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Prologo Volendo stilare la sequenza cronologica dell’affacciarsi del Liberty a Trieste ( 1 ) si potrebbe fare riferimento a quanto scrive Silvio Benco, quando afferma «che per un momento l’architetto Berlam pare voglia farsi il precur- sore del modern style» ( 2 ) e, pur senza citarli direttamente fa riferimento ai villini per Saul Modiano in via Rossetti ( 3 ) progettati nel 1900, data che segna il turning point e coincide in maniera emblematica con l’alba del XX secolo. Ma quello di Berlam è un approccio di breve durata e ne fornisce una moti- vazione Pietro Sticotti nella Commemorazione dell’architetto quando spiega che non ebbe fortuna il tentativo di «adattare al nostro gusto gli arzigogoli inorganici e nipponizzanti dello sti- le liberty o floreale o secession che dir si voglia: maniera, che non attecchì nei nostri climi e fu talmente snaturata dai nostri artefici da diventare sem- pre più la caricatura della caricatura, finché s’inaridì e cessò del tutto». ( 4 ) DIANA BARILLARI VICENDE DELL’ARCHITETTURA LIBERTY A TRIESTE (1900-1906) ( 1 ) In apertura una sintetica bibliografia sul Liberty a Trieste, M. WALCHER, L’ar- chitettura a a Trieste dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento, Udine 1967; E. CAMPAILLA, Trieste Liberty, Trieste 1980; M. POZZETTO, Annotazioni per una storia dell’architettura moderna a Trieste, «Parametro», n. 132, dic. 1984, pp. 14-49; M. LORBER, Vienna e Trieste: la Wagnerschule alla periferia dell’impero, in «Arte in Friuli Arte a Trieste», nn. 18-19, 1999, pp. 175-194; Id., Presenze liberty nello svilup- po urbanistico a Trieste, in «Quaderni Giuliani di Storia», n. 1, genn.-giu. 2003, pp. 145-156; C. VISINTINI, Liberty a Trieste analisi e rilievo di alcune architetture, 2008; G. PAVAN, La Cappella dell’Episcopio a Trieste, di Ivan Vurnik (1913-1914), 2010; Trieste Liberty costruire e abitare l’alba del Novecento, cat. mostra a cura di F. RO- VELLO, M. MESSINA, L. RESCINITI, Comune di Trieste 2011. ( 2 ) S. BENCO, Trieste, Trieste 1910, p. 144. ( 3 ) Archivio Generale comune di Trieste, Magistrato Civico, 3/10-1, esibito 51987/1900. ( 4 ) P. STICOTTI, Commemorazione dell’architetto Ruggero Berlam tenuta al Cir- colo Artistico di Trieste la sera del 22 dicembre del 1920, «Archeografo Triestino», vol. IX, III serie, XXXVII della raccolta, 1921, p. 10.

Vicende dell’architettura Liberty

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Prologo

Volendo stilare la sequenza cronologica dell’affacciarsi del Liberty a Trieste (1) si potrebbe fare riferimento a quanto scrive Silvio Benco, quando afferma «che per un momento l’architetto Berlam pare voglia farsi il precur-sore del modern style» (2) e, pur senza citarli direttamente fa riferimento ai villini per Saul Modiano in via Rossetti (3) progettati nel 1900, data che segna il turning point e coincide in maniera emblematica con l’alba del XX secolo. Ma quello di Berlam è un approccio di breve durata e ne fornisce una moti-vazione Pietro Sticotti nella Commemorazione dell’architetto quando spiega che non ebbe fortuna il tentativo di

«adattare al nostro gusto gli arzigogoli inorganici e nipponizzanti dello sti-le liberty o floreale o secession che dir si voglia: maniera, che non attecchì nei nostri climi e fu talmente snaturata dai nostri artefici da diventare sem-pre più la caricatura della caricatura, finché s’inaridì e cessò del tutto». (4)

Diana BaRiLLaRi

VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTya TRieSTe (1900-1906)

(1) in apertura una sintetica bibliografia sul Liberty a Trieste, M. Walcher, L’ar-chitettura a a Trieste dalla fine del Settecento agli inizi del Novecento, udine 1967; e. caMpailla, Trieste Liberty, Trieste 1980; M. pozzetto, Annotazioni per una storia dell’architettura moderna a Trieste, «Parametro», n. 132, dic. 1984, pp. 14-49; M. lorber, Vienna e Trieste: la Wagnerschule alla periferia dell’impero, in «arte in Friuli arte a Trieste», nn. 18-19, 1999, pp. 175-194; id., Presenze liberty nello svilup-po urbanistico a Trieste, in «Quaderni Giuliani di Storia», n. 1, genn.-giu. 2003, pp. 145-156; c. Visintini, Liberty a Trieste analisi e rilievo di alcune architetture, 2008; G. paVan, La Cappella dell’Episcopio a Trieste, di Ivan Vurnik (1913-1914), 2010; Trieste Liberty costruire e abitare l’alba del Novecento, cat. mostra a cura di F. ro-Vello, M. Messina, l. resciniti, comune di Trieste 2011.

(2) s. benco, Trieste, Trieste 1910, p. 144.(3) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, 3/10-1, esibito

51987/1900.(4) p. sticotti, Commemorazione dell’architetto Ruggero Berlam tenuta al Cir-

colo Artistico di Trieste la sera del 22 dicembre del 1920, «archeografo Triestino», vol. iX, iii serie, XXXVii della raccolta, 1921, p. 10.

2 Diana BaRiLLaRi

Sia Benco che Sticotti nel condannare la breve sortita di Ruggero Ber-lam con le novità del Liberty vi contrappongono il «tipo fiorentino del rina-scimento» di cui l’esempio più riuscito è casa de Leitenburg in via Giulia (1887). Per la città di Trieste che si appresta a entrare nel XX secolo la mo-dernità è rappresentata secondo Benco da

«l’architettura policroma italiana […] in suo nome si lotta contro i girasoli, i giaggioli, ogni specie di liliacee del modern style che adesca i giovani da oltre monte e lusinga nei padroni di casa il desiderio di sbalordire a buon mercato». (5)

La questione dello stile ripropone la dialettica tra quella parte della cul-tura cittadina che si sente profondamente italiana e individua nell’architettura un mezzo per riaffermare la propria identità e una platea di committenti, pro-gettisti e imprese che invece guardano a Vienna e alla Mitteleuropa, poiché vi riconoscono una tensione verso l’innovazione che li fa sentire partecipi della storia in atto. Gli eccessi e il cattivo gusto del modern style non impediscono

(5) s. benco, op. cit. p. 143.

ettore Luzzatto e isidoro Piani, casa in via Battisti angolo via Donizetti, particolari della decorazione, 1902 (foto alida cartagine).

VicenDe DeLL’aRchiTeTTuRa LiBeRTy a TRieSTe (1900-1906) 3

il successo del nuovo linguaggio che, come riconosce anche Benco quando afferma che i nuovi edifici devono «sbalordire a buon mercato», comporta costi inferiori anche in virtù dei materiali, delle tecniche e degli impianti. La nuova architettura ha poi il demerito di arrivare da «oltre monte» e questo per i fautori dell’italianità costituisce un elemento negativo, che si aggiunge a altre considerazioni che hanno a che fare con l’estetica e la questione dell’in-novazione tecnologica. nel criticare l’apparato decorativo del nuovo stile Benco dimostra di avere una conoscenza non superficiale di quelli che sono gli elementi di base, gli «arzigogoli nipponizzanti» sono un pertinente riferi-mento a una fonte importante per l’arte europea della fine del XiX secolo, fondamentale per la scelta in senso bidimensionale operata da tanti architetti. a una critica abituata a confrontarsi con gli stili storici e l’eclettismo, dove il mondo è ancora regolato dal rodato linguaggio degli ordini, le eleganze delle linee e la semplicità dei corpi di fabbrica, l’impiego di pietra artificiale al posto di quella naturale doveva apparire una irragionevole fuga in avanti, che viene esorcizzata con il ricorso a un nazionalismo che si identifica con la tradizione. non ci sono soltanto i villini Modiano quali esempi di un sia pre-coce interesse per il Liberty all’alba del XX secolo a Trieste ma anche un’ar-

Ruggero Berlam, casa de Leitenburg in via Giulia, Trieste, 1887 (archivio privato Trieste).

4 Diana BaRiLLaRi

chitettura pubblica di notevole rilevanza per funzione e collocazione, quale il Palazzo dell’imperial Regia Luogotenenza di emil artmann in piazza Gran-de (ora unità) (6). nel 1901 viene presentata la richiesta di costruzione di casa agnani in via dell’acquedotto (ora viale XX settembre) dove al pianterreno il proprietario aprì e arredò il caffè Secession: autore del progetto è l’ingegner eugenio Geiringer. Gli edifici citati sono opera di tre progettisti diversi per cultura e formazione, due, Ruggero Berlam e Geiringer operano a Trieste, l’altro è un ingegnere viennese a capo dell’ufficio costruzioni del ministero dell’interno. Per la sua funzione è il palazzo in piazza unità quello che offre i maggiori problemi di termini di linguaggio espressivo, infatti deve confron-tarsi con palazzo Stratti, la nuova sede municipale e palazzo Modello di Giu-seppe Bruni, l’edificio del Lloyd austro-ungarico a opera di heinrich von Ferstel, l’hotel Garni di Geiringer e palazzo Pitteri a opera di ulderico Moro, tutte architetture dove risulta prevalente il ricorso all’eclettismo e agli stili storici. La nuova sede della Luogotenenza (7), ovvero l’edificio che rappre-senta a Trieste il potere politico e amministrativo dell’impero, offre una visio-ne improntata a una prudente modernità nella quale si coniugano le esigenze di monumentalità proprie di una sede governativa e una serie di rimandi al gusto Secession, come il rivestimento a mosaico dei due piani superiori raffi-gurante le arti e gli stemmi della corona imperiale (Giuseppe Straka) e le fi-gure di putti posti a coronamento del loggiato (anton Brenek). il loggiato a doppio ordine che occupa l’avancorpo collocato al centro condensa le cita-zioni neorinascimentali che ci si potrebbero aspettare da un edificio pubblico con funzioni di rappresentanza, colonne e paraste con fasce a bugnato al pian-terreno, capitelli e pulvini, cornici marcapiano. Per un fautore dell’eclettismo come Ruggero Berlam l’approccio al nuovo stile sperimentato nei villini Mo-diano avviene attraverso la mediazione con il familiare linguaggio degli ordi-ni, infatti al posto del capitello le lesene che suddividono la trifora al primo piano esibiscono ornati fitomorfi e teste leonine racchiuse entro palmette acroteriali di cui il linguaggio modernista ha conservato solo la sagoma. come rilevato da Marco Pozzetto i «due villini sono floreali nel senso della decorazione fitomorfa, ma nello stesso tempo decisamente lontani dalla se-cessione, dal liberty e da altri tipi di modernismo» (8). un ulteriore tentativo

(6) Trieste 1872-1917 Guida all’architettura, a cura di F. roVello, Trieste 2007, pp. 199-202; la scheda del’edificio è curata da M. lorber.

(7) l. Merluzzi, Emil Artmann ed il Palazzo del Governo di Trieste: storia di un cantiere pubblico (1901-1905), in «archeografo Triestino», serie 253-285. iV, vol. LXX/2 (cXViii/» della raccolta), 2010, pp.

(8) M. pozzetto, Giovanni Andrea Ruggero Arduino Berlam un secolo di archi-tettura, Trieste 1999, p. 103.

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Ruggero lo effettuò nella prima casa Berlam in via dei Piccardi 36, dove ac-canto a elementi viennesi quali la

«stilizzazione dei fiori dipinti sul rivestimento degli ultimi due piani, ai lisci rettangoli che incorniciano le finestre del primo piano, a quelle dell’ul-timo piano prive di cornice, vi è l’uso medioevalista del cotto e del contra-sto cromatico, dei capitelli e delle mensole, e infine appare il floreale nelle testine e nei fiori in stucco sopra le finestre del primo piano e nei motivi vegetali delle pitture». (9)

Più convincente come adesione al nuovo linguaggio è casa agnani so-prattutto per la trionfante esuberanza dei ferri battuti e delle cornici con ele-menti vegetali, per la stilizzazione delle partiture classiche nelle mensole, nelle incorniciature delle finestre, nel generale sovvertimento di consolidate gerarchie in merito a proporzioni e relazione tra struttura e decorazione. Da segnalare poi che la denominazione del caffè fa riferimento al movimento artistico viennese che aveva trovato la propria sede nel palazzo delle esposi-zioni ideato da Joseph Maria Olbrich nel 1897. Vale la pena di ricordare che

(9) c. lettis, Casa Berlam, in Trieste 1872-1917... op. cit, p. 229.

emil artmann, Palazzo dell’imperial Regia Luogotenenza, Trieste, 1900, particolare della facciata principale con i mosaici (archivio privato).

6 Diana BaRiLLaRi

il nuovo stile ebbe l’avvallo dell’imperatore Francesco Giuseppe che parteci-pò all’inaugurazione della Secessionhaus accreditando con l’augusta presen-za la liceità dello strappo operato nei confronti della tradizione accademica.

«Le curve smorfiose del modern style»

Tra i primi progetti decisamente improntati al modernismo vi sono casa Basevi di Geiringer in via San Giorgio e il palazzo all’angolo tra via Battisti e via Donizetti progettato da isidoro Piani e ettore Luzzatto, entrambi appro-vati nel 1902 e accomunati dal fatto che gli ideatori sono ingegneri, che non si limitano a esercitare la professione, ma sono imprenditori, rivestono cari-che politiche, prendono parte attiva alla vita economica e politica cittadina. eugenio Geiringer (Gairinger (10) a partire dal 1900) fonda nel 1882 la Socie-tà degli ingegneri e degli architetti e ne assume la presidenza per 22 anni,

(10) Ringrazio Diana De Rosa per avermi fornito le precisazioni: il 6 maggio 1900 il podestà Scipione Sandrinelli conferì all’ingegnere la «cittadinanza triestina» e questo riconoscimento unito al fatto che a partire da quella data il cognome oscilla tra Geiringer e Gairinger, fa pensare, sostiene la studiosa, che avesse «optato per una variazione fonologica che lo facesse apparire più italiano».

Joseph Maria Olbrich, Palazzo della Secessione a Vienna, 1897 («Wiener neubauten»).

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consigliere comunale e membro di molte commissioni è coinvolto nella rea-lizzazione di numerose infrastrutture viarie della città (il tram di Opicina) nonché socio con Vallon di un’impresa edile molto attiva nella costruzione dei magazzini di Porto vecchio: anche se sintetico il curriculum restituisce l’immagine di un professionista attento a recepire le innovazioni sia di tipo tecnico che culturale. Sottolineando il ruolo chiave della committenza nella realizzazione di palazzo castiglioni (1903) a Milano a opera di Giuseppe Sommaruga, Rossana Bossaglia precisava che l’ingegner ermenegildo casti-glioni «era dunque esponente non soltanto dell’alta borghesia locale, ma del mondo dei tecnici; erano gli ingegneri che volevano per sé le case più moder-ne e spregiudicate: prova ne sia che Sommaruga, come architetto di edifici di abitazione, lavorò quasi sempre per ingegneri» (11). analoga considerazione si può fare a Trieste perché sono proprio gli ingegneri-imprenditori a dare prova di interesse verso la modernità, infatti se gli edifici realizzati da Geirin-ger alla fine dell’Ottocento – dalla sede delle assicurazioni Generali alla ri-

(11) r. bossaGlia, Corso Venezia 47, in «Pirelli», marzo-aprile 1970, p. 75.

eugenio Geiringer, palazzo Basevi, via San Giorgio, Trieste, 1902, (foto alida carta-gine).

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strutturazione di palazzo Stratti all’hotel Garni alla propria dimora – possono essere considerati dei modelli di riferimento per l’impiego del linguaggio storicista, la svolta verso il modernismo di casa Basevi e del caffè Secessione viene compiuta tra il 1901 e il 1902 non appena il nuovo linguaggio comincia a diffondersi. il motivo che spinge imprenditori di successo e tecnici di valo-re a preferire il nuovo stile si può individuare nella generale attenzione verso tutto ciò che è innovazione e sono molte le novità a livello di impianti, mate-riali e strutture che si palesano nell’ultimo quarto del secolo XiX, ma anche per catturare il favore di una clientela che vuole stare al passo con i tempi e considera lo storicismo un retaggio del passato. La casa commissionata dal cavalier Giuseppe Basevi in via San Giorgio (12) fu utilizzata dal proprietario per sistemare gli uffici della propria ditta al pianoterra mentre gli apparta-menti dei piani superiori vennero affittati. nell’adozione di uno stile nuovo un fattore da prendere in considerazione è la prospettiva economica e la con-venienza in termini di reddito, al quale concorrono anche le scelte estetiche, quali i pregiati ferri battuti dei balconi e del portoncino di ingresso, gli ornati fitomorfi e le ghirlande, i medaglioni e le incorniciature delle finestre: giraso-li, gigli e foglie di alloro sostituiscono ovoli, perline, fusarole, mutuli, vale a dire il repertorio degli ordini. anche nel palazzo di Piani e Luzzatto viene applicata la sostituzione delle partiture decorative che si traducono nei modi eleganti e gradevoli del modernismo, concentrandosi in particolare nelle in-corniciature, fasce marcapiano, lesene, balconi. in queste opere non si riscon-tra ciò che Silvio Benco (firmando con lo pseudonimo di Falco) sulle pagine de «l’indipendente» definirà come «la volgarità del nuovo stile architettonico che urla con le boccacce della sua pazzia contro il nobile positivismo della nostra epoca» (13). nelle parole del critico si riflette lo sconcerto dell’uomo di cultura che osserva l’avanzata di una nuova forma d’arte che è emblema di

«falsificazione: delle idee, dei materiali, dell’originalità. Le idee si piglia-no sconclusionatamente, qua e là, nelle architetture d’Oriente o nei negozi di fiori artificiali. i cementi vogliono essere pietre bianche; lo zinco inver-niciato vuol essere pietra grigia. L’originalità si compera a dozzina nelle officine tedesche di pezzi architettonici». (14)

Risulta offensivo proprio ciò che rende conveniente sotto il profilo eco-nomico le costruzioni in modern style, vale a dire l’impiego di materiali meno pregiati che imitano la pietra, oltre alla produzione in serie di apparati deco-

(12) F. Grippi, Casa Basevi, in Trieste 1872-1917… op. cit., pp. 203-204.(13) Falco, Ozi estivi, «L’indipendente», 10 agosto 1903.(14) Ibidem.

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rativi: Silvio Benco sta osservando in presa diretta l’avvento dell’industria-lizzazione nel settore dell’edilizia e ciò che lo infastidisce è che questi pro-dotti si diffondano nel settore delle costruzioni private, trasformando l’archi-tettura che a lui piace, quella fatta da «un’umile fila di arcate d’un altro tem-po, semplici, coerenti, logiche e gravitanti in perfetto equilibrio» (15). È la fine di un’epoca e di un modo di vivere, ai solidi valori del positivismo si sostituisce un incubo architettonico, che secondo Benco rivela la perversione di un’epoca dove si produce «architettura fine e alcolica, che vi penetrerà fino allo stomaco, con un gusto acuto di droghe o con un gusto ondulante di assen-zio». evocando gli scenari bohemienne e maledetti che contraddistinguono una parte significativa dell’intensa stagione degli impressionisti francesi, che si incontrano in caffè dove si possono trovare i bevitori di assenzio immorta-lati da Manet e Degas, Benco si fa portavoce di un sentimento nostalgico che parte dell’opinione pubblica condivide, senza contare le tensioni nazionalisti-che che scuotono periodicamente l’impero e si intersecano anche alle vicende costruttive. Ma le reprimende del critico benpensante non arrestano i cantieri, segno che le nuove architetture godono del favore di un pubblico al quale piacciono

«le curve smorfiose del modern style, le teste leonine di gesso, le cascate di fiori zuccherine e le ghirlandette massiccie […] le sagome carnevale-sche dei coronamenti cincischiati di creste di gallo e di pinnacoli da pastic-ciere sovra le sinuosità di un’arte floscia».

Se «il catalogo è questo» si tratta di capire chi sono i committenti e alla domanda Benco risponde che si tratta di «borghesi che hanno messo a lucro il loro denaro nell’edificazione di questo mondo grottesco»: nell’affermazio-ne si coglie tutta la sua contrarietà nei confronti di una classe sociale che a suo parere compie scelte dettate dal criterio della convenienza economica trascurando il dato estetico. Già l’architetto Pertsch aveva sottolineato le dif-ficoltà incontrate a Trieste per consentire l’affermazione dei concetti d’arte soprattutto a causa dello «spirito mercantile» dominante in città. Pur pren-dendo con la dovuta cautela le sferzanti critiche di Benco si coglie nell’affer-mazione del modernismo anche la sua convenienza economica, fattore indi-spensabile per spiegarne la fortuna. Benco si chiede come sia possibile vivere in città «mascherate da selve di geroglifici, e se noi siamo tanto decaduti da sorbirci in pace questa profanazione babilonese o cinese o malese». L’invet-tiva coglie un altro elemento caratterizzante il nuovo stile, rappresentato dal-la corrente «biblico-babilonica» alla quale heinrich Pudor dedica un impor-

(15) Ibidem.

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tante saggio su «Der architekt» (16) indicando in Joseph hoffmann autore dell’allestimento della mostra su Beethoven tenutasi nel 1902 nella Seces-sionhaus quando fu esposto il fregio di Klimt, il corifeo di questa nuova ten-denza espressiva.

Il «glabro edificio balcanico» e alcune Miethaus a Trieste

Tracciando in rapidi cenni la storia dell’architettura triestina Giuseppe Pagano in un articolo pubblicato in «casabella» nel 1935 tesse l’elogio dell’architettura neoclassica «seria, compassata e concisa che, se non generò capolavori mirabolanti, produsse tuttavia una serie di opere degne della massima attenzione» (17), censura i vari eclettismi soprattutto quello che egli qualifica come «rinascimento di maniera» e se la prende con la «questione nazionale» che con la pretesa di ispirarsi all’architettura «aulica italiana» ha creato i presupposti per una produzione «sfacciatamente retorica». Da que-sto panorama dominato dalla confusione degli stili, Pagano addita come esempio riuscito di architettura moderna e allo stesso tempo coerente con l’architettura triestina, «l’albergo Balkan dell’architetto friulano Fabiani, operante a Vienna». Sono tanti i motivi che caratterizzano la peculiarità de-gli edifici di Trieste, «il rigore e la serietà di una legislazione molto cauta, le ottime scuole professionali della regione e le influenze benefiche dell’acca-demia di Vienna» che hanno impedito il trionfo delle «libidini liberty» che tanti danni, a suo dire, hanno procurato a Genova. anche Pagano condivide con Benco il giudizio negativo sul modernismo che viene assimilato all’ope-ra dei pasticceri più che degli architetti e persino la sostituzione della pietra naturale con quella artificiale viene messo in conto ai difetti del Liberty. a distanza di trent’anni si riconfermano le critiche al modern style, ma Pagano mostra di apprezzare proprio l’edificio che all’epoca della sua costruzione aveva attirato giudizi poco lusinghieri, a cominciare da quello espresso dal-la commissione alle pubbliche costruzioni che dopo aver chiesto una prima modifica, aveva rilasciato il permesso, rilevando che le facciate erano «poco conformi all’importanza dell’ubicazione» (18). il progetto commissionato

(16) La traduzione in lingua italiana si trova in La Scuola di Wagner 1894-1912 Idee – premi – concorsi, cat. mostra a cura di M. pozzetto, comune di Trieste, 2 ed. 1981, pp. 209-212.

(17) G. paGano, Architetti a Trieste, in «casabella», Viii, n. 88, aprile 1935, p. 16.

(18) archivio generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito 72094/1902, F. £/10-1/1902.

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dalla cassa Depositi e Prestiti slovena all’architetto Max Fabiani, contiene diversi elementi di novità a cominciare dalla reputazione del progettista che a Vienna è uno dei protagonisti del circolo degli innovatori che fa riferimen-to a Otto Wagner e alla Secessione, ma anche per la funzione che l’edificio dovrà assolvere: si tratta di realizzare una sede qualificata e importante per

Max Fabiani, Narodni Dom, via Filzi, Trieste, 1902 (archivio privato).

12 Diana BaRiLLaRi

ospitare le associazioni della comunità slovena. il Narodni Dom (casa della cultura) ideato da Fabiani nel 1902 sia per le soluzioni tipologiche e funzio-nali (contiene teatro, ristorante, albergo, residence, sale di ritrovo, tipogra-fia, uffici della banca, sale per le associazioni) ma anche con le facciate spoglie e essenziali segna il turning point nella storia dell’architettura trie-stina del XX secolo, è il primo edificio a dare conto di quanto si stava rea-

hubert Gessner, ingresso dell’arbeiterheim a Vienna («Der architekt», 1903).

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lizzando a Vienna, vale a dire il laboratorio di ricerca architettonica più avanzato d’europa. Sempre nel 1902 nella capitale era stata completato l’Arbeiterheim di hubert Gessner una struttura che per funzioni e soluzioni architettoniche aveva diversi punti di contatto con l’edificio triestino, iden-tica la scelta di facciate lisce e finestre senza cornici, le aperture nella zona inferiore comprendenti pianterreno e mezzanino con la differenza a Vienna non vi è traccia di nostalgie classiciste (19). il giudizio espresso da Pagano è coerente con il suo obiettivo di innovare l’architettura italiana che lo porta a avere più attenzione nei confronti dei precursori del razionalismo: le riserve espresse dalla commissione edilizia nel 1902 nei confronti delle facciate «poco conformi» e la definizione di «glabro edificio balcanico» (20) attribu-ita da Sticotti confermano la distanza da un linguaggio espressivo che pro-pone pareti lisce e essenziali, una sobrietà che era sembrata eccessiva a co-loro che sia per motivi estetici, ma anche culturali e politici, preferivano il rassicurante universo degli stili storici sinonimo di italianità. La spiegazione che offre Fabiani in merito alla semplicità è invece fondata su considerazio-ni economiche che determinarono la preferenza per una «facciata in mattoni a vista con parziale rivestimento in pietra» (21) rispetto a quanto previsto nella prima versione, dove pietra e decorazioni avevano una maggior rile-vanza. nella versione definitiva, invece, la decorazione venne concentrata nell’ingresso principale dove fu collocata la vetrata di Koloman Moser, di-strutta nell’incendio del 1920 e documentata dalla foto pubblicata in «Der architekt» (22). in quanto al carattere «meridionale» che l’architetto dichiarò di aver impiegato per inserire l’edificio nel tessuto edilizio cittadino, sotto il profilo del linguaggio espressivo si traduce in una interpretazione dell’ar-chitettura italiana e veneziana che si intona al genius loci triestino smorzan-do il rigore delle due architetture viennesi di Fabiani alle quali il Narodni Dom è riferibile, il palazzo Portois e Fix (1899) con la sua essenziale faccia-ta rivestita in mattonelle di pirogranito e l’artaria (1900) con le lastre di marmo fissate alla muratura che ripropongono soluzioni offerte da Otto Wa-gner (23). il disegno dei mattoni del rivestimento con lo schema a losanghe di palazzo Ducale a Venezia e la pietra lavorata a bugnato liscio che circon-da l’ingresso principale, sono gli elementi impiegati per rielaborare l’archi-

(19) J.a. lux, Das Arbeiterheim, «Der architekt», iX, 1903, pp. 14-16.(20) p. sticotti, Commemorazione… op. cit., p. 10.(21) M. pozzetto, Max Fabiani, Trieste 1998, p. 155.(22) «Der architekt», XiV, 1908, tav. 25.(23) l. abels, Zwei Wiener Geschäfthäuser, in «Der architekt», Viii, 1902, pp.

67-68; M. pozzetto, Max Fabiani, op. cit., pp. 155-158, 204.

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tettura cittadina, anche se il tentativo di Fabiani non venne apprezzato, dato che finirono per prevalere considerazioni di ordine politico oltre ai difficili rapporti tra italiani e slavi all’epoca. Mentre Fabiani a Vienna raccontava ai colleghi dell’associazione austriaca ingegneri e architetti che erano stati i vincoli imposti dal budget di spesa a determinare alcune scelte espressive, a Trieste le questioni di estetica venivano utilizzate come strumento per uno scontro ideologico, trasformando l’edificio in un simbolo contro il quale scagliarsi o da idolatrare. Quando Sticotti nel 1921 giunge a motivare in

ingresso del Narodni Dom con la vetrata di Koloman Moser («Der architekt», 1908).

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maniera pretestuosa il rogo appiccato dalle milizie fasciste al Narodni Dom, spiegando che l’incendio era una risposta alla distruzione del leone alato che sormontava palazzo Vianello di Ruggero Berlam (1903) poiché era stato considerato come una minaccia al «glabro edificio balcanico», ci rivela che le rilevanti differenze in termini di linguaggi espressivi dei due edifici sono la metafora di uno scontro tra opposti nazionalismi, acuitosi durante il primo conflitto mondiale. L’edificio di Berlam «con spettacolo di colonne doppia-te e di gruppi statuari sopra una facciata dove il lusso sansovinesco si leva

Max Fabiani, palazzo Portois e Fix a Vienna in foto d’epoca, 1899-1900.

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Ruggero Berlam, palazzo Vianello, via carducci, piazza Oberdan, Trieste, 1903, fac-ciata principale (archivio privato).

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sopra la rustica toscana» (24) è l’emblema di quell’architettura «inutilmente retorica» che secondo Pagano è il risultato di un culto per la tradizione aulica italiana che impedisce di guardare al futuro. i componenti della commissione edilizia triestina, la cui sensibilità era stata messa a dura prova dall’eccessiva sobrietà dei prospetti del Narodni Dom, tornano a confrontarsi con il rigori-smo di Fabiani in occasione del progetto di casa Bartoli (1905-1906) (25), dove la soluzione proposta per la facciata viene respinta per ben due volte, dato che risulta non confacente «all’importanza dell’ubicazione» (26). Di fronte ai dubbi e alle incomprensioni che si estendono anche alle tecnologie costruttive innovative che Fabiani applica, l’architetto scrive direttamente alla commissione spiegando di aver preferito l’intonaco alla pietra per le decorazioni visto che si tratta di un edificio con negozio e appartamenti, e che «le facciate furono sviluppate dalla disposizione interna e che ogni cam-biamento esterno ne richiederebbe uno corrispondente all’interno» (27). in questa dichiarazione si concentra la sostanziale diversità tra Fabiani che si colloca nei termini di una cultura progettuale che Otto Wagner teorizza nel Moderne Architektur ritagliando a sua dimensione la celebre frase di Semper «artis sola domina necessitas». Fabiani vive in un realtà quale quella vienne-se dove la ricerca e la sperimentazione sono retaggio di una cultura architet-tonica interessata al futuro, nella quale si sta elaborando il tema dell’influen-za della tecnica sul linguaggio espressivo, il cruciale dibattito delle nuove forme. Le ampie aperture del pianoterreno e mezzanino dove trovano posto i negozi sono la logica trasposizione della struttura a pilastri impiegata che rende questo spazio un antesignano del plan libre di Le corbusier. Questa soluzione caratterizzata dallo svuotamento dei piani inferiori per gli edifici che abbinano funzioni commerciali e residenziali – Miethaus – è uno dei temi sul quale gli allievi della Scuola di Wagner sono chiamati a esercitarsi, prece-duti dallo stesso maestro nell’ankerhaus a Vienna (1895) (28). e a Trieste

(24) s. benco, Trieste... op. cit., p. 144.(25) M. pozzetto, Max Fabiani, op. cit., pp. 176-178, 204; a. boiti, Casa Barto-

li, Trieste 1872-1917 Guida... op. cit., pp. 249-252; F. pioVesan, e. Martin, Studio di Casa Bartoli, tesina corso Storia delle Tecniche architettoniche, Facoltà di ingegneria Trieste, aa. 2009-2010.

(26) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n. 44845/1905-F. 3/10-1/1905, dd. 27.6.1905.

(27) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n. 36769/1906, F. 3/10-1/1906, dd. 29.5.1906.

(28) La Scuola di Wagner… op. cit., pp. 44-49; l. GrueFF, Disegni della Wagner-schule, Firenze 1989, pp. 11-13; e. Godoli, La Wagnerschule, in Vienne architecture 1900 a cura di F. borsi, Paris 1985.

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saranno gli edifici di Fabiani – Narodni Dom e casa Bartoli – a offrire il mo-dello al quale faranno riferimento Romeo Depaoli nelle case Terni-Smolars (1907) e Polacco (1908) (29) e Giuseppe Sommaruga con palazzo Viviani-

Max Fabiani, casa Bartoli in piazza della Borsa, Trieste, 1905-1906 (archivio privato).

(29) e. Godoli, Trieste, Roma-Bari 1989, (2 ed.), pp. 182-183.

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Romeo Depaoli, casa Polacco, corso italia via imbriani, Trieste, 1908 (foto alida car-tagine).

Romeo Depaoli, casa Terni Smolars, via Dante alighieri via San nicolò, Trieste 1907 (foto alida cartagine).

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Giberti (1907) (30). il conflitto innescato sulla facciata di casa Bartoli si risol-ve con il compromesso proposto dal progettista che fa germogliare dal cor-nicione una decorazione con foglie d’acanto e motivo a rombi (31) che si estende lungo le quattro lesene che suddividono la facciata, quindi impie-gando» pietra, marmo e mosaici in vetro nella parte inferiore» (32) e «polior-nando i cassettoni della cornice e dei soffitti delle piastre in cemento arma-to». La facciata posteriore su via delle Beccherie proprio per la posizione defilata conserva invece lo schema decorativo tanto avversato, composto da fasce orizzontali di intonaco e nella parte inferiore al posto del rivestimento in pietra si impiega il cemento la cui superficie è trattata a bugnato.

Giorgio Zaninovich, un allievo della Wagnerschule a Trieste

Dopo aver frequentato la Scuola di Wagner nel 1902 Giorgio Zanino-vich fa ritorno a Trieste e comincia subito la sua attività di progettista e im-prenditore edile (anche se conseguirà la licenza di costruttore edile autorizza-to solo l’anno dopo) mettendo a frutto l’esperienza fatta all’accademia, ma anche di collaboratore presso la Pittel & Brausewetter (33) una delle maggiori imprese di costruzione dell’impero: la sua condizione di studente e lavoratore gli consente di verificare le nozioni che apprendeva a lezione e che erano sviluppate a livello teorico nel testo di Moderne Architektur, sul quale si fon-da il progetto pedagogico di Wagner che, per sua stessa ammissione, specifi-cava di aver scritto «una guida ai suoi allievi in questo settore artistico». Ma accanto alle motivazioni di ordine didattico, il testo era arricchito dalle rifles-sioni maturate a seguito dell’esperienza compiuta in campo professionale proprio in quegli anni: dopo aver vinto il concorso per il piano regolatore di Vienna (1892-93) nel 1894 Wagner ebbe l’incarico di progettazione delle

(30) d. barillari, L’architetto Sommaruga a Trieste e il palazzo liberty lungo il viale, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXVii (cXV della raccolta), 2007, pp. 359-384.

(31) Lo stesso pattern era stato utilizzato da Fabiani per la facciata della cassa di Risparmio slovena a Gorizia del 1903, ora demolita, in Max Fabiani nuove frontiere dell’architettura, cat. mostra a cura di M. pozzetto, Venezia 1988, p. 149. Secondo Pozzetto il motivo a losanghe era riferibile alla chiesa di san Miniato al Monte, un monumento che Fabiani aveva visitato durante il lungo viaggio di studio ottenuto con la borsa Ghega.

(32) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n. 36769/1906, F. 3/10-1/1906, dd. 29.5.1906.

(33) Fondata nel 1870 a Bratislava da un ingegnere (Victor Brausewetter) e da un produttore di cemento (adolf Pittel) la ditta inizialmente si specializza nella realizza-zione di condotte fognarie, quindi si passa ai ponti e agli edifici civili.

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opere edilizie della metropolitana viennese, vale a dire lo sviluppo in senso architettonico di una moderna infrastruttura, dai muri di riempimento e soste-gno, ai parapetti, alle inferriate, dai ponti agli ingressi delle gallerie, oltre alle stazioni. Se agli architetti della generazione precedente, quelli che avevano realizzato il Ring per intendersi, era toccato in sorte di confrontarsi con tipo-logie consolidate dalla tradizione – palazzi, teatri, edifici di rappresentanza e pubblici –Wagner si misura con un tema prettamente ingegneristico, che rap-presenta una sfida poiché il linguaggio che si adopera fa riferimento al collau-dato vocabolario dello storicismo e dell’eclettismo: soluzioni obsolete secon-do Wagner che trasforma in occasione quello che poteva sembrare un incarico di minore importanza sotto il profilo della progettazione architettonica, data la preponderante presenza del fattore tecnico. ecco profilarsi per l’architettu-ra un nuovo campo di intervento originato dall’impiego dei nuovi materiali e dalle tipologie che vengono realizzate per soddisfare i bisogni della società contemporanea. a una modernità interamente declinata secondo il paradigma della tecnica, Wagner contrappone la necessità dell’arte

«L’ipotesi che l’utilitarismo possa soppiantare completamente l’idealismo […] è errata; come la deduzione che l’umanità possa vivere senza l’arte: si deve invece ammettere che l’utilitarismo e il realismo anticipano quei fenomeni che dovranno condurre all’arte e all’idealismo». (34)

Si comprende come l’incarico per la progettazione delle «opere edili-zie» della metropolitana costituisse per l’architetto una opportunità straordi-naria, un laboratorio nel quale testare in tempo reale le istanze della moder-nità e far crescere un nuovo linguaggio espressivo. Questo percorso si inter-seca con la direzione della Meisterklass di architettura che permette di trava-sare nella didattica quanto si va maturando nell’esperienza professionale. L’incarico professionale di Zaninovich comporta la progettazione della parte architettoniche di alcune opere di ingegneria, in particolare i ponti, tra i qua-li quello del Giubileo imperiale a Lubiana, quello sullo «Swarza a Payer-bach, l’hohebrücke sul Graben a Vienna, il ponte sul Langbadbach a eben-sec e uno a Varsavia» (35). La brochure dell’impresa conservata nell’archivio

(34) o. WaGner, Architettura …, op. cit., p.(35) n. carboni tonini, L’attività triestina dell’architetto Giorgio Zaninovich, in

«Quaderni Giuliani di Storia», V, n. 1, 1984, p. 242; F. pioVesan, Un protagonista dell’architettura modernista a Trieste: l’architetto Giorgio Zaninovich, tesi di laurea triennale, Facoltà di ingegneria di Trieste, corso di laurea ingegneria edile, relatore d. barillari, a.a. 2008-2009, id., Un protagonista dell’architettura modernista a Trie-ste: l’architetto Giorgio Zaninovich, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXX/2 (cXViii/2 della raccolta), 2010, pp. 329-347.

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Giorgio Zaninovich, ponte del Giubileo imperiale a Lubiana, 1900-1901 («Der archi-tekt», 1903).

storico di Porto vecchio a Trieste – da attribuire al fatto che nel 1901 fu inca-ricata di realizzare il magazzino 2 (Kaffeemagazins) – ha consentito di indi-viduare un altro stabilimento costruito, si tratta dello Jutificio Triestino (36),

(36) a. GaMbardella, Sistemi costruttivi innovativi negli edifici del nuovo manico-mio di Trieste 1903-1908, tesi di laurea triennale, Facoltà di ingegneria di Trieste, corso

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realizzato nello stesso anno, nel quale fu impiegato il sistema Matrai. La Pittel poi, in qualità di impresa specializzata nelle opere in calcestruzzo ar-mato, ebbe l’incarico di costruire le fondazioni del Palazzo della Luogote-nenza in piazza unità e nel 1904 vinse la gara d’appalto per i padiglioni del nuovo frenocomio di San Giovanni (37), dove vennero applicati alcuni dei brevetti che aveva in esclusiva, in particolare Matrai e Melan. L’impiego presso la Pittel & Brausewetter per l’allievo della Scuola di Wagner ha la funzione di un laboratorio dove mettere subito a frutto quanto andava ap-prendendo a lezione, anche perché proprio i ponti e i viadotti erano infra-strutture alle quali lo stesso Wagner dedicava molta attenzione, non solo in quanto facevano parte del tracciato della metropolitana, ma anche perché l’incarico conferitogli comprendeva la sistemazione delle sponde del Donau-kanal: il tema pertanto costituiva un banco di prova molto stimolante. La soluzione proposta dal maestro andava nella direzione di lasciare a vista la componente ingegneristica vale a dire la struttura metallica, mentre erano i piloni a interpretare le esigenze di tipo architettonico. il tema del ponte, par-ticolarmente se realizzato in ambito urbano, nell’ottica di Wagner è di grande interesse per sviluppare la riflessione sulla modernità, poiché è riconducibile sia all’urbanistica che all’architettura e all’ingegneria. a tale proposito si può prendere a modello la chiusa di nussdorf (1894-1898) dove a guardia dei piloni sono sistemati dei leoni stanti, che evocano con il loro metaforico ruggito lo scorrere impetuoso dell’acqua. i quattro draghi in bronzo con le fauci spalancate e la coda arrotolata che troneggiano sui piedestalli posti all’imbocco e i lampioni in bronzo a foggia di candelabri in testa ai parapetti, conferiscono al ponte del Giubileo di Lubiana (1900) una nota decorativa che appare ben coordinata alla parte strutturale in calcestruzzo armato. a Lubiana infatti non viene impiegato il metallo a vista ma il sistema Melan che trovava applicazione soprattutto nei ponti e costituiva uno dei brevetti acquisiti dalla Pittel. La pubblicazione del ponte di «Georg Zaninovich» su «Der architekt» (38) la rivista che ospita opere e progetti della Scuola di Wa-gner e degli esponenti della Secessione, coincide con la conclusione del suo periodo di formazione e vale come un diploma di merito, confermato anche dalla pubblicazione di un altro progetto, questo non realizzato, di una

di laurea ingegneria edile, relatore d. barillari, correlatore e. ValcoVich, a.a. 2008-2009; id., Sistemi costruttivi innovativi nel nuovo manicomio di Trieste, in «archeogra-fo Triestino», serie iV, vol. LXX/2 (cXViii/2 della raccolta), 2010, pp. 383-397.

(37) d. barillari, L’architettura per il frenocomio di Trieste, storia di un proget-to e della sua realizzazione, in L’ospedale psichiatrico di San Giovanni a Trieste. Storia e cambiamento 1908-2008, cat. mostra, Milano 2008, pp. 127-128.

(38) «Der architekt», Viii, 1902, p. 9.

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Miethaus con il pianterreno svuotato e occupato da una vetrata continua, frontone curvilineo compreso tra le testate dei due pilastri che chiudono la facciata (39). il progetto di una «casa villino per la signora Maria Tullinger-carbucicchio» in viale Miramare 157 (40) presentato al Magistrato civico il 12 gennaio 1903 e approvato con alcune raccomandazioni, risulta modificato rispetto al progetto conservato nell’archivio disegni del comune di Trieste, sono scomparse infatti decorazioni di impronta secessionista, come le teste leonine poste tra le finestre dell’ultimo piano, i ferri battuti dei balconcini, la cornice ondulata con palmette posta a chiusura del frontone a gradoni che incornicia la parte superiore dell’edificio. in altri progetti per case di abita-zione, via Pauliana 6 e via Gozzi 3 fanno la loro apparizioni elementi tratti dall’architettura medioevale e quelli secessionisti si ritraggono, per riemer-gere con maggior decisione nel progetto per la sede della Società Triestina

Otto Wagner, chiusa di nussdorf a Vienna, 1894-1898 («Wiener neubauten»).

(39) ivi, tav. 35.(40) archivio Generale comune di Trieste, Magistrato civico, esibito n. 2492/1903,

F. 3/10-1/1903, dd. 12.1.1903.

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Giorgio Zaninovich, Miethaus, 1902 («Der architekt», 1902).

austria (1904) con la sagoma dell’ingresso a tre quarti di cerchio sull’esem-pio di padiglioni espositivi di Wagner o Joseph Maria Olbrich. a questi mo-delli aveva fatto riferimento nel progetto presentato al concorso indetto dall’imperial Regia Luogotenenza di Zara per l’educandato superiore fem-

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minile della Fondazione San Demetrio nel 1901 (41) e nei coevi progetti per un casinò da gioco a Lesina e caffè e ristorante a Zara (42). Gli insegnamen-ti impartiti a Vienna sembrano stingersi a contatto con l’atmosfera eclettico-storicista dominante a Trieste, tanto che la facciata dell’edificio presenta una finestra continua costituita da aperture archiacute con le colonnine mo-dellate sul tipo del chiostro di Monreale, dove le bifore si alternano a una finestra cieca. il bugnato che riveste la zona basamentale è in pietra artifi-ciale modellata con pezzature irregolari che conferiscono alla superficie un contrasto chiaroscurale con effetto da «non finito». in questo edificio si pos-sono già vedere i prodromi del futuro percorso di Zaninovich che affronta la storia adoperandosi per modernizzarla, in questo allineandosi con l’evolu-zione in atto a Vienna a opera dello stesso Wagner, di Fabiani e hoffmann, tutti impegnati in un confronto con il linguaggio classico, in particolare quello rinascimentale e barocco. Tale svolta può essere sintetizzata nella copertina di «Der architekt» disegnata da emil hoppe per l’annata 1906, dove alla chiesa del manicomio dello Steinhof si affiancano la cupola di San Pietro e il prospetto di un tempio dorico esastilo in una visibile dichiarazio-ne di evoluzione storica dove non restano dubbi sulle matrici di origine. Ma nella stessa famiglia Zaninovich il fratello minore Giovanni (detto Gino) (43) aveva intrapreso il percorso formativo per diventare architetto e si era iscrit-to alla Meisterklass di architettura dell’accademia di Vienna diretta da Frie-drich Ohmann fautore di una riflessione sul classicismo più moderata rispet-to a quella proposta da Wagner. È curioso rilevare che dei due fratelli è Giovanni a detenere il numero maggiore di progetti pubblicato in «Der ar-chitekt», che pure era la rivista che dava ampio spazio alle proposte degli allievi di Wagner; a firma di Johann Zaninovich esce nel 1906 il progetto di una villa a Trieste (44), nel 1907 la tavola acquerellata con l’interno del duo-

(41) n. carboni tonini, L’attività triestina… op. cit., pp. 242, 250.(42) ivi, pp. 247-248, 250.(43) Giorgio Zaninovich (Spalato 1876 – Buenos aires 1946) è il maggiore dei

tre figli maschi di antonio Zaninovich, celebre esploratore polare che aveva preso parte alla spedizione della Tegethoff. Giovanni (Gino) nasce a Spalato nel 1882 e con la famiglia si trasferisce a Trieste nel 1887. Vi è poi un altro fratello, Francesco, che risulta in società con l’impresa di costruzioni Zaninovich che in una prima fase ha la propria sede in porto vecchio. Secondo e. lucchetta (Gino Zaninovich architetto, tra i protagonisti del neofiorentino triestino, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LViii, cVi della raccolta, 1998, pp. 141-167), dopo Vienna Gino si reca a stu-diare architettura a Graz e solo nel 1912 ottiene l’autorizzazione di costruttore edile a Trieste, superando l’esame di fronte alla commissione della quale fa parte il fratello Giorgio.

(44) «Der architekt», Xii, 1906, tavv. 97, 108.

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Giovanni Zaninovich, casa in riva Mandracchio a Trieste, 1908 («Der architekt», 1908).

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mo di Parenzo (45) a corredo di un articolo e nel 1908 una casa a Trieste sulla riva Mandracchio (46). La villa, ma soprattutto la casa d’abitazione, presentano gli elementi caratterizzanti il linguaggio delle forme rinascimen-tali, aperture a tutto sesto, bugnato, capitelli e colonne restituiti in maniera filologica, privi di quella capacità critica di interpretazione che rende origi-nale il contributo offerto da Wagner.

Un Frenocomio di «assoluta modernità»

Portando all’approvazione del consiglio cittadino nel 1896 il program-ma al quale dovevano attenersi i partecipanti al concorso internazionale per la costruzione del nuovo Frenocomio, il podestà Ferdinando Pitteri si dice certo che il futuro complesso «dovrà avere un carattere di assoluta modernità e dovrà quindi essere costruito in modo da permettere all’alienato la più am-pia libertà compatibile con le sue condizioni». Modernità e libertà sono i due punti fermi del programma fondato sulle recenti teorie psichiatriche che han-no radicalmente mutato il modo di curare la malattia mentale, proprio a par-tire dagli spazi in cui la cura viene esercitata, abolendo «muraglie» e «dispo-sizioni simmetriche». Dopo alterne vicende relative all’ubicazione del com-plesso e alla individuazione del progettista, dal momento che il concorso si era concluso senza un vincitore, il sottocomitato alle pubbliche costruzioni presieduto da Geiringer affida nel 1902 l’incarico a Lodovico Braidotti che nell’arco di tre mesi consegna un progetto che è frutto di un programma me-dico fondato sulle teorie dell’open door system che prevede un modello a padiglioni, una tipologia più confacente alla terapeutica liberale che gli psi-chiatri triestini condividevano con i colleghi tedeschi e austriaci. il Frenoco-mio è strutturato come una piccola città suddivisa in aree funzionali che si differenziano anche per lo stile prescelto, dato che la varietà è uno dei princi-pi cardine delle nuove terapie che individuano nel contesto ambientale uno dei possibili sistemi di cura. Tali principi comportano nuovi criteri distributi-vi che si basano sulla realizzazione di «quartieri bene distinti e disposti a se-conda delle esigenze nel trattamento speciale ad ogni riparto» che proceden-do da valle verso monte presentano, le ville per paganti di prima e seconda classe, i padiglioni per i cronici e quello per la malattie del cuore (Ralli) l’edificio per la Direzione e l’amministrazione, i padiglioni clinici – osserva-zione, per agitati, semi-agitati, sucidi e paralitici – i servizi generali – cucina,

(45) ivi, 1907, p. 64, tav. 107.(46) ivi, 1908, p. 17.

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lavanderia, disinfezione, sala macchine e caldaie, carbonile – il quartiere per i tranquilli, il villaggio del lavoro (chiesa, casette rustiche, serra, laboratori), l’ospedaletto per le malattie contagiose e necroscopia. Tale sistemazione è agevolata dall’orografia del sito, situata «sul dorso di un contrafforte del monte calvo» la cui pendenza è definita «dolce acclività». Le condizioni del terreno consigliano di disporre gli edifici perpendicolarmente alla maggior pendenza e questo spiega l’origine dell’asse viario principale che attraversa tutto il complesso da valle (via San cilino) a monte (nuova strada per Opicina ora via Valerio), suddividendolo in due parti quasi uguali, una riservata alle donne a l’altra agli uomini, mentre a metà circa si trovano i servizi generali. Le architetture dovranno avere un aspetto «vario e gaio, raggiungendo un concetto artistico con la disposizione delle masse, colla ripartizione dei fori, col modo di costruzione, coi materiali e col colore. i giardini, i viali e gli orti completeranno il quadro». Silvio Benco sostiene che Braidotti «s’ispirò per lo più alla grazia pittoresca e colorita del quattrocento toscano» (47) e tale

Lodovico Braidotti, Frenocomio di San Giovanni a Trieste, viale principale con i pa-diglioni clinici, 1903-1908 (archivio privato Trieste).

(47) s. benco, Trieste, op. cit., pp. 151-52.

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valutazione viene confermata dagli edifici ubicati nella parte aperta al pubbli-co compresa tra l’ingresso fino al padiglione di amministrazione, dove aper-ture a tutto sesto, le maioliche decorate secondo lo stile di «andrea della Rob-bia», i ferri battuti modellati sull’esempio del monumento funerario di Piero e Giovanni de’ Medici di Verrocchio, ma in particolare il loggiato del padiglione Ralli che ricalca quello dell’Ospedale degli innocenti, offrono una riuscita ap-plicazione di quello stile che esprimeva i sentimenti filo-italiani di una parte della cultura architettonica triestina: l’orientamento non deve sorprendere se si pensa che uno dei membri della sottocommissione incaricata di seguire la rea-lizzazione del Frenocomio era Ruggero Berlam. Ma non è lo stile la preoccu-pazione maggiore della committenza che infatti raccomanda di impiegare «en-tro i limiti di una saggia economia» le migliorie «introdotte dall’arte di fabbri-care» oltre che l’uso di «materiali e strutture che riescono a limitare le spese di manutenzione». La traduzione di queste indicazioni secondo l’auspicio di as-soluta modernità comporta l’utilizzo del calcestruzzo armato, che in una città come Trieste dove i magazzini del porto costituiscono un esempio a livello europeo in quanto a sperimentazione di brevetti e calcoli, è fattore di ordinaria

Lodovico Braidotti, la volta del teatrino realizzata con il sistema Melan (archivio privato Trieste).

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amministrazione. È stato Marco Pozzetto (48) a segnalare l’osmosi tra il porto e l’edilizia cittadina in termini di impiego del calcestruzzo armato favorito dalla presenza contemporanea di alcune tra le maggiori imprese di costruzione italiane e austriache, alle quali si aggiungono quelle locali, creando un conte-sto che favorisce la sperimentazione. Sono i padiglioni finalizzati alla cura delle malattie mentali quelli dove l’impiego delle nuove tecniche costruttive trova corrispondenza nelle forme architettoniche impiegate, per esempio l’adozione dei tetti piani e la semplificazione più accentuata delle partiture decorative, mentre la dislocazione sempre diversa dei corpi di fabbrica prima che all’estetica risponde alle esigenze funzionali che richiedono specifiche cubature: solitamente gli ambienti più vasti sono quelli destinati a camerata e sale di soggiorno o da pranzo, cosicché ogni padiglione viene ideato in base agli spazi e alle necessità legate ai diversi tipi di malati. Riemergono in questo modus operandi le considerazioni che Fabiani aveva espresso nella lettera alla commissione edilizia nella quale illustrava le difficoltà di modificare la fac-ciata di casa Bartoli, e trova conferma che la priorità dei parametri funzionali costituisce un evidente indizio di modernità. negli stessi anni in cui a Trieste si realizzava il Frenocomio, a Vienna si stava costruendo il grandioso com-plesso del manicomio am Steinhof per il quale Wagner collaborava in qualità di consulente per la sistemazione urbanistica, oltre che di progettista della celebre chiesa di St.Leopold (1902-1904). come le opere per la metropolitana anche l’intervento allo Steinhof ha il sapore di una sfida con il tempo presente, da un lato con grandi opere di infrastrutturazione rese possibili dallo sviluppo dei mezzi di comunicazione, dall’altro un diverso approccio alla malattia mentale che richiede di studiare una nuova tipologia di ospedale. a Trieste come a Vienna viene realizzato un teatro, struttura che secondo il dottor cane-strini è necessaria quanto la chiesa, infatti il primo edificio serve «a distrarre il loro spirito dalla considerazione della sventura propria e di quella degli altri, di cui sono testimoni», mentre l’altro mantiene «elevato il morale dei malati» oltre «a conservar loro quei sentimenti religiosi che avevano quando erano sani» (49). È singolare che nel teatro del Frenocomio triestino coesistano due aspetti diametralmente opposti, da un lato la volta di copertura della sala tea-trale in calcestruzzo armato che costituisce uno degli interventi più complessi

(48) M. pozzetto, Cemento armato, materiale nuovo nella scuola di Otto Wa-gner, in «L’industria italiana del cemento», n. 6, 1981, p. 418; id., Strutture portuali triestine nella storia delle tecniche architettoniche, in a. caroli, Punto Franco Vec-chio, Trieste 1996, pp. 73-75.

(49) l. canestrini, Note manicomiali, in Bollettino Associazione Medica Triesti-na, Vi, 1902-1903, Trieste, 1903, pp. 75-98.

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dal punto di vista strutturale dell’intero complesso, dall’altro l’intervento de-corativo più ricco con il ciclo pittorico affidato a napoleone cozzi. il sistema Melan impiegato per il teatrino di Trieste (50) è lo stesso che Zaninovich aveva

Lodovico Braidotti, la porta di ingresso al padiglione di amministrazione (archivio privato Trieste).

(50) G. cosolini, Il teatro dell’ospedale psichiatrico di Trieste: storia, architettu-ra e confronti, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXX/2 (cXViii/2) della raccolta, 2010, pp. 287-302.

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usato per il ponte a Lubiana infatti costituiva uno dei brevetti più importanti della Pittel & Brausewetter: nella foto scattata all’epoca da Strobl la grande sala con volta ribassata lascia intravedere i tiranti d’acciaio indispensabili per dare stabilità alla copertura in calcestruzzo armato, ma anche la decorazione estesa al boccascena e al soffitto. Sia sotto il profilo strutturale che estetico il confronto più calzante per questa soluzione è quello offerto dalla Saalgebäude dell’Arbeiterheim di Vienna (1901-1902) (51) dove il sistema utilizzato è quel-lo Melan e l’impresa di costruzioni ugualmente la Pittel & Brausewetter. L’impiego per la volta del teatro della soluzione più avveniristica e moderna realizzata nella capitale avviene quasi contemporaneamente e documenta che nel primo porto dell’impero l’orizzonte è di livello internazionale in particola-re sotto il profilo tecnico e strutturale. Mentre la Trieste neoclassica è legata a una dimensione urbanistica che è quella del borgo teresiano, la diffusione del Liberty nel tessuto urbano triestino è limitata a alcune aree o parte di strade (via commerciale, via Boccaccio, piazza cornelia Romana, via Tigor) (52),

Lodovico Braidotti, progetto del padiglione per uomini semiagitati, 1903-1908 (ar-chivio Pianificazione urbana comune di Trieste).

(51) J.a. lux, Das Arbeiterheim, in «Der architekt», iX, 1903, pp. 14-16.(52) M. lorber, L’architettura a Trieste fra eclettismo e liberty, in Trieste 1872-

1917... cit., p. 79.

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pertanto il complesso dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni configu-rato come una piccola città risulta un unicum nella pianificazione del XX se-colo. in ossequio alle richieste di un «sistema misto» nel quale far coesistere la varietà – i padiglioni disseminati nel parco – e la regolarità – il blocco com-patto dei servizi – Braidotti realizza una sistemazione urbanistica che fa rife-rimento al modello della garden cities inglesi, ma lascia trapelare la cono-scenza degli studi condotti a Vienna sui grandi complessi barocchi ai quali si ispirarono Wagner Ohmann Fabiani e divenne uno dei temi affrontati dagli allievi della Wagnerschule. Se nel 1910 Benco poteva affermare che «Freno-comio e Ospizio dei cronici costituiscono una delle opere più grandiose di civiltà della contemporanea Trieste» (53) con il passare degli anni il complesso si è trasformato nella «città dei matti» diventando un luogo non visitabile al-

il padiglione Viii nel complesso dell’ospedale di S. Maria Maddalena a Trieste, 1908.

(53) s. benco, Trieste, op. cit., p. 150: «scaglionati alle faglie del monte che so-vrasta al sobborgo di Guardiella, trenta padiglioni aggruppati pittorescamente ascen-dono con un ritmo alterno di tetti piatti e di rossi tetti spioventi, di grandi arcate e di fasce policrome, verso un’agile campanile che rizza la sua lancia a frenare quella scalata. all’armonia del quadro mancano ancora gli sfumati, le chiome degli alberi che non si piantarono nei giardini. Ma a chi visita il Frenocomio, opera di sagacia e d’amore, si prepara godimento inatteso quando, alla porta postica dell’edificio centra-le, gli apparirà l’armonioso scenario dei padiglioni disposti come quinte intorno alla grande semplicità della scala di pietre rustiche che porta ai ripiani più alti di codesta piccola città.»

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meno fino alla rivoluzione innescata da Franco Basaglia, che proprio da Trie-ste ha avviato il processo che avrebbe portato alla chiusura dei manicomi in italia. uno dei primi passi di questa trasformazione fu l’apertura all’esterno, attraverso concerti, spettacoli, laboratori, feste che dovevano contribuire a riunire due città che convivevano senza mai incontrarsi. anche per questi motivi le architetture del Frenocomio, ora finalmente restituite a nuove fun-zioni che hanno riscattato anni di incuria, sono rimaste sostanzialmente estra-nee alla storia dell’architettura cittadina e nazionale, mentre all’e poca della loro realizzazione se ne era compreso il significato non solo estetico, ma so-prattutto in termini di sociale. Gli amministratori operanti a Trieste agli inizi del XX secolo si impegnarono a mettere ordine e innovare molte strutture di cura e assistenza, infatti oltre ai malati mentali e ai cronici, il comune si occu-pò di coloro che avevano contratto la tubercolosi per i quali fu realizzato nel complesso dell’ospedale per i contagiosi di Santa Maria Maddalena il padi-glione Viii ideato dall’ufficio tecnico del comune nel 1901 (allora diretto da ettore Lorenzutti) e costruito dall’impresa De Rin-Pucalovich tra il 1905 e il 1907 (54). Di questo edificio restano soltanto le fotografie a testimoniare l’ir-rimediabile perdita di pregevoli decorazioni Liberty come le balaustre i ferro battuto delle terrazze e quelli in pietra e intonaco sulla facciata principale. Dalle demolizioni si è invece salvata la sede dell’amministrazione (1895) che Benco definisce «regina delle palazzine toscane più pittoresche» attri-buendola a enrico nordio (55).

Uno scenario internazionale per il nuovo Tempio israelitico

Sono due i concorsi indetti a Trieste che vengono pubblicati dalla rivista «Wiener Bauindustrie Zeitung», rispettivamente nel 1896 quello per il nuovo frenocomio (56) e nel 1903 per la sinagoga (57) e a documentare l’eco interna-zionale che suscitarono basterebbe scorrere l’elenco dei partecipanti. altro punto di contatto è che in entrambi i casi non venne conferito il primo premio né risultò tra i segnalati il progetto realizzato, poiché si preferì un’elaborazio-

(54) l. bacarini, Lo «spedale per le malattie contagiose» di Santa Maria Mad-dalena a Trieste, in «archeografo Triestino», serie iV, vol. LXVii (cXV della raccol-ta), 2007, pp. 618-621.

(55) s. benco, Trieste, op. cit., p. 148. altri edifici di stile toscano sono la Guar-dia Medica e la redazione del Piccolo di icilio Turri e la villa Panfili sul colle di Gret-ta di Giacomo Zammattio (1911, ora consolato della Repubblica di Serbia).

(56) «Wiener Bauindustrie Zeitung», Xiii, n. 47, 20.8.1896, p. 589.(57) ivi, XXi, 15.11.1903, pp. 63-64.

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ne ex novo. il miglior risultato in termini di partecipazione è quello consegui-to dal concorso per la sinagoga con 42 progetti. Scorrendo la provenienza dei concorrenti le località più frequenti sono Vienna e Budapest, alle quali seguo-no Roma, Praga, Brno, Milano, Torino, Venezia, Stoccarda, Stoccarda, Pressburg, napoli, Parma (58), mentre per quanto riguarda i partecipanti pos-sono essere distinti in due filoni tenendo in considerazione le scelte architet-toniche, quello moderno con esponenti della Secessione viennese e i tradizio-nalisti, il gruppo più numeroso. Presso l’archivio della comunità ebraica e i civici musei di Trieste sono conservate le tavole dei cinque progetti ai quali vennero attribuiti i premi (due secondi premi ex-aequo a Theodor Schreier e ernst Lindner di Vienna (59), ernst Förk e Jiulius Sandy di Budapest, due terzi premi ex aequo a Oskar Marmorek di Vienna, Franz Matouschek e emil adler di Budapest e premio di consolazione a Giovan Battista Milani) ma altre indicazioni provengono dalle riviste, in particolare «Der architekt» dove trovarono spazio quelli più innovativi esclusi dalla rosa dei premiati a eccezione di Matouschek (60). La rivista ci permette di conoscere il progetto di Otto Schöntal e emil hoppe (61), allievi e collaboratori di studio di Wagner, e quello di Oskar e ernst Felgel (62). non è stato possibile rintracciare le tavo-le del progetto presentato da un altro ex allievo, Giorgio Zaninovich, mentre alfredo castelliz pubblicò il suo elaborato di concorso nel 1911 in «Wiener Bauindustrie Zeitung (63). La data di pubblicazione del progetto di Matou-schek è il 1909 quando ormai l’incarico per la sinagoga era stato assegnato a Ruggero e arduino Berlam, dopo che era stato sciolto il contratto con l’archi-tetto ungherese, conferitogli nel 1905 dalla commissione di studio al termine di una seconda fase del concorso a inviti. il motivo che portò all’esclusione di Matousckhek alla vigilia della presentazione dei disegni al comune per la licenza di costruzione non viene chiarito neppure nella cronaca pubblicata sul «corriere israelitico» il 27 giugno 1912, data dell’inaugurazione del Tempio. Sembra quindi che la pubblicazione su «Der architekt» abbia il sapore di un risarcimento a fronte di un voltafaccia inspiegabile che nell’articolo viene sintetizzato con una nota stringata, nella quale si informa come il risultato di un concorso internazionale sia stato l’assegnazione dell’incarico a un archi-

(58) a. boraleVi, Il ‘Tempio Israelitico’ di Trieste: storia di un concorso, in «Co-munità Religiose di Trieste: contributi di conoscenza», Trieste, 1979, pp. 7-28.

(59) il progetto fu pubblicato su «academy architecture and architectural Re-view», 1905, 1, pp. 138-140.

(60) «Der architekt», XV, 1909, p. 48, tavv. 38-39.(61) «Der architekt», Xi, 1905, tavv. 13-14, pp. 6-7.(62) ivi, tavv. 49-50.(63) «Wiener Bauindustrie Zeitung», XXiX, n. 1, 6.10.1911, pp. 2-4,7, tavv. 3-4.

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tetto locale. Questa parabola ingloriosa è l’altra faccia di una città che appare scissa in due, poiché se il dato tecnico-scientifico viene recepito in tempo reale, il cambiamento in termini estetici e formali ha bisogno di tempi più lunghi e il suo cammino è disseminato di ostacoli. Per quanto riguarda l’an-

emil hoppe, Otto Schönthal, progetto di concorso per la sinagoga a Trieste, 1903 («Der architekt», 1905).

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nullamento del contratto per la realizzazione sinagoga quanto si può dedurre dal resoconto sul giornale, è che l’architetto Matouschek non riuscì a soddi-sfare alcune richieste tecniche, anche se probabilmente ciò che ne decretò l’allontanamento fu un misto di insoddisfazione legata agli aspetti tecnici, ma

alfredo castelliz, progetto di concorso per la sinagoga a Trieste, 1903 («Wiener Bau-industrie Zeitung»).

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anche allo stile dal momento che costituiva uno degli elementi cruciali per la comunità ebraica. Dopo l’emancipazione infatti era determinante individua-re una forma che ne interpretasse l’identità, un fattore reso complicato dal fatto che la «terra promessa» da secoli si trovava sotto il dominio di popoli

Franz Matouschek, progetto per la sinagoga a Trieste («Der architekt», 1909).

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che professavano il credo islamico. nella relazione accompagnatoria del pro-getto per il nuovo Tempio israelitico redatta nel 1870 dall’ingegner Geiringer si trova la condanna dell’uso indiscriminato del «moresco» impiegato in mol-te sinagoghe dell’epoca, dato che le rende simili a moschee «dimodochè ai templi recentemente edificati a Berlino, a Vienna ed a Lipsia, non mancano che le mezzelune sui fastigi, perché s’abbia a ritenerli consacrati al culto maomettano» (64). Talora il moresco è stemperato dall’uso dello stile romani-co o assiro-babilonese ma la nella maggior parte dei casi è presente una remi-niscenza orientalista. i tanti Templi che vengono costruiti in tutti i territori dell’impero asburgico sono quindi il banco di prova anche per gli architetti che intendono affrontare le sfide della modernità, che si trovano a inventare una tradizione e nel contempo proporne una versione innovativa nella quale però deve essere riconoscibile il tema dell’identità, che nel variegato mosaico di popoli dell’impero asburgico era una questione centrale e molto complessa. il fervore che caratterizza l’emancipazione sotto il profilo edilizio si concre-tizza in concorsi, tra i quali quello per la nuova sinagoga sulla Leopoldsadt a Budapest e a Szeged, sempre in ungheria (65); è quindi comprensibile l’inte-resse suscitato dal concorso triestino e anche la qualificata partecipazione stimolata da un tema così attuale. Scorrendo i progetti pubblicati all’epoca riecheggiano le considerazioni espresse da Pudor in merito all’ispirazione biblico-babilonica in campo architettonico, dove le forme cubiche e a gradoni ispirate alla ricostruzione dei templi caldei si intrecciano alle basiliche bizan-tine e alle chiese romaniche, rivelando la propria affinità con le nitide stereo-metrie del linguaggio modernista ma soprattutto con la bidimensionalità del-l’apparato decorativo. il progetto dei Berlam che trae ispirazione «nello stile della Siria mediana» (66) coniuga antico e moderno accostando cupole, rosone, bifore, torrione e merlature a un sistema strutturale che offre soluzioni inno-vative e originali sotto il profilo della sperimentazione. il fascino dei volumi semplici e il profilo dei corpi di fabbrica, rievocano non soltanto l’arte della regione siriana dell’hauran, ma anche l’architettura araba e normanna della Sicilia, riproponendo le diverse fonti d’ispirazione – tra le quali sono compre-si gli altri progetti di concorso – in una sintesi efficace che i critici contempo-ranei apprezzarono definendo il Tempio «originale» (Piero Sticotti (67), cor-

(64) a. boraleVi, op. cit., p. 10.(65) alcuni progetti vengono pubblicati in «Der architekt» del 1899.(66) s. benco, Trieste, op. cit., p. 145.(67) «ne risultò all’esterno un raggruppamento di masse quanto mai pittoresco e

austero per l’imponenza delle altissime pareti, delle cupole, delle porte, dei finestroni a rosa, delle sagome potenti, e nell’interno un’architettura leggera, quasi ariosa di

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nelio Budinis) (68) e «fantasioso» (Benco). Secondo Marco Pozzetto nella scelta dell’ispirazione siriana Ruggero Berlam fu influenzato dalle ricerche effettuate per la tesi che attilio Tamaro stava componendo con Strzygowski sull’architettura romana del Medio Oriente. Di questo interesse per la Siria se ne può trovare una testimonianza nello pseudonimo Baalbek con il quale arduino Berlam firmò alcuni articoli di argomento architettonico pubblicati sul «Palvese» nel 1907 (69). Le scelte di stile rischiano di distrarre l’attenzione da quelle che sono state le scelte costruttive e le tecniche impiegate che abbi-narono, come annotava il resoconto della costruzione, quanto di meglio offri-va la moderna tecnica dei cemento armato e quella antichissima delle costru-

Ruggero e arduino Berlam, la nuova sinagoga per Trieste, 1908-1912 (archivio pri-vato).

nicchie, d’arcate, di gallerie, in mezzo a un fasto di luci e di colori e di ricche decora-zioni in marmi, in rami, in mosaici, in graffiti.» p. sticotti, Commemorazione… op.cit., p. 11.

(68) c. budinis, Ruggero Berlam (1854-1920), estratto dai fascicoli iii e iV di «architettura e arti Decorative», i, 1921, p. 22.

(69) p. sticotti, L’architetto Arduino Berlam, «La Porta Orientale», XXii, nn. 11-12, nov.-dic. 1952, p. 359.

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zioni a volta romane e bizantine. non è un caso che il Tempio abbia sempre incuriosito gli ingegneri che ne hanno apprezzato il carattere sperimentale che rende questo edificio un caso esemplare. Sono realizzate in calcestruzzo armato le gallerie laterali dei matronei quella dell’organo e le coperture, in particolare la struttura di quella principale a detta di aulo Guagnini presenta le caratteristiche più interessanti:

«si tratta, infatti, di uno dei primi esempi in europa di cupole a doppio guscio sottile in calcestruzzo armato […] Per collegare le due calotte sono state realizzate nervature distanti, alla base, circa due metri, per comples-sive ventiquattro travi curve dello spessore di soli 6 cm. Si tratta quindi di una cupola leggera, resistente, dello spessore di 12 cm (quella interna) e di 15 cm (quella esterna), armate con rete di ferro. La soluzione dei progetti-sti ha portato alla realizzazione di una cupola leggera, molto resistente, che non inducesse sforzi di flessione. in corrispondenza della chiave, probabil-mente in corso d‘opera, si è provveduto ad inserire un’apertura circolare vetrata al fine di permettere il passaggio della luce». (70)

Oltre agli aspetti innovativi sotto il profilo strutturale Guagnini sottoli-nea il fatto che il cantiere della sinagoga di Trieste può essere definito un «modello» meritevole di

«entrare nella storia delle costruzioni, non solo per l’originalità e la validi-tà delle proposte architettoniche, delle scelte tecnico-ingegneristiche e per il coraggioso approccio al cemento armato, ma anche e soprattutto per il fatto che un edificio di tali proporzioni è stato realizzato in soli quattro anni». (71)

«Il nuovo teatro all’Acquedotto»e altri palazzi

Viene pubblicato nel dicembre 1907 sul «Palvese» l’articolo di Baalbek-arduino Berlam dedicato all’inaugurazione dell’edificio appena completato in via dell’acquedotto (ora viale XX settembre) su progetto dell’architetto milanese Giuseppe Sommaruga: il palazzo è l’unica architettura realizzata al di fuori della Lombardia inoltre costituisce uno dei pochi esempi di edificio progettato da un architetto italiano di rilevanza nazionale a Trieste, visto che tutte le altre opere del Liberty sono di professionisti attivi in città o provenien-ti da altre località dell’impero asburgico. Ma più che al sentimento di italiani-tà l’arrivo di Sommaruga si può attribuire alle opportunità offerte dal sistema

(70) a. GuaGnini, 1910: un coraggioso approccio al cemento armato. Il caso della Sinagoga di Trieste, in atti del primo convegno di Storia dell’ingegneria, na-poli, vol. pp. 1079-1086.

(71) id., op. cit., p. 1085: dal 6 aprile 1909 al 27 giugno 1912.

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portuale che attira a Trieste imprenditori dinamici come quelli lombardi. in quegli anni opera a Trieste l’esponente di una famiglia per la quale Sommaru-ga ha realizzato diversi progetti, si tratta dell’ingegner Pietro Faccanoni che è socio dell’impresa di costruzioni portuali Faccanoni Galimberti e Piani pre-sente in città dal 1903 e ben conosciuta a Vienna per la costruzione di impor-tanti opere pubbliche. anche il nominativo di Galimberti riconduce all’am-biente lombardo e milanese dei committenti di Sommaruga infatti si tratta dell’impresa che realizzò l’opera più importante dell’architetto, quel palazzo castiglioni (1903) che viene considerato un manifesto del Liberty italiano. La presenza di isidoro Piani è invece tutta triestina e documenta la partecipazio-ne di un professionista molto attivo dove in sinergia con l’ingegner ettore Luzzatto aveva realizzato il palazzo tra via Battisti e via Donizetti, tra i primi esempi del Liberty in città. Le riserve manifestate da Ruggero Berlam nei confronti del nuovo stile sono sostanzialmente condivise dal figlio arduino che però esprime un giudizio positivo nei confronti del palazzo di Sommaru-ga, proprio perché l’architetto è riuscito nelle decorazione floreali a ideare

«un tipo nuovo, non copiato da riviste tedesche, non imposto dall’accade-mismo secessionista, ma liberamente ideato da una fantasia d’artista che attinge direttamente dalla natura le sue ispirazioni. a questo proposito, no-

Giuseppe Sommaruga, progetto per palazzo Viviani Giberti, viale XX settembre, Trie-ste, 1907 (archivio Pianificazione urbana comune di Trieste).

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teremo incidentalmente che va resa grande lode al Sommaruga per aver saputo fare del nuovo senza mettersi nel codazzo degli imitatori d’oltr’al-pe e conservando un organismo statico e solido che mi fa piacere. Qui non si vedono gli archi deformi arieggianti la forma di un pomodoro infracidi-to, qui non si vedono le inevitabili bende che, simili a volgari bretelle, s’allungano stupidamente lungo i pilastri di cemento che fanno i mediocri moderni. Qui invece v’è un organismo logico ed ornato – invece che con gli ornati tramandatici dalla tradizione – da fogliami d’ippocastano e da frutti studiati dal vero, da puttini e donne punto stecchiti, ma reali e, caso-mai, un po’ rubensiani». (72)

in queste valutazioni espresse con competenza di mestiere, il tema dell’identità italiana resta sullo sfondo poiché il rifiuto della cultura architet-tonica «d’oltralpe» è fondato sulla scarsa qualità espressa dagli imitatori, mentre tra i fattori positivi del palazzo di Sommaruga vi è la decorazione ispirata al mondo della natura e la sua qualità monumentale espressa in ma-niera corretta dalle strutture portanti che sono massicce poiché devono soste-nere «il forte blocco rossastro». arduino Berlam conosce bene le possibilità offerte dalle nuove tecniche che impiegano il calcestruzzo armato e consen-tono di assottigliare pareti e piedritti, ma la sua scelta in termini di linguaggio espressivo predilige la forma tradizionale della costruzione in muratura dove da secoli le leggi della statica vincolano a forme che sono coerenti con i ma-teriali e le tecniche impiegate. il palazzo di Sommaruga

«coronato da un cornicione e da un attico di linee larghe e maestose posa, oltreché sulle spalle delle cariatidi, su pilastroni in muratura alternante i corsi d’arenaria a bozze con altri di pietra bianca – artificiale, ma molto ben fatta – che piantano bene e danno uno zoccolo conforme all’imponen-za delle murature soprastanti». (73)

anche se le nuove tecniche consentono soluzioni diverse come quelle applicate nelle Miethaus dove la zona basamentale risulta svuotata per fare posto alle ampie vetrine dei negozi, il paradosso statico che ne consegue ri-sulta, secondo arduino, sconveniente in termini estetici soprattutto negli esterni, mentre per l’interno valgono considerazioni differenti. anzi nella de-scrizione della sala del teatro viene particolarmente apprezzata la mancanza di colonne e sostegni per la galleria dato che la loro presenza avrebbe distur-bato la vista del palcoscenico, facendo «inviperire» gli spettatori. in questo caso l’ossatura in cemento armato realizzata dalla ditta Weiss e Westermann di Graz offre una soluzione ideale al problema della visibilità dato che «tutto

(72) baalbek, Il nuovo teatro all’Acquedotto, «il Palvese», i, n. 51, 23.12.1907.(73) ibidem.

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sta sospeso per propria forza e le tratte, ossieno gli oggetti [aggetti, n.d.r.], sono pertanto molto forti e vengono caricati da un notevole sopracarico». il commento di Berlam contiene seppure in modo più articolato le stesse riserve espresse da Benco che per liberarsi dall’incubo architettonico del detestato Liberty auspicava era di passeggiare lungo una via dove poter vedere «un’umile fila d’arcate d’un altro tempo, semplici, coerenti, logiche e gravi-tanti in perfetto equilibrio» (74). L’architetto e il critico più che essere ascritti al partito dei fautori della tradizione mettono a fuoco un tema cruciale nel dibattito dell’architettura modernista, nella quale i nuovi materiali svolgono un ruolo sempre più rilevante: il problema è quello dell’evoluzione delle for-me a seguito delle innovazioni tecniche, un problema che Gottfried Semper aveva affrontato nel 1849 nell’ambito dell’articolo Der Wintergarten zu Pa-

il cinema teatro di palazzo Viviani Giberti (archivio privato Trieste).

(74) Falco, Ozi estivi, op. cit.

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Le due cariatidi poste ai lati dell’ingresso al cinema-teatro di palazzo Viviani Giberti realizzate da ambrogio Pirovano (civici Musei di Storia e arte di Trieste).

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ris dove manifestava le sue perplessità riguardo l’impiego del ferro nell’ar-chitettura, infatti

«il ferro o altro materiale tenace viene prodotto in parte in sottili barre, in parte in fili. a causa della limitata superficie che queste offrono, esse si sottraggono alla vista, tanto di più di quanto più grande è l’edificio; e poi-ché l’effetto di un edificio viene afferrato tramite l’occhio, il materiale scarsamente visibile non permette di valutare esattamente l’effetto delle masse, ma solo quello delle superfici». (75)

in questo rifiuto dell’architettura in ferro Pozzetto intravede la difficoltà di «accettare presupposti effettivamente nuovi di carattere formale come bar-re e superfici in luogo delle masse con tutti i corollari di carattere psicologico, filosofico, estetico e di conseguenza anche operativo». a distanza di cin-quant’anni dalle considerazioni di Semper permangono alcune delle motiva-zioni di fondo che impediscono ai nuovi materiali di essere impiegati in piena coerenza, in particolare quando si tratta edifici a uso pubblico e monumentali, mentre l’architettura industriale, dei servizi, le nuove tipologie edilizie offro-no meno vincoli consentendo un margine di manovra più ampio.

L’aggettivo «rubensiano» che Berlam conia per i puttini che reggono il balconcino al primo piano e le due cariatidi che troneggiano all’ingresso del-la sala teatrale (poi diventata cinema eden) è calzante in quanto disegna un gusto per l’opulenza e le forme compiutamente tridimensionali che non ha riscontri a Trieste, tanto da diventare in seguito un modello di riferimento, in particolare negli edifici di via Tigor realizzati da Giovanni Maria Mosco (1906-1909). contrariamente a quanto accaduto a Milano dove le due figure femminili discinte opera di cesare Bazzaro vennero fatte togliere dall’ingres-so di palazzo castiglioni per motivi di «decenza», a Trieste i due committen-ti-costruttori, gli ingegneri cesare Viviani e arturo Giberti, erano «fortunata-mente privi di quei preconcetti di falsa morale», così l’architetto «poté deco-rare in pace la sua facciata» (76). L’opulenza dell’apparato decorativo e figu-rativo è caratteristica dell’architettura di Sommaruga che nella accentuazione del senso plastico rivela una «simpatia» per il barocco che era stata riscontra-ta da camillo Boito nel progetto del palazzo milanese, ma da allora avrebbe costituito la cifra caratteristica dell’architetto. La realizzazione degli ornati a Trieste fu affidata a ambrogio Pirovano, storico collaboratore di Sommaruga a Milano, che la realizzò in pietra artificiale, un materiale nuovo che però non

(75) M. pozzetto, Contributi filosofici di Gottfried Semper e il linguaggio della Mitteleuropa, in La Mitteleuropa nel tempo, atti dell’Viii convegno internazionale icM Gorizia 1973, Gorizia 1981, pp. 93-98.

(76) baalbek, op. cit.

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suscitò critiche grazie anche alla grande qualità di esecuzione. il 1907 si chiu-de anche con un’altra importante novità, a Vienna viene emanata la legge che regola le costruzioni in calcestruzzo armato e obbliga a presentare i disegni e i calcoli statici utilizzati: il nuovo materiale ora è regolamentato e entra nella pratica comune del costruire.

Ringraziamenti: a Gino Pavan, Alida e Paolo Cartagine, Giulia Cosolini, Diana De Rosa, Adriano Dugulin (Civici Musei di Storia e Arte di Trieste), Oreste Fella (Archivio Pianificazione urbana comune di Trieste) Andrea Gambardella, Aulo Gua-gnini, Federico Piovesan, Roberto Scrignari (biblioteca Civici Musei di Storia e Arte di Trieste), Paola Ugolini (Archivio Generale comune di Trieste). Infine un affettuoso ricordo di Marco Pozzetto.

ambrogio Pirovano, angelo reggibalconcino sulla facciata di palazzo Viviani Giberti, 1907 (foto alida cartagine).