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Paper presented at the national conference “Climate Changing Cities”, Venice May 23rd -24th 2013
Dall’adattamento urbano al cambiamento climatico alla resilienza urbana: il caso di
Barcellona, Spagna.
Chelleri¹², L.; Favaro³, A.; Lucchitta³, B.; Raventos⁴, J. e Fernandez⁵, M.
¹ Universitat Autonoma de Barcellona (UAB), Dipartimento di Geografia, Spagna.
² Urban Resilience Young Researchers Network (URB-Net). ³ Istituto Universitario di Architettura di Venezia (IUAV), Dipartimento di Progettazione e Pianificazione
in Ambienti Complessi, Italia.
⁴ CICSA, Support team to Urban Resilience Department- Barcelona City Council e URBIS Platform for
Resilience in Barcelona, Spagna.
⁵ Direttrice dei progetti di resilienza urbana, Ayuntamiento de Barcelona, Spagna. ABSTRACT L’adattamento delle città ai presenti e futuri impatti del cambiamento climatico è una sfida che
coinvolge qualunque contesto urbano. La preoccupazione di dover rispondere alla sinergia potenziale
tra lenti fattori di stress ambientale e possibili violente perturbazioni si sommano alle generali difficoltà
delle amministrazioni di governare in modo sostenibile il complesso sistema città – territorio –
ambiente. Alla luce di queste ipotesi, si presentano in quest’articolo delle riflessioni critiche atte ad
integrare il concetto di adattamento al cambiamento climatico (climate resilience), con un discorso più
generale sulla resilienza dell’intero sistema urbano (urban resilience). Il caso di Barcellona è usato come
esempio per spiegare come tradurre queste riflessioni di carattere metodologico e teoretico in
guidelines operative per la governance urbana.
Parole Chiavi
Resilienza Urbana, Adattamento al Cambiamento Climatico, Barcellona, Metabolismo Urbano, Gestione
Integrata del Rischio.
1. INTRODUZIONE.
Consolidate da più di una decada le ipotesi dell’IPCC (Parry, Canziani et al. 2007) ed aggiornate le stime
del primo report sul costo dell’adattamento al cambiamento climatico (CC da qui in avanti) (Stern and
Great Britain. Treasury. 2007), le città risultano al centro della crescente pressione per l’integrazione di
strategie di mitigazione ed adattamento al CC. Il ruolo centrale delle città è duplice. Da un lato la
globalizzazione dei mercati ha provocato una decentralizzazione delle produzioni, che indirettamente ha
fomentato il fenomeno delle città globali (Sassen 1991) quali nodi (strategici) funzionali di connessione
(e controllo) delle catene di produzione mondiali (Sassen 2009). Da questo punto di vista, quindi, la
conseguente e crescente urbanizzazione a scala mondiale (Habitat 2008) concentra in ambito urbano le
maggiori fonti d’impatti (diretti o di responsabilità di questi) sull’ambiente (Grimm, Faeth et al. 2008) e
quindi sul clima. Gli aspetti di mitigazione del CC, quindi, si riferiscono alla centralità del ruolo degli
ambiti urbani in quanto maggiori responsabili delle sorgenti d’impatto. Da un altro punto di vista le città
sono punti nevralgici d’innovazione (Arbesman 2009; Moore and Westley 2011) capaci d’innescare
transizioni tecnologiche e socio-ecologiche (Ernstson, Leeuw et al. 2010).
La sfida e la difficoltà maggiore per le città è rappresentata dalla sinergia degli effetti (quindi impatti
potenziali) di breve e lungo periodo ai quali adattarsi. Fenomeni come intensificazione di uragani,
inondazioni e siccità si sovrappongono a degli obiettivi meno specifici e di lungo periodo come
l’aumento delle temperature, del livello dei mari, o la crisi ambientale a livello mondiale che
recentemente è stata rappresentata attraverso il modello che fa riferimento ai “limiti (ecologici) del
pianeta” (Rockström, Steffen et al. 2009). L’integrazione delle dinamiche urbane globali con la capacità
portante del nostro pianeta è stata infatti protagonista dei più recenti dibattiti scientifici sulla
sostenibilità (Steffen, Persson et al. 2011; Seitzinger, Svedin et al. 2012).
Le esperienze più rilevanti ed esempi pratici della volontà di affrontare le sinergie di queste sfide, si sono
espresse attraverso la nascita ed evoluzione di network internazionali e programmi specifici che
nell’ultimo decennio sono stati leader e guide in quanto a piattaforme online di sostegno alla transizione
verso la sostenibilità e adattamento al CC (vedi ICLEI, C40, UNISDR, etc.). Il concetto di resilient city è
stato infatti coniato, diffuso e supportato da questi network, riferendosi alla resilienza quale capacità di
un sistema di adattarsi al cambiamento proteggendosi dai rischi e impatti potenziali che il cambiamento
suppone “la capacità e abilità di una comunità di resistere agli stress, sopravvivere, adattarsi, riprendersi
da una crisi o di calamità. Resilienza dev’essere intesa come vantaggio sociale di sforzi collettivi per la
costruzione della capacità collettiva e l’abilità di sopportare lo stress” (ICLEI 2011).
La semplicistica e lineare concezione che pone resilienza e vulnerabilità come opposti concettuali (la
vulnerabilità decresce all’aumentare della resilienza di un sistema) trova una emergente complessità ad
una ricerca più approfondita (si rimanda a (Gallopín 2006)) e successivamente (Miller, Osbahr et al.
2010; Turner 2010). Infatti i frameworks incentrati sulla vulnerabilità (Adger 2006) e resilienza (Folke
2006) differiscono in quanto ad origini, strutture metodologiche d’impostazione ed analisi dei problemi
studiati. Ciò comporta e costituisce la base della critica che qui si propone al concetto di resilient city
incentrato alla sola riduzione del rischio legato a determinati impatti del CC. La mitigazione e
adattamento di determinati rischi infatti suppone una resilienza ad hoc (specific resilience) sviluppata
per diminuire effettivamente la vulnerabilità relazionata con quel rischio. Allo stesso tempo, da
un’esplorazione approfondita del concetto di resilienza, si capisce come questa metafora delle capacità
adattative nasce ed evolve dagli studi sui sistemi complessi (si rimanda alla letteratura dell’Istituto di
Santa Fe sui cosiddetti CAS, Complex Adaptive Systems, (Levin 1998) più che da una traduzione
etimologica dal latino resilio (ossia tornare-saltare indietro, allo stato di equilirbio-partenza). Le radici
quindi del concetto di resilienza sono infatti intricate e si sviluppano a partire da due principali binari
concettualmente lontani: uno (quello relazionato alle discipline ingegneristiche) enfatizzando il principio
di “capacità elastica” di ristabilire condizioni di equilibrio di un sistema, l’altro (dall’ecologia e molto più
complesso) si riferisce alle capacità di un sistema di rimanere in un regime funzionale (Holling 1973) ed
accettando le sinergie, interazioni e tradeoff tra diversi sistemi a differenze scale (Holling 1996).
Quest’ultima visione, basata sulla concezione di sistema adattativo e complesso , considera la stabilità in
termini evolutivi, e quindi di traiettorie, accettando la capacità di tornare allo stato di equilibrio nel
breve periodo simultaneamente alla capacità di adattare (quindi cambiare) le funzioni del sistema nel
medio periodo o accettare persino trasformazioni dei sotto-elementi del sistema al fine di mantenere la
traiettoria funzionale dell’intero sistema nel lungo periodo (Folke, Carpenter et al. 2010). Radicata in
una concezione socio-ecologica del territorio (Berkes, Folke et al. 1998) questa visione della resilienza,
sebbene criticata (Redman and Kinzig 2003), sembra avere legami più forti con la sostenibilità (Folke,
Carpenter et al. 2002; Fiksel 2006) che la mera proprietà (engineering resilience) relazionata con la
stabilità (che non ammetterebbe gli spazi per l‘evoluzione del sistema).
Quale visione e contesto disciplinare sia relazionata al concetto di resilient city non sembra infatti cosa
facile da definire in modo chiaro. Di fatto i testi che si riferiscono alla resilienza urbana spaziano
ampliamente tra quelli incentrati sulle capacità di recupero dai disastri naturali (Campanella 2006) alle
capacità di adattarsi e mitigare il CC (Newman, Beatley et al. 2009). La letteratura scientifica spazia allo
stesso modo esplorando i nessi tra resilienza e usi del suolo (Alberti and Marzluff 2004; Pickett, McGrath
et al. 2012), clima (Albers and Deppisch 2012), verde urbano (Barthel and Isendahl 2012), sistema
costruito (Colding 2007; Bosher 2008), dinamiche economiche (Douglass 2002), pianificazione
urbanistica (Wilkinson, Porter et al. 2010; Karrholm, Nylund et al. 2012), dinamiche regionali (Müller
2011), disastri naturali (Pelling 2003; Campanella 2006), terrorismo (Coaffee, Wood et al. 2008) ed infine
aspetti teorici relazionati con il concetto di resilienza urbana (Ernstson, Leeuw et al. 2010; Ahern 2011;
Pelling and Manuel-Navarrete 2011; Chelleri 2012; Davoudi, Shaw et al. 2012). Le discussioni più recenti
tendono ad ampliare il concetto di resilienza urbana aprendone interpretazioni meno statiche e quindi
accettando lo studio delle capacità d’innovazione (Ernstson, Leeuw et al. 2010) o trasformazione
(Olazabal M 2012) in un ottica multidisciplinare (Chelleri and Olazabal 2012).
Gli obiettivi di quest’articolo quindi, oltre ad esplorare varie soluzioni adottate dalla città di Barcellona
per adattarsi a concrete sfide poste dal CC (siccità ed inondazioni), sono quelli di sottolineare
l’esemplare strategia integrata che la città ha adottato recentemente nel riorganizzare diversi settori
dell’amministrazione pubblica per poter applicare il concetto di resilienza in maniera inter-settoriale,
facendone un esempio di riferimento mondiale. Nel far ciò si vuole presentare quali passi teorici
sottendono l’applicazione di questa dimensione integrata di resilienza urbana, aiutando a ridefinire un
nuovo approccio, legato al breve, medio e lungo periodo e quindi relazionato alla difesa della città dai
disastri naturali, all’adattamento del CC ed alla transizione verso un metabolismo urbano più sostenibile.
2 DEFINENDO IL CASO STUDIO DI BARCELLONA E GLI ELEMENTI DI VULNERABILITÀ CLIMATICA.
Barcellona è una città costiera ubicata in Catalogna, a 120 Km a sud dalla Francia. I fiumi Llobregat e
Besòs definiscono il perimetro rispettivamente a sud e nord del municipio (Vd Fig 1), mentre l’area
metropolitana ha urbanizzato i due estuari. Città dal centro compatto, con una densità media di 15.570
ab/Km2 risultante da 1.619.337 abitanti occupanti una superfice di appena 100 Km2 circa. Il clima
Mediterraneo caratterizza una città dove la temperatura media è di 16°C, la radiazione solare 1.502
KWh/m2 ed una media delle precipitazioni attorno ai 600 mm/anno (Servei_Meteorològic_de_Catalunya
2012).
Fig 1. Cittá di Barcellona, inquadramento territoriale. Fonte: autori a partire da Google Earth.
Nelle ultime decadi si sono verificate delle forti anomalie rispetto alla temperatura media annuale (Fig 2)
con onde di calore sia nel periodo estivo che invernale.
Figura 2 Evoluzione dal 1780 al 2011 dell’anomalia della temperatura comparata con la media annuale del periodo 1961-1990.
Fonte: Servei Meteoroògic de Catalunya.
Le conseguenze di queste tendenze anomale si riscontrano in un aumento generale degli eventi estremi,
che nel prossimo futuro si moltiplicheranno con una pressione maggiore nella zona litorale, come si può
vedere dalla tendenza per le precipitazioni illustrata in Fig 3.
Fig 3. Valore percentuale delle precipitazioni del 2011 rispetto alla media 1670-1990. Fonte: Servei Meteorològic de Catalunya.
In particolare per l’anno 2011 le precipitazioni hanno raggiunto valori che non si registravano dal 1914,
con 100 mm di pioggia in solo 2 giorni o un’intensità massima di 47,7 mm in 1 sola ora nell’area del
Raval a Barcellona (Servei_Meteorològic_de_Catalunya 2011). Ad un aumento degli episodi
d’inondazioni del centro urbano della città (causato dalla non capacità né adeguatezza delle
infrastrutture di drenare queste quantità d’acqua nel lasso ristretto di tempo) si sono alternate delle
gravi crisi di siccità.
Nell’anno 2007 e parte del 2008 la Catalunya affronta uno degli episodi di siccità più grave degli ultimi
60 anni (AGBAR 2009). L’area metropolitana di Barcellona (una popolazione di 3.239.337 di abitanti) è
supportata dal sistema Ter-Llobregat, il quale apporta una quantità media d’acqua ai 5 invasi di 789
hm3/anno con una domanda totale di 525 hm3/anno. L’apporto dal 2007 al 2010 è stato deficitario di
ben 177 hm3/anno di media (Dalmau 2008) portando la sostenibilità del sistema al suo limite. Nella Fig 4
s’illustrano i dati relativi a queste crisi e la relativa distribuzione del consumo tra gli usi in quegli anni.
Fig 4. Evoluzione delle riserve invasate con i periodi di allerta 1982-2009; acqua fatturata 2007-2008 per usoFonte: (AGBAR 2009).
Il secondo report sullo stato della vulnerabilità agli impatti del cambiamento climatico in Catalogna
(Segon informe sobre el canvi climàtic a Generalitat de Catalunya 2010) ha stilato una graduatoria dei
principali rischi naturali di cui soffre la regione, tra i quali inondazioni, incendi forestali, movimenti dei
versanti, tempeste, nevicate, forti siccità ed ondate di calore.
3 IL CONTESTO NORMATIVO E LE AZIONI SPECIFICHE PER L’ADATTAMENTO DEI FATTORI DI STRESS
CLIMATICO.
3.1 L’evoluzione del contesto normativo.
Nel 1992 il governo spagnolo istituisce il Consejo Nacional por el Clima (CNC) con il compito di
coordinare i diversi dipartimenti per creare una strategia di mitigazione al cambio climatico (CC).
L’Oficina Española por el Cambio Climatico, organo tecnico di appoggio del CNC, è stato fondato nel
2001. Nel 2006 il CNC e l’OECC approvano il primo Plan Nacional por el Cambio Climático (PNACC 2008).
Tra il giugno del 2007 e l’Aprile del 2009 l’UE pubblica il Libro Verde (COM(2007)354) ed il Libro Bianco
(COM(2009)14) sull'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa e sulle possibilità di intervento nei
vari paesi dell’unione. Le normative europee obbligano la Spagna a rivedere il primo PNACC con
l’introduzione di nuove tematiche che non erano state prese in considerazione. Nel 2009 viene
pubblicato il secondo programma di lavoro del (PNACC 2009).
A livello regionale, la Cataluña è stata una delle prime regioni a promuovere, nel 2002, uno studio
riguardo ai possibili effetti del CC sul territorio regionale: il I Informe del Cambio Climático en Cataluña
(Generalitat_de_Catalunya 2005) contiene le prime misure di mitigazione e adattamento riguardo ai
potenziali impatti del CC. Al fine di garantire una continuità al progetto “I Informe”, nel 2007 è stato
elaborato il II Informe del Cambio Climático en Cataluña (Generalitat_de_Catalunya 2010) all’interno del
quale sono stati elaborati scenari sugli effetti del CC. In seguito l’Oficina Catalana por el Canvi Climatic
(OCCC) istituisce, nel 2007, la Convencion Catalana por el Canvi Climatic (CCCC) per iniziare un processo
di consultazione pubblica per definire una metodologia per il Plan por la Mitigació al Canvi Climátic en
Cataluña 2008/2012 (PNACC 2008). Il risultato di questa consultazione è l’inquadramento per settori
delle misure di mitigazione finalizzate alla riduzione delle emissioni di GHG.
Nel 2011 il Governo Catalano stabilisce l’obbligo di redigere l’Estrategia Catalana de Adaptación Al Cambio Climático 2013/2020 (ESCACC)(Generalitat_de_Catalunya 2012), con lo scopo di ridurre la vulnerabilità derivante dagli effetti del cambio climatico (ESCACC, 2013-2020). L’esecuzione dell’ESCACC sarà realizzata grazie all’utilizzo di piani settoriale che verteranno sulle misure più urgenti per raggiungere gli obiettivi fissati per il 2020. La valutazione dei risultati di questi piani sarà condotta dall’OCCC, la quale deve presentare al governo e al parlamento un report sul progresso della strategia catalana (ESCACC, 2013-2020).
3.2 Rimedi ed azioni ad hoc per l’adattamento alle inondazioni e siccità.
Il CC non ha portato un fenomeno nuovo a Barcellona ma ne ha incrementato la frequenza e gravità. Le
inondazioni infatti, hanno caratterizzato con numerosi e tragici episodi il secolo scorso, e piani e
strumenti per l’adattamento urbano a questi disastri sono stati molteplici. Tra questi vi sono i piani per
le fognature come il Plan de Saneamiento del 1891, il Plan de Saneamiento de Barcelona y su área de
influencia del 1952, il Plan de Saneamiento de Barcelona del 1969, il Plan de Saneamiento Metropolitano
de 1981 ed il Plan Especial de Alcantarillado del 1988 (PECB) in cui furono introdotti i primi depositi
sotterranei di ritenzione in vista dei Giochi Olimpici del 1992 (Clabsa.es: consultato il 27/04/2013).
Questi grandi collettori unitari permettono l’evacuazione delle acque residuali e di pioggia, così da
proteggere la città dalle inondazioni durante le maggiori intensità di pioggia ed contemporaneamente gli
impianti di depurazione da possibili aumenti della portata, migliorandone così il funzionamento. Questi
depositi di ritenzione (foto in Fig 5) sono essenzialmente di tre tipi, come descritto in (Gago Lara 2010):
Depositi per le tempeste, con funzione anti-inondazione e anti-DSU, situati in zone molto
urbanizzate, son disegnati per periodi di ritorno di 10 anni e servono per ridurre le portate dei
sistemi unitari in tempo di pioggia.
Bacini di laminazione, costruite a cielo aperto con due funzioni: gestire le portate prima che
possano passare per zone con limitazioni di drenaggio o per compensare l’infiltrazione persa
per il processo di urbanizzazione. Queste non sono presenti nel municipio di Barcellona.
Depositi anti-DSU, costruiti in prossimità dei corpi recettori o dei collettori che portano al depuratore,
con l’obiettivo di ridurre l’apporto d’inquinanti.
Source: Clabsa.es. immagini dei depositi per le tempeste de Escola Industrial e di Joan Mir (Clabsa.es: consultato il 25/04/2013).
Grazie al Plan Especial de Alcantarillado del 1997 (PECLAB), ed infine l’attualizzazione di quest’ultimo, il
PECLAB del 2003 prevede nuove attuazioni per il miglioramento della rete, tra cui l’implementazione dei
collettori e dei depositi di ritenzione (Clabsa.es: consultato il 25/04/2013). Al 2013, nella città di
Barcellona sono stati costruiti 12 depositi di ritenzione con un volume totale di 722.200 m3, ed il piano
(PECLAB 2003) ne prevede la costruzione di altri 24 nella città e 6 in altri municipi limitrofi. Con la
costruzione dei suddetti depositi si vuole raggiungere l’obiettivo che solo il 10% delle piogge possa
produrre acque di scolo senza trattamento (Cabot Ple). Di fatto, nel 2011 sono state regolate 7.154.000
m3 di acqua pluviale (Figura 14), con le quali si è potuto evitate l’immissione di 1.784 tonnellate di
residui altamente inquinanti al mare (CLABSA 2011),
Diverso il discorso per adattarsi alle siccità del 2007 ed anni seguenti. Infatti, il Decreto de Sequía
84/2007, successivamente 257/2007 infine il 108/2008 si determinano gli scenari di eccezionalità ed
emergenza in funzione del volume presente negli invasi, definendo le corrispondenti misure di risparmio
del consumo d’acqua. I consumi domestici si ridussero del 10% tra il 2007 ed il 2008, arrivando a 103
l/ab/giorno (Dalmau 2008; AGBAR 2009). Dall’altra parte una serie d’interventi come la riabilitazione dei
pozzi, il recupero delle acque in uscita dall’Estación Depuradora de Aguas Residuales (EDAR) di El Prat de
Llobregat, e la costruzione di un impianto di desalinizzazione da 60 hm3/anno assicurano un buffer di
sicurezza per l’approvvigionamento d’acqua alla città (AGBAR 2009). Altre opzioni come i proposti ed
insostenibili travasi d’acqua dai fiumi Rodano, dall’Ebro, dal Segre e dal Noguera Pallaresa
(interconnessione delle varie reti regionali) andrebbe contro i principi della nuova Direttiva Acque
(2000/60/CE). L’aumento della domanda di 110 hm3/anno entro il 2025 (Agència_Catalana_de_l’Aigua
2008) definisce quindi nuove sfide per la città ancora poco resiliente alle siccità.
4 VERSO UN PROTOCOLLO DI RESILIENZA URBANA, L’INTEGRAZIONE DEL CC NELLA POLITICA E
PIANIFICAZIONE PERLA MITIGAZIONE DEI RISCHI.
In questo panorama di crescenti stress ambientali e climatici una serie d’incidenti relazionati con il
metabolismo urbano mettono in stato d’allerta la città. Nel 2007 infatti, anno della prima violenta siccità
un improvviso black-out lascia 300.000 della città senza elettricità per 3 giorni. Si somma a questo shock
un disservizio della rete ferroviaria dovuto ad un incidente durante i lavori per l’alta velocità. Questo
rappresenta un momento di svolta per la città. Il pensare in termini sistemici è stato reso evidente,
palese dai disservizi e potenziali incidenti a catena. Infatti si realizza che optare per un costoso
adattamento alle innondazioni semplicemente retenendo l’acqua non è sufficente se parallelamente la
città soffre di siccità. E la costruzione di un impianto di desalinizzazione dell’acqua come buffer
d’emergenza in caso di siccità non sarebbe una soluzione utile se durante unasiccità il sistema elettrico
cessa di funzionare a pieno regime. A questo punto che la città intraprende uno studio di diagnosi della
sua vulnerabilità, cercando di valutare la criticità delle interdipendenze tra le infrastrutture responsabili
del metabolismo urbano di Barcellona. La diagnosi denominata 3Ss Security on Services Supply si occupa
nel 2007 di: identificare le debolezze insite nel network delle infrastrutture nell’area metropolitana,
raccogliere e strutturare in modo integrato tutte le informazioni relative alle differenti infrastrutture
determinando programmi e progetti per migliorare la sicurezza della provvigione dei servizi. Una nuova
sezione interdipartimentale del municipio di Barcellona fu creata nel 2008: la TISU (urban infrastructure
resilience board of Barcelona). Il compito e responsabilità di questa sezione è la pianificazione e
coordinamento di 8 aree di critica importanza per la sostenibilità e resilienza del metabolismo urbano
della città (vd Fig 6).
Fig 6. TISU con l’organizzazione dei settori involucrati nell’integrazione per la resilienza urbana, riconoscimento di Barcellona come
Model for Resilience da parte di UNISDR ed infine URB-is, la piattaforma on-line per la resilienza. Fonte: web e municipio di
Barcellona.
Dalla diagnosi 3Ss ne consegue un programma composto da 43 progetti specifici, ed una rielaborazione
di 12 libri bianchi che dovrebbero incorporare il principio di resilienza, sicurezza ed interdipendenza
delle infrastrutture responsabili del metabolismo della città. Il cambiamento climatico, la sua
mitigazione ed adattamento rientrano quindi in un programma molto più ampio in cui una profonda
riflessione sui rischi cumulativi cui è sottoposta la città ed i suoi cittadini vengono ridotti e possibilmente
mitigati grazie ad azioni coordinate intersettorialmente grazie a questa nuova configurazione del TISU.
Parallelamente l’amministrazione si è dotata di una piattaforma per la resilienza urbana, atta a servire
come base interdisciplinare di discussione a diverse scale, promuovendo la condivisione di esperienze a
livello internazionale in quanto appoggiata da diversi network come ICLEI, C40, UNISDR, METROPOLIS ed
altri. Il concetto di rischio permea ed unisce trasversalmente quindi diversi settori, shock e risposte alle
emergenze con ri-organizzazioni a stress nel lungo periodo come quelli del CC.
5 DISCUSSIONE
Questo breve articolo di natura descrittiva cela sotto una forma poco tecnica un messaggio importante
circa le dimensioni che si possono declinare a partire dal generale concetto di resilienza urbana. Infatti,
come si è introdotto precedentemente, solo negli ultimi anni la positività di per sé del concetto di
resilienza, come invocata dai programmi resilient city di ICLEI o UNISDR o dalla metafora della smart city,
ha inziato a vedere le sue prime critiche (Prosperi and Morgado ; Lauer, Albert et al. 2013). Queste
vengono dalla solitamente mono-scalarità del concetto di resilienza, o dal suo mono-tematismo(Chelleri
2012). Infatti sin dalle origini del concetto di resilienza, nele scienze socio-ecologiche (Folke 2006), si
ribadisce che l’aumento o la riduzione della resilienza di un determinato sistema, ad una determinata
scala, è interelazionato con la resilienza di altri sistemi, ad altre scale (da qui il concetto di
Panarchia(Gunderson and Holling 2002), e la rilevanza quindi di stabilire sempre la domanda “resilience
of what to what” (Carpenter, Walker et al. 2001) quando si tratta di capire le dinamiche sistemiche
rispetto alle capacità resilienti e le vulnerabilità). Gli effetti transcalari che quindi si posso avere quando
una politica-piano-decisione vuole incrementare un tipo di resilienza sfuggono a volte dalla nostra
dimensione e percezione. Il sistema umano, quindi sociale ed economico, tende ad operare senza capire
a fondo le implicazioni interscalari delle decisioni-politiche-azioni quotidiane rispetto alle dinamiche dei
complessi sitemi socio-ecologici in cui viviamo (Ernstson, Leeuw et al. 2010). Da qui la stagnante
situazione d’insostenibilità, crescente pressione antropica e vulnerabilità del sistema globale naturale
che le nostre civiltà dominano (Grimm, Faeth et al. 2008; Rockstrom, Steffen et al. 2009; Steffen,
Persson et al. 2011). Il passaggio dal paradigma della sostenibilità a quello della resilienza si è costruito
acriticamente, pensando che la metafora “dell’essere adattabile”, ai rischi naturali, alla grave situazione
e minacce climatiche ed ambientali dei nostri tempi, possa esser un chiaro e pratico segnale di svolta nel
nostro modello di sviluppo e modus vivendi. Purtroppo però la metafora della resilienza tende ad essere
uno nuovo slogan, in cui anche il modello di mercato di un’azienda dev’esser resiliente nel senso di
adattabile alle sfide di mercato e crisi finanziarie (Balsas 2012). Non sempre il nesso con la sostenibilità
accompagna il concetto di resilienza (soprattutto in ambito urbano, mentre varie ipotesi sono state fatte
per quanto alle governance dal punto di vista di sitemi socio-ecologici (Fiksel 2006)), ed in ambito
accademico diverse scuole hanno criticato il concetto di resilienza perchè applicato settorialmente ad
una scala, optando per proposte complementari con maggior enfasi sugli aspetti di transizione verso la
sostenibilità (O'Riordan 2001; Kates and Parris 2003; Smith, Voß et al. 2010) oppure integrando in
maniera multidisciplinare il concetto di transizione sotto l’ombrella concettuale della resilienza (Collier,
Nedović-Budić et al. ; Chelleri 2012; Chelleri and Olazabal 2012). È proprio in quest’ultimo punto che la
città di Barcellona trova il suo esempio, cercando di dimostrare l’intregazione di scale e settori nella
traiettoria verso la resilienza della città.
Sebbene appena all’inizio del protocollo, e quindi appena lanciati i vari progetti e programmi, il fatto che
i piani di adattamento al CC siano a Barcellona solo una parte di una strategia a scala maggiore, urbana,
ed in stretta relazione con altri elementi della politica e pianificazione urbana, evidenzia l’intenzione di
applicare il concetto di città resiliente in modo amplio, transcalare ed integrato. L’integrazione si
stabilisce non tanto e solo tra i vari settori e piani, quanto attraverso una sinergia tra politiche ed azioni
volte ad una dimensione della resilienza “nel breve periodo” (di reazione, d’emergenza, d’attenzione al
mantenere in funzionamento il metabolismo urbano, le infrastrutture etc, evitando quindi possibili e
pericolose paralisi dovute da rischi naturali, climatici o tecnologici) e del “medio e lungo periodo” (ossia
pianificando per azioni che strutturalmente optano per un cambio tecnologico, economico, nel tipo di
infrastrutture e funzioni alla base del metabolismo urbano). Questi aspetti di breve e lungo periodo non
sempre convivono. Anzi concettualmente (e poi nella politica urbana quindi praticamente) la resilienza
“nel breve periodo” per se può instaurare delle dinamiche contro il cambiamento, atte a mantenere lo
status quo (urbano, territoriale, economico etc). D’altra parte una resilienza “nel lungo periodo”, quindi
atta alla transizione verso la sostenibilità del sistema, può rappresentare delle sfide notevoli
politicamente, socialmente ed economicamente, in quanto si mette in gioco l’equilibrio attuale di una
città e si opta quindi per un cambio (che normalmente si traduce in conflitti relazionati con
l’accettazione “del nuovo” e di perdita dell’attuale sistema e rete socio-economica). Conciliare questi
due aspetti ed includere i valori di transizione nella metafora della resilienza è “la” sfida del secolo.
L’insostenibile attuale traiettoria dello sviluppo antropico, supportata da relazioni di libero mercato a
livello globale, risulta propensa ad interpretare la resilienza come una metafora del mantenere lo status
quo, difendendosi dalle minacce climatiche e rischi naturali piú che interpretarla come l’invito a
cambiare modello economico a tutto sfavore delle attuali proficue speculazioni sulle diseguaglianze
mondiali. Anche a piccola scala, di città, introdurre il concetto di transizione oltre ad esempi puntuali di
smart quartieri (disegnati, finanziati e construiti ex novo in zone solitamente non dense di significati ed
identità), risulta una sfida eccezionale in quanto ridefinirebbe gerarchie, e quindi poteri, funzioni e ruoli.
La città di Barcellona, non di certo esente dall’avere barriere di potere nella ridefinizione possibile di
ruoli e gerarchie, ha però saputo trovare un concetto trasversale e multidisciplinare capace d’innescare
politiche di transizione: il concetto di rischio (cumulativo).
Come visto dagli esempi riportati la città di Barcellona introduce il concetto di rischio a catena (o
cumulativo) nel momento in cui capisce che l’adattamento alla siccità, alluvioni etc non è effettivo se
non integrato con altri settori e scale. Allo stesso tempo ci si rende conto che il rischio di siccità per se è
interdipendente dal funzionamento delle rete elettrica, delle dinamiche sociali di uso e consumo
responsabile dell’acqua in tutta le regione, ed infine del saper innescare una transizione in quanto a ri-
uso dell’acqua, oltre ad uso. Infatti l’elemento di resilienza nel breve periodo è nel caso di Barcellona
l’impianto di desalinizzazione, ma contemporaneamente si sono messi in atto progetti per la
decentralizzazione nel lungo termine della gestione dell’acqua e la transizione verso la diversificazione
delle fonti della risorsa stessa (quindi programmi di captazione ed uso dell’acqua piovana e di riuso delle
acque grige in alcuni quartieri). Il concetto di rischio di siccità non è più legato quindi al clima (siccità in
quanto scarsità di piogge) ma ad una serie di fattori di natura sistemica, ossia climatica, sociale di uso
dell’acqua, di diversificazione delle infrastrutture per il riuso dell’acqua, di transizione del metabolismo
urbano verso una raccolta (e quindi produzione) di altre fonti d’acqua.
L’uso di questa nuova dimensione di rischio ha portato all’accetazione di diverse transizioni in vari
settori, e quindi integrato un’approccio relazionato al metabolismo urbano con la dimensione del CC.
CONCLUSIONI
La riflessione di natura qualitative proposta da questo articolo riporta ai paradossi, difficoltà o
fraintendimenti dell’appliazione della metafore di resilienza in ambito urbano. Si esplora il caso della
città di Barcellona dopo un amplio state of the art circa il concetto di resilienza, ed in particolare di
resilienza urbana. Il caso studio è trattato in modo descrittivo citando sfide, impatti e soluzioni applicati
nella città nell’ultima decada (2000-2010) soprattutto per i due più importanti impatti climatici legati
all’acqua: siccità ed innondazioni. Dopo aver spiegato le limitazioni delle puntuali risposte a questi due
stress si presenta il nuovo quadro intersettoriale di organizzazione della governance urbana attorno al
concetto di resilienza urbana, che a Barcelona vuole integrare una visione sitemica, interscalare ed
intersettoriale, volta a considerare la resilienza alle emergenze (nel breve periodo) e simultaneamente
quella degli stress nel lungo periodo (transizioni nel lungo periodo). La chiave per operativizzare
quest’approccio integrato è la centralità del concetto di rischio. Grazie ad un’analisi del “rischio a
cascata” riguardante l’interdipendenza delle infrastrutture, il metabolismo urbano e la propria
sostenibilità della città stessa passano attraverso un nuovo programma di resilienza e quindi transizione
verso la sicurezza dei cittadini (intesa per sicurezza dei cittadini la mitigazione dei rischi relazionati con
gli impatti del CC, sicurezza nel vivere in un ambiente urbano privo d’incidenti tecnologici, in termini di
garanzia di un’ambiente urbano sostenibile nel lungo periodo quindi in armonia con servizi ecosistemici
e valori ambientali, etc). Sebbene solo in fase d’implementazione dei primi progetti e di definizione del
protocollo di resilienza, la città di Barcellona dimostra un chiaro segnale si voler rompere la barriera del
resilience as maintaining the status quo, dimostrandosi pronta ad integrare scale, settori e dimensioni
della resilienza.
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