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Giambattista Sassi Note sul Medioevo ginosino. Tra ricerca archeologica e analisi delle fonti in “Genosa fa per sua impresa un castello”, a cura di G. Sassi e D. L. Giacovelli, Vestigia Temporis – Quaderni della Biblioteca Civica, 5, Matera 2007, pp. 59-92 INTRODUZIONE Oggetto del contributo di seguito presentato è una serie di dati raccolti negli ultimi due anni utili ad una più puntuale definizione di alcune delle principali tappe del medioevo ginosino. Vengono infatti proposti i dati preliminari di tre campagne di scavo archeologico, effettuate sia in area urbana che rurale, ovvero quella effettuata nell’estate 2005 nell’area del castello, quella praticata nell’inverno dello stesso anno nella centrale Via Allori ed infine le più recenti indagini condotte nella primavera 2006 all’interno della chiesa di Santa Maria Dattoli. Inoltre, nella premessa alle indagini sul castello, si approfondisce il tema storiografico dell’incastellamento, calibrando, ed in alcuni casi correggendo, quanto proposto dallo scrivente in seno al terzo volume della medesima collana Vestigia Temporis, circa le fasi della penetrazione normanna e del conseguente arroccamento. Parimenti nel quarto paragrafo viene ritrattato il tema della presenza teutonica nel territorio ginosino alla luce di nuovi spunti forniti da recenti pubblicazioni sull’argomento nonché grazie ad una rilettura critica dei documenti già noti. 1. GLI SCAVI NEL CASTELLO NORMANNO. 1.1. PREMESSA 1 . Nel mese di agosto 2005 è stata effettuata una breve ma proficua campagna di scavi archeologici sul pianoro retrostante il castello di Ginosa, in provincia di Taranto. Le indagini, condotte dallo scrivente sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, sono state coordinate dal Laboratorio di Ricerca Storica Mneme con l’ausilio di alcuni volontari dell’Associazione Legambiente. È stata indagata un’area di poco superiore ai cento metri quadri, corrispondente a circa un quarto della superficie complessiva del pianoro. La ricerca è stata finalizzata principalmente alla conoscenza delle prime fasi dell’arroccamento medievale legate al conseguente infeudamento normanno del territorio. A suggerire la presenza di depositi archeologici in quella porzione dell’abitato antico sono stati principalmente due indizi. Anzitutto una cisterna presente in quell’area che, svuotata dai volontari di Legambiente negli anni Novanta del secolo appena trascorso, aveva restituito conci di tufo affrescati con immagini di santi, in associazione con frammenti di ceramica invetriata databile tra XIII e XIV secolo, suggerendo la presenza di un luogo di culto medievale (cappella palatina?) successivamente distrutto. In secondo luogo l’analisi dei filmati e delle fotografie aeree dalle quali era possibile leggere l’andamento di alcune strutture murarie sommerse. In questa sede, partendo da una 1 Si ringraziano la Soprintendenza Archeologica per la Puglia nelle persone del Soprintendente dott. Giuseppe Andreassi e dell’Archeologo Direttore dott.sa Teresa Schojer; il Laboratorio di Ricerca Storica Mneme; il locale Comando dei carabinieri, nella persona del M.llo Francesco Capobianco, per le foto aeree; tutti i privati che con il loro contributo economico hanno sostenuto le indagini.

Note sul Medioevo ginosino. Tra ricerca archeologica e analisi delle fonti

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Giambattista Sassi

Note sul Medioevo ginosino. Tra ricerca archeologica e analisi delle fonti

in “Genosa fa per sua impresa un castello”, a cura di G. Sassi e D. L. Giacovelli, Vestigia Temporis – Quaderni della Biblioteca Civica, 5,

Matera 2007, pp. 59-92

INTRODUZIONE

Oggetto del contributo di seguito presentato è una serie di dati raccolti negli ultimi due anni utili ad una più puntuale definizione di alcune delle principali tappe del medioevo ginosino. Vengono infatti proposti i dati preliminari di tre campagne di scavo archeologico, effettuate sia in area urbana che rurale, ovvero quella effettuata nell’estate 2005 nell’area del castello, quella praticata nell’inverno dello stesso anno nella centrale Via Allori ed infine le più recenti indagini condotte nella primavera 2006 all’interno della chiesa di Santa Maria Dattoli.

Inoltre, nella premessa alle indagini sul castello, si approfondisce il tema storiografico dell’incastellamento, calibrando, ed in alcuni casi correggendo, quanto proposto dallo scrivente in seno al terzo volume della medesima collana Vestigia Temporis, circa le fasi della penetrazione normanna e del conseguente arroccamento.

Parimenti nel quarto paragrafo viene ritrattato il tema della presenza teutonica nel territorio ginosino alla luce di nuovi spunti forniti da recenti pubblicazioni sull’argomento nonché grazie ad una rilettura critica dei documenti già noti.

1. GLI SCAVI NEL CASTELLO NORMANNO. 1.1. PREMESSA1. Nel mese di agosto 2005 è stata effettuata una breve ma proficua campagna di scavi

archeologici sul pianoro retrostante il castello di Ginosa, in provincia di Taranto. Le indagini, condotte dallo scrivente sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, sono state coordinate dal Laboratorio di Ricerca Storica Mneme con l’ausilio di alcuni volontari dell’Associazione Legambiente. È stata indagata un’area di poco superiore ai cento metri quadri, corrispondente a circa un quarto della superficie complessiva del pianoro.

La ricerca è stata finalizzata principalmente alla conoscenza delle prime fasi dell’arroccamento medievale legate al conseguente infeudamento normanno del territorio. A suggerire la presenza di depositi archeologici in quella porzione dell’abitato antico sono stati principalmente due indizi. Anzitutto una cisterna presente in quell’area che, svuotata dai volontari di Legambiente negli anni Novanta del secolo appena trascorso, aveva restituito conci di tufo affrescati con immagini di santi, in associazione con frammenti di ceramica invetriata databile tra XIII e XIV secolo, suggerendo la presenza di un luogo di culto medievale (cappella palatina?) successivamente distrutto.

In secondo luogo l’analisi dei filmati e delle fotografie aeree dalle quali era possibile leggere l’andamento di alcune strutture murarie sommerse. In questa sede, partendo da una

1 Si ringraziano la Soprintendenza Archeologica per la Puglia nelle persone del Soprintendente dott. Giuseppe Andreassi e dell’Archeologo Direttore dott.sa Teresa Schojer; il Laboratorio di Ricerca Storica Mneme; il locale Comando dei carabinieri, nella persona del M.llo Francesco Capobianco, per le foto aeree; tutti i privati che con il loro contributo economico hanno sostenuto le indagini.

disamina delle poche fonti scritte note, si presentano i dati preliminari delle indagini archeologiche che andranno confortati dalle risultanza degli scavi programmati per l’autunno 2006.

1.2. IL ‘CASTRUM GENUSIUM’ E LE CONTEE DI CASTELLANETA E

MONTESCAGLIOSO NEI SECC. XI-XII. Le radici di un probabile, o quanto meno possibile, incastellamento del territorio

ginosino nel corso dell’XI sec. sono da ricercare nel più generale movimento di conquista normanna nel meridione della penisola italica2. I Normanni, popolazione di origine vichinga, iniziano la loro storia nel 911, quando a Rollone viene concessa, dal re francese Carlo il Semplice, la contea di Rouen. Nei decenni successivi questo popolo avvia un’intensa attività di conquista, espandendosi soprattutto nei regni di Francia e Inghilterra, nonché in Italia Meridionale.

Nel 1041, infatti, i figli di Tancredi d’Altavilla, Guglielmo Braccio di Ferro, Drogone e Umfredo, si lanciano, con altri avventurieri normanni, alla conquista dell’allora provincia bizantina di Puglia, assumendone di lì a breve il titolo ducale. Alla morte di Umfredo († 1057) il titolo ducale passa al fratellastro Roberto il Guiscardo che, con l’appoggio del papato, porta a compimento la conquista dei territori pugliesi, anche a discapito degli altri baroni normanni che mal gradivano la sua autorità3.

Nel quadro complessivo della geografia dei feudi normanni nel Meridione, sembra che l’attuale territorio ginosino fosse ripartito, nei secc. XI e XII, tra la contea di Castellaneta e quella di Montescaglioso4. Ne vediamo le ragioni.

Nel 1080 il Guiscardo conquista Mottola e Castellaneta, infeudandole, subito dopo, a suo nipote Riccardo d’Altavilla, figlio del conte Drogone, al quale verranno anche assegnate le funzioni di senescalcus, ovvero di maggiordomo della casa ducale pugliese5. L’ipotesi di un contestuale infeudamento di Ginosa al normanno, portate avanti da una lunga tradizione di studi6, sono suffragate da un documento del novembre 1094, mediante il quale il Senescalco donava a Pietro, abate di Cava, la chiesa di S. Pietro de Domo in Castellaneta, con terre che ad occidente arrivavano usque ad Lamam, ossia sino alla fonte di Lama ubicata in Ginosa, e a Palagiano, compresi, inoltre, il diritto di pesca nei fiumi Bradano e Lato7.

Tuttavia, il documento sembra essere un falso del XIII secolo. Nel 1226, infatti, il vescovo di Castellaneta era entrato in contrasto con i fratelli

dell’abbazia della SS. Trinità di Cava, i quali non volevano riconoscere alla mensa vescovile il censo dovuto dalle due chiese di S. Sabino e S. Matteo. La lite si protrasse per lunghi anni e tra gli argomenti della disputa si aggiunsero i diritti di proprietà della chiesa di S. Matteo de Domo da parte di Cava e della chiesa di S. Pietro de Domo da parte del vescovo.

2 G. SASSI, Ginosa normanno-sveva, Vestigia Temporis – Quaderni della Biblioteca Civica, 3, Matera 2004, pp. 62-67. 3 F. NEVEUX, L’espansione in Europa, in «I Normanni – Popolo d’Europa 1030 - 1200», Venezia 1994, p. 102. 4 C. D. FONSECA, Civiltà rupestre in terra jonica, Roma-Milano 1970, p. 33. 5 E. CUOZZO, La contea normanna di Mottola e Castellaneta, in «La chiesa di Castellaneta tra Medioevo ed età Moderna», Atti del Convegno nazionale di studio promosso in occasione del IX centenario della istituzione della Diocesi di Castellaneta (1087-1987), Lavello 1993, pp. 40-41. 6 Si citano, tra gli altri, A. GARUFI, Da Genusia romana al castrum Genusium dei sec. XI – XIII, in «Archivio Storico per la Calabria e la Lucania», III, 1, Bari 1933, pp. 12-16; C. D. FONSECA, Civiltà rupestre in terra jonica, cit., p. 33; P. BOZZA - M. CAPONE, Il castello di Ginosa, Putignano 1992, p. 51; G. SASSI, Ginosa normanno-sveva, cit., p. 58. 7 Si tratta di una pergamena contenuta nell’Archivio di Cava, perg. D 8, qui riportata secondo le citazioni di: G. GUERRIERI, Il conte Normanno Riccardo Senescalco (1081-1115) e i Monasteri Benedettini in Terra d’Otranto, Trani 1899, pp. 59-60; A. GARUFI, Da Genusia romana al castrum Genusium dei sec. XI – XIII, cit., Appendice Documento 6°.

Per tali ragioni, i cavensi fecero redigere un falso diploma di Riccardo Senescalco, datato al novembre 1094, mediante il quale il conte donava all’abbazia una chiesa in loco qui dicitur Domo, sanctus Petrus nomine, in realtà da sempre possedimento della chiesa cattedrale8.

È stato chiarito, inoltre, che la falsa donazione è un prodotto dell’ambiente cavense di fine XIII inizi XIV secolo. In quella sede fu prodotto un altro documento, altrettanto fasullo, attestante un'altra donazione effettuata dallo stesso Senescalco in favore, questa volta, dell’abate Urso di S. Maria di Banzi, dove è anche citato il possesso dei fiumi Bradano e Lato9.

Quanto poi all’eventualità che alcune delle odierne contrade ginosine, ovvero quelle del Pantano e della difesa Galaso, fossero state infeudate a Rodolfo Maccabeo, anch’egli nipote del Guiscardo poiché figlio del fratellastro Umfredo, abbiamo a sostegno un documento del 111910. Si tratta di una donazione effettuata da Emma, moglie del Maccabeo nonché figlia di Ruggero detto il Gran Conte, in favore di Guarino abate di S. Maria di Pisticci, passata poi al monastero di S. Arcangelo in Montescaglioso, di molte terre in Montescaglioso stessa.

Nella descrizione dei confini dei terreni donati sono appunto inclusi il Pantano e la difesa Galaso. Ad ogni modo, però, anche questo documento è risultato essere non autentico. Si tratta, in realtà, di un falso prodotto nel tardo XIII secolo dal monastero di S. Maria di Pisticci per vantare donazioni ottenute ab antiquo da Rodolfo Maccabeo e da Re Ruggiero II11.

In ultima istanza, acclarata la falsità dei due documenti che volevano Ginosa al confine delle due contee normanne di Castellaneta e Montescaglioso, sorge la necessità di chiarire quando e da chi fu realmente infeudato il territorio in esame. Per far ciò dobbiamo anzitutto ricercare il primo documento che possa dirsi veritiero in cui vengano citate le terre di Ginosa.

Nel Catalogus Baronum, riflettente la situazione amministrativa ordinata da Ruggiero II dopo il 1144, il territorio in esame è posto nella circoscrizione De Castellaneto12; in pratica, dopo la morte del Senescalco, feudatario di Castellaneta e Mottola, la Terra di Ginosa passa ai Chiaromonte13. Riccardo ed Alessandro la deterranno, insieme a numerosi altri feudi, sino alla fine degli anni venti di quello stesso secolo, ovvero sino a quando non ne vennero spogliati da Ruggiero II: questi, infatti, aveva conquistato Taranto, e gran parte della Terra d’Otranto, nel 1128, nel tentativo di riunire l’intera Italia Meridionale sotto un’unica monarchia.

Per quanto riguarda invece la costruzione del castello, la prima fonte certa circa l’esistenza di una struttura difensiva è contenuta nel cosiddetto “Statuto di riparazione dei castelli” redatto su commissione di Federico II, nel secondo quarto del XIII secolo14. Tuttavia un preesistente indizio è riscontrabile in un “Instromento de oblazione” datato 1142 in cui il monastero benedettino della Santa Parasceve è descritto «extra murum prefate civitatis» (con riferimento alla città di Ginosa)15.

8 Per maggiori dettagli circa la querelle tra i cavensi e la mensa, cfr. E. CUOZZO, La contea normanna di Mottola e Castellaneta, cit., pp. 54-58. 9 Archivio di Cava, perg. D 7, qui riportata secondo le citazioni di: A. GARUFI, Da Genusia romana al castrum Genusium dei sec. XI – XIII, cit., Appendice Documento 7°; E. CUOZZO, La contea normanna di Mottola e Castellaneta, cit., p. 55. 10 Qui si riporta la citazione contenuta in A. GARUFI, Da Genusia romana al castrum Genusium dei sec. XI – XIII, cit., Appendice Documento 12°; D. TUSEO, Storia di Ginosa, Pro Manoscripto, Taranto 1957, pp. 95-97. 11 E. CUOZZO, La contea normanna di Mottola e Castellaneta, cit., p. 67. 12 Garufi riprendendo il Catalogus secondo l’edizione Del Re (Cronisti e Scrittori sincroni, Napoli 1845, vol. I, pag. 576) scrive: «Robertus filius Bisancii in Genusio quartam partem feudi unius militis, et cum augmento obtulit se ipsum» cfr. A. GARUFI, Da Genusia romana al castrum Genusium dei sec. XI – XIII, cit., p. 14 e C. D. FONSECA, Civiltà rupestre in terra jonica, cit., p. 33. 13 A. GARUFI, Da Genusia romana al castrum Genusium dei sec. XI – XIII, cit., pp. 15-20. 14 G. SASSI, Ginosa normanno-sveva, cit., p. 57. 15 G. SASSI, Ginosa normanno-sveva, cit., p. 27.

In tal caso, però, si deve ipotizzare l’esistenza di un più complesso impianto difensivo dotato di un ampio circuito di mura di cinta a difesa dell’intero borgo.

In sintesi, abbiamo la ce

castrum di Ginosa entro la prima metà del XII secolo, nonostante la presenza del castello sia documentata solo dal secolo successivo. In questa incelungo circa cento anni si inserisce la necessità di avviare indagini mirate nell’area del castello, affinché le fonti materiali possano restscritti.

1.3 LO SCAVO16.

All’avvio dei lavori sono stati impostati per lo scavo tre quadrati, ognuno dei quali avelato di 5 metri; in corso d’opera l’evidenza rinvenuta ha reso necessario unificare le aree raggiungendo un open area dalla superficie complessiva di circa 100 mq.

Mediamente sono stati rinvenuti depositi aventi una potenza massima di 90 cm: al di sotto di questa quota relativa si trova il banco di roccia calcarea naturale. Una pulizia preliminare di tutto il pianoro ha comunque consentito la formulazione di alcune importanti osservazioni.

Intanto è da osservare come l’area sia naturalmente arroccata sui tre versanti Est, Nord, Ovest poiché dalla quota media di m 248,71 slm si passa ai circa 188 del fondo della gravina (con un imponente salto, quindi, di 60 metri). Questo salto di quota è stato accmediante ulteriore regolarizzazione delle prverticali).

Il versante Sud risulta oggi collegato al castello: ad ogni modo è possibile leggere anche qui un potente salto di quota successivamente colmato muri a scarpa seicenteschi del castello stesso. Però a Sud il salto di quota non è naturale, come per i restanti lati, ma artificiale: in sostanza il pianoro risulta isolato dal borgo mediante un fossato scavato appositamente per renderlo assolutamente inespugnabile

Tornando alla scavo, dapprima è stato effettuato uno scotico superficiale con l’ausilio di un piccolo mezzo meccanico, poi sono stati asportati gli strati superficiali (UU.SS. 1 e 2), risultati rimaneggiati dall’azione di aratri poco incidenti (dacché l’area è stata impiegata anche

16 Le indagini sono state realizzate nell’ambito della privata proprietà del cav. Calogero Parlapiano che qui si ringrazia per la cortesia accordata. Si ringrazia inoltre l’Amministrazione Comunale di Ginosa nelle persone del Sindaco avv. Luigi Montanaro e del Delegato alla Programmazione Culturale sig. Vitantonio Bradascio per aver messo a disposizione la scuola utilizzata come base logistica ed isuperficiale.

In tal caso, però, si deve ipotizzare l’esistenza di un più complesso impianto difensivo dotato di un ampio circuito di mura di cinta a difesa dell’intero borgo.

biamo la certezza che i normanni avessero avviato la fortificazione del di Ginosa entro la prima metà del XII secolo, nonostante la presenza del castello sia

cumentata solo dal secolo successivo. In questa incertezza determinata da un vuoto di forisce la necessità di avviare indagini mirate nell’area del castello,

ché le fonti materiali possano restituire alla storia pagine sinora negate dai documenti

All’avvio dei lavori sono postati per lo scavo tre

ti, ognuno dei quali avente lato di 5 metri; in corso d’opera l’evidenza rinvenuta ha reso

care le aree dalla

superficie complessiva di circa 100

Mediamente sono stati depositi aventi una

potenza massima di 90 cm: al di sotto di questa quota relativa si trova il banco di roccia calcarea naturale. Una pulizia preliminare di tutto il pianoro ha comunque consentito la formulazione di alcune importanti osservazioni.

è da osservare come l’area sia naturalmente arroccata sui tre versanti Est, Nord, Ovest poiché dalla quota media di m 248,71 slm si passa ai circa 188 del fondo della gravina (con un imponente salto, quindi, di 60 metri). Questo salto di quota è stato accmediante ulteriore regolarizzazione delle predette pareti del pianoro (rese assolutamente

Il versante Sud risulta oggi collegato al castello: ad ogni modo è possibile leggere anche qui un potente salto di quota successivamente colmato mediante un terrapieno e da uno dei muri a scarpa seicenteschi del castello stesso. Però a Sud il salto di quota non è naturale, come per i restanti lati, ma artificiale: in sostanza il pianoro risulta isolato dal borgo mediante un

mente per renderlo assolutamente inespugnabile (fig. 1)Tornando alla scavo, dapprima è stato effettuato uno scotico superficiale con l’ausilio di

un piccolo mezzo meccanico, poi sono stati asportati gli strati superficiali (UU.SS. 1 e 2), neggiati dall’azione di aratri poco incidenti (dacché l’area è stata impiegata anche

Le indagini sono state realizzate nell’ambito della privata proprietà del cav. Calogero Parlapiano che qui si ata. Si ringrazia inoltre l’Amministrazione Comunale di Ginosa nelle persone del

daco avv. Luigi Montanaro e del Delegato alla Programmazione Culturale sig. Vitantonio Bradascio per aver messo a disposizione la scuola utilizzata come base logistica ed il mezzo meccanico necessario per lo scotico

In tal caso, però, si deve ipotizzare l’esistenza di un più complesso impianto difensivo

viato la fortificazione del di Ginosa entro la prima metà del XII secolo, nonostante la presenza del castello sia

tezza determinata da un vuoto di fonti risce la necessità di avviare indagini mirate nell’area del castello,

tuire alla storia pagine sinora negate dai documenti

è da osservare come l’area sia naturalmente arroccata sui tre versanti Est, Nord, Ovest poiché dalla quota media di m 248,71 slm si passa ai circa 188 del fondo della gravina (con un imponente salto, quindi, di 60 metri). Questo salto di quota è stato accentuato

dette pareti del pianoro (rese assolutamente

Il versante Sud risulta oggi collegato al castello: ad ogni modo è possibile leggere anche mediante un terrapieno e da uno dei

muri a scarpa seicenteschi del castello stesso. Però a Sud il salto di quota non è naturale, come per i restanti lati, ma artificiale: in sostanza il pianoro risulta isolato dal borgo mediante un

(fig. 1). Tornando alla scavo, dapprima è stato effettuato uno scotico superficiale con l’ausilio di

un piccolo mezzo meccanico, poi sono stati asportati gli strati superficiali (UU.SS. 1 e 2), neggiati dall’azione di aratri poco incidenti (dacché l’area è stata impiegata anche

Le indagini sono state realizzate nell’ambito della privata proprietà del cav. Calogero Parlapiano che qui si ata. Si ringrazia inoltre l’Amministrazione Comunale di Ginosa nelle persone del

daco avv. Luigi Montanaro e del Delegato alla Programmazione Culturale sig. Vitantonio Bradascio per aver l mezzo meccanico necessario per lo scotico

come orto nei secoli più recenti), nei quali si è rinvenuta ceramica di diversa natura e cronologia (impasti dell’Età del Bronzo, suba.C., vernice nera e rari frammenti di pasta grigia afferenti alle fasi classiche, nonché invetriate databili tra XIII e XIV secolo e protomaioliche di XV sec.).

L’US 2 copriva l’US 16, strato di crollo delle strutture individuato lunestensione dello scavo. La potenza di questo strato rappresenta circa i tre quarti dei depositi scavati. L’US 16 copriva direttamente il filo delle strutture rinvenute, mentre nel quadrato “A” copriva l’US 29, uno strato a matrice cinerea all’idenari angioini: è evidente, quindi, che le strutture sono crollate (o sono state volontariamente rasate) dopo il XIII secolo.

1.4 LE FASI ARCHEOLOGICHELa fase più antica ad

oggi riscontrata è denunciata dalla presenza di tre tagli di forma circolare (UU.SS. 31, 39, 46) coperte da un solido battuto (US 52) frutto della calcificazione di elementi calcarei. All’interno dei tagli si è rinvenuta ceramica ad impasto (riconducibile ai secc. XIV-XIII a.C.) che consente di interpretare l’evidenza negativa quale buche di palo funzionali all’impianto di una capanna in età protostorica.

Come premesso, le ceramiche del protogeometrico, a vernice nera ed a pasta grigia lasciano ipotizzare una frequentazione del sito anche tra il VI ed il II a.C.. Lo scavo, però, ad oggi non ha restituito evidenza in positivo riconducibile a quei momenti dell’età classica.

Notevoli, invece, sono i segni lasciati dall’utilizzo del pianoro quale area di necropoli 2). Sono state individuate sette sepolture, di cui due ancora da scavare, tutte di forma antropoide, direttamente cavate nel banco roccioso e prive di un orientamento costante.

All’interno l’inumato è risultato sempre scomposto per via delle successive manomissioni e della pressoché continua frequentazione del sito. Gli elementi datanti per la necropoli sono al momento pochi: significativa una moneta rinvenuta al di sopra di una sepoltura e databile al 1040 circaall’età bizantina, ovvero precedentemente all’impianto del castello normanno.

Al di sopra della necropoli furono successivamente edificate una serie di strutture murarie, rinvenute quasi esclusivamente a livello di fondamenta, nonché una cper l’adduzione dell’acqua alla predetta cisterna. Gli strati indagati, principalmente l’US 16, sono però riferibili al crollo dei muri ed hanno restituito ceramica invetriata databile al tardo XIII

17 Follis in bronzo di zecca incerta (1030/35 Croce su una base a due gradini.

come orto nei secoli più recenti), nei quali si è rinvenuta ceramica di diversa natura e cronologia pasti dell’Età del Bronzo, sub-geometrica di produzione peuceta addu

a.C., vernice nera e rari frammenti di pasta grigia afferenti alle fasi classiche, nonché invetriate li tra XIII e XIV secolo e protomaioliche di XV sec.). L’US 2 copriva l’US 16, strato di crollo delle strutture individuato lun

sione dello scavo. La potenza di questo strato rappresenta circa i tre quarti dei depositi scavati. L’US 16 copriva direttamente il filo delle strutture rinvenute, mentre nel quadrato “A” copriva l’US 29, uno strato a matrice cinerea all’interno del quale sono stati rinvenuti anche tre denari angioini: è evidente, quindi, che le strutture sono crollate (o sono state volontariamente

E FASI ARCHEOLOGICHE. La fase più antica ad

oggi riscontrata è denunciata la presenza di tre tagli di

colare (UU.SS. 31, 39, 46) coperte da un solido

to (US 52) frutto della cazione di elementi

calcarei. All’interno dei tagli si nuta ceramica ad conducibile ai secc.

nte tare l’evidenza

negativa quale buche di palo funzionali all’impianto di una

Come premesso, le ramiche del

protogeometrico, a vernice nera ed a pasta grigia lasciano ipotizzare una frequentazione del sito anche tra il VI ed il II a.C.. Lo scavo, però, ad oggi non ha restituito evidenza in positivo riconducibile a quei momenti dell’età classica.

Notevoli, invece, sono i segni lasciati dall’utilizzo del pianoro quale area di necropoli . Sono state individuate sette sepolture, di cui due ancora da scavare, tutte di forma

de, direttamente cavate nel banco roccioso e prive di un orientamento costante. All’interno l’inumato è risultato sempre scomposto per via delle successive

ni e della pressoché continua frequentazione del sito. Gli elementi datanti per la necropoli sono al momento pochi: significativa una moneta rinvenuta al di sopra di una sepoltura e databile al 1040 circa17. Se il dato venisse confermato potremmo leg

ro precedentemente all’impianto del castello normanno.Al di sopra della necropoli furono successivamente edificate una serie di strutture

rie, rinvenute quasi esclusivamente a livello di fondamenta, nonché una cper l’adduzione dell’acqua alla predetta cisterna. Gli strati indagati, principalmente l’US 16, sono rò riferibili al crollo dei muri ed hanno restituito ceramica invetriata databile al tardo XIII

in bronzo di zecca incerta (1030/35 – 1042 ca.). D/ Busto di fronte del Salvatore con nimbo a croce; R/

come orto nei secoli più recenti), nei quali si è rinvenuta ceramica di diversa natura e cronologia geometrica di produzione peuceta adducibile ai secc. VI-V

a.C., vernice nera e rari frammenti di pasta grigia afferenti alle fasi classiche, nonché invetriate

L’US 2 copriva l’US 16, strato di crollo delle strutture individuato lungo l’intera sione dello scavo. La potenza di questo strato rappresenta circa i tre quarti dei depositi

scavati. L’US 16 copriva direttamente il filo delle strutture rinvenute, mentre nel quadrato “A” nterno del quale sono stati rinvenuti anche tre

denari angioini: è evidente, quindi, che le strutture sono crollate (o sono state volontariamente

nera ed a pasta grigia lasciano ipotizzare una frequentazione del sito anche per i secoli a cavallo tra il VI ed il II a.C.. Lo scavo, però, ad oggi non ha restituito evidenza in positivo riconducibile

Notevoli, invece, sono i segni lasciati dall’utilizzo del pianoro quale area di necropoli (fig. . Sono state individuate sette sepolture, di cui due ancora da scavare, tutte di forma

de, direttamente cavate nel banco roccioso e prive di un orientamento costante. All’interno l’inumato è risultato sempre scomposto per via delle successive

ni e della pressoché continua frequentazione del sito. Gli elementi datanti per la necropoli sono al momento pochi: significativa una moneta rinvenuta al di sopra di una

. Se il dato venisse confermato potremmo legare la necropoli ro precedentemente all’impianto del castello normanno.

Al di sopra della necropoli furono successivamente edificate una serie di strutture rie, rinvenute quasi esclusivamente a livello di fondamenta, nonché una canaletta in tufo

per l’adduzione dell’acqua alla predetta cisterna. Gli strati indagati, principalmente l’US 16, sono rò riferibili al crollo dei muri ed hanno restituito ceramica invetriata databile al tardo XIII

1042 ca.). D/ Busto di fronte del Salvatore con nimbo a croce; R/

secolo. L’US 29, strato di abbandono inttesoretto monetale costituito da tre

In mancanza di ulteriori elementi datanti circa l’edificazione di questo primo nucleo castellare potrà essere la necropolelementi utili. Infatti, la cronologia relativa suggerirebbe una coincidenza fra l’abbandono dell’area per scopi sepolcrali a vantaggio dell’impianto di edilizia militare.

Al di sopra del crollo, infine, sono stati rinvenuti una serie di sostegni (UU.SS. 5, 6, 7, 11, 14) allineati tra loro e funzionali all’alloggio di pali a sezione quadrangolare. La ceramica, in questo caso, suggerisce un contesto d’uso prossimo al secolo XV (protomaioliche), quando sul pianoro viene probabilmente alzata una struttura “leggera” forse utile al rimessaggio degli animali.

1.5 CONCLUSIONI.

Le indagini appena avviate sul pianoro retrostante il castello sembrano suggerire una frequentazione più che millenaria del sito. Indipendentemente dalle che emerge con chiarezza è uno sfruttamento ed una conoscenza degli l’area s’innesta, già consolidati in età protostorica.

Fra tutti i dati sin qui raccoloffre nuovamente una smentita rispetto a quella corrente di studi che vuole far coincidere l’antropizzazione della gravina con la sola età medioevale, dato già confutato con i pregressi scavi del rione Rivolta destinati all’indagine delle stratigrafie rinascimentali

Per quanto riguarda poi l’arroccamento, non possiamo escludere che il taglio operato artificialmente lungo il versante sud del pianoro sia stato effettuato nella stessa età del Bronal fine di realizzare un piccolo nucleo fortificato. Del resto la prima delle cinte murarie, da noi rinvenuta sul pianoro stesso, è realizzata con conci squadrati simili a quelli impiegati nelle fortificazioni indigene del Passo di Giacobbeimpiegato anche dalle popolazioni peucete.

2. GLI SCAVI NELLA CHIES

2.1. PREMESSA. Nel mese di febbraio 2006 sono stati avviati i lavori di restauro della piccola cappella

rurale, distante circa 4 km dal centro urbano di Ginosa, intitolata alla Santa Maria Dattoli 3). I lavori sono stati realizzati grazie ad un finanziamento P.O.R. Puglia 2000-2006 destinato alla “Tutela e valorizzazione del patrimonio rurale”, con la progettazione e la direzione lavori degli architetti Antonio Di Tinco e Cosimo Conte.

Il sito, già noto per una ricerca realizzata nel 2004 dallo scrivente19, è stato oggetto 18 G. SASSI, Ginosa Rupestre. Dati per una ricostruzi19 G. SASSI, La chiesa di Santa Maria Dattoli. Archeologia, Architettura e Storia

lo. L’US 29, strato di abbandono interno alle strutture, ha invece restituito un piccolo tesoretto monetale costituito da tre denari del Principato di Acaia (XIII sec.).

In mancanza di ulteriori elementi datanti circa l’edificazione di questo primo nucleo stellare potrà essere la necropoli, una volta indagata in tutta la sua estensione, a fornirci

elementi utili. Infatti, la cronologia relativa suggerirebbe una coincidenza fra l’abbandono dell’area per scopi sepolcrali a vantaggio dell’impianto di edilizia militare.

, infine, sono stati rinvenuti una serie di sostegni (UU.SS. 5, 6, 7, 11, 14) allineati tra loro e funzionali all’alloggio di pali a sezione quadrangolare. La ceramica, in questo caso, suggerisce un contesto d’uso prossimo al secolo XV (

che), quando sul pianoro viene probabilmente alzata una struttura “leggera” forse saggio degli animali.

Le indagini appena avviate sul pianoro retrostante il castello sembrano suggerire una llenaria del sito. Indipendentemente dalle facies di frequentazione, ciò

che emerge con chiarezza è uno sfruttamento ed una conoscenza degli habitatl’area s’innesta, già consolidati in età protostorica.

Fra tutti i dati sin qui raccolti forse questo è il più interessante, dal momento che Ginosa offre nuovamente una smentita rispetto a quella corrente di studi che vuole far coincidere l’antropizzazione della gravina con la sola età medioevale, dato già confutato con i pregressi

destinati all’indagine delle stratigrafie rinascimentali18Per quanto riguarda poi l’arroccamento, non possiamo escludere che il taglio operato

tificialmente lungo il versante sud del pianoro sia stato effettuato nella stessa età del Bronal fine di realizzare un piccolo nucleo fortificato. Del resto la prima delle cinte murarie, da noi rinvenuta sul pianoro stesso, è realizzata con conci squadrati simili a quelli impiegati nelle

Passo di Giacobbe. Ciò suggerirebbe la presenza di un ridotto difensivo piegato anche dalle popolazioni peucete.

LI SCAVI NELLA CHIESA DI SANTA MARIA DATTOLI

Nel mese di febbraio 2006 sono stati avviati i lavori di restauro della piccola cappella nte circa 4 km dal centro urbano di Ginosa, intitolata alla Santa Maria Dattoli

. I lavori sono stati realizzati grazie ad un finanziamento

2006 tela e

nio e la

direzione lavori degli architetti Antonio Di Tinco e Cosimo

Il sito, già noto per una cerca realizzata nel 2004 dallo

, è stato oggetto

Ginosa Rupestre. Dati per una ricostruzione della vita quotidiana nel tardo medioevo, Lecce 2004.La chiesa di Santa Maria Dattoli. Archeologia, Architettura e Storia, Matera 2004.

erno alle strutture, ha invece restituito un piccolo del Principato di Acaia (XIII sec.).

In mancanza di ulteriori elementi datanti circa l’edificazione di questo primo nucleo i, una volta indagata in tutta la sua estensione, a fornirci

elementi utili. Infatti, la cronologia relativa suggerirebbe una coincidenza fra l’abbandono

, infine, sono stati rinvenuti una serie di sostegni (UU.SS. 5, 6, 7, 11, 14) allineati tra loro e funzionali all’alloggio di pali a sezione quadrangolare. La ceramica, in questo caso, suggerisce un contesto d’uso prossimo al secolo XV (double deep ware e

che), quando sul pianoro viene probabilmente alzata una struttura “leggera” forse

Le indagini appena avviate sul pianoro retrostante il castello sembrano suggerire una di frequentazione, ciò

habitat rupestri, sui quali

ti forse questo è il più interessante, dal momento che Ginosa offre nuovamente una smentita rispetto a quella corrente di studi che vuole far coincidere l’antropizzazione della gravina con la sola età medioevale, dato già confutato con i pregressi

18. Per quanto riguarda poi l’arroccamento, non possiamo escludere che il taglio operato

tificialmente lungo il versante sud del pianoro sia stato effettuato nella stessa età del Bronzo, al fine di realizzare un piccolo nucleo fortificato. Del resto la prima delle cinte murarie, da noi rinvenuta sul pianoro stesso, è realizzata con conci squadrati simili a quelli impiegati nelle

irebbe la presenza di un ridotto difensivo

Nel mese di febbraio 2006 sono stati avviati i lavori di restauro della piccola cappella nte circa 4 km dal centro urbano di Ginosa, intitolata alla Santa Maria Dattoli (fig.

, Lecce 2004.

d’indagini archeologiche interne alla chiesa, condotte, anche in questo caso, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica per la Puglia e mirate al riconoscimento delle molteplici fasi edilizie presenti.

Sono invece tuttora in corso, nell’ambito del medesimo finanziamento, alcuni saggi di scavo all’esterno.

2.2. GLI OBIETTIVI DELLA RICERCA. Tra gli obiettivi principali delle indagini vi era quello di verificare la presenza di

stratigrafie riconducibili ad età romana tali da suggerire le presenza (o meno), nella contrada omonima alla chiesa, del municipium indicato dalle fonti antiche con il toponimo di Genusia.

Infatti, l’etnico genusini è già presente nel I sec. d.C. poiché citato da Plinio il Vecchio nella Naturalis Historia (III, 105), mentre l’ager Genusinus compare nel Liber Coloniarum di Frontino (I, 262). L’esistenza di un municipium è inoltre attestata ancora nel 395 d.C. da un decretum de patrocinio (Mommsen, CIL, IX, 259) emesso dai duumviri quinquennali Valerio Fortunato e Aurelio Silvano.

Tuttavia il sito dell’antica Genusia non è stato ancora scoperto. Un’errata corrente di studi identificava il tracciato della città romana nelle vie del centro storico20. L’ortogonalità di C.so V. Emanuele con le strade che lo attraversano aveva lasciato ipotizzare un sottostante impianto urbanistico antico, con insulae ordinatamente disposte secondo gli stilemi tipici delle città d’impianto romano.

In realtà gli scavi archeologici condotti dallo scrivente in quell’area (legati alla sorveglianza per l’impianto della nuova rete fognante) hanno rilevato la presenza di stratigrafie che partono dal XVIII secolo, a testimonianza di un quartiere di fondazione recente (C.so V. Emanuele, Via Garibaldi, Via Cavour).

Per quanto concerne l’archeologia, invece, salvo poche tracce della frequentazione romana riscontrate in P.za IV Novembre21, nonché un’epigrafe funeraria rinvenuta non in situ nella contrada Lama di Pozzo, alcuni indizi sembrano porre il sito dell’antica Genusia nella contrada della Madonna Dattoli, nel cui sottosuolo insiste un notevole acquedotto sotterraneo (realizzato in muratura) mentre in superficie sono stati rinvenuti rocchi di colonna riconducibili allo stesso periodo.

Questi elementi sembrerebbero confermati da una breve ricognizione di superficie che ha consentito di rilevare la presenza di numerosi frammenti marmorei (parti di elementi architettonici) nonché di numerosi frammenti di dolia e di laterizi. Dalla stessa area proviene, inoltre, un frammento di gorgone custodito presso il Museo Civico.

Vi sono, infine, condizioni di natura geologica che suggeriscono di ubicare il sito in quella contrada: intanto l’area è delimitata ad Ovest dalla gravina denominata Torrente Lagnone, ad Est dalla lama del Passo di Giacobbe, a Sud si stende un territorio soggetto in passato ad impaludamento (tanto da riscontrare tra i toponimi quello di Pantano), a Nord iniziano le prime formazioni delle murge con salti altimetrici scomodi per l’impianto di una città antica.

In sostanza tutti gli indizi (e di tali si tratta) sembrerebbero confluire verso un’identificazione di Genusia nella piana della Madonna Dattoli.

20 D. PETROSINO, Ginosa. Contrade, strade e piazze di un paese antico, Vestigia Temporis, Quaderni della Biblioteca Civica, 2, Ginosa 2002, p. 19. 21 G. SASSI, Dati per la compilazione di una carta di rischio archeologico. Per i comuni di Ginosa, Laterza, Castellaneta, Mottola, Palagiano e Palagianello, (in corso di stampa). Inoltre, nel luglio 2006, nel corso di lavori di piantumazione, lo scrivente ha individuato resti di una tomba alla cappuccina, già sconvolta, con frammenti ceramici riconducibili ad età romana.

Altro obiettivo della ricerca, non secondario al primo, era quello di verificdi livelli antropici anche per i periodi successivi a quello romano. L’ipotesi elaborata nel 2004 prevedeva una frequentazione continuativa per tuttopiccolo casale tale da giustificare, al momento dell’infeudamento normanno del territorio, l’impianto di una chiesa associato ad una presenza monastica di matrice benedettina.

Ed è su tali presupposti che si è a 2.3. LO SCAVO. Gli scavi archeologici condotti

all’interno della chiesa, nonché la lettura stratigrafica dell’elevato, hanno permesso d’individuare sei successive fasi che suggeriscono una frequentcontinuativa dell’area almeno a partire dall’età romana sino ad arrivare ai nostri giorni.

Alla fase I (IIIappartenevano due fosse circolari, di cui una (diametro 110 cm, profondità 70 cm) utilizzata per spegnere la calce, l’altra per lo scarico di laterizi; entrambe sembrano riconducibili alla presenza di un cantiere edilizio.

Alla fase II (VI-VII sec.) era invece riferibile una struttura muraria con andamento N-E/S-W, individuata negli ultimi due filari di fondazione (m 5x0,60x0,20), afferente ad una costrorientata diversamente rispetto alla chiesa attuale e costruita con bozze calcaree di medie dimensioni legate da un terreno a matrice argillosa (fig. 4). Questa prima struttura non sembra legata ad attività religiose, vrinvenimento negli afferenti livelli di ceramica d’uso comune (acroma e da fuoco).

La fase III (VIII-IX sec.) vede l’edificazione di un primo impianto ecclesiastico, di dimensioni ridotte rispetto all’attuale, pavimentato con lastrine di terracotta (cm 9x6x3) disposte di piatto una di fianco all’altro. Nello strato di terreno al di sotto del pavimento in pilastrini si rinviene ceramica da cucina ed anse a nastro tipiche dell’alto medioevo. Nell’XI sec., fase IV, la struttura viene ampliata mediante l’impostazione dei muri perimeesistenti, realizzati in bozze calcaree irregolari legate con un terreno a matrice argillosa. Vengono inoltre rimpiegati conci di notevoli dimensioni, sicuramente spoliati da una preesistente struttura romana, per i cantonali, l’abside e le apquesta fase è una data incisa su un concio impiegato nell’apertura in asse sul quale si legge “1215”. Questo evento è probabilmente da lquindi ipotizzare che i quattro ambienti funzionali al ricovero dei monaci stessi.

A questa fase, inoltre, appartiene una tomba individuata tra i due pilastri centrali lungo il lato nord, realizzata in fossa terragna con l’inumato in decub

Altro obiettivo della ricerca, non secondario al primo, era quello di verificdi livelli antropici anche per i periodi successivi a quello romano. L’ipotesi elaborata nel 2004 prevedeva una frequentazione continuativa per tutto l’alto medioevo, legata alla presenza di un piccolo casale tale da giustificare, al momento dell’infeudamento normanno del territorio, l’impianto di una chiesa associato ad una presenza monastica di matrice benedettina.

Ed è su tali presupposti che si è avviato lo scavo nell’area in oggetto.

Gli scavi archeologici condotti all’interno della chiesa, nonché la lettura stratigrafica dell’elevato, hanno permesso d’individuare sei successive fasi che

riscono una frequentazione a dell’area almeno a partire

dall’età romana sino ad arrivare ai nostri

Alla fase I (III-V sec.) no due fosse circolari, di cui

una (diametro 110 cm, profondità 70 cm) utilizzata per spegnere la calce, l’altra per

entrambe sembrano riconducibili alla presenza di un cantiere

VII sec.) era invece riferibile una struttura muraria con

W, individuata negli ultimi due filari di fondazione (m 5x0,60x0,20), afferente ad una costruzione

versamente rispetto alla chiesa attuale e costruita con bozze calcaree di

mensioni legate da un terreno a . Questa prima struttura non sembra legata ad attività religiose, v

erenti livelli di ceramica d’uso comune (acroma e da fuoco).IX sec.) vede l’edificazione di un primo impianto ecclesiastico, di

mensioni ridotte rispetto all’attuale, pavimentato con lastrine di terracotta (cm 9x6x3) una di fianco all’altro. Nello strato di terreno al di sotto del pavimento in

pilastrini si rinviene ceramica da cucina ed anse a nastro tipiche dell’alto medioevo. Nell’XI sec., fase IV, la struttura viene ampliata mediante l’impostazione dei muri perimeesistenti, realizzati in bozze calcaree irregolari legate con un terreno a matrice argillosa. Vengono inoltre rimpiegati conci di notevoli dimensioni, sicuramente spoliati da una preesistente struttura romana, per i cantonali, l’abside e le aperture. Elemento datante per questa fase è una data incisa su un concio impiegato nell’apertura in asse sul quale si legge “1215”. Questo evento è probabilmente da legare alla presenza benedettina in zona: possiamo quindi ipotizzare che i quattro ambienti che si addossavano alla chiesa lungo il lato nord fossero funzionali al ricovero dei monaci stessi.

A questa fase, inoltre, appartiene una tomba individuata tra i due pilastri centrali lungo il lato nord, realizzata in fossa terragna con l’inumato in decubito orizzontale. All’interno della

Altro obiettivo della ricerca, non secondario al primo, era quello di verificare la presenza di livelli antropici anche per i periodi successivi a quello romano. L’ipotesi elaborata nel 2004

l’alto medioevo, legata alla presenza di un piccolo casale tale da giustificare, al momento dell’infeudamento normanno del territorio, l’impianto di una chiesa associato ad una presenza monastica di matrice benedettina.

vviato lo scavo nell’area in oggetto.

. Questa prima struttura non sembra legata ad attività religiose, visto il erenti livelli di ceramica d’uso comune (acroma e da fuoco).

IX sec.) vede l’edificazione di un primo impianto ecclesiastico, di mensioni ridotte rispetto all’attuale, pavimentato con lastrine di terracotta (cm 9x6x3)

una di fianco all’altro. Nello strato di terreno al di sotto del pavimento in pilastrini si rinviene ceramica da cucina ed anse a nastro tipiche dell’alto medioevo. Nell’XI sec., fase IV, la struttura viene ampliata mediante l’impostazione dei muri perimetrali ancora esistenti, realizzati in bozze calcaree irregolari legate con un terreno a matrice argillosa. Vengono inoltre rimpiegati conci di notevoli dimensioni, sicuramente spoliati da una

erture. Elemento datante per questa fase è una data incisa su un concio impiegato nell’apertura in asse sul quale si legge

gare alla presenza benedettina in zona: possiamo che si addossavano alla chiesa lungo il lato nord fossero

A questa fase, inoltre, appartiene una tomba individuata tra i due pilastri centrali lungo il ito orizzontale. All’interno della

tomba sono stati rinvenuti tre frammenti (ricomponibili) di un piccolo bacino in ceramica invetriata policroma (RMR), elemento datante per la sepoltura.

Agli inizi del XVII secolo, fase V, l’edificio è consolidato mediante l’aggiunta di contrafforti (che vanno a tamponare due aperture presenti sui lati lunghi) e si realizzano le tre volte a crociera per la copertura; va quindi ipotizzato che i due precedenti impianti avessero un diverso sistema di copertura, probabilmente a capriata lignea. Viene innalzato il piano di pavimentazione mediante un battuto in calce (che ha una potenza di ca. 5 cm e poggia su un massetto di terra e pietre dello spessore di ca. 15 cm) e realizzato un ciclo di affreschi, ancora parzialmente conservato nel catino absidale, dove si osserva la scena della SS. Trinità che incorona la Vergine (dove è dipinta la data 160…). Prima di questo evento l’abside era invece dotata di una stretta e lunga finestra.

Tra XIX e XX sec., fase VI, due successivi rialzi del piano pavimentale portano il livello della chiesa ad una quota pari rispetto al piano di campagna.

2.4. CONCLUSIONI. Le indagini condotte all’interno della chiesa, per una superficie di poco superiore ai 20

mq., testimoniano l’impostazione dell’impianto ecclesiastico su un sito già frequentato in età tardoromana. Per questa fase, il rinvenimento di una fossa utile allo spegnimento della calce, lascia presagire la presenza di un cantiere edile nelle immediate vicinanze. Dallo stesso potrebbero provenire i conci successivamente spoliati e rimpiegati nella fase IV.

Del resto, come già detto in premessa, sono ancora da eseguire i saggi di scavo all’esterno che potranno gettare maggior luce su questa e sulle altre problematiche sopra elencate22. Tuttavia, nel corso di uno scavo di una piccola trincea utile alla posa di cavi elettrici (esternamente alla chiesa lungo il lato nord) si è rinvenuto un lembo di pavimentazione in cocciopesto assieme ad alcuni frammenti di ceramica sigillata, a conferma di strutture afferenti all’età romana.

Il resto dell’evidenza rinvenuta consente di seguire la storia della frequentazione dell’area, proseguita dapprima in età tardoantica mediante la costruzione di una struttura dal probabile utilizzo civile, indi nell’altomedioevo quando viene impostato il primo impianto ecclesiastico ampliato, per il probabile apporto culturale dato dai Benedettini, nel secolo XI.

In conclusione è possibile sostenere l’importanza del proseguo delle indagini in un sito dal potente palinsesto, tale da poter consentire di ricostruire trame importanti dell’antropizzazione del territorio ginosino, sia in età classica che medievale.

3. GLI SCAVI NELL’AREA DEL CONVENTO DEI CAPPUCCINI (VIA ALLORI) 3.1 PREMESSA. Il sito archeologico di via Allori è stato scoperto dallo scrivente il 12 maggio 2005,

mediante sorveglianza di un cantiere per la posa in opera di cavi per la pubblica illuminazione. A partire dal settembre dello stesso anno sono state condotte indagini, sotto la supervisione della Soprintendenza Archeologica per la Puglia, tali da consentire il rinvenimento di una potente quanto complessa stratigrafia.

In un’area pari a circa 70 mq sono state identificate strutture murarie di fattura seicentesca, afferenti al convento dei frati cappuccini, al di sotto delle quali si è rinvenuta una

22 In realtà un saggio è stato eseguito a Sud della chiesa, ma si è in attesa di ulteriori ampliamenti per la conferma dei dati.

necropoli composta di quattro sepolture (delle quali non si tratta in questo contributo) riferibili all’abitato magnogreco23.

3.2. NOTIZIE STORICHELa presenza di un convento in questa porzione dell’abitato era già no

storiografia locale. Infatti, una prima menzione è contenuta nella Cesare Cisternino: nella terza decade del Seicento così scrive il religioso:

«Vi è un convento di Frati Cappuccini di S. Francesco, dove co

dei più belli, e vaghi, che sia in tutta la Provincia, poco di lungo dall’abitato, e di molta bella prospettiva; dov’è un giardino bellissimo e grande, ornato di vari arbori di frutti eccellentissimi, con abbondanza de Cisterne per uso dei Padri di esso Convento, per essere l’aria molto sana, ed amena e completo di ogni sorta di

riprendendo una relazione del Padre Salvatore da Valenzano, attribuisce l’intitolazione della chiesa a Sant’Antonio da Padova. Tuseo, inoltre, ci tramanda una pianta del convento da lui redatta in base alle descrizioni in suo possesso, e scrive:

23 L’area compresa tra P.za Marconi e Via Allori era già nota alle ricerche: «Nell’agosto del 1962, la Società Esercizi Telefonici eseguì dei lavori di sterro per l’installazione di cavi in corso Vittorio Emanuele, all’altPiazza Marconi nel centro di Ginosa, durante i quali furono rinvenuti resti scheletrici umani. Ma l’assistente Armadio Campi, intervenuto dietro segnalazione dei Carabinieri, li ritenne di epoca recente a causa della mancanza di oggetti di corredo» (cfr. 24 P. BOZZA, Descrizione antica de Genosa del Cantore Don Cesare Cisternino25 A. RICCIARDI, Ginosa nella Storia e nella Cronaca attraverso i secoliMatera 2000, p. 210.

sta di quattro sepolture (delle quali non si tratta in questo contributo) riferibili

OTIZIE STORICHE. La presenza di un convento in questa porzione dell’abitato era già no

grafia locale. Infatti, una prima menzione è contenuta nella Descrizione di Ginosare Cisternino: nella terza decade del Seicento così scrive il religioso:

Vi è un convento di Frati Cappuccini di S. Francesco, dove continuamente assistono dieci Frati, uno dei più belli, e vaghi, che sia in tutta la Provincia, poco di lungo dall’abitato, e di molta bella prospettiva; dov’è un giardino bellissimo e grande, ornato di vari arbori di frutti eccellentissimi, con abbondanza de Cisterne per uso dei Padri di esso Convento, per essere l’aria molto sana, ed amena e completo di ogni sorta di

comodità; serve più delle volte per riposo e ristoro degli ammalati della Pr

vengono tramandateda Damiano Tuseo: la fondazione del comeemanata da Paolo V nel 1610ci vengono fornite anche circa la struttura: l’accesso al convento era garantito attraverso il chiostro, aperto su Corso Vittorio Eminsisteva anche l’ingresso della chiesa; tuttavia il Tus

lazione del Padre Salvatore da Valenzano, attribuisce l’intitolazione della chiesa a Sant’Antonio da Padova. Tuseo, inoltre, ci tramanda una pianta del convento

le descrizioni in suo possesso, e scrive:

L’area compresa tra P.za Marconi e Via Allori era già nota alle ricerche: «Nell’agosto del 1962, la Società cizi Telefonici eseguì dei lavori di sterro per l’installazione di cavi in corso Vittorio Emanuele, all’alt

Piazza Marconi nel centro di Ginosa, durante i quali furono rinvenuti resti scheletrici umani. Ma l’assistente Armadio Campi, intervenuto dietro segnalazione dei Carabinieri, li ritenne di epoca recente a causa della

(cfr. A. CAPURSO, Ginosa Antica, Bari 1985, p. 21). Descrizione antica de Genosa del Cantore Don Cesare Cisternino, Salerno 2002, pp.

Ginosa nella Storia e nella Cronaca attraverso i secoli, da un testo manoscritto (sta

sta di quattro sepolture (delle quali non si tratta in questo contributo) riferibili

La presenza di un convento in questa porzione dell’abitato era già nota grazie alla Descrizione di Ginosa redatta da

ntinuamente assistono dieci Frati, uno dei più belli, e vaghi, che sia in tutta la Provincia, poco di lungo dall’abitato, e di molta bella prospettiva; dov’è un giardino bellissimo e grande, ornato di vari arbori di frutti eccellentissimi, con abbondanza di acque sorgenti, e Cisterne per uso dei Padri di esso Convento, per essere l’aria molto sana, ed amena e completo di ogni sorta di

comodità; serve più delle volte per riposo e ristoro degli ammalati della Provincia24».

Altre notizie ci

vengono tramandate da Damiano Tuseo: la fondazione del convento fu sancita ediante bolla papale manata da Paolo V nel 161025. Indicazioni ci vengono fornite anche circa la struttura: l’accesso al convento era garantito attraverso il chiostro, aperto su Corso Vittorio Emanuele dove insisteva anche l’ingresso della chiesa; tuttavia il Tuseo,

lazione del Padre Salvatore da Valenzano, attribuisce l’intitolazione della chiesa a Sant’Antonio da Padova. Tuseo, inoltre, ci tramanda una pianta del convento (fig. 5),

L’area compresa tra P.za Marconi e Via Allori era già nota alle ricerche: «Nell’agosto del 1962, la Società cizi Telefonici eseguì dei lavori di sterro per l’installazione di cavi in corso Vittorio Emanuele, all’altezza di

Piazza Marconi nel centro di Ginosa, durante i quali furono rinvenuti resti scheletrici umani. Ma l’assistente Armadio Campi, intervenuto dietro segnalazione dei Carabinieri, li ritenne di epoca recente a causa della

, Salerno 2002, pp. 24-25. , da un testo manoscritto (stampa postuma),

«Nel mezzo del cortile s’innalzava con tre linee di tufi il parapetto rotondo della caratteristica cisterna, raccogliente le acque che grondavano dai tetti e che si vedeva ancora prima villetta rettangolare al margine della strada ora aperta che va giù verso la via Tempio

Venendo alla storia più recente ed alle sorti dei frati cappuccini, le leggi napoleoniche

portarono nel 1809 alla soppressionecol seguente inventario redatto dall’arciprete di Ginosa Strada:

«Stanze Superiori N. 21 oltre lo studio, l’Oratorio per i Religiosi indisposti con due loggiati. Stanze di

abitazioni sottane N. 4. Cucina, Panetteria, Retrocucina con comodo di attigua acqua e stanza di commestibili (Canava). Sottocantina, Palmento e sottotino per spremere l’uva. Cortile con vari comodi, Stalla, Pagliera, altro cortile con cisterna a comodo dei poveri. Chiesa N. 6 algentilizi, cioè Sepoltura per i Frati e per private famiglie. Orto tomola 4 di terreno alborato e vigneto con due pozzi di acqua sorgiva e due cisterne di acqua piovana, e altro orticello con alberi dStanze soprane sopra le stanze superiori ad uso di conservare vettovaglie e utensili del Convento

Tale descrizione ci consente d’intuire le dimensioni e l’importanza del convento del

quale, nel 1813, alcuni locali furonoiniziarono le opere di demolizione del convento e della chiesal’abbattimento dell’ala destra. Riprendendo Tuseo:

«Ancora una volta il piccone atterrò senza le serie considera

civiltà il nitido edifizio francescano con la bianca chiesetta ricca di aria e di sole, cementata dal sudore o dalle lacrime dei nostri avi29».

3.3. LO SCAVO. Lo scavo in Via Allori ha permesso

di rinvenire alcune delle strutture sicuramente riconducibili al convento dei frati Cappuccini. Anzitutto la grande cisterna per la raccolta delle acque (USM 4), realizzata con bozze calcaree di medie dimensioni legate da una malta molto tenace. La cisterna, dalla tipicampana, con un diametro massimo di 6 metri ed una profondità pari a metri 6,30, era internamente rivestita da più strati d’intonaco (su una base di cocciopinsieme di malta e frammenti di mattoni che forma uno strato impermeabile) a riprova del lungo utilizzo della stessa.

26 D. TUSEO, Notizie storico-religiose su GinosaGinosa 1994, p. 65. 27 D. TUSEO, Notizie storico-religiose su Ginosa28 A. MIANI, Ginosa e le sue condizioni sociali e materiali1998, p. 70. 29 D. TUSEO, Notizie storico-religiose su Ginosa

Nel mezzo del cortile s’innalzava con tre linee di tufi il parapetto rotondo della caratteristica cisterna, raccogliente le acque che grondavano dai tetti e che si vedeva ancora prima dei nuovi lavori di spianamento della villetta rettangolare al margine della strada ora aperta che va giù verso la via Tempio26».

Venendo alla storia più recente ed alle sorti dei frati cappuccini, le leggi napoleoniche portarono nel 1809 alla soppressione del convento; nel 1812 lo stesso fu assegnato al Demanio col seguente inventario redatto dall’arciprete di Ginosa Strada:

Stanze Superiori N. 21 oltre lo studio, l’Oratorio per i Religiosi indisposti con due loggiati. Stanze di Cucina, Panetteria, Retrocucina con comodo di attigua acqua e stanza di commestibili

(Canava). Sottocantina, Palmento e sottotino per spremere l’uva. Cortile con vari comodi, Stalla, Pagliera, altro cortile con cisterna a comodo dei poveri. Chiesa N. 6 altari, Coro, Sacrestia, Camera per i Sacerdoti, Cimiteri gentilizi, cioè Sepoltura per i Frati e per private famiglie. Orto tomola 4 di terreno alborato e vigneto con due pozzi di acqua sorgiva e due cisterne di acqua piovana, e altro orticello con alberi di frutta e vigneto con comodo. Stanze soprane sopra le stanze superiori ad uso di conservare vettovaglie e utensili del Convento

Tale descrizione ci consente d’intuire le dimensioni e l’importanza del convento del le, nel 1813, alcuni locali furono destinati a caserma della gendarmeria reale; nel 1859 rono le opere di demolizione del convento e della chiesa28, culminate nel 1950 con

l’abbattimento dell’ala destra. Riprendendo Tuseo:

Ancora una volta il piccone atterrò senza le serie considerazioni e con grave danno della religione e della civiltà il nitido edifizio francescano con la bianca chiesetta ricca di aria e di sole, cementata dal sudore o dalle

Lo scavo in Via Allori ha permesso alcune delle strutture ducibili al convento dei

frati Cappuccini. Anzitutto la grande cisterna per la raccolta delle acque (USM 4),

zata con bozze calcaree di medie ni legate da una malta molto

sterna, dalla tipica forma a campana, con un diametro massimo di 6

tà pari a metri 6,30, mente rivestita da più strati

d’intonaco (su una base di cocciopesto, un ta e frammenti di mattoni

che forma uno strato impermeabile) a tilizzo della stessa.

religiose su Ginosa, Taranto 1951, in ristampa a cura di Dario Petrosino,

religiose su Ginosa, cit., p. 69. e le sue condizioni sociali e materiali, in ristampa a cura di Nicola Tamborrino, Martina Franca

religiose su Ginosa, cit., pp. 67-68.

Nel mezzo del cortile s’innalzava con tre linee di tufi il parapetto rotondo della caratteristica cisterna, dei nuovi lavori di spianamento della

».

Venendo alla storia più recente ed alle sorti dei frati cappuccini, le leggi napoleoniche del convento; nel 1812 lo stesso fu assegnato al Demanio

Stanze Superiori N. 21 oltre lo studio, l’Oratorio per i Religiosi indisposti con due loggiati. Stanze di Cucina, Panetteria, Retrocucina con comodo di attigua acqua e stanza di commestibili

(Canava). Sottocantina, Palmento e sottotino per spremere l’uva. Cortile con vari comodi, Stalla, Pagliera, altro tari, Coro, Sacrestia, Camera per i Sacerdoti, Cimiteri

gentilizi, cioè Sepoltura per i Frati e per private famiglie. Orto tomola 4 di terreno alborato e vigneto con due i frutta e vigneto con comodo.

Stanze soprane sopra le stanze superiori ad uso di conservare vettovaglie e utensili del Convento27».

Tale descrizione ci consente d’intuire le dimensioni e l’importanza del convento del destinati a caserma della gendarmeria reale; nel 1859

, culminate nel 1950 con

zioni e con grave danno della religione e della civiltà il nitido edifizio francescano con la bianca chiesetta ricca di aria e di sole, cementata dal sudore o dalle

, Taranto 1951, in ristampa a cura di Dario Petrosino, Storia di Ginosa,

, in ristampa a cura di Nicola Tamborrino, Martina Franca

Testimonianze orali ci consentono di legare il suo abbandono, ed il conseguente riempimento con materiali di risulta vari, al secondo quarto del XX secolo.

Circa le altre strutture l’evidenza è davvero esigua: si tratta in sostanza di tre setti murari, paralleli tra loro, individuati a livello di fondamenta, realizzati con bozze più o meno squadrate.

Ciò che in questa sede ci interessa sottolineare è come il convento sia stato impostato su una necropoli magnogreca sicuramente individuata dai costruttori, tanto che la principale delle sepolture rinvenute risultava occupata da uno dei muri di fondazione del convento stesso (fig. 6). Gli stessi muri sono impostati sugli strati più alti di utilizzo dell’area in età classica, come l’US 5 che ha restituito numerosi frammenti di laterizi e di dolia.

Dal momento che tutte le sepolture sono state rinvenute prive del corredo ceramico all’interno (salvo pochi reperti sfuggiti ai violatori) è possibile ipotizzare che i primi tombaroli ad agire in quell’area siano stati gli stessi frati. Ad avallare questa ipotesi è la mancanza dell’inumato all’interno delle sepolture, a probabile riprova che i frati hanno interamente ripulito le tombe e forse deposto altrove gli scheletri.

Il proseguo degli scavi, nell’area al di sotto dell’attuale P.za Marconi, consentirebbe di ricavare ulteriori ed interessanti dati circa il convento; infatti è stato individuato uno strato probabilmente derivante dal crollo (o distruzione) di una fornace. Ci interesserebbe capire se la stessa sia stata funzionale alla produzione di ceramica o di laterizi in virtù delle suggestioni già presentate in altri lavori, nei quali si ipotizzava una produzione di maioliche da parte dei cappuccini di Ginosa30.

30 G. SASSI – D. GIACOVELLI, Maioliche di fabbrica laertina da una cisterna nel villaggio ‘Rivolta’ (Ginosa - TA). Un caso di archeologia postmedioevale in ambito rupestre, in “Quaderni del Museo delle Ceramiche di Cutrofiano”, X-II, Galatina, pp. 79-96.