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NUOVA SERIE Rivista del Dipartimento di Scienze dell’antichità Sezione di Archeologia classica, etrusco-italica, cristiana e medioevale Fondatore: GIULIO Q. GIGLIOLI Direzione Scientifica MARIA PAOLA BAGLIONE, GILDA BARTOLONI, LUCIANA DRAGO, ENZO LIPPOLIS, LAURA MICHETTI, GLORIA OLCESE, DOMENICO PALOMBI, MARIA GRAZIA PICOZZI, FRANCA TAGLIETTI Direttore responsabile: GILDA BARTOLONI Redazione: FRANCA TAGLIETTI, FABRIZIO SANTI Vol. LXIV - n.s. II, 3 2013 «L’ERMA» di BRETSCHNEIDER - ROMA

Recensione a La gestión de los residuos urbanos en Hispania. Xavier Dupré Raventos (1956-2006) In memoriam, a cura di Josep Anton Remolà Vallverdù e Jesús Acero Pérez, Anejos

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nuova serie

Rivista del Dipartimento di Scienze dell’antichità

Sezione di Archeologia classica, etrusco-italica, cristiana e medioevale

Fondatore: giulio q. giglioli

Direzione Scientifica

maria paola baglione, gilda bartoloni, luciana drago, enzo lippolis, laura michetti, gloria olcese,

domenico palombi, maria grazia picozzi, franca taglietti

Direttore responsabile: gilda bartoloni

Redazione:franca taglietti, fabrizio santi

Vol. LXIV - n.s. II, 32013

«L’ERMA» di BRETSCHNEIDER - ROMA

ISBN ISBN CARTACEO 978-88-913-0479-7ISBN DIGITALE 978-88-913-0475-9

ISSN 0391-8165

© COPYRIGHT 2013 - SAPIENZA UNIVERSITà DI ROMAAut. del Trib. di Roma n. 104 del 4 aprile 2011

Volume stampato con contributo della Sapienza Università di Roma

Archeologia classica : rivista dell’Istituto di archeologia dell’Università di Roma. - Vol. 1 (1949)- . - Roma : Istituto di archeologia, 1949- . - Ill. ; 24 cm. - Annuale. - Il complemento del titolo varia. - Dal 1972: Roma: «L’ERMA» di Bretschneider. ISSN 0391-8165 (1989)

CDD 20. 930.l’05

Comitato Scientifico

pierre gros, sybille haynes, tonio hölscher, mette moltesen, stephan verger

Il Periodico adotta un sistema di Peer-Review

p. 51

» 371» 223

» 295

» 349

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» 7

» 169

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» 483» 719» 609

INDICE DEL VOLUME LXIV

articoli

arizza m., de cristofaro a., piergrossi a., rossi d., La tomba di un ari-stocratico naukleros dall’agro veientano. Il kantharos con scena di naviga-zione di via A. d’Avack ...................................................................................

baldassarri p., Alla ricerca del tempio perduto: indagini archeologiche a Palazzo Valentini e il templum divi Traiani et divae Plotinae ........................

dionisio a., Caratteri dei culti femminili a Corfinio ...........................................domingo J.Á., mar r., pensabene p., El complejo arquitectónico del templo

del Divo Claudio en el monte Celio de Roma.................................................gregori g.l., Il ‘sepolcreto’ di militari lungo la via Flaminia. Nuove stele dal

V-VI miglio .....................................................................................................marcattili f., Templum Castorum et Minervae (Chron. 354, p. 146 M). Il tem-

pio di Minerva ad Assisi ed il culto romano dei Dioscuri ...............................ortalli J., Strutture pubbliche e luoghi della politica alle origini della città. Un

‘Campo Marzio’ nella Felsina villanoviana? ..................................................pacilio g., montanaro a.c., La ‘Tomba dei capitelli ionici’ di Tiati. San

Paolo di Civitate (FG) .....................................................................................palombi d., Receptaculum omnium purgamentorum urbis (liv. 1, 56, 2).

Cloaca Massima e storia urbana .....................................................................

NOTE E DISCUSSIONI

ambrosini l., Una nuova kylix del pittore di Meidias da Cerveteri nella tecnica a figure rosse e a fondo bianco ........................................................................

carafa p., bruno d., Il Palatino messo a punto ................................................corda i., Salvadanai fittili di età romana e sacra privata: riflessioni preliminari ......

indice del volume lxiv

p. 657» 521

» 591

» 677» 583

» 557» 637

» 545

» 800

» 793» 787

» 807

costantini a., Il reimpiego delle anfore tardo antiche. Considerazioni sulle sepolture ad enchytrismòs in Toscana .............................................................

giletti f., L’Acropoli di Taranto: un contributo preliminare sulle nuove ricerche ....leotta m.c., cancellieri m., Ceramiche a ‘tiratura limitata’: due esemplari

da Privernum ...................................................................................................lorenzatti s., De Benghazi à Versailles: histoire et réception d’une statue entre

XVIIe et XXe siècles ........................................................................................marengo s.m., taborelli l., A proposito dei Peticii e il commercio orientale ....pensabene p., gallocchio e., Alcuni interrogativi sul complesso augusteo

palatino ............................................................................................................tortorella s., Archi di Costantino a Roma ......................................................vallarino g., Instrumentum publicum e democrazia a Taranto: rilettura di

un’iscrizione vascolare ....................................................................................

RECENSIONI E SEGNALAZIONI

anguissola a., ‘Difficillima Imitatio’. Immagine e lessico delle copie tra Grecia e Roma (M.E. micheli) .....................................................................................

remolà vallverdù J.a., acero pérez J., (a cura di), La gestión de los residuos urbanos en Hispania. Xavier Dupré Raventos (1956-2006) In memoriam (D. manacorda) ...............................................................................................

vismara c., (a cura di), Uchi Maius 3. I Frantoi. Miscellanea (a. leone) .......

Pubblicazioni ricevute ............................................................................................

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classi ceramiche tra cui le vernici nere, le sigillate africane, le lucerne e materiali diversi, tra cui i vetri.

Le pagine conclusive presentano anche una completa ed esaustiva analisi dei dati disponibili per valutare la presenza di presse e frantoi nella regione circostante l’abitato di Uchi Maius, al fine di poter stimare il popolamento della regione. Sebbene le numero-se ricognizioni nel territorio rurale della Tunisia forniscano dati disomogenei, i territori di Cartagine, di Segermes e della vicina Dougga indicano un intensificarsi dell’occupa-zione rurale a partire dalla fine del IV secolo, con continuità, o limitata diminuzione, in età vandala24 ma con un crollo definitivo alla fine del VII secolo (p. 486)25. Allargando quindi lo spettro dell’analisi ad un più vasto territorio, non solo le diverse surveys sem-brano fornire, grosso modo, la stessa scansione delle fasi cronologiche ma anche della organizzazione degli abitati urbani, dove si registra un generale aumento di abitazioni connesse con attività produttive (come nel caso della zona del porto di Cartagine)26 pro-prio a partire nel V e poi di nuovo nel VII secolo e senza soluzione di continuità alme-no fino al IX-X secolo. Tali problematiche sono ancora lontane dall’essere pienamente chiarite ma questo volume fornisce dati stratigrafici qualitativi e quantitativi di enorme importanza per la conoscenza del Nord Africa post-classico e altomedioevale.

anna leone

Josep anton remolà VallVerdù, Jesús acero pérez (a cura di), La gestión de los residuos urbanos en Hispania. Xavier Dupré Raventos (1956-2006) In memoriam, Anejos de Archivo Español de Arqueología LX, Instituto de Arqueología de Mérida, Mérida 2011, pp. 418, 285 ill. n. t.

L’archeologia – scrive Bruce Trigger – è necessariamente in primo luogo una scien-za della spazzatura1. Sporcarci le mani scendendo nelle tombe e negli immondezzai, come ci ha insegnato da tempo la paletnologia, è d’altra parte il nostro destino. Per gli archeologi del mondo antico è certamente più facile andare a cercare i rifiuti nelle città moribonde, dove le aree abbandonate svolgevano il duplice compito di precari cimiteri e di immondezzai a cielo aperto. Con il corollario che negli agglomerati umani dell’anti-chità quanto migliore ed efficiente era l’organizzazione civica dello smaltimento, tanto minore è per noi la possibilità di mettere le mani nella loro spazzatura. Ma questo non

cirelli, «Leptis Magna in età islamica: fonti scritte e archeologiche», in Archeologia Medievale XXVIII, 2001, pp. 423-440, in part. p. 430).

24 a. leone, «Vandal, Byzantine and Arab Rural Landscapes in North Africa», in N. christie, Landsca-pes of Change: Rural Evolutions in Late Antiquity and the Early Middle Ages, Aldershot 2004, pp. 135-162, in part. pp. 143-144.

25 Si veda anche il recente volume R. attoui, When did Antiquity End? Archaeological Case studies in three continents (BAR Int Series 2268), Oxford 2011.

26 Leone 2007, pp. 178-181.

1 B. trigger, Storia del pensiero archeologico, Firenze 1996, p. 388.

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vuole dire che non possa accadere: anzi, accade sempre di più, perché gli immondezzai, da ammassi amorfi di terreno sentiti come ostacoli al disvelamento delle strutture sepolte sotto di loro, sono sempre più riconosciuti e ricercati come oggetti primari della ricerca archeologica. Il volume che presentiamo in queste pagine ce ne dà una ottima e diretta testimonianza.

L’opera, che si apre con una premessa di Pedro Mateos Cruz ed una introduzione dei curatori, è molto ampia e si articola in tre parti distinte e tra loro collegate: la prima è composta da due saggi di carattere generale sulla gestione dei residui urbani in cui vengono messe in rapporto le fonti storiche e quelle archeologiche; la seconda è for-mata da tre sezioni nelle quali vengono dettagliatamente esposte le situazioni di quat-tordici centri urbani della Spagna romana articolati secondo la geografia amministrati-va imperiale delle province Baetica (Astigi, Baelo Claudia, Carmo, Corduba e Italica), Lusitania (Augusta Emerita, Conimbriga e Olisipo) e Tarraconensis (Baetulo, Barcino, Caesaraugusta, Carthago Nova, Lucus Augusti e Valentia); la terza è costituita da tre casi specifici di studio (Merida, Legio e Caesaraugusta).

Il volume ha radici salde e profonde, perché si collega direttamente all’iniziativa cui diede vita, ormai più di quindici anni fa, l’indimenticato amico e collega Xavier Dupré (al cui ricordo il libro è dedicato), quando raccolse intorno al tavolo archeologi e storici chiamati a riflettere su di un tema allora di frontiera, quello del trattamento delle sordes Urbis2. A pochi anni di distanza quella intuizione pionieristica, ma di lunga prospettiva, ha permesso che questo tema conquistasse un posto di assoluta centralità negli studi sull’urba-nesimo, non solo antico, e nell’approccio di lunga durata proprio dell’archeologia urbana. Dopo Roma (1996) l’interesse sull’argomento è stato tenuto vivo da un incontro organiz-zato dall’Università di Poitiers nel 20023. In Spagna – sull’onda del primo impulso dato da Dupré – il terreno è stato particolarmente fertile, anche grazie ad alcune tesi dottorali sul trattamento dei rifiuti di Tarragona, Cordoba e Merida, quest’ultima condotta, sotto la gui-da di Josep Anton Remolà, da Jesús Acero Pérez, cui dobbiamo l’organizzazione dell’in-contro tenuto a Merida il 26-27 novembre 2009, di cui il volume pubblica ora gli atti.

Contemporaneamente uscivano uno studio specifico sui residui solidi delle condut-ture delle latrine di Pompei4 e più di recente gli atti di un colloquio tenutosi presso la British School at Rome nel 20075, mentre a Roma stessa il panorama si arricchiva della pronta ed eccellente edizione, curata da Fedora Filippi, di uno scavo condotto nel 2003-2005 alle pendici del Gianicolo in occasione della costruzione di un garage sotterraneo in via G. Sacchi6. Venne allora rinvenuta una mole davvero ingente di reperti (l’inven-tario ne registra 36324), pertinenti ad un immenso scarico di rifiuti, che si decise di sca-

2 Sordes Urbis. La eliminación de residuos en la ciudad romana (Roma 1996), a cura di X. dupré raVentos e J.-A. remolà, Roma 2000.

3 Gli atti dell’incontro sono editi nell’importante volume curato da p. Ballet, p. cordier e n. dieu-donné-glad, La ville et ses déchets dans le monde romain: rebuts et recyclages, Montagnac 2003.

4 B. hoBson, Pompeii, Latrines and Down Pipes. A Discussion and Photographic Record of Toilet Faci-lities in Pompeii, BAR S 2041, Oxford 2009.

5 m. Bradley (a cura di), Rome, Pollution and Propriety: Dirt, Disease and Hygiene in the Eternal City from Antiquity to Modernity, Cambridge 2012.

6 F. Filippi (a cura di), Horti et sordes. Uno scavo alle falde del Gianicolo, Roma 2008.

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vare analiticamente: scavare con qualità la quantità ripaga infatti ampiamente in termini scientifici delle risorse impiegate nella ricerca7. D’altra parte l’ottica propria dell’archeo-logia del paesaggio urbano, con la sua capacità di ricontestualizzare e ridefinire i singoli frammenti di città in una visione unitaria e dinamica, che dal particolare sale alla forma urbana e alle modalità del suo uso, è alla base di uno dei passaggi-chiave della nostra disciplina, che trasforma ciò che è topograficamente rilevabile per posizione, dimensio-ne, tipologia edilizia o architettonica in storia archeologica della città e dei suoi abitanti.

La bibliografia specifica sul tema dello smaltimento dei rifiuti urbani è notoriamente molto scarsa, non solo per la penisola iberica. Questo vuoto si sta tuttavia riempiendo rapidamente e – quel che più conta – si sta riempiendo bene. Le nostre fonti di informa-zione sono ancora disperse e frammentarie, è vero, ma sempre più chiare sono le doman-de – su cui si sofferma Remolà introducendo il volume – che ci poniamo in sede sia storica che archeologica, con maggiore lucidità e cognizione di causa: come era orga-nizzata la gestione dei rifiuti liquidi e solidi? chi ne aveva la responsabilità? esistevano procedure amministrative comuni e condivise fra le diverse città? come si integravano i comportamenti pubblici con quelli privati? c’è una evoluzione delle tecniche e delle procedure nel corso dell’impero? che relazioni ci sono tra l’accrescimento dei livelli del suolo nelle città tardoantiche e le condizioni in cui avveniva in quell’epoca lo smalti-mento dei rifiuti? c’è un trend comune che accompagna lo spostamento delle discari-che dalle aree extraurbane e quelle intramuranee? Ma anche: quando possiamo parlare di immondezzaio/discarica e non di un semplice strato di riempimento o di livellamento? esiste una tipologia delle discariche? come funzionava un immondezzaio? quanto dura-va? quali sono le sue dimensioni? esisteva una selezione dei rifiuti? E ancora: di chi era il terreno utilizzato per la discarica? chi aveva diritto ad usarla? come si inseriva nel pae-saggio urbano, come lo ha modificato? quali informazioni socioeconomiche può dare?

Potremmo continuare, ma sarà meglio dire sin d’ora che alcune di queste doman-de cominciano ad avere risposte meno approssimative grazie al grande lavoro analitico condotto dai colleghi spagnoli e portoghesi nelle aree esaminate in questo volume, che si sofferma programmaticamente e condivisibilmente su uno dei due aspetti fondamentali del tema, cioè lo studio dei modelli di gestione dei residui, lasciando in secondo piano l’interpretazione socioeconomica dei materiali contenuti negli immondezzai, che gode peraltro di una più consolidata tradizione di studi.

La struttura della seconda parte del volume, articolata per centri urbani, presenta e discute quanto oggi sappiamo del trattamento dei residui liquidi, con prevalente atten-zione al sistema fognante, e dei rifiuti solidi. Si tratta di due ambiti di indagine concet-tualmente affini, ma assai diversi per l’approccio archeologico e le relative implicazioni. Le acque scorrono e portano via sé stesse e tutto ciò che in esse si versa; i rifiuti solidi stanno lì dove sono stati gettati dai singoli individui o da personale appositamente prepo-sto al compito. Nel primo caso occorrono infrastrutture edilizie, a volte anche comples-se, anche a scala urbana, durature e archeologicamente assai rilevanti; nel secondo caso occorre, al contrario, una organizzazione di lavoro umano materialmente più sfuggente.

7 Lo spessore del deposito (quasi 3 metri) e la sua durata (circa un secolo) ha fatto escludere che si trat-tasse di un fenomeno spontaneo e limitato nel tempo: la sola discarica di età antonina ha comportato l’esame di circa 1500 mc di terreno.

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Il primo caso lascia tracce archeologiche stabili tendenzialmente prive dei loro contenuti effimeri; il secondo caso lascia il contenuto in sé, mentre le tracce archeologiche delle procedure ad esso correlate sono per lo più negative o evanescenti. Il primo ambito, che vanta una lunga tradizione di studi, è affrontato però nel volume dal punto di vista non solo delle tecniche edilizie che lo accompagnano, ma anche delle finalità per cui le infra-strutture sono apprestate. Il secondo rappresenta invece una delle nuove frontiere della storia urbana, inaugurate dalla intuizione di Xavier Dupré, e costituisce dunque – senza nulla togliere alla importanza degli studi sulle cloache – l’elemento di maggiore novità del lavoro.

Il primo saggio introduttivo8 ci aiuta ad inquadrare l’argomento in una prospettiva storica e geografica più ampia. L’igiene e lo smaltimento dei rifiuti sono problemi che investono qualunque concentrazione umana, determinando i comportamenti individuali e sociali e le conseguenti scelte politico-amministrative. Lo sviluppo economico produce inevitabilmente un maggior volume di rifiuti, ma la crescita urbana si accompagna anche in genere ad una maggiore capacità organizzativa da parte delle comunità. Il riferimen-to ampio e diversificato a fonti scritte di diversa natura ed epoca non toglie la consa-pevolezza della necessità dell’approccio archeologico per gli aspetti che riguardano la topografia delle discariche in relazione al tessuto urbano, la qualità dei loro componenti (domestici/industriali), la loro cronologia in relazione con il diverso ruolo via via assunto da attori pubblici e privati.

Il secondo saggio9 avvicina la lente al tema che qui più ci riguarda, ponendo l’ac-cento sull’importanza delle scelte insediative urbane in riferimento allo smaltimento dei rifiuti, ma anche sul ruolo fondamentale che ha giocato in tal senso l’attitudine, propria di tutte le comunità urbane premoderne, non solo a produrre assai minor quantità di rifiuti rispetto al mondo contemporaneo, ma ad aver un altissimo tasso di riciclaggio: un tema, questo, che potrebbe essere al centro di un possibile futuro colloquio che appro-fondisca ed estenda il campo di ricerche avviato nel 1996.

È forse inutile ricordare in questa sede quanto sia importante, sul piano storico complessivo, poter valutare il rapporto tra la pratica dello scarto e quella del riciclag-gio, fenomeno caratteristico che illumina, più che su dubbie forme di coscienza ecologi-ca, sul valore economico degli scarti nelle economie non consumistiche. Esiste, infatti, nelle civiltà antiche come nelle moderne, sia pure in forme radicalmente diverse, una ‘economia dell’immondizia’, che ci costringe a misurarci con il problema della rappre-sentatività degli immondezzai (pensiamo alle riflessioni generate dal celebre Garbage project degli anni ’70). Anche perché il tema dello scarto, o del rifiuto, non è separato dal tema del ‘perduto’. Le modalità che presiedono alla perdita di funzione degli oggetti sono infatti molto diverse10. Lo scarto – ciò che si vuole perdere, che si butta perché non più rispondente alle esigenze materiali e culturali del suo uso – corrisponde alla stragran-de maggioranza dei reperti archeologici. Ma c’è anche quel che si perde e non si sarebbe voluto perdere; quel che si perde e si accetta di perdere; quel che si accetta di perde-re temporaneamente, e che si nasconde (il tesoro). Tra le immondizie possono dunque

8 c. carreras monFort, «Urbanismo y eliminación de residuos urbanos», pp. 17-26.9 J.F. rodríguez neila, «Problemas medioambientales urbanos en el mundo romano», pp. 27-49.10 d. manacorda, Lezioni di archeologia, Roma-Bari 2008, pp. 133-139.

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confluire i risultati di azioni e volontà umane molto diverse, che squarciano un univer-so di umanità e richiamano la nostra attenzione sul fatto che a volte le assenze parlano più delle presenze. Le macerie dell’edilizia non sono una componente onnipresente negli immondezzai. Quanto incide su questo dato il fatto che l’immensa mole di macerie edili-zie quotidianamente prodotta nelle città venisse in gran parte riusata, ad esempio, per la manutenzione delle strade?

Alcune di queste domande circolano nei tanti contributi presenti nel volume, che natu-ralmente non possiamo ripercorrere dettagliatamente. Dall’analisi di siti con collocazione geografica, vicende storiche e urbanistiche anche assai diverse emergono tuttavia alcune linee di fondo, lette alla luce di quelle variabili geologiche, idrologiche, topografiche, cli-matiche che fanno di ogni caso un caso a sé, ma in un contesto che permette di evidenziare un quadro comune, o almeno quella che i curatori del volume definiscono come “una filo-sofia comune” rispetto alla eliminazione dei rifiuti11. La presenza di reti di canalizzazioni urbane, di discariche pubbliche fuori del perimetro delle mura, di una legislazione munici-pale che regola i meccanismi e individua i responsabili parlano in favore della presenza di una gestione organizzata del trattamento dei rifiuti che va al di là delle condizioni specifi-che dei singoli siti (quali la morfologia dei luoghi che sfruttano le pendenze per l’evacua-zione delle acque residue o la presenza di fiumi o coste marine per forme più speditive di eliminazione dei rifiuti solidi: è il caso, ad esempio, di Corduba o di Barcino12).

Quel che emerge da un’analisi comparativa delle molte città ispano-romane duran-te tutta l’età alto imperiale è la pratica di scaricare i residui solidi generalmente fuori delle mura, ma vicino ad esse. È impressionante, sotto questo profilo, il caso di Baelo Claudia13, che ci propone una delle più evidenti testimonianze di discarica extramuranea cresciuta immediatamente a ridosso delle mura urbiche tra la metà del I secolo d.C. e l’inizio del successivo. Il suo sviluppo su un fronte di oltre cento metri, la sua superfi-cie di quasi 500 mq, il suo volume per un peso di rifiuti smaltiti calcolabile attorno a 1500/2000 tonnellate ci danno l’immagine concreta (archeologica) di un fenomeno che possiamo riprodurre con la mente in molti altri analoghi siti urbani.

Queste grandi discariche occupano a volte alcune depressioni naturali del terreno, contribuendo così a modificare la morfologia urbana (è il caso rilevante di Carmo, dove ben tre depressioni sono convertite in discariche), oppure invasi prodotti da precedenti attività di scavo, prevalentemente connesse con la coltivazione di cave di argilla per l’in-dustria ceramica, a sua volta dislocata al di fuori dell’abitato (è ancora il caso di Carmo, ma anche, ad esempio, di Barcino).

Queste discariche possono presentarsi ora più ora meno specializzate, ma il carattere misto dei rifiuti sembra di gran lunga prevalente. Quella di Porta Carteia a Baelo rac-coglie in sé materiali di origine domestica o commerciale, edilizia e artigianale (attività metallurgiche, tessili, della pesca, di carpenteria…). La scarsa presenza di materiali orga-nici fa sospettare che l’umido venisse gettato in altri luoghi, forse più lontani dal tessuto cittadino, per evitare miasmi e rischi di infezioni.

11 J.a. remolà VallVerdù, J. acero pérez, «Conclusiones», p. 383.12 Illustrati rispettivamente da J. sánchez Velasco e da J. Beltrán de heredia Bercero, c. car-

reras monFort.13 Illustrato da un’équipe coordinata da d. Bernal casasola e a. aréValo gonzález.

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La natura delle discariche può talora rivelare le grandi categorie degli smaltimenti urbani e indirizzarne le relative analisi archeologiche: quelle di un’archeologia del con-sumo, che ha a che fare con i cibi, gli escrementi, i mezzi di sussistenza, gli oggetti del vivere quotidiano…, quelle di un’archeologia della produzione, che si misura con i resti e gli scarti del facere, e di un’archeologia delle attività dell’edilizia, che maneggia le tracce del fabricare14. Nel citato immondezzaio romano del Gianicolo i materiali edilizi mancano del tutto o quasi; l’abbondante presenza di calce pura, stesa in lenti sparse sulla superficie (esito archeologico delle palate), è stata giustamente letta15 come la traccia di ricorrenti attività di disinfezione condotte per motivi igienici, che vanno spiegati con la presenza nella discarica di abbondanti rifiuti organici (letami, pellami, carogne).

Questo genere di rifiuti sono abitualmente bruciati in situ attraverso una combustio-ne lenta e profonda, tipica degli immondezzai di lunga vita e decente gestione, che fa sparire i materiali deperibili, ma non, ad esempio, i metalli. Quando questi ultimi vengo-no a mancare c’è da domandarsi se ci sia stata una selezione a monte (esclusi dallo scari-co) o a valle (recuperati nello scarico). Il metodo regressivo, che ci fa chiedere lumi alle fonti più tarde – se non per ricevere risposte, almeno per proporre domande più precise – ci dice che nella Roma del ‘600 vigeva una tassa specifica pagata dagli appaltatori per la privativa della ricerca degli oggetti di metallo nelle immondizie cittadine16.

Lo stato molto frammentato dei reperti presenti nella discarica di Baelo apre la domanda se gli accumuli debbano essere considerati primari o non piuttosto il risulta-to della raccolta di più accumuli presenti in città convogliati poi in un’unica sede, evi-dentemente a cura di un servizio organizzato di smaltimento di assai probabile carattere pubblico. Lo dimostrano le tracce di attività di mantenimento della discarica17, abilmen-te interpretate nello scavo, anche se resta impregiudicato se lo sversamento avveniva dall’alto delle mura o piuttosto – come sembra preferibile – attraverso la via pubblica che usciva dalla porta.

Dal punto di vista stratigrafico questo tipo di discariche possono essere considerate, in quanto tali, come insiemi in giacitura primaria; ma dal punto di vista che definirei pro-cessuale siamo in linea di principio in presenza di una seconda giacitura, dovendosi rico-struire un passaggio dal primo accumulo (quello domestico o artigianale, non pervenu-to) ad un secondo e definitivo (lo scarico nel luogo collettivo). Non è una discussione di lana caprina, perché se è vero che in linea di massima possiamo ipotizzare una sostanziale somiglianza tra ciò che veniva scartato sul luogo del consumo e ciò che giungeva effetti-vamente in discarica, qualche differenza potremmo postularla, ad esempio, nel caso degli scarti produttivi, come è apparso chiaro nella discarica romana del Gianicolo, in particola-re a proposito degli scarti di lavorazione dell’osso (aghi e spilloni danneggiati o non fini-ti, spatole, stili, decorazioni di mobili, pomici18). Tutto questo materiale permette infatti di ricostruire gli stadi della lavorazione prima dello scarto e propone interrogativi sulle

14 d. manacorda, «Sui «mondezzari» di Roma tra antichità e età moderna», in Sordes Urbis 2000, p. 72.15 F. Filippi, «Una grande discarica di età antonina», in Horti et sordes 2008, p. 86.16 F.s. palermo, Monsignore Illustrissimo. Antichi mondezzai nelle strade romane, Roma 1980, p. 32.17 Peraltro osservate anche a Merida: J. heras mora, m. Bustamante álVarez, a.B. olmedo gra-

gera, «El vertedero del suburbio norte de Augusta Emerita», p. 352.18 m.t. moroni, «L’Instrumentum in osso e metallo», in Horti et sordes 2008, pp. 390-391.

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modalità di quello scarto in officina, cioè su di una eventuale prima selezione dei materia-li o, al contrario, sulla perdita casuale di oggetti fra i materiali dello scarto primario.

A Carthago Nova nessuna discarica intramuranea viene allestita nel periodo alto imperiale. Le ragioni sanitarie, ideologiche, religiose, politiche ed estetiche addot-te a giustificazione del fenomeno dovettero valere anche per gli altri centri urbani (il che non vuol dire che in alcuni casi, come a Baetulo, non sia possibile imbattersi tra I e II secolo in discariche intramuranee di natura privata in ambienti abbandonati). In generale sembra infatti che la situazione cominci a cambiare già nel corso della pri-ma metà del II secolo, quando (il caso è discusso per Carthago Nova, ma può essere generalizzato almeno come problematica) un incremento delle discariche all’interno della città viene testimoniato da una distribuzione capillare di immondezzai che sor-gono in modo puntiforme all’interno di orti e giardini, sulla superficie del suolo o in fosse appositamente scavate o riutilizzate. Il fenomeno rilevabile archeologicamente della proliferazione dei loci sordentes vicino alle case può riflettere l’indebolimento dell’intervento pubblico parallelamente ad un più progressivo collasso delle infrastrut-ture sanitarie urbane, che si fa più rapido ed evidente nel corso del III secolo (d’altra parte la storia delle Terme del Nuotatore di Ostia, che nel secondo quarto del III secolo si trasformano in un primo ricettacolo delle immondizie del vicino quartiere, dimostra che il fenomeno del degrado urbano è notoriamente diffuso ben al di là delle province d’Occidente).

Il collasso delle reti idriche e la proliferazione degli immondezzai dentro l’area urba-na divengono, sia pur con forme e ritmi differenti, alcune delle caratteristiche dello sce-nario urbano tardoantico, quando la presenza di scarichi immani e pervasivi di rifiuti e detriti indica drammaticamente la fine di un’epoca. Le città della Spagna non si sottrag-gono a questo destino, puntualmente documentato in aree private e pubbliche, come, ad esempio, a Corduba, dove alcuni edifici emblematici della città vengono abbandonati e convertiti in giganteschi immondezzai. Ma il fenomeno è più articolato di quanto possia-mo pensare, se ad Astigi19 la quota del suolo urbano non sembra crescere addirittura fino all’epoca andalusa e se a Merida – forse per la sua funzione di capitale – le discariche in città sembrano avviarsi soltanto nel V secolo, insieme con il fenomeno delle tombe intra-muranee20.

Quello delle sepolture è un fenomeno diverso dalle discariche, anche per le sue mag-giori implicazioni culturali, ma in fondo consustanziale ad esse, visto che le fonti non sono avare di notizie circa l’usanza di abbandonare alla massa putrescente dei grandi immondezzai pubblici anche i cadaveri degli emarginati raccolti per le strade, per non parlare dei corpi dei giustiziati21. Nulla di strano dunque se a Baelo Claudia i frequenta-tori della necropoli tardoantica adattata nel vecchio immondezzaio inumavano i cadaveri tra i rifiuti e se, viceversa, a Merida, l’immondezzaio del suburbio N della città pian pia-no viene a seppellire la necropoli vicina, che tuttavia continua a convivere con la disca-rica. E nulla di strano – ma si tratta di una testimonianza davvero eccezionale – se nel-

19 s. garcía-dils de la Vega, «Astigi», p. 61.20 J. acero pérez, «Augusta Emerita», p. 177.21 s. panciera, «Nettezza urbana a Roma. Organizzazione e responsabili», in Sordes Urbis 2000, pp.

99-100.

800 recensioni e segnalazioni

la discarica altoimperiale del Cuartel Hernan Cortez nella stessa Merida lo scavo si è imbattuto in ben 64 scheletri umani22, alcuni apparentemente deposti con una certa cura tra le immondizie, gli altri forse più sbrigativamente gettativi sopra, come accadeva nelle fosse comuni dei derelitti, che rimandano la nostra fantasia alle strazianti pagine finali del Gobbo di Notre Dame.

daniele manacorda

anna anguissola, ‘Difficillima Imitatio’. Immagine e lessico delle copie tra Grecia e Roma, Studia Archaeologica 183, Roma («L’Erma» di Bretschneider), 2012, pp. 237 con num. ill. in b.e n. nel testo.

Il volume ‘Difficillima Imitatio’. Immagine e lessico delle copie tra Grecia e Roma di Anna Anguissola propone una serie di interessanti considerazioni in ordine al com-plesso e dibattuto problema della copia: com’è ben noto, infatti, il fenomeno della ripro-duzione consapevole di una creazione figurativa più antica è presente con diverse sca-le di intensità, tempo di elaborazione e raggio di diffusione nella cultura artistica tanto greca quanto romana nelle produzioni toreutiche, pittoriche, musive, architettoniche e scultoree1. I tre principali capitoli del libro, che di proposito non mira ad una trattazio-ne complessiva del tema (un’ottica globale per una problematica di tale vastità appa-re difficilmente aggredibile con un fruttuoso approfondimento critico), aprono vivaci spaccati su punti nodali della ricerca, mettendo in scena le molteplici varietà e modalità di relazione, trasposizione, recezione del patrimonio formale greco nel mondo romano, nonché le sue trasformazione e destrutturazione. Entro l’ampio spazio storico e cultura-le di Roma, «descrivendo come ‘arte romana’ tutto quanto fu prodotto sotto l’influenza di Roma dal momento in cui essa divenne una grande potenza del Mediterraneo, fino a quando, nel quarto secolo d.C., Costantinopoli l’eclissò come centro di potere politi-co e culturale» (p. 17), si muove quindi con competenza Anguissola, che per sua stes-sa ammissione si prefigge di fornire «alcune chiavi di lettura per una selezione -parzia-le, ma si spera, indicativa- di testimonianze» (p. 10), le quali sono più specificamente indirizzate alla plastica: il campo d’indagine privilegiato della critica copistica da oltre due secoli e mezzo. Altro aspetto da subito dichiarato, ed affatto trascurabile del lavoro, è l’intento di rivolgersi ad un pubblico allargato di antichisti e non, recuperando, dirò così, un livello ‘didattico’ alla questione, che vuole ampliare il campo rispetto al sec-co tecnicismo ‘archeologico’ della Kopienkritik (ove questa è stata poi collegata alla Meisterforschung) e del suo graduale e graduato interscambio con la Idealplastik; come da tempo è stato ampiamente indicato, sono due categorie che, rivolte principalmente alla scultura ideale romana, non sono più sufficienti a marcare le dinamiche tra origina-le e copia. Dagli anni settanta del Novecento nuove direttrici di studio, svincolate dal-la priorità già attribuita alla ‘ricostruzione’ dell’originale, hanno spinto a considerare i

22 J. acero pérez, «Augusta Emerita», p. 175.

1 Resta di riferimento la sintesi di c. gasparri, in EAA, Suppl. II, 1994, pp. 267-280, s.v. Copie e copisti.