Emanuele, di Ambrogio, Genova 819. RACCUGLIA, Antonio, di Francesco, Palermo 820. RADOVICH, Antonio, di Giuseppe, Spresiano 821. RAGUSIN, Francesco, di Giovanni, Venezia 822. RAI, Felice, di Felice, Soresina, Cremona 823. RAIMONDI, Luigi, di Giovanni, Castellanza 824. RAIMONDO, Alessandro, di Giuseppe, Alba 825. RAMPONI, Mansueto, di Ferdinando, Canonica, Bergamo 826. RASIA, Matteo Riccardo, di Domenico, Cornedo, Vicenza 827. RASO, Paolo Luigi, di Domenico, Sarzana, Genova 828. RATTI, Davide Antonio, di Luigi, Vignate, Milano 829. RAVA', Eugenio, di Leone, Reggio Emilia 830. RAVEGGI, Luciano, di Luigi, Orbetello 831. RAVETTA, Carlo, di Antonio, Milano 832. RAVINI.Luigi, di Giovanni, Caviaga, Milano 833. RAZETO, Enrico, di Fortunato, S. Francesco d'Albaro, Genova 834. REBUSCHINI, Angelo Giovanni, di Cristino, Venezia 835. REBUSCHINI, Giuseppe, di Girolamo, Dongo, Como 836. REBUZZONI, Andrea, di Giuseppe, Genova 837. REPETTO, Domenico, di Giuseppe, Tagliolo, Alessandria 838. RETAGGI, Innocenzo Eugenio, di Giuseppe, Milano 839. RICCARDI, Giovanni Battista, di Giovanni Andrea, Bergamo 840. RICCI, Gustavo Giuseppe, di Giacomo, Livorno 841. RICCI, Pietro Armentario, di Carlo, Pavia 842. RICCI, Carlo, di Vincenzo, Pavia
843. RICCI, Enrico, di Giacomo, Livorno 844. RICCIONI, Filippo, di Luigi, Pisa 845. RICHIEDEI, Enrico, di Luigi, Salo', Brescia 846. RICOTTI, Daniele, di Pietro, Landriano, Pavia 847. RIENTI, Edoardo, di Carlo, Como 848. RIGAMONTI, Giovanni Battista, di Francesco, Pavia 849. RIGHETTO, Raffaele, di Marco, Chiampo 850. RIGONI, Luigi, di Lorenzo, Vicenza 851. RIGOTTI, Raffaele, di Francesco, Malo', Vicenza 852. RIPARI, Pietro, di Ludovico, Cremona 853. RISSOTTO, Giuseppe Luigi, di Vincenzo, Genova 854. RIVA, Celestino, di Girolamo, Pontida, Bergamo 855. RIVA, Luigi Isidoro, di Osvaldo, Agordo, Belluno 856. RIVA, Giuseppe, di Francesco, Milano 857. RIVA, Luigi, di Domenico, Palazzuolo, Friuli 858. RIVALTA, Francesco, di Antonio, Genova 859. RIZZARDI, Luigi, di Vincenzo, Brescia 860. RIZZI, Catterino Felice, di Giovanni Battista, Isola Porcarizza, Verona 861. RIZZI, Marco, di Pompeo, Antonio, Milano 862. RIZZO, Antonio, di Leonardo, Trapani 863. RIZZOTTI, Tomaso Attilio, di Giacomo, Ronco, Mantova 864. ROCCATAGLIATA, Gaetano, Ampelio, Genova 865. RODI, Carlo, di Vincenzo, Boscomarengo 866. ROGGERI, Francesco, di Lorenzo, Bergamo 867. ROGGIERONE, Giovanni Battista, di Lorenzo, Genova 868. ROMANELLO, Giuseppe, di Giovanni Battista, Arquata, Tortona 869. ROMANI, Tommaso, di Romano, Pisa 870. RONCALLO, Tommaso, di Domenico, Genova 871. RONDINA, Vincenzo, di Pietro, Livorno 872. RONZONI, Filippo, di Giovanni, Brescia 873. ROSSETTI, Giovanni, di Giuseppe, Trebasseleghe, Padova 874. ROSSI, Pietro, di Giovanni, Viterbo 875. ROSSI, Andrea, di Giovanni Battista, Diano Marina, Portomaurizio 876. ROSSI, Luigi, di Giovanni, Pavia 877. ROSSI, Antonio, di Antonio, Governolo, Mantova 878. ROSSIGNOLI, Francesco, di Antonio, Bergamo 879. ROSSOTTO, Carlo, di Giuseppe, Chieri, Torino 880. ROTA, Carlo, di Francesco, Alzano Maggiore, Bergamo 881. ROTA, Luigi, di Giuseppe, Bosisio, Como 882. ROTA, Carlo, di Girolamo, Milano 883. ROTTA, Giuseppe, di Giovanni, Caprino Veronese 884. ROVATI, Carlo, di Felice, Pavia
885. ROVEDA, Giuseppe, di Ambrogio, Milano 886. ROVIGHI, Giulio, di Abramo, Carpi 887. RUSPINI, Egidio, di Carlo Antonio, Milano 888. RUTTA, Camillo, di Carlo, Broni, Pavia 889. RUVOSECCHI, Raffaele, di Nicolo', Ascoli Piceno 890. SACCHI, Achille, di Antonio, Gravedona, Como 891. SACCHI, Leopoldo Achille, di Giuseppe, Pavia 892. SACCHI, Eugenio Ajace, di Antonio, Como 893. SALA, Antonio, di Ludovico, Milano 894. SALTERIO, Lazzaro, di Francesco, Annone, Como 895. SALTERIO, Ludovico, di Stefano, Milano 896. SALVADORI, Giuseppe, di Gaetano, Venezia 897. SAMPIERI, Domenico, di Carlo, Adria, Veneto 898. SANDA, Giovanni Battista, di Andrea, Bergamo 899. SANNAZZARO, Ambrogio, di Giulio, Milano 900. SANTELMO, Antonio, di Michele, Padula 901. SARTINI, Giovanni, di Giuseppe, Siena 902. SARTORI, Giovanni, di Bartolomeo, Corteno, Bergamo 903. SARTORI, Pietro, di Giovanni Battista, Levico, Tirolo 904. SARTORI, Eugenio, di Antonio, Sacile, Veneto 905. SARTORIO, Giuseppe Luigi, di Agostino, Genova 906. SAVI, Stefano Giovanni, di Francesco, Livorno 907. SAVI, Francesco Bartolomeo, di Francesco, Genova 908. SCACAGLIA, Ferdinando, di Berceto, Parma 909. SCALUGIA, Giulio Cesare, di Ludovico, Villa Gardone, Brescia 910. SCARATTI, Pietro, di Giovanni, Medole, Mantova 911. SCARPA, Paolo, di Agostino, Portogruaro 912. SCARPARI, Gaetano Vincenzo, di Giovanni, Brescia 913. SCARPARI, Michelangelo, di Santo, Bortuino, Brescia 914. SCARPIS, Pietro, di Carlo, Conegliano, Veneto 915. SCHEGGI, Cesare, di Gaetano, Firenze 916. SCHIAFFINO, Simone, di Deodato, Camogli, Genova 917. SCHIAVONE, Santo, di Giuseppe, Santa Maria di Sala, Veneto 918. SCIPIOTTI, Ildebrando, di Celso, Mantova 919. SCOGNAMILLO, Andrea, di Anello, Palermo 920. SCOLARI, Luigi, di Giuseppe, Este, Padoba 921. SCOPINI, Ambrogio, di Pietro, Milano 922. SCORDILLI, Antonio, di Francesco, Venezia 923. SCOTTI, Cesare, di Pietro, Medolago, Bergamo 924. SCOTTI, Carlo, di Alessandro, Verdello, Treviglio 925. SCOTTO, Pietro, di Domenico, Genova 926. SCOTTO, Lorenzo Giovan Battista Achille, di Giuseppe, Roma 927. SCURI, Enrico, di Angelo, Bergamo
928. SECONDI, Ferdinando, di Carlo, Dresano, Milano 929. SEMENZA, Giovanni Antonio, di Francesco, Monza 930. SERANGA, Giovanni, di Antonio, Calcio, Cremona 931. SERINO, Ovidio, di Francesco, Salerno 932. SGARALLINO, Giovanni Iacopo, di Demetrio, Livorno 933. SGHIRA, Giovanni, Pavia 934. SILIOTTO, Antonio, di Gervasio, Porto Legnago, Verona 935. SIMONETTA, Antonio, di Cesare, Milano 936. SIMONI, Ignazio, di Tommaso, Medicina, Bologna 937. SIRTOLI, Carlo, di Pietro, Bergamo 938. SIRTORI, Melchiorre, di Antonio, Bergamo 939. SIRTORI, Giuseppe, di Giuseppe, Carate Lario, Como 940. SISTI, Carlo Giuseppe, di Giuseppe, Pasturago, Milano 941. SIVELLI, Giovanni Battista Egisto, di Antonio, Genova 942. SOLARI, Luigi, di Giovanni Battista, Genova 943. SOLARI, Francesco, di Lorenzo, Genova 944. SOLARI, Camillo, di Giovan Battista, Genova 945. SOLIGO, Giuseppe, di Giuseppe, Pelagio, Veneto 946. SORA, Ignazio, di Santo, Bergamo 947. SORBELLI, Giuseppe, di Salvatore, Castel del Piano, Grosseto 948. SPANGARO, Pietro, di Giovanni Battista, Venezia 949. SPERANZINI, Francesco, Mantova 950. SPERTI, Pietro, di Andrea, Livorno 951. SPROVIERI, Francesco, di Michele, Acri, Cosenza 952. SPROVIERI, Vincenzo, di Michele, Acri, Cosenza 953. STAGNETTI, Pietro, di Luigi, Orvieto, Umbria 954. STEFANINI, Giuseppe, di Francesco, Arcola, Sarzana 955. STELLA, Innocenzo, di Giovanni Battista, Arsiero, Vicenza 956. STERCHELE, Antonio, di Pietro, Trento 957. STOCCO, Francesco, di Antonio, Decollatura, Calabria 958. STRAZZA, Achille, di Giacomo, Milano 959. STRILLO, Giuseppe, Venezia 960. SYLVA, Carlo Guido, di Luigi, Bergamo 961. TABACCHI, Giovanni, di Enrico, Mirandola, Modena 962. TADDEI, Rainero, di Giacomo, Reggio Emilia 963. TAGLIABUE, Baldassare, di Battista, Como 964. TAGLIAPIETRA, Pilade, di Giuseppe, Motta, Treviso 965. TAGLIAVINI, Pietro, di Giuseppe, Parma 966. TAMAGNI, Giuseppe, di Giuseppe, Bergamo 967. TAMBELLI, Natale Giulio, di Lazzaro, Rovere, Mantova 968. TAMBURINI, Antonio, di Biagio, Belgioioso, Pavia 969. TAMISARI, Giovanni Battista, di Antonio, Lonigo, Veneto 970. TANARA, Faustino, di Giacomo, Langhirano, Parma
971. TARANTINI, Angelo, di Giuseppe, Isola della Maddalena 972. TARONI, Felice, di Giacomo, Urio, Como 973. TASCA, Vittore, di Faustino, Bergamo 974. TASCHINI, Giuseppe, di Pietro, Brescia 975. TASSANI, Giacomo, di Agostino, Ostiano, Cremona 976. TASSARA, Giovanni Battista, di Paolo, Genova 977. TATTI, Edoardo, di Francesco, Milano 978. TAVELLA, Luigi, di Pietro, Brescia 979. TERMANINI, Arturo, di Feliciano, Bereguardo, Milano 980. TERUGGIA, Giovanni Lorenzo, di Giovanni, Laveno, Como 981. TERZI, Giacomo, di Gherardo, Capriola, Brescia 982. TERZI, Oreste, di Biagio, Parma 983. TERZI, Luigi, di Francesco, Bergamo 984. TESSERA, Federico, di Girolamo, Mentone 985. TESTA, Giovanni Battista, di Luigi, Genova 986. TESTA, Luigi, di Angelo, Seriate, Bergamo 987. TESTA, Paolo Luigi, di Pietro, Bergamo 988. TESTA, Giovanni Pietro, di Giacomo, Bergamo 989. TIBALDI, Rodobaldo, di Napoleone, Belgioioso, Pavia 990. TIBELLI, Gaspare, di Gaspare, Bergamo 991. TIGRE, Giovanni, di Antonio, Venezia 992. TIRELLI, Giovanni Battista, di Francesco, Maleo, Lodi 993. TIRONI, Giovanni Battista, di Giovanni Battista, Bergamo 994. TIRONI, Giuseppe, di Giovanni Battista, Chiuduno, Bergamo 995. TOFANI, Oreste, di Gaetano, Livorno 996. TOIA, Alessandro, Raffaele, Gizzeria, Catanzaro 997. TOLOMEI, Antonio, di Giovanni Felice, Collepardo 998. TOMMASI, Bartolo, di Giovanni Battista, Siviano, Brescia 999. TOMMASI, Angelo, di Giovanni Battista, Siviano, Brescia 1000. TOMMASINI, Gaetano, di Ferdinando, Vigato, Parma 1001. TONALTO, Giovanni Battista, di Lorenzo, Urbania, Padova 1002. TONI-BAZZA, Achille, di Antonio, Volciano, Brescia 1003. TOPI, Giovanni, Firenze 1004. TORCHIANA, Pompeo, di Massimiliano, Cremona 1005. TORESINI, Rainero, di Giuseppe, Padova 1006. TORRI, Giovanni, di Basilio, Brembate di sotto, Bergamo 1007. TORRI-TARELLI, Giuseppe, di Carlo, Onno 1008. TORRI-TARELLI, Carlo, di Carlo, Onno 1009. TOZZI, Giuseppe, di Domenico, Pavia 1010. TRANQUILLINI, Filippo, di Carlo, Mori, Trento 1011. TRAVERSO, Francesco, di Francesco, Genova 1012. TRAVERSO, Andrea, di Angelo, Genova 1013. TRAVERSO, Quirico, di Tommaso, S. Quirico di Polcevera, Genova
1014. TRAVERSO, Pietro, di Carlo, Palmaro, Genova 1015. TRAVI, Salvatore, di Domenico, Genova 1016. TREZZINI, Carlo, di Pietro, Bergamo 1017. TRISOLINI, Tito, di Giosue', Napoli 1018. TRONCONI, Pietro, di Giovanni, Genzone, Pavia 1019. TUCKORI, Luigi, Koros-Hadany, Ungheria 1020. TUNISSI, Ranieri Egidio, di Alessandro, Roccastrada, Grosseto 1021. TURATTI, Giulio, di Francesco, Pavia 1022. TUROLLA, Romeo, di Felice, Badia, Rovigo 1023. TUROLLA, Pasquale, di Pietro, Badia, Veneto 1024. TURR, Istvan, di Jakob, Bay, Ungheria 1025. UNGAR, Luigi, di Giuseppe, Vicenza 1026. UZIEL, Enrico, di Aronne, Venezia 1027. UZIEL, Davide Cesare, di Angelo, Venezia 1028. VACCARO, Giuseppe, di Francesco, Santa Maria Bacezza, Genova 1029. VAGO, Carlo, di Antonio, Milano 1030. VAJ, Angelo Romeo, di Giuseppe, Milano 1031. VAJANI, Giovanni, di Ermenegildo 1032. VALASCO, Nicolo' Maria, di Emanuele, Trapani 1033. VALCARENGHI, Carlo, di Tullio, Piadena, Casalmaggiore 1034. VALENTI, Lorenzo, di Luigi, Livorno 1035. VALENTI, Carlo Giuseppe, di Antonio, Bergamo 1036. VALENTI, Carlo Angelo, di Luigi, Casalmaggiore 1037. VALENTINI, Pietro, di Giovanni, Brescia 1038. VALONCINI, Alessandro, di Angelo, Bergamo 1039. VALTOLINA, Ferdinando, di Lodovico, Caponago, Milano 1040. VALUGANI, Giuseppe, di Giuseppe, Tirano, Sondrio 1041. VANNUCCI, Angelo, di Giovanni, Livorno 1042. VECCHIO, Pietro Achille, di Luigi, Pavia 1043. VECCHIO, Giuseppe, di Carlo, Trebecco, Pavia 1044. VENTURA, Pietro, di Ambrogio, Genova 1045. VENTURA, Eugenio Giovanni Battista, di Angelo, Rovigo, Veneto 1046. VENTURINI, Ernesto, di Tommaso, Chioggia, Veneto 1047. VENZO, Venanzio, di Domenico, Lugo, Vicenza 1048. VIAN, Antonio, di Cristoforo, Palermo 1049. VICINI, Francesco, di Antonio, Livorno 1050. VIGANONI, Giuseppe, di Giovanni, Bergamo 1051. VIGO-PELLIZZARI, Francesco, di Giovanni Antonio, Vimercate, Milano 1052. VINCIPROVA, Leonino, di Pietro, Orignano, Principato Citeriore 1053. VIOLA, Lorenzo, di Giovanni, Brescia 1054. VITALI, Bartolomeo, di Giuseppe, Palermo 1055. VITTORI, Giacomo, di Andrea, Montefiore, Rimini
1056. VOJANI, Giovanni, di Ermenegildo, San Bassano, Cremona 1057. VOLPI, Giuseppe, di Eugenio, Lovere, Bergamo 1058. VOLPI, Pietro, di Giovanni, Zogno, Bergamo 1059. WAGNER, Carlo, Meilen, Zurigo 1060. WALDER, Giuseppe Vincenzo, di Antonio, Varese, Como 1061. ZAGO CROVATO, Ferdinando, di Luigi, Rovigo 1062. ZAMARIOLA, Antonio, di Giovanni Battista, Lendinara, Veneto 1063. ZAMBECCARI, Angelo, di Antonio Carrari, Padova 1064. ZAMBELLI, Cesare Annibale, di Luigi, Bergamo 1065. ZAMBIANCHI 1066. ZAMPARO, Francesco, di Francesco, Tolmezzo 1067. ZANARDI, Giacinto, di Giuseppe, Pavia 1068. ZANCANI, Camillo, di Giuseppe, Egna, Trentino 1069. ZANCHI, Carlo, di Giuseppe, Alzano Maggiore, Bergamo 1070. ZANETTI, Carlo, di Antonio, Sedrina, Bergamo 1071. ZANETTI, Napoleone, di Napoleone, Padova 1072. ZANETTI, Luigi Pietro, di Luigi, Venezia 1073. ZANINI, Luigi, di Giovanni, Villafranca, Verona 1074. ZANNI, Riccardo, di Antonio, Ancona 1075. ZANOTTI, Attilio, di Giovanni, Vezzano, Tirolo 1076. ZASIO, Emilio, di Giovanni, Pralboino, Brescia 1077. ZEN, Gaetano, di Antonio, Adria 1078. ZENNARO, Vincenzo, di Giuseppe, Chioggia 1079. ZENNEY, Pietro, di Giuliano, Vicenza 1080. ZIGGIOTTO, Giuseppe Giovanni, Decio, Vicenza 1081. ZIGNEGO, Giovanni, di Antonio, Portovenere 1082. ZILIANI, Francesco, di Tommaso, Trovagliato 1083. ZOCCHI, Achille, di Angelo, Pavia 1084. ZOLLI, Giuseppe, di Francesco, Venezia 1085. ZOPPI, Cesare, di Francesco, Verona 1086. ZULIANI, Gaetano, di Giacomo, Venezia 1087. ZUZZI, Enrico Matteo, di Enrico, Codroipo, Friuli
Le battaglie
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Eppure, scrutando ancora una volta i dati della "Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia" (vedi in
fondo) e i fascicoli personali dei Mille, si scopre che, se da una parte è vero che molti tra i Mille
vennero inquadrati all'interno dell'esercito regolare italiano o nell'amministrazione civile dello Stato
come impiegati e che parecchi tornarono alla cura delle proprie terre o all'esercizio delle proprie
professioni di medico, avvocato, farmacista, insegnante, tanti furono però coloro che dovettero
sopportare anni di stenti dopo quell'esperienza esaltante. Alcuni chiesero sussidi al governo, altri si
adattarono all'umile mestiere del bracciante, dell'operaio, del garzone.
Qualcuno scelse la vita dell'artista di strada e del prestigiatore e chissà quanto nelle sue esibizioni
avrà attinto all'esperienza di un'impresa che fu mito ancor più che guerra (vedi in fondo per
consultare il grafico sulle professioni dei Mille, Mille mestieri).
C.M.P.
Principale bibliografia di riferimento:
- AA. VV., Storia d'Italia. Annali 22. Il Risorgimento, Torino 2007;
- Abba G.C., Da Quarto al Volturno. Noterelle di uno dei Mille, Bologna 1965;
- Bandi G., I Mille da Genova a Capua, Firenze 1903;
- Cecchinato E., Isnenghi M., La Nazione volontaria, in Storia d'Italia. Annali 22. Il Risorgimento,
Einaudi, Torino 2007;
- Crispi F., I Mille, Milano 1911;
- Duggan C., Creare la nazione: vita di Francesco Crispi, Roma - Bari 2000;
- Garibaldi G., I Mille, Bologna 1874;
- Martucci R., L'invenzione dell'Italia unita 1855-1864, Milano 1999;
- Riall L., Garibaldi: l'invenzione di un eroe, Roma - Bari 2007;
- Scirocco A., Garibaldi : battaglie, amori, ideali di un cittadino del mondo, Roma - Bari 2001;
- Trevelyan G. M., Garibaldi e i Mille, Bologna 1909;
- Villari L., Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento, Roma - Bari 2010;
Battaglia di Calatafimi
«Soccorso - Pronto soccorso. La metà della mia colonna è uscita di scoverta e giunta a portata di far
fuoco si è attaccata coi rivoltosi, i quali sbucarono a migliaia da per ogni dove. Il fuoco fu nutrito,
ma le masse di siciliani uniti alla truppa italiana sono d'immenso numero [?], la mia colonna ha
dovuto col fuoco di ritirata ripiegare sopra Calatafimi, dove mi trovo sulla difensiva giacchè i ribelli
in un numero immenso fanno mostra di volermi aggredire. Le masse sono enormi ed ostinate a
combattere [?]; qui la mia colonna trovasi circondata da nemici senza fine, i quali hanni pure
assalito i mulini e presa la farina che dovea panizzarsi per la truppa». Con queste parole concitate,
nella notte del 15 maggio 1860, il generale Landi inviava a Palermo, all'indirizzo di Castelcicala,
una pressante richiesta di forze militari e suggerimenti tattici. La mattina di quello stesso giorno, il
contingente che comandava si era trovato, quasi inspiegabilmente, a soccombere all'attacco delle
truppe garibaldine: si era trattato, tutto sommato, di una battaglia di dimensioni modeste - appena
120 perdite tra morti e feriti, di fronte alle 180 dell'esercito avversario - e di una sconfitta che aveva
più le sembianze della fuga; tuttavia, al generale di certo non sfuggiva l'importanza strategica di
quell'episodio, e la consapevolezza portava con sé brucianti interrogativi ed un pesante scoramento,
unito ai ricordi di quella giornata difficile.
Combattimento di Calatafimi avvenuto il giorno 15 maggio 1860
All'alba del 15 maggio, Calatafimi si preparava a diventare il punto d'incontro dei due schieramenti
nemici: Garibaldi e i suoi volontari vi si dirigevano da sud, dopo essersi lasciati Salemi alle spalle;
le colonne borboniche, invece, si muovevano da Alcamo, dopo aver trascorso interi giorni in attesa
di una svolta agli eventi; adesso, stanco di aspettare, il Landi aveva deciso di muovere finalmente
contro l'esercito garibaldino: la «settantenne reliquia, ansimava e sbuffava seguendo il battaglione
in una pesante carrozza e impiegando sei giorni per fare trenta miglia».
Durante quella lenta marcia, il generale aveva però stabilito di inviare i suoi reparti in perlustrazione
del territorio, così aveva spedito a raggiera tre colonne in ricognizione. La prima, composta da 6
compagnie di Cacciatori, un plotone di Cavalleria e 4 cannoni verso Salemi, al comando del
maggiore Sforza; la seconda, formata da una compagnia di Carabinieri e una di Fanti, lanciata verso
sud; la terza - si trattava di 2 compagnie di Carabinieri e mezzo plotone di Cavalleria - verso est.
Tutte le altre forze erano state lasciate di riserva.
La marcia della colonna diretta da Sforza si era da subito rivelata estremamente difficile: le salite
erano ripide e scoscese, e il sole così forte da annebbiare la vista dei suoi uomini. Per questo, giunti
in prossimità di Pianto dei Romani, poco fuori dalla cittadina di Calatafimi, i soldati non si erano
accorti immediatamente della bandiera tricolore che sventolava, quasi insolente, nell'altipiano che si
stagliava dinanzi ai loro occhi. Dopo essersi faticosamente arrampicati su un'altura, e dopo che la
foschia si era un po' diradata, lo spettacolo che si era presentato era stato minaccioso e maestoso al
tempo stesso: i volontari garibaldini e le squadre siciliane accorse in loro aiuto erano schierati
proprio dinanzi ai loro occhi, a pochi passi da loro: al centro, la vetta più alta, il monte Pietralunga,
era un'immensa parete tinta di rosso. Lì stavano arroccati i Mille, e al loro fianco Garibaldi col suo
Capo di Stato Maggiore, intenti a scrutare il paesaggio; le squadre di insorti dell'isola si erano
asserragliate invece ai loro lati, sui due poggi che proteggevano i fianchi del promontorio. Le due
truppe nemiche erano separate solo dal largo avvallamento che si incuneava placido tra i rilievi. Per
alcuni interminabili istanti, quei due contingenti si erano limitati a scrutarsi minacciosi, senza che
nessuno si decidesse a fare il primo passo. Intorno a Mezzogiorno, erano stati poi i reparti d'assalto
di Sforza a rompere gli indugi: le compagnie si erano sparpagliate, 2 avanti in ordine sparso e 4
dietro a rincalzo; il battaglione era sceso a valle e da lì aveva aperto il fuoco, provando intanto a
risalire il monte Pietralunga. La risposta non si era fatta attendere: dai carabinieri di Genova era
partito un fuoco altrettanto preciso e serrato del primo, mentre Garibaldi ordinava ai suoi uomini di
scendere alla baionetta. L'esercito borbonico, allora, era stato costretto a retrocedere
precipitosamente, pressato dai rivoluzionari, e il combattimento si era trasformato in un serrato
corpo a corpo che incalzava a tratti, per poi trovare un fuggevole riparo nei muretti a secco delle
coltivazioni a terrazzi, che permettevano agli attaccanti di prendere fiato e di riordinarsi.
Qualche ora più tardi, la linea di combattimento si era estesa anche ai lati del colle, col battaglione
di Bixio a sinistra e quello di Carini a destra, capeggiato dallo stesso Garibaldi. Il caldo era quasi
insopportabile, il morale di entrambi gli schieramenti instabile, pronto a sfociare in infuocati
entusiasmi o nella più nera disperazione. Con un risoluzione repentina, erano i Mille a sferrare
l'ultimo attacco alla baionetta, accolto dal fuoco dei napoletani: il portabandiera in camicia rossa,
Schiaffino, cadeva sotto questo fuoco, e il tricolore in mani borboniche. Anche Garibaldi era ferito
al volto, dai sassi che alcuni avversari avevano iniziato a scagliare, in preda alla confusione. Era
allora che Sforza ordinava la ritirata precipitosa, alla volta di Calatafimi, durante la quale uno dei
cannoni veniva sequestrato dai garibaldini.
Landi avrebbe potuto rafforzare la sua posizione in città, in attesa di rinforzi ma, disse «giudicai
prudente sloggiare da Calatafimi la sera stessa del 15, facendo la mia ritirata sopra Alcamo, pria che
venissero tagliati i passi e darmi al vincitore».
Più di uno sbaglio era stato compiuto, e quel coacervo di errori aveva finito per essere una miscela
letale alle sorti di quella battaglia. Calatafimi, tuttavia, era anche il simbolo delle tare strutturali
dell'esercito borbonico, poco adeguato all'azione sul campo e vittima di una fatale sottovalutazione
dell'avversario. A causa di ciò, le forze schierate contro gli insorti erano state private dei 6
battaglioni principali della compagnia, che erano rimaste in riserva, ad attendere un segnale
d'azione, che tuttavia non era arrivato. A segnare le sorti dello scontro c'era poi l'assillo per la
concentrazione di forze a Palermo, che aveva portato Landi a riunire la colonna a Calatafimi,
confessando che «la ritirata è la migliore delle vittorie!».
A notte fonda, le sue truppe giungevano così ad Alcamo e lì, ancora una volta, il generale decideva
di non sfruttare l'ottima posizione logistica del paese, preferendo riprendere l'estenuante marcia
verso Partinico. Non immaginava, probabilmente, che ad accoglierlo sarebbe stato il fuoco dei
ribelli, e che avrebbe dovuto aprirsi il passo combattendo strenuamente e dando alle fiamme
numerose abitazioni. Solo dopo ore riusciva a dirigersi verso Montelepre, e a superare un nuovo
attacco prima di riprendere la strada che avrebbe dovuto portarlo all'unica meta, ossessivamente
agognata: Palermo. Vi entrava, infine, la mattina del 17, con una truppa stremata dai 100 km di
cammino in due giorni, e per di più ferita, affamata, in preda al più completo disordine. Intanto, la
notizia della sconfitta iniziava a diffondersi per l'isola, poi più oltre, fino a Napoli. Francesco II non
riusciva a persuadersi di come 20.000 uomini bene armati e ben riforniti avessero potuto cedere il
passo a uno sparuto gruppo di ribelli, e continuava ad inviare rinforzi, armi, munizioni e viveri, oltre
a feroci telegrammi in cui incitava i suoi all'attacco. Ma le risposte che gli venivano dal nuovo
comandante in capo, il generale Lanza, che aveva sostituito Castelcicala, non erano affatto
confortanti: «la colonna del generale Landi è rientrata in Palermo nella scorsa notte, dopo aver
combattuto a Calatafimi coi filibustieri e con molte squadre [?]. Tale colonna ha dovuto ritirarsi per
difetto di viveri [?]. Palermo è repressa dalla forza, ma aspetta il momento per insorgere».
Anche il nuovo comandante, come il suo predecessore, preferiva continuare a tergiversare,
ostinandosi nell'idea di concentrare tutte le truppe a Palermo e solo il 21 inviava 4.000 uomini agli
ordini del colonnello svizzero Von Mechel per sbaragliare gli insorti. In quella situazione di
emergenza assoluta, la dirigenza militare borbonica mostrava i segni della sua stonata polifonia di
comandi: ordini e contrordini inutili e inconcludenti continuavano a rimbalzare, impazziti, da
un'autorità all'altra.
Intanto Garibaldi, con 1.500 uomini, era già sull'altipiano di Renda e minacciava da vicino la
capitale.
S.A.G.
- Il tradimento di Landi e la "cambiale".
Principale bibliografia di riferimento:
- Acton H., Gli ultimi Borboni di Napoli(1825-1861), Martello-Giunti, Firenze 1962.
- Battaglini T., L'organizzazione militare del Regno delle Due Sicilie: da Carlo III all'impresa
garibaldina, Società Tipografica Modenese ,Modena 1940.
- Boeri G., Crociani P., Fiorentino M., L'esercito borbonico dal 1830 al 1861, SME Ufficio Storico,
Roma 1998.
- Buttà G., Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al 186 1( 1ª
edizione 1882), Bompiani, Milano 1985.
- De Cesare R., La fine di un Regno, Lapi, Città di Castello 1909.
- Pieri P., Storia militare del Risorgimento, Einaudi, Torino 1962.
- Zazo A., La politica estera del regno delle Due Sicilie, Tip. Ed. A. Miccoli, Napoli 1940.
La battaglia di Palermo
«Un intero quartiere, lungo mille e largo cento yards, è in cenere; famiglie intere sono state bruciate
vive insieme colle loro case, mentre le atrocità delle truppe regie sono indescrivibili». La
distruzione che emergeva dalle parole dell'ammiraglio Mundy, in una pagina di diario del 3 giugno
1860, era quella della città di Palermo, l'antica e maestosa capitale siciliana, dilaniata dai
combattimenti tra l'esercito borbonico e le compagnie di garibaldini sin dal 26 luglio.
Saccheggio ed incendio della Porta di Castro
Dopo giorni di attesa e di sconforto, a quella data il nemico si era nuovamente deciso ad attaccare,
penetrando in città, ma le sorti dello scontro erano impetuosamente precipitate a svantaggio dei
napoletani, e la sensazione che la trama della battaglia di Calatafimi sarebbe stata nuovamente
rappresentata acquistava sempre più il sapore della certezza.
Dopo quella sconfitta, le truppe napoletane erano mestamente rientrate a Palermo, il 17 maggio, e si
erano ritrovate a dover obbedire ai comandi del nuovo luogotenente, il generale Ferdinando Lanza,
chiamato a sostituire il principe di Castelcicala, accusato di poca flessibilità e scarsa energia.
Nemmeno il suo successore, in verità, sembrava in grado di assumere le redini della situazione,
gravato com'era dal peso dell'età, e da sempre poco propenso alle azioni audaci. Così, in attesa di
decidere se andare incontro a Garibaldi o se concentrare piuttosto tutte le forze a Messina, per
intraprendere da lì una vigorosa controffensiva, il generale restava arroccato nel suo comando
palermitano, al fianco di soldati che vedevano venir meno, in egual misura, le forze e la speranza.
Garibaldi, intanto, aveva iniziato la marcia verso la capitale: dopo una breve sosta ad Alcamo e una
rapida incursione a Partinico, aveva proseguito sulla via del Borgetto, e ancora più su, per il tratto
che congiungeva Monreale a Palermo. Qualche ora più tardi, era riuscito a spingersi sino al passo
del Renda, ad appena 18 km dalla città, ma l'immediatezza della meta lo aveva posto dinanzi a
dubbi ed interrogativi. L'eroe dei due mondi sapeva bene, infatti, che dentro le mura palermitane
avrebbe trovato una truppa di 21.000 soldati, a fronte dei 900 uomini che stavano compiendo la
marcia al suo fianco. Certo, era tenace e fondata la speranza che la popolazione avrebbe preso parte
attiva ai combattimenti, ma ciò non poteva bastare a garantire la riuscita dell'impresa. Per questo
motivo, il generale chiedeva l'aiuto dell'amico Rosolino Pilo, stanziato ad appena 5 o 6 km da lui,
affinché si decidesse a lasciare Sagana e si portasse fino a Monreale, per costringere le truppe
borboniche che vi erano di stanza - 3.000 uomini guidati dallo svizzero Von Mechel e dal tenente
Bosco - a retrocedere, lasciando aperto il varco in direzione di Palermo. Quello che Garibaldi non
poteva immaginare era che, proprio mentre l'amico cominciava ad organizzare l'azione, Von
Mechel decidesse improvvisamente di dare il via ad una pesante offensiva, destinata a lasciare sul
campo un gran numero di soldati i garibaldini, tra cui lo stesso Rosolino Pilo, colpito a morte
mentre, dietro l'ingannevole riparo di una roccia, scriveva al generale per chiedere velocemente dei
rinforzi.
Rosalino Pilo mortalmente ferito sulle alture di Monreale
Allo scoramento per la sconfitta si aggiungeva adesso il dolore per la perdita di un fratello: era un
Garibaldi insolitamente mesto quello che decideva, frettolosamente, di abbandonare la via di
Monreale per volgersi, attraverso ripidi sentieri, alla strada interna che passava da Corleone a Piana
dei Greci, e da lì fino a Palermo.
Il 22 maggio, dopo ore ed ore di marcia, le truppe garibaldine erano finalmente giunte a Parco, e qui
avevano conquistato una posizione abbastanza vantaggiosa sul Cozzo di Crasto, uno sprone
montano a picco verso la capitale. Garibaldi sperava in un assalto frontale delle truppe napoletane,
che gli avrebbe permesso di incalzare i nemici in un serrato faccia a faccia, mentre le squadre del La
Masa avrebbero sferrato un attacco congiunto alle spalle e ai fianchi dei borbonici: il risultato
sarebbe stato quello di inseguirli fino alle porte di Palermo, dove sarebbe poi scoppiata
l'insurrezione. Tuttavia, l'alba di giorno 24 era destinata a proiettare una luce impietosa sulle
illusioni di Garibaldi: i primi raggi di sole mostravano, infatti, una colonna di regi pronta ad
attaccare frontalmente, ma anche, del tutto inattesa, una grande truppa in arrivo da destra, verso le
sorgenti dell'Oreto; l'idea dei napoletani, evidentemente, era quella di compiere una manovra
avvolgente, che serrasse in una morsa le truppe garibaldine. A quel punto, non restava che la ritirata
su Piana dei Greci, dal lato di Corleone, abbandonando lo spartiacque verso Palermo per procedere
verso l'entroterra dell'isola. Si arrivava a Piana solo a sera del 24, e il morale dei volontari era
quanto mai scosso: la marcia sulla capitale era fallita per due volte, Pilo era scomparso, le truppe di
La Masa, dopo la fuga precipitosa, cominciavano a disperdersi disordinatamente per le campagne.
Era Garibaldi, a quel punto, a trovare il modo di ribaltare la situazione, con una mossa a sorpresa. Il
generale decideva infatti di mettere in marcia, all'improvviso, una quarantina di carri con i bagagli, i
soldati feriti e gli infermi, e 5 cannoni con 50 artiglieri e 150 picciotti siciliani. Nonostante fosse già
sera, gli ultimi bagliori del tramonto siciliano infuocavano il cielo: in questo modo, la popolazione
di Piana aveva potuto scorgere con facilità quella colonna di rivoluzionari, al comando di Vincenzo
Orsini, incamminarsi alla volta di Corleone, e chiunque avrebbe scommesso che ad essi avrebbe
fatto seguito tutto il resto dei Mille. In effetti, al calare della notte anche gli altri volontari si erano
avviati per la stessa strada, ma dopo qualche chilometro, avvolti dall'abbraccio delle tenebre, quegli
uomini, guidati dallo stesso Garibaldi, avevano sommessamente svoltato a sinistra, per proseguire
in direzione di Marineo, intenzionati a raggiungere Palermo di soppiatto, cogliendo di sorpresa i
comandi borbonici. L'idea era ardita, ma destinata a rivelarsi vincente: l'indomani, Von Mechel e i
suoi uomini si erano diretti a Corleone, dove avevano sferrato un attacco violentissimo alle squadre
di Orsini. Nello scontro, i garibaldini perdevano 2 cannoni e si ritrovavano costretti ad
indietreggiare sino a Giuliana, ma riuscivano nell'ardua impresa di tenere lontane dalla capitale 4
battaglioni borbonici dei più valorosi.
Frattanto, intorno alle quattro del mattino del 27 maggio, le squadre di Garibaldi erano pronte ad
entrare a Palermo. Si trovavano nei pressi di Porta Termini e stavano per varcare le mura della città,
quando venivano colpiti dal fuoco congiunto di un reparto d'artiglieria e di un cannone posizionato
su una delle navi da guerra borboniche. Tukory, volontario ungherese, cadeva sul colpo; Cairoli,
Canzio e Bixio erano malamente feriti. Ma nessuno aveva intenzione di abbandonare la meta: con
l'aiuto di Garibaldi, prontamente accorso alla testa dei suoi uomini, le barricate venivano abbattute e
le truppe potevano introdursi in città, portandosi nella zona della Fieravecchia.
Entrata di Garibaldi a Palermo
In quel momento, Palermo era finalmente pronta ad insorgere, in blocco: si udivano le campane
suonare a stormo, le finestre si spalancavano, la popolazione accorreva nelle strade, incitata dai i
Mille e da un proclama dello stesso dittatore: «Siciliani! Il generale Garibaldi [?]essendo entrato in
Palermo questa mattina 27 maggio, ed occupata la città, rimanendo le truppe napoletane chiuse solo
nelle caserme e nel Castello a Mare, chiama alle armi tutti i comuni dell'Isola, perché corrano nella
metropoli al compimento della vittoria».
Il popolo palermitano alla barricata della salita del monastero de' sette angeli
Sorpresi di trovarsi il nemico fin dentro le mura, i comandi borbonici non apparivano da subito in
grado di opporre un piano preordinato all'avanzata garibaldina: così, preferivano lasciare le truppe
concentrate nella zona intorno al Palazzo reale, e da qui dare vita ad un'azione di distruzione che
comprendeva l'incendio delle case vicine, la profanazione e la rapina delle chiese, i bombardamenti.
A nessuno veniva in mente di muovere incontro a Garibaldi, e questi, in poco tempo, poteva
giungere fino al centro della città, a palazzo Bologni, per poi sostare nella vicinissima piazza
Pretoria. Solo con ritardo i napoletani si incamminavano in direzione del nuovo quartier generale
garibaldino, ma in fretta venivano fermati e costretti a retrocedere. I regi erano ormai concentrati in
due gruppi separati, e del tutto impossibilitati a ricongiungersi. Nemmeno il richiamo delle truppe
stanziate a Monreale e Parco doveva rivelarsi efficace, anche perché le fila dei rivoluzionari si
ingrossavano, intanto, con le truppe di Pilo - che al comando di Corrao giungevano a Palermo - e
poi con tutti i prigionieri evasi dal carcere della Vicarìa, quasi 2.000 uomini liberi di scorazzare per
la città per ribellarsi al potere borbonico.
I combattimenti proseguivano, serrati: il 29 maggio l'offensiva si dirigeva a piazza Palazzo, dove gli
insorti riuscivano a conquistare la cattedrale ed il palazzo vescovile. Solo nel pomeriggio i
napoletani riuscivano a dare vita ad una controffensiva in grado di riprendere le due posizioni, ma
venivano precipitosamente bloccati da Garibaldi, che impediva loro qualsiasi ulteriore avanzata.
Anche il tentativo compiuto da Lanza, che all'imbrunire di quello stesso giorno provava a penetrare
nuovamente nel cuore della città, era destinato ad infrangersi in un fallimento. Nemmeno l'arrivo di
rinforzi - 2 battaglioni di esteri che arrivavano da Napoli e riuscivano a portarsi al Palazzo - riusciva
a capovolgere la situazione: erano le vettovaglie, e non certo gli uomini, a scarseggiare.
Barricate a Palermo, maggio 1860
Sul fronte opposto, invece, il successo dei Mille era adesso travagliato dalla penuria di munizioni e
dai primi segni di stanchezza delle squadre. In una situazione critica per entrambi gli schieramenti,
alle prime ore del 30 maggio Lanza sceglieva di inviare a Garibaldi una richiesta di trattative
diplomatiche, sotto la mediazione dell'ammiraglio Mundy: all'assenso del generale, i due eserciti
disponevano l'immediata sospensione del fuoco e siglavano un armistizio, in vigore a partire da
mezzogiorno di quello stesso giorno. Qualcuno, tuttavia, non era stato avvertito del nuovo corso
degli eventi: si trattava del colonnello Von Mechel, che pochi minuti dopo lo scoccare delle 12
entrava in città, appena rientrato dalla sua incursione a Corleone, e si spingeva sino alla
Fieravecchia, riprendendo i combattimenti. Il rischio era quello di rompere gli accordi appena presi:
il colonnello svizzero - uno degli intrepidi del comando borbonico - rifiutava categoricamente di
lasciare le posizioni che aveva conquistato. Solo l'intervento del Lanza riusciva, infine, a non far
saltare l'intesa, rinnovando l'appuntamento con la parte avversa. Quel giorno, il porto di Palermo era
teatro di una scena insolita: su un vascello napoletano, al cospetto del Mundy e di altri due generali
borbonici, Lanza era pronto ad accogliere, con tutte le formalità imposte dalla circostanza, l'arrivo
di Garibaldi, quel nemico a lungo disprezzato e sminuito, il condottiero deriso, confuso con un
galeotto, con un delinquente della peggior risma, che adesso faceva tremare i comandi borbonici.
Quel delinquente percorreva la scaletta della nave serio e impettito, forse un po' a disagio dentro
l'uniforme da generale piemontese che mai avrebbe scambiato, potendo scegliere, con la blusa rossa
e il basco floscio che usava per combattere. Le prime decisioni erano anche le più semplici: le due
parti avverse si ritrovavano d'accordo sulla possibilità che i feriti raggiungessero le navi, e che i
rifornimenti arrivassero in città. Solo alla proposta che la municipalità fosse messa in condizione di
inoltrare a Francesco II una petizione per esprimere i bisogni della popolazione palermitana, la voce
di Garibaldi tuonava imperiosa: «No! Il tempo delle umili petizioni è passato». Tutto quello che si
poteva concedere era la firma di un armistizio fino alle 18 del giorno dopo, che veniva prontamente
ratificato prima di sciogliere la riunione. Quella sera, a poche centinaia di metri di distanza,
ciascuno dei due nemici aveva qualcuno a cui rendere conto. Per Garibaldi, non poteva che trattarsi
del popolo, quel popolo per il quale trovava ogni giorno la spinta per continuare a combattere,
anche quando la forza sembrava venire meno. Arringando la folla dal balcone di palazzo Pretorio, il
generale annunciava: «Il nemico mi ha fatto ignominiose proposte, o popolo di Palermo, ed io,
sapendoti pronto a farti seppellire sotto le rovine della città, le ho rifiutate».
Garibaldi acclamato dittatore della Sicilia in Palermo
Il grido di risposta che si levava dal basso: «Guerra! Guerra!» era la rassicurazione che gli serviva
per sapere di aver agito per il meglio.
Lanza, dal canto suo, si affrettava a convocare un consiglio di guerra, durante il quale veniva
stabilito che allo scadere della tregua si sarebbe dato vita ad un'azione a tenaglia dal Palazzo e dalla
Fieravecchia. Tuttavia, una cronaca dettagliata della situazione in città, e dell'ardore degli insorti,
bastava al luogotenente per tornare sulle sue decisioni: così, veniva chiesta una proroga di tre giorni
dell'armistizio, che costava alle truppe borboniche anche la perdita del palazzo della Zecca, nei
pressi del porto, passato in mano ai garibaldini col suo enorme carico di monete d'oro, che veniva
utilizzato per pagare le squadre di picciotti, ormai allo stremo delle forze e pronti ad abiurare la
causa. A quel punto, il generale Letizia e il colonnello Buonopane venivano spediti direttamente al
cospetto del re per ricevere direttive più dettagliate. Ma la corte era troppo sconvolta dall'andamento
delle operazioni militari, troppo incredula del successo di uno sparuto gruppo di volontari in
camicia rossa: l'unica risposta che Napoli era in grado di fornire, così, era di dare ai generali di
Palermo la facoltà di decidere autonomamente tempi, modi e opportunità della ripresa della lotta.
1860 - Barricate a Palermo
In questo modo, dopo un'ulteriore proroga della tregua, il 6 giugno i comandi borbonici decidevano
di firmare la capitolazione finale, scegliendo di abbandonare la zona del Palazzo, ricevendo tuttavia
gli onori militari, per poi imbarcarsi alla volta di Napoli.
La fuga iniziava il 7 giugno, ma ancora fino al 19 qualche soldato borbonico era in attesa di lasciare
Palermo: l'indomani, finalmente, la città era del tutto libera, priva di qualsiasi retaggio della passata
dominazione.
S.A.G.
Le "colpe" del Generale Lanza.
Principale bibliografia di riferimento:
- Acton H., Gli ultimi Borboni di Napoli(1825-1861), Martello-Giunti, Firenze 1962.
- Battaglini T., L'organizzazione militare del Regno delle Due Sicilie: da Carlo III all'impresa
garibaldina, Società Tipografica Modenese ,Modena 1940.
- Boeri G., Crociani P., Fiorentino M., L'esercito borbonico dal 1830 al 1861, SME Ufficio Storico,
Roma 1998.
- Buttà G., Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al 186 1( 1ª
edizione 1882), Bompiani, Milano 1985.
- De Cesare R., La fine di un Regno, Lapi, Città di Castello 1909.
- Pieri P., Storia militare del Risorgimento, Einaudi, Torino 1962.
- Zazo A., La politica estera del regno delle Due Sicilie, Tip. Ed. A. Miccoli, Napoli 1940.
La battagglia di Milazzo
«Fu un'ora terribile quella dalle 11 alle 12. I soldati non erano avviliti, ma stanchi, arsi dal sole
cocentissimo di luglio di quelle regioni caldissime? assetati, affamati, rabbiosi. Eppure non un
lamento; in tutti la ferma volontà di vincere o morire». Il diario del volontario bergamasco Antonio
Binda, dalle cui pagine è tratta questa frase, si riferisce alla battaglia di Milazzo, combattuta il 20
luglio 1860 dentro l'afa asfissiante di un'estate siciliana e divenuta in fretta l'ennesima prova
dell'inadeguata risposta borbonica al dilagare dei Mille sull'isola.
Un fatto della battaglia di Milazzo
Di certo, i tentativi di ribaltare le sorti della guerra non erano mancati: il 14 luglio, infatti, il
generale Clary, senza nemmeno avvertire il nuovo ministro della guerra, Pianell, aveva ordinato al
colonnello Bosco di muovere verso Milazzo con 3 battaglioni scelti di Cacciatori - circa 3.000
uomini - per garantire la piazza da un possibile blocco da terra. L'audacia del generale, tuttavia, non
si era spinta fino alle estreme conseguenze, e gli ordini dati al colonnello erano stati chiari: avrebbe
dovuto tenersi sulla difensiva e attaccare solo se assalito, ma senza spingersi, per nessuna ragione,
oltre Barcellona.
Nella cittadina, intanto, il 16 luglio era giunta la truppa volontaria al comando del generale Medici,
che - almeno nei piani di Garibaldi - avrebbe dovuto occupare Castroreale (8 km più a sud), e lì
restare in attesa di nuovi ordini. Forse era stata l'accoglienza ricevuta in città, festosa come solo
l'arrivo di un liberatore può esserlo, forse era stato il desiderio di andare oltre, per essere ancora più
protagonista degli eventi: il Medici, con un gesto inaspettato, aveva deciso così di non abbandonare
Barcellona, e di spingersi addirittura qualche km più a nord, fino al piccolo centro di Meri. Proprio
qui, quello stesso giorno, era giunto anche il colonnello borbonico Bosco, con i suoi 3 battaglioni.
Le truppe erano state costrette a fronteggiarsi, non sapendo bene cosa fare dei nemici. Bosco,
tuttavia, sentiva ancora nelle orecchie la voce stentorea di Clary, che ordinava di non attaccare per
primo: con un po' di amarezza nello sguardo, si era visto quindi costretto a chiedere ai suoi di
rimangiarsi la voglia di mostrare ai filibustieri quale tempra potesse animarli, e di ripiegare a destra,
in direzione di Milazzo.
Medici, da parte sua, non aveva nessun ordine di attesa da soddisfare: poteva serenamente avanzare
ancora, occupando Corriolo ed Archi e tagliando fuori i borbonici da Messina. Solo a questo punto
Bosco si era deciso a fare a modo suo, mandando 4 compagnie con cavalieri e artiglieria, alla testa
di Maringh, ad occupare Archi. Nel paesino, il comandante era riuscito a respingere un'intera
colonna di garibaldini, ma poi, d'improvviso, aveva deciso di ritornare precipitosamente a Milazzo
senza presidiare la posizione conquistata, scatenando le ire di Bosco, che non aveva perso un attimo
prima di ordinarne l'arresto. Il colonnello aveva allora deciso di affidarsi al tenente Marra, posto alla
testa di 6 compagnie di soldati, che avevano assalito Corriolo scatenando un serrato combattimento
con i i garibaldini di Medici. Qualche ora più tardi, dopo che molto sangue era stato versato da
entrambe le parti, i borbonici si erano garantiti il possesso di Archi, e i i garibaldini quello di
Corriolo: a quel punto, tuttavia, forse mosso da un'irrazionale psicosi nei confronti della forza di
Garibaldi, Bosco aveva dato ordine di abbandonare la posizione conquistata e di ripiegare su
Milazzo.
Sia Medici che Bosco, quella notte, avevano avvertito l'esigenza di domandare rinforzi: il
colonnello regio li aveva chiesti a Clary, che tuttavia, resosi conto dell'irritazione del Ministero di
Napoli per quell'insana iniziativa, aveva risposto di non poter soddisfare la richiesta. Medici, dal
canto suo, aveva scritto a Garibaldi, annunziando il proprio successo, e ottenendone in cambio un
battaglione aggiuntivo di circa 600 siciliani, diretto con volitivo impegno da Alberto Mario. Ma
questo non bastava: insieme al battaglione, erano giunti infatti una spedizione di circa 2.000 uomini,
provenienti da Genova sotto la giuda di Cosenz, e persino Garibaldi, che aveva voluto scortare
personalmente un corpo scelto di carabinieri. Valutando la situazione e scrutando il paesaggio che si
parava innanzi ai loro occhi, i generali si erano resi conto che, nel punto in cui la penisola di
Milazzo si legava alla terraferma, i borbonici avevano costruito una testa di ponte fortissima. Il
terreno, in quel punto, era quanto mai accidentato, rotto com'era da canneti, vigneti, siepi e muretti.
Le truppe napoletane avevano dalla loro il vantaggio di una maggior conoscenza del terreno,
nonché un numero complessivo di uomini leggermente superiore, che si associava ad una dotazione
di armi decisamente più completa. Tutto ciò, ad ogni modo, non era bastato a fiaccare l'ardore
garibaldino: all'alba del 20 luglio, i volontari avevano iniziato una lenta ma inesorabile avanzata,
che li avrebbe portati ad occupare la località di S.Pietro, procedendo lungo il litorale. A destra,
Garibaldi aveva deciso di schierare una colonna guidata da Simonetta, così da tagliare ai regi la
strada per Messina. A sinistra, la truppa era invece quella di Malenchini, interamente composta da
volontari toscani. Proprio il Malenchini aveva d'un tratto deciso di guidare allo sbaraglio i suoi
uomini su per la spiaggia deserta: a quel punto, era venuto il fuoco dei cacciatori napoletani, e la
rapida avanzata in direzione della squadra toscana, costretta a retrocedere nonostante il pronto
intervento degli uomini di Cosenz. Infine, dopo qualche chilometro, era stato possibile arginare
l'offensiva, e Garibaldi aveva potuto dedicarsi a progettare una contromanovra a destra dei
borbonici, dove si era già recato il Medici: solo in quel modo sarebbe stato possibile sbarrare
definitivamente la strada per Messina.
Il resto delle truppe era giunto quindi al fianco del generale garibaldino, e da lì si era lanciato in una
lenta marcia, che aveva portato alla conquista di un cannone borbonico, senza che il Bosco potesse
impedirlo. All'incontro dei due eserciti, aveva avuto il via la battaglia: dura, aspra,
insopportabilmente lunga e difficile, resa più pesante dal caldo di un luglio bollente. I borbonici, in
confidenza con la vegetazione del posto, avevano trovato velocemente riparo fra i canneti, negli
anfratti, negli interstizi fra i muretti. I garibaldini potevano far fuoco solo quando riuscivano a
scorgere i nemici: così il combattimento si era fatto spezzato, frammentario, lasciato in mano
all'iniziativa dei singoli. Pian piano, la destra garibaldina era riuscita ad avanzare fino a spingere la
truppa napoletana in prossimità dell'istmo di Milazzo: in quel punto, due cannoni stavano alla testa
di due strade che scorrevano in parallelo per un pezzo, e si accostavano poi allo sbocco di un ponte.
Garibaldi si era scagliato incontro alle truppe nemiche, riuscendo a conquistare un cannone, ma
subito Bosco aveva spedito un drappello di cavalieri con la missione di recuperarlo. Era allora che i
volontari siciliani si posizionavano lungo gli argini della strada, aprendo il fuoco contro i napoletani
costretti a indietreggiare verso il ponte. Solo due uomini erano rimasti al centro della strada; erano
Garibaldi ed il suo aiutante, Missori: in fretta, erano divenuti i bersagli della cavalleria borbonica,
che si era gettata con foga su di loro. Pur se armati solo di sciabole, e a piedi, i due avevano saputo
respingere abilmente l'attacco, rendendo possibile la definitiva conquista del ponte.
I pericoli, comunque, non erano finiti: i cannoni del Castello si erano improvvisamente animati,
facendo piovere granate tutt'intorno alle squadre, mentre i cacciatori avevano sparato, asserragliati
nelle case vicine e nei dintorni della porta di Milazzo. La resistenza garibaldina si era però protratta,
immobile, per altre due ore, dopo di che il dittatore aveva deciso di tentare il tutto per tutto,
conquistando la destra borbonica che premeva contro la colonna Cosenz. Proprio allora era giunta la
prima nave da guerra borbonica passata in mano ai garibaldini, ribattezzata Tukory e dotata di ben
10 cannoni. Mentre la battaglia si era spostata in prossimità delle acque tirreniche, Garibaldi era
salito a bordo del vascello e lo aveva condotto a battere di fianco l'ala destra borbonica. Questa,
allora, aveva iniziato la ritirata, incalzata ormai da Cosenz.
Alle quattro del pomeriggio, dopo 8 ore di lotta ininterrotta, tutte le forze regie si ritiravano nel
castello. La battaglia era costata circa 150 morti ai napoletani e ben 800 ai garibaldini .
Arroccate nella fortezza, le truppe borboniche avrebbero potuto resistere ancora a lungo, anche
grazie alla protezione di 40 cannoni e di mura solide e spesse. Tuttavia, nessuno aveva pensato a
rifornire il castello di viveri ed acqua, e la truppa, devastata dal combattimento di quel giorno,
rischiava un tracollo fisico e psicologico. Bosco aveva scritto a Clary per spiegare la situazione, e il
generale aveva immediatamente convocato un consiglio di guerra per stabilire le sorti di Milazzo.
Fino alla fine del consesso straordinario, sembrava deciso che le altre truppe borboniche dovessero
recarsi a liberare la fortezza, ma al momento di stilare un piano definitivo, gli orientamenti si erano
ribaltati: persino l'ordine di invio di 3 battaglioni, che promanava direttamente da Clary, era stato
revocato in fretta e furia dal suo stesso ideatore. A Napoli, Pianell aveva deliberato di spedire un
nutrito corpo di spedizione alla volta di Milazzo, ma la flotta si era opposta al loro imbarco,
pressando affinché fossero mandate nella Cittadella le sole navi necessarie a prelevare il Bosco con
i suoi uomini, e un ufficiale incaricato di stipulare la resa delle truppe.
La presa di Milazzo
La capitolazione veniva siglata qualche ora più tardi, e prevedeva che le forze borboniche uscissero
con le armi e metà dei muli della batteria da montagna, lasciando ai garibaldini l'altra metà dei muli,
i cavalli, i cannoni e le munizioni.
L'unica nota stonata, in quel sommesso canto di resa, era quella di Clary, disposto ad accettare
quella sconfitta, ma deciso a battersi fino alla morte pur di non ad abbandonare Messina, che restava
adesso l'ultima roccaforte borbonica in Sicilia.
S.A.G.
Clicca qui per leggere un racconto coevo della battaglia ad opera di Giuseppe Piaggia.
Principale bibliografia di riferimento:
- Acton H., Gli ultimi Borboni di Napoli(1825-1861), Martello-Giunti, Firenze 1962.
- Battaglini T., L'organizzazione militare del Regno delle Due Sicilie: da Carlo III all'impresa
garibaldina, Società Tipografica Modenese ,Modena 1940.
- Boeri G., Crociani P., Fiorentino M., L'esercito borbonico dal 1830 al 1861, SME Ufficio Storico,
Roma 1998.
- Buttà G., Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al 186 1( 1ª
edizione 1882), Bompiani, Milano 1985.
- De Cesare R., La fine di un Regno, Lapi, Città di Castello 1909.
- Pieri P., Storia militare del Risorgimento, Einaudi, Torino 1962.
- Zazo A., La politica estera del regno delle Due Sicilie, Tip. Ed. A. Miccoli, Napoli 1940.
La battaglia di Messina
«Il 21 luglio un ordine formale del ministro Pianell m'ingiungeva di ritirare le mie truppe in
Calabria [?]; non bastando ciò, io dovevo cedere a questo capo Siracusa, Augusta e la stessa
cittadella di Messina, attendendosi diceva l'ordine del ministro, che a questo prezzo le potenze
dell'Europa consentissero a garantirci la pace del continente [?]. La Storia [?] renderà, io spero, un
conto esatto della condotta del ministro Pianell in tutti i suoi affari disastrosi, essa dirà come egli ha
impedito che noi soccorressimo Milazzo; come per i suoi ordini io fui costantemente forzato a
rinunciare a tutti i piani di aggressione, per tenermi in ontosa e letargica aspettativa». A scrivere
queste parole era il generale Clary, costretto da Napoli a sciogliere le truppe di stanza a Messina per
imbarcarle verso le Calabrie. Quel comando pareva all'ufficiale l'estrema rinuncia: dopo la resa di
Milazzo, la resistenza peloritana era l'unica ancora in vigore sull'isola.
L'ultimo baluardo borbonico rappresentava una minaccia - simbolica oltreché militare - per il
successo dell'unificazione italiana, così veniva insidiato sin dal 27 luglio, giorno in cui il generale
Giacomo Medici entrava trionfalmente a Messina, seguito poco più tardi da Garibaldi. L'indomani
giungeva anche Cosenz, alla testa di 5.000 volontari che occupavano la città definitivamente
Entrata di Garibaldi a Messina
Dopo la firma di una Convenzione con i nemici (clicca qui per leggerne il testo), Clary si ritrovava
praticamente costretto ad eseguire i comandi del ministro Pianell, che ordinava di cedere i forti di
Castellaccio e Gonzaga e di radunare le truppe - circa 15.000 uomini - sotto il forte della Cittadella,
in attesa di spedirle sul continente: i Cacciatori in direzione di Napoli, la Fanteria di Linea e la
Cavalleria verso la Calabria. Il generale non rinunciava però ad una "piccola" disobbedienza,
imbarcando solo 11.000 uomini e lasciandone 4.000 a presidio del forte; quel gesto doveva costargli
il comando militare: già il 9 agosto Clary veniva richiamato nella capitale, e lì doveva subire il duro
biasimo dei superiori e dello stesso re, che si rifiutava persino di riceverlo. Al suo posto, giungeva
in Sicilia il generale Gennaro Fergola (clicca qui per leggerne una biografia ad opera di Luigi
Gaeta). Era lui ad supportare, per mesi, il morale dei soldati asserragliati nella cittadella, sempre più
sfiduciati e ormai certi della fine imminente. Era sempre lui che dava loro il triste annuncio della
capitolazione di Gaeta, il 14 febbraio 1861, mentre rifiutava sprezzantemente l'invito alla resa
offertogli dal generale Chiabrera, che alla testa della brigata piemontese Pistoia era giunto a
Messina alla fine del 1860, e adesso informava Fergola delle ultime risoluzioni militari; a seguito
della proclamazione del Regno d'Italia, infatti, un'ulteriore resistenza sarebbe stata valutata in
qualità di mero atto di ribellione e duramente repressa: «Se la resistenza finora fu tollerata, oggi
sarebbe considerata un delitto».
Chiabrera era convinto che quella minaccia, da sola, bastasse a suscitare la resa immediata dei
napoletani. Per questo la pronta risposta di Fergola era destinata a stupirlo: «La cittadella di
Messina non ha niente di comune con Gaeta ed io seguirò quanto l'onore e la nostra Real ordinanza
di Piazza mi dettano». Il generale sabaudo, comunque, non rinunciava all'invio di un nuovo
dispaccio, dai toni ancora più duri, in cui minacciava di sbarcare in Sicilia con altra artiglieria e
soldati per costringere i napoletano a cedere «a discrezione».
Fergola, a quel punto, sceglieva di prendere tempo: attendeva infatti il rientro da Napoli del tenente
Luigi Gaeta, che avrebbe portato con sé nuove informazioni sulla resa del continente e, soprattutto,
le disposizioni del sovrano sulla strategia da seguire. Il 19 febbraio, in effetti, l'ufficiale era
nuovamente a Messina, insieme a 30.000 ducati d'oro - per finanziare l'estrema resistenza - e ad una
missiva di Francesco II: «Dopo tre mesi di valorosi combattimenti, aperte varie brecce, la difesa ha
dovuto necessariamente cessare[?]. Spero che la guarnigione di Messina saprà riscuotere plauso ed
ammirazione come quella di Gaeta nel compiere i propri obblighi». Dunque, nessuna resa. Così
voleva il re. Qualcuno dei soldati vedeva in quella lettera la conferma che niente era perduto, e si
preparava a combattere per la sua bandiera con rinnovato entusiasmo. Qualcuno, invece - era il caso
del colonnello Vallo e del maggiore de Michele - decideva di disertare e passare al nemico: la
guerra logorava il corpo e la mente, e l'idea di tornare a casa diventava, talvolta, un'ossessione.
Intanto, il 28 febbraio arrivavano nella Cittadella i rinforzi sabaudi: 4 battaglioni bersaglieri del IV
Corpo, 6 compagnie del genio e un reggimento di fanteria, con una dotazione di 43 potentissimi
cannoni rigati e 12 mortai, al comando del generale Cialdini, lo stesso che aveva espugnato Gaeta.
Fergola ricordava immediatamente ai nuovi arrivati la Convenzione firmata da Medici e Clary,
ribadendo che ogni operazione bellica ne avrebbe costituito una violazione. Otteneva in cambio,
però, una sprezzante risposta di Cialdini: «Non darò né a lei né alla guarnigione nessuna
capitolazione[?]. Se farà fuoco sulla città, io farò fucilare tanti ufficiali e soldati quanti ne saranno
morti in Messina [?]. In ultimo consegnerò lei ed i suoi al popolo di Messina. Ho costume di tenere
parola. Fra poco sarete nelle mie mani, ora faccia come crede, io non riconoscerò nella S. V. un
militare, ma un vile assassino e per tale lo terrà l'Europa intiera». Veniva azzerata così qualsiasi
forma di ius bellum, qualunque riconoscimento dell'umanità e della dignità del nemico. Per Fergola,
e per i suoi uomini, la certezza di un'inferiorità che li avrebbe prontamente condotti al crollo era
resa più dolorosa dalla consapevolezza che la disfatta avrebbe avuto le sembianze di una vera e
propria conquista, brutale per di più, da parte dei vincitori. Non c'erano più obiettivi militari da
perseguire, ma solo la lealtà al re da onorare. Non restava che apprestarsi a combattere con il valore
che Francesco II auspicava. Così, venivano collegate, con fili telegrafici, le roccaforti della fortezza:
la Cittadella con il Salvatore, il Lazzaretto, la Lanterna. Nell'imminenza del bombardamento, si
provava anche a rimuovere gli ammassi di polveri e munizioni raccolte dai garibaldini. In attesa che
si aprissero le ostilità, l'incertezza amplificava la paura, che sfociava in episodi di violenza e
insubordinazione: Gaetano Milano e Pasquale Messina, del 3° reggimento Principe, provavano così
ad uccidere Fergola e Gaeta per assumere la direzione dell'esercito, ma venivano arrestati dopo che
la loro congiura era stata smascherata. Altri soldati tentavano la fuga, i più invece rimanevano al
loro posto, stoicamente, insieme alle loro famiglie, un migliaio di donne e bambini costretti dentro
le asfittiche mura della cittadella. Fergola, il 3 marzo, inviava un messaggio al re, attraverso una
fregata americana, per chiedere l'invio di un'imbarcazione che potesse metterli in salvo, ma quella
nave era destinata a non arrivare, legando il triste destino dei soldati a quello dei loro affetti più cari.
Di lì a pochi giorni i combattimenti avevano inizio.
Il primo fuoco borbonico veniva aperto giorno 8 marzo, in direzione delle opere d'assedio
piemontesi. Due giorno dopo, Fergola decideva di bombardare le truppe nemiche poste al
Noviziato, e successivamente dava ordine ai suoi di tentare una sortita dal forte di Don Blasco. Si
trattava di una manovra ardita, che veniva subito bloccata dalla pronta reazione dei bersaglieri
piemontesi. La potenza dei loro cannoni riduceva il forte ad una manciata di polvere, e le truppe di
Fergola erano costrette a sgombrarlo precipitosamente. La Cittadella diventava sempre più un
inferno, con il forte completamente distrutto, le fiamme e il fumo degli incendi che stordivano le
truppe, le macerie degli edifici e della speranza ammassate negli angoli, i viveri insufficienti. Ormai
allo stremo delle forze, Fergola riuniva il consiglio di Difesa. La decisione della resa era approvata
all'unanimità, e racchiusa in un documento firmato da tutti gli ufficiali: «Lesionata la casamatta
principale, le fiamme si stendono minacciose alla polveriera, sono presenti mille donne e fanciulli
impauriti. Essendo salvo l'onore militare, la pugna non può avere scopo». In pochi minuti, veniva
siglata la capitolazione.
Attacco di Messina
Così, il 13 marzo cadeva l'ultimo presidio borbonico: alle 7 del mattino, con un trionfale
schieramento di musica e bandiere, Cialdini occupava la cittadella di Messina, dichiarando
prigioniera la guarnigione duosiciliana. La resa era siglata a bordo della nave Maria Adelaide, senza
che fosse concesso agli sconfitti neppure l'onore delle armi. A testimonianza del loro valore, restava
solo la medaglia d'argento che Francesco II faceva coniare per tutti i soldati che avevano preso parte
all'impresa, ed il commosso addio di Fergola ai suoi uomini (Clicca qui per leggerne il testo). Gli
sconfitti non rinunciavano, tuttavia, ad un'ultima beffa nei confronti dei loro conquistatori,
distruggendo gli otto stendardi della fortezza, richiesti con insistenza a Torino come bottino della
vittoria: prima di aprire le porte ai nemici, i borbonici le facevano a pezzetti, e dividevano fra loro
quei preziosi brandelli. L'esercito di Cialdini, una volta entrato, trovava soltanto le aste vuote.
L'ultimo atto dei soldati di Messina aveva come scenario il piano di San Raineri. Ormai pronto
all'imbarco, Fergola era stanco e tossiva. Spirava un forte vento, e il maresciallo, gli occhi lucidi di
pianto e di febbre, metteva un piede in fallo e cadeva in mare. I suoi accorrevano per soccorrerlo,
ma lui chiedeva insistentemente di restare lì in mezzo, piccolo e fradicio, eppure imponente nel suo
contegno, per condividere con loro gli ultimi momenti prima dell'addio.
S.A.G.
Principale bibliografia di riferimento:
- Acton H., Gli ultimi Borboni di Napoli(1825-1861), Martello-Giunti, Firenze 1962.
- Battaglini T., L'organizzazione militare del Regno delle Due Sicilie: da Carlo III all'impresa
garibaldina, Società Tipografica Modenese ,Modena 1940.
- Boeri G., Crociani P., Fiorentino M., L'esercito borbonico dal 1830 al 1861, SME Ufficio Storico,
Roma 1998.
- Buttà G., Un viaggio da Boccadifalco a Gaeta. Memorie della rivoluzione dal 1860 al 186 1( 1ª
edizione 1882), Bompiani, Milano 1985.
- De Cesare R., La fine di un Regno, Lapi, Città di Castello 1909.
- Pieri P., Storia militare del Risorgimento, Einaudi, Torino 1962.
- Zazo A., La politica estera del regno delle Due Sicilie, Tip. Ed. A. Miccoli, Napoli 1940.
L'esercito Merdionale
La campagna garibaldina del 1860 in Sicilia non è la spedizione dei Mille. I partecipanti alla
campagna garibaldina del 1860 in Sicilia non sono solo i Mille.
Le operazioni di organizzazione, raccolta fondi e arruolamento nell'Italia settentrionale
proseguirono dopo la partenza dei volontari da Quarto e il governo sardo, presa di Palermo, si fece
sempre meno scrupoli nel supportare le manovre militari per rimpolpare il contingente volontario.
La dicevano lunga sul ruolo del regno sabaudo le divise turchine dei sottoufficiali sardi che
sbarcavano sull'isola, uomini congedati o disertori, talvolta persino accompagnati dal rullo dei
tamburi reggimentali.
Così Cesare Abba descrisse l'ingresso a Palermo della brigata di Giacomo Medici: «Medici è
arrivato con un reggimento fatto e vestito. Entrò da Porta Nuova sotto una pioggia di fiori. Quaranta
ufficiali, coll'uniforme dell'esercito piemontese, formavano la vanguardia» (clicca qui per leggere
La memoria dei garibaldini). Era sbarcato in Sicilia alla guida di una spedizione di due navi, 2550
uomini, dopo che a Cagliari si era unito al gruppo di 1200 toscani, saliti a bordo a Livorno e guidati
da Vincenzo Malenchini e da Tito Zucconi.
Diverse imbarcazioni cariche di rinforzi si avvicendarono nei porti siciliani nell'estate 1860.
Nell'entusiasmo generale erano sorti vari comitati di provvedimento per i soccorsi alla Sicilia, che
avevano come coordinatore a Genova Agostino Bertani e in pochi mesi riuscirono a raccogliere
6.200.000 lire. La gestione delle risorse venne affidata all'Intendenza militare garibaldina, in
particolare al colonnello Ippolito Nievo, che gestì l'incarico con tanta cura, da risultare inviso a
quanti avrebbero voluto approfittare dell'eccezionalità del momento per trarre vantaggi economici
personali. I Mille divennero presto 20.000. Il Generale pensava che avrebbero potuto essere molti di
più, 250.000, e che presto avrebbero potuto formare un esercito meridionale per il proseguimento
della spedizione nel continente, strutturato come un esercito regolare.
Ma la razionalizzazione dell'apparato militare passò per una pedissequa riproposizione del modello
piemontese, che risultò piuttosto farraginosa. La Segreteria di Stato della Guerra venne affiancata
da uno Stato maggiore generale dell'Esercito e da Ispezioni generali divise per arma: artiglieria,
cavalleria (sebbene di fatto inesistente nell'esercito volontario), fanteria.
Il 2 luglio, con il decreto n. 79, l'Esercito siciliano venne ordinato in divisioni, ognuna delle quali
suddivisa in due o tre brigate, a loro volta frazionate in quattro o otto battaglioni. Ogni unità aveva
vertici e stati maggiori e una mole consistente di ufficiali e superiori: Stefano Türr fu destinato al
comando della 15ª divisione, strutturata in una 1ª brigata, condotta da Nino Bixio e in una 2ª guidata
dal colonello Herbert, mentre la 16ª divisione, al cui interno confluivano la 3ª brigata di Enrico
Cosenz, la 4ª del colonnello Poulet e la 5ª di Giacomo Medici, fu affidata a Giuseppe Paternò.
Spesso si creavano conflitti tra i diversi livelli in cui era articolato il potere militare: gli alti ufficiali
finivano con l'ignorare l'Ispezione generale e persino lo Stato maggiore dell'Esercito entrava in
conflitto con il Ministero della Guerra. Il caos non aveva ricadute solo sugli ingranaggi della
macchina bellica garibaldina, ma complicò la stessa amministrazione finanziaria della dittatura ed
in particolare mise in seria difficoltà Ippolito Nievo, vice-intendente generale di Sicilia, che dalla
gestione dei registri della spedizione ebbe solo grattacapi ed «incertezze», come scrisse nel
novembre 1860 all'amata Bice Melzi, rassicurandola però con una curiosa e tragicamente cieca
metafora marina: «È un buon tratto da percorrere ancora; ma non burrascoso, né perfido, soltanto
noioso» (clicca qui per leggere l'intera lettera). La fine del colonnello in un misterioso naufragio
(ironia della sorte!) parve legata alla necessità di occultare i documenti contabili in suo possesso.
Secondo il discendente, Stanislao Nievo, il nuovo Regno pur di smantellare il virtuoso esercito
garibaldino, volle occultare l'impeccabile gestione finanziaria, opera dell'antenato, macchiandosi di
quello che non fu un casuale affondamento, ma un vero e proprio delitto di Stato. All'opposto c'è chi
pensa che, se davvero di sabotaggio si trattò, lo scopo era quello di celare le gravi malversazioni
compiute dall'esercito e coperte degli stessi ministri del governo prodittatoriale, Giuseppe Paternò
di Spedalotto e Nicola Fabrizi. A settembre il Commissario di Guerra Nicolò Agata denunciava
infatti gli abusi commessi dai militari a partire dalla vendita degli abiti e degli oggetti forniti dalla
pubblica amministrazione, eclatante fu il caso della vendita dei 60000 inutili cappotti comprati a
peso d'oro, e ad ottobre una circolare dello stesso Ministero constatava «la sproporzione massima
degli uffiziali alla forza dell'esercito». Non solo gli ufficiali erano più di 6000, ma si continuavano a
pagare soldati assenti o morti, si acquistavano beni non necessari per favorire alcuni fornitori, si
elargivano promozioni sul campo con un'estrema facilità e, come sottolineò il colonnello ungherese
Kupa, si prendevano «razioni per il triplo degli uomini che avevano a mantenere, cioè 70.000 od
80.000 razioni quando tutta l'armata non ascendeva a più di 25.000». I grandiosi progetti del
generale Garibaldi per l'ingrandimento dell'esercito siciliano non avevano avuto infatti alcun
seguito. La cifra di 50.000 volontari al momento della smobilitazione del corpo il 6 novembre 1860
è infatti giustificabile solo se si annoverano nel conto dei militi i picciotti delle squadre irregolari.
Vani erano stati gli sforzi del Generale di coinvolgere i siciliani facendo leva sul loro orgoglio con
colti riferimenti alla vicenda dei Vespri: «Io e i miei compagni siamo festanti di poter combattere,
accanto ai figli del Vespro, una battaglia che deve infrangere l'ultimo anello di catene con cui fu
avvinta questa terra del genio e dello eroismo!». Né migliori risultati ebbe il decreto sulla leva
obbligatoria col quale si sperava di porre un'alternativa oltre che un freno proprio a quelle bande di
irregolari che non facevano che compromettere l'ordine pubblico isolano.
In realtà l'assenza di vincoli disciplinari formali era un problema che non riguardava soltanto le
squadre di campieri e picciotti. La «non organizzabilità» dell'entusiasmo dei volontari, che era stata
un vanto per Nicola Fabrizi, rappresentò una trappola mortale per l'esercito meridionale. Ne era
convinto l'autore sconosciuto della lettera che il modenese ricevette nel febbraio 1861: «Non siamo
organizzati né organizzabili tu dicevi. E dove mai e più lucida verità di questa? Nel leggerla, Nicola
carissimo, mi sentivo proprio venire meno la fede, e mi fosse davvero mancata, se subito davanti
agli occhi mi si fosse parata gigante la tua infinità». Per dirla con Eva Cecchinato e Mario Isnenghi:
«In ogni volontario si esprime una soggettività politica e già per questo si nasconde un potenziale
obiettore». Quella che per molto tempo aveva suonato alle orecchie dei volontari come una
rivendicazione di orgogliosa autonomia, di fiera autosufficienza, divenne un cappio soffocante nel
confronto con le istituzioni dello Stato nascente: l'imprevedibilità dell'entusiasmo di una nazione
armata. Ecco perché all'indomani del plebiscito un decreto del governo dittatoriale dell'11 novembre
1860 ne intimava lo scioglimento, nella nebulosa prospettiva di ricostituirlo su più solide basi e
nominava anche i membri di una Commissione di scrutinio, che avrebbe dovuto valutare i titoli
degli ufficiali garibaldini e decidere del loro futuro. Secondo lo storico militare John Gooch 5000
ufficiali circa vennero inseriti nell'esercito italiano entro il marzo 1862.
C.M.P.
Principale bibliografia di riferimento:
- Cecchinato E., Camicie rosse. I garibaldini dall'Unità alla grande guerra, Laterza, Roma-Bari
2007;
- Cecchinato E., Isnenghi Mario, La nazione volontaria, in Storia d'Italia. Annali 22. Il
Risorgimento, Einaudi, Torino 2007, pp. 697 - 720;
- Martucci R., L'invenzione dell'Italia unita 1855-1864? Sansoni, Firenze 1999;
- Riall L., Garibaldi. L'invenzione di un eroe, Laterza, Roma-Bari 2007;
- Riall L., La Sicilia e l'unificazione italiana. Politica locale e potere liberale (1815-1866), Einaudi,
Torino 2004.
La memoria dei garibaldini
Chi partecipò alla spedizione garibaldina del 1860 in Sicilia visse quell'esperienza, ma soprattutto la
ricordò, come un momento del tutto eccezionale, consapevole della straordinaria opportunità di
riscatto politico e sociale che era riuscito a cogliere: crollava un vecchio Stato e ne andava costruito
uno nuovo con diversi criteri di legittimità, nuove cariche da ricoprire, nuove scale, nuovi valori da
definire. Sebbene il cambiamento non corrispose alle aspettative di chi aveva scelto di diventare
protagonista di quella svolta, nella straordinaria mole di diari e memorie che ne seguì (clicca qui per
leggere la lettera di Giacinto Bruzzesi a Giuseppe Bandi, Una parola sulle molte storie garibaldine),
rivisse come una stagione emozionante, quella della svolta e degli incontri epifanici. La
memorialistica garibaldina, di cui di seguito si forniscono alcuni titoli, serve anche a questo: i
volontari che scrivono vogliono dare significato ad un'esperienza che in un modo o nell'altro ha
rivoluzionato le loro vite, o quantomeno le loro attese, i loro desideri, le loro rivendicazioni.
C.M.P.
- Abba Giuseppe Cesare, Ricordi garibaldini, Società tipografico-editrice nazionale, Torino 1913.
- Bandi Giuseppe, I Mille da Genova a Capua, A. Salani, Firenze 1903.
- Elia Augusto, Note biografiche e storiche di un garibaldino, Zanichelli, Bologna 1898.
- Fazio Giacomo, Memorie giovanili della rivoluzione siciliana e della guerra del 1860, Tipografia
Francesco Zappa - Lega Navale, Spezia 1901.
- Tonso Giovanni, Brevi ricordi sulla vita di Natalino De Filippi, Maggiore garibaldino, Tipografia
Roux e Viarengo, Torino 1904.
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I VINTI
L'esercito borbonico
La macchina bellica
L'esercito del Regno delle Due Sicilie, al 1860, si componeva di diversi corpi.
Fanteria di linea nazionale:
con funzioni di fanteria pesante era composta da 15 reggimenti (1° Re, 2° Regina, 3° Principe,
4°Principessa, 5°Borbone, 6° Farnese, 7° Napoli, 8° Calabria, 9° Puglia, 10° Abruzzo, 11° Palermo,
12° Messina , 13° Lucania, 14° Sannio, 15° Messapio). Circa 32.000 uomini divisi in 2 battaglioni
di 6 compagnie più una Compagnia Deposito addetta all'addestramento delle reclute. Ogni
battaglione aveva 4 compagnie di Fucilieri, una di Granatieri ed una di Cacciatori.
Fanteria Estera:
era composta da svizzeri, ma anche da sudditi dell'impero austriaco, da bavaresi e da qualche
francese, al comando di ufficiali provenienti quasi esclusivamente dai vecchi reggimenti elvetici
disciolti nel 1859. Dotata di cannoni rigati era composta da: 1° e 2° battaglione Carabinieri, 3°
battaglione Carabinieri Cacciatori, 1 Battaglione Veterani Carabinieri.
Fanteria della Guardia Reale:
composta da circa 9.300 uomini, era un corpo d'élite dell'esercito borbonico, formata da giovani con
caratteristiche fisiche al di sopra della media. Era suddivisa nella brigata Granatieri della Guardia,
brigata Cacciatori della Guardia, reggimento Real Marina (per operazioni di fanteria marina) e
Battaglione Tiragliatori (con compiti di fanteria leggera).
Gendarmeria:
corpo militare a piedi e a cavallo, svolgeva funzioni di ordine pubblico ma anche di combattimento.
La Gendarmeria a piedi era composta da 5 battaglioni, ognuno dei quali formato da 6 compagnie.
Ogni battaglione era affiancato da uno squadrone di Gendarmeria a cavallo. Il totale era di circa
7.000 uomini.
Battaglione Cacciatori:
una delle migliori specialità dell'esercito napoletano, vero e proprio corpo di qualità addestrato per
combattere alla leggera e fulcro operativo dell'esercito . Composto da 16 battaglioni Cacciatori, con
circa 2.000 uomini divisi in 8 compagnie.
Reali Guardie del corpo:
primo dei corpi della Casa Militare del Re. Circa 200 uomini con compiti di vigilanza sulla famiglia
reale. Il corpo era composto da 1 compagnia a piedi e da uno squadrone a cavallo.
Guardie d'onore:
corpo armato a cavallo con il compito di scortare la famiglia reale in viaggio. Si componeva di 18
squadroni di circa 140 uomini (1° Napoli, 2° Terra di Lavoro, 3° Molise, 4° Calabrie Ultra, 5°
Abruzzo Ultra, 6° Abruzzo Citra, 7° Principato Citra, 8° Capitanata, 9° Calabria Citra, 10°
Basilicata, 11° Terra d'Otranto, 12° Terra di Bari, 13° Principato Ultra, 14° Abruzzo Ultra Primo,
15° Palermo e Trapani, 16° Catania e Noto, 17° Girgenti e Caltanissetta, 18° Messina).
Cavalleria:
costituita solo da corpi nazionali, della linea e della guardia reale. Il totale era di circa 7000 uomini,
suddivisi in:
- 2 Reggimenti Ussari, con funzioni di cavalleria leggera;
- 3 Reggimenti Dragoni (Re, Regina, Principe) con funzioni di fanteria montata;
- 2 Reggimenti Lancieri, attrezzati con lunghe lance;
- 1 Reggimento Carabinieri a Cavallo con compiti di cavalleria leggera;
- 1 Reggimento Cacciatori a Cavallo, maggiormente impegnato nella campagna di Sicilia e in quella
del Volturno.
Artiglieria:
- 2 Reggimenti artiglieria: Re e Regina in 18 compagnie a piedi per un totale di circa 5.400 uomini;
- 15 Batterie montate (una estera);
- 1 compagnia Artiglieria a cavallo;
- 1 battaglione Artefici di artiglieria. Le compagnie, oltre a prestare servizio negli arsenali, nei
parchi del materiale ed alle pompe per spegnere gli incendi, avevano anche il compito di pontonieri
in caso di uscite in campagna;
- 1 Corpo d'artiglieria Litorale, aveva il servizio di artiglieria nelle batterie, nei forti, nei castelli e
nelle piazze marittime del Regno;
- 1 Brigata Treno, era addetta al servizio dell'artiglieria a cavallo della Guardia, al trasporto degli
equipaggiamenti e delle persone della Casa Reale, e del battaglione del treno di linea, addetto al
servizio dell'artiglieria a piedi ed ai trasporti militari;
- 1 Corpo politico d'artiglieria, che aveva sia il compito di provvedere alla fabbricazione del
materiale dell'arma negli stabilimenti e nelle manifatture militari, sia quello di custodire e
mantenere questo nelle piazze, nei forti e nelle batterie del Regno.
Genio:
reparto di punta dell'esercito napoletano, con un organico di circa 2.500 uomini. Era suddiviso in:
- 2 battaglioni Zappatori Minatori, addetti alle mine sotterranee, ai fascinaggi e all'assistenza dei
lavori di genio nelle piazze;
- 1 battaglione Pionieri, addetto ad opere che rendessero agevole il passo dell'esercito;
- l'Officio Topografico, raccoglieva piani, modelli, memorie, opere scientifiche e progetti di
carattere militare, al quale erano annessi Gabinetto di Macchine geodetiche ed una biblioteca dotata
di oltre 20.000 volumi e carte. Era suddiviso in 4 sezioni, 3 di stanza a Napoli ed 1 a Palermo, la
prima addetta ai lavori interni; la seconda alla calcografia, litografia e stampe; la terza che costituiva
l'Officio di Sicilia; la quarta, incaricata dei lavori esterni.
Compagnie di riserve provinciali:
formate da elementi fisicamente meno validi con compiti secondari e sedentari (guardia delle
prigioni e scorta ai detenuti); erano presenti per ciascuna provincia continentale tranne che a Napoli.
Si trattava di 2000 uomini suddivisi in 8 compagnie.
Reggimento Reali Veterani:
svolgeva compiti presidiari ed era costituito da circa 1.700 uomini in 2 battaglioni (uno sul
continente ed uno in Sicilia), per un totale di 15 compagnie.
Compagnie d'Armi:
24 compagnie (una Reale - destinata ad operare congiuntamente alla Gendarmeria a cavallo in
Palermo - e 23 distrettuali) erano presenti in Sicilia, dove operavano nelle campagne per la
prevenzione e la repressione degli abigeati e nel servizio della vigilanza alle strade.
Guardie Urbane:
con compiti di vigilanza, venivano mobilitate solo in caso di necessità. I loro componenti erano
scelti tra i nobili, gli impiegati, i commercianti, i proprietari terrieri, i negozianti, i professionisti, gli
artigiani di età compresa tra i 24 e i 50 anni, che avessero dimostrato attaccamento al trono e
probità.
Guardie d'Interna Sicurezza:
addette alla sorveglianza della capitale, avevano il medesimo reclutamento delle Guardie Urbane.
Erano costituite in 12 battaglioni, uno per ciascun quartiere della città di Napoli (1°, S. Ferdinando;
2°, Chiaia; 3°, S. Giuseppe; 4°, Montecalvario; 5°, Avvocata; 6°, Stella; 7°, San Carlo all'Arena; 8°,
Vicaria; 9°, S. Lorenzo; 10°, Mercato; 11°, Pendino; 12°, Porto).
Le battaglie
<
A presidio dell'Isola
La primavera del 1860, per la Sicilia, era tempo di "ossessioni".
Lo era per quella bislacca moltitudine in camicia rossa, che voleva a tutti i costi conquistare l'isola,
alla testa di un generale ostinato e volitivo, che non intendeva arrestarsi di fronte all'inferiorità delle
sue forze.
Lo era per quelle squadre di "picciotti" che occupavano le strade e i punti strategici delle città,
intestardite nel proposito di liberarsi dalla stretta borbonica anche a costo della vita.
Ma lo era, soprattutto, per l'esercito borbonico: assillato dalla presenza di un manipolo di filibustieri
che stava riuscendo a far vacillare sicurezze e convinzioni; tormentato dal timore di una fatale
sconfitta; spaccato a metà fra la voglia di attaccare e quella di arretrare di fronte all'avanzata
nemica. La cifra di queste fobie stava racchiusa nell'immagine delle fortezze regie - simbolo
dell'ossessione per eccellenza, quella dell'assedio - destinate ad accrescere a dismisura la loro
importanza e a far da eloquente scenografia agli eventi. Proprio quelle costruzioni, infatti,
minacciose e protettrici ad un tempo, racchiudevano in sé tutte le declinazioni del combattimento:
accoglievano le truppe, accordando loro difesa e ristoro; offendevano i nemici, aprendo il fuoco
nella loro direzione; potevano celare o bombardare, proteggere o annientare. Bastava ruotare un po'
lo sguardo, in quell'infuocata primavera, per accorgersi della varietà di funzioni che le fortezze
potevano rivestire: il Castellammare di Palermo aveva bombardato la città, per sfinire la resistenza
degli insorti; il forte di Siracusa era rimasto fermo, ad aspettare il corso degli eventi; la cittadella di
Messina era stata l'ultima roccaforte borbonica, fin quasi alla proclamazione del Regno d'Italia.
Le storie erano diverse, ma egualmente importante il ruolo svolto dalle fortificazioni, che non a
caso rappresentavano una delle punte di diamante dell'architettura militare siciliana sin dal
Medioevo, divenendo - nel corso dell'Ottocento - addirittura un caposaldo imprescindibile della
difesa dell'isola.
Le fortezze avevano infatti come primo scopo quello difensivo e le loro imponenti strutture - pareti,
scarpate, parapetti, fossati, rivellini e opere addizionali esterne - rappresentavano concretamente
questa funzione, messe a salvaguardia della forza militare umana, degli immobili, delle armi, e di
quant'altro si trovasse al loro interno. Agli scopi di difesa si aggiungeva tuttavia la capacità di
offendere, rappresentata dal volume complessivo del fuoco che era possibile esplodere, dall'insieme
delle armi e munizioni a disposizione dell'armata, dalla quantità di uomini che il forte poteva
mandare fuori dalle mura e dalla gittata dei cannoni. Queste qualità erano comuni a tutte le strutture
militari terrestri e a quelle ubicate sul mare, che potevano anche fare da protezione contro gli
attacchi di squadre navali nemiche, difendere il porto e i quartieri vicini.
Altra finalità era quella di gestire le rivolte cittadine e, quindi, di far fuoco contro masse di
rivoluzionari. Nel caso di una ribellione popolare, la fortezza rispondeva con il c.d. fuoco
d'interdizione, cioè un modo di sparare costante e regolare, che in breve rendeva inagibili le strade e
disperdeva gli insorti. I ribelli, infatti, occupavano i punti strategici della città, in modo da
controllare le strade più importanti, gli incroci o le piazze, e da lì sparavano contro l'esercito, con il
vantaggio di una posizione strategica che aumentasse la visibilità. Molto spesso, inoltre, i rivoltosi
innalzavano le barricate, costruite nelle strade, a cavallo di due edifici, ammassando materiali di
ogni genere, raccattati qua e là. Questa accozzaglia di materiale dava anche un forte effetto
scenografico, per la consuetudine di adornarla con bandiere, coccarde, piume, simboli della causa
per cui si stava lottando. In questo modo gli insorti speravano di dominare il territorio ed evitare che
i soldati uscissero dalle loro postazioni.
A questo fuoco incrociato di attacchi, la fortezza rispondeva con l'artiglieria: i cannoni di grosso
calibro, a postazione fissa, dai quali era possibile esplodere bombe di ferro, palle incatenate e
bombe incendiarie; oppure quelli mobili, più piccoli, maneggevoli e adatti al tiro teso. Era terribile
l'utilizzo della mitraglia: in un cartoccio o in una tela a forma di cilindro si inserivano una quantità
sufficiente di palle di ferro - simili a quelle utilizzate per i fucili ma più grandi - o talvolta si
riempivano con materiale di fortuna, come sassi, chiodi o catene. Una volta esplose dal cannone, il
contenuto veniva proiettato "a rosa", con effetti devastanti sui nemici. Dopo il bombardamento, la
truppa usciva dall'edificio inquadrata in compagnie e organizzata in plotoni, individuava i posti in
cui si barricavano i ribelli e andava a stanarli. Se, invece, gli insorti erano riusciti a bloccare le
truppe nella fortezza, si passava all'assedio e, infine, alla ricerca di soluzioni alternative - un
compromesso o una tregua - in attesa di una soluzione politica del conflitto.
Tra le fortezze più importanti della Sicilia ottocentesca, spiccavano il Castellammare di Palermo, il
castello di Milazzo, la Cittadella di Messina, il castello Ursino a Catania, il forte di Augusta e Castel
Maniace a Siracusa.
- Castellammare di Palermo
- Cittadella di Messina
- Castel Maniace di Siracusa
- Castello di Milazzo
C.S.
Principale bibliografia di riferimento:
- Mazzarella S., Zanca Renato, Il libro delle torri. Le torri costiere di Sicilia nei secoli XVI-XX,
Sellerio, Palermo 1985;
- Renda F., Storia della Sicilia, vol. III, Sellerio, Palermo, 2003;
- Santoro R., Il Castellammare di Palermo nei fatti d'arme dell'Ottocento Palermitano, in Archivio
Storico Siciliano, anno 2001, fasc. II.
Prigionieri Borbonici
«In Italia, o meglio negli Stati sardi, esiste proprio la tratta dei Napoletani. Si arrestano da Cialdini
soldati napoletani in gran quantità, si stipano ne' bastimenti peggio che non si farebbe degli animali,
e poi si mandano in Genova. Trovandomi testè in quella città ho dovuto assistere ad uno di que'
spettacoli che lacerano l'anima. Ho visto giungere bastimenti carichi di quegli infelici, laceri,
affamati, piangenti; e sbarcati vennero distesi sulla pubblica strada come cosa da mercato [...].
Alcune centinaia ne furono mandati e chiusi nelle carceri di Fenestrelle: un ottomila di questi
antichi soldati Napoletani vennero concentrati nel campo di S. Maurizio». Il travagliato destino dei
soldati borbonici, all'indomani della sconfitta del loro esercito, veniva tratteggiato con queste tinte
amare dall'organo di stampa dei Gesuiti napoletani, «La Civiltà Cattolica» (clicca qui per leggerne
alcuni numeri). L'enfasi della testata era dovuta in parte al disprezzo dei suoi redattori nei confronti
del nuovo assetto politico venutosi a creare in seguito al crollo del Regno delle Due Sicilie; tuttavia,
questo non smorzava di certo la durezza del trattamento cui venivano sottoposte le (guarnigioni
borboniche dopo la disfatta. Il problema della loro sorte si era posto in tutta la sua drammaticità
subito dopo il plebiscito del 21 ottobre 1860, che aveva sancito l'annessione delle province
napoletane e siciliane al Regno d'Italia: in seguito all'unificazione istituzionale, occorreva infatti che
si procedesse anche a quella militare. La questione diventava ancora più stringente perché, già in
quel momento, migliaia di soldati napoletani erano stati fatti prigionieri e sparpagliati nei campi di
reclusione dell'Italia settentrionale (Fenestrelle , S. Maurizio Canavese, Alessandria, S. Benigno,
Bergamo), in attesa di essere aggregati ai Depositi dei Corpi dell'esercito piemontese.
Numero di prigionieri tra gli Ufficiali e Sottoufficiali dell'esercito napoletano (1860)
7 ottobre
n. 900
17 ottobre
n. 360
8 novembre
n. 3.600
11 novembre
n. 2.330
24 novembre
n. 810
Totale 8.000
(Dati tratti dalla Relazione del Maggior Generale Federico Torre, Direttore Generale delle Leve,
Bassa-forza e Matricola al signor Ministro della Guerra sulle Leve eseguita in Italia dalle
annessioni delle varie Provincie al 30 settembre 1863).
La necessità di quella che si presentava come una vera e propria reclusione era dovuta all'urgenza di
impedire il contatto tra i soldati e la popolazione meridionale, che in parte era rimasta devota alla
vecchia dinastia, stentando a riconoscersi nella nuova dimensione nazionale: si temeva, e non del
tutto a torto, che le guarnigioni duosiciliane avrebbero potuto prestare la loro opera, e la loro
esperienza militare, a qualche tentativo di revanche filo-borbonica.
A dicembre, così, un Regio Decreto chiamava alle armi tutti gli individui napoletani per le Leve
degli anni dal 1857 al 1860, compresi i renitenti; chi non era incluso nel novero rimaneva invece in
patria, in congedo illimitato, ma doveva tenersi pronto a rispondere a qualsiasi eventuale chiamata.
L'idea di fondo era chiara: i prigionieri più anziani, definitivamente corrotti dalla fedeltà ai Borboni,
solo in estrema ratio sarebbero stati ammessi all'interno della compagine militare italiana.
Per gli altri, i giovani, era ancora possibile, invece, la rieducazione ad una disciplina ortodossa: si
stabiliva cosi un termine per la loro presentazione, fissato al mese di gennaio del 1861, e poi
prorogato al 1° giugno dello stesso anno: chiunque non avesse risposto alla chiamata, sarebbe stato
considerato a tutti gli effetti un disertore.
Era previsto un afflusso di circa 72.000 uomini, ma il numero effettivo di reclutati continuava a
rimanere nettamente inferiore alle aspettative: molti uomini erano stati feriti a morte durante le
battaglie, e parecchi venivano riformati; soprattutto, però, tanti erano quelli che si rifiutavano
categoricamente di entrare a far parte di un esercito diverso da quello a cui avevano giurato lealtà.
Da quel momento, sarebbero entrati a far parte della categoria degli sbandati, una vera e propria
spina nel fianco per il nuovo Stato in cerca di legittimazione.
Sul fronte opposto, e per opposti motivi, anche la dinastia morente vedeva nella deportazione dei
propri soldati l'ennesima causa di rabbia, così il governo napoletano non esitava a protestare in
modo ufficiale per le misure adottate nei confronti dell'esercito borbonico . Alla fine del 1860 il
generale Casella, Presidente del Consiglio dei Ministri, in una nota diplomatica alle potenze amiche
accreditate presso Francesco II denunciava: «I Reali prigionieri fatti da Garibaldi [...] si
costringevano a partire pel Piemonte, ove contro ogni legge militare si forzavano ad arrolarsi fra le
milizie di Sardegna».
A dispetto di ogni dissenso, comunque, il governo piemontese continuava il reclutamento,
preoccupandosi anzi di istituire a Genova una Commissione di smistamento, presieduta dal
Luogotenente Boyl e composta da 5 ufficiali: fatta la distribuzione dei prigionieri, l'organo doveva
inviare al presidente uno stato numerico della ripartizione, che servisse da modello alle successive
suddivisioni. Come stabilito, ai soli militari di Leve anteriori al 1857 veniva concesso il rientro in
patria: nel gennaio del 1861, ben 2.600 individui potevano rivedere così il suolo di casa.
Prigionieri borbonici condotti a Genova
Autonomismo e unità «La Sicilia può fare assegnamento sul ministero onde promuovere l'adozione d'un sistema di
larghissimo discentramento amministrativo. Abbiamo introdotto il sistema delle Regioni, sta al
Parlamento il fecondarlo». È il 1860. Parla Camillo Benso conte di Cavour.
Quello della "questione siciliana" era un tema al quale molti protagonisti del processo di
costruzione dello Stato italiano riconoscevano un'indiscutibile dignità, senza liquidarlo
frettolosamente come indipendentista o separatista, ma inserendolo nel serio dibattito che esordiva
con l'adozione della costituzione nel 1812 e che aveva visto confrontarsi, tra il 1848 e il 1860
autorevoli intellettuali siciliani come Francesco Paolo Perez, Michele Amari, Francesco Ferrara,
Vito D'Ondes Reggio, Gioacchino Ventura e Salvatore Vigo.
Se nella prima metà del XIX secolo le istanze autonomiste siciliane coincidevano con l'espressione
di un mero antinapoletanismo, dopo il fallimento della rivoluzione del 1848, che con lo Statuto
fondamentale del Regno di Sicilia aveva proclamato l'isola Stato indipendente, si cominciò a
collocarle all'interno di un ragionamento più ampio e politicamente maturo, che guardava con
favore all'idea di una federazione di Stati liberi, sposando la causa della nazione italiana. Nel
complesso si trattava di istanze di decentramento politico di matrice romantico-nazionale, che si
opponevano all'accentramento di impronta napoleonica recepito dalla monarchia borbonica nel
1816. Diverse erano le prospettive da cui si guardava alle potenzialità della governance locale,
opzione amministrativa che convinceva sia i moderati che i democratici.
Si ispiravano al neoguelfismo di Vincenzo Gioberti i moderati cattolici Ferrara, D'Ondes Reggio e
Gioacchino Ventura. Il primo, che era un economista, conciliava l'auspicio di una federazione degli
Stati italiani con la libertà di commercio, in una valutazione decisamente positiva dei modelli della
Confederazione elvetica, ma soprattutto degli Stati Uniti d'America. Il secondo arricchiva le tesi
federaliste con il principio di sussidiarietà proprio della dottrina sociale cristiana, che mirava a
sviluppare e favorire la maggiore espressione possibile di autogoverno della società, all'interno di
regole generali fondate sul diritto naturale e sul senso comune. Il terzo infine si faceva paladino di
un federalismo con un'anima solidaristica.
Alle tesi di Carlo Cattaneo guardavano invece molti democratici, persino mazziniani: il principio
unitario non veniva infatti compromesso da un'organizzazione regionale ed autonomistica dello
Stato. Accoglievano questa tesi ad esempio i collaboratori del quotidiano palermitano l'Arlecchino o
Francesco Paolo Perez, che per primo collegò l'obiettivo dell'autonomia siciliana alla necessità di
dividere l'intera penisola in libere Regioni, per il rispetto delle necessità, che passati diversi avevano
imposto alle molteplici unità territoriali in cui andava divisa la penisola. Il caso della Sicilia era
l'esempio eclatante utile a comprendere il pensiero di figure come Perez, che scriveva «La Sicilia si
troverebbe assai male rappresentata in mezzo alla civiltà italiana se, ne' rami in cui il dominio
borbonico l'ha lasciata tanto indietro, come sono la pubblica Istruzione ed i Lavori di pubblica
utilità, non potesse determinarsi a sacrifizi straordinari e solleciti, e non potesse largamente
eccedere quella quota che un Parlamento generale sappia loro assegnare, stendendo il suo sguardo
su i bisogni medi di tutto il regno, e non potendo arrestarsi avanti a considerazioni di interesse
puramente locale».
E nel biennio 1860-61 parve che il Consiglio straordinario di Stato, istituito dal prodittatore Antonio
Mordini il 18 ottobre 1860, e la Commissione temporanea di legislazione presso il Consiglio di
Stato, che avrebbe prodotto le note del ministro Luigi Carlo Farini e di Marco Minghetti,
considerassero plausibile l'articolazione regionale dello Stato italiano.
Ma la sensibilità al rispetto delle peculiarità e delle tradizioni siciliane non durò a lungo. Come
scrisse nel 1874 Giuseppe Perez, fratello del più noto Francesco Paolo, ad un altro illustre
autonomista, Salvatore Vigo: «Accettata dal primo parlamento (e come no!) l'annessione della
Sicilia, e cessata la Dittatura, il conte Cavour richiamò la luogotenenza , come pegno del sistema
regionale, ch'ei già formolava. Ma non appena mancato il grand'uomo al governo d'Italia i suoi
insipienti successori, secondati e forse anche incitati da un ministro siciliano, si affrettarono ad
abolire quell'antico potere si utile al governo centrale ed all'isola. D'allora in poi la casta
privilegiata dei ministri che con alterna vicenda si sono disputati, e tutt'ora si disputano il potere,
dato fiato alle trombe, inaugurarono quel sistema di fusione e di accentramento di poteri che ha
ridotto questa misera Italia allo stato lacrimevole in cui la veggiamo.»
C. M. P.
Principale bibliografia di riferimento:
Della Peruta F., Unità e federazione durante il risorgimento in Storia dell'autonomia in Italia tra
Ottocento e Novecento, a cura di A. Varni, Il Mulino, Bologna 2001.
Lazzarino Del Grosso A. M., Il federalismo sconfitto: Francesco Ferrara e Giuseppe Ferrari, in
Storia e percorsi del federalismo. L'eredità di Carlo Cattaneo, a cura di D. Preda e C. Rognoni
Vercelli, Il Mulino, Bologna 2005.
Marino G. C., L'ideologia sicilianista: dall'età dell'illuminismo al Risorgimento, Flaccovio,
Palermo 1988.
Novarese D., Federalismo e regionalismo nel dibattito siciliano degli anni 1848-61, in Cattaneo e
Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno, a cura di A. Trova e G. Zichi, Carocci, Roma 2004.
I protagonisti dell'autonomismo
Michele AMARI (1810-1870)
Carlo CATTANEO (1801-1869)
Vito D'ONDES REGGIO (1811-1885)
Vincenzo FARDELLA di TORREARSA (1808-1889)
Francesco FERRARA (1810-1900)
Vincenzo GIOBERTI (1801-1852)
Francesco Paolo PEREZ (1812-1892)
Gioacchino VENTURA (1792-1861)
Salvatore VIGO (1794-1874)
Mille pellicole
Ritratti di celluloide
- Il piccolo garibaldino (anonimo), 1909
- I mille di Alberto Degli Abbati, 1912
- 1860 di Alessandro Blasetti, 1932
- Viva l'Italia di Roberto Rossellini, 1961
- Il Gattopardo di Luchino Visconti, 1963
- Bronte, cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato di Florestano
Vancini, 1972
- Kaos di Paolo e Vittorio Taviani, 1984
- Tra due mondi di Fabio Conversi, 2002
- I Vicerè di Roberto Faenza, 2007
La stampa del tempo
Ai rapidi successi della spedizione garibaldina si accompagnò in Sicilia una ripresa della libera
stampa che fiorì arricchendosi in pochissimo tempo di nuovi ed incisivi fogli e giornali politici,
politico-letterari, umoristici, popolari, ecc. La rassegna qui offerta, non esaustiva, vuol essere solo
una vetrina esemplificativa del fenomeno e delle opinioni circolanti.
La mappa della spedizione
Riferimenti e testi:
- Museo del Risorgimento- Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
- Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra d'Italia nel 1860, Fratelli Terzaghi,
Milano, 1860-62 (clicca qui per vedere la copertina)
- I MILLE per il Generale Giuseppe Garibaldi,Regio Stabilimento L. Lavagnino, Genova, 1876
(clicca qui per vedere la copertina)
M. G. P.
Marsala
Lo sbarco dei Mille a Marsala
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Calatafimi
15 maggio 1860 (Garibaldi e Bixio)
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Combattimento di Calatafimi avvenuto il giorno 15 maggio 1860
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Battaglia di Calatafimi (da uno schizzo realizzato sul posto)
In I MILLE per il Generale Giuseppe Garibaldi, Regio Stabilimento L. Lavagnino,Genova, 1876
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Presa di Calatafimi
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Monreale
Rosalino Pilo mortalmente ferito sulle alture di Monreale
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Palermo
Entrata di Garibaldi a Palermo
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria , Palermo
Il popolo palermitano alla barricata della salita del monastero de' sette angeli
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Combattimento di Garibaldi colle truppe borboniche al ponte dell'ammiraglio il 27 maggio
1860
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Saccheggio ed incendio della Porta di Castro fatto dalle truppe borboniche il 27 maggio 1860
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Parte dei casamenti incendiati dai regi alla Piazza Grande presso Porta di Castro nei dì 27 e
28 maggio 1860
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Incendio della Santissima Cappella dell'Incoronata annesso alla badia nuova 28 maggio 1860
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Bombardamento borbonico
Originale conservato presso Museo del Risorgimento - Società Siciliana per la Storia Patria,
Palermo
Garibaldi acclamato dittatore della Sicilia in Palermo
Litografia Fratelli Terzaghi Milano
Piazza della Fieravecchia
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria , Palermo
Demolizione del Castello di Palermo
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria , Palermo
Milazzo
La presa di Milazzo
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Un fatto della battaglia di Milazzo
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
Messina
Attacco di Messina
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Entrata di Garibaldi a Messina
Lit. Fratelli Terzaghi Milano in Album storico-artistico. Garibaldi nelle due Sicilie ossia guerra
d'Italia nel 1860, Milano, 1860-1862
Società Siciliana per la Storia Patria, Palermo
FONTE:
http://pti.regione.sicilia.it/portal/page/portal/PIR_PORTALE/PIR_150ANNI/PIR_150ANNISITO/PIR_Schede/
PIR_IlProgetto