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511 1 Il cantiere è stato attivo nei mesi: dicembre 2008 - febbraio 2009 (responsabili delle indagini: Dario Rose e Federica Mi- carelli); aprile 2009-gennaio 2010 (responsabili delle indagini: Daniela Mancini e Fabio Catracchia); luglio-dicembre 2010 (al momento di andare in stampa il cantiere è ancora aperto; re- sponsabile Fabio Catracchia). In prima istanza, gratitudine e stima vanno al Commissario Stra- ordinario per le opere metropolitane di Roma e Napoli, Arch. Roberto Cecchi e all’Arch. Sonia Martone, alla Dott.ssa Marina Sapelli Ragni (Soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio) per il supporto costante e determinante manifestato nel corso del procedimento. Ringraziamo per il capace e generoso contributo quanti hanno collaborato allo scavo: Flavio Altamura, Maria Antonietta Ca- stagna, Enzo Cocca, Rossella Gullì, Giuseppina Mutri, Raffaele Piatti, Andrea Sebastiani e Noemi Tomei. Un ringraziamen- to particolare va ai Dirigenti di MetroC, che hanno compreso l’importanza del ritrovamento e hanno finanziato le indagini e le ricerche; siamo altrettanto grati alla Land srl., cui è affidata la competente gestione del cantiere. Le Autorità Comunali, in particolare il Sindaco Marco De Carolis e l’Assessore ai LL.PP Claudio Quaranta, hanno sempre sostenuto e apprezzato il la- voro svolto. Gratitudine e affettuosa riconoscenza vanno a quanti sono ve- nuti in visita sullo scavo e ci hanno offerto consigli e spunti di studio: Andrea Cardarelli, Alberto Cazzella, Giovanni Carboni, Umberto Nicosia dell’Università di Roma Sapienza e Mario Rol- fo dell’Università di Roma Tor Vergata; Anna Paola Anzidei e Stefano Musco, Annalisa Zarattini e Roberto Mazzoni rispetti- vamente della Soprintendenza Speciale di Roma e della SBAL; Grazia Bulgarelli e Loretana Salvadei della Soprintendenza Spe- ciale per la Preistoria e Protostoria L. Pigorini; gli amici e colle- ghi Pamela Cerino, Enrico Devoti, Roberto Dottarelli, Romina Monti, Giuseppe Pulitani; gli studenti dell’insegnamento di Pa- letnologia dell’Università di Roma Tor Vergata; Daiana Spinetti. 2 La pluralità dei beni individuati ha reso indispensabile un approccio di studio multidisciplinare, che in questa sede viene parzialmente anticipato in attesa di una edizione definitiva; il gruppo di lavoro è così articolato: Biagio Giaccio ha curato gli aspetti sedimentari, geoidrologici e climatici; Giuseppina Mutri l’industria litica e le macro-tracce d’uso; Beatriz Pino Uría e An- tonio Tagliacozzo le faune e gli strumenti su osso; Claudio Ca- vazzuti i reperti antropologici; Olga Rickards e Gabriele Scor- rano le indagini di antropologia molecolare; Fabio Catracchia le problematiche stratigrafiche e i contesti romani; Margherita Malorgio l’ossidiana e Maria Letizia Carra la paleobotanica; Mi- L’attuale Stazione di Pantano ricade nel com- prensorio del Comune di Montecompatri, a lato dell’odierna via Casilina e ai margini meridionali di una estesa piana, paludosa, oggi bonificata e destina- ta a colture agricole, conosciuta con il nome di Pan- tano Borghese (fig. 1). La peculiarità del sito è strettamente collegata alla natura geo-idrologica dell’ ambiente: si tratta, infatti, 1. Premessa Nel corso di indagini, effettuate preliminarmente alla realizzazione di un parcheggio collegato al Ter- minal della nuova tratta metropolitana di Roma 1 , è stata individuata un’ampia area di frequentazione pluristratificata riferibile a due distinti periodi cro- nologici: l’eneolitico e l’epoca romana. Pantano Borghese (Montecompatri, Roma). Un insediamento preistorico nel territorio gabino Micaela Angle – Fabio Catracchia – Claudio Cavazzuti – Biagio Giaccio – Margherita Malorgio – Daniela Mancini – Giuseppina Mutri – Beatriz Pino Urìa – Antonio Tagliacozzo Fig. 1. Panoramica generale dell’area (elab. B. Giaccio).

Pantano Borghese (Montecompatri, Roma). Un insediamento preistorico nel territorio gabino

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1 Il cantiere è stato attivo nei mesi: dicembre 2008 - febbraio 2009 (responsabili delle indagini: Dario Rose e Federica Mi-carelli); aprile 2009-gennaio 2010 (responsabili delle indagini: Daniela Mancini e Fabio Catracchia); luglio-dicembre 2010 (al momento di andare in stampa il cantiere è ancora aperto; re-sponsabile Fabio Catracchia).In prima istanza, gratitudine e stima vanno al Commissario Stra-ordinario per le opere metropolitane di Roma e Napoli, Arch. Roberto Cecchi e all’Arch. Sonia Martone, alla Dott.ssa Marina Sapelli Ragni (Soprintendente per i Beni Archeologici del Lazio) per il supporto costante e determinante manifestato nel corso del procedimento. Ringraziamo per il capace e generoso contributo quanti hanno collaborato allo scavo: Flavio Altamura, Maria Antonietta Ca-stagna, Enzo Cocca, Rossella Gullì, Giuseppina Mutri, Raffaele Piatti, Andrea Sebastiani e Noemi Tomei. Un ringraziamen-to particolare va ai Dirigenti di MetroC, che hanno compreso l’importanza del ritrovamento e hanno finanziato le indagini e le ricerche; siamo altrettanto grati alla Land srl., cui è affidata la competente gestione del cantiere. Le Autorità Comunali, in particolare il Sindaco Marco De Carolis e l’Assessore ai LL.PP Claudio Quaranta, hanno sempre sostenuto e apprezzato il la-voro svolto.

Gratitudine e affettuosa riconoscenza vanno a quanti sono ve-nuti in visita sullo scavo e ci hanno offerto consigli e spunti di studio: Andrea Cardarelli, Alberto Cazzella, Giovanni Carboni, Umberto Nicosia dell’Università di Roma Sapienza e Mario Rol-fo dell’Università di Roma Tor Vergata; Anna Paola Anzidei e Stefano Musco, Annalisa Zarattini e Roberto Mazzoni rispetti-vamente della Soprintendenza Speciale di Roma e della SBAL; Grazia Bulgarelli e Loretana Salvadei della Soprintendenza Spe-ciale per la Preistoria e Protostoria L. Pigorini; gli amici e colle-ghi Pamela Cerino, Enrico Devoti, Roberto Dottarelli, Romina Monti, Giuseppe Pulitani; gli studenti dell’insegnamento di Pa-letnologia dell’Università di Roma Tor Vergata; Daiana Spinetti.2 La pluralità dei beni individuati ha reso indispensabile un approccio di studio multidisciplinare, che in questa sede viene parzialmente anticipato in attesa di una edizione definitiva; il gruppo di lavoro è così articolato: Biagio Giaccio ha curato gli aspetti sedimentari, geoidrologici e climatici; Giuseppina Mutri l’industria litica e le macro-tracce d’uso; Beatriz Pino Uría e An-tonio Tagliacozzo le faune e gli strumenti su osso; Claudio Ca-vazzuti i reperti antropologici; Olga Rickards e Gabriele Scor-rano le indagini di antropologia molecolare; Fabio Catracchia le problematiche stratigrafiche e i contesti romani; Margherita Malorgio l’ossidiana e Maria Letizia Carra la paleobotanica; Mi-

L’attuale Stazione di Pantano ricade nel com-prensorio del Comune di Montecompatri, a lato dell’odierna via Casilina e ai margini meridionali di una estesa piana, paludosa, oggi bonificata e destina-ta a colture agricole, conosciuta con il nome di Pan-tano Borghese (fig. 1).

La peculiarità del sito è strettamente collegata alla natura geo-idrologica dell’ ambiente: si tratta, infatti,

1. Premessa

Nel corso di indagini, effettuate preliminarmente alla realizzazione di un parcheggio collegato al Ter-minal della nuova tratta metropolitana di Roma1, è stata individuata un’ampia area di frequentazione pluristratificata riferibile a due distinti periodi cro-nologici: l’eneolitico e l’epoca romana.

Pantano Borghese (Montecompatri, Roma). Un insediamento preistorico nel territorio gabino

Micaela Angle – Fabio Catracchia – Claudio Cavazzuti – Biagio Giaccio – Margherita Malorgio – Daniela Mancini – Giuseppina Mutri – Beatriz Pino Urìa – Antonio Tagliacozzo

Fig. 1. Panoramica generale dell’area (elab. B. Giaccio).

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MICAELA ANGLE ET ALII

di un territorio vallivo dove sono sempre stati pre-senti fenomeni di apporto colluviale; questi hanno permesso la salvaguardia di livelli di frequentazione antica, periodicamente “seppelliti” dai sedimenti trasportati dalle acque. Il potente accumulo generato al di sopra degli strati antichi (indagati al momento fino a cinque metri di profondità dal piano di cam-pagna) e la valenza anaerobica dei limi in ambiente umido hanno consentito l’eccezionale conservazione di molti elementi in genere deperibili, ad esempio i resti paleobotanici e i punti di fuoco, costituti da argille scottate.

La notevole quantità di dati, afferenti all’ambito zoologico, botanico, climatico, artigianale, etc., pro-veniente dal contesto indagato, costituisce – quin-di – un patrimonio unico per la comprensione dei processi storici che hanno investito il Lazio nei pe-riodi più antichi2.

2. I rinvenimenti

Gli scavi hanno permesso di individuare, al di sotto di uno strato di recente formazione, tre fasi principa-li del sito, ascrivibili rispettivamente all’età romana, al Bronzo medio iniziale ed al periodo Eneolitico3.

La fase romana. Per questa fase sono state distinte due superfici di frequentazione legate allo sfrutta-mento agricolo dell’area. Il livello superiore (US 2), caratterizzato dalla presenza di numerose aree di combustione riferibili alle attività di pulizia dei cam-pi con bruciature delle stoppie e delle sterpaglie, è inciso da due paleoalvei naturali con direzione sud-ovest/nord-est4. Il livello inferiore (US 200) è con-traddistinto da diverse fosse per la piantumazione e da un complesso sistema di canalette che denota l’intensa attività di bonifica della zona5.

La fase del Bronzo medio iniziale. Al di sotto dei livelli già descritti è presente uno strato colluviale limo-sabbioso spesso circa m 0,80 (US 40/84), pri-vo di materiale archeologico sul quale, all’estremità ovest dell’area indagata, è stato esposto un canale largo circa m 6 con direzione sud-nord (US 610) e colmato da sabbie vulcaniche e ghiaie. L’analisi stra-tigrafica ha permesso di riconoscere un progressivo spostamento verso est dell’alveo del canale, dovuto

pasto di età arcaica ed un orlo di coppa emisferica in sigillata chiara africana (tipo Lamboglia 2a - Hayes 9a).6 Non sono attestati, al momento, altri elementi o strutture per-tinenti a questo periodo. Sono noti, tuttavia, siti prossimi con presenze riferibili al Bronzo medio: Colle Mattia e Castiglione, cfr. Angle 2008, 193-195.7 Le analisi sono state effettuate dal Centro di Datazione e Diagnostica - CEDAD del Dip. di Ingegneria dell’Innovazione dell’Università del Salento, www.cedad.unile.it.

caela Angle, Daniela Mancini e Andrea Sebastiani le produzioni artigianali; Adalberto Ottati i rilievi e fotopiani; Giovanni Co-lucci e Andrea De Angelis i calchi e le riproduzioni dei contesti.3 Cfr. Angle – Mancini 2011.4 Dall’US 2 provengono pochi frammenti ceramici, ma che at-testano tutte le produzioni di ceramica fine da mensa: pareti di vernice nera, sigillata italica, pareti sottili e sigillata africana. I materiali sono databili dal III-II sec. a.C. alla ceramica da cucina africana di fine IV - inizi V sec. d.C.5 Nell’US 200 è stato trovato un frammento di coperchio in im-

ad un maggiore regime di acque che ha depositato al suo interno anche pietre di medie e grandi dimen-sioni. Durante il Bronzo medio iniziale questo cana-le viene allargato e parzialmente irreggimentato con due sponde di pietrame, mentre il ramo secondario del canale, ora non più attivo, è stato risistemato con pietre e sfruttato come bonifica6 (fig. 2). I ricor-renti fenomeni di flusso e di deflusso delle acque e dei sedimenti hanno reso essenziali successive ope-re di manutenzione ed innalzamento della struttura (UUSS 4, 625 e 5). Sono state effettuate analisi al C14 su più campioni provenienti dalla bonifica; tra que-sti, un frammento di carbone ha restituito la datazio-ne non cal. di 3029 ± 40 BP, calibrata a 2 s di 1410 (91,2%)-1190 BC7.

I continui apporti di sedimenti colluviali dell’US 40/84 hanno obliterato la precedente fase di occu-pazione del sito riferibile ad un esteso insediamento Eneolitico, con numerosi resti di strutture abitative ed aree di lavorazione. Tali strutture sono state a più riprese coperte dai colluvi, che hanno interessato

Fig. 2. La bonifica del Bronzo medio iniziale, realizzata in pietrame, adiacente l’alveo del canale (foto M. Leti-zia).

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PANTANO BORGHESE (MONTECOMPATRI, ROMA). UN INSEDIAMENTO PREISTORICO NEL TERRITORIO GABINO

l’intera zona, ed hanno subito ripetuti rifacimenti e spostamenti.

La fase Eneolitica. Al di sotto dello strato collu-viale US 6198 è stato messo in luce il livello di abban-dono del sito US 629/633 su cui sono, comunque, riconoscibili limitate tracce di frequentazione, con isolati punti di fuoco e concentrazioni di materiali archeologici. Dallo strato provengono resti faunistici di medie e grandi dimensioni, rara industria litica, resti botanici riferiti a cereali e a leguminose, oggetti fittili, quali pesi da telaio e fuseruole, un affilatoio in pietra e rara industria su osso (fig. 3). Tra i frammen-ti ceramici rinvenuti vi sono ceramiche da mensa e grandi contenitori, spesso con decorazione a squame e cordoni, anse a nastro, a volte con bottone apica-le, ceramiche depurate con decorazioni a graticcio all’interno di bande o di triangoli, chiaramente riferi-bili alla facies eneolitica di Laterza9 (fig. 4).

Allo stato attuale delle indagini sono stati indi-viduati quattro principali momenti di frequentazio-ne all’interno dello stesso abitato. Il più recente si contraddistingue per la presenza di quattro strut-ture abitative, riconoscibili dalla presenza di piani pavimentali realizzati con piccole pietre e minuti frammenti ceramici disposti a creare un fitto vespaio (UUSS 650, 809 e 891) o con frantumi di cinerite10 (US 743) (fig. 5); lungo i loro margini sono stati in-dividuati diversi buchi per l’alloggiamento dei pali. Altre due strutture, caratterizzate dalla presenza di un fitto acciottolato (UUSS 694 e 722), sono state interpretate come vespai di preparazione per aree bonificate e pavimentali.

le dimensioni e frammenti di oggetti e lingotti in rame.9 Cfr. Angle – Mancini 2011.10 Materiale vulcanico ben riconoscibile in questo e in altri con-testi dei Colli Albani.11 Cfr. Angle – Mancini 2011.

8 La rimozione dello strato US 40/84 ha esposto, in quasi tut-ta l’area indagata, un precedente livello colluviale (US 619) che ha sigillato l’ultima fase dell’insediamento (US 629/633), corri-spondente al momento del suo abbandono. Lo strato ha restitui-to abbondante ceramica, una buona quantità di industria litica, sporadici semi carbonizzati, molti frammenti faunistici di picco-

Nella parte nord-est dell’area di cantiere è sta-ta, inoltre, rinvenuta una struttura in acciottolato (US 651), dove erano presenti abbondante fauna, ceramica ed elementi fittili e litici in disuso, come fuseruole e frammenti di macine e macinelli, proba-bilmente da riferirsi ad un’area di lavorazione/ma-cellazione degli animali o ad un “butto” legato alle attività di pulizia dell’area11. All’interno e all’esterno delle strutture sono stati rinvenuti numerosi punti di fuoco, costituiti da piccole aree di concotto, a volte strutturate con pietrame; è presente anche una piccola fornace, da ricondurre all’uso quotidia-no di cottura dei cibi, di tostatura dei cereali e di altre attività domestiche.

Il piano di frequentazione sottostante, parzial-mente indagato, ha restituito strutture in acciottola-to, forse da attribuire ad un vespaio, diverse aree di concotto, tra cui una piastra di cottura ed un’area di combustione ricca di carboni e semi carbonizzati, pro-babilmente legata alla tostatura dei cereali (US 634). L’analisi di due semi carbonizzati provenienti dall’US 634 ha restituito la datazione al C14 non calibrata di 3983 ± 45 BP, calibrata a 2 s di 2620 (95.4%)-2340

Fig. 3. Materiali provenienti dal livello US 629/633 (foto F. Ca-tracchia).

Fig. 4. A: Vaso con orlo decorato a tacche; B: Frammenti di vasella-me con superficie decorata a squame, rusticata, incisioni a graticcio (facies di Laterza) (foto F. Catracchia).

A

B

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BC. Sullo stesso livello, nell’area sud-est del cantiere, è stata esposta un’estesa area in acciottolato (US 721) con pietre di dimensioni eterogenee e sporadico ma-teriale archeologico con numerose buche di palo e tre sepolture ad inumazione (tt. 9, 10, 11).

Lo scavo di alcune trincee di approfondimento e di successive indagini in open area hanno consentito di rinvenire un livello precedente su cui si imposta un’ampia struttura in acciottolato12 (US 656/1077-8) ed alcune aree di combustione.

Il più antico livello di frequentazione del sito è caratterizzato anch’esso da estesi acciottolati, realiz-zati con pietrame anche di grandi dimensioni, bu-che di palo, zone di concotto ed un’area in argilla concotta di grandi dimensioni, forse legata ad una produzione artigianale di ceramiche. Al momento, queste evidenze sono state parzialmente indagate, ma i materiali recuperati sembrano riferirsi allo stes-so orizzonte cronologico già citato.

All’interno dell’abitato sono state rinvenute tredi-ci sepolture ad inumazione in fossa ellittica, in parte coeve ed in parte successive alla fase di frequentazio-ne più recente del sito (fig. 6). (M.A.- F.C.- D.M.)

3. Contesto stratigrafico-paleoambientale e suo signi-ficato climatico

L’area archeologica investigata si colloca al margine meridionale della zona depressa di Pantano Borghese sviluppata sul plateau delle ignimbriti del Complesso Vulcanico Colli Albani (fase detta del “Tuscolano-Artemisio”13 o del “Vulcano Laziale”14 datata tra ca. 560 e 350 ka15), degradante verso i quadranti setten-trionali, e parzialmente chiusa a nord dall’anello del maar di Castiglione e ad est/sud-est dai rilievi delle colate laviche di Monte Falcone e Saponara. Il sito si caratterizza quindi come un’area pianeggiante, reca-pito di brevi corsi d’acqua che incidono il versante settentrionale dei Colli Albani e che determinano frequenti impaludamenti (fig. 7).

15 Marra et al. 2004.16 Sadori et al. 2004; Drysdale et al. 2006.

12 L’area è attualmente ancora in corso di scavo.13 De Rita et al. 1988; De Rita et al. 1995.14 Giordano et al. 2006.

I livelli di abitato e frequentazione umana dell’Eneolitico e dell’età del Bronzo si inseriscono in una successione di sedimenti limosi alternati a lenti e corpi canalizzati sabbioso-ghiaiosi (fig. 8).

I caratteri sedimentologici ed il contesto morfolo-gico associato permettono di riferire questi depositi all’area distale di una piccola conoide alluvionale che si apre nel settore meridionale della depressione con apice ad est del Fosso dell’Osa (fig. 7).

Questi depositi ed il contesto archeologico ad essi associato documentano quindi una importante fase di instabilità morfologica con erosione e svilup-po della conoide alluvionale a partire da circa 4500 anni BP. Analoghi fenomeni alluvionali e/o colluvia-li, sub-coevi o più recenti, sono stati osservati diffu-samente nell’area dei Colli Albani (dati inediti dello Scrivente), fenomeni verosimilmente da attribuirsi agli effetti delle significative modificazioni antropi-che del paesaggio vegetale in epoca protostorica e romana.

Non si può tuttavia escludere anche il contribu-to di eventuali effetti geo-ambientali legati a cam-biamenti climatici che, a partire dalla seconda metà dell’Olocene, diventano sensibilmente più instabili, con rapide alternanze di fasi relativamente caldo-ari-de e fresco-umide; condizioni senz’altro favorevoli all’innesco di processi di erosione, diffusa e concen-trata, e formazione di coltri alluvio-colluviali.

In particolare, nell’area del Mediterraneo Centra-le, pollini ed altri proxy paleoclimatici suggeriscono condizioni particolarmente aride in Italia centrale intorno a 4,2 ka BP16. Durante questo periodo i li-

Fig. 5. Strutture abitativa, con piano pavimentale di piccole pietre e frammenti ceramici (US 743); sono visibili numerosi fori di palo (foto F. Catracchia).

Fig. 6. Tomba 12, in corso di scavo. Sepoltura bisoma di adulto con infan-te. Il defunto era stato posto in una piccola fossa ovale, in posizione fetale, probabilmente con gli arti legati (foto F. Catracchia).

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PANTANO BORGHESE (MONTECOMPATRI, ROMA). UN INSEDIAMENTO PREISTORICO NEL TERRITORIO GABINO

velli dei laghi di Accesa (Toscana), Fucino (Abruz-zo) e Mezzano (Lazio) erano particolarmente bassi17. Contemporaneamente il Ghiacciaio del Calderone (Gran Sasso, Abruzzo) sembrerebbe espandersi, in-dicando una diminuzione delle temperature estive18. Più recentemente, sulla base di dati pollinici, De Rita e Magri19 hanno evidenziato un significativo deterio-ramento delle foreste in tutta l’area dell’Italia cen-tro-meridionale intorno a 4000 anni BP, imputabile, secondo gli Autori, ad una significativa espansione verso nord dell’anticiclone nord-africano, che attual-mente entra nel Mediterraneo solo durante l’estate.

L’ipotesi di un clima sensibilmente più arido dell’attuale nel periodo di frequentazione del sito di Pantano Borghese sembrerebbe sostenibile anche sulla base delle attuali, osservate condizioni idrogeo-logiche dell’area, caratterizzata da una falda acquife-ra che, almeno nel periodo invernale, si pone costan-temente al disopra dei livelli archeologici.

Nel complesso quindi, i dati stratigrafici e idroge-ologici locali e le evidenze alla scala del Mediterra-neo sembrerebbero suggerire che la frequentazione del sito di Pantano Borghese si sia instaurata in un periodo sicuramente più arido dell’attuale, in un ambiente sensibilmente instabile, al margine di una conoide alluvionale attiva, le cui dinamiche sedimen-tarie interferiscono e, verosimilmente, condizionano la vita dell’abitato. (B.G.)

4. Analisi dei resti faunistici. Dati preliminari su economia di allevamento e caccia.

I dati archeozoologici presentati in questo lavoro devono essere considerati preliminari, dal momento che la maggior parte delle UUSS analizzate sono an-cora in corso di scavo. I reperti faunistici provengo-no, infatti, da contesti di diversa cronologia e funzio-nalità che riflettono differenze significative, sia per la quantità dei resti, sia per il tipo di conservazione del campione.

Sono stati analizzati, al momento, 1818 resti (tab. 1), la maggior parte dei quali costituita da fram-menti indeterminabili (69,2%). Le faune relative alla frequentazione romana e agli strati di riempimento della bonifica attribuibile all’età del Bronzo (rispet-tivamente 0,4% e 10,2% del totale analizzato) sono molto più scarse se confrontate con i livelli di ab-bandono del villaggio eneolitico (89,4% del totale recuperato).

In generale, la conservazione del campione non è buona ed è caratterizzata da un’alta frammentazione delle ossa e dei denti e, soprattutto, da una altera-zione delle loro superfici. Tale alterazione è dovuta per lo più ad agenti post-deposizionali che, in alcuni casi, hanno ridotto in maniera importante la densità dell'osso fino ad arrivare alla quasi totale disintegra-zione del reperto.

19 De Rita – Magri 2009.17 Giraudi 2004; Giraudi 2005; Magny et al. 2007. 18 Giraudi 2005.

Fig. 7. Vista tridimensionale e carta geologico-geomorfologica sem-plificata dell’area del sito archeologico (elab. B. Giaccio).

Fig. 8. Aspetto dei depositi sabbioso-ghiaiosi canalizzati all’interno della successione prevalentemente limosa dell’area del sito (elab. B. Giaccio).

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MICAELA ANGLE ET ALII

Analizzando più in dettaglio i livelli eneolitici (UUSS 619, 629 e 633), quelli con un alto numero di resti (tab. 1), il bue e gli ovicaprini sono i taxa più rappresentati con valori molto simili (38,5% e 37,7% rispettivamen-te), seguiti dal maiale (20,8%). È presente anche il cane (2%). L’attribuzione alle diverse classi di età si basa quasi esclusivamente sui denti, perlopiù isolati.

Non è possibile stabilire modelli certi di sfrutta-mento delle faune domestiche ma si possono avanza-re alcune ipotesi: in tutti i taxa sono presenti indivi-dui giovani, giovani-adulti e adulti ma con distribu-zioni diverse.

Per quanto riguarda gli ovicaprini, predominano gli adulti (> 24 mesi) e quindi il profilo tende verso l’utilizzo dei prodotti secondari.

Per il bue e per il maiale, invece, sono più rap-presentati i giovani ed i giovani adulti (fino 2 anni) quindi, con uno sfruttamento indirizzato verso il consumo carneo.

È da notare comunque che la modalità di conser-vazione varia secondo i contesti di provenienza.

Complessivamente i resti determinati apparten-gono quasi esclusivamente a taxa domestici (fig. 9). Gli elementi indeterminati sono stati divisi per re-gione anatomica di appartenenza: craniale, assiale (coste e vertebre) e appendicolare e rapportati alla taglia degli animali, intendendo con macromammi-fero gli animali delle dimensioni del bue, cervo e con mesomammifero quelli delle dimensioni di ovi-caprini, maiale e cane (tab. 1). Tra i domestici sono presenti rari resti di equidi di piccole dimensioni (Equus sp/E. caballus) rinvenuti sia nei livelli romani (un dente superiore ed uno inferiore) sia nei diversi riempimenti della bonifica del Bronzo (radio com-pleto, un frammento di femore ed un dente inferio-re). Tra i mammiferi selvatici è rappresentato il solo cervo, con pochi resti (una tibia e 6 metapodiali) dai livelli della bonifica.

Tab. 1.

Fig. 9. Resti faunistici dai livelli del Bronzo me-dio iniziale, con strie da macellazione (foto Bea-trix Pino Uría).

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PANTANO BORGHESE (MONTECOMPATRI, ROMA). UN INSEDIAMENTO PREISTORICO NEL TERRITORIO GABINO

Il riconoscimento delle tracce di macellazione è stato influenzato dalla cattiva conservazione delle su-perfici ossee. Le evidenze della manipolazione delle carcasse si circoscrivono, al momento, alle sole strie. Queste sono state rilevate in 12 reperti, localizzate soprattutto in corrispondenza delle epifisi e prodotte durante la fase di disarticolazione degli arti. Da no-tare la presenza di due atlanti (uno di ovicaprino ed uno di maiale) con strie trasversali localizzate sulla faccia ventrale che fanno ipotizzare lo sgozzamento come metodo d’uccisione.

Elementi lavorati in dente e osso. Sono stati ritro-vati alcuni elementi d’industria in materia dura ani-male, quasi tutti relativi al momento di abbandono dell’abitato eneolitico (fig. 10). Ad eccezione di un pendente forato su incisivo di ovicaprino (fig. 10/C) e due punteruoli (uno su tibia di ovicaprino (fig. 10/A) ed un altro su scheggia di osso lungo) conservati in-tegri, il resto del campione è molto frammentario. Al momento sono presenti soprattutto biseaux (fig. 10/B) e, meno rappresentati, elementi appuntiti. Al-tri reperti presentano tracce di lavorazione ma non è possibile attribuirli ad una categoria tipologica certa. Raramente è stato possibile determinare i taxa scel-ti per la realizzazione degli oggetti, tra i quali sono stati determinati gli ovicaprini ed il cervo. I supporti riconosciuti sono, principalmente, ossa lunghe sia di macro sia di mesomammiferi e, più raramente, costa di macromammifero. (B.P.U.- A.T.)

presentato durante il prossimo Convegno Lazio e Sabina, nel mese di marzo 2011.

20 Lo studio dei numerosi resti, rinvenuti in tredici sepolture ri-ferite all’insediamento eneolitico, è attualmente in corso e sarà

5. Analisi dei resti antropici

In questa sede si presenta lo studio preliminare rela-tivo al rinvenimento effettuato, nel corso della prima esplorazione del sito, dello scavo della grande boni-fica, inquadrata cronologicamente nell’ambito della media età del Bronzo20.

All’interno del riempimento della seconda fase della bonifica (US 428) è stato rinvenuto un cranio isolato con la parte anteriore rivolta verso il basso in posizione di appoggio non naturale (fig. 11).

Il cranio si presenta in pessime condizioni di conservazione, lacunoso di buona parte del neuro-cranio e ancor di più dello splancnocranio. I fram-menti sono inglobati in una matrice limo-sabbiosa di colore bruno scuro con una forte presenza di mica biotite. La parte mancante del cranio, dato l’aspetto delle fratture non fresche, sembra essere stata persa in antico, forse a seguito della traslazione e ridepo-sizione del cranio. Non sono stati rilevati traumi, né patologie ossee sull'orbitale e sul tavolato cranico, e neppure patologie dentarie (carie o ipoplasie dello smalto).

Sono presenti:- un grosso frammento di parietale;- alcuni frammenti di medie dimensioni di occi-

pitale;- un frammento di orbitale abbastanza spesso e

arrotondato;- due frammenti di mascella (emimascella destra

con m1 deciduo oltre che C, P3 e P4 permanenti

Fig. 10. Oggetti lavorati in osso o dente dai livelli eneolitici: punteruolo (A), biseau (B), pendente (C) (foto Beatrix Pino Uría).

Fig. 11. Resti di un cranio umano in scavo, rinvenuto nella bonifica del Bronzo medio iniziale (US 428) (foto F. Catracchia).

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MICAELA ANGLE ET ALII

occorre menzionare la presenza, sebbene sporadica, di selce rossa, rocce basaltiche e ossidiana.

La morfologia della materia prima osservabile su alcuni supporti e il grado di arrotondamento del cortice spesso presente sui ravvivamenti di nucleo suggeriscono un’ origine alluvionale della selce chia-ra e della selce rossa, che venivano verosimilmente raccolte in situ in corrispondenza di vicini corsi d’ac-qua. L’uso occasionale di rocce basaltiche doveva av-valersi ugualmente di materiale locale, anche se non alluvionale, mentre evidentemente esotica è l’ossidia-na, attestata da soli tre manufatti presenti nella fase del Bronzo, sottoforma di un grattatoio e due chip24. I pochi elementi a disposizione non permettono di definire la morfologia dell’ossidiana nel momento in cui veniva introdotta nel sito.

La maggior parte dei manufatti presenta altera-zioni della superficie tipo white patina e glossy ap-pareance, in genere determinate dall’immersione o dal contatto dei manufatti con acqua e dall’esposi-zione a significative variazioni di temperatura25. Lo stato di frammentazione dei supporti (lame, lamelle e schegge) e dei manufatti ritoccati risulta elevato e genericamente attribuibile ad eventi meccanici post-deposizionali. In tal senso l’unica eccezione potreb-be essere costituita dalle punte di freccia, spesso frat-turate in senso trasversale, come esito di impatto.

Per quanto riguarda l’analisi delle fasi della se-quenza operativa, emerge la presenza di residui di nuclei a piattaforma multipla non organizzata (fig. 12/1), i cui ultimi distacchi sono costituiti da schegge. I supporti prevalenti sono le schegge (fig. 12/2), ma è attestata anche la presenza di lame e la-melle. In ogni caso sono frequenti i supporti prima-ri (fig. 12/6), che rappresentano le prime fasi della sequenza operativa e sottolineano una lavorazione in situ dei manufatti, dimostrata anche dall’alta fre-quenza di scarti di lavorazione, ravvivamenti di nu-cleo e débris.

non erotti; emimascella sinistra con m1e m2 deci-dui e M1 erotto);

- un M2, un P, un C mascellari sinistri non erotti, un I2 mascellare sinistro già erotto ma con la

radice non completamente formata;- altri piccoli frammenti di corone dentarie, di

neurocranio e splancnocranio.Il grado di sviluppo dentario indica un’età alla

morte compresa tra 7 e 9 anni; il sesso risulta difficil-mente determinabile, sebbene il margine sopraorbi-tale arrotondato farebbe propendere maggiormente per il sesso maschile. La causa di morte non è riscon-trabile dal materiale analizzato.

Pratiche analoghe di dislocazione e accumulo intenzionale dei crani in aree specifiche di abitati e aree funerarie sono già attestate soprattutto a partire dall’età del rame, durante il Bronzo Antico e fino alle prime fasi del Bronzo Medio, in contesti alpini e di pianura, sotto tumuli o ripari sotto-roccia21 e in Italia peninsulare in grotta22. (C.C.)

6. Analisi tecno-tipologica e funzionale dell’industria litica

L’industria litica23 rinvenuta nel sito di Pantano Bor-ghese è stata analizzata tenendo in considerazione se-paratamente i manufatti provenienti dalle UUSS attri-buite all’età del Bronzo e da quelle attribuite alla fase di occupazione Eneolitica. Dal punto di vista quanti-tativo il materiale rinvenuto risulta essere esiguo. La struttura riferita al Bronzo ha restituito 45 manufatti, mentre all’occupazione eneolitica sono sinora attri-buibili 61 manufatti. Per quanto concerne gli aspetti tecnologici non sembrano emergere particolari diffe-renze tra le due fasi di occupazione, suggerendo una sostanziale continuità funzionale dell’insediamento.

La materia prima scheggiata è costituita quasi esclusivamente da selce chiara e microcristallina, ma

venuti nelle torbiere difficilmente databili ma probabilmente attribubili al BA, le attestazioni di dislocazione del cranio sono trentasei. Ad esse si devono aggiungere i recenti ritrovamenti di sepolture prive di cranio provenienti dal tumulo di Sant’Eu-rosia (PR) databile al BA (Bronzoni et al. c.d.s.).22 Cocchi Genick 1996, 361-373, con bibl. Daniela Cocchi Ge-nick considera invece varie attestazioni di dislocazione selettiva del cranio in contesti funerari in grotta pertinenti ad un arco cronologico assimilabile, almeno per le prime fasi, a quello sopra citato per l’Italia settentrionale, cioè dalla tarda età del rame al BM: esempi significativi di tale pratica provengono dalla Tanac-cia di Brisighella (due crani), e dal complesso di Belverde di Ce-tona (in totale almeno sei crani). Alla Tana della Mussina, altro contesto funerario in grotta ascrivibile alla tarda età del Rame (Tirabassi 1979, 1-3), i rilievi di Gaetano Chierici evidenziano la deposizione selettiva di crani con tracce di esposizione al fuoco in una zona specifica della cavità naturale su di una sorta di “al-tare” naturale. 23 Il presente studio si riferisce ai manufatti litici rinvenuti nel sito fino al 30-10-2009.24 Il Chip è una scheggia di dimensioni inferiori ai mm 15.25 Lemorini 2000.

21 De Marinis 2003, 28 e bibliografia annessa. De Marinis elenca diversi ritrovamenti di resti umani ed in particolare di crani provenienti da contesti protostorici dell’Italia settentrio-nale, mettendoli in relazione con pratiche analoghe attestate nell’Europa continentale per lo stesso periodo. Vengono citati numerosi casi di disarticolazione e dislocazione dei crani dal-le sepolture originarie (tombe acefale e deposizioni selettive del cranio): Romagnano loc, Mezzocorona Borgonovo, La Vela Valbusa, Riparo del Santuario di Lasino, Grotta del Ma-iale di Valbrona-Mandello, Alba per il BA; Stenico, Bovolone per il BM. L’evidenza delle “tombe acefale” e delle “rondelle craniche”, cioè di elementi d’ornamento prodotti da ossa di cranio umano, viene messa in relazione con il ritrovamento di crani e altri resti umani in contesti abitativi palafitticoli e non palafitticoli, quando non privi di datazione attribuibili al BA (Fimon, Lavagnone, Bande di Cavriana, Barche di Solferino, Cattaragna, Fiavè, Ledro, Lucone, Canàr, Dossetto di Noga-ra, Montorfano, Comarcia, Oiletta di Aselogna, Demorta e/o Bellanda), al BM e BR dalle terramare e altri abitati (Castione dei Marchesi, Montata, Montecchio, Marendole, Poviglio), e al BF-primo ferro (Lozzo Atestino, Este Morlungo, Este Ca-nevedo). Se si comprendono dieci casi di elementi cranici rin-

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PANTANO BORGHESE (MONTECOMPATRI, ROMA). UN INSEDIAMENTO PREISTORICO NEL TERRITORIO GABINO

Fig. 12. Strumenti litici (dis. G. Mutri).

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MICAELA ANGLE ET ALII

sivamente gli esemplari privi di patine, con margini non arrotondati, regolari e di spessore non inferiore ad mm 1 . Complessivamente sono stati sottoposti ad osservazione al microscopio 10 manufatti, tra cui 6 schegge (UUSS 619 e 629), 2 lame (US 629), 2 la-melle (US 619). Sono state prese in considerazione tutte le variabili dei distacchi non intenzionali: loca-lizzazione del/dei distacco/distacchi, orientamento, distribuzione, inizio, termine, lunghezza, larghezza, localizzazione, orientamento e distribuzione. Un primo livello di analisi si è soffermato sulla semplice registrazione della presenza/assenza delle tracce nei manufatti osservati, al fine di evidenziare l’esistenza di un ruolo funzionalmente attivo del débitage. In una seconda fase del lavoro si è tentato di determina-re la natura funzionale delle macrotracce attraverso il confronto con il campione sperimentale, al fine di stabilire orientativamente il tipo di attività svolto e la materia lavorata.

Il risultato delle indagini ha fatto emergere la presenza di macrotracce che indicano una lieve in-tensità d'uso, dovuta a una breve durata dell’attività oppure alla lavorazione di manufatti piuttosto tene-ri. In particolar modo le caratteristiche dei distacchi mostrano i segni diagnostici di attività di taglio di materiale tenero (carne o fibre vegetali), indicata da distacchi traversali (attività di taglio) e con termi-nazione di tipo feather, indicativa della lavorazione di un materiale morbido e poco resistente30. In un numero molto ridotto di casi le scheggiature d'uso, pur mantenendo una localizzazione dorsale e un orientamento diagonale, mostrano una distribuzione più ravvicinata e regolare e una terminazione di tipo step, indicativa di un'attività di raschiatura svolta su materiale resistente (osso, legno)31.

Tra i manufatti ritoccati sono state osservate solo le punte di freccia, nel tentativo di individuare frat-ture determinate dall’impatto dei proiettili. Come già accennato, queste presentano spesso fratture trasversali nella porzione apicale del tipo snap, che potrebbero, almeno in alcuni casi, essere attribuite ad impatti con le prede. Sfortunatamente l’analisi ge-nerale delle condizioni dell’assemblage non consente di escludere che tali fratture siano state determinate da fenomeni meccanici e post-deposizionali. (G.M.)

7. Analisi dei reperti in ossidiana

I manufatti in ossidiana provenienti dallo scavo di Pantano Borghese sono, allo stato attuale delle inda-gini, costituiti unicamente da tre elementi32: il cam-

Dal punto di vista tipologico i manufatti ritoccati mostrano una preponderanza di punte di freccia, in genere di tipo bifacciale a ritocco coprente con pe-duncolo ed alette (fig. 12/12, 14, 15), oppure a base leggermente concava (fig. 12/10, 11, 13), con sezioni estremamente sottili. Sono presenti anche altri tipi di manufatti ritoccati, soprattutto grattatoi su scheggia (fig. 12/3, 9), schegge e lame ritoccate (fig. 12/4, 5), qualche bulino (fig. 12/7) e una semiluna (fig. 12/8). Nel complesso la produzione litica presente sembra omogenea e caratterizzata dallo sfruttamento di ma-teria prima locale per la fabbricazione di classi ma-nufatti litici di prima necessità destinati ad attività specifiche.

L’approccio comportamentale-funzionale che caratterizza l’analisi funzionale, così come codifi-cata da Semenov (1964), prende in considerazione diversi parametri ed è evidente che, a seconda del contesto, ciascun elemento può assumere diversa importanza. Bisogna infatti essere a conoscenza di tutti i fattori di alterazione a cui questo è stata sotto-posto dal momento del suo abbandono: il calpestio, lo stress termico da fuoco o da gelo, gli attacchi chi-mici, il dilavamento, l’abrasione, la disidratazione, la pressione meccanica, etc. Queste alterazioni posso-no rendere difficoltosa la lettura delle tracce d’uso e, nei casi estremi, alterare radicalmente la struttura dei manufatti fino a cancellare ogni traccia di usura. Nella maggior parte dei casi però le alterazioni non sono così definite e restano leggibili almeno le ma-crotracce, ovvero tutti i distacchi, compreso il ritoc-co intenzionale, provocati da forze di compressione esercitate sul bordo dei manufatti litici e osservabili a bassi ingrandimenti (al massimo 60x)26. Questa tec-nica (light-power approach) si avvale dell’uso di uno stereomicroscopio a luce riflessa27 e punta all’identi-ficazione delle tracce visibili, prevalentemente scheg-giature d’uso, di macro-arrotondamenti da usura e di fratture da impatto.

L’analisi delle micro-tracce o high-power approach utilizza invece un microscopio metallografico a luce rilfessa, che fornisce ingrandimenti ad alta risoluzio-ne e permette l’identificazione di politure e striature da uso28, oltre che, a partire dagli anni ‘90, della pre-senza di residui di materiali lavorati o resine utilizzate nell’immanicatura dei manufatti litici29. Nel caso dei manufatti rinvenuti a Pantano Borghese l’incidenza dei fattori di alterazione delle superfici risulta molto invasiva; pertanto è stato possibile applicare il light-power approach.

I manufatti sono stati selezionati secondo dei cri-teri molto rigidi, prendendo in considerazione esclu-

affermò definitivamente l’idea di una metodologia unica com-prendente light e high-power approach.30 Lemorini 2000.31 Lemorini 2000.32 Cfr. Angle – Mancini 2011.

26 Lemorini 2000.27 Tringham et al. 1974.28 Keeley 1980.29 In occasione del congresso tenutosi ad Uppsala (Svezia) nel 1989 “The interpretative possibilities of microwear studies”, si

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PANTANO BORGHESE (MONTECOMPATRI, ROMA). UN INSEDIAMENTO PREISTORICO NEL TERRITORIO GABINO

Tab. 3. Determinazione della provenienza dell’ossidiana. Analisi con La-ICP-MS: percentuale degli elementi in traccia in ppm; cam-pioni 2-85-86 (da Pantano Borghese).

Camp. 2 85 86IsotopoLi7 70.4 60.9 100.7Be9 10.5 9.3 6.2B11 32.8 69.8 213.9Na23 42516.9 33345.4 30323.6Mg25 302.1 278.5 215.1Si29 350579.5 363667.9 373484.1Ca43 5410.0 3273.7 5245.0Ca44 5208.1 3021.5 4920.7Sc45 3.2 1.9 1.7Ti49 715.7 539.1 438.6V51 1.1 1.2 0.5Cr53 1.7Co59 0.3 0.3 0.4Ni60 0.9 1.0 0.3Zn66 35.9 52.3 65.9Rb85 728.0 478.9 320.6Sr88 7.2 5.1 13.8Y89 72.1 37.4 31.8Zr90 406.0 207.9 143.1Nb93 85.3 58.6 32.8Cs133 55.4 48.4 16.8Ba137 10.7 9.7 13.2La139 127.3 69.8 49.2Ce140 214.4 152.5 104.2Pr141 21.1 13.8 10.0Nd146 73.4 45.1 34.6Sm149 13.6 8.1 7.0Eu151 0.1 0.0 0.1Gd157 10.8 6.1 5.1Tb159 1.8 1.0 0.9Dy163 10.5 6.3 5.6Ho165 2.2 1.3 1.1Er167 6.2 4.0 3.2Tm169 1.0 0.6 0.5Yb173 7.3 4.6 3.9Lu175 1.0 0.6 0.5Hf177 10.1 7.0 5.3Ta181 4.6 3.5 2.0Pb208 41.4 45.8 32.9Th232 74.9 57.5 43.7U238 17.1 19.8 16.1

pione 85 proviene dalla bonifica, datata al Bronzo medio iniziale, i campioni 2 e 86 provengono dal livello US 619, relativo all’abbandono dell’insedia-mento Eneolitico (cfr. supra).

Il campione 233, residuo di nucleo (US 619), ri-porta visibili tracce di sbrecciatura da alterazione meccanica lungo i bordi, mentre sulla faccia dorsale si osservano tre piccoli stacchi. Il manufatto conser-va il cortice sulla quasi totalità del corpo.

Il campione 86, piccola lamella (US 619), presen-ta anch’esso tracce di sbrecciatura (alterazione mec-canica) su entrambi i lati e sulla faccia dorsale anche alterazioni termiche. Quest’ultima presenta numero-si stacchi, mentre la faccia ventrale mostra un unico stacco. Non si osserva presenza di cortice.

Il campione 85, piccola scheggia (US 7b), mostra tracce di sbrecciatura da alterazione meccanica sul lato sinistro e destro; non si osserva presenza di cortice.

La lamella e il residuo di nucleo presentano un colore nero con tessitura fine e aspetto omogeneo, mentre la scheggia presenta un colore leggermente più chiaro, con tessitura non omogenea e aspetto opaco; tali caratteristiche, attraverso un’analisi ma-croscopica, ci permettono di ipotizzare che la fonte di appartenenza dell’ossidiana per i primi due manu-fatti (camp. 2 e 86) sia l’isola di Lipari, mentre per il terzo (camp. 85) sia l’isola di Palmarola.

Per avvalorare tali ipotesi è stato condotto uno studio finalizzato alla determinazione della prove-nienza geologica in base alla composizione chimi-ca34. La scelta dei tre reperti ha avuto come finalità l’individuazione delle relative aree di provenienza (sorgenti geologiche) della materia prima, attraverso l’utilizzo di diverse tecniche analitiche: SEM-EDXS (Microscopia a Scansione Elettronica con Spettro-metria X in Dispersione di Energia; tab. 2), ED-XRF (analisi di Fluorescenza RX in Dispersione di Ener-gia) e LA-ICP-MS (Ablazione Laser e accoppiamen-to Induttivo del Plasma con Spettrometria di Massa; tab. 3).

Tab. 2. Determinazione della provenienza dell’ossidiana. Analisi con SEM-EDXS: percentuale in peso degli ossidi campioni 2-85-86 (da Pantano Borghese).

n. reperto Na2O Al2O3 SiO2 K2O CaO Fe2O3

2 2.8 9.9 75.0 6.3 1.2 4.285 3.8 10.8 77.8 4.4 0.7 2.186 3.6 9.9 79.9 4.1 0.7 1.2

34 Tale lavoro è stato commissionato dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio alla Scrivente e al Prof. L. Cam-panella del Dipartimento di Chimica, Università degli Studi di Roma Sapienza; hanno collaborato allo studio Marco Ferretti (ITABC-CNR, Roma), Massimo Tiepolo (IGG-CNR, Pavia) e Daniela Ferro (ISMN-CNR, Roma) per le analisi SEM-EDXS.

33 La numerazione dei campioni proviene dalla studio delle analisi di provenienza di M. Malorgio in “Le vie dell’ossidiana: nuovi elementi per la conoscenza delle dinamiche di diffusione durante le fasi del Neolitico finale ed Eneolitico nel Lazio meri-dionale”, Tesi di Specializzazione in Preistoria, Scuola di Specia-lizzazione dell’Università degli Studi di Bari, Appendice a, Bari 27 Aprile 2010.

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MICAELA ANGLE ET ALII

I risultati ottenuti hanno permesso di evidenziare la differente provenienza dei tre manufatti, rispetto le ipotesi formulate inizialmente (tab. 4):

• il camp. 2, residuo di nucleo, risulta non attri-buibile attraverso il SEM35 e LA-ICP-MS, ma tramite la misurazione effettuata con l’ XRF36 e la sua appartenenza risulta essere la fonte di Palmarola;

• il camp. 85, piccola scheggia, risulta apparte-nere con certezza alla fonte di Palmarola;

• il camp. 86, piccola lamella, appartiene alla fonte di Lipari per due metodi, XRF e LA-ICP-MS37.

Tab. 4. Attribuzione dei reperti alle diverse sorgenti geologiche mediterranee italiane in base alle tre tecniche d’indagine utilizza-te: PAL = Palmarola, LIP = Lipari, n.a.= non attribuibile.

SEM XRF LA-ICP-MS2 n.a. PAL n.a.85 PAL PAL PAL86 PAL LIP LIP

Attraverso lo studio di provenienza possiamo rite-nere presenti nel contesto indagato due distinte fonti di approvvigionamento di questa importante mate-ria prima: Lipari e Palmarola. Tali risultati permet-tono di comprendere la complessità delle dinamiche del commercio e scambio durante l’Eneolitico e l’età del Bronzo nel Lazio meridionale ed in particolare nell’insediamento di Pantano Borghese.

La scarsità dei dati raccolti rende difficile la rico-struzione di un quadro dettagliato e unitario della produzione in ossidiana; è possibile, però, ipotizzare l’esistenza di un’area di lavorazione in loco di questo materiale, vista la presenza tra i manufatti raccolti di elementi di débitage. (M.M.)

8. Considerazioni conclusive

Lo scavo, seppur parziale, dei livelli eneolitici e la sequenza stratigrafica messa in luce mostrano una situazione complessa, legata a vari momenti ripetuti di frequentazioni e successivi abbandoni dell’area, o semplicemente vicini spostamenti, all’interno dello stesso arco cronologico.

La potenza dello strato e le diverse strutture in-dividuate indicano un’intensa attività quotidiana, consistente in macellazione e scarnificazione degli animali, tostatura delle granaglie, utilizzo di focolari per la cottura dei cibi, accumulo di rifiuti e di resti di pasto e successiva pulizia di aree comuni o familiari; sono ben documentate, tramite peculiari reperti, le

38 Cfr. ad es., Anzidei – Carboni 2000; Boccuccia et al. 2000; Zarattini – Petrassi 1997.39 Cazzella 2000, 23-25.

35 Acquafredda et al. 1999.36 Dati concessi in forma digitale da V.M. Francaviglia, in gran parte pubblicati in Francaviglia 1999.37 Barca et al. 2007.

attività artigianali di tessitura e la filatura, la produ-zione di strumenti litici, di contenitori ceramici e la metallurgia. Sono attestati anche scambi di materie prime e/o esotiche, testimoniati da frammenti di pa-nella in rame, la steatite e l’ossidiana.

Le fasi di frequentazione sono alternate a fasi di abbandono, cui corrispondono apporti colluviali: se l’area scelta per l’insediamento corrisponde sempre, le strutture abitative e le aree di servizio vengono, invece, ricostruite ex-novo con orientamenti diversi.

Allo stato attuale dello studio l’inquadramento del sito nell’ambito dei contesti coevi italiani è del tutto preliminare. Non bisogna dimenticare la pre-senza nello stesso territorio, compreso tra i Colli Al-bani, l’Aniene e la valle del Sacco, di numerosi siti in-sediamentali afferibili allo stesso periodo, rinvenuti nel corso di ricognizioni e scavi sistematici38. Questi presentano caratteristiche strutturali e culturali pro-fondamente affini a quelle riconosciute a Pantano Borghese, confermando quanto suggerito da Alber-to Cazzella dell’esistenza di una forte coesione delle comunità che occupano un determinato territorio, anche se connotate da suddivisioni e/o competizioni interne39.

Le importanti opere individuate mostrano in ogni caso la presenza di una ragguardevole comunità in grado di esercitare un significativo controllo logisti-co su un territorio che doveva essere particolarmen-te conveniente, per la presenza di peculiari risorse, all’impianto di culture cerealicole, all’allevamento e alla caccia ma, al contempo, di problematica gestio-ne per la presenza di pantani stagionalmente alimen-tati da precipitazioni e ruscellamenti. (M.A.- F.C.- D.M.)

Micaela angle Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio

[email protected]

Fabio catracchia Sapienza - Università di Roma

Dip. di Scienze St., Arch. Antr. dell’Antichità[email protected]

Daniela Mancini

Sapienza - Università di RomaI Scuola di Specializzazione in Archeologia

[email protected]

clauDio cavazzuti

Università degli Studi di FerraraDottorato di Ricerca, Dip. Biologia Evoluzionistica

[email protected]

523

PANTANO BORGHESE (MONTECOMPATRI, ROMA). UN INSEDIAMENTO PREISTORICO NEL TERRITORIO GABINO

beatriz Pino uría Sopr. al Mus. Naz. Preis. Etnogr. “L. Pigorini”

Sez. di Paleontologia del Quaternario e [email protected]

antonio tagliacozzo Sopr. al Mus. Naz. Preis. Etnogr. “L. Pigorini”

Sez. di Paleontologia del Quaternario e [email protected]

biagio giaccio c.n.r. - Ist. Tec. Applicate ai Beni.Culturali

[email protected]

Margherita Malorgio [email protected]

giusePPina Mutri

Sapienza - Università di RomaDip. di Scienze St., Arch. Antr. dell’Antichità

[email protected]

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