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Lo scheletro idrostatico. Lo scheletro idrostatico rappresenta l'apparato di sostegno più semplice descritto negli animali: lo si ritrova negli Cnidari (anemoni di mare e meduse), negli Anellidi (lombrichi) e in altri invertebrati. Il suo nome deriva dal fatto che consiste in una cavità corporea colma di un liquido incomprimibile (l'acqua), circondata da muscoli. Quando un gruppo di muscoli opportunamente orientati si contrae, viene generata una compressione sulla cavità contenente il liquido. Una porzione della parete della cavità dello scheletro idrostatico si estroflette dal versante opposto rispetto al sito di compressione. Un esempio di tale meccanismo si può osservare in un anemone di mare, il quale dispone di un idroscheletro contenente acqua marina. Per estendere il proprio corpo e le estroflessioni tentacolari, l'animale chiude l'apertura orale e quindi contrae la guaina muscolare circolare che circonda la propria cavità corporea, provocando, con la pressione del liquido, l'effetto di estensione. In condizioni di pericolo l'anemone può ottenere l'effetto contrario, utilizzando muscoli disposti longitudinalmente intorno allo scheletro idrostatico e parallelamente rispetto all'asse maggiore dei tentacoli. In certi gruppi animali questo tipo di scheletro risulta adattato a svolgere una funzione motoria rispetto al substrato, come accade nel caso dei lombrichi. In tali animali la cavità corporea è ripartita in diversi segmenti modulari, mentre la sua parete possiede un duplice strato muscolare: uno, interno, presenta fibre ad andamento longitudinale; l'altro, esterno, ad andamento circolare (figura 1). Ogni segmento corporeo dispone di un comparto chiuso ripieno di liquido sul quale si esercita la compressione dei muscoli: quando si contraggono quelli circolari il singolo segmento tende a farsi più lungo e più sottile; se invece si contraggono quelli ad andamento longitudinale si verifica un accorciamento del segmento, che tende a rigonfiarsi. Figura 1. II ruolo dello scheletro idrostatico nella locomozione (A) Lo scheletro idrostatico di un lombrico è costituito da cavità contenenti liquido, isolate l'una dall'altra mediante setti, (B) La contrazione dei muscoli disposti circolarmente (alla periferia) determina l'allungamento dei comparti contenenti il liquido e dei segmenti rispettivi, mentre quella dei muscoli disposti longitudinalmente (più internamente) ne riduce la lunghezza. Il movimento dell'animale su un dato substrato risulta dall'alternanza dei processi di allungamento e di quelli di accorciamento: il lombrico avanza con un estremo che prima si assottiglia e quindi incrementa il diametro. Le «setole» (o chete) consentono l'ancoraggio al substrato e impediscono il movimento retrogrado dei segmenti corporei, quando questi sono interessati dalle onde di contrazione. Il funzionamento alternato dei due rivestimenti muscolari determina onde di compressione e di dilatazione,che interessano il corpo dell'animale. I segmenti brevi ed espansi funzionano come dispositivi di presa sul substrato grazie anche all'ancoraggio garantito da specializzazioni tegumentali (chete) simili in aspetto a setole. In questo modo l'animale si muove abbastanza celermente tanto negli spostamenti in superficie quanto in quelli sotterranei. Un interessante adattamento dello scheletro idrostatico consente ad alcuni molluschi cefalopodi (polpi e calamari) di muoversi mediante un dispositivo a reazione. I muscoli disposti intorno alla cavità contenente il liquido si contraggono e ne provocano l'espulsione, determinando il movimento dell'animale in senso opposto. 1. Il sistema scheletrico. In assenza di un dispositivo rigido sul quale applicarsi, un muscolo può solamente contrarsi o rilasciarsi, cioè cambiare forma, ma non può eseguire alcun lavoro. Tra gli animali si descrivono sistemi scheletrici di vario tipo, in grado di tradurre in lavoro la contrazione muscolare e di rendere possibili movimenti coordinati e opportunamente diretti. Oltre a concorrere a tali funzioni cinetiche, le strutture scheletriche degli animali svolgono anche un ruolo di protezione nei confronti dei danni di tipo meccanico che l'ambiente esterno può arrecare. In alcuni gruppi, non necessariamente primitivi, questa protezione esterna coinvolge l'intero corpo: è noto che molti vertebrati, persino alcuni mammiferi, dispongono di una vistosa corazzatura esterna. Nei vertebrati, tuttavia, la funzione protettiva delle strutture scheletriche è riservata prevalentemente agli organi di senso e al sistema nervoso centrale. Le fondamentali varietà dei dispositivi scheletrici degli animali si riducono a tre: lo scheletro idrostatico, l'esoscheletro e l'endoscheletro. La prima parte di questo capitolo riguarda lo scheletro dal punto di vista generale e comparativo mentre la seconda parte tratta in particolare lo scheletro dell'uomo.

1. Il sistema scheletrico. - liceocesarevalgimigli.it · La prima parte di questo capitolo riguarda lo scheletro dal punto di vista generale e comparativo mentre ... diversi gruppi

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Lo scheletro idrostatico.

Lo scheletro idrostatico rappresenta l'apparato di sostegno

più semplice descritto negli animali: lo si ritrova negli

Cnidari (anemoni di mare e meduse), negli Anellidi

(lombrichi) e in altri invertebrati.

Il suo nome deriva dal fatto che consiste in una cavità

corporea colma di un liquido incomprimibile (l'acqua),

circondata da muscoli. Quando un gruppo di muscoli

opportunamente orientati si contrae, viene generata una

compressione sulla cavità contenente il liquido. Una

porzione della parete della cavità dello scheletro idrostatico

si estroflette dal versante opposto rispetto al sito di

compressione. Un esempio di tale meccanismo si può

osservare in un anemone di mare, il quale dispone di un

idroscheletro contenente acqua marina. Per estendere il

proprio corpo e le estroflessioni tentacolari, l'animale

chiude l'apertura orale e quindi contrae la guaina

muscolare circolare che circonda la propria cavità corporea,

provocando, con la pressione del liquido, l'effetto di

estensione. In condizioni di pericolo l'anemone può ottenere

l'effetto contrario, utilizzando muscoli disposti

longitudinalmente intorno allo scheletro idrostatico e

parallelamente rispetto all'asse maggiore dei tentacoli.

In certi gruppi animali questo tipo di scheletro risulta

adattato a svolgere una funzione motoria rispetto al

substrato, come accade nel caso dei lombrichi. In tali

animali la cavità corporea è ripartita in diversi segmenti

modulari, mentre la sua parete possiede un duplice strato

muscolare: uno, interno, presenta fibre ad andamento

longitudinale; l'altro, esterno, ad andamento circolare

(▶figura 1).

Ogni segmento corporeo dispone di un comparto chiuso

ripieno di liquido sul quale si esercita la compressione dei

muscoli: quando si contraggono quelli circolari il singolo

segmento tende a farsi più lungo e più sottile; se invece si

contraggono quelli ad andamento longitudinale si verifica

un accorciamento del segmento, che tende a rigonfiarsi.

Figura 1. II ruolo dello scheletro idrostatico nella locomozione

(A) Lo scheletro idrostatico di un lombrico è costituito da cavità contenenti liquido, isolate l'una dall'altra mediante setti, (B) La contrazione dei muscoli disposti circolarmente (alla periferia) determina l'allungamento dei comparti contenenti il liquido e dei segmenti rispettivi, mentre quella dei muscoli disposti longitudinalmente (più internamente) ne riduce la lunghezza. Il movimento dell'animale su un dato substrato risulta dall'alternanza dei processi di allungamento e di quelli di accorciamento: il lombrico avanza con un estremo che prima si assottiglia e quindi incrementa il diametro. Le «setole» (o chete) consentono l'ancoraggio al substrato e impediscono il movimento retrogrado dei segmenti corporei, quando questi sono interessati dalle onde di contrazione.

Il funzionamento alternato dei due rivestimenti muscolari

determina onde di compressione e di dilatazione,che

interessano il corpo dell'animale. I segmenti brevi ed

espansi funzionano come dispositivi di presa sul substrato

grazie anche all'ancoraggio garantito da specializzazioni

tegumentali (chete) simili in aspetto a setole. In questo

modo l'animale si muove abbastanza celermente tanto

negli spostamenti in superficie quanto in quelli

sotterranei.

Un interessante adattamento dello scheletro idrostatico

consente ad alcuni molluschi cefalopodi (polpi e calamari) di

muoversi mediante un dispositivo a reazione. I muscoli

disposti intorno alla cavità contenente il liquido si

contraggono e ne provocano l'espulsione, determinando

il movimento dell'animale in senso opposto.

1. Il sistema scheletrico.

In assenza di un dispositivo rigido sul quale applicarsi, un muscolo può solamente contrarsi o rilasciarsi, cioè cambiare

forma, ma non può eseguire alcun lavoro. Tra gli animali si descrivono sistemi scheletrici di vario tipo, in grado di

tradurre in lavoro la contrazione muscolare e di rendere possibili movimenti coordinati e opportunamente diretti. Oltre

a concorrere a tali funzioni cinetiche, le strutture scheletriche degli animali svolgono anche un ruolo di protezione nei

confronti dei danni di tipo meccanico che l'ambiente esterno può arrecare. In alcuni gruppi, non necessariamente

primitivi, questa protezione esterna coinvolge l'intero corpo: è noto che molti vertebrati, persino alcuni mammiferi,

dispongono di una vistosa corazzatura esterna. Nei vertebrati, tuttavia, la funzione protettiva delle strutture scheletriche

è riservata prevalentemente agli organi di senso e al sistema nervoso centrale.

Le fondamentali varietà dei dispositivi scheletrici degli animali si riducono a tre: lo scheletro idrostatico, l'esoscheletro e

l'endoscheletro. La prima parte di questo capitolo riguarda lo scheletro dal punto di vista generale e comparativo mentre

la seconda parte tratta in particolare lo scheletro dell'uomo.

L’esoscheletro.

Si definisce in tal modo una complessa struttura

sclerotizzata (cioè notevolmente indurita), disposta sulla

superficie corporea e in grado di dare attacco ai muscoli lo-

calizzati internamente. Tale rivestimento è costituito da

segmenti reciprocamente articolati e dunque in grado di

muoversi l'uno rispetto all'altro, per opera dei muscoli su

essi applicati. L'esempio più semplice di esoscheletro è

rappresentato dalla conchiglia di un Mollusco, la quale può

essere costituita da due parti speculari e simmetriche

definite valve (ad esempio quelle delle vongole) oppure da

una struttura unica (ad esempio il guscio delle chiocciole).

Alcune forme marine (a conchiglia bivalve o unica) hanno un

esoscheletro costituito da proteine rinforzate da cristalli di

carbonato di calcio; il prodotto complessivo risulta simile a

un materiale calcareo per consistenza. La conchiglia può

raggiungere spessori e dimensioni considerevoli,

conferendo dunque una protezione integrale nei confronti

dei predatori. Diversamente, l'esoscheletro delle chiocciole

terrestri è privo di sali minerali e risulta estremamente

fragile. Le dimensioni delle conchiglie dei molluschi

aumentano nel tempo, assecondando lo sviluppo

dell'animale, e tale evoluzione dimensionale è

documentata dalla presenza di caratteristici anelli di

accrescimento. Occorre tener presente che il corpo dei

molluschi dispone anche di uno scheletro interno

(idrostatico), il quale viene utilizzato per la locomozione,

mentre quello esterno svolge un ruolo protettivo. Alcuni

pettinidi (i noti bivalvi dotati di una conchiglia ondulata

secondo linee radiali) riescono a spostarsi, sia pure in modo

non direzionale, impiegando un peculiare meccanismo a

reazione, espellendo cioè rapidamente l'acqua mediante

rapidi e ripetuti movimenti di apertura e di chiusura delle

valve.

L'esoscheletro più complesso si rinviene negli Artropodi

(nei crostacei e negli insetti per esempio) dove si descrive

un rivestimento completo e articolato, appendici comprese.

Ogni elemento dell'esoscheletro viene prodotto da una

definita area di epitelio tegumentale; il suo materiale

costitutivo viene definito cuticola e di regola è a sua volta

rivestito da uno strato ceroso. Il piano cuticolare subisce un

processo di sclerotizzazione che lo rende molto rigido ma

che non coinvolge le zone di articolazione tra le diverse

placche dell'esoscheletro, in modo tale che la flessibilità sia

comunque garantita. Il rivestimento comprende uno strato

interno, l'endocuticola, che è relativamente spesso e

rappresenta il principale costituente dell'esoscheletro, e

un piano esterno, l'epicuticola, sul quale viene deposta la

cera per proteggere l'animale dai rischi della

disidratazione. L'endocuticola rappresenta la parte

dell'endoscheletro più caratteristica, composta da proteine

e da un polisaccaride contenente azoto; nei crostacei marini

sono inoltre presenti sali di calcio insolubili. Lo spessore

dell'esoscheletro cuticolare risulta variabile a seconda dei

diversi gruppi di artropodi e, nel singolo animale, a

seconda delle diverse porzioni del corpo; in questo modo il

rivestimento risulta adeguato a molteplici esigenze. I

muscoli si inseriscono sulla superficie interna degli elementi

cuticolari e ne consentono il movimento in corrispondenza

delle articolazioni (▶figura 2).

Figura 2. L'esoscheletro degli insetti Come nei vertebrati, ma partendo da una posizione inversa, i muscoli si applicano ai segmenti scheletrici e ne consentono i movimenti reciproci in corrispondenza delle articolazioni.

Il ruolo preminente dell'esoscheletro, quello che ne ha

decretato il successo evolutivo, corrisponde alla protezione

che garantisce alle porzioni molli del corpo; esso è tuttavia

esposto ai rischi di abrasione o di rotture.

Il maggior limite dell'esoscheletro degli artropodi è dovuto alla

sua incapacità di accrescersi, e per tale motivo lo sviluppo

dimensionale dell'animale comporta la necessità di una muta,

la perdita cioè del vecchio esoscheletro e la formazione di

uno nuovo e più ampio. La muta espone l'animale a una

serie di rischi, poiché il nuovo esoscheletro richiede un

certo tempo prima di sclerotizzarsi. In questo periodo il

corpo rimane scarsamente protetto, ed è inoltre incapace di

muoversi celermente, poiché i muscoli, non potendo

disporre di stabili punti di attacco, non sono in grado di

sviluppare un'adeguata tensione. I granchi che hanno da

poco compiuto la muta e hanno un carapace tenero

vengono considerati un piatto molto appetibile.

Molti vertebrati possedevano e altri possiedono un efficiente

scheletro superficiale: i pesci ossei attuali dispongono di

scaglie ossee che derivano dagli estesi tavolati cutanei

presenti nei loro progenitori arcaici.

Tra i rettili ricordiamo i cheloni (le tartarughe e le forme

affini) e i loricati (i coccodrilli e gli alligatori), che presentano

uno spesso piano osseo al di sotto dello strato corneo

della pelle.

Anche l'armadillo, tra i mammiferi, dispone di una

corazzatura ossea cutanea, per molti versi simile a quella

dei cheloni.

In tutti questi casi parliamo di scheletro superficiale,

evitando l'attributo esterno; occorre infatti precisare

che l'esoscheletro dei vertebrati è contenuto nello

spessore del derma (lo specifico connettivo cutaneo)

e quindi è localizzato al di sotto dell'epidermide e

non al di sopra dì questa.

L’endoscheletro dei vertebrati.

Si ritiene di solito che l'endoscheletro o più

correntemente l'apparato scheletrico dei vertebrati

consista in una serie di strutture ossee. In realtà

esistono altri due tipi di tessuto di sostegno che sono

di complemento o addirittura alternativi all'osso: il

tessuto cordale e la cartilagine, i quali formano

rispettivamente la corda dorsale e segmenti scheletrici

più o meno complessi. Dal punto di vista dello

sviluppo, sia il tessuto cordale che quello cartilagineo

danno origine a strutture per lo più effimere, che nei

vertebrati superiori possono essere soppiantate in

misura variabile da formazioni ossee. Tuttavia, almeno

in una fase della vita dell'organismo, la corda e la

cartilagine sono presenti e funzionanti. Residui

cordali più o meno consistenti sì rinvengono tra le

vertebre degli adulti, e porzioni scheletriche

cartilaginee permangono ancora nello scheletro dei

vertebrati, là dove la robustezza deve coniugarsi con la

flessibilità e con l'elasticità. Esiste inoltre un'intera

classe di vertebrati acquatici, i condroitti o pesci

cartilaginei (comprendenti squali e razze), il cui

endoscheletro è totalmente cartilagineo, per una

probabile riduzione secondaria. Vediamo ora in

dettaglio alcune caratteristiche strutturali delle

formazioni che costituiscono l'endoscheletro dei

vertebrati.

La corda dorsale.

La corda dorsale rappresenta una struttura assile di

sostegno posta ventralmente rispetto al sistema

nervoso centrale e dorsalmente al canale alimentare,

secondo una posizione che viene acquisita nel corso

delle fasi avanzate della gastrulazione.

Nei vertebrati è di regola presente solo in fasi

precoci dello sviluppo, negli embrioni e,

eventualmente, nelle larve; inoltre la sua estensione è

limitata in questo gruppo al tronco. Nei vertebrati

primitivi la corda dorsale rappresenta ancora la

fondamentale struttura di sostegno del tronco, e su

essa prendono attacco i muscoli segmentali che

promuovono il nuoto (▶figura 3).

. Figura 3. Lo scheletro assile della lampreda. La corda dorsale di questo primitivo vertebrato è costituita da cellule notevolmente idratate e da robuste guaine connettivali esterne. Si tratta di un organo assile sufficientemente rigido da fornire un efficace attacco ai muscoli segmentali.

Da un punto di vista strutturale, la corda appare

come un organo cilindrico costituito da una polpa di

voluminose cellule poliedriche con ampie superfici a

mutuo contatto; tali elementi sono separati,

mediante un piano di elementi più piccoli, da una

guaina di rivestimento, fibrosa ed elastica. Le

prestazioni meccaniche della corda sono strettamente

correlate alle caratteristiche funzionali e strutturali

delle cellule della polpa, che presentano un notevole

stato di imbibizione, mantenuto contro gradiente, e

quindi con spesa di energia. Questo turgore, al quale

si oppone la guaina periferica, determina le

contemporanee caratteristiche di rigidità e

flessibilità; tali qualità meccaniche fanno della corda

una struttura scheletrica adeguata per l'attacco dei

deboli muscoli di organismi acquatici in grado di

nuotare solo con mediocre velocità. La sostituzione

della corda da parte di segmenti scheletrici (le

vertebre), rappresenta nei vertebrati adulti un

fenomeno generale; tuttavia permangono ancora

gruppi di pesci ossei arcaici con estesi residui

cordali, e persino nell'uomo rudimenti di tale organo

si ritrovano tra vertebra e vertebra. Nell'anfiosso (un

cordato affine ai vertebrati) la corda dorsale presenta

una struttura peculiare, essendo costituita da

particolari cellule muscolari. Queste subiscono una

stimolazione nervosa continua e sono costantemente

in contrazione (o in tono), una condizione che

conferisce rigidità a tale corda muscolare.

Lo scheletro cartilagineo.

II tessuto cartilagineo rappresenta un tessuto

connettivo specializzato. Come connettivo, la

cartilagine si compone di cellule peculiari, i condrociti,

immerse in una sostanza extra cellulare proteica e

polisaccaridica da loro stessi prodotta (▶figura 4).

Figura 4. Il tessuto cartilagineo. La cartilagine rappresenta un tessuto connettivo specializzato: si osservino le cellule (condrociti) di forma globulare, incluse nella matrice. I condrociti si differenziano a partire dalle cellule del rivestimento della cartilagine (pericondrio), a sinistra nella foto.

La molecola proteica più rappresentata nella

matrice è il collagene, che costituisce fibre dotate di

un preciso orientamento, nel contesto di una matrice

con prerogative di gel. Queste caratteristiche

strutturali sono alla base delle prestazioni

meccaniche della cartilagine, che consistono in una

buona resistenza alle sollecitazioni meccaniche e, in

particolare, nella flessibilità e nella notevole resilienza;

quest'ultimo termine definisce la capacità di

sopportare urti improvvisi senza subire fratture.

Nello scheletro dei vertebrati adulti la cartilagine è

dunque presente in particolari distretti corporei che

sono soggetti a notevoli sollecitazioni meccaniche,

fondamentalmente in corrispondenza delle

articolazioni interossee, dove tuttavia non si

descrivono veri elementi scheletrici cartilaginei, ma

semplici strutture di rivestimento. Altrove, come

nella laringe e nella trachea, il tessuto cartilagineo

forma invece strutture a morfologia definita,

interpretabili come segmenti scheletrici autonomi.

Come abbiamo già detto, la cartilagine costituisce lo

scheletro dell'embrione sino a quando essa non viene

sostituita dal tessuto osseo; come vedremo tra poco,

esiste un'intera categoria di elementi ossei dello

scheletro caratterizzati proprio da questa

derivazione.

Lo scheletro osseo.

II tessuto osseo corrisponde fondamentalmente a un

connettivo dotato di una sostanza extracellulare

ancora più specializzata di quella che caratterizza la

cartilagine. Tale sostanza contiene non solo fibre di

collagene, ma anche cristalli costituiti prevalentemente

da fosfato di calcio, i quali sono insolubili e con-

feriscono all'osso la caratteristica rigidità e la

notevole robustezza. Per la sua componente salina,

l'osso rappresenta la banca del calcio dell'intero

organismo, poiché la quantità degli ioni di tale

elemento fissata nella sua matrice intercellulare

risulta in equilibrio con quella presente in soluzione

nel liquido interstiziale e nel sangue. Tale equilibrio è

garantito dall'azione antagonista di due ormoni; la

calcitonina e il paratormone. In condizioni normali il

prelievo del calcio non è mai comunque tale da

compromettere la consistenza e l'integrità dell'osso.

Il ruolo regolativo svolto dall'osso nei confronti del

contenuto del calcio ematico introduce il concetto

della natura dinamica delle strutture scheletriche, le

quali sono soggette a un continuo rimo del lamento.

Due linee cellulari specifiche partecipano al turnover

dell'osso: gli osteoblasti e gli osteoclasti. I primi

depositano la matrice extracellulare sul segmento

scheletrico (prevalentemente sulla sua superficie)

restando imprigionati nel loro stesso prodotto. In

questa situazione cessa la deposizione della matrice

ossea, mentre gli osteoblasti sopravvivono accolti in

lacune e assumono il nome di osteociti. Nonostante la

notevole quantità di matrice interposta tra queste

cellule, che di norma appaiono ben distanziate, esse

rimangono in connessione reciproca tramite sottili

prolungamenti citoplasmatici contenuti in canalicoli

ossei. Sembra che questi rapporti tra gli osteociti

svolgano un ruolo determinante ai fini della

regolazione del turnover metabolico dell'osso. Gli

osteoclasti, che rappresentano le cellule coinvolte nel

riassorbimento del tessuto osseo, appartengono pro-

babilmente alla stessa linea cellulare dei macrofagi. Si

tratta di elementi plurinucleati in grado di creare, nel

contesto della matrice ossea, spazi di erosione e

tunnel, all'interno dei quali penetrano, al loro

seguito, gli osteoblasti, per deporre nuovo materiale

osseo (▶figura 5).

Figura 5. Il turnover del tessuto osseo. Sopra: L’osso viene continuamente rimodellato per azione degli osteoclasti, che hanno il compito di demolirlo, e degli osteoblasti, che invece depongono nuova matrice ossea; questi ultimi rimangono intrappolati nella sostanza prodotta dalla propria attività, trasformandosi in osteociti.

Non è ancora ben noto come questa cooperazione sia

coordinata ma si ritiene che un ruolo notevole spetti

alle sollecitazioni meccaniche che agiscono sui diversi

distretti dello scheletro. Gli astronauti che

permangono lungamente in assenza di gravita sof-

frono di processi di decalcificazione, mentre gli atleti

presentano un notevole irrobustimento delle ossa

degli arti sollecitati. Questi fenomeni si verificano

anche nel corso dei processi riparativi, nel caso di

fratture degli arti inferiori. Le ossa dell'arto ingessato

si assottigliano, mentre quelle della gamba sana, che

sopportano un maggior peso, si irrobustiscono. La

mandibola degli anziani che hanno perso i denti

subisce sollecitazioni diverse rispetto alle condizioni

normali e dunque viene notevolmente rimodellata

(▶figura 6).

Figura 6. Gli effetti della perdita dei denti sulla mandibola.Sotto: In seguito alla caduta dei denti vengono a mancare le forze di compressione che agiscono sulla mandibola; ne consegue un processo di riassorbimento del tessuto osseo che modifica la forma di questo elemento scheletrico, L'immagine mostra due mandibole umane di individui di diversa età.

Le diverse varietà di tessuto osseo.

Le ossa vengono divise in due categorie, sulla base

delle diverse modalità di formazione. Le ossa di

rivestimento si sviluppano direttamente nello

spessore di un tessuto connettivo membranoso

localizzato al di sotto dell'apparato cutaneo, mentre

le ossa di sostituzione derivano secondariamente da

modelli cartilaginei. Esempi di ossa derivate da

materiale membranoso sono gli elementi scheletrici

della volta del cranio dei vertebrati e dell'uomo,

mentre le ossa degli arti si sviluppano da modelli

preformati in cartilagine, di aspetto simile ai

segmenti scheletrici definitivi. Anche la base del

cranio è comunque costituita da parti ossee derivate

da cartilagine. L'ossificazione dei modelli cartilaginei

può essere un processo complicato; nelle ossa lunghe

del braccio e della gamba, per esempio, si descrivono

tre centri di ossificazione: uno centrale, nel fusto del

segmento scheletrico (la diafisi) e due localizzate in

corrispondenza dell'una e dell'altra estremità o

epifisi del segmento stesso (▶figura 7). Il processo di

ossificazione si accompagna a quello di allungamento

per tutto il tempo in cui permane un anello di

cartilagine interposto tra la diafisi e ciascuna epifisi

(metafisi). Tale struttura anulare, contenente elementi

cellulari in proliferazione, viene definita cartilagine di

coniugazione (o di accrescimento).

Figura 7. L’ossificazione e la crescita di un osso lungo. Le ossa lunghe compaiono nell'embrione come modelli cartilaginei miniaturizzati , simili per morfologia ai corrispondenti segmenti scheletrici definitivi. L'ossificazione inizia a partire dalla dialisi e secondariamente compare anche in corrispondenza delle due epifisi. Il tessuto cartilagineo che permane ai contini tra i tre centri di ossificazione (cartilagini di accrescimento) garantisce l'allungamento dell'osso, sino a che non sarà coinvolto esso stesso dal processo di trasformazione.

Anche nelle ossa di rivestimento del cranio i processi

di accrescimento continuano parallelamente

all'ossificazione; l'arresto della crescita ossea in

questo caso avviene al momento in cui i margini delle

aree di ossificazione limitrofe si incontrano. Le

fontanelle, riconoscibili al tatto sulla calotta cranica

dei bambini, rappresentano zone in corrispondenza

delle quali non è ancora giunta l'ossificazione. Dal

punto di vista strutturale l'osso può essere compatto

o spugnoso: nel primo caso, come dice l'attributo

stesso, l'architettura interna risulta molto robusta; nel

secondo caso la struttura si presenta complessamente

trabecolata e caratterizzata dalla presenza di

numerose cavità, le quali tuttavia non compromettono

la robustezza di tale varietà ossea. La struttura

complessiva di un segmento scheletrico osseo è

correlata alla posizione che esso occupa

nell'organismo e al ruolo che svolge, ma in ogni caso

componenti compatte e componenti spugnose

coesistono.

Per esempio, la diafisi di un osso lungo di un arto

appare conformata come un cilindro cavo contenente

il midollo, ma le estremità presentano una struttura

spugnosa (▶figura 8).

Figura 8. Architettura interna dell’osso. Le ossa sottoposte a intense sollecitazioni meccaniche dispongono di norma di regioni a struttura compatta e di altre a struttura spugnosa. L'osso compatto si ritrova nella diafisi delle ossa lunghe, che appaiono conformate come un cilindro cavo, mentre la componente spugnosa è presente nelle epifisi.

Nonostante la sua leggerezza, l'osso spugnoso risulta

molto solido, poiché la rete tridimensionale interna

costituisce una travatura disposta secondo le linee di

forza che vi agiscono e può sopportare compressioni

elevate. La diafisi, conformata come un tubo dalla

spessa parete costituita da osso compatto, può

opporsi efficacemente alle compressioni e alle

sollecitazioni che comportino una curvatura. La

tecnologia umana e la natura utilizzano ampiamente

strutture tubulari cave come elementi costruttivi,

leggeri ma solidi. In un cilindro pieno che si curva, un

versante è sottoposto a uno stiramento mentre

l'altro risulta compresso. Ambedue gli effetti

determinano una risposta in opposizione alla forza che

causa la curvatura. Un cilindro cavo di pari diametro

presenta la medesima risposta alla curvatura,

nonostante sia meno pesante (▶figura 9).

Figura 9. Caratteristiche meccaniche dell’osso. Un cilindro pieno (in alto) e un tubo cavo di pari diametro (in basso) presentano lo stesso comportamento in risposta alle forze di tensione e a quelle di compressione; la struttura cava risulta ovviamente più leggera.

Dunque la porzione interna di un cilindro pieno non

concorre in alcun modo alla resistenza nei confronti

delle sollecitazioni che tendano a piegarlo. L'osso

compatto dei mammiferi è formato da unità

strutturali chiamate sistemi di Havers od osteoni.

Ogni osteone consiste di un insieme di sottili cilindri

ossei concentrici e di diametro variabile, tra i quali

sono scavate le lacune ossee contenenti gli osteociti.

AI centro del complesso dei cilindri ossei c'è un

canale contenente vasi sanguigni. Gli osteociti di un

osteone si mantengono in reciproca connessione, ma

tali rapporti non coinvolgono le cellule di osteoni

diversi, a causa della presenza di linee cementanti.

Queste delimitano ogni sistema di Havers e di tatto

arrestano il percorso dei processi citoplasmatici degli

osteociti alla periferia dell'osteone. Le linee

cementanti svolgono un ruolo fondamentale dì

protezione nel caso di traumi, poiché interrompono

le linee di frattura.

L’organizzazione dell’endoscheletro dei

vertebrati.

Nella maggior parte dei vertebrati lo scheletro interno

presenta un piano organizzativo comune illustrato

dalla (▶figura 10), riferita a un pesce osseo e a un

mammifero. Secondo uno schema generalizzato, nei

vertebrati troviamo uno scheletro assile e uno

scheletro appendicolare.

La prima porzione si compone di un cranio e di una

colonna vertebrale, ambedue coinvolti in funzioni

protettive e motorie.

Il cranio protegge organi di senso ed encefalo ed è

implicato tanto nei movimenti della mascella e della

mandibola (quando presenti), quanto nei movimenti

respiratori dell'apparato branchiale o dei suoi

derivati.

La colonna vertebrale offre una protezione al midollo

spinale e da attacco ai muscoli del tronco, i quali

possono partecipare in modo più o meno deter-

minante ai movimenti dell'organismo.

Nella maggioranza dei vertebrati lo scheletro assile è

completato da una gabbia toracica costituita dalle

coste, articolate con la colonna vertebrale; nei

vertebrati terrestri o tetrapodi la gabbia toracica è

completata dallo sterno sul quale converge un certo

numero di coste.

La porzione appendicolare comprende le pinne pari,

nei pesci ossei e in quelli cartilaginei, o gli arti nei

tetrapodi. Le prime svolgono un ruolo

prevalentemente direzionale o stabilizzante rispetto

al nuoto, promosso dai muscoli della porzione

caudale del tronco. I secondi di regola sono

responsabili dei movimenti sul terreno, tranne i casi

di riduzione o di scomparsa secondarie degli arti,

come avviene nei serpenti. Molti tetrapodi hanno

conseguito una postura bipede, specializzando gli

arti posteriori ( in tal caso definibili come inferiori)

per la deambulazione sul terreno, e quelli anteriori

per il volo, la prensione e/o la manipolazione. Lo

scheletro appendicolare risulta connesso più o meno

direttamente con quello assile. Nei pesci tale

connessione coinvolge esclusivamente la coppia delle

pinne anteriori, mentre quelle posteriori sono

semplicemente applicate alla muscolatura. Nei

tetrapodi, in cui ambedue le coppie dì arti sono

collegate in qualche modo alla colonna vertebrale,

quella posteriore mantiene un rapporto più stabile con

lo scheletro assile. In tutti i vertebrati, queste

connessioni sono garantite da particolari complessi

scheletrici definiti cinture o cingoli. Parlando dei

vertebrati terrestri, il cingolo anteriore è noto come

cintura toracica o scapolare, quello posteriore viene

definito cintura pelvica. Una caratteristica dello

scheletro dei tetrapodi consiste nel fatto che la

porzione dorsolaterale della cintura pelvica si

connette sui lati del corpo con una o più vertebre

definite sacrali. Questo processo di sacralizzazione

garantisce una connessione efficiente tra gli arti

posteriori, che sono quelli più impegnati nella

deambulazione, e la colonna vertebrale. La cintura

scapolare non si connette direttamente con la colonna

vertebrale ma si appoggia semplicemente sulla gabbia

toracica e può prendere eventualmente rapporto con

lo sterno.

Figura 10. L'endoscheletro dei vertebrati. L’endoscheletro dei vertebrati è riconducibile a un comune piano organizzativo Sono posti a confronto lo scheletro di un pesce osseo evoluto (la perca) di un mammifero (il ratto). Si osservi come nella colonna vertebrale del ratto sia riconoscibile una ripartizione topografica più complessa. Nel pesce sono presenti componenti scheletriche esclusive dei vertebrati acquatici: le pinne impari (dorsali, caudali e anale) mentre, tra le pinne pari, le posteriori (pelviche) si sono portate secondariamente a livello delle anteriori (pettorali). Nel ratto, infine, la gabbia costale si chiude ventralmente in corrispondenza dello sterno.

Lo scheletro assile.

2. Il sistema scheletrico dell’uomo.

In termini generali, l'architettura dello scheletro umano (▶figura 11) corrisponde pienamente a quella di un vertebrato

terrestre, con le uniche specializzazioni correlate alla posizione bipede e alla presenza di mani prensili. Ambedue queste

caratteristiche rappresentano comunque specializzazioni non eccezionali e sono presenti anche negli altri primati più evoluti,

in particolare nelle grandi scimmie (quali il gorilla, lo scimpanzé e l'orango). In questa breve trattazione dell'osteologia

umana saranno pertanto utilizzati i criteri di suddivisione dello scheletro già enunciati a proposito dei vertebrati, individuando

una sezione assile e una appendicolare. Saranno inoltre descritte le cinture, che svolgono una funzione di raccordo tra asse

scheletrico e ossa degli arti; tale connessione non deve essere intesa in senso puramente statico, poiché le cinture forniscono

un adeguato supporto per l'attacco di muscoli coinvolti direttamente nei movimenti degli arti. Il criterio del confronto con lo

schema fondamentale dei vertebrati, sarà sempre presente, poiché esso rappresenta, come paradigma generale, uno strumento

adeguato per comprendere la grande varietà degli adattamenti presenti nello scheletro umano.

Figura 11. Lo scheletro dell’uomo nei suoi principali componenti.

Lo scheletro assile.

L'asse scheletrico dell'uomo presenta la tradizionale

suddivisione in colonna vertebrale e cranio, ai quali

si aggiunge tradizionalmente lo scheletro del torace,

cioè il complesso dello sterno e delle coste. La

funzione ancestrale dello scheletro assile primitivo

(sostanzialmente la corda e/o la colonna vertebrale) è

stata verosimilmente quella di dare attacco ai muscoli

del tronco che consentivano il movimento

nell'ambiente acquatico dei primitivi vertebrati

pisciformi, e contemporaneamente di offrire una

protezione al sistema nervoso centrale. I rapporti tra

le strutture scheletriche e quelle nervose hanno

guidato anche le tappe successive dell'evoluzione

dello scheletro assile. portando alla comparsa di una

porzione cefalica specializzata, il cranio. Nella regione

della testa compaiono infatti precocemente organi di

senso essenziali per l'animale e, secondariamente,

l'encefalo. Nel corso della filogenesi sì presentano

dunque ben presto le esigenze di garantire la

protezione a strutture così "nobili” e si organizza un

cranio neurale o neurocranio. La regione cefalica

dell'animale è inoltre impegnata nei processi

dell'alimentazione e della respirazione; tali funzioni

richiedono strutture mobili e sostegni scheletrici, che

nel loro insieme costituiscono il cranio viscerale o

splancnocranio. La stessa colonna vertebrale, che

svolge un essenziale ruolo di supporto meccanico,

protegge con porzioni specializzate dorsali il

midollo spinale. Seguendo un criterio topografico

cefalo-caudale prenderemo ora in considerazione il

cranio, la colonna vertebrale e la gabbia toracica.

Il cranio.

Nel cranio dei mammiferi e dell'uomo sia la consueta

ripartizione in ossa di sostituzione e in ossa di

rivestimento che quella in porzioni neurali (e

sensoriali) e in porzioni viscerali (o splancniche) si

dimostrano troppo rigide per dare una descrizione

esauriente della complessità di tale struttura

scheletrica, poiché nel corso dello sviluppo si

verificano fenomeni di fusione che alterano

notevolmente questo schema generale. Per una

visione complessiva del cranio umano possiamo

riferirci alle (▶figura 12, 13, 14, 15) che mostrano

rispettivamente: la visione frontale, la visione laterale,

la visione superiore e la visione basale (vista

internamente ed esternamente).

Comunque, per comodità di studio, il cranio può essere

può essere suddiviso in due porzioni:

il neurocranio che protegge l’encefalo

lo splancnocranio che costituisce lo scheletro della

faccia.

NEUROCRANIO.

La porzione del cranio che riveste dorsalmente e

lateralmente l'encefalo è costituita in senso antero-

posteriore dal frontale, dai due parietali, dalle grandi ali

dello sfenoide, dalle squame dei due temporali e da

quella unica dell'occipitale. Tranne le grandi ali dello

sfenoide, si tratta sempre di ossa (o di porzioni di

ossa) di rivestimento, cioè derivate da connettivo

membranoso. La base del cranio, che accoglie la faccia

ventrale dell'encefalo, comprende una porzione

anteriore di rivestimento, corrispondente al frontale,

e poi una serie di ossa preformate in cartilagine.

Tali ossa sono: l'etmoide, lo sfenoide, le parti petrose

dei due temporali (ognuna contenente l'orecchio

interno del proprio lato) e la parte basilare

dell'occipitale.

SPLANCNOCRANIO

E’ la porzione che costituisce lo scheletro della faccia

e comprende i nasali, i lacrimali i mascellari, gli

zigomatici, il vomere, i palatini, la conca nasale

inferiore, e la mandibola, che è l’unico osso articolato

al resto del cranio tramite un’articolazione mobile.

Tutte le altre ossa del cranio sono articolate tramite

articolazioni fisse dette suture.

Figura 12. Visione frontale del cranio.

Figura 13. Visione laterale del cranio.

Figura 14. Visione superiore del cranio.

Figura 15. Base del cranio.

A sinistra la visione interna, a destra la visione esterna.

Tutte le ossa della faccia derivano da connettivo

membranoso e sono dunque di rivestimento.

Compreso tra i due mascellari troviamo il palato

osseo, costituito dagli stessi mascellari e dai palatini.

Tra il palato e la base del cranio è presente il vomere,

che assieme all'etmoide sovrastante, separa la cavità

nasale destra dalla sinistra. Al di sotto del palato

osseo, lo scheletro viscerale è completato dalla

mandibola.

Esistono altre strutture scheletriche derivate dal

primitivo scheletro cartilagineo viscerale

dell'embrione: il martello, l'incudine, la staffa (ossa

pari), l'osso ioide e gran parte delle cartilagini

laringee. 1 primi tre elementi costituiscono la catena

degli ossicini dell'orecchio medio; essi rappresentano

residui dell'ancestrale arco orale cartilagineo degli

antichi vertebrati (il martello e l'incudine) e della

porzione dorsale dell'arco ioideo (la staffa), il quale

nei pesci ossei e in quelli cartilaginei è intercalato tra

lo scheletro orale e lo scheletro branchiale. L'osso

ioide è situato al confine tra il pavimento della bocca

e la faccia ventrale del collo e da attacco a muscoli

della lingua, del pavimento della cavità orale e del

collo stesso; si compone di materiale derivato dalla

porzione ventrale dell'arco ioideo insieme a

contributi del primitivo scheletro branchiale. I residui

degli altri archi branchiali costituiscono gli elementi

cartilaginei dello scheletro della laringe, la quale

rappresenta il primo tratto retrorale delle vie aeree e

pertanto deve essere sempre pervia.

La colonna vertebrale.

Le vertebre umane sono tutte olospondile, cioè

dotate di un corpo completo e robusto (di forma

cilindrica), dal quale si dipartono alcune formazioni

accessorie; queste sono localizzate dorsalmente e

lateralmente, e consistono in un arco neurale

(dorsale) e in due processi trasversi (laterali). L'arco

si prolunga in un processo spinoso e delimita con il

corpo vertebrale il foro omonimo, occupato dal

midollo spinale. 1 processi trasversi si proiettano sui

due lati a partire dalla zona di raccordo tra arco e

corpo, dove sono presenti evidenti incisure. Nella

giustapposizione tra vertebra e vertebra, le incisure

determinano la formazione di una duplice serie di

fori vertebrali, nei quali passano i nervi spinali. Altre

formazioni caratteristiche delle vertebre

corrispondono ai processi articolari che regolano i

loro rapporti e che concorrono a determinarne

l'entità dei movimenti reciproci. Nella colonna

vertebrale dell'uomo si riconosce la ripartizione

topografica tipica dei mammiferi, correlata a una

precisa suddivisione del tronco (▶figura 16).

Figura 16. La colonna vertebrale. A sinistra la visione anteriore, al centro la visione laterale e a destra quella posteriore.

Si descrivono quindi 5 regioni:

7 vertebre cervicali per la regione del collo;

12 vertebre toraciche per l'omonima regione;

5 vertebre lombari per la regione addominale;

5 vertebre sacrali

3-5 vertebre coccigee,

REGIONE CERVICALE:

La prima e la seconda vertebra cervicale sono molto

specializzate e vengono definite rispettivamente

atlante ed epistrofeo. La prima ha il corpo ridotto a

una semiluna, che con l'arco neurale costituisce una

sorta di anello. L'atlante si articola con l'osso

occipitale del cranio consentendo alla testa di oscillare

in senso antero-posteriore rispetto alla colonna

vertebrale. Esso si articola inoltre con un voluminoso

processo (dente) dell'epistrofeo; potendo ruotare

intorno a questo da lato a lato, coinvolge nel suo

movimento lo stesso cranio. In tutte le vertebre

cervicali i processi trasversi sono fusi con rudimenti

costali, delimitando su ambo ì lati un foro

trasversario, attraverso il quale passano strutture

nervose simpatiche e vasi.

REGIONE TORACICA:

Le vertebre del tratto toracico sono connesse con le

coste e dunque concorrono alla chiusura dorsale

della gabbia toracica. Esse sono relativamente

voluminose e tendono a incrementare le proprie

dimensioni procedendo verso il basso; questo

aumento dimensionale riguarda l'intera colonna

(▶figura 16) e deve essere messo in relazione con

l'aumento progressivo del carico che si verifica

scendendo lungo l'asse vertebrale. Sui processi

trasversi delle vertebre toraciche si applica

un'estremità della costa definita tubercolo, mentre un

altro estremo costale (il capitello) prende connessione

con una piccola faccia articolare scavata tra due corpi

vertebrali consecutivi. In corrispondenza

dell'articolazione tra coste e vertebre si individua un

foro trasversario mediocremente definito.

REGIONE LOMBARE:

Nelle vertebre lombari i processi trasversi hanno

incorporato, come avviene nella regione cervicale, i

rudimenti delle coste corrispondenti, e si presentano

come formazioni ampiamente espanse sui due lati.

REGIONE SACRALE:

L'osso sacro rappresenta il risultato di una fusione

che ha coinvolto cinque vertebre, ma due di queste

sono state cooptate secondariamente, nel processo di

sacralizzazione. Ricordiamo che con questo termine si

intende il rapporto che si stabilisce nei vertebrati

terrestri tra la cintura pelvica e la colonna vertebrale.

L'origine segmentale di questa ampia struttura ossea

è ben evidente sia sulla faccia ventrale che su quella

dorsale.

REGIONE COCCIGEA O CAUDALE:

Nell'uomo anche le poche vertebre caudali subiscono

un processo di fusione reciproca, formando una

struttura rudimentale definita coccige. Una formazione

omologa (il pigostilo) si ritrova anche negli uccelli,

mentre negli anfibi degli anuri (che sono privi di coda)

le vertebre caudali si fondono reciproca mente a dare

uno stiletto osseo (l'urostilo).

Poiché, come abbiamo detto, il diametro dei corpi

vertebrali tende ad aumentare in senso cefalo-

caudale, la colonna umana appare conformata come

un tronco di cono. Le possibilità di rotazione, o

comunque dì spostamento, di una vertebra rispetto

alle due adiacenti sono limitate (per evitare danni al

midollo spinale), e tuttavia questo asse scheletrico

risulta adeguatamente flessibile. La colonna vertebrale

umana presenta alcune curvature di natura fisiologica

e altre che rappresentano malformazioni. Tra le

prime, che sono antero-posteriori, se ne descrivono a

concavità anteriore (cifosi) o posteriore (lordosi).

Dall'alto in basso si susseguono: una lordosi

cervicale, una cifosi toracica, una lordosi lombare e

una cifosi sacrococcigea. Le curvature non fisiologiche

si definiscono scoliosi e sono curvature perlaterali (si

sviluppano a destra o a sinistra rispetto all'asse della

colonna vertebrale).

Lo scheletro del torace.

La gabbia toracica costituisce una protezione per

organi interni di vitale importanza come cuore,

polmoni, esofago, trachea, bronchi, grossi vasi, ecc.

Essa è formata posteriormente dai corpi vertebrali

delle vertebre toraciche, anteriormente da un osso

piatto impari e mediano: lo sterno e lateralmente da

dodici paia di ossa lunghe e appiattite: le costole.

Figura 17. La gabbia toracica. In evidenza lo sterno costituito da tre parti e le coste (7 vere, 3 false e 2 fluttuanti); nell'immagine vengono inoltre messi in risalto il livello dell'articolazione del manubrio sternale con la clavicola sinistra e l'angolo diedro formato dal manubrio stesso e dal corpo. Come nelle figure successive, le linee in colore indicano le inserzioni di specifici muscoli.

Le coste.

Nell'uomo alle dodici vertebre toraciche sono annesse

altrettante coppie di coste, segmenti arcuati derivati

da abbozzi cartilaginei, che si estendono

dorsalmente, lateralmente e, in misura variabile,

ventralmente (▶figura 17). Sono composte da un

segmento dorsale (vertebrale), che è ossificato, e da

un segmento ventrale che è invece cartilagineo.

Le prime sette paia di coste sono dette coste vere o

sternali perché raggiungono lo sterno tramite la

porzione costituita da cartilagine.

Le seguenti tre paia sono dette coste false o asternali

perché contraggono un rapporto indiretto con lo

sterno, in quanto si connettono tramite il proprio

segmento cartilagineo a quello delle precedenti.

Le ultime due sono dette coste libere o fluttuanti

perché non si connettono in nessun modo allo sterno.

Esse sono provviste di una modestissima porzione

cartilaginea, hanno uno sviluppo laterale e ventrale

ridotto (soprattutto la dodicesima).

Lo sterno.

Tutti i vertebrati terrestri presentano una struttura

scheletrica impari ventrale, lo sterno, più o meno

ossificato, che risulta spesso connessa con la cintura

scapolare e, a partire dai rettili, anche con numerose

coste. Secondo un piano strutturale che si rinviene

anche nei rettili, lo sterno umano si compone di tre

parti: un manubrio superiore, un corpo intermedio e

un processo xifoideo inferiore (▶figura 17). Gli uccelli

dispongono di uno sterno molto specializzato, di

forma carenata, sul quale si applicano i muscoli

pettorali propulsori del volo. Manubrio, corpo e

processo xifoideo permangono nettamente distinti

da piani di separazione; tale discontinuità è resa

ancor più evidente dal fatto che la seconda e la

settima costa raggiungono rispettivamente lo sterno

proprio al limite tra manubrio e corpo e tra corpo e

processo xifoideo. Nei giovani anche il corpo presenta

una struttura segmentale, poiché i moduli

componenti (gli sternebri) si saldano non prima del

venticinquesimo anno.

Le cinture.

Secondo lo schema che si ritrova in tutti i vertebrati

terrestri, tranne le forme che hanno perso

secondariamente gli arti, l'uomo presenta due

strutture, definite cinture, che servono da raccordo

tra l'osso prossimale di ogni arto (cioè quello più

vicino al corpo) e lo scheletro assile. Delle due cinture

quella superiore, scapolare, non ha rapporti diretti

con la colonna vertebrale, ma può connettersi

ventralmente con lo sterno (come avviene nella nostra

specie), e in tal caso risulta solidale rispetto alla

gabbia costale. In molti mammiferi, in assenza di

clavicole, viene a mancare ogni connessione, anche

indiretta, tra il cingolo scapolare e lo scheletro assile.

La cintura pelvica si connette direttamente con la

regione sacrale della colonna vertebrale, e dunque

conferisce stabilità agli arti inferiori soggetti alle

sollecitazioni meccaniche della deambulazione

bipede.

La cintura scapolare

Nell'uomo il raccordo tra l'arto superiori e lo scheletro

assile è garantito da una coppia di ossa presenti su

ogni lato del corpo: la scapola e la clavicola (▶figura

18).

Figura 18. La cintura scapolare. L'immagine mostra la scapola destra dalla faccia dorsale (a) e la clavicola dello stesso lato vista superiormente (b). Oltre alle inserzioni muscolari, la figura (a) mostra i tratti caratterizzanti della scapola: il solco che accoglie un vaso arterioso, la faccetta articolari per la clavicola e l'impronta dovuta a una parte (conoide) del legamento teso Ira il processo coracoideo e la clavicola. La scapola è derivata da materiale cartilagineo e

risulta adagiata dorso-lateralmente sullo scheletro

toracico. Si tratta dì un osso piuttosto appiattito, con

un'ampia superficie di forma triangolare. Essa è

dotata di un'estesa porzione articolare in

corrispondenza del vertice laterale, la cavità

glenoidea, la quale accoglie la testa dell'omero, l'osso

del braccio. La superficie dorsale della scapola è

percorsa superiormente da un rilievo (la spina) che la

interessa dal margine laterale a quello mediale.

L'estremo laterale della spina viene definito acromion

ed è in rapporto articolare con un estremo della

clavicola. La scapola presenta inoltre un processo

coracoideo, omologo a un elemento scheletrico

indipendente, definito coracoide, assente in tutti i

mammiferi evoluti e piuttosto diffuso negli altri

vertebrati, compresi i mammiferi monotremi. Il

secondo elemento della cintura scapolare umana è

rappresentato dalla clavicola, un osso sagomato a S

che deriva da una matrice membranosa ed è spesso

assente nei vertebrati terrestri, inclusi molti

mammiferi. Le due clavicole sono caratterizzate da un

orientamento quasi trasversale rispetto all'asse della

colonna vertebrale e da una posizione

sottocutanea. Raggiungono l'acromion della scapola

omolaterale (cioè dello stesso lato) con il proprio

estremo acromiale e, sul lato opposto, si connettono,

tramite l'estremo sternale, con il manubrio dello

sterno.

La cintura pelvica

In tutti i vertebrati terrestri tre elementi ossei

preformati in cartilagine si uniscono su ogni lato delle

vertebre sacrali e formano, unendosi con i processi

trasversi di queste, un cingolo scheletrico definito

cintura pelvica. Là dove si uniscono reciprocamente,

le tre ossa delimitano un'ampia cavità che accoglie il

femore, definita acetabolo in quanto ricorda per forma

la tazza in cui i Romani raccoglievano l'aceto. Se si

individuano tre raggi sulla superficie circolare

dell'acetabolo, in modo da ricavare una sorta di Y

rovesciata, si rileva che ognuno dei tre raggi

corrisponde all'asse di un elemento scheletrico di

questa cintura: l'ileo, il pube e l'ischio. Nell'uomo le

tre ossa presentano una posizione peculiare: l'ileo,

che si connette con l'osso sacro, è localizzato su-

periormente, il pube inferiormente e ventralmente e

l'ischio inferiormente e dorsalmente. Nella nostra

specie i tre elementi ossei sono in realtà fusi in

un'unica formazione scheletrica per lato, definita osso

dell'anca (▶figura 19).

Figura 19. L’osso dell’anca. I tre segmenti scheletrici che costituiscono l'anca umana sinistra sono evidenti in questa immagine: l'ileo, l'ischio e il pube. La faccia esterna (o glutea) dell'ileo è divisa in quattro aree da tre linee glutee. Si osservi che il bordo della cavità articolare dell'acetabolo è interrotto in basso in corrispondenza dell'incisura acetabolare.

La sua porzione dorsale iliaca è piuttosto ampia,

mentre al di sotto dell'acetabolo, pube e ischio sono

relativamente sottili e delimitano un'ampia finestra

definita foro otturato; in più, i due elementi pubici si

connettono ventralmente sul piano di simmetria,

realizzando una connessione fibrosa e cartilaginea

definita sinfisi pubica. L'insieme delle due ossa

dell'anca e del sacro delimita una cavità rota come

pelvi o bacino, le cui dimensioni (diametri e assi)

presentano un notevole interesse per l'ostetricia, per

la medicina legale e per l'antropologia (▶figura 20).

Figura 20. La pelvi femminile. La figura mostra i fondamentali diametri di questa struttura: quello antero-posteriore E-F, quello trasverso C-D e quelli o-bliqui A-B e A'-B'.

Lo scheletro appendicolare.

Figura 21. Lo schema generale dell’arto generalizzato di un tetrapode primitivo.

Si confronti con la figura 11 e si rilevino le omologie con gli

arti umani (tra parentesi i nomi delle ossa dell'arto posteriore).

Lo scheletro degli arti umani può essere descritto

secondo lo schema generalizzato di tutti i vertebrati

terrestri. Può sembrare in qualche misura

sorprendente che le ossa del nostro braccio, quelle

dell'avambraccio e quelle della mano ricordino molto

da vicino l'arto anteriore di un tritone. Questa è

tuttavia la realtà, e, se mai, la somiglianza dimostra

ulteriormente come la nostra evoluzione abbia

premiato altre caratteristiche anatomo-funzionali (le

capacità integrative del sistema nervoso centrale per

esempio) piuttosto che quelle legate al movimento

nell'ambiente. La (▶figura 21) illustra lo schema

dell'arto generalizzato di un primitivo vertebrato

terrestre e riporta le corrispondenze rispetto

all'arto superiore e a quello inferiore dell'uomo.

Lo scheletro dell’arto superiore

L'arto superiore (▶figura 11) si compone di tre

segmenti che, procedendo in senso prossimale-

distale, corrispondono al braccio, all'avambraccio e

alla mano. In questi segmenti ritroviamo

rispettivamente l'omero, l'ulna (mediale) e il radio

(laterale) e, per la mano, il carpo, il metacarpo e le

falangi. Il carpo rappresenta una regione ossea

complessa, suddivisibile a sua volta in un distretto

prossimale e in uno distale, ognuno di quattro

dementi. Questi rispettivamente sono: lo scafoide, il

semilunare, il piramidale e il pisiforme; il trapezio, il

trapezoide, il grande osso e l'uncinato. Tale

successione corrisponde a una visione ventrale (o

palmare) della mano destra e parte dal lato del pollice

(▶figura 22).

Figura 22. Le ossa della mano destra di un giovane esemplare

umano vista dal lato palmare.

Nella regione prossimale del carpo, il pisiforme

rappresenta un elemento sesamoide, cioè un osso che

si forma nello spessore di un tendine o comunque di

una struttura articolare, e che quindi non segue i

tradizionali schemi di sviluppo dei segmenti

scheletrici. Nonostante la scarsa specializzazione del

suo piano strutturale, e forse proprio per questo,

l'arto superiore umano ha rappresentato il

presupposto per lo sviluppo di attività manuali

complesse, sulla base di un controllo nervoso molto

fine da parte dei centri encefalici.

Lo scheletro dell’arto inferiore

Come nel caso precedente, l'arto inferiore si

compone di tre segmenti: la coscia, la gamba e il

piede; i corrispondenti elementi scheletrici sono

rappresentati dal femore, dalla tibia (mediale) e dalla

fibula (o perone) (laterale) e, per il piede, dal tarso, dal

metatarso e dalle falangi (▶figura 11). Similmente al

carpo, il tarso risulta composto da due serie di

elementi scheletrici una prossimale e una distale, con

l'aggiunta di un elemento interposto. Osservando il

piede sinistro dalla faccia dorsale e partendo dal lato

dell'alluce, nella serie prossimale troviamo due ossa

non affiancate ma sovrapposte: l'astragalo superiore e

il calcagno inferiore; l'osso navicolare separa

l'astragalo dalla serie dei tarsali distali che sono

rappresentati dal 1', dal 2° e dal 3' cuneiforme oltre

che dal cuboide; questo è localizzato in

corrispondenza del margine esterno del piede e

risulta comunque arretrato rispetto ai cuneiformi

(▶figura 23).

Figura 23. Le ossa della piede sinistro umano viste dal dorso.

Le caratteristiche più notevoli dell'arto inferiore

consistono nella posizione del suo asse, che risulta

parasagittale, cioè parallela al piano di simmetria del

corpo, e nella plantigradia. L'assetto parasagittale

degli arti si realizza compiutamente nel corso della

transizione dai rettili ai mammiferi e coinvolge, sia

pure in misura minore, anche la coppia degli arti

anteriori. Si tratta di un adattamento che consente una

maggiore celerità negli spostamenti, rispetto a quanto

si verifica con arti disposti su un piano ortogonale

rispetto a quello di simmetria. La posizione

parasagittale, riferita al femore umano, prevede la

presenza di una testa, accolta nell'acetabolo e

raccordata al corpo dell'osso (diafisi) tramite un collo,

che forma un angolo ottuso con asse diafisario.

L'assetto plantigrado, cioè il sostegno del corpo

garantito dall'intera serie delle ossa podali dal tarso

alle falangi rappresenta un carattere di primitività.

Tra i mammiferi più evoluti dal punto di vista della

deambulazione, i carnivori poggiano sulle dita (sono

cioè digitigradi), mentre gli unguligradì (i bovini, gli

ovini e i cavalli, per esempio) utilizzano a tal scopo

unghie specializzate definite zoccoli, e da ciò deriva il

loro nome sistematico. Si può pensare che l'assetto

plantigrado sia correlato alla posizione eretta, poiché

offre la più ampia superficie di appoggio possibile agli

arti impegnati a sorreggere il corpo. Tuttavia si

conoscono vertebrati evoluti, quali gli uccelli e alcuni

rettili giganteschi, oggi estinti, i quali hanno

conseguito il bipedalismo poggiando sulle sole dita.

Occorre ancora una volta accettare l'idea che, almeno

dal punto di vista degli adattamenti al movimento

sul terreno, la nostra specie occupa una posizione

mediocre nella serie evolutiva.