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HansChristianAndersen FIABEESTORIE Edizioneintegrale tradottaecuratadaBrunoBerni IntroduzionediVincenzoCerami IllustrazionidiVilhelmPederseneLorenzFrølich DONZELLI EDITORE

«Prefazione», «Nota al testo», «Nota alle illustrazioni», «Cronologia della vita e delle opere di Hans Christian Andersen», in: H.C. Andersen, Fiabe e storie, a cura di Bruno

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Hans Christian Andersen

FIABE E STORIE

Edizione integraletradotta e curata da Bruno Berni

Introduzione di Vincenzo Cerami

Illustrazioni di Vilhelm Pedersen e Lorenz Frølich

DONZELLI EDITORE

Prefazionedi Bruno Berni

A due secoli dalla sua nascita, Hans Christian Andersen(1805-1875) non ha bisogno di particolari presentazioni. Al dilà dei suoi romanzi – come L’improvvisatore, del 1835, che eb-be un successo europeo pari a quello della Corinna di Mada-me de Staël –, dei suoi resoconti di viaggio – primo fra tutti Ilbazar di un poeta, del 1842, sul lungo viaggio in Italia, Greciae Turchia –, delle sue opere teatrali e dei suoi numerosi testipoetici, per molti versi interessanti da un punto di vista lette-rario e in gran parte degni di un’attenzione maggiore di quellache finora è stata loro dedicata fuori della Danimarca, la rac-colta di Fiabe e storie rappresenta l’opera che da sola è bastataa dargli l’immortalità. A dispetto della sua iniziale volontà didiventare poeta, autore di romanzi e soprattutto di opere tea-trali, il destino fece di lui il più noto scrittore moderno di ungenere che nella sua epoca era da molti considerato minore, mache lui rinnovò traendo spunto dalla cultura popolare, dallarielaborazione di temi letterari, autobiografici, storici. Me-diando fra la fiaba popolare, di cui l’Ottocento produsse rac-colte di fondamentale e definitiva importanza, e la fiaba d’arte,che fu uno dei generi preferiti del Romanticismo, innovando-le con una fioritura di fiabe di oggetti che rappresentano forseil suo più importante contributo al genere, ma anche con unaserie di storie in cui il tono soprannaturale assume coloriture

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più religiose e morali, Andersen seppe creare un corpus narra-tivo che probabilmente non ha uguali per diffusione nelle cul-ture occidentali e che pure, paradossalmente, in genere non èinteramente noto al lettore.Composti fra il 1835 e il 1872, durante quasi tutto l’arco del-

la sua attività letteraria, i testi che formano la raccolta rifuggonoin massima parte da quell’omogeneità di stile e di contenuto chedi solito si attribuisce loro nella troppo generica definizione di«fiabe». Tale circostanza ne ha prodotto una diseguale diffusio-ne, se è vero che il lettore più attento, in Italia ma anche in Da-nimarca, è in grado di riconoscere solo una piccola percentualedei 156 testi cheAndersen intese inserire in vita nel corpus. Il va-lore profondo di questa «piccola percentuale», e probabilmen-te il motivo primario di tale diseguale diffusione, dipendono ingenere dalla possibilità di eliminare o variare parte della sovra-struttura narrativa conservando l’aspetto simbolico dei testi –caratteristica della fiaba popolare – fattore che ha persino per-messo ad alcuni di assumere uno status proverbiale. Va notatoinfatti che le sue fiabe più note, dal Tenace soldatino di stagnoall’Usignolo al Brutto anatroccolo, nulla devono alla narrativapopolare, ma sono spesso tornate nel circuito dell’oralità o so-no state assorbite dalla letteratura universale e più volte riela-borate, illustrate, riutilizzate in vari modi senza perdere il valo-re del loro nucleo e il loro carattere simbolico. Si veda per esem-pio Il brutto anatroccolo, divenuto ormai un modo di dire co-mune nella lingua italiana anche a livello dei mass-media, o L’u-signolo, adottato come parabola del rapporto fra gli intellettualie il potere, o meglio ancora I vestiti nuovi dell’imperatore, all’o-rigine della diffusa espressione «re nudo», entrata nel linguaggiocomune nonostanteAndersen avesse intenzionalmente utilizza-to, per ovvi motivi in un paese retto da una monarchia, la figu-ra di un imperatore e non di un re, evitando con cautela di no-minare all’interno della fiaba l’aggettivo «nudo»1.

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1 Sull’argomento cfr. A. Castagnoli Manghi - L. Terracini, Le invarianti e levariabili dell’inganno, in «L’immagine riflessa», V, 1982, pp. 187-236, in parti-colare pp. 204 sgg.

L’abilità di Andersen in tali testi è proprio quella di saper ri-creare la tipica sublimazione che rende universale il contenutodella fiaba e sempre validi i suoi motivi. Questo gli derivavaprobabilmente dall’aver esordito con l’intenzione di «trattare»a modo suo le fiabe ascoltate da piccolo e ancora vive nella suamemoria, producendo «un intero ciclo di fiabe popolari dane-si», come dichiarava nel 1830 nell’introduzione a Dødningen(Lo spettro), l’immaturo embrione della fiaba nota nella suastesura definitiva come Il compagno di viaggio2. Ma questa fula prima e l’ultima volta che Andersen definì «popolari» le suefiabe, e il proposito di produrne «un intero ciclo» fu mante-nuto solo in parte al momento del vero esordio narrativo nelgenere, a partire dal 1835, visto che dei 156 testi di cui si è det-to solo sette o otto – concentrati soprattutto nel primo perio-do – sono di chiara derivazione popolare, pochi altri conten-gono singoli elementi della narrativa orale, ma la grande mag-gioranza risulta essere una creazione originale.È dunque un errore considerare Andersen un rielaboratore

di fiabe popolari ed è riduttivo giudicarlo un autore di fiabed’arte. Come si è detto, e come sarà presto chiaro al lettore, gliscritti contenuti nella raccolta sono privi dell’omogeneità di sti-le e di contenuto che dovrebbe caratterizzare una raccolta di fia-be. Se pochi possono essere considerati testi di derivazione po-polare, e alcuni rientrano nel novero delle fiabe d’arte nello sti-le romantico – si vedano per esempio le influenze di Hoffmannin testi come I fiori della piccola Ida o La pastorella e lo spazza-camino3 – molti altri appartengono a generi diversi, e si può af-fermare che prendendo coscienza a poco a poco delle propriecapacità, adeguandosi al mutare dei tempi, allontanandosi dalRomanticismo dal quale aveva tratto la prima ispirazione, se-guendo una maturazione stilistica che, come è naturale, accom-

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2 Cfr. la breve postfazione di chi scrive a H. C. Andersen, Lo spettro - Ilcompagno di viaggio, a cura di B. Berni, Biblioteca del Vascello, Roma 1993.

3 Per il rapporto di Andersen con E. T. A. Hoffmann, si veda A. Castagno-li Manghi, Presenza di E. T. A. Hoffmann nell’opera di H. C. Andersen, in Mi-scellanea di studi in onore di Bonaventura Tecchi, Edizioni dell’Ateneo, Roma1969, vol. II, pp. 394-407.

pagnò la sua produzione nell’arco di quasi quarant’anni, An-dersen produsse un ciclo narrativo che abbraccia tutti gli aspet-ti della prosa breve, dalla fiaba di magia alla favola morale, dallaleggenda locale alla satira, dalla parabola alla ricostruzione sto-rica, con una distribuzione cronologica non uniforme.Di questo Andersen era cosciente, visto che lui stesso inte-

se dare alle prime raccolte, che avevano cadenza quasi annua-le, il titolo di Fiabe narrate per bambini (Eventyr, fortalte forBørn), ma già dal 1844, con la raccolta di Nuove fiabe (NyeEventyr), l’evolversi del suo stile personale lo spinse a elimi-nare dal titolo l’esplicito riferimento al destinatario infantile,affiancando infine alla definizione di «fiabe» – a partire dal1852 – il titolo Storie (Historier), più consono al carattere dimolti dei testi pubblicati e al rapido allontanamento dalla ma-teria popolare. Nel momento in cui le fiabe venivano raccoltein tutta Europa e passavano definitivamente dalla tradizioneorale a quella scritta, quando il genere iniziava a migrare da undestinatario «popolare» a un destinatario infantile, e accantoalla fiaba d’arte del Romanticismo nasceva la raccolta scienti-fica, Andersen prese dunque lo spunto iniziale dalle fiabe macostruì la sua personale interpretazione del genere.Una serie di equivoci ha dunque guidato e allo stesso tem-

po in parte limitato la diffusione delle storie di Hans ChristianAndersen nel mondo: avendo continuato a considerarlo soloun autore di fiabe, e solo un autore di fiabe per bambini, eavendo pubblicato di conseguenza scelte di fiabe destinate a unpubblico di giovani lettori, è normale che si sia ottenuto l’ef-fetto per cui pochi lettori adulti conoscono dei veri capolavo-ri letterari come La campana o Il giardiniere e i padroni. In-fatti, nonostante il loro stile semplice e colloquiale – anche semai direttamente «popolare» – le storie di Andersen, che neiprimi anni della sua produzione sembravano ammiccare solodi tanto in tanto al lettore adulto, con il passare degli anni as-sumono di frequente uno spessore che non sempre le rende deltutto comprensibili a una fascia di lettori in età non matura.A dispetto di una tradizione che lo vuole personaggio can-

dido e scrittore ingenuo, e nonostante alcuni tratti formali che

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inizialmente apparivano immaturi (come l’esasperato uso de-gli aggettivi) Hans Christian Andersen possedeva infatti unacoscienza dello stile, affinata negli anni, che fin dalle primeprove gli permise di conservare caratteristiche della narrativaorale allontanando tuttavia i suoi testi dal tono esplicitamentepopolare e aprendoli a vari livelli di lettura. Si veda per esem-pio L’acciarino, che apre la raccolta, dove il lettore bambinoscoprirà che il soldato protagonista, diventato ricco, avrebbepotuto comprare «tutti i soldatini di stagno, le fruste e i caval-li a dondolo del mondo», mentre il lettore adulto coglierà cer-tamente l’ammiccamento a lui rivolto quando il soldato, dive-nuto di nuovo povero, è costretto a trasferirsi in una soffitta «enessuno dei suoi amici andava a trovarlo perché c’erano trop-pe scale da salire». E nella stessa fiaba il lettore attento sapràcogliere i temi popolari, come la ripetizione del numero tre –le tre porte, i tre cani, le tre visite della principessa – ma af-fiancati a un incipit in medias res – «un soldato arrivava mar-ciando» – che poco ha a che vedere con i «c’era una volta» cuieravamo abituati. E se nella seconda fiaba, Il piccolo Claus e ilgrande Claus, il «c’era una volta» ricompare, pure il tono delmodello popolare, dove il sagrestano ha una tresca con la mo-glie del contadino, viene attenuato da Andersen per il pubbli-co infantile con un meccanismo la cui ironia può essere coltasolo dal lettore adulto: il sagrestano fa visita alla donna in as-senza del marito perché il contadino «aveva una singolare ma-lattia: non sopportava la vista dei sagrestani».Con il passar del tempo il tono generale dei testi cambia, lo

stile di Andersen matura e il doppio livello di lettura divienepiù raro, e il destinatario è a volte un pubblico esclusivamenteadulto, il solo in grado di cogliere la frequente morale religio-sa, le allegorie del mondo umano in storie come Nel cortiledelle anatre, la documentazione lessicale alla base di lunghiracconti come La figlia del re della palude, la sottile ironia distorie come I fuochi fatui sono in città o Il giardiniere e i pa-droni, lo straziante senso del destino di piccoli romanzi comeLa vergine dei ghiacci o Una storia delle dune. La fiaba popo-lare non scompare dal panorama delle storie anderseniane, ma

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i pochi testi ancora ispirati a temi della narrativa orale, comeGianbabbeo eQuel che fa il babbo è sempre ben fatto, riman-gono visibilmente isolati nella produzione più tarda. Né scom-paiono le storie di oggetti, che con Gli stracci e Le candele,scritte rispettivamente nel 1869 e nel 1870, quasi alla fine dellasua parabola creativa, hanno ancora una freschezza non lonta-na da quella delle prime prove. E le fiabe per bambini che An-dersen continua a produrre acquisiscono talvolta uno scopodiretto, più educativo o direttamente morale, ma sempre conla delicatezza propria della sua scrittura.Senza dubbio il tono generale è cambiato. L’edizione del

1849, uscita prima in Germania e immediatamente dopo inDanimarca, che raccoglie tutte le fiabe scritte fino a quel mo-mento ed è illustrata per la prima volta da Vilhelm Pedersen,rispetto alla produzione successiva rappresenta per Andersenuna cesura maturata proprio negli anni quaranta, e le cinquan-ta fiabe che contiene si differenziano dal centinaio abbondan-te che l’autore scrisse in seguito. Se le prime sono spesso fiabenel senso più classico del termine, e dal punto di vista formalesono più omogenee, è perché Andersen, inizialmente vincola-to da una sorta di autodisciplina, cercava di rispettare i canonidi un genere, pur con isolati guizzi di maggiore libertà. Ma ilsuccesso definitivo in patria dopo anni di critica avversa, e lacoscienza di aver trovato un genere congeniale, lo portano apoco a poco a diradare il resto della produzione per concen-trarsi sulle fiabe – e sulle storie – scegliendo un registro che piùsi adatta alla sua personalità, un tono soggettivo che caratte-rizza tutta la sua produzione successiva con una stupenda va-rietà di testi, con una ricchezza di toni e di atmosfere che vadalla descrizione del reale all’evasione nel fantastico, dallaschematica semplicità alla complessa elaborazione, dall’allegriaspensierata alla fatale tragedia, dalla riflessione malinconica al-lo scherzo leggero, dalla velata ironia all’amaro sarcasmo, co-me se Hans Christian Andersen, partito dalla propria soffertaesperienza della realtà e dalla nitidezza dei sentimenti dellanarrativa popolare, volesse racchiudere in un mosaico di storiele mille sfumature dell’esistenza.

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La varietà di temi, entrati in breve tempo nell’immaginariopopolare e letterario ben oltre i confini d’Europa, e soprattut-to la molteplicità di registri dell’opera anderseniana, che rom-pe con la convenzione letteraria romantica offrendo nuoveprospettive, hanno rappresentato una fonte di ispirazione permolti autori nordici. Persino August Strindberg, apparente-mente così lontano dalle atmosfere fiabesche del mondo ro-mantico, in occasione di un articolo scritto nel 1905 per il cen-tenario della nascita di Andersen, si firmava «August Strind-berg, allievo di H. C. Andersen». E non a torto, poiché solodue anni prima lui stesso aveva pubblicato una raccolta di Fia-be (Sagor, 1903) annunciata «nello stile poetico di Andersen».Sebbene una sola delle quattordici fiabe ricordi da vicino i te-mi anderseniani – Il grande setacciaghiaia, che si ispira diretta-mente a Il grande serpente di mare4 – pure tale enfatizzazionedi un nuovo apprendistato con le fiabe di Andersen a più ditrent’anni dall’esordio letterario «è in ogni modo indicativadelle disposizioni di Strindberg, spinto sulla via della fiaba dal-la paternità in età matura non meno che dalla rilettura di An-dersen»5. Del resto, non è raro incontrare, soprattutto nella let-teratura nordica, singole influenze su scrittori che già nella se-conda metà dell’Ottocento si lasciano attrarre occasionalmentedalla grande varietà di temi, di atmosfere e di abbozzi letterarirappresentata dal corpus delle fiabe anderseniane, trattandolacome un patrimonio cui attingere ispirazione: dallo stessoStrindberg, che nel suo Roma in un giorno sembra parafrasare,in tono ancora più ironico, la prefigurazione del frettoloso tu-rismo di massa di Fra migliaia di anni, a Jens Peter Jacobsen,che nella spettrale chiusura di Uno sparo nella nebbia sembraricordare l’analoga scena sulla spiaggia in Anne Lisbeth, e infi-ne a Selma Lagerlöf, il cuiNils Holgersson, scritto per insegna-re la geografia ai bambini svedesi, ha i suoi precursori in nume-

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4 «Che gli era piaciuta in gioventù, quando, per ragioni economiche, l’avevatradotta insieme a poche altre». Cfr. A. Castagnoli Manghi nell’Introduzione adA. Strindberg, Fiabe, a cura di C. Calcagno, Feltrinelli, Milano 1992.

5 Ibid., pp. VIII-IX.

rose storie composte da Andersen a scopo didattico, dal Picco-lo Tuk a Una collana di perle al Libro illustrato del padrino.Sono queste in buona parte le riflessioni all’origine della

decisione di pubblicare la presente raccolta, riunendo in unvolume ciò che Andersen aveva inteso considerare un’unicaopera. La tradizione italiana, come quella europea, è ricca ditraduzioni parziali, di un numero immenso di edizioni di sin-gole fiabe per l’infanzia – spesso in forma rielaborata e forte-mente ridotta –, ma estremamente parca di edizioni che rac-colgono un numero adeguato di testi e rivolte a un pubblicopiù ampio6. Fin dai primi anni sessanta dell’Ottocento furonopubblicate nel nostro paese edizioni di racconti «pei giovinet-ti» con un numero di fiabe e di storie assai limitato e in tra-duzioni dal francese, dal tedesco e persino dal volapük, ma laprima scelta ampia con traduzione dall’originale danese èquella di Maria Pezzé Pascolato, edita a Milano nel 19047, cor-redata di un’introduzione sull’autore, di note, di un indicedettagliato con indicazione dei titoli originali.Il successo dell’opera, una traduzione di quaranta storie fra

le più note, è dimostrato dalle numerose ristampe che il volu-me ha avuto, dal momento che – caso molto raro nel panora-ma librario italiano – nell’arco di quasi un secolo lo stesso vo-lume è stato un classico continuamente ristampato, illustratoda artisti diversi, ed è ancora reperibile, forse più che altro convalore documentario, visto il tono oramai datato di traduzio-ni che risalgono a un’epoca lontana in cui il modo di affron-tare il testo originale non era quello del nostro tempo. Il gran-de favore di pubblico spinse l’editore ad ampliare per ben due

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6 Per una storia dettagliata delle traduzioni italiane delle opere di Hans Ch-ristian Andersen, cfr. I. L. Rasmussen Pin,H. C. Andersens «Fortuna» i Italien,in «Anderseniana» 1976, pp. 234-46; M. Kjøller, Et italiensk Andersen-potpour-ri», in Andersen og verden, a cura di J. de Mylius, A. Jørgensen, V. HjørnagerPedersen, Idense Universitetsforlag, Odense 1993, pp. 353-61. Cfr. inoltre Sv.Juel Møller, Bidrag til H. C. Andersens Bibliografi, VI, Værker af H.C. Ander-sen oversat til italiensk, Det Kongelige Bibliotek, Copenaghen 1974.

7 Quaranta novelle, traduzione di M. Pezzè-Pascolato, Hoepli, Milano1904.

volte la scelta con due volumi curati da Mary Tibaldi Chiesanel 1938 e nel 1955, contenenti altre traduzioni di storie eun’ulteriore selezione di testi anderseniani8. Nel 1931 e nel1949 vennero pubblicate due scelte di traduzioni, dal tedesco9,che raggiunsero una vasta diffusione, e solo nel 1954 fu pub-blicata quella che è rimasta per decenni la più ampia scelta difiabe, che conteneva poco più di cento testi10. Nel 1986 uscì in-fine una nuova traduzione che comprendeva circa la metà del-le fiabe11, e solo nel 1993-94 un’edizione in due volumi12 cheraccoglieva tutti i testi in una singolare mescolanza di tradu-zioni nuove e traduzioni d’epoca, in parte dal tedesco.La scelta obbligata era dunque quella di proporre per la

prima volta una traduzione completa e organica della raccol-ta di Fiabe e storie, cercando di salvaguare la varietà stilisticadell’originale con l’uniformità della traduzione, per poter co-gliere nella sua interezza la maturazione della scrittura, cer-cando di rispettare i richiami interni, i ricorsi lessicali a di-stanza di decenni.Proprio il rispetto del tono dell’originale è un aspetto im-

portante della traduzione, ma se ogni traduzione è in equili-brio fra un atto di interpretazione e un necessario tradimento,nel caso di un autore classico il traduttore si trova di fronte auna scelta ancora più delicata ma dall’esito quasi inevitabile. Sidice talvolta che la traduzione dovrebbe usare la lingua cheavrebbe usato l’autore dell’originale se fosse stato un nostroconnazionale: naturalmente ciò non può essere vero quando si

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8 Nuove novelle, traduzione di M. Tibaldi Chiesa, Hoepli, Milano 1938;No-vissime novelle, traduzione di M. Tibaldi Chiesa, Hoepli, Milano 1955.

9 Racconti e fiabe, a cura di E. Pocar, Utet, Torino 1931; La sirenetta e altriracconti, traduzione di G. Pozzo, Rizzoli, Milano 1949.

10 Fiabe di Andersen, traduzione di A. Manghi e M. Rinaldi, prefazione di K.Ferlov, Einaudi, Torino 1954.

11 Fiabe, traduzione di A. Cambieri, scelta e introduzione di A. CastagnoliManghi, Mondadori, Milano 1986.

12 Le fiabe, introduzione di K. Bech, traduzione di M. Pezzé Pascolato, G.Pozzo, K. Bech, Newton Compton, Roma 1993; Fiabe, cura e traduzione di K.Bech, Newton Compton, Roma 1994. Nuova edizione in volume unico Tuttele fiabe, introduzione di K. Bech, traduzione di M. Pezzé Pascolato, G. Pozzo,K. Bech, Newton Compton, Roma 2001.

affronta un classico, perché se Andersen fosse stato nostroconnazionale avrebbe scritto la lingua del Manzoni. Un se-colo e mezzo fa un traduttore di Andersen non avrebbe do-vuto risolvere problemi linguistici, perché la sua lingua eraperfettamente adatta a descrivere le stesse atmosfere, ma coltempo la distanza fra l’autore e il traduttore – e con lui il let-tore – è aumentata, e se è vero che sarebbe giusto ritradurrei classici per ogni generazione di lettori, ogni nuova tradu-zione si allontana sempre più dal carattere dell’originale perimmergerlo in una nuova epoca, perché il pubblico ha per-duto la sua capacità di comprenderlo e ogni altra soluzionesarebbe un’inutile finzione e un cattivo favore all’autore. Maogni lingua non si evolve dimenticando il passato, conservain ogni momento del suo sviluppo una forte stratificazioneche talvolta permette al traduttore di evitare, come si è cer-cato di fare in questo caso, di connotare un’opera con un to-no troppo moderno. Potrà sembrare sbagliato e paradossale,è una violenza alla natura più intima di un testo, che fa dellatraduzione un ibrido storico, ma è una violenza inevitabil-mente lecita e questa è stata l’intenzione nell’affrontare lapresente opera.Se quanto detto vale per il livello linguistico generale, nel

caso dei particolari si è cercato invece di conservare una seriedi caratteristiche dell’originale, per quel moderno e forsepersonale modo di affrontare il testo di cui si è detto in con-trapposizione all’approccio tipico delle traduzioni della pri-ma metà del Novecento. Si è cercato di mantenere quelle am-biguità, quelle allusioni che forse risultano più chiare al let-tore italiano esperto della vita di Andersen, della storia e del-le tradizioni danesi, e dell’ambiente della capitale intorno al-la metà dell’Ottocento. La riflessione ovvia che tale tipo dilettore non è molto comune in Italia ha convinto chi scrive aevitare l’uso delle note a piè di pagina che avrebbero appe-santito la lettura lasciando irrisolta una gran parte dei pro-blemi. I testi qui presentati risultano comunque piacevol-mente comprensibili nel loro tono, e per facilitare questoaspetto della lettura si è cercato, per quanto possibile nel rap-

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porto con una lingua così diversa, di conservare i giochi diparole e soprattutto il frequente uso del verso e della rima diHans Christian Andersen, poeta non eccelso ma tecnicamen-te, a volte, persino piacevole. Nei numerosi inserti in versi,spesso tratti da altri autori danesi, e fino alla fiaba All’erbi-vendola chiedi, il lettore troverà conservate la struttura e larima dell’originale. Alcune incertezze nello stile della prosa,che appare più leggera e pulita nei brani lirici, più faticosa inquelli di pura descrizione, dovrebbero essere ancora percepi-bili nel testo italiano.

Dedico questa traduzione a mia figlia Sara, oggi lettrice delle sto-rie per bambini, domani di quelle destinate al pubblico più maturo.

Roma, ottobre 2001 B. B.

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Nota al testo

La presente traduzione si basa sull’edizione critica in sette volu-mi delle fiabe di Hans Christian Andersen iniziata da Erik Dal nel1963 e terminata nel 1990 con i volumi di note e commento curati daErik Dal, Erling Nielsen e Flemming Hovmann1. L’apparato criticoè stato utilissimo per le informazioni sulla storia editoriale dei testi esulle varianti, per i chiarimenti di molti elementi lessicali usati daAndersen e talvolta già desueti nella sua epoca.Per quanto riguarda l’ordine in cui i testi sono qui riportati, fra le

scelte possibili si è deciso di ordinarli in senso cronologico in basealla data della loro prima pubblicazione, anche nei casi in cui essi,pubblicati inizialmente con altre finalità, sono stati inseriti da An-dersen nelle raccolte di fiabe, con lievi modifiche, in un’epoca suc-cessiva. In tali casi, non infrequenti, si è deciso però di tradurre il te-sto riveduto, poiché era evidente l’intenzione dell’autore di conse-gnarlo ai posteri in tale forma.Sulla base di tali criteri è stata attribuita alle fiabe una numera-

zione progressiva.Le indicazioni bibliografiche relative alla pubblicazione delle sin-

gole fiabe sono riportate alla fine del volume.

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1 H. C. Andersens Eventyr, kritisk udgivet efter de originale Eventyrhæftermed Varianter ved Erik Dal og Kommentar ved Erik Dal, Erling Nielsen eFlemming Hovmann, 7 voll., Reitzel, Copenaghen 1963-90.

Nota alle illustrazioni

Le illustrazioni che accompagnano la raccolta sono quelle classi-che di Vilhelm Pedersen (1820-1859) e di Lorenz Frølich (1820-1908), già note anche al pubblico italiano, che in un certo senso rap-presentano una parte integrante della tradizione editoriale delle rac-colte di Andersen. Sebbene, come è naturale, molti artisti si siano ci-mentati con la materia1, la mole di illustrazioni prodotta da Pedersene Frølich, e soprattutto il loro rapporto diretto con l’autore, che liscelse per illustrare le raccolte e poi via via le edizioni complete difiabe e storie – e in molti casi seguendo personalmente il lavoro –fanno della loro opera un complemento irrinunciabile a un’edizionecompleta dei testi del grande autore danese.

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1 Per una storia delle illustrazioni danesi alle storie di Andersen cfr. in parti-colare E. Dal, Danske H. C. Andersen-illustrationer 1835-1975, Forening forBoghaandværk, Herning 1975.

Cronologia della vita e delle operedi Hans Christian Andersen

Infanzia e adolescenza (1805-1819)

Hans Christian Andersen nasce a Odense, in Fionia, il 2 aprile1805, da una famiglia poverissima. In seguito non cercherà mai di ne-gare le sue umilissime origini, anzi ne farà un vanto per sottolineareancor più la sua ascesa. Ma contemporaneamente si adopererà, negliscritti autobiografici, a idealizzare i propri antenati, attribuendo loroorigini migliori e una decadenza dovuta a una serie di sventure, circo-stanza inesatta ma della quale lui stesso, forse, era convinto.Il padre, Hans Andersen, è un ciabattino non totalmente privo di

cultura, ma molto introverso e insoddisfatto dalla vita, uno spiritobizzarro che ogni sera legge al figlio le commedie di Holberg e Lemille e una notte. Nel 1812, quando la Danimarca è alleata con Na-poleone, si arruola a fianco del «suo eroe», «nella speranza di torna-re a casa tenente». In realtà si arruola, sembra, al posto del figlio diun ricco possidente terriero in cambio di una buona ricompensa indanaro. La gloria militare non gli arride, e per di più ritorna a casaindebolito nel fisico e muore nel 1816. La madre di Andersen, AnneMarie, rimasta vedova si guadagna da vivere come lavandaia. Con leiil figlio rimarrà sempre in contatto, anche dopo aver lasciato Oden-se, e ne farà il modello di molti personaggi delle sue opere, prima fratutte la lavandaia della fiabaNon era buona a nulla! «Ero figlio uni-co e mi viziavano», afferma Andersen in La fiaba della mia vita, for-se riferendosi più che altro al fatto di essere stato l’unico figlio adabitare con i genitori. In realtà lo scrittore ha una sorellastra piùgrande di lui, Karen Marie, nata da una relazione della madre primadel matrimonio, e per anni, dopo essersi trasferito a Copenaghen, vi-

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ve nel terrore che la donna si faccia viva nella capitale a turbare il suofaticoso riscatto dalle umili origini.Nonostante le condizioni poco floride, l’infanzia di Andersen

non dev’essere stata del tutto infelice. Il bambino cresce senza unavera istruzione, ma in un mondo di fantasia alimentato dalle letturedel padre, che trascorre con lui gran parte del suo tempo libero. Apoco a poco nasce in lui la convinzione di essere destinato a diven-tare famoso come attore, forse come poeta, e a soli quattordici anni,il 4 settembre 1819, Hans Christian lascia Odense con pochi talleriin tasca, diretto a Copenaghen per diventare «un grand’uomo». Unavecchia fattucchiera ha predetto a sua madre che un giorno la città diOdense verrà illuminata a festa in suo onore.

Studente a Copenaghen (1819-1828)

Il 6 settembre 1819 Hans Christian Andersen giunge a Cope-naghen con una lettera di presentazione che si rivela inutile: il desti-natario, la nota ballerina Margrethe Schall, non conosce l’autore del-la lettera ed è felice di liberarsi al più presto dello strano ragazzo che,senza aspettare un momento, comincia a recitare, cantare e danzareper dar prova delle proprie capacità. Un fiasco completo ma dopo iprimi momenti di scoraggiamento Andersen non si perde d’animo.La sua assoluta mancanza di misura e di contatto con la realtà lospingono a nuovi tentativi, prima presso l’italiano Siboni, maestro dicanto, e in seguito presso lo scrittore Guldberg. Entrambi, impres-sionati dall’ingenuità e dalla sicurezza del ragazzo, lo aiutano comepossono iniziando sottoscrizioni in suo favore e avviandolo allo stu-dio del canto e della danza. La maturazione della voce – nel passag-gio dall’infanzia all’adolescenza – e il portamento sgraziato di An-dersen, magro e altissimo, gli impediscono però di continuare suquella strada.Il teatro è la sua passione e Andersen comincia a scrivere, ma i

primi tentativi sono un fallimento. Sono passati quasi tre anni dalsuo arrivo a Copenaghen quando, ormai conosciuto in molti am-bienti per i continui tentativi di aprirsi una strada, entra in contattocon il consigliere Jonas Collin, direttore del Teatro Reale, che pren-de a cuore il suo destino. Una cosa è subito chiara a Collin, e cioèche gli scritti di Andersen rivelano un potenziale talento, una gran-de volontà di riuscire, ma soprattutto la mancanza delle più elemen-tari conoscenze. Il poco danese e tedesco e i rudimenti di latino im-

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parati presso Guldberg non sono sufficienti a mascherare gravi ca-renze persino nell’ortografia, e l’istruzione del ragazzo è dunque ilprimo problema da risolvere.Grazie all’interessamento di Collin, Hans Christian Andersen

ottiene un sussidio reale per tre anni e nell’autunno del 1822 inizia afrequentare la scuola di Slagelse, dove poco tempo dopo viene ac-colto come pensionante in casa del rettore, SimonMeisling. Sarannoanni durissimi: Andersen è costretto a frequentare la scuola insiemead allievi molto più giovani di lui, che lo considerano quasi un de-mente, mentre è sottovalutato da Meisling, tutto intento a domare lesue mire poetiche e a imporgli una serie di doveri e un metodo distudio. Scontrandosi con l’ironia e lo scherno del rettore, la sensibi-lità quasi isterica di Andersen rischia di portare il giovane a risultatiopposti. L’impegno e la buona volontà gli fanno conquistare quellebasi culturali di cui era privo, ma non il cuore di Meisling. Final-mente, dopo aver risposto per anni con fermezza e parole di inco-raggiamento alle lettere di Andersen, nel 1827 Collin comprende lasituazione e gli permette di tornare a Copenaghen, dove il giovane siprepara privatamente agli esami finali, superati nell’ottobre del 1828.

Il debutto letterario (1829-1835)

La fine degli studi è un gran sollievo per Andersen, che subitotorna a dedicarsi alla letteratura. Dopo aver pubblicato alcune poe-sie esordisce nel 1829 con il Viaggio a piedi dal canale di Holmen al-la punta orientale di Amager, un’opera profondamente immatura,densa di citazioni letterarie, ma accolta con favore dal pubblico e coninteresse dalla critica. Del 1830 è invece il volume Poesie, che contie-ne Lo spettro, il primo esperimento nel genere della fiaba che più tar-di lo avrebbe reso famoso in tutto il mondo. Lo stile è pesante, in-certo: alla formazione del giovane scrittore mancano ancora, più chela capacità, una maturità e una consapevolezza tali da evitargli il con-tinuo ricorso a citazioni e modelli letterari. Ma ormai Andersen sen-te di poter entrare nel mondo dei poeti, sente di saper rielaborare larealtà in poesia e per questo ha bisogno di ampliare i propri oriz-zonti con nuove esperienze. Nel 1831, ancora una volta grazie a Jo-nas Collin, riesce finalmente a partire per il suo primo viaggio fuoridella Danimarca, un breve soggiorno in Germania, che al ritorno de-scrive nelle Silhouettes di un viaggio nello Harz e nella Svizzera te-desca nell’estate del 1831. È la sua prima opera matura, scritta sulla

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scorta di Heine, ma con toni e atmosfere finalmente personali. Lacritica è divisa: le capacità dello scrittore sono chiare, ma la situa-zione letteraria in Danimarca non gli è favorevole. Johan LudvigHeiberg, con la sua estetica hegeliana che predica la riflessione co-me superamento dell’ispirazione e del genio, è ormai l’arbitro delgusto, e Andersen, che è la chiara espressione di un romanticismotutto impulsivo, si trova a comporre le sue opere con un ventenniodi ritardo.Comunque il viaggio in Germania rimane il primo di una lunga

serie, il ghiaccio è rotto e Andersen si rende conto di aver bisogno divedere mondi nuovi, nuove realtà, e da quel momento spera di riu-scire a partire al più presto per un viaggio al sud. Solo nel 1833, gra-zie a una borsa di studio biennale, affronta il suo grande viaggio diformazione in Francia e Italia, che dura più di un anno e, come spes-so era accaduto per i suoi contemporanei, gli apre nuove, ampieprospettive. Nell’aprile del 1833 lascia la Danimarca diretto a Pari-gi, per trascorrere poi l’inverno fra Roma – dove riceve la notiziadella morte della madre – e Napoli, e tornare a casa nell’estate del1834 passando perMonaco, Vienna e Dresda. Al ritorno inizia il ro-manzo L’improvvisatore, che esce nel 1835 e gli spalanca finalmen-te le porte del successo. L’opera, ambientata in Italia e ampiamenteautobiografica, è un trionfo europeo, paragonato a quello della Co-rinna di Madame de Staël.

Il successo (1835-1843)

Incoraggiato dall’accoglienza riservata dai lettori all’Improv-visatore, Andersen continua sulla stessa strada, pubblicando altridue romanzi nel giro di pochi anni. Nel 1836 esceO.T., ancora un’o-pera con molti tratti autobiografici, come del resto quasi tutti i suoiscritti, e nel 1837 Solo un suonatore. Il successo di pubblico non haconvinto la critica, e proprio in occasione di quest’ultimo romanzoAndersen viene duramente attaccato da Kierkegaard, che dedica lasua prima opera letteraria all’aspra critica della visione del mondo –o meglio della mancanza di visione del mondo – del suo giovaneconnazionale.Ma intanto, nel 1835, Andersen ha cominciato a pubblicare la

lunga serie di fiabe e storie che, a dispetto delle sue stesse aspirazio-ni come romanziere e drammaturgo, è destinata a donargli fama im-mortale. Il primo fascicolo esce l’8 maggio del 1835, quasi in sordi-

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na, anche se l’autore afferma profeticamente in una lettera a Hen-riette Hanck, sua amica e confidente: «Le fiabe narrate per bambini[…] usciranno in aprile e si dirà che sono l’opera che mi darà l’im-mortalità». Da quel momento i fascicoli di fiabe si succedono con ca-denza quasi regolare e, nonostante lo scetticismo della critica neiconfronti di un genere che non era più la fiaba popolare ma nemme-no la fiaba d’arte tipica del romanticismo, conquistano nel giro dipochi anni un folto pubblico in Danimarca e all’estero.Nel 1838, dopo anni di disagi economici, finalmente Andersen ot-

tiene un vitalizio come scrittore, e da questo momento le sue condi-zioni di vita migliorano, al punto che non avrà più bisogno di scrivereper mangiare, ma non migliorano abbastanza da permettergli una vitaagiata. Lo scrittore non avràmai una casa propria, non avràmai una fa-miglia, vivrà sempre in stanze ammobiliate o ospite di amici.Del 1839 è il Libro illustrato senza illustrazioni, che riveste un

particolare interesse per la comprensione dello stile assolutamentepersonale di Andersen, poiché riprende un filo conduttore che at-traversa in molti punti la sua opera.Fin dal 1835, poco dopo il ritorno dall’Italia e la pubblicazio-

ne dell’Improvvisatore, Andersen progetta di ripartire, questa vol-ta per la Grecia, ma il progetto deve rimanere nel cassetto per moti-vi economici. La situazione migliora nel 1838, ma solo nel 1840 loscrittore ottiene un sussidio reale che gli consente di partire nuova-mente per l’Italia e, forse, di continuare il viaggio fino in Grecia. Lasua passione per il teatro, e soprattutto i proventi derivanti dalle rap-presentazioni al Teatro Reale – nettamente maggiori rispetto aglionorari per i romanzi –, lo spingono costantemente a scrivere dram-mi che non sempre riscuotono il successo sperato, e anzi vengonotalvolta respinti dalla direzione. Proprio il rifiuto di un suo dramma,cui segue una polemica con Heiberg, lo spinge a tagliare i ponti epartire, sebbene il sussidio non gli dia la certezza di poter completa-re il viaggio arrivando, come spera, fino in Grecia e a Costantinopo-li. Nell’autunno del 1840 Andersen si imbarca per la Germania, ar-riva a Roma, dove trascorre l’inverno, e poi a Napoli, dove riceve laconferma di un nuovo sussidio e parte per la Grecia, per raggiunge-re in seguito Costantinopoli e, dopo molti dubbi a causa delle rivol-te nei Balcani, risalire il Danubio fino a Vienna e fare ritorno a Co-penaghen solo durante l’estate del 1841.Il viaggio gli ha permesso di prendere le distanze, anche psico-

logicamente, dalla vita quotidiana della capitale danese. I rinnovatiattacchi di Heiberg e di buona parte della critica non influiscono sul

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successo tributato dal pubblico al suo resoconto del viaggio, Il ba-zar di un poeta, che esce nel 1842, e ai nuovi fascicoli di fiabe, chenel 1844 contengono alcuni dei suoi grandi capolavori, come L’u-signolo e Il brutto anatroccolo. Andersen è ormai uno scrittore af-fermato, amico di artisti come Oehlenschläger e Thorvaldsen, tra-dotto in numerose lingue, ricevuto dai grandi di tutta Europa.

Viaggi e trionfi europei (1844-1866)

La brama di viaggiare di Andersen viene alimentata dal successo:proprio le migliorate condizioni economiche e la notorietà in terrastraniera gli permettono dimettersi continuamente in viaggio. Alla fi-ne della sua vita potrà contare ben ventinove viaggi fuori dalle fron-tiere del suo paese, e innumerevoli soggiorni in giro per la Danimar-ca, ospite di amici e conoscenti della migliore società. L’ansia di con-fermare continuamente a se stesso la vittoria sulle umili origini e laverità della profezia della vecchia fattucchiera lo spingono a percor-rere in lungo e in largo l’Europa per raccogliere i meritati onori e in-contrare i più grandi nomi della letteratura dell’Ottocento. Già nel1843 torna a Parigi, dove incontra Balzac, Heine, Victor Hugo, La-martine, e l’anno dopo è di nuovo in Germania, dove torna nel 1845per un viaggio trionfale che lo porterà a soggiornare presso principi ere, granduchi e conti, da Weimar a Dresda, da Vienna a Berlino, do-ve l’unica delusione è quella di non essere riconosciuto da JacobGrimm, che afferma di non averlo mai sentito nominare. Il viaggioprosegue in Italia, a Roma eNapoli, e poi in nave fino aMarsiglia.Mainvece di continuare per la Spagna, la malattia e la stanchezza lo por-tano a decidere il ritorno attraverso la Svizzera e la Germania.Che il grande successo europeo di cui Andersen ormai godeva da

qualche anno non si traducesse direttamente in una condizione dibenessere economico è dimostrato dal fatto che, proprio durante ilviaggio in Germania, Andersen firma con l’editore Lorck un con-tratto per la pubblicazione delle sue opere complete: è la prima vol-ta che la pubblicazione dei suoi scritti al di fuori della Danimarca gliporta un vantaggio economico. Proprio per l’edizione Lorck, An-dersen scrive la sua prima autobiografia, che è pubblicata in Germa-nia nel 1847. Una versione molto più ampia, La fiaba della mia vi-ta, esce in Danimarca solo nel 1855.Intanto Andersen è divenuto famoso anche in Inghilterra, e la

circostanza lo porta a esaminare l’eventualità di un viaggio nell’iso-

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la, che compie già nel 1847. Prende accordi per le future edizioni in-glesi delle sue opere e incontra fra gli altri Dickens, del quale diecianni dopo, nel 1857, sarà nuovamente ospite per qualche settimana.In alcuni ambienti danesi i suoi trionfi all’estero vengono ancoraconsiderati con ironia, ma lo scrittore si prenderà una vendetta nel-l’autobiografia del 1855, che in molti passi appare come uno scrupo-loso elenco di tutti gli attacchi subiti in patria, dei successi, delle re-censioni positive e negative.Nel 1849 viene pubblicata in Danimarca la prima edizione illu-

strata delle fiabe, grazie all’opera di Vilhelm Pedersen, che ancoraoggi è considerato, insieme a Lorenz Frølich, l’illustratore classico diAndersen. Dopo la pubblicazione di un nuovo romanzo, Le due ba-ronesse, nel 1848, Andersen riparte per un lungo viaggio in Svezia nel1849, descritto nel volume In Svezia, uscito due anni dopo. La si-tuazione politica, che dal 1848 vede la Danimarca opposta alla Ger-mania in una guerra triennale per il possesso dei ducati di confine, gliimpedisce per qualche tempo di lasciare la Danimarca. Solo nel 1851,e non senza dubbi e tentennamenti a causa della tensione politica,potrà nuovamente mettere piede nel paese confinante, che per lui èla porta dell’Europa. In compenso, il decennio dal 1850 al 1860 è unperiodo estremamente produttivo per le fiabe e lo vede in continuospostamento all’interno della Danimarca, a raccogliere finalmente itrionfi casalinghi, ospite di nobili e potenti. È anche il periodo in cuiAndersen, ormai uomo maturo, è colto dall’inquietudine per il futu-ro: la scalata al successo lo ha privato degli affetti, e il trionfo inter-nazionale non riesce a compensare la tristezza della solitudine.Durante un nuovo viaggio in Italia, nel 1861, assiste a Firenze ai

festeggiamenti del primo anniversario dell’Unità, visitando poinuovamente Roma, che del Regno d’Italia ancora non fa parte.L’anno seguente, grazie a una notevole somma di danaro ricevutaper la pubblicazione delle sue opere complete in Danimarca, partefinalmente per il viaggio in Spagna cui nel 1845 aveva dovuto ri-nunciare per motivi di salute. Lasciata la Danimarca nel luglio del1862 insieme al figlio del suo amico Edvard Collin, Andersen giun-ge a Barcellona a settembre e inizia un giro che lo porterà fino a Gi-bilterra e da lì in Africa per la prima volta, ospite del console gene-rale britannico a Tangeri. Nonostante il piacere per un viaggio alungo progettato, Andersen non apprezza appieno il soggiorno inun paese di cui non conosce la lingua e dove non ha amici né esti-matori. Al ritorno, nel marzo del 1863, scrive il suo quarto libro diviaggi, In Spagna, che esce lo stesso anno.

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La sua vita scorre ormai nei binari della celebrità e del benesse-re, anche se l’inquietudine giovanile è stata sostituita dal terrore diperdere ciò che ha conquistato. Ma continua a rifiutare ogni puntofermo nella vita. I numerosi amori giovanili, mai ricambiati e for-se, a volte, volutamente mai vissuti fino in fondo, hanno lasciato ilposto a una profonda solitudine, alleviata solo a tratti dal gusto delsuccesso, dalle amicizie che lo accompagnano per tutta la vita, dal-le visite quotidiane in casa dei vecchi amici, come un tempo, quan-do la povertà lo costringeva a organizzare la settimana fra i pranzie le cene a casa dei suoi benefattori. Andersen continua a vivere dasolo, oppure ospite per lunghi periodi nella villa della famigliaMelchior, poco fuori Copenaghen, o nella residenza di campagnadella famiglia Henriques. Solo nel 1866, al ritorno da un viaggio inPortogallo e quasi costretto da Henriette Collin, moglie del suoamico Edvard, decide a malincuore di acquistare qualche mobile eun letto – «e sarà il mio letto di morte» – privandosi con terrore diquel senso di libertà e provvisorietà che lo aveva accompagnato pertutta la vita.

Gli ultimi anni (1867-1875)

Ormai Andersen gode di meritata fama anche in Danimarca. Lacittà di Odense, che gli ha dato i natali, nel 1867 lo nomina cittadi-no onorario. La profezia della fattucchiera si avvera. La nuova cri-tica, nella persona di Georg Brandes – in un saggio che ancora oggiè considerato il primo lavoro critico importante sulla sua opera – ri-conosce i suoi meriti di innovatore del genere letterario della fiaba.Il 6 settembre del 1869, nel cinquantesimo anniversario del suo ar-rivo a Copenaghen, da lui ricordato sempre come il giorno più im-portante della sua vita, gli amici organizzano un banchetto in suoonore.La sua ansia di viaggiare lo porta per ben due volte, nel 1867, a vi-

sitare l’Esposizione Universale di Parigi, che poi ricorderà nella fia-ba La driade. Nel 1870 redige anche l’ultimo romanzo, Il fortunatoPer, riprendendo uno dei suoi temi preferiti, quello del fanciullo po-vero che, grazie al suo genio artistico, è destinato alla fama e al suc-cesso. Questa volta introduce una variazione nel finale, in cui il pro-tagonista Per, giunto all’apice della notorietà, mentre canta da prota-gonista in un’opera da lui stesso composta, incontra la morte per unattacco cardiaco: «Morto nella gioia della vittoria, come Sofocle ai

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giochi olimpici, come Thorvaldsen a teatro, durante la sinfonia diBeethoven […]. Fortunato fra milioni di altri».Ormai vecchio e malato, Andersen continua la serie delle fiabe,

pubblicando le ultime nel 1874. Ma già lo stesso anno si manifesta-no i primi sintomi di un cancro al fegato, e dopo un ultimo viaggioin Svizzera, cui nonostante la malattia e la vecchiaia non sa rinun-ciare, lo scrittore si spegne il 4 agosto del 1875 nella villa della fa-miglia Melchior.

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