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Provincia di Bergamo Patrocinio Assessorato alla Cultura Patrocinio e sostegno economico Assessorato all’Istruzione Patrocinio del Comune di Lovere Si ringraziano: Parrocchia di Lovere - Teatro Crystal Dall’Angelo Giuseppe S.n.c. – Casazza ESSENZA S.p.A. - Cerete GLOBAL S.a.s - Rogno SITIM S.a.s. - Costa Volpino MINERALS & METALS S.p.a. - Lovere Studio Fotografico Tarzia – Lovere Il Fiore - Lovere STC – Studio tecnico Colosio - Chiuduno ΑΛΚΗΣΤΙΣ ΑΛΚΗΣΤΙΣ ΑΛΚΗΣΤΙΣ ΑΛΚΗΣΤΙΣ ALCESTI da Euripide Liceo Classico “D. Celeri” Lovere Ass. “Il cerchio di gesso” Bg

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Provincia di Bergamo Patrocinio Assessorato alla Cultura

Patrocinio e sostegno economico Assessorato all’Istruzione

Patrocinio del Comune di Lovere

Si ringraziano:

Parrocchia di Lovere - Teatro Crystal Dall’Angelo Giuseppe S.n.c. – Casazza

ESSENZA S.p.A. - Cerete GLOBAL S.a.s - Rogno

SITIM S.a.s. - Costa Volpino MINERALS & METALS S.p.a. - Lovere

Studio Fotografico Tarzia – Lovere Il Fiore - Lovere

STC – Studio tecnico Colosio - Chiuduno

ΑΛΚΗΣΤΙΣ ΑΛΚΗΣΤΙΣ ΑΛΚΗΣΤΙΣ ΑΛΚΗΣΤΙΣ

ALCESTI da Euripide

Liceo Classico “D. Celeri” Lovere Ass. “Il cerchio di gesso” Bg

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Ramona Oprandi 27

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Gianmarco Agliardi 26

Personaggi ed interpreti Classe II A Liceo Classico Celeri-Lovere(Bergamo) Apollo Matteo Romano Thanatos Paola Cadei Alcesti Lucrezia Zanzottera e Silvia Colosio Ancella Ylenia Sina Admeto Edoardo Valetti e Lino Botticchio Eracle Andrea Riboli Ferete Andrea Marcobelli Serva Elena Guizzetti Coro Valeria Faccanoni, Daniela Filisetti, Laura Bertagnoli, Silvia Berlai, Fabio Belafatti.

Coro danzante Anna Pezzotti, Anna Saviori, Silvia Gualini,

Canto e Musica dal vivo Monica Marsetti, Valentina Meni, Ambra Dall’Angelo

Drammaturgia Regia Costumi Coreografie Nadia Savoldelli e Laila Figaroli (Associazione “Il Cerchio

di gesso” di Bergamo)

Operatori tecnici Alessandro Coppola, Marco Zanni Adattamento e riduzione del testo Onelia Bardelli, Elisa Guizzetti

Musiche da Alceste di Chr. W. Gluck, English Sword-dance suite di E. Huxs Jones, Sarabande di Hendel, Canto popolare ungherese, Musiche popolari greche.

Coordinatrice e responsabile del progetto Onelia Bardelli 3

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Perché Alcesti?

L’idea di partenza è quella del viaggio nel tempo, verso quel mondo

che i ragazzi di questa classe II liceo hanno voluto provare a vivere

“da dentro”, non solo sui libri, attratti dalla voglia di fare e di

mettersi in gioco, perché affiorino emozioni e passioni riconosciute

come universali. La scelta è caduta su Alcesti di Euripide perché è

una “tragedia non tragica”, con un lieto fine e passaggi quasi comici,

con personaggi controversi e suscettibili di interpretazione,

tutt’altro che scontata.

E’ stato un viaggio lungo, iniziato già l’anno scorso con letture,

approfondimenti, confronti e con un laboratorio teatrale condotto da

Nadia Savoldelli e da Laila Figaroli (associazione “Il cerchio di

Gesso”); loro è anche il lavoro drammaturgico e registico.

E’ stato un viaggio emozionante e a tratti faticoso: non è stato facile

conciliarlo con gli impegni scolastici e personali di ognuno.

Affidiamo il risultato alla vostra attenzione … e benevolenza.

Cratere a figure rosse (350 a C) parodia di Alcesti.

4 Milano Museo del teatro della Scala

Raffaella Antoccia

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Bozzetti elaborati dagli studenti della classe IV B

del Liceo Artistico di Lovere

Lucy Gabbiadini

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La storia Alcesti è una delle figlie di Pelia, il re di Iolco, e di Anassibia, sua moglie. E’ la

più bella e la più pia di tutte, la sola che non partecipò all’uccisione di Pelia,

allorché Medea, con i suoi inganni e i suoi sortilegi, fece in modo che questi

fosse massacrato dalle proprie figlie.

Quando Admeto, re di Fere, in Tessaglia, si presentò per chiedere la mano di

Alcesti, Pelia gli impose condizioni che egli soddisfò con l’aiuto di Apollo.

Euripide ci dice che la loro unione fu un modello di tenerezza coniugale, al

punto che Alcesti accondiscese a morire al posto del marito. Ma, allorché era

già morta, Eracle si precipitò agli Inferi, da dove la riportò più bella e più

giovane che mai. Si raccontava inoltre che Persefone, commossa dalla

devozione di Alcesti, l’avesse spontaneamente rimandata fra i viventi.

Sarcofago (161 – 170 d.C.) raffigurante la morte di Al cesti. Roma, Musei

Alcesti è la protagonista dell’omonima tragedia di Euripide ma quest'opera ha

ispirato numerosi autori successivi. William Morris ha scritto L'amore di

Alcesti nel 1868 e Robert Browning in Balaustion’s Adventure (1871) ha

tradotto in inglese la tragedia greca. Nella tradizione medievale Alcesti era il

modello della moglie fedele, come appare nella Leggenda delle donne virtuose

di Chaucer. Essa ha il nome di Celia in Cocktail Party di T. S. Eliot. Milton cita

Alcesti nel suo Sonetto XXIII e Rilke scrisse Alcesti. L'opera musicale più

famosa dedicata all'eroina è l'Alceste di Gluck (1767), basata sulla tragedia di

Euripide. Una versione moderna è Alkestis di Rutland Boughton (1922), con la

traduzione inglese del testo di Euripide di Gilbert Murray. Citiamo inoltre

Alkestis di Egon Wellesz (1924), su libretto di Hugo von Hofmannsthal.

[informazioni tratte da: Enciclopedia dei miti, Garzanti, 1990; Dizionario

universale dei miti e delle leggende, Newton & Compton Editori, 2001] 5

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Angelica Kauffmann, Morte di Alcesti (1790)

6 Pierre Peyron, Alceste morta

vaso attico a figure nere con Hermes, Eracle e Al cesti.

Parigi, Museo del Louvre 23

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PRIMO COREUTA -- Molte sono le forme del divino, le risoluzioni inattese dei celesti. Quello che si credeva non si è compiuto, un dio trovò la strada per l’impossibile. E questa

vicenda si è suggellata così.

12- RIPERCORRERE IL VIAGGIO PER TORNARE OGGI CAMBIATI

Fine

…una delle famosissime “figurine Liebig” !

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Un ringraziamento particolare alla Prof. Maria Pia Pattoni, docente dell’Università Cattolica di Brescia, che, oltre ad essere stata la prima a suggerirci la realizzazione di questo lavoro, ci ha gentilmente concesso di arricchire questa presentazione con un Suo recentissimo scritto dedicato a: Sacrifici al femminile: Alcesti in scena da Euripide a Raboni II mito di Alcesti, la donna che muore per amore del marito, affonda le sue

radici non in una saga religiosa panellenica o locale, bensì in un antichissimo

motivo folklorico, che ritroviamo in civiltà e in epoche fra loro assai lontane: è

il tema del sacrificio per amore, che si svolge secondo alcuni moduli fissi.

Arriva la morte a reclamare la vita della propria vittima, ma quest'ultima, con

uno scarto nel meraviglioso che è tipico dell'elemento fiabesco, ottiene di

poter continuare a vivere, a patto che qualcuno accetti di morire al posto suo.

Inizia così una penosa ricerca, nel corso della quale le persone legate dai

vincoli affettivi più intensi, come gli stessi genitori, oscillano senza esporsi al

sacrificio, o addirittura rifiutano recisamente: alla fine, è la donna amata ad

offrire se stessa al sacrificio, consegnandosi alla morte. In quasi tutte le

versioni della fiaba, destinata a una vera apoteosi del motivo erotico, la

vicenda ha tuttavia un lieto finale: gli dèi degli Inferi (o il Dio cristiano,

giacché gran parte di queste leggende si collocano in ambiente cristiano) come

premio per la virtù rifiutano il sacrificio e consentono alla donna di ritornare in

vita. L'area di diffusione di questo motivo folklorico è assai vasta: le versioni a

noi note, che sono state raccolte e indagate a partire da uno studio

fondamentale di Albin Lesky del 1925, vanno da una leggenda westfalica a

quella bizantina di Digenìs Akrìtas, al Mahabharata e ad un'articolata serie di racconti greci e slavi: la differenza più significativa fra le versioni orientali e

quelle occidentali germaniche è che in queste ultime, per evidente influsso

della civiltà teutonica cavalleresca, è l'uomo a sacrificarsi per la donna, e non

viceversa.

Una volta accertata l'origine folklorica del mito, resta il problema di come

questo motivo si sia innestato nella tradizione greca antica: o, quel che qui più

ci interessa, di come questo racconto sia stato recepito da Euripide, che nella

sua piece Alcesti, rappresentata nel teatro di Dioniso ad Atene nel 438 a.C., ci ha consegnato la prima versione letteraria a noi nota. Il fatto che si tratti di

una versione teatrale (e non, ad esempio, epica o lirica) ha una significativa

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importanza per la ricezione successiva di questo mito. Con la nascita del

teatro tra VI e V secolo a.C. in Occidente, l'approccio alle storie tradizionali

subisce infatti un'importante modificazione: il passaggio da una forma

essenzialmente narrativo-rievocativa del mito, nella quale l'attenzione si

concentra prevalentemente sui fatti e sulla fabula, ad una sua vera e propria

drammatizzazione ha incalcolabili implicazioni in direzione dell'esplorazione

delle motivazioni morali e psicologiche che muovono i personaggi della saga a

compiere le loro azioni. Il materiale ideologico e concettuale tende ad

organizzarsi per opposizioni, creando contrasti più o meno accentuati tra i

personaggi che si fanno veicolo delle istanze contrapposte; e sono appunto

questi contrasti che vanno a costruire la trama strutturale su cui si basa

l'esperienza tragica del teatro occidentale. Il caso di Alcesti è un paradigma

di questo processo. Una delle innovazioni introdotte da Euripide per rendere

problematica e conflittuale la vicenda mitica consiste nel fatto che la divinità,

che nel nucleo favolistico originario era unica (dio della morte e della salvezza

insieme), qui si suddivide in tre personaggi, i quali compaiono sulla scena

esponendo di volta in volta le proprie ragioni: uno totalmente negativo,

Thanatos, il dio della morte, inflessibile ad ogni umana e divina perorazione;

uno interamente positivo, Eracle, l'eroe salvatore, che strappa Alcesti dalle

mani di Thanatos ingaggiando con esso un vittorioso duello; uno ambiguo fra

negatività e positività, Apollo, il dio dell'arte mantica, ma talmente

sprovveduto nei confronti dei sentimenti dei mortali da ritenere che possa

essere davvero un bene per il suo protetto Admeto il sopravvivere ad ogni

costo, anche a prezzo della morte di una persona cara (l'ingenuità di questa

convinzione sarà smascherata da Admeto stesso, quando al ritorno dalle

esequie funebri, si arresterà angosciato sulla soglia della casa ormai vuota: La sorte di mia moglie è, credo; migliore / della mia, anche se non sembra: /perché nessun dolore la toccherà più / e con la gloria ha posto fine a molte pene, / lo invece, che dovevo morire, per essere andato oltre il limite assegnatomi / vivrò una vita tormentata. Adesso comprendo, (vv. 935-940).

Una seconda novità del trattamento euripideo della storia, che troverà

tuttavia scarsi seguaci (uno dei rari casi è costituito dal dramma // mistero di

Alcesti, di Marguerite Yourcenar) è la dilatazione temporale introdotta dal

drammaturgo ateniese tra il momento della scelta del sacrificio, relegato tra

gli antefatti, e il momento della morte, che avviene sulla scena: il giorno della

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Lunghi dolori e tormenti patiti per i cari che scesero sotto terra! Perché mi hai impedito

di gettarmi nella fossa funebre e di giacere, morto, accanto a lei? L’Ade avrebbe avuto

due vite insieme, le più fedeli, insieme avremmo varcato la palude degli inferi

CORO: Eri felice, non toccato dal male; è sopraggiunto il dolore, ma hai salvato la vita e l’anima. E’ morta tua moglie, lasciando un vuoto d’amore.

ADMETO: Amici, ritengo la sorte di mia moglie migliore della mia, anche se non sembra. Si è liberata di molti affanni in un alone di gloria. E io, che sono fuggito al mio fato, avrò

una vita di pena. Mi sarà intollerabile entrare in questa reggia.

QUARTO STASIMO (vv 962 – 1005)

CORO -- Io, grazie alle Muse, mi sono levato alto nel cielo, io mi sono fatto padrone di molte idee, ma nulla ho incontrato più forte della Necessità. Contro di lei non ho trovato

rimedi. Persino Zeus, qualunque cosa voglia, la realizza con il suo permesso. La dea ha

preso anche te, Admeto, nei suoi lacci implacabili.

11- LIETO FINE ESODO (vv 1006 – 1163)

ERACLE -- Admeto, ti prego di prendere questa donna e di custodirmela finché non sarò di nuovo qui. Se mi succede quello che non vorrei, te ne faccio dono. Ne sono venuto

in possesso con molta fatica.

ADMETO -- Ti prego, se possibile, affida questa donna ad un altro. A vederla in casa non riuscirei a trattenere le lacrime. Chiunque tu sia, donna, hai la stessa statura di

Alcesti e le somigli. Portala via! Non colpire uno che è già segnato dal dolore.

ERACLE -- Che cosa ci guadagni a voler sempre piangere? Il tempo lenirà la ferita ADMETO -- Il tempo? Sì, se il tempo significa morte… ERACLE -- Una donna e nuove nozze metteranno fine al tuo rimpianto. ADMETO -- Nessuna donna entrerà mai nel mio letto. Se accettassi il tuo dono l’angoscia mi divorerebbe.

ERACLE -- Verrà il momento in cui mi ringrazierai. Ora dammi retta ADMETO -- Mi costringi a fare cose che non voglio ERACLE -- Non aver paura, tendile la mano! Guardala! La fortuna è dalla tua, smetti di affliggerti.

ADMETO -- E’ davvero mia moglie quella che vedo? ERACLE -- E’ tua. E che l’invidia degli dei non cada su di voi! ADMETO -- Perché non parla? ERACLE -- Devono passare tre giorni, prima che sia sciolta dal vincolo che la consacra agli Inferi

CORO (in greco) 21

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privato del figlio: non mi vedrò costretto a consumare una penosa vecchiaia senza te. Col

suo gesto coraggioso Alcesti ha reso onore al suo sesso. Sono questi i matrimoni utili ai

mortali, altrimenti è meglio che uno non si sposi

ADMETO -- Io non ti ho invitato e la tua presenza non mi è gradita. Al mio dolore dovevi partecipare quando ero in pericolo di vita. Invece hai lasciato che morisse un

giovane al posto di te vecchio.

E ora vieni a piangere su questo cadavere! No, tu non sei mio padre, quella che chiamano

mia madre, non mi diede alla luce. Sono sangue di schiavi e di nascosto mi hanno

attaccato al seno di tua moglie.

Questa donna straniera è l’unica che devo giustamente ritenere mia madre e mio padre.

Ma ora sbrigati a fabbricare altri figli che ti assistano in vecchiaia e ti compongano nella

bara, perché non sarò io a comporti nella bara...

PRIMO CORIFEO -- Smettetela! Basta già la disgrazia in corso. Figlio, non esasperare tuo padre!

FERETE -- Ma chi credi di insultare così malamente? Tu offendi troppo e non te la caverai a buon mercato! Io ti ho generato e allevato come signore della casa, ma non ho

l’obbligo di morire al posto tuo. O prospera o infelice, la vita è tua. In che ti ho fatto

torto? Di che ti privo? Ti piace vivere? E credi che a tuo padre non piaccia? Della mia

vita, certo, mi resta poco; ma è pur sempre piacevole. Hai lottato spudoratamente per

evitare la morte e vivi oltre il termine uccidendo lei. E accusi me di viltà, tu confuso da

una femmina che è morta per la tua bella faccia! Ingegnosa trovata, per evitare sempre

la morte, se saprai convincere sempre ogni sposa a morire per te. Taci. Sappi che se la

vita è cara a te, è cara a tutti. E se mi offendi, udrai altre offese.

PRIMO CORIFEO -- Troppe le offese sue, troppe le tue. Taci, non oltraggiare tuo figlio, o vecchio.

ADMETO -- E’ la stessa cosa se muore un giovane o un vecchio? FERETE -- Abbiamo avuto in sorte una sola vita, non due ADMETO -- Ti auguro di vivere più a lungo di Zeus… FERETE -- E tu? non mandi la tua sposa a morire per te? ADMETO -- Grazie alla tua viltà, miserabile. FERETE -- Dirai che è morta per salvare me? Sposane molte, tu, fanne andare molte all’altro mondo!

ADMETO -- Morirai senza gloria, quando morirai. Vattene! lascia ch'io la seppellisca! FERETE -- Seppelliscila, dopo averla uccisa. Vado! Ma tu dovrai rendere ragione ai suoi congiunti.

ADMETO -- Alla malora, tu e la donna che abita con te. Senza figli invecchierete, pur essendo vivo vostro figlio.

CORO -- Oh generosa, oh nobile, salve! Benigno Ermète sotterraneo te accolga, e l'Ade

10- PIANTO DI ADMETO ADMETO -- Qual male peggiore per l'uomo, che perdere la compagna devota? Magari non l’avessi mai sposata! Invidio chi non ha sposa e non ha figli.

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dipartita era stato reso noto, ma è tanto distante nel tempo che Alcesti può

vivere per anni accanto allo sposo, dandogli anzi due figli, il più grande dei quali

è grande abbastanza da avvertire la sofferenza della separazione. Se nelle

versioni originarie della leggenda la protagonista femminile, in un momento di

suprema tensione dell'anima, offre se stessa in sacrificio e subito, con un

eroico slancio che non lascia spazio ai ripensamenti, va incontro alla morte,

l'Alcesti euripidea conosce ed apprezza tanto più la vita, dopo aver rinunciato

ad essa. Ed Admeto stesso allude con intense parole all'angoscia logorante di

quell'attesa: Da tempo sapevo, e per questo mi tormentavo (v. 421). Si tratta evidentemente di uno spunto interessante di approfondimento, da parte del

drammaturgo, nella caratterizzazione del personaggio. Il dramma di Euripide,

con la sua ricchezza di spunti e tematiche, con il suo groviglio di sottili

ambiguità o accavallamenti di piani (gli estremi si toccano in continuazione: vita

e morte, divino e umano, sublimità e meschinità, tragico e antitragico,

verosimiglianza e inverosimiglianza), è rimasto la pietra di paragone con cui si

sono confrontati, con intenti critici, emulativi, parodici, poeti e scrittori, che

hanno visto in esso il dramma dedicato per eccellenza all'amore coniugale.

C'è stato chi ha seguito l'archetipo euripideo abbastanza da vicino, come Hugo

von Hofmannsthal nel dramma Alkestis: Eìn Trauerspiel nach Euripides - scritto nel 1894 quando il drammaturgo austriaco aveva circa vent'anni, ma

pubblicato nel 1911 - nel quale domina lo scavo psicologico: Admeto è riflessivo,

intimamente provato dal dolore, e riscattato dal suo tratto magnanimo e

regale; Eracle ha tratti di pensosità quasi 'filosofica'. Ci sono state,

soprattutto nel Settecento, riscritture del dramma che hanno eliminato le

parti più conturbanti e problematiche del modello, come in particolare il

dialogo padre-figlio, in Euripide di una violenza ed aggressività impressionante,

oppure - un altro punto che poteva mettere in crisi la forma tragica - la scena

in cui Eracle inconsapevole si ubriaca mentre la casa di Admeto è in lutto:

questo atteggiamento di rettifica a scopo nobilitante o agiografico è evidente

ad esempio nel libretto che Ranieri Calzabigi scrisse per l'Alcesti di Christoph

Willibald Gluck, oppure nel Singspiel Alcesti di Christoph Martin Wieland, o ancora nell'Alceste seconda di Vittorio Alfieri, che nel I atto rappresenta un

nobile alterco fra Alcesti e il suocero Ferete (qui Fereo) che fanno a gara per

offrire la propria morte per Admeto. E c'è stato infine chi, soprattutto nel

Novecento, ha proceduto ad un rinnovamento sostanziale del dramma, ad una

sua piena e totale attualizzazione, calandolo nella temperie storica

contemporanea. E' il caso, in particolare, dell' Alcesti di Samuele di Alberto

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Savinio, una riscrittura del mito antico sullo sfondo delle persecuzioni razziali

promosse dall'antisemitismo nazista: con un finale 'capovolto', autenticamente

tragico, in cui si esprime il cupio dissolvi di una società che ha ormai perso ogni desiderio di sopravvivenza, Teresa-Alcesti, rifiutando l'intervento del

'Salvatore' (che qui è impersonato dal Presidente Roosevelt, emblema della

positività e ottimismo del nuovo mondo americano), convince il marito a lasciare

la vita per seguirla nel regno dei morti (Entreremo nella suprema felicità. Pensa! Non individui più: scio/ti nel nulla - nel tutto... Nascere è un atto individuale: morire è un atto universale... Questo il grande segreto della morte. Questo il suo immenso bene... Vieni, Paul. Sposa tua e madre, apro a te l'universo). Una piena attualizzazione del mito, ambientato in un appartamento piccolo-borghese poco dopo la fine della seconda guerra mondiale, è ancora nel

dramma Alcesti di Corrado Alvaro: lasciato incompiuto dall'autore, è stato

scoperto, fra le carte donate dalla vedova, nella Biblioteca Comunale di Reggio

Calabria e recentemente pubblicato.

Questo per quanto riguarda alcune delle più note versioni drammatizzate, che, analogamente all'originale euripideo, portano in scena contrasti e tensioni. Ma

c'è stato anche chi ha optato per l'elaborazione lirico-narrativa della vicenda,

come Rainer Maria Rilke, che nella sua poesia Alkestìs scritta a Capri nel 1907 si avvicina al substrato favolistico della vicenda, ambientandola nel giorno delle

nozze e riducendo al minimo i personaggi: Admeto, Alcesti, il nunzio di morte

Hermes e, molto sullo sfondo, i vecchi genitori, mentre al Coro greco si

sostituisce l'anonima folla degli invitati al banchetto nuziale. La morte di

Alcesti, secondo l'interpretazione ormai classica che a questa lirica è stata

data da Ernst Zinn, il primo curatore delle opere complete di Rilke, è il

tradursi in azione del significato profondo delle nozze: vissute da Alcesti

fanciulla come metamorfosi, come passaggio dalla verginità all'età matura. Il

commiato da uno stadio della vita diviene, simbolicamente, una forma di morte.

Ecco l'ultima immagine che Admeto ha della sua sposa-bambina: Ma ancora una volta vide / in viso la fanciulla a lui rivolta / con un sorriso chiaro di speranza, / che era quasi una promessa: / di ritornare adulta dalla morte profonda / a lui, vivente - / Ed egli a un tratto si coprì / il viso con le mani, inginocchiato, / per non vedere più nulla dopo quel sorriso (trad. di G. Cacciapaglia). Il dramma di Giovanni Raboni, uno dei nostri massimi poeti e scrittori

contemporanei, è l'ultima importante rielaborazione di questo mito che la

letteratura ci abbia consegnato. Benché destinata alla scena, l'opera presenta

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SECONDO CORIFEO -- Antistrofe seconda Ed ora, ha spalancato la reggia, con gli occhi umidi di pianto; ha accolto l’ospite, piangendo la sposa or ora defunta. Chi é nobile

sa ben comportarsi. Nel mio cuore regna la fiducia: è pio Admeto: sarà benedetto dagli

dei.

8- SERVO ED ERACLE

SERVO -- Ne ho visti molti, di forestieri, e da ogni parte del mondo, giungere alla reggia di Admèto, e li ho serviti a tavola. Ma uno peggiore di questo, non ci ha messo mai

piede. Prima, trova il mio padrone in lutto, ed entra, senza farsi scrupolo di varcare

questa soglia. Poi, saputa tanta disgrazia, non ha mica accolto con discrezione

l'ospitalità! Ci scordavamo qualche cosa? E lui tempestava, per farsela portare. Agguanta

con le mani una coppa d’edera, tracanna vino puro sin che il fuoco del vino gli si diffonde

nelle vene e lo accende. E poi si ficca in testa una corona di mirto e abbaia e abbaia.

C'erano due musiche: quello berciava, senza darsi pensiero di Admèto e dei suoi guai: noi

servi piangevamo la signora; ma nascondevamo le lagrime all'ospite come Admèto aveva

ordinato. - E adesso, io devo servirlo a tavola, quest'ospite, questo birbone, questo ladro,

questo brigante! E intanto, la mia padrona la portan via di casa, ed io non l'ho seguita,

non ho potuto tenderle la mano, sfogarmi a singhiozzi, lei che per me, che per i servi

tutti, era una madre, che ci risparmiava mille castighi, mitigando l'ira dello sposo. Ho

ragione o no, se odio lo straniero che piombò fra i nostri guai?

ERACLE -- con una coppa in mano ed una corona in testa Perché stai lí con aria seria e preoccupata? Un servo non deve fare il muso lungo agli ospiti, ma accoglierli con garbo e

grazia. Lo sai qual è la sorte dei mortali? Debbon morire tutti quanti gli uomini;né tra i

mortali c’è qualcuno che sappia se domani vivrà. Perciò datti alla gioia, bevi, pensa che il

giorno che tu vivi è tuo, il resto è della fortuna. E onora Cípride, la piú benigna per i

mortali. Bevi insieme con me: il tintinnio del calice farà mutare subito di rotta all'umore

nero. Per la gente ammusonita, sempre accigliata, credi pure a me, la vita non è vita: è

un'agonia.

SERVO -- Tutto questo lo so; ma la situazione attuale non richiede né risa né bagordi. ERACLE -- E’ morta una straniera: non pigliartela SERVO -- Va' in pace: noi piangiamo i mali del re. ERACLE -- Non parli come d'un lutto estraneo! Il mio ospite mi ha tratto in inganno? SERVO -- E’ morta la moglie di Admeto! ERACLE -- Io devo salvare la donna or ora spenta e a questa casa ricondurla, e all'ospite ricambiare con un degno favore. Affronterò Thànatos dal negro peplo. Lo

troverò vicino alla tomba, a succhiare il sangue delle vittime. Sono sicuro di ricondurre al

mondo Alcèsti.

QUARTO EPISODIO (vv 606 – 961)

9- FERETE ED ADMETO

FERETE -- Figlio, sono qui per partecipare al tuo dolore. Per la tua buona consorte gradisci questi doni. Bisogna onorarne le spoglie perché si è immolata per te e non mi ha

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ADMETO -- Quest'oggi devo seppellire un defunto. ERACLE -- Che stia lontana la sventura dai tuoi figli ADMETO -- I miei figli sono vivi nella casa. ERACLE -- Tuo padre, comunque era anziano, se si tratta di lui ADMETO -- Anch'egli è vivo, e anche mia madre. ERACLE -- E’ forse successo qualcosa ad Alcesti? ADMETO -- Il discorso su di lei è ambiguo. ERACLE -- Insomma! E’ viva o morta? ADMETO -- Vive e non vive: ed angoscia il mio cuore. ERACLE -- Non ne so piú di prima. Parli per enigmi. ADMETO -- Sai quale destino l’aspetta? ERACLE -- Sí. Che accettò di morire in vece tua. ADMETO -- E come puoi dirla viva, dopo una promessa simile? ERACLE -- Non piangere prima del tempo! Attendi l'ora. ADMETO -- Morto è chi deve morire. Chi è morto non è più. ERACLE -- Essere e non essere, sono due cose diverse. ADMETO -- Tu pensi cosí; ed io penso altrimenti. ERACLE -- Chi piangi, dunque? Quale dei tuoi cari è morto? ADMETO -- Una donna: parlavamo di una donna, poco fa ERACLE -- Straniera, o del tuo sangue? ADMETO -- Straniera: eppure legata al mio tetto. ERACLE -- E come mai è morta in casa tua? ADMETO -- Orfana del padre, fu cresciuta qui. ERACLE -- Mi spiace! Non avrei voluto trovarmi qui mentre sei in lutto! ADMETO -- Perché dici cosí? Che pensi? ERACLE -- Penso di cercare ospitalità altrove. ADMETO -- Non può essere! Dio non voglia!! ERACLE -- Un ospite dà fastidio quando si è in lutto. ADMETO -- I morti sono morti. Entra! ERACLE -- Non sta bene che un ospite mangi accanto a gente che piange. ADMETO -- Ti condurrò in stanze appartate. ERACLE -- Lasciami andare; ti sarò comunque grato. ADMETO -- Non puoi andare al focolare di un altro. Vieni. Sian chiuse le porte. Non bisogna rattristare gli ospiti.

PRIMO CORIFEO -- E perché mai celasti la tua sorte all'uomo che, come dici, ti è amico?

ADMETO: Il tetto mio non sa che cosa sia respingere o far torto ad un ospite…

7-L’OSPITALITÀ TERZO STASIMO (vv 568 – 605)

PRIMO CORIFEO -- Strofe prima O casa d'un uomo generoso, sempre generosa e ospitale, Apòllo pizio, signor della cetra, si degnò di abitarti e di diventare pastore

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alcuni elementi in comune con le versioni liriche del mito, in particolare con

Rilke. L'azione drammatica è semplice e lineare, e i personaggi, che non si

chiamano mai l'un l'altro per nome, sono ridotti a quattro: il padre, il marito, la

moglie e infine il Custode ("traghettatore" o "spedizioniere"), ambiguo, come

nelle versioni più antiche (o come anche in Rilke), fra il ruolo di salvatore e

quello di angelo della morte (...quel tipo indecifrabile / che compare e scompare / come un orologio a cucù / o come la figura della morte / in certi campani/i gotici... dice di lui il padre). L'ambientazione è nel presente: un'età contemporanea che sta cadendo a pezzi, contrassegnata dalla persecuzione

politica e dall'intolleranza (il pensiero corre a Savinio, anche se il contesto

storico non è qui precisato). Il terzetto - padre, figlio e moglie del figlio - si

rifugia in un vecchio teatro, in attesa di poter essere imbarcato e fuggire, ma

si apprende che, contrariamente a quanto era stato pattuito, solo due persone

potranno partire, e dunque salvarsi. Poiché i due uomini non accettano l'idea

che a restare possa essere la donna, ha inizio un conflitto drammatico fra il

padre e il figlio, mentre la moglie tenta inutilmente di proporre una soluzione

alternativa: restare a vivere insieme, nascondendosi nel teatro, in attesa che

cessi la persecuzione. Dello scontro verbale fra l'Admeto euripideo e il padre

rimane una reminiscenza nelle parole con cui il vecchio nel dramma di Raboni

difende il suo diritto a vivere: lo ci tengo / ancora, ci tengo forse di più, / ci tengo forsennatamente / a quel po' d'albe e dì tramonti / che, chissà, potrei ancora vedere... (in modo analogo il Ferete euripideo esprimeva il suo attaccamento alla dolce luce del sole). L'archetipo euripideo è del resto citato, con raffinata operazione metateatrale, all'interno del dramma: la donna

ricorda di aver debuttato proprio in quel teatro nel ruolo dell'ancella di

Alcesti, e della sua regina ella aveva appreso a memoria la parte. E nel ruolo di

Alcesti ella ora cala se stessa: allontanandosi in silenzio (vengono in mente

certe nobili e solitàrie eroine sofoclee, come Deianira, o Euridice, o Giocasta,

che escono di scena senza proferire parola, per darsi la morte), mette i due

uomini di fronte al fatto compiuto della sua scelta, costringendoli con il suo

sacrificio a continuare a vivere nel ricordo della loro meschina grettezza.

L'ombra di Euripide riaffiora ancora nell'ambiguo finale: la novella Alcesti

ricompare in scena velata e muta, per partire insieme ai due uomini. Ma la

conclusione è assai più amara: la scena di riconoscimento, che nel modello greco

aveva luogo nell'esodo e che non poco contribuiva alla lieta katastrophé, qui è

rimandata al di fuori del dramma: i due uomini si avviano a prendere posto sul

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camion che li porterà alla salvezza senza conoscere l'identità della misteriosa

passeggera, avvolta nel suo velo come crisalide in attesa di metamorfosi (sul

fondo della scena compare Sara, riconoscibile ma misteriosamente mutata e

con il volto nascosto da un velo, recita la didascalia scenica). Tra i vari elementi

di originalità che lo spettatore attento e sensibile al dato letterario non

mancherà - con un certo compiacimento - di cogliere nel tessuto di questo

testo, ce n'è uno in particolare che attira l'attenzione, ed è l'atipico rapporto

intercorrente fra la donna e i due uomini. L'eroina di questo dramma, infatti,

divide il suo amore fra il marito, pragmatico uomo d'azione che le dà sicurezza

e agio, e il padre, figura d'intellettuale con il quale ella condivide l'amore per il

teatro e la letteratura (io vi amo uno nell'altro, / uno a causa dell'altro, qualche volta / uno per rimpianto dell'altro, / indissolubilmente, / inestricabilmente...}. Ne nasce una peculiare triangolazione, che Raboni sfrutta abilmente anche allo scopo di delineare, in modo nuovo e attento al dato

psicologico, l'opposizione fra padre e figlio, quasi geloso, quest'ultimo, della

complicità che esste fra gli altri due. Un'invenzione interessante, che accresce

il fascino di questo dramma: ultima creazione letteraria nella lunga storia di

Alcesti.

Maria Pia Pattoni

Eracle che lotta contro la morte di Alceste (Leighton)

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ADMETO -- Guardali ancora, guardali ancora! ALCESTI -- Muoio! Addio! ADMETO -- Io sono morto! CORO -- Non è più la moglie di Admeto.

5- PIANTO DEL CORO SECONDO STASIMO (vv 435 – 476) (PEANA FUNEBRE) CORO in greco

PRIMO CORIFEO -- Strofe- O figlia di Pèlio, sii felice laggiù, nelle oscure case dell’Ade. E sappia Ade, il dio dai neri capelli e il vecchio che i morti conduce, stando al

remo e al timone, che mai sopra la nera palude d'Acherónte, mai donna piú degna ha

portato sulla sua barca.

CORO in greco

SECONDO CORIFEO -- Antistrofe- Spesso ti celebreranno i poeti con inni accompagnati dalla cetra silvestre, a sette corde o con semplici cori a Sparta, quando

ricorre il ciclo delle feste Carnee, in autunno, e la luna si leva alta nel cielo, a Atene,

splendida e opulenta città. Morendo hai offerto argomento di canto agli aedi.

PRIMO CORIFEO -- Se dipendesse da me, se ne fossi capace, ti riporterei alla luce dalle case dell’Ade, dalle correnti del Cocito, trovando remi adatti ai fiumi d’oltretomba.

Perché tu sola, prediletta tra le donne, tu hai liberato il tuo sposo dalla morte

sacrificando la vita. Che la terra ti sia leggera. E se tuo marito accogliesse una nuova

moglie nel suo letto, grande sarebbe l’odio nostro e dei figli.

SECONDO CORIFEO -- La madre si è rifiutata di scendere nella tomba al posto del figlio, e anche suo padre, un vecchio. Sì, lo hanno messo al mondo, ma non hanno voluto

salvarlo, e pensare che hanno i capelli bianchi. Ma tu, fiorente di gioventù, te ne vai,

precedi il tuo uomo nell’Ade. Vorrei una compagna come lei _ ma è un destino che capita

di rado ai viventi, starebbe al mio fianco fino alla fine, con armonia.

6- ARRIVO DI ERACLE, DIALOGO CON ADMETO

TERZO EPISODIO (vv 477 – 567)

ERACLE -- Ospiti, gente di Fère! trovo in casa Admèto? PRIMO CORIFEO -- Sì Eracle! Il figlio di Ferete è in casa. Ma, di': qual motivo ti ha indotto a spingerti in Tessaglia, alla città di Fère?

ERACLE: Devo compiere una fatica per Euristèo, cerco il cocchio di Diomede, in Tracia. ADMETO -- Stirpe di Giove e di Persèo, salute! ERACLE -- E a te salute, o Admèto, re dei Tèssali! ADMETO -- Magari! So che è l’augurio di un amico sincero! ERACLE -- Come mai quei capelli rasati a lutto?

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ANCELLA -- Tiene fra le braccia la sposa diletta e piange, e prega perché non lo lasci. Cerca l'impossibile! Ella si strugge nel suo male, si disfa, s'abbandona al suo braccio,

triste peso,. Respira ancora debolmente, ma vuole guardare la luce del sole. Ora vado a

riferire che siete qui: non tutti amano tanto i loro signori, da star loro vicini nelle

sciagure; tu sei vecchio amico dei padroni.

4- VISIONE DI ALCESTI, COLLOQUIO CON ADMETO E MORTE

PRIMO STASIMO (vv 213 – 243) e SECONDO EPISODIO (vv 244 – 434) CORO -- Devo recidere i miei capelli? Indossare le vesti nere del lutto? Non dirò più che le nozze recano più gioia che dolore. Me lo provano gli eventi del passato e vedo la

sorte che tocca al mio re. Ha perduto una sposa esemplare: avrà in futuro una vita che

non è più vita.

ALCESTI -- Vedo, vedo nella palude la barca e il traghettatore dei morti, Caronte: impugna una lunga pertica, mi chiama: “Perché indugi? Sbrigati, tu mi sottrai tempo”. Mi

fa fretta, con rabbia.

Mi trascina qualcuno, mi trascina verso il regno delle ombre! Ha le ali… nei suoi occhi

cupi, semichiusi, splende la morte. - Lasciami. Che fai? Mi inoltro disperata per

un’orribile strada!

Figli, figli, la madre vostra non vive piú. Addio, figli, godete questa luce del giorno.

ADMETO -- Non partire, ti prego. Se muori, io morrò. Tu sola puoi darmi la vita o la morte.

ALCESTI -- Admèto, prima di morire, a te dirò quello che desidero. Potevo non morire per te, ma priva di te non volli vivere coi figli derelitti; e abbandonai i doni della

giovinezza. L'uomo che ti ha generato, la donna che ti ha partorito, ti hanno tradito

entrambi. Ed erano pur giunti agli anni in cui è giusto lasciar la vita; e avevano te solo.

Ma un Dio volle che cosí fosse tutto questo. E sia. Ma tu, rendimi una grazia. Tu da buon

padre ami i tuoi figli, come li amo io. Lasciali padroni della casa, ai figli miei non dare una

matrigna. Non farlo, no, ti prego! Io devo morire, e non domani, e non il terzo giorno del

mese; fra poco non potrete chiamare me viva. Addio, siate felici. Potete vantarvi, tu,

marito, per la moglie e voi, bambini, per la madre.

ADMETO -- Sarà, tutto sarà. Non temere. Io ti ebbi sposa da viva; e morta, ancora, sarai detta mia unica sposa. E non un solo anno il lutto tuo porterò; ma sin ch'io resti in

vita, e aborrirò la madre e il padre. M'erano amici, non a fatti, a parole. Mi farò scolpire

da un bravo artista una statua che ti raffiguri, la collocherò nel nostro letto, la cingerò

con queste braccia. Ora attendimi là, quando io sia morto, e prepara la casa dove

abiteremo insieme!

ALCESTI -- La tenebra già mi scende sugli occhi. ADMETO -- Ma io sono perduto se tu mi vieni a mancare! ALCESTI -- Io non sono piú nulla. ADMETO -- Alza il tuo volto... non lasciare i figli! ALCESTI -- Non io voglio lasciarli... Oh figli... Addio! 16

Porcellana di F. C. Linck (1730 – 1793)

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ALCESTI da Euripide (Riduzione ed adattamento di O. Bardelli)

1- INGRESSO

IL VIAGGIO NEL TEMPO 2- APOLLO-THANATOS

(PROLOGO 1 – 76) APOLLO Addio casa di Admeto, dove ho accettato, pur essendo un dio, una condizione servile; Giove ne fu causa; la folgore vibrata in petto al mio figliuolo Asclepio, l'uccise. Allora io sterminai per vendetta i Ciclopi, del divin fuoco i fabbri; e, per punirmi, mi costrinse il padre a servire un mortale. Sono disceso in quest’angolo di terra a pascolare le mandrie del mio ospite custodendo anche la sua casa. Mi sono imbattuto in un uomo pio, nel figliolo di Ferete. Ora io, deludendo le Parche, l’ho salvato dalla morte. Mi concessero che Admeto potesse schivare l’Averno, se al suo posto avesse offerto un

altro alle potenze dell’Oltretomba. Provò tutti gli amici, a tutti fece ricorso, anche al

padre e alla vecchia madre che l’aveva partorito, ma non trovò chi volesse morire per lui

e abbandonare la luce – tranne la sposa. Proprio oggi deve rendere l’anima e abbandonare

la vita. Ora devo lasciare la casa diletta perché non mi contamini il contagio della morte.

Ecco, Thanatos: spiava il giorno in cui ella doveva morire ed è giunto in punto.

THANATOS -- Che fai qui attorno? Stai provando a calpestare i diritti degli Inferi? Non ti è bastato strappare Admeto al suo destino, ingannando le Moire con arti subdole;

di nuovo monti la guardia alla figlia di Pelio, che s’è offerta alla morte salvando il marito

APOLLO: -- Al cuor m'è grave il male d'un amico. THANATOS: -- Vuoi togliermi anche questo secondo corpo? APOLLO: -- Non è possibile che Alcesti arrivi alla vecchiaia? THANATOS: -- Dalla morte dei giovani ricevo un onore più grande APOLLO: -- Se morrà vecchia avrà esequie ricchissime. Anche tu, con tutta la tua durezza dovrai cedere. Alla reggia di Ferete sta per arrivare

un grande eroe, Eracle. Il re Euristeo lo ha mandato a impadronirsi di certe cavalle nelle

selvagge regioni della Tracia. Verrà ospitato nella casa di Admeto e ti strapperà dalle

mani questa donna. Così non avrai da me nessun grazie, e farai lo stesso quello che voglio;

e l'odio mio guadagnerai per giunta.

THANATOS: -- Nulla otterrai, per quanto a lungo parli: giú nell'Averno scenderà la donna. Ora muovo su lei: con la mia spada, la tocco; e quanti il crine hanno sfiorato da

questo ferro, sono sacri agl'Inferi.

3- RACCONTO DELLA SERVA AL CORO (PARODO vv 77 – 135 e PRIMO EPISODIO vv 136 – 212)

CORO -- Perché questa pace dinanzi alla reggia? è muta la casa d'Admèto. Perché? CORIFEO A -- Vicino a me non c’è nessuno degli amici per dirmi se devo piangere la regina morta o se ancor vede luce la figlia di Pelio, Alcèsti.

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CORIFEO B -- Per me e per tutti si è dimostrata la migliore delle donne: mai sulla terra simile non visse.

CORIFEO C -- Ella è già spenta! CORIFEO A -- No, non uscita è ancor dalla dimora. CORIFEO B -- Eppure, il giorno fatale è questo! CORIFEO C -- Quando sui buoni piomba la sciagura, chi buono è per natura deve avere compassione.

CORIFEO A -- Su lei pesa ineluttabile il Fato. Non esiste sacerdote o altare cui rivolgermi. Al male non v'è medicina.

CORIFEO B -- Che notizie ci porta l’ancella? Il pianto si spiega se sta capitando qualcosa di grave ai padroni. Ora tu dicci se viva ancora o spenta è la regina.

ANCELLA -- Puoi dirla viva e morta nello stesso tempo, puoi già morta dirla. CORIFEO A -- Come può uno essere morto e vivo? ANCELLA -- Già vicina è a morte, già lo spirito esala. CORIFEO A -- Sappi, Alcèsti, che muore con te la donna migliore fra quante vivono sotto il sole.

ANCELLA -- Come no? La migliore. Che cosa si dovrebbe fare per superarla? Alcesti ha dimostrato di onorare il marito nel modo più grande, accettando di morire per

lui. Ma questo a tutti i cittadini è noto. Senti ora, e te ne stupirai, come si è comportata

dentro alla reggia.

Quando vide giungere il giorno estremo, lavò nella corrente d’acqua il proprio corpo

candido; e dalle arche di cedro, tolse vesti ed ornamenti e s'abbigliò. E stando presso

l'ara di Vesta, la pregò:

«Ora che scendo ai regni sotterranei, quest'ultima preghiera, o Dea, ti rivolgo. Proteggi i miei figli. Concedigli una sposa che lo ami e fa’ che non muoia prima del tempo, come è toccato a

me, ma che nella patria viva felice».

Si accostò a tutti gli altari del palazzo, depose corone di fiori e pregava con gli occhi

asciutti e senza un gemito. La morte imminente non segnava il pallore del suo bel volto.

Entrò quindi nel talamo, sul letto nuziale; e qui pianse e disse «Letto che avesti il fior

della mia vita, addio: non ti odio io, no, sebbene muoia solo per te: per non tradire lo

sposo e te, muoio. Sarai di un'altra donna, non piú fedele di me, ma piú fortunata».

Cadde in ginocchio e lo baciava, inondando le coltri con un fiume di lacrime.

Tutti i servi piangevano nella dimora, per pietà della regina. Ed essa tese a tutti la destra.

Ecco che avviene nella casa d'Admèto. Se egli fosse morto, per lui sarebbe finita. Ma,

scampando si è procurato un dolore di cui non si scorderà mai.

CORIFEO A -- Certo, per questo male Admèto piange. 15