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Matteo Al Kalak Ilaria Pavan Un’altra fede Le Case dei catecumeni nei territori estensi (1583-1938) DI STORIA E LETTERATURA RELIGIOSA BIBLIOTECA DELLA RIVISTA Studi XXVII Leo S. Olschki Editore Firenze - 2013 M. Al Kalak - I. Pavan – Un’altra fede Studi XXVII S. L. R. B. R. Leo S. Olschki ISBN 978 88 222 6250 9

M. Al Kalak, I. Pavan, Un’altra fede. Le Case dei catecumeni nei territori estensi (1583-1938), Firenze, Olschki, 2013

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Matteo Al Kalak – Ilaria Pavan

Un’altra fedeLe Case dei catecumeni

nei territori estensi(1583-1938)

DI STORIA ELETTERATURA

RELIGIOSA

BIBLIOTECADELLA RIVISTA

StudiXXVII

Leo S. Olschki EditoreFirenze - 2013

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StudiXXVII

S. L. R.

B. R.

Leo S.OlschkiISBN 978 88 222 6250 9

DI STORIA ELETTERATURA

RELIGIOSA

BIBLIOTECADELLA RIVISTA

StudiXXVII

Leo S. Olschki EditoreFirenze - 2013

Matteo Al Kalak – Ilaria Pavan

Un’altra fedeLe Case dei catecumeni

nei territori estensi(1583-1938)

Tutti i diritti riservati

CASA EDITRICE LEO S. OLSCHKI

Viuzzo del Pozzetto, 8

50126 Firenzewww.olschki.it

Il volume e stato pubblicato grazie al contributodella Scuola Normale Superiore di Pisae dell’Arcidiocesi di Modena-Nonantola

ISBN 978 88 222 6250 9

INTRODUZIONE

A partire dalla meta del Cinquecento, le Case dei catecumeni hanno rico-perto un ruolo particolare nei complessi rapporti tra ebrei e cristiani. Diffusesoprattutto in area italiana, le Opere per convertiti furono luoghi di isolamen-to, quando non di segregazione, deputati all’istruzione di quegli infedeli – mu-sulmani, protestanti e, specialmente, ebrei – in attesa di abbracciare la fedecattolica. Gli studi sul tema hanno posto in evidenza il valore simbolico e lacostante minaccia che le Case costituirono per le comunita ebraiche, spessooggetto di una politica fatta di violazioni del diritto perpetrate dalle autoritaecclesiastiche. Questa immagine lascia tuttavia irrisolti alcuni interrogativi: co-me si sono comportati nella prassi quegli istituti? Quali risultati hanno ottenu-to? Sono stati i registi di un’azione conversionistica senza scrupoli oppure ledinamiche intervenute furono anche altre? Per giungere a un’interpretazioneconvincente e sciogliere questi nodi, ci e parso essenziale illuminare la praticaconcreta delle conversioni, stabilire quanti ebrei arrivarono al battesimo attra-verso le Case, quale fosse il loro profilo (genere, eta, condizione socio-econo-mica) e che cosa li porto a cercare un’altra fede.

Nelle pagine che seguono, si e assunto come punto di osservazione speci-fico la vita delle Opere per catecumeni attive nei territori della Casa d’Este, inun contesto cioe animato da una delle piu vivaci comunita ebraiche della Pe-nisola, considerato meno intollerante di altri per l’eta moderna e, al contrario,particolarmente illiberale nei decenni della Restaurazione. Sul caso si era giasoffermato Andrea Balletti (1850-1938), storico ed economista reggiano diformazione positivista. Il volume Gli ebrei e gli Estensi, apparso in due edizio-ni agli inizi del Novecento, toccava in minima parte il problema delle conver-sioni e imponeva percio di tornare con piu attenzione su un passaggio fonda-mentale del confronto tra ebraismo e cattolicesimo.

Per impostare l’indagine si e partiti da quanto la storiografia piu recen-te ha prodotto sulle Case. Le ricerche dedicate a Roma,1 Torino,2 Firen-

1 CAFFIERO 2004, ROCCIOLO 1998a, FIORANI 1998, RUDT DE COLLENBERG 1986-1988, MILANO

1970, MILANO 1950.

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ze,3 Venezia,4 Bologna,5 Ancona,6 Mantova,7 Trieste,8 Livorno9 e Pesaro10

hanno imboccato direzioni molto diverse tra loro. Se per gli istituti di Roma,Firenze, Venezia e Pesaro si e tentata una stima quantitativa delle conversioni,non sempre si e proceduto a operare una serie di distinzioni – anagrafiche,socio-economiche, ecc. – che potessero rivelare qualcosa di piu sui meccani-smi che precedevano e accompagnavano le conversioni. In contesti comequello bolognese o anconetano si e invece posta un’attenzione prioritaria allenorme statutarie delle Case; altre indagini hanno esplorato il flusso di conver-sioni riguardante il mondo islamico (cosı per Venezia e, in misura minore, Bo-logna, Livorno e Firenze). Vi sono poi vicende a se stanti come quella torine-se, contraddistinte da un contatto peculiare con il mondo protestante, mentrein altre occorrenze sono state accentuate prospettive specifiche, da quella giu-ridico-canonistica per la Roma dei battesimi forzati a quella piu antropologicadei processi di conversione in area veneta e friulana. Basta questa sommariadisamina per capire la varieta di approcci che una tematica come quella con-versionistica ha consentito.

Per quanto riguarda il contesto estense, si e ritenuto piu proficuo adottareuna prospettiva di storia istituzionale analizzando l’opera promossa dalle Casee le conversioni mediate da tali istituti. Questa scelta ha portato a escluderedall’analisi alcuni scenari, pur nella consapevolezza della loro importanza. Sie cosı accantonata una trattazione sistematica delle questioni legate al ghettoe a quei provvedimenti come le prediche forzate, il segno, le interdizioni eco-nomico-sociali e le disposizioni giuridiche o ecclesiastiche che puntavano adifferenziare e separare gli ebrei dai cristiani. Allo stesso modo, non si e va-gliata l’ingente e assai studiata mole di materiale a carico di ebrei prodottodal tribunale dell’Inquisizione, che in molti casi processo membri dell’uni-versita israelitica, neofiti e convertendi per questioni di regiudaizzazione, dis-suasione dal battesimo, infrazione dell’isolamento imposto ai catecumeni e si-mili.11 E evidente che questa serie di strumenti repressivi e discriminatori era

2 ALLEGRA 1996. In territorio sabaudo un ospizio per catecumeni era stato predisposto anche aPinerolo; cfr. BERNARDI 1864.

3 MARCONCINI 2010-2011, MARCONCINI 2009, ARMANI 2006.4 IOLY ZORATTINI 2008.5 CAMPANINI 1996, FIORELLA 1973-1974; cfr. anche SARTI 2001.6 ANDREONI 2007.7 BERNARDINI 1996, pp. 181 ss.8 CATALAN 2000.9 ZUCCHI 2012, FRATTARELLI FISCHER 2006.10 COLLETTA 2005.11 Sui molti documenti riguardanti le relazioni ebraico-cristiane conservati presso l’Archivio

INTRODUZIONE

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parte integrante di una strategia di cui le Case per catecumeni rappresentava-no un tassello, verosimilmente nemmeno il piu importante, e che solo tenendoconto di tutti questi elementi si puo arrivare a una comprensione piena deirapporti ebraico-cristiani.

Dedicarsi ai territori della Casa d’Este significa poi porsi di fronte a uncaso politicamente meno lineare di altri, in cui la selezione delle fonti risultadi riflesso meno scontata. Anzitutto ci si e dovuti interrogare sul trattamentoda riservare alla capitale storica del ducato, Ferrara, passata nel 1598 ai domi-ni pontifici. Qui nel 1584 era stata fondata una Casa per catecumeni su im-pulso delle autorita diocesane:12 essa non aveva potuto operare che per pochianni sotto le insegne estensi e per la maggior parte della sua storia si rapportoalle magistrature papali giunte all’indomani della devoluzione. Per quantodunque la fondazione della Casa ferrarese sia riconducibile agli ultimi annidel governo ducale, ai fini della presente indagine, si e deciso di escludere l’i-stituto dalla ricerca per mantenere l’attenzione su un contesto statuale unita-rio. A queste condizioni rispondono gli altri due centri principali del ducato,Modena e Reggio, che, a esclusione del periodo napoleonico e delle varie sta-gioni insurrezionali, restarono sotto l’egida estense sino al 1859, entrando suc-cessivamente nel Regno di Sardegna e d’Italia. Nelle due citta emiliane, comea Ferrara, erano state istituite Case in cui alloggiare i convertiti: la prima, quel-la reggiana, sorse nel 1633 rimanendo in attivita fino al 1866; la seconda, nataa Modena nel 1700 e formalmente mai soppressa, fu preceduta sin dal 1583da iniziative a favore di ebrei convertiti che di fatto ne costituirono il preludio.Case – lo si anticipa – profondamente diverse per nascita, gestione, impiantostatutario, ritmi di attivita e rapporti con le autorita politiche e religiose. Isti-tuti che, tanto vicini geograficamente quanto distanti sotto il profilo operativo,manifestarono nella loro dissomiglianza la politica ambigua e a tratti contrad-dittoria degli Estensi, scarsamente interessati alle opere di conversione e moltopiu attenti, almeno per l’eta moderna, ad attirare quegli ebrei che portavanocon se competenze, capitali e commerci. Non sorprendera percio scoprire che

estense (ora ASMo), cfr. SPAGGIARI 1999. I processi inquisitoriali a carico degli ebrei del ducato sonostati oggetto di numerose indagini, tra cui ARON-BELLER 2011, BIONDI 2008, ZANARDO 1996, CANOSA

1986. Una particolare attenzione ai rapporti tra il Sacro Tribunale e gli ebrei caratterizza inoltre lavoce Modena curata da F. FRANCESCONI, in DSI, II, pp. 1054-1055.

12 Presso l’Archivio della Curia Arcivescovile di Ferrara, tra i cosiddetti «Residui ecclesiastici»,si conserva la serie denominata «Casa dei catecumeni», con una consistenza di 40 pezzi (1600-1938).Sull’istituto ferrarese, non ancora studiato in modo analitico, cfr. MARZOLA 1978, I, pp. 620-623, chericostruisce la nascita della Casa a opera del vescovo Paolo Leoni forse gia dagli ultimi mesi del 1583.Allo stato attuale delle conoscenze, il ruolo degli Estensi nell’avvio del pio istituto sembrerebbe de-filato. Sulle vicende dei catecumeni ferraresi si veda anche LATTES 1999.

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INTRODUZIONE

nella ricerca qui offerta i duchi, cosı come le magistrature secolari, sono unodei termini costanti di confronto per la valutazione dell’efficacia e dell’impattoche le Case dei catecumeni ebbero in ambito estense.

Di questo tentativo di costruire una narrazione plurima e policentrica, cherendesse conto della complessita degli interessi connessi alle politiche di con-versione, sono prova i molti archivi consultati che, nella loro stessa sedimen-tazione, rivelano qualcosa del modo in cui si guardo alle Case e ai loro assistiti.Benche infatti l’indagine sia necessariamente partita dai fondi degli enti che sioccuparono dei convertiti (peraltro dispersi e smembrati su piu sedi), si e este-so il raggio della ricerca all’archivio segreto dei duchi di Modena, a quelli dellecomunita ebraiche cosı come agli archivi dei Comuni, che attraverso deliberee discussioni furono spesso protagonisti dell’istituzione o del mantenimentodei luoghi destinati ai nuovi cristiani. Si sono inoltre cercati indizi delle frizioniriguardanti conversioni dubbie o controverse nelle carte del Sant’Ufficio (oggiCongregazione per la Dottrina della Fede) e in alcune serie dell’Archivio Se-greto Vaticano, constatando come in molti casi all’abbondanza della docu-mentazione di parte cristiana corrispondesse una certa lacunosita di quellaebraica, limitata a raccolte giurisprudenziali e bolle pontificie.

La ricerca non poteva poi eludere due questioni cariche di implicazioni, laprima di carattere tassonomico, la seconda di periodizzazione. Uno dei pro-blemi che si e posto con maggiore urgenza e stato la classificazione da dareai battesimi, anche a fronte di una tradizione storiografica che ha visto nell’usodella coercizione una delle cifre per interpretare l’azione della Chiesa in ma-teria di conversioni. La nostra scelta e stata quella di mantenere una distinzio-ne di massima tra conversioni forzate e conversioni spontanee, richiamandociall’assenza o presenza di consenso da parte di chi si accostava al battesimo.Tuttavia, crediamo che a tali definizioni non si debba conferire un valore po-sitivo o negativo, ma piuttosto descrittivo,13 ne evidentemente l’unica formadi coercizione esercitata riguardo chi ricevette il battesimo senza poter espri-mere il proprio assenso. L’ipotesi che si e voluta verificare riguarda anzitutto ilpeso della persuasione, dell’articolato intreccio di convenienze, incentivi esperanze (o illusioni) che potevano motivare la conversione, sull’esempio dialtri istituti nati, come le Case dei catecumeni, in pieno clima controriformi-stico. Come e stato assodato per l’Inquisizione,14 i maggiori risultati non ve-

13 Si vedano in tal senso le considerazioni di FABRE 1999, CALVI – MALENA 2007, pp. 6-7.14 Sul ruolo della persuasione e la complessa alleanza tra inquisitori, confessori e missionari, cfr.

PROSPERI 1996. Sulla leggenda nera dell’Inquisizione e la necessita di una nuova impostazione deglistudi in merito, cfr. in sintesi TEDESCHI 1997.

INTRODUZIONE

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nivano dalla coercizione, ma dalla capacita di rendere piu conveniente o pervarie ragioni preferibile l’omologazione. Se il ricorso alla forza fu un’armasempre pronta a essere usata – ed evidentemente costituı uno dei motiviche rese ‘‘preferibile’’ obbedire –, alle autorita cattoliche fu chiaro che quellanon poteva essere una soluzione di lungo periodo, e sarebbe stato meglio crea-re un sistema che incentivasse l’allineamento. Incentivare significo in vari casiesercitare una forma di costrizione piu sottile e utilizzare, piu o meno aperta-mente, bisogni ed esigenze della sopravvivenza quotidiana come merce discambio.

Per comprendere come tale strategia si dispiego e apparso opportunoadottare una periodizzazione ampia. La ricerca che segue percorre oltre tresecoli di storia, estendendosi dal 1583, anno in cui il Comune di Modena fi-nanzio un primo ricovero per i catecumeni, al 1938, data di promulgazionedelle leggi razziali che dettero al fenomeno delle conversioni una connotazionedel tutto differente. Con poche eccezioni,15 gli studi sulle Case dei catecumenihanno sino a oggi focalizzato la loro attenzione sull’eta moderna, nella convin-zione che la stagione controriformistica abbia costituito il fulcro, ideologico epratico, dell’attivita di questi istituti e che la rottura rivoluzionaria abbia se-gnato la loro scomparsa o quantomeno il loro lento e progressivo declino. Co-me i casi di Modena e Reggio dimostrano, cio che invece emerge e sorprende,e proprio per questo costringe a ridefinire le coordinate cronologiche del pro-blema, e l’ininterrotta attivita – silenziosa e talora inerziale – delle Opere perconvertiti: pur essendo nate nello stesso contesto dell’Inquisizione romana odei ghetti, le Case per catecumeni sopravvissero a entrambi non solo superan-do piu o meno indenni l’eta moderna, ma in molti casi – come quello mode-nese – persino l’unificazione italiana. Con questo non si intende negare il ruo-lo di svolta periodizzante che il Triennio giacobino e l’eta napoleonicarivestirono nei rapporti tra ebrei e cristiani, e dunque anche in tema di con-versioni: la funzione sempre piu decisiva assunta dalle autorita civili e muni-cipali – dalle forze di polizia al prefetto –, la comparsa e il coinvolgimento dinuove figure nella gestione concreta dei neofiti – il medico, il magistrato, ecc. –,l’accentuazione sulla «costumanza» e sulla moralita degli aspiranti catecu-meni come criterio, spesso discriminante, nell’accesso al percorso conver-sionistico furono senz’altro elementi di cambiamento intervenuti nel corsodei decenni post-rivoluzionari. Uno sguardo di piu lungo periodo consentepero di cogliere anche quelle persistenze e continuita che, come vedremo,nel caso estense sono particolarmente evidenti. Solo lo snodo rappresentato

15 ARMANI 2006, pp. 299-308; CAFFIERO 2000-2001 e, in parte, BERNARDINI 1996.

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dalla definitiva emancipazione ebraica, giunta con l’Unita, riuscira a introdur-re nuovi e profondi elementi di rottura con il passato, sebbene bisognera at-tendere la fine dell’Ottocento per iniziare a coglierne gli effetti.

E forse e proprio la periodizzazione scelta a offrire un primo indizio perdecifrare la natura e l’essenza delle Case per convertiti.

La constatazione della lunga vita delle Case dei catecumeni in terra estenseporta infatti a chiedersi come sia stato possibile che un ente preposto alle con-versioni di ebrei e concepito in un’ottica squisitamente controriformistica ab-bia continuato a esistere e a operare anche a emancipazione avvenuta. E anco-ra: perche la stagione del riformismo settecentesco o la legislazione post-unitaria cancellarono gli odiati tribunali inquisitoriali, equipararono la condi-zione giuridica di ebrei e cristiani, abolirono i ghetti, ma di fatto permisero lasopravvivenza degli istituti di assistenza ai catecumeni? La risposta va essen-zialmente cercata proprio in quella definizione: istituti di assistenza. Le inda-gini riguardanti sia l’eta moderna sia quella contemporanea portano a conclu-dere che le Case per catecumeni, non solo nello Stato estense, furono prima ditutto enti assistenzial-caritativi. La centralita di tale vocazione, confermatada studi relativi ad altri contesti geografici, pare verificata anche nel caso mo-denese e, ancor di piu, in quello reggiano, dove il Comune si fece carico del-l’Opera per convertiti all’interno di un’architettura di proto-welfare in cui era-no ricompresi l’ospedale, le opere di soccorso ai poveri e vari enti benefici.16

Pur con qualche eccezione, le storie di conversione che la documentazionedelle Case dei catecumeni restituisce sono storie di poverta e solitudine che,non puo essere un caso, riguardano spesso, se non prevalentemente, donneo comunque individui emarginati o emarginatisi dalla comunita di provenien-za: orfani, malviventi, adolescenti insofferenti della miseria, della famiglia e del-le regole coattive che le comunita ebraiche potevano esercitare. La giovane ogiovanissima eta dei convertiti, dato che nel caso estense lega senza alcuna di-scontinuita le esperienze dei neofiti dell’eta moderna e contemporanea, si con-figura come una delle caratteristiche di lungo periodo del fenomeno. La con-versione, che per uomini e donne poteva spesso coincidere con l’entrata nelmercato matrimoniale, rappresento uno strumento di fuga da una situazioneavvertita, per motivi diversi, come opprimente e vissuta come speranza diun futuro migliore che, da quanto riflettono le carte, raramente fu raggiunto.Rimane difficile comprendere e documentare nella complessita delle sue sfu-

16 Chi si e occupato degli istituti di eta controriformistica ha giustamente proposto un inseri-mento delle Case dei catecumeni nel piu ampio settore caritativo e assistenziale; cfr. PASTORE

1986. Diverso lo stato degli studi per l’eta contemporanea, per cui mancano contributi che conte-stualizzino l’azione delle Case all’interno delle politiche di assistenza e beneficenza.

INTRODUZIONE

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mature che cosa significasse effettivamente il passaggio dal giudaismo al cristia-nesimo nelle vicende qui ripercorse; cio nonostante l’orizzonte in cui la mag-gior parte di esse si colloco fu un orizzonte di marginalita e indigenza.

I Comuni, e in certa misura i duchi e le amministrazioni che si alternaro-no, sostennero o crearono queste Case per rispondere a un’esigenza che fu piusociale che spirituale. Lo si puo intuire anche dalla diversa sorte della Casa diModena, istituita e gestita dalla Curia vescovile, e di quella di Reggio, di per-tinenza civica. La prima, amministrata da sacerdoti e sovvenzionata dall’istitu-zione ecclesiastica, fu sin dalle sue origini assillata da esigenze di cassa e di ri-sparmio e per evitare esborsi limito al massimo la permanenza dei catecumenial proprio interno, decidendo per lunghi periodi di non avere un luogo fisicoin cui alloggiare i convertiti (di fatto, una Casa senza casa). A Reggio, per con-tro, i convertiti potevano restare nella Casa, cioe a carico dell’Opera, da unminimo di un anno a un tempo indefinito, talora persino vent’anni. Seguirele vicende delle Case per catecumeni attraverso il prisma della loro attivita as-sistenziale – lettura che ha spinto a quantificare quanto piu possibile i dati re-lativi ai catecumeni sovvenzionati e alla loro incidenza sulla popolazione – sol-lecita peraltro ulteriori indagini, in massima parte ancora da compiere, sulledisparita socio-economiche interne al gruppo ebraico e su un livello di indi-genza che contro ogni stereotipo sembrerebbe affliggere le universita israeli-tiche tanto quanto il mondo cristiano; elementi che, almeno sino all’Unita d’I-talia, dovrebbero senza dubbio essere considerati centrali per la lettura e lacomprensione del fenomeno conversionistico.

Per dare risposta alle domande sin qui poste e valutare l’impatto che le Ca-se per catecumeni ebbero all’interno dei rapporti tra cristiani ed ebrei e statoinfine essenziale stabilire quante anime furono conquistate alla fede cattolicadagli istituti per convertiti.17 I numeri offerti di seguito richiedono di esseremaneggiati con cautela, in particolare per il periodo piu antico, e vanno spesso

17 Non esistono a oggi stime sul numero complessivo degli ebrei convertitisi in Italia attraversogli istituti per catecumeni. Per l’eta moderna gli studi si sono occupati solo di alcune Case e – comedetto – l’approccio molto differente e il diverso grado di approfondimento delle singole ricerche con-sentono con difficolta di fornire valutazioni attendibili. Per l’Ottocento e il Novecento mancano in-vece indagini puntuali sull’attivita delle Case, o di analoghi istituti, di cui si ignora anche il numerocomplessivo (cfr. LEPRE 1988, pp. 106 e 203). E quindi del tutto prematuro tentare di fornire dati,anche parziali, sulle conversioni avvenute. Si vedano, per il caso Toscano: ARMANI 2006, pp. 299-308; SALVADORI 1993, pp. 101-149; ZUCCHI 2012; per Trieste: CATALAN 2000, pp. 210-216; perUdine: D’ANTONIO 2012, pp. 99-150; per Ancona: ANDREONI 2007, pp. 155-210; per Torino: AL-

LEGRA 1990, pp. 512-573; per il caso romano: ROCCIOLO 1998; CAFFIERO 2000-2001; LANG 2008,p. 216; MILANO 1963, p. 593; per un quadro complessivo sul periodo post-unitario cfr. DEL REGNO

1992. Anche alla luce dei soli convertiti reggiani e modenesi la stima di 300 convertiti fornita pertutto l’Ottocento (cfr. DE LE ROI 1899, p. 47) deve comunque ritenersi ampiamente inesatta perdifetto.

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INTRODUZIONE

interpretati piu come indicatori di tendenza che come misurazioni effettive,anche in considerazione della lacunosita delle fonti. Non vi sono pero dubbisulla modestia dei risultati conseguiti dalle Case estensi e percentualmente pa-re esiguo, ancorche non irrilevante, il numero di ebrei che abbracciarono lafede cristiana: a Modena, stando ai dati disponibili, gli ebrei che ricevetteroil battesimo tra il 1629 e il 1938 furono 410, mentre a Reggio il totale dei casiaccertati (da considerarsi parziale per difetto) parla di 241 ebrei convertiti trail 1633 e il 1866.18 Tenendo conto delle variazioni demografiche conosciutedalle comunita ebraiche tra eta moderna e contemporanea, l’andamento delleconversioni, valutato in termini percentuali, non mostra macroscopici scosta-menti: la perdita annua per la comunita israelitica oscillo tra punte del 3% inpiena eta moderna e i minimi dell’1-1,5% nell’epoca successiva.

Posto che l’obiettivo fosse convertire – anche su questo bisogna riflettere –,tre secoli dopo la loro fondazione le Opere per catecumeni si trovarono difronte a un bottino veramente magro e quando si discusse la possibilita diconferire maggiore concretezza ed efficacia allo sforzo conversionistico, comeavvenne durante gli anni della Restaurazione, ci si ritiro per paura delle speseche questo poteva comportare: le esigenze di cassa, e il caso modenese lo at-testa con grande chiarezza, fecero sempre premio su quelle spirituali, di fattopiu teorizzate ed evocate, talvolta con forza, che concretamente perseguite.

Se non si operava prioritariamente per convertire il maggior numero pos-sibile di ebrei, a chi si rivolgeva allora l’azione delle Case per catecumeni? Ilcaso estense sembra confermare quanto gia osservato da altri:19 le conversionidi ebrei – dettate spesso da una spontaneita viziata dalla poverta – servirono acelebrare con solenni apparati la superiorita della religione cristiana e, di fatto,mirarono all’edificazione della maggioranza attraverso lo spettacolo dell’illu-minazione offerta da Dio agli infedeli.

Come in ogni vicenda, non mancarono neppure nei territori estensi stagio-ni piu crude o episodi in cui lo zelo religioso porto a conversioni forzate, bat-tesimi clandestini e drammatiche distorsioni del diritto. Tuttavia, questa nonfu la regola ma l’eccezione e qualunque fosse la disponibilita di cassa degli entiper convertiti, gli amministratori delle Case ebbero sempre ben presente chesi ricavava molto di piu da un consenso costruito e pilotato che da una viola-zione del diritto, da cui non potevano che derivare conflitti e problemi. In

18 Cfr. infra, pp. 95-98, 203.19 Cfr. ad es. FOA 1999, pp. 49-50 che parla di una «rappresentazione destinata al pubblico, un

teatro delle conversioni»; o CAFFIERO 2004, p. 80 che, per il caso romano, ricorda come «le cerimoniebattesimali di ebrei» si inserissero in un sistema rituale con un’evidente «funzione di esaltazione eautocelebrazione della Chiesa e del papato».

INTRODUZIONE

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questo senso, le stagioni in cui la pressione conversionistica parve rafforzarsianche a colpi di ostentate e odiose prevaricazioni segnalano, piu che una ritro-vata vitalita degli istituti per catecumeni, variazioni nel quadro politico gene-rale, di cui le Case rappresentavano sensibili terminali. Cosı fu durante il pon-tificato di Benedetto XIV, che rinvigorı il clima antigiudaico interno allaChiesa, o per la cultura intransigente che nella prima meta dell’Ottocento ani-mo larga parte della classe dirigente del ducato.

In conclusione, si puo ritenere che quanto emerge dall’esame delle Case diModena e Reggio possa fornire valide coordinate entro cui collocare, nel suocomplesso, la storia degli istituti per convertiti e suggerisca al contempo di ri-leggerne il ruolo non solo alla luce della funzione ideologica che rivestirono,ma anche delle concrete modalita con cui operarono.

Nel presentare questo lavoro, vogliamo ringraziare quanti hanno agevolato e aiu-tato la ricerca. La nostra gratitudine va a tutto il personale degli Archivi di Stato diModena e Reggio, della Biblioteca Estense, dell’Archivio Storico del Comune di Mo-dena e dell’Archivio Segreto Vaticano. Prezioso e stato l’aiuto di Daniela Agosti e En-rica Zannoni dell’Istituto Re.Te, depositario delle carte del Catecumeno reggiano, diSara Torresan, che ha ordinato l’archivio della Comunita ebraica di Modena, di mons.Augusto Gambarelli e Milo Spaggiari, dell’Archivio diocesano di Reggio Emilia, dimons. Adriano Tollari e Lorenzo Pongiluppi, archivisti della Curia di Modena, e diDaniel Ponziani, dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede. Unringraziamento va al rabbino Beniamino Goldstein e a tutto il personale della Comu-nita ebraica di Modena che ci ha accolto favorendo in ogni modo il nostro lavoro.

Fonte di confronto sempre puntuale sono stati Mario Rosa e Daniele Menozzi,che hanno discusso con noi i principali risultati di questo lavoro. Primi parziali esitidella ricerca sono stati esposti nei seminari promossi da Marina Caffiero e Mauro Pe-rani, che nel corso di questi anni hanno incentivato la conoscenza del mondo ebraicoe dei suoi complessi rapporti con l’universo cristiano.

Fondamentale e stato inoltre il sostegno prestato dalla Scuola Normale di Pisa edall’Arcidiocesi di Modena. A queste istituzioni va la nostra riconoscenza per la fidu-cia accordataci.

Amici, prima ancora che colleghi, hanno letto e discusso con noi le varie versionidel testo e sono stati generosi di sollecitazioni, consigli, suggerimenti: a Barbara Ar-mani, Francesco Buscemi, Francesco Dei, Giuseppe Marcocci, Francesco Mores, Mi-chele Nani, Maria Chiara Rioli, Piero Stefani, Ignazio Veca e Roni Weinstein, il no-stro sincero grazie.

Questo lavoro e nato e cresciuto nel ricordo di Francesca. A lei va il nostro affet-to, che siamo certi le arrivera.

I risultati di questo libro sono frutto delle ricerche da noi compiute sulla basedelle rispettive competenze: Matteo Al Kalak ha steso i capitoli I-III relativi all’etamoderna e Ilaria Pavan i capitoli IV-V sull’eta contemporanea.

Pisa, aprile 2013

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INTRODUZIONE

SIGLE

ACAMo Archivio della Curia Arcivescovile, Modena

OPC: Opera pia dei catecumeni

ACDF Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede

D.B.: Dubia de Baptismate

S.O.: Sanctum Officium

St. St.: Stanza Storica

ACEMo Archivio della Comunita Ebraica di Modena e Reggio Emilia*

ACRE Archivio della Curia Vescovile, Reggio Emilia

OPC: Opere pie catecumeni ed ebrei

AIRete Archivio dell’Istituto ReTe (gia Casa di Riposo), Reggio Emilia

PLC: Pio luogo dei catecumeni

ASCMo Archivio Storico del Comune, Modena

ASMo Archivio di Stato, Modena

ASRE Archivio di Stato, Reggio Emilia

PLC: Pio luogo dei catecumeni

BEUMo Biblioteca Estense Universitaria, Modena

b./bb. busta/e

c./cc. carta/e

cass. cassetta

doc./docc. documento/i

f./ff. fascicolo/i

n./nn. numero/i

p./pp. pagina/e

* Ove non diversamente precisato le segnature archivistiche sono tratte dall’Inventario Busi.L’Archivio e attualmente in fase di riordino definitivo.

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CAPITOLO PRIMO

ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

UNA LUNGA PRESENZA: GLI EBREI NEL DUCATO ESTENSE

Ripercorrere la storia che lega gli ebrei al ducato estense significa seguireuna vicenda che affonda le sue radici nel periodo medievale, accompagnandoper intero il cammino dei territori su cui governo la Casa d’Este.1 I documentiattestano presenze ebraiche in area emiliana a partire gia dall’anno Mille, ma eprobabile che il passaggio di ebrei nella regione risalisse a un’eta ancora piuantica.2 I primi stanziamenti stabili, in gran parte connessi al prestito, si for-marono nel tardo Duecento, e dal secolo successivo le attivita ebraiche trova-rono una codificazione sempre piu precisa negli statuti cittadini. Tra Tre eQuattrocento le norme delle magistrature civiche reggiane e modenesi comin-ciarono a occuparsi di ebrei e tra alcuni prestatori e i Comuni3 dell’area esten-

1 Sulla presenza ebraica nello Stato estense la bibliografia e particolarmente nutrita. Per i ter-ritori di Modena e Reggio in eta moderna, si vedano Quaderni Estensi 2009, BIONDI 2008, FRANCE-

SCONI – LEVI D’ANCONA 2007, PAPOUCHADO 2007, FRANCESCONI 2006, BALBONI 2005, FABBRICI

2005, FABBRICI 2002, ZANARDO 2001, FABBRICI 2001, FABBRICI 2000, BONILAURI – MAUGERI 1999,FABBRICI 1999a, BERGONZONI 1998, MASINA 1998, GHELFI – BARACCHI 1995, PERANI – FREGNI

1993, PADOA 1993, BENATTI 1984, FINZI 1958 e il classico lavoro di BALLETTI 1930. Uno specificocensimento bibliografico su scala regionale e stato approntato da BONDONI – BUSI 1987, da aggior-nare con i riferimenti ad indicem reperibili nei diversi volumi della Biblioteca Italo-Ebraica. Non ci sidilunga sui molti rinvii alla situazione estense reperibili in opere di piu ampio respiro, da MILANO

1963 ai vari contributi raccolti in Annali 11. Per una discussione storiografica cfr. FABBRICI 1993.Uno sguardo sugli archivi ebraici delle comunita estensi e, piu in generale, emiliano-romagnole inCANIATTI 2010 (con bibliografia); per Reggio si veda meglio BADINI 1998.

2 Cfr. MURATORI 1738-1742, I, col. 896, che ricorda le decime tenute nel 1025 da un certo «Ar-dingus judaeus» per conto del vescovo di Modena.

3 Qui e in seguito si e scelto di applicare univocamente la definizione «Comune», tratta dal les-sico corrente, alle «Magnifiche Comunita» di Modena e Reggio. La decisione risponde alla necessitadi evitare ambiguita ed equivoci, permettendo al lettore di distinguere agevolmente tra la Comunita,intesa come magistratura civica, e la comunita ebraica. Il termine «comunita» e dunque applicatoesclusivamente alle universita israelitiche, salvo precisazioni o aggettivazioni che evitino errori di in-terpretazione.

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se furono stipulati veri e propri accordi per regolare l’attivita feneratizia.4 Do-po essersi fissati a Bologna nel 1353, i banchi ebraici si diffusero in gran partedell’area emiliana, giungendo tra l’altro a Ferrara, Modena e Reggio. Nellaprima meta del Quattrocento, poi, alcuni insediamenti piu piccoli si stabiliro-no nei centri minori, ampliando la trama di comunita che costellavano il du-cato: nuclei ebraici comparvero a Rubiera, Luzzara, Carpi, e via via sino a Fi-nale, Formigine, Novellara, Correggio e Scandiano.5 Consolidato il propriopotere, la Casa d’Este si premuro di ottenere dai pontefici il permesso formaledi accogliere gli ebrei nei propri feudi,6 spianando la strada a quanto si sareb-be verificato agli inizi dell’eta moderna. All’orizzonte si profilavano eventi cheavrebbero impresso una decisa accelerazione alle migrazioni ebraiche. Glisforzi di unificazione territoriale perseguiti dai sovrani spagnoli sul finiredel Quattrocento si erano serviti di un poderoso antigiudaismo destinatoa lasciare il segno ben oltre la conquista di Granada del 1492: 7 l’espulsionedegli ebrei dai territori iberici produsse una diaspora verso oriente che, per loStato estense, fu un appuntamento da non mancare. Ercole I e i suoi succes-sori incentivarono l’arrivo degli esuli in ogni modo e attraverso esenzioni, pri-vilegi e altri accorgimenti riuscirono ad attirare entro i confini estensi un buonnumero di ebrei spagnoli e portoghesi.8 I nuovi arrivati si sommarono agliebrei gia presenti, autoctoni o provenienti dall’area adriatica e centro-italiana,e a essi si aggiunsero progressivamente gli esponenti del gruppo ‘‘tedesco’’, gliashkenaziti.9 I provvedimenti che gli Estensi continuarono a promulgare nonfecero che attirare altri nuclei e, per le vie del commercio, trovarono acco-glienza nel ducato emiliano famiglie giunte dai vari angoli d’Italia e d’Europa(Livorno, Venezia, Mantova, Amsterdam, Amburgo). Negli anni tumultuosiin cui si assisteva alla frattura confessionale dell’Europa, sulla carta geograficacompariva cosı un confine che sarebbe durato a lungo, quello tra terre dirifugio e terre di affanno: 10 per gli ebrei il mondo si divise in luoghi da cuiallontanarsi e luoghi in cui riparare, e non vi e dubbio che i domini della

4 Cfr. BALLETTI 1930, pp. 13-56.5 LUZZATI 1996a, pp. 199-204: 200-202.6 Si veda ad es. il provvedimento emanato nel 1451 da papa Niccolo V su richiesta di Borso

d’Este; ASMo, Archivio per materie, Ebrei, 15, f. 1, c. 1.7 PROSPERI 2011. Per un percorso teologico sull’antigiudaismo cristiano, cfr. STEFANI 2004.8 Sui molti privilegi concessi dai sovrani estensi agli ebrei, si veda in sintesi BALLETTI 1930,

pp. 105-113.9 Cfr. ivi, pp. 75-83 e LEONI 1992. Sulla nazione portoghese di Ferrara si veda anche SEGRE

1996a.10 Questa e la definizione proposta da MILANO 1963, pp. 262-285.

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Casa d’Este rappresentarono sempre un porto relativamente sicuro cui ap-prodare.

Non tutto pero dipendeva dalle decisioni dei sovrani. Sulla convivenza tracristiani ed ebrei erano in tanti a volersi pronunciare e, come naturale, in pri-ma fila stavano le autorita religiose, per nulla rassegnate ad accettare la zonagrigia di una coesistenza tra le due comunita.11 Anche nei territori estensimolti predicatori indirizzarono in vario modo i sentimenti popolari controle comunita israelitiche. Sul finire del Quattrocento a Reggio era giunto «ilpiu acerrimo nemico degli ebrei», fra Bernardino da Feltre,12 che aveva rac-comandato di tenere ben custoditi i bambini durante la settimana santa, per-che i giudei non li rapissero per ucciderli come era accaduto al piccolo Simo-nino di Trento.13 Nella Quaresima del 1497, invece, un certo Biagio, canonicoregolare di Sant’Agostino, aveva esortato cosı fortemente il Comune di Reggioa imporre l’uso del segno per gli ebrei, che negli statuti del 1501 si ribadıesplicitamente la necessita del marchio.14 Alcuni anni dopo, l’11 giugno1514, il cronista Andrea Todesco riferiva dell’arrivo a Modena di un france-scano, fra Giacomo da Ceva, la cui eloquenza aveva trascinato in piazza unafolla, chiamata ad assistere allo spettacolo della conversione di due ebrei:«pridicando de la fedo, convertı dugi zude e batizoli in piaca come grandounore».15

Quelle misure, fatte di segni, avvertimenti e conversioni edificanti, cerca-vano di scardinare una situazione di prossimita tra cristiani ed ebrei che, inmolti ambiti, mostrava caratteri di fluidita.16 Come e stato notato a propositodel caso estense, se si guarda con attenzione ai molti processi celebrati dall’In-quisizione ci si rende conto dell’abbondanza di procedimenti contro «genteche ha ballato insieme, ha fatto musica insieme, ha condiviso l’allegria diuna festa di nozze o [...] semplicemente ha giocato insieme all’osteria». L’at-tacco insistente dei giudici di fede agli spazi di contiguita tra ebrei e cristiani

11 Sull’atteggiamento ambivalente della Chiesa nei confronti degli ebrei si vedano PROSPERI

1996a e FOA 1999.12 Su Bernardino Tomitano da Feltre si veda per tutti la voce di G.V. SABBATELLI e R. APRILE,

in BS, II, 1289-1294. Sui suoi sermoni, cfr. MUZZARELLI 1978.13 BALLETTI 1930, p. 63. Sul processo contro gli ebrei accusati dell’omicidio di Simonino cfr. in

sintesi T. CALIO, in DSI, III, pp. 1433-1434 (con bibliografia) e, piu ampiamente, CALIO 2007.14 BALLETTI 1930, pp. 150-151.15 TODESCO 1979, pp. 11-12.16 Cfr. TOAFF 1989 (in parte ripreso in TOAFF 1996) e, per il caso estense, BIONDI 2008. Arti-

colazioni e prese di distanza rispetto alla tesi di una convivenza relativamente agile tra i due gruppi sitrovano, tra gli altri, in BONFIL 1991, pp. 97-99 e MUZZARELLI 1999. Sulle relazioni tra le due comu-nita e la presenza di comportamenti «caratterizzati da grande liberta rispetto ai divieti e alle norme eda notevole flessibilita ed elasticita sul piano della mentalita», cfr. ora CAFFIERO 2012 (qui cit. p. XV).

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svela un quadro sociale basato su contatti e relazioni consolidate, sul quale l’a-zione del Sant’Ufficio tento di intervenire per creare un «muro di estranei-ta».17 Non erano tuttavia che le avvisaglie di una stagione assai piu cruda:dopo l’affermazione del modello tridentino e l’esaurimento dell’emergenzaluterana, l’attenzione delle autorita religiose si concentro in modo pressantesugli ebrei, per cui si reclamava la chiusura nei ghetti. Sulla scia delle «bolleinfami» di Paolo IV e dei provvedimenti succedutisi nei decenni seguenti,18 laconvivenza ebraico-cristiana divenne sempre piu difficile.

Esemplare a riguardo il ciclo di prediche tenuto a Modena dal francesca-no Bartolomeo Cambi nel 1602.19 Il frate, «tenuto per santita di vita miraco-loso»,20 commento di fronte a ventimila persone e alla corte il pianto di Cristosulla citta di Gerusalemme, della quale, secondo la profezia, non sarebbe ri-masta pietra su pietra. «Iddio non volesse Modona, e questo non fosse dettodi te», aveva cominciato minacciosamente. E dopo aver tirato fendenti al prin-cipe e al vescovo, era passato a dissertare «sopra gli ebrei».

Non dicete voi fratelli ebrei, che il vostro Iddio e onnipotente? Mi direte se dun-que non poteva fare che il suo unigenito figliuolo che avete ammazzato, nascesse dallaVergine; qui se tratta d’anima, fratelli, il fatto e d’importanza, ora vi dico che voi vispogliate da ogni vostra passione e vi buttiate a piedi del vostro Dio e domandategligrazia che v’illumini et vi faccia conoscere la verita, allora v’inspirara; mi stupisco be-ne come sete tanto favoriti; voi non portate segno alcuno, pratichiate con cristiani, etmangiate et dormite con lori, vituperio, a casa del diavolo, a casa del diavolo.

«Allora prego il prencipe – conclude il cronista Spaccini – gli facesse por-tare il segno».21 Poco dopo qualcuno inizio a gridare: «Fuori gli ebrei».22

17 BIONDI 2008, p. 186 (che esamina il materiale dell’Inquisizione di Modena). Per una valuta-zione dell’azione inquisitoriale contro gli ebrei modenesi in eta moderna, cfr. ARON-BELLER 2011. Unquadro generale in Le inquisizioni cristiane.

18 Cfr. SEGRE 1996.19 Originario del Casentino dove era nato il 3 aprile 1558, dopo l’ingresso nell’ordine francesca-

no Bartolomeo Cambi si rese protagonista di un episodio di apostasia. Scoperti nella sua cella un «leu-to e altre bagatelle» venne chiamato a renderne conto, ma intimorito fuggı a Genova. La breve paren-tesi fu chiusa dal ritorno nell’ordine e intorno al 1595 maturo la sua conversione ispirata da motivi dirigoroso ascetismo. Nel 1602 tenne in diverse citta cicli di prediche contro belletti e vanita (in parti-colare contro la moda dei «ciuffi»), suscitando a Mantova le ire del duca Vincenzo per gli eccessi nellapredicazione. I violenti accenti antiebraici, che portarono all’impiccagione di sette ebrei mantovani, siaccompagnarono alle accuse dirette al principe che non esito a imbastire un processo contro il frate,denunciato a Clemente VIII. Cambi fu presto richiamato a Roma e ridotto al silenzio, ritirato negliultimi anni in vari monasteri. Morı il 15 novembre 1617. Su di lui A. PROSPERI, in DBI, 17, pp. 92-96.

20 Cosı SPACCINI 2002, p. 577.21 Ivi, pp. 579-580.22 Ivi, p. 584.

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Gli ebrei in realta sarebbero rimasti a lungo nei territori estensi, ma il passag-gio del frate avrebbe riacceso un dibattito che nel giro di trent’anni condusse al-l’edificazione del ghetto dell’ormai capitale, Modena. Dopo lunghe discussionicaratterizzate dal protagonismo delle magistrature comunali, il duca acconsentıall’edificazione di un «recinto» in cui raccogliere gli ebrei modenesi separandolidalla comunita cristiana.23 E se il provvedimento non rallento la legislazione fa-vorevole alle universita israelitiche,24 diede pero inizio a una lunga serie di misu-re analoghe che si protrassero fino alle soglie dell’emancipazione giacobina: do-po il ghetto di Mirandola (1602) e quello di Modena (1638), vennero predisposti«serragli» nei principali centri del ducato, da Reggio (1669) a Finale (1736), Cor-reggio (1779), Formigine, Brescello e Scandiano.25

Il confinamento delle comunita negli angusti spazi del ghetto peggioro leprecarie condizioni in cui versavano ampi strati della popolazione israelitica. Adispetto degli unanimi pregiudizi sulla presunta ricchezza degli ebrei di cuiriferivano i cronisti dell’epoca, i privilegi e le esenzioni concesse dai sovraninon misero le comunita estensi al riparo dai mali che affliggevano il resto delloStato: a Modena come a Reggio la situazione sanitaria ando peggiorando inconsiderazione della densita abitativa dei quartieri ebraici,26 e – come nelmondo cristiano – si cerco di arginare la crescente condizione di poverta e in-digenza attraverso un sistema di assistenza confraternale. Basta volgersi allarealta della capitale del ducato per toccare con mano l’importanza rivestitadalle confraternite in ambito ebraico: nel corso dell’eta moderna operaronocirca una quindicina di compagnie, tra cui la Gemilut H

˙asadim we-rah

˙amim

(Atti di amorevole benevolenza e misericordia) e, dal 1735, l’associazione fem-minile So‘ed H

˙olim (Beneficio degli ammalati) che svolsero un ruolo di primo

piano nel soccorso alla poverta.27 Reggio non fu da meno: dagli inizi del Sei-cento erano operanti sei compagnie dedite alla carita, alla promozione deglistudi e del culto; e quando nel 1652 in citta venne ammesso il gruppo sefar-dita, fu istituita un’apposita confraternita generale delle opere pie (Evrah Ge-milut H

˙asadim Kelalit) per dare rimedio alle miserie che affliggevano molti

suoi esponenti.28 Di fronte alla crescente indigenza degli abitanti del ghetto

23 Sul ghetto di Modena, cfr. BALLETTI 1930, pp. 169-177; CALABI 1999.24 Cfr. PROSPERI 1994, in part. p. 84.25 Sul ghetto di Reggio, si vedano BALLETTI 1930, pp. 177-186; BADINI 1998. Per gli altri «recin-

ti» dello Stato estense, BALLETTI 1930, pp. 186-187. Sulla vita interna ai ghetti, cfr. SIEGMUND 1996.26 Cfr. ARIETI 1999 e, per Reggio, ZAMBONELLI 1997.27 MODENA 1999, p. 151; FRANCESCONI 2011. Per un raffronto con il vicino caso bolognese cfr.

HOROWITZ 2002 e PERANI – RIVLIN 2000, con ampi spunti sul contesto padano e centro-italiano.28 LEVI D’ANCONA 2007.

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persino il duca era stato costretto a intervenire e, nel corso del XVII secolo,aveva imposto un dazio dello 0,25% sui commerci svolti da ebrei, da devol-vere ai membri bisognosi della comunita.29

Grazie al sistema confraternale e alle misure di contrasto alla poverta pre-disposte a vari livelli, gli ebrei riuscirono, in particolare a Modena, a costruire«una comunita fortemente coesa da legami solidaristici» e sostenuta da un cetoproduttivo in cui si distinsero famiglie come i Norsa, gli Usiglio, i Sacerdoti, iRovigo, i Formiggini e i Sanguinetti, in stretti rapporti economici con la corteducale.30 Se alcuni membri si impegnarono nell’attivita di prestito (ad esempioi Sanguinetti) o nel commercio di argenti e gioie (celebre il caso dei Formiggi-ni), molti di piu furono costretti a ripiegare su mestieri di ben altro tipo, ado-perandosi come «strazzaroli», rivenditori cioe di abiti usati e rassettati, sui qualisi stendevano speciali privilegi ducali. A Reggio vari furono gli ebrei che, oltreal commercio di stracci e alle attivita di prestito e cambio, si impegnarono nel-l’industria manifatturiera, in particolare della seta, e in molti centri del ducatofurono loro appaltate le attivita della zecca (ad esempio a Modena e Correggio)e concesse le gestioni delle forniture di sale, acquavite e farina.31

Sulle mai sazie casse ducali, gli effetti benefici prodotti dalle universitaisraelitiche non tardarono a farsi sentire. Agli ebrei fu ingiunto di contribuirecon cadenza decennale al rinnovo dei privilegi che consentivano di abitare neidomini estensi, e ogni anno si richiedevano alla comunita un’imposta fissa di500 scudi, i dazi delle porte, della carne e quelli sulla concessione dei banchi edegli altri appalti. Non mancavano poi prestiti – che spesso divenivano dona-tivi forzosi – all’erario pubblico, cui si accompagnavano di quando in quandocontribuzioni straordinarie (per le nozze o la nascita dei sovrani, in occasionedi eventi bellici, e cosı via) e requisizioni che solitamente colpivano l’argente-ria presente in ghetto. Non troppo dissimile era il comportamento dei Comu-ni e della Chiesa che avevano facolta di esigere decime e tributi dalla popola-zione ebraica.32 L’opportunita offerta dagli stanziamenti israelitici fu infinesfruttata dal Sant’Ufficio che, tra prestiti e multe comminate pretestuosamen-te alle comunita, finanzio nei primi anni del Seicento la costruzione delle car-ceri di cui il tribunale modenese necessitava, dimostrando quanto potesse ri-sultare utile una presenza additata come odiosa ed esecrabile.33

29 BALLETTI 1930, p. 117.30 FRANCESCONI 2007, p. 10 (da cui e tratta la citazione), FRANCESCONI 2006.31 BALLETTI 1930, pp. 161-163.32 Per le «gravezze» che colpirono gli ebrei cfr. ivi, pp. 115-122.33 Sui processi contro gli ebrei per finanziare le carceri del Sant’Ufficio, cfr. BIONDI 2008.

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La pluralita e, per molti aspetti, la caoticita delle relazioni istituzionali in-trattenute dalle comunita israelitiche erano il riflesso di un assetto giuridicocomplesso che per secoli caratterizzo lo Stato estense: gli ebrei non dovetterofare i conti solo con il duca che li aveva accolti nei momenti piu crudi dellapersecuzione, ma con una nutrita schiera di magistrati, funzionari e autoritaminori di cui era necessario tenere conto. Tanto a Modena quanto a Reggiola Casa d’Este dovette condividere il proprio potere con magistrature cittadi-ne – rispettivamente il consiglio dei Conservatori e quello degli Anziani – chesi richiamavano all’eredita dei liberi Comuni, e reclamavano precisi diritti diintervento all’interno dei loro distretti. Assieme a questo, il sovrano dovevaconsiderare l’attivismo di una nobilta cittadina che con difficolta aveva accan-tonato pretese egemoniche e tentazioni signorili e che, alle soglie della Rivo-luzione francese, si trovava ancora a esercitare poteri feudali su porzioninon trascurabili del territorio estense.34 In questo intrico giurisdizionale, com-plicato dalle pretese delle autorita religiose, gli ebrei furono costretti a barca-menarsi, trovando un equilibrio che aveva consentito non solo la loro soprav-vivenza, ma condizioni di esistenza discrete ancorche precarie.

Nel Settecento la presenza ebraica nei due maggiori centri del ducato ar-rivo cosı a toccare il 5% della popolazione urbana (gli ebrei erano quasi 1300a Modena e oscillavano tra 700 e 950 a Reggio),35 e l’inserimento nel tessutocittadino modello anche il preesistente patrimonio culturale della minoranzadando vita, ad esempio, a dialetti e parlate ebraico-emiliane.36

Malgrado le restrizioni imposte dall’impianto controriformistico e le pres-sioni esercitate dalle autorita religiose, gli Estensi erano dunque riusciti a man-tenere all’interno dei propri domini una comunita ebraica cresciuta con il pas-sare dei secoli. La difesa di quella presenza e del patrimonio materiale eimmateriale che portava con se non furono pero un motivo sufficiente a evi-tare l’affermazione di un altro istituto elaborato dalla cultura cattolica: quellodelle Case per catecumeni. Da quando nel 1543 Ignazio di Loyola aveva fon-dato a Roma una Casa deputata alla conversione degli infedeli,37 in tutta la

34 Cfr. in sintesi MARINI 1987, FREGNI 1999.35 Cfr. CAFFIERO 1997, p. 1095; BADINI 1993, p. XXII.36 Per Modena cfr. MODENA 2001 e per Reggio FORESTI 1993. Piu in generale, si veda MODENA

MAYER 1997.37 Sulla Casa dei catecumeni di Roma, cui si fara spesso riferimento nelle pagine seguenti, si

veda supra, p. VI, nota 1. Sul ruolo svolto dai Gesuiti nell’istituzione del Catecumeno romano, oltreal tradizionale lavoro di TACCHI VENTURI 1950-1951 (in part. vol. I/2), qualche cenno e reperibile inO’MALLEY 1994. Sulla base del modello romano sorsero Case in diverse citta della Penisola, tra cuiBologna, Venezia, Firenze, Livorno, Torino, Mantova, Ancona, Pesaro, per le quali cfr. supra, p. VI,note 2-10. Per la politica conversionistica a Napoli alcuni riferimenti utili in MAZUR 2009. Uno sguar-do di sintesi in PASTORE 1986, in part. pp. 442-443; MILANO 1963; FOA 1999.

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

Penisola il rapporto tra ebrei e cristiani si era articolato intorno a una duplice‘‘reclusione’’: l’isolamento dei ghetti, che mirava a separare per riaffermare lasubalternita del popolo ebraico, e l’isolamento temporaneo negli istituti percatecumeni, che doveva condurre gli ebrei al battesimo. E a quest’ultimoche le pagine che seguono sono dedicate, nel tentativo di comprendere daun preciso angolo visuale come ebrei e cristiani si relazionarono nel corsodi cinque secoli in cui le ragioni della terra e quelle del cielo si intrecciaronoin maniera spesso inscindibile.

ESPERIMENTI MODENESI: DALLA CARITA CIVICA A UNA CASA PER I CATECUMENI

Il 24 gennaio 1567 gli inquisitori di Modena erano stati informati che uncerto Geminiano Bacchini stava cercando di convincere l’ebreo Iseppo, ospitedel conte Fulvio Rangoni, a non convertirsi. Per indurlo ad abbandonare i suoipropositi, Bacchini gli aveva riferito dell’offerta di 50 scudi e un cavallo fattaglida un altro ebreo. Scoperto dal conte, l’incauto mediatore era stato preso per labarba e malmenato: la buona riuscita di quella conversione avrebbe dato lustroal nobile casato di cui Rangoni era parte e non si poteva permettere che l’im-pudenza di Bacchini vanificasse gli sforzi sin lı compiuti.38

Quella scena rivelava la progressiva affermazione di una specifica sensibi-lita in materia di conversioni: mentre gli istituti destinati ad accompagnare ca-tecumeni e neofiti erano ancora in fase di elaborazione, l’ospitalita accordatada nobili o illustri membri della societa cristiana a quanti attendevano il batte-simo era uno degli strumenti privilegiati dell’azione conversionistica. Censirnetutte le tracce sarebbe impossibile per l’abbondanza di fonti a disposizione, mae forse dalla documentazione comunale che provengono i segnali piu interes-santi per valutare l’interazione tra gli ebrei, il tessuto socio-economico in cuierano inseriti e le magistrature civiche modenesi. Molti furono ad esempio iconvertendi che, direttamente o indirettamente, ricorsero ai Conservatori – imembri del Consiglio cittadino – per chiedere sussidi e aiuti economici in vistadel battesimo. Il 26 febbraio del 1563, ad esempio, «Francesco Crivello espose[...] che uno hebreo detto Angelo figliuolo della Sorda hebrea [era] intrato indispositione di farsi cristiano et per lui supplico che gli sia fatta alcuna limosinaper potere appresso alquanto sostentarsi poi che sara battezzato»;39 un mese

38 ASMo, Inquisizione, 4,19. L’episodio di Bacchini e narrato in AL KALAK 2009, di cui nellepagine che seguono si riprendono in parte i contenuti.

39 ASCMo, Vacchette, 1563, c. 52r.

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piu tardi, il 22 marzo, il Comune decideva di accordare 25 lire a Cristoforo– questo il nome assunto dal neofita – cui veniva garantito un reddito in gra-do di sostenerlo almeno provvisoriamente.40 Un episodio analogo si ripetealcuni anni dopo, quando Giovanni Falloppia, Guido Molza e TommasoPazzani, esponenti di importanti famiglie locali, perorarono la causa dell’e-brea Graziosa che voleva ricevere il battesimo con i suoi quattro figli.41 Laprassi era dunque consolidata sul finire degli anni Sessanta e il ricorso diebrei catecumeni ai sussidi dei Conservatori attraverso notabili patrocinatoriera un dato di fatto.

Ma il coinvolgimento del Comune non si limito alla sola erogazione di uncontributo economico, presentando finalita ideali piu esplicite, come dimostracio che accadde nei primi anni del governo del vescovo Sisto Visdomini(1571-1590). Il 2 gennaio 1573, frate Alberto Manzoli chiedeva a nome delvescovo «qualche buona limosina» per il battesimo di diversi ebrei «maschiet femmine» venuti alla fede.42 Stabilito un contributo di 150 lire, il 9 gennaiol’assemblea cittadina nominava alcuni rappresentanti incaricati di condurre alsacro fonte i convertendi e accompagnarli nella processione che seguiva la ce-rimonia.43 Oltre a esprimere il sostegno che la comunita civile – e cristiana –era tenuta a offrire ai neofiti, si ponevano cosı i convertiti sotto la protezionedella citta, fatto di non poco conto in una realta fieramente municipale comequella modenese.

Particolarmente sentita fu poi la condizione delle neofite che vide varienobildonne, in testa la marchesa Giulia Orsina Rangoni, in prima linea neltentativo di guadagnare alla fede le giovani ebree inserendole nella societa cri-stiana con sostegni e doti.44 Nell’agosto del 1582 la marchesa chiedeva al Con-siglio comunale un contributo a vantaggio di una «povera figliuola»,45 rivol-gendo due giorni dopo un’analoga richiesta alla Santa Unione (l’ente che

40 ASCMo, Vacchette, 1563, c. 71v.41 ASCMo, Vacchette, 1569, c. 73r; per gli strascichi della vicenda cfr. ivi, cc. 85r, 104r.42 ASCMo, Vacchette, 1573, c. 5v.43 Ivi, cc. 7v, 9r.44 Anche uomini presero a cuore casi di giovani ebree. L’11 marzo 1583, ad esempio, «messer

Alberto Capello raccomanda alli signori [Conservatori] una povera figliola hebrea [...] accio le fac-ciano qualche ellemosina per l’amor di Dio». Il 18 marzo la Comunita rispondeva favorevolmente,decidendo di concedere un’offerta «a Donabella hebrea che si vuole fare christiana che e in casadi messer Alberto Capello da pagargliele in termine di quatro anni, ogn’anno la ratta in fine del an-no». In piu si stabiliva che «in caso che in termine di un anno doppo che sera battezata non si ma-ritasse, s’habbiano a depositare sul Monte di Pieta di tempo in tempo ad utile di essa per detta causaovero per darle in caso che si monacasse» (ASCMo, Vacchette, 1583, cc. 45r e 48r).

45 ASCMo, Vacchette, 1582, c. 125r (20 agosto 1582).

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accorpava le opere pie cittadine).46 Le donne di casa Rangoni non erano nuo-ve a un’attivita conversionistica all’ombra delle mura domestiche e, nel 1583,domandando i consueti contributi, Ludovica Rangoni parlo di un appositoluogo destinato alle neofite.47

La signora marchesa Rangona – si legge nei verbali della Santa Unione – e com-

parsa avanti alli predetti signori presidenti exponendo a Sue Signorie che vi sono due

convertite [...] che sono nel loco destinato gia per dette convertite et un’altra n’ha per

le mani da meterci. Ma perche non hano a vivere, prega Sue Signorie a volerli farequalche provigione che possono vivere [...] Li predetti signori presidenti [...] ordinor-

no che in ellemosina essendovene due gli sia dato lire dodeci et essendovene tre lire

desdote de bolognini il mese in soventione di potere renovare questa santa opera. La

quale ellemosina si habbia a dare in mane della signora Ludovica Rangona a cio che

cautamente pervenga nelle mani de dette convertite.

Due convertite ormai al sicuro e una su cui «mettere le mani». Pur nonessendo di fronte a una Casa del catecumeno vera e propria, si delineavanocon crescente nitidezza le linee d’intervento tipiche degli istituti di conversio-ne. Un luogo separato, un sistema di controllo e protezione dei convertiti – ilcordone sanitario che doveva tenere lontani dalla tentazione del ritorno allafede e alla comunita d’origine –, l’assegnazione di sussidi che accompagnava-no il passaggio dalla vecchia alla nuova religione e un’efficace vigilanza sulleelemosine erogate.

Non sorprende a questo punto riscontrare la predisposizione da parte dellaSanta Unione di un luogo che, pur non supportato da una corrispondente con-gregazione o opera pia con funzioni di governo, iniziava ad avvicinarsi forte-mente alle Case per catecumeni sorte lungo la Penisola dopo quella romana.48

Il 10 dicembre 1582 vari notabili, tra cui «il magnifico Annibale Spacinodottore et messer Giulio Mirandola et altre persone caritative pregorno i Si-gnori [Conservatori] a volere ellegere et deputare luogo a proposito per li cat-tecumini accio potessero essere instrutti nella fede christiana».49

46 Alcune note sul processo di costituzione della Santa Unione e la riorganizzazione degli istitutiassistenziali cittadini sono reperibili in PEYRONEL RAMBALDI 1979, pp. 147-161; GRANA 1991.

La domanda di elemosina rivolta dalla marchesa Rangoni all’ente di assistenza e la successivarisposta sono in ASMo, Ente comunale di assistenza, 974, cc. 98v e 99v.

47 Ivi, c. 131r (corsivo nostro).48 Nel 1582-83 erano gia attive alcune Case limitrofe al territorio modenese, da Venezia (1557)

a Bologna (1568), a Mantova (1574) e nella capitale del ducato, Ferrara, ne sarebbe sorta una pocodopo (1584).

49 ASCMo, Vacchette, 1582, c. 172r.

CAPITOLO PRIMO

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Le magistrature cittadine erano invitate a scegliere uno spazio da destinareall’istruzione e all’isolamento dei catecumeni, anche se la questione non dovet-te profilarsi di facile e immediata soluzione. A quanto pare di capire dalle po-che tracce documentarie rimaste, il Consiglio temporeggio per diversi mesi eancora nell’agosto dell’anno successivo il nodo non era sciolto. Annibale Spac-cini, gia protagonista della prima richiesta, tornava alla carica domandandonon solo locali per i convertiti, ma anche personale in grado di prestare la do-vuta assistenza,50 sortendo questa volta migliori effetti. Il 16 settembre 1583 simise ai voti la proposta.

Quanto al luoco de’ catecumini si disse: A chi pare e piace che si paghi la pigione

de una delle caselle dell’Unione che sono contigue alle stalle d’essa presso San Giro-

lamo per parersi servire a tale effetto, cioe per i catecumini [...] in evento che nell’U-

nione non vi fosse altro luoco comodo overo non vi si provedesse altrove secondo che

parera alli signori Conservatori che sarano pro tempore, dia la palla bianca; a chi non

piace dia la negra. Delle palle ne fu una negra et l’altre bianche.51

Il Comune quasi all’unanimita assecondava la richiesta di una casa per icatecumeni sovvenzionando la Santa Unione cui affidava la gestione di ospi-ti e locali. Siamo lontani, sotto questo profilo, dal modello romano, ma nonsi puo non scorgere nell’iniziativa dei Conservatori modenesi un importanteprecedente delle opere, piu strutturate, che vedranno la luce nei secoli suc-cessivi. Data la mancanza di ulteriori documenti, resta difficile stabilire neldettaglio cosa accadde e quali patti intercorsero tra le magistrature comunalie l’ente assistenziale cittadino, la Santa Unione. Tutto farebbe pensare aun’iniziativa senza lungo seguito, esauritasi nel giro di poco tempo.52 L’ipo-tesi di un aiuto ai catecumeni garantito dalle autorita municipali – soluzio-ne che a Reggio, come vedremo, risultera vincente – a Modena parve nondurare molto. Altre sarebbero state le strategie per incentivare le conversio-ni di ebrei e sostenere il cammino dei convertiti una volta ricevuto il batte-simo.

50 ASCMo, Vacchette, 1583, cc. 28r-v: «Il magnifico Annibale Spacino dottore, magnifico reve-rendo messer Giambattista Valentino et messer Antonio Manfredino pregorno i signori a volere pro-vedere che nella citta fosse un luoco particolare per i catecumini che alla giornata si scuoprono acciopotessero havere comodita de fare le loro probationi et fossero instrutti nella fede christiana prove-dendo ancora di persone del uno e l’altro sesso che fossero sofficienti a tale servitio».

51 Ivi, c. 143v. Si veda anche la segnalazione di VALDRIGHI 1880, p. 67.52 L’assenza tra gli Ex actis del dicembre 1582 e dell’agosto-settembre 1583 di carteggi o altri

documenti legati alle deliberazioni esaminate non consente di illuminare meglio la vicenda.

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

LA SVOLTA ESTENSE E IL CATECUMENO DI REGGIO

Se dalla fine del Cinquecento a Modena si iniziavano a sperimentare for-mule con cui governare e favorire le conversioni di ebrei, la prima autenticaCasa per catecumeni dello Stato estense sorse a Reggio nel 1633.53

Il 9 gennaio, quando l’Opera pia dei catecumeni nacque ufficialmente,54

in realta era gia stato fatto molto. Era stato in particolare il seme gettato dalgesuita Ottavio Gondi, membro di un ordine notoriamente in prima linea incampo conversionistico, a produrre frutto. Nel 1605 Gondi aveva predicato laQuaresima a Reggio, promuovendo tra l’altro l’istituzione della confraternitadella Misericordia.55 Poco meno di trent’anni dopo, il 30 ottobre 1630, il reg-giano Alberto Scajoli aveva testato a favore del sodalizio, affidando ai confra-telli una casa e un lascito annuo di 50 scudi da destinare alla futura Opera deicatecumeni.56 Per adempiere a quelle disposizioni e poter entrare in possessodell’eredita, la Misericordia aveva deliberato di adibire un luogo in cui allog-giare i convertendi, escludendo tuttavia le magistrature civiche dal governodell’istituto al quale, sulla scia del legato Scajoli, sarebbero giunti di lı a brevenuovi capitali. Si delineava cosı un ente in grado di attirare donazioni con cuiil Comune non avrebbe potuto interferire e, men che meno, lucrare.

Quell’estromissione delle autorita comunali non poteva pero passare inos-servata. In gioco non c’erano solo interessi di natura economica e difficilmenteil Comune di Reggio si sarebbe rassegnato ad abbandonare a una gestione

53 Sulla Casa dei catecumeni di Reggio si vedano CASARINI 1980-1981; BARAZZONI 1987, I,pp. 75-80 (e appendici); AL KALAK 2009a.

54 La data dell’erezione ufficiale dell’Opera si ricava, tra l’altro, dall’anonima relazione ottocen-tesca (verosimilmente compilata da un amministratore del Catecumeno, forse il computista dell’O-pera Angelo Pini) intitolata Cenno istorico ovvero relazione sulla origine e sul progresso del Pio istitutode’ catecumeni. Il documento conservato, in duplice copia, presso l’AIRete (PLC, Titolo I, Beneficen-za, filza I) e integralmente trascritto in BARAZZONI 1987, II, pp. 170-174, doc. n. 11, da cui si trag-gono le citazioni. Maggiori dettagli vengono dal Rapporto cronologico dell’origine, progresso e statopresente del Pio luogo de’ Cattecumeni di Reggio diviso in sei parti e tratto dalle autentiche scrittureesistenti nell’archivio d’esso luogo pio e d’altronde procurate l’anno 1764, registro manoscritto, pureconservato presso l’AIRete (le scritture servite alla sua compilazione sono attualmente custoditenei depositi dell’ospedale Omozzoli Parisetti di Reggio).

55 La confraternita era «composta in allora di piu soggetti ecclesiastici e secolari, il di cui pri-miero instituto era di mantenersi nello stato di niente possedere e solo andare accattando sussidi ele-mosinali e distribuirli, giusta le varie necessita ed occorrenze: fra questi doveansi contemplare ancheli cattecumeni» (Rapporto cronologico, pp. 1-2). Un breve resoconto manoscritto sulla storia dellaconfraternita e conservata in AIRete, PLC, Origine, cass. I, filza I, pacchetto A, n. 1 (Principio, pro-gresso e stato della congregazione della Misericordia). Su Ottavio Gondi (1549-1606), cfr. BCJ, III,1558.

56 Per il lascito Scajoli, cfr. Rapporto cronologico, pp. 66-69; AIRete, PLC, Eredita devolute,cass. I-II («Recapiti dal 1629-1665»).

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esclusivamente ecclesiastica un ente di pubblica utilita (tale era considerato),parte di una piu ampia rete assistenziale che da decenni i magistrati cercavanodi controllare e razionalizzare.57

Che la situazione fosse complessa e si ponesse su piani diversi, lo dimostra-no del resto le manovre che si svolsero mentre l’Opera andava strutturandosi.Da un lato la Misericordia aggrego tra i propri confratelli il principe Obizzod’Este,58 mettendosi sotto l’egida della famiglia regnante; dall’altro la raccoltadi lasciti non accenno a diminuire. Nel 1629, appena prima del legato Scajoli,Grazia Draghi Sacchelli59 aveva destinato la propria eredita all’Opera «da eri-gersi» e, tra il 1634 e il 1636, un lascito di 600 ducatoni arrivo da Doralice Fer-rari Cassoli.60 Questa pioggia di denari aveva acceso le speranze di molti ma,come si sarebbe constatato, era un fuoco di paglia che le ricorrenti difficolta am-ministrative avrebbero spento.

A complicare la situazione intervenne poi la predicazione antigiudaicadell’ex duca Alfonso III, divenuto frate con il nome di Giambattista nel1629, dopo l’abdicazione a favore del figlio Francesco.61 Presente a Reggioin quegli stessi anni, l’antico sovrano punto a legittimare la necessita di unistituto per catecumeni attraverso la solenne celebrazione di conversioni.Nell’estate del 1633 erano in procinto di ricevere il battesimo alcune ebreee i fratelli Jacob e Serena Brisi (cfr. Fig. 1). Questi ultimi, rimasti orfani, era-no stati sottratti allo zio per ordine espresso del papa che, durante una se-duta del Sant’Ufficio, aveva deliberato di far battezzare i due bambini.62

In linea con un’inveterata tradizione, le autorita diocesane e l’antico sovranonon si erano fatti scrupoli nel levare i fanciulli alle cure dello zio, aggirando

57 Lo si evince chiaramente dal memoriale che il Consiglio cittadino sottopose al duca: «Essen-do questo loco publico, per ogni convenienza la di lui erretione s’aspeta alla Citta a fin che non in-contri in quei pregiudizi che soprastano a propri interessi et a quelli medesimamente di Vostra Al-tezza quando detta casa sii eretta da detta congregatione, buona parte di cui e di personeecclesiastiche» (cit. in AL KALAK 2009a, p. 465; copie del memoriale in ASMo, Giurisdizione sovrana,139; Rettori dello Stato, Reggio, 79; ASRE, PLC, Recapiti d’amministrazione).

58 Figlio di Alfonso III e vescovo di Modena dal 1640 al 1645. Cfr. CHIAPPINI 2000, Hierarchiacatholica, IV, p. 250.

59 Sul lascito Draghi Sacchelli del 29 agosto 1629, cfr. Rapporto cronologico, pp. 59-63. I docu-menti, originali e in copia, riguardanti l’eredita Draghi sono conservati in AIRete, PLC, Eredita de-volute, cass. I-II («Recapiti dal 1629-1665»).

60 Sul lascito Ferrari Cassoli del 29 maggio 1634, cfr. Rapporto cronologico, pp. 72-74. La te-statrice morı nel 1636, rendendo esecutivo il testamento.

61 Su Alfonso III, cfr. R. QUAZZA, in DBI, 2, pp. 341-342; LECCHINI 1979; CHIAPPINI 2001,pp. 451-459. Un recente quadro di sintesi sulla corte estense negli anni in questione in FUMAGALLI –SIGNOROTTO 2012.

62 Per la vicenda dei due fratelli Brisi, cfr. BALLETTI 1930, pp. 210-212 (e note), da cui e trattaanche la citazione che segue. Vari documenti riguardanti il caso dei fratelli sono conservati in ACRE,OPC, 1511-1725, filza 2, cc. non numm.

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

Fig. 1. Richiesta con cui l’ebreo Angelo Brisi reclama la restituzione dei nipoti Jacob e Serena,poi battezzati (1631).

gli ostacoli del diritto e inaugurando «con una bella retata di neofiti» il na-scente Catecumeno.

Per conferire a quell’evento tutto il rilievo che meritava e, allo stesso tem-po, porre sotto gli occhi della popolazione l’importanza delle conversioni, fraGiambattista designo come madrine e padrini dei fanciulli «la duchessa, ilprincipe della Mirandola, Luigi d’Este, Alessandro Gonzaga, il priore dellaCitta ed altre persone».63 L’intento dell’ex-duca era evidente: il coinvolgimen-to di membri della famiglia estense e di funzionari ducali nel battesimo deinuovi cristiani costituiva una forma di pressione nei confronti delle magistra-ture cittadine che proprio in quei giorni si erano invece rifiutate di tenere abattesimo i convertiti, per motivi di natura non certo religiosa.

Quel rifiuto era maturato a seguito del fallimento delle trattative sovrinte-se da Francesco I per risolvere il contenzioso tra i magistrati reggiani e la con-fraternita della Misericordia intorno all’istituzione e gestione della Casa dei ca-tecumeni. Con l’intercessione del duca, all’inizio del luglio 1633 il Consigliocittadino era infatti giunto a un accordo, poi naufragato, con i rappresentantidella Misericordia: i beni dell’Opera sarebbero rimasti «meramente laicali»– intitolati cioe alla confraternita, ma sottratti a un diretto controllo ecclesia-stico – e gli statuti del Catecumeno sarebbero stati sottoposti all’approvazioneducale, con la facolta per il sovrano di richiedere, per il presente e il futuro, lemodifiche ritenute necessarie.64 Il duca, con una formula elastica, diveniva co-sı il garante dei diritti ‘‘pubblici’’ sui beni gestiti dall’Opera che, restando dipertinenza laicale, erano assoggettati alla giurisdizione secolare. Ben prestopero i confratelli della Misericordia, evidentemente insoddisfatti, si tiraronoindietro costringendo anche il Consiglio reggiano a revocare il proprio con-senso. Ad agosto i patti sottoscritti dai delegati comunali erano ufficialmenterigettati dall’assemblea cittadina che, come detto, rispediva al mittente gli in-viti di fra Giambattista d’Este di «levare al sacro fonte uno degli ebrei che so-no per battezzarsi».65

Dinnanzi a una contrapposizione insanabile, si invoco nuovamente l’inter-vento del duca: «Se la Citta non lo vole esseguire – scrissero i fratelli della Mi-sericordia circa l’accordo saltato – subentri Sua Altezza Serenissima et essa siiquella che nomini et faccia quella parte che doveva fare la Communita».66

63 BALLETTI 1930, p. 211.64 Cfr. AL KALAK 2009a, p. 468.65 Lettera di Giambattista d’Este agli Anziani di Reggio del 12 luglio 1633. Cfr. ASRE, Archivio

del Comune, Carteggi degli Anziani, 146 (trascritta in AL KALAK 2009a, p. 469, n. 34).66 AL KALAK 2009a, p. 470.

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

La gestione del Catecumeno venne dunque affidata alla sola Misericordia,con l’inserimento nell’organigramma di una figura di ‘‘garanzia’’ scelta dal sovra-no: tra i confratelli Francesco I e i suoi successori avrebbero nominato un uomodi loro fiducia per ricoprire l’incarico di sindaco e i rendiconti annuali dell’Operaavrebbero dovuto passare il vaglio del governatore estense, rappresentante diret-to del potere ducale. La neo-istituita Casa del catecumeno di Reggio veniva inquesto modo posta sotto la supervisione dell’autorita sovrana, presumibilmentein attesa di un allentamento della tensione tra Misericordia e magistrature comu-nali.

Ma vi era un altro nodo che, assieme all’irrigidimento dei confratelli, avevaprobabilmente suggerito agli Anziani di procedere con la massima cautela:Giambattista d’Este premeva infatti perche l’Opera reggiana fosse apertanon solo agli ebrei, ma a tutti i convertendi non cattolici e, soprattutto, agliebrei «forestieri», cioe non originari del distretto cittadino. Il sospetto dei ma-gistrati era che lo zelo antigiudaico dell’antico sovrano progettasse di fare del-la citta emiliana un centro di raccolta e conversione di ebrei provenienti daogni angolo del ducato, non meno che dagli Stati limitrofi. «Dubitano questidella Cita – scriveva il governatore Ippolito Estense Tassoni informando il du-ca – che il padre Giovanni Battista sia per mandar una moltitudine d’hebreimodonesi et di procurarne anche fuori dello Stato».67 Il timore che la parte-cipazione del Comune alla gestione del Catecumeno fosse l’anticamera di unfinanziamento a fondo perduto per le conversioni di stranieri non era del tut-to infondato, e anche se l’accordo preliminare tra le magistrature cittadinee Giambattista d’Este subordinava il sussidio dei forestieri all’esistenza diun’«entrata sufficiente», quella scelta rischiava comunque di diventare troppogravosa per un’istituzione ai suoi primi passi. In effetti, furono proprio le dif-ficolta economiche sopraggiunte nei cinque anni successivi alla fondazione aconvincere la confraternita della Misericordia a rimettere il governo dell’Ope-ra al Comune. Nel gennaio 1638 le magistrature cittadine accettarono, a pre-cise condizioni, di inserire il Catecumeno tra gli enti di pubblica assistenza:68

sui beni destinati all’Opera non dovevano gravare oneri perpetui, ne l’istitutodoveva essere soggetto – come gia prevedevano gli statuti fondativi – al vesco-vo o ai suoi delegati. A dimostrazione che non poche preoccupazioni eranoderivate dagli eccessivi costi che l’accoglienza di ebrei forestieri poteva com-

67 La missiva, conservata in ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, e edita in AL KALAK 2009a,p. 472.

68 Il testo dell’accordo stipulato tra la Comunita e il sodalizio e conservato in AIRete, PLC, Ori-gine, cass. I, filza I, pacchetto A, n. 4 (Fondazioni della Pia casa de’ catechumeni di Reggio; rogito diFrancesco Cignani dell’8 dicembre 1638).

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portare, il Comune acconsentiva infine a farsi carico del Catecumeno purche«de’ soli ebrei della citta se ne dovesse aver cura, e venendone di quelli deldistretto dovessero essere sovvenuti dai luoghi di loro origine».69 Il criterioadottato fu dunque un criterio di sostenibilita: si doveva accogliere un numerodi convertendi che non pregiudicasse la stabilita economica e finanziaria del-l’istituto, restringendo i beneficiari ai soli ebrei reggiani.

L’8 dicembre 1638, ottenute da parte del Comune le garanzie richieste, ilpassaggio di consegne tra la Misericordia e l’amministrazione cittadina eraperfezionato e per l’istituto reggiano cominciava una stagione nuova.

MERITI ULTRATERRENI: I LASCITI TESTAMENTARI A FAVORE DI EBREI CONVERTITI

La risposta alle esigenze conversionistiche della seconda eta moderna as-sunse nel contesto modenese lineamenti diversi rispetto alle soluzioni elabora-te, non senza conflitti, nella vicina Reggio. Se in entrambi i casi erano specificilasciti testamentari ad alimentare le opere a favore di ebrei convertiti o da con-vertire, a Modena emerse da subito la pertinenza delle iniziative per catecu-meni all’ambito ecclesiastico e, progressivamente, vescovile.

Negli stessi anni in cui a Reggio Alberto Scajoli e altri benefattori destina-vano all’Opera dei catecumeni importanti eredita, a Modena si costituiva l’O-pera pia Calori, che traeva il suo nome da «un Annibale Calori [che] nel 1629lascio 1000 ducatoni perche il frutto ne fosse assegnato all’ebreo ed agli ebreibattezzati in quell’anno e forse nei successivi».70 Sebbene con un profilo an-cora molto distante da quello del Catecumeno che sarebbe stato istituito nellacapitale estense solo nel 1700, il legato Calori rappresentava un primo signi-ficativo passo in quella direzione.71

69 Cenno istorico, p. 170; Rapporto cronologico, p. 39.70 BALLETTI 1930, p. 216; cfr. anche ZANARDO 1999, in part. pp. 121-122. Di Annibale Calori e

difficile ritrovare notizie biografiche precise. Una raccolta erudita del sec. XVII-XVIII ne annoveradue: uno battezzato nella chiesa di San Giorgio di Modena il 5 febbraio 1566 (forse 1569), figlio diRaffaele Calori e di una concubina; un secondo, figlio di Giovanni Battista Calori, che, sposatosi conIsabella Codebo, ebbe vari figli. Cfr. BEUMo, Raccolta Sorbelli, 1650, cc. 40v, 41v-48v.

71 Un esemplare del rogito di fondazione e conservato in ACAMo, OPC, Rogiti (a), da cui sitraggono, se non diversamente specificato, le citazioni che seguono. Una trascrizione dello stesso inMemorie, I, pp. 62-63. L’estensore Pellegrino Ceci precisa a p. 65 che «quantunque la copia dellascrittura sottoscritta dal signor Annibale Calori non apparisca essere legalizzata da alcun notaro,trovo pero nel libro di quest’opera scritto [...]: ‘‘Come appare per pubblico instrumento rogatoneil signor Paolo Favoloto notaio’’». L’esemplare vergato da Paolo Favalotto e conservato in ASMo,Giurisdizione sovrana, 140 (f. «Opera pia dei Neofiti in Modena. Carte e documenti che la riguar-dano»).

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

Fig. 2. Registro dei neofiti battezzati di Modena (1626-1914).

Nel lascito – cui non era stato estraneo Alfonso III, ancora duca72 – si de-cretava che ai neofiti della citta di Modena fosse assegnato «un annuo censo diducatoni settantacinque da £ 5.3». Con un’elargizione una tantum («niuno gliabbia da pretendere e conseguire piu di una volta»), si dovevano distribuire eripartire i frutti del censo tra gli ebrei venuti alla fede e se non vi fosse statonessun battesimo, le somme avanzate avrebbero dovuto accrescere il capitale,stando «ozios[e] il meno che sia possibile».

Il sistema inizio a produrre i suoi effetti immediatamente: nei primissimianni di funzionamento l’Opera Calori incremento il proprio capitale grazieal cumulo delle rendite non distribuite, e sulla base di questo meccanismo, ifrutti passarono da 386 lire e mezzo iniziali (75 ducatoni del valore di lire5.3 ciascuno) a circa 579 lire nel 1662, 604 l’anno successivo e 641 nel1670. In altre parole, nel giro di quarant’anni la rendita crebbe in valore as-soluto del 66%.73 Un simile risultato era evidentemente connesso alla scar-sita dei battesimi di ebrei, come del resto confermano i registri dei neofitiche, dall’istituzione del legato al 1700, mostrano la completa assenza di con-versioni nel 1630, 1643-44, 1646-47, 1653-54, 1658-62, 1664-65, 1668,1674, 1677, 1683-84, 1690 e 1694 (mediamente un anno senza battesimiogni tre).74

Se questo era l’articolato meccanismo cui Annibale Calori aveva affidato lacreazione di un sussidio per i nuovi cristiani, era necessario trovare chi dessecorso alle disposizioni testamentarie. Allo scopo fu designato il priore della«compagnia di San Carlo e della Madonna» – una congregazione fondatadal conte Paolo Boschetti per l’educazione dei giovani nobili75 – o, in sua as-senza, il vescovo di Modena. Le ragioni alla base di tale scelta non sono deltutto chiare, ma e certo che quella decisione fosse destinata a caratterizzaregran parte delle iniziative conversionistiche successive. I legami tra la congre-gazione di San Carlo, il Collegio dei nobili da essa istituito nel 1626 e i batte-

72 Lo si deduce da un decreto di quegli stessi giorni: «Alfonso duca di Modena etc. Molto magni-fici nostri carissimi, volendo noi pigliare a censo d’Annibale Caluori modonese ducatoni mille da cento-tre bolognini l’uno con risponsione di sette e mezzo per cento [...] ordiniamo che constituviate un annuocenso francabile sopra un nostro fondo sul modonese di ducatoni settantacinque simili e ne faciate lavendita al detto Annibale [...] 16 marzo 1629. Alfonso d’Este» (ASMo, Giurisdizione sovrana, 140).

73 Cfr. Memorie, I, pp. 63-64.74 Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 15, «Catalogo delli neofiti battezzati in Modena». Per quanto

riguarda l’Opera Calori, il registro considerato annota i battesimi celebrati dall’8 aprile 1626, tre anniprima dell’istituzione del legato, al 6 gennaio 1774.

75 La congregazione di San Carlo stette diversi anni nella chiesa cittadina di San Giovanni delCantone prima di trasferirsi nella sede definitiva di San Carlo del Castellaro, accanto al Collegio deinobili (cfr. SOLI 1974, II, pp. 171-189). Su Paolo Boschetti e il collegium da lui fondato, cfr. G. DE

CARO, in DBI, 13, pp. 185-186; BIONDI 1991.

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

simi di catecumeni tornano in modo ricorrente nell’azione di proselitismo pro-mossa dalle autorita religiose modenesi e i luoghi di formazione della nobiltaestense furono in molti casi lo scenario in cui si svolsero le solenni cerimoniebattesimali dei convertiti.76

Dopo l’accettazione formale dell’esecutore designato – don Stefano Zam-palocchi, rappresentante della congregazione di San Carlo77 – e le sue solle-citazioni perche il legato divenisse operativo,78 tra il 1629 e il 1699, fino cioealla fondazione dell’Opera dei catecumeni di Modena, furono sussidiati peravere ricevuto il battesimo 139 neofiti, in media due all’anno.79

76 Cfr. ZANARDO 1999, p. 123.77 «Si raccoglie dal libro dei conti di quest’opera che un tale legato fu accettato il giorno primo

giugno 1630 dal signor don Stefano Zampalocchi a nome dell’illustrissimo e reverendissimo monsi-gnore arcivescovo Boschetti» (Memorie, I, p. 63). Qualche ragguaglio su Zampalocchi, in BIONDI

1991, pp. 32-36.78 «Illustrissimi signori fattori ducali generali, essendo gia decorso un anno e molti mesi da che

il signor Annibale Caluori compro dalla Serenissima Camera un censo di ducatoni 75 [...] del qualcenso ne fece una donatione a neofiti che d’anno in anno verranno alla fede [...]; io don StefanoZampalocchi [...] vengo hora a supplicar le Signorie Vostre illustrissime che si compiacciano difar pagare i suddetti ducatoni 75 accio si possano distribuire a neofiti dell’anno passato conformela pia intentione del donatore [...] Di collegio, lı 2 giugno 1630 [...] Devotissimo servitore don Ste-fano Zampalocchi» (ASMo, Giurisdizione sovrana, 140).

79 Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 15, da cui sono tratti i dati riportati nel grafico che segue.

0

2

4

6

8

10

12

14

1633

1671

1649

1663

1686

1695

1699

1642

Grafico 1. Battesimi (Modena, 1629-1699).

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Per valutare l’entita del contributo e misurarne la consistenza dobbiamospostarci al Settecento, quando le fonti, purtroppo lacunose per il secolo pre-cedente, consentono di quantificare il sussidio erogato. In assenza di altri bat-tezzati, nel 1713 un neofita poteva percepire 875 lire, salite a 906 nel 1724,1200 nel 1733, 1366 nel 1742, 1515 cinque anni piu tardi, 1632 nel 1762,1797 nel 1769, sino a un massimo di quasi 1900 lire nel 1792.80 Per fornireun termine di raffronto si tenga presente che i registri contabili indicano comeintorno alla meta del Settecento la cerimonia battesimale venisse a costare, travestiti, cera e altri apparati piu di 100 lire, l’affitto semestrale di un’abitazionepotesse variare tra le 40 e le 100 lire, il mantenimento mensile per vitto desti-nato a ogni convertito ammontasse a 60-70 lire, l’intervento di un medicocomportasse una spesa di circa 20 lire, e un notaio ne costasse 9.81 A quelledate il lascito Calori, ormai assorbito dall’Opera dei catecumeni, forniva per-cio una dote non trascurabile che, se percepita per intero, poteva garantire perqualche mese una sopravvivenza dignitosa.

Cio nonostante le erogazioni, limitate al solo momento del battesimo, nonrisolvevano il problema di una separazione dalla comunita di origine che, percatecumeni e neofiti, aveva ricadute di lungo periodo.82 Come dimostrano al-cuni sussidi elargiti dal duca negli stessi anni in cui l’Opera Calori fu istitui-ta,83 una volta battezzati si trattava di inserirsi nella societa cristiana e trovarein essa adeguati mezzi di sostentamento. La cesura con la famiglia di prove-nienza costituı per molti convertendi uno scoglio difficile da affrontare eper condurre stabilmente alla fede cristiana gli ebrei ci si dovette presto inter-rogare su come aiutare i neofiti a evitare che l’indigenza avesse la meglio sulleragioni, vere o presunte, dell’anima.

La risposta arrivo dalla stessa Casa d’Este, segno che – come si e visto peril caso reggiano – gli orientamenti interni alla famiglia regnante erano tutt’al-tro che lineari nei confronti degli ebrei, improntati piuttosto a una tolleranzapragmatica, non aliena da aspirazioni conversionistiche. L’11 ottobre 1633 laprincipessa Eleonora d’Este, vedova di Carlo Gesualdo da Venosa, si appre-stava, dinanzi al notaio Ludovico Caldani, a emendare e integrare alcune delleultime volonta espresse nel suo precedente testamento. In un apposito codi-cillo la nobildonna stabiliva che «l’entrate del censo ch’essa tiene [...] di valoredi ducatoni quattromilla in proprieta siano distribuite ogn’anno in perpetuo

80 Cfr. ivi, alle date.81 I dati sono ricavati da ACAMo, OPC, Registri, 107.82 Qualche spunto a riguardo in ZANARDO 1996, in part. pp. 556-558.83 Si vedano alcune ricevute per sussidi a neofiti in ASMo, Giurisdizione sovrana, 140.

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tra tutti quei hebrei che venendo alla santa fede nostra si faranno christiani esaranno battezzati in Modena».84 Con queste parole veniva istituzionalizzatala prassi delle distribuzioni periodiche ai neofiti che, oltre a sopperire a neces-sita materiali, divento ben presto un efficace strumento di controllo. I nuovicristiani erano sempre a rischio di tornare sui propri passi («regiudaizzare») e,sfruttando le stesse esigenze che spesso conducevano a ricevere il battesimo, sisubordinava il contributo economico a una buona condotta nella nuova reli-gione. Non a caso, nella successiva attivita di sostegno le elemosine furono«distribuite anche ai neofiti abbienti» poiche lo scopo principale era «il con-trollo della vita del convertito» e la recisione dei legami parentali con la comu-nita di origine.85

Il codicillo del lascito Venosa stabiliva genericamente che i beneficiari con-ducessero «buona e christiana vita» e fossero «huomini da bene», e solo nel1681 un regolamento emanato dal vescovo di Modena Carlo Molza definıcon maggiore precisione i criteri che consentivano di essere ammessi ai sussi-di.86 Con una grida in dodici punti, emanata il 17 aprile di quell’anno, il vesco-vo indicava le norme di comportamento richieste ai beneficiari: era proibito«praticare punto con gli hebrei, massime nel gioco, bettole, sinagoghe»; si do-veva frequentare la «dottrina christiana», il cui attestato sarebbe valso per la ri-scossione della propria rendita; era prescritta la partecipazione assidua ai sacra-menti e si consigliava l’ingresso in una confraternita. Di particolare importanzarisultavano poi due articoli rivolti a indirizzare il convertito verso un impiegoonesto,87 e a verificare quale uso egli facesse degli aiuti erogatigli.88 I fruttimaturati erano assegnati agli aventi diritto nei mesi di giugno e dicembre,89

e a Natale l’agente dell’Opera Venosa recapitava ai neofiti «un filippo per cia-scuno», riservando cio che avanzava all’Opera stessa.90

I registri sopravvissuti consentono di valutare il numero di sussidiati che siavvalsero del legato, da cui proveniva un contributo annuo che variava per

84 Una copia del codicillo rogata da Antonio Pedrazzi e conservata in ACAMo, OPC, Rogiti (a),da cui si traggono, se non diversamente specificato, le citazioni che seguono. Un’ulteriore trascrizio-ne e in Memorie, I, pp. 55-56.

85 ZANARDO 1999, p. 132.86 Una copia in ACAMo, OPC, Registri, 20 (e). Il decreto, come riportato in Memorie, I,

pp. 58-60, fu reiterato senza particolari modifiche dal vescovo Ludovico Masdoni nel 1696. Un’edi-zione del documento in AL KALAK 2009, pp. 104-105.

87 Ibid., n. 5.88 Ibid., n. 8.89 Ibid., n. 10.90 Cfr. Memorie, I, p. 54.

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ciascun convertito da 24 a 30 lire. La reticenza delle fonti ci permette di ri-costruire la situazione solo a partire dagli ultimi decenni del XVII secolo.91

Procedendo a una campionatura quinquennale, gli ebrei sovvenzionati peralmeno un semestre risultano 46 nel 1678, altrettanti nel 1683, 65 nel1688, 62 nel 1693 e 59 nel 1698. Si puo percio concludere che, nell’ultimoventennio del Seicento, l’Opera Venosa provvedesse mediamente al fabbiso-gno di piu di una cinquantina di neofiti all’anno, pari al 4-5% degli ebreipresenti in citta.

Modena tuttavia non era immune dalle preoccupazioni ‘‘civiche’’ cheavevano gia scosso Reggio in materia di politiche conversionistiche: gli aiuti– secondo una linea che si manterra nel tempo – erano condizionati alla‘‘nazionalita’’ del neofita. «Se qualche forestiere – prescriveva il decretodel vescovo Molza del 1681 – ricevera il s. battesimo in questa citta senzapensiero di fermarsi e dimorare di continuo in essa, ma vora portarsi altro-ve [...], non sara admesso alla participatione delle sudette Opere Venosa eCalori, ne considerato come nostro neofito». Il legame con la citta e lestrutture di controllo presenti in essa rappresentava uno dei capisaldi cuisubordinare il sostegno concesso a convertendi e neofiti. A suggerire dipercorrere quella strada non erano soltanto le preoccupazioni degli ammini-stratori dei vari lasciti per la tenuta dei bilanci, ma piu in generale l’idea diindirizzare le poche risorse esistenti su chi dava garanzie di affidabilita econtrollabilita (concetti, come si capira, intrinsecamente legati tra loro).Questo significava razionalizzare le disponibilita dei legati e destinarle a co-loro che, sul lungo periodo, avrebbero potuto mostrare i risultati ottenutidalle autorita religiose alla citta su cui quelle stesse autorita governavano.Vi era in altri termini un’esigenza di visibilita rivolta piu ai cristiani che agliebrei, fondata sul principio che i benefici materiali e, soprattutto, immate-riali delle elemosine dovevano restare sul territorio e tornare, in terminidi rappresentazione e autocelebrazione, a coloro che le avevano assegnate.

Sovvenzionare i neofiti era dunque un’azione complessa in cui si intreccia-vano finalita ed esigenze differenti. Ma elargire non era sufficiente: bisognavaaccompagnare il processo in modo mirato, creando le condizioni perche inuovi cristiani si integrassero nella societa esterna al ghetto. A questo scoponel 1683 si costituı un terzo legato, il lascito Barberini.92 Ancora una volta,

91 I dati sono desunti da un piccolo registro senza segnatura allegato a ACAMo, OPC, Ammi-nistrazione, 9/2.

92 La copia del legato eseguita dal notaio Giovanni Altimani il 20 febbraio 1698 da cui si trag-gono, ove non diversamente specificato, le citazioni che seguono e conservata in ACAMo, OPC, Ro-giti (a). Un’ulteriore trascrizione e reperibile in Memorie, I, pp. 48-50.

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

l’iniziativa era partita da una donna di Casa d’Este, Lucrezia Barberini,93 ter-za moglie di Francesco I. Per provvedere al mantenimento delle giovani neo-fite nubili, la nobildonna decideva di erigere «un fondo di rendita annua dicentocinquanta doble» (la dobla o doppia valeva in quegli anni circa 31 liredi Modena), cento delle quali impiegate «ogn’anno in dare le doti e mante-nere le putte ebree che si convertono» a Modena o, in assenza di neofite mo-denesi, a Reggio; le restanti cinquanta per le missioni di Gesuiti, Carmelitanie Cappuccini. Esecutori delle disposizioni erano gli amministratori dell’«ope-ra pia de’ Bernardini», dedita all’assistenza degli orfani. A distanza di un an-no, il 31 marzo 1684, la duchessa torno sulle clausole del legato implemen-tando i fondi a disposizione,94 e il 25 marzo del 1690 introdusse ulterioriprecisazioni a favore delle missioni dei Gesuiti nel ducato di Modena.95 «Illegame tra la Barberini e quei Gesuiti, particolarmente Giovanni Maria Bal-digiani, che al principio del XVIII secolo riformarono l’assistenza ai poveri,innestando i modelli francesi sulle tradizioni comunali italiane»96 era solido,ne puo sorprendere trovare, tra gli effetti della vicinanza ai preti del Gesu,una specifica sensibilita in campo conversionistico come quella manifestatadalla duchessa nelle sue ultime volonta.

A ogni modo, dopo la morte della Barberini nel 1699, la Camera Ducaleaveva nicchiato nell’erogare i fondi previsti, bloccando di fatto l’applicazionedel legato. La Serenissima Casa avrebbe dovuto versare, per il periodo 1700-1703, 15200 lire per le neofite e 7600 ai padri Gesuiti: i mandati cui diedecorso coprirono invece solo 9475 lire per le convertite e 1900 per i pretidel Gesu.97 Qualche anno dopo le cose sembrarono aggiustarsi e per il ven-tennio 1707-27 la Camera ducale risulto aver «soddisfatto non solo intiera-mente, ma pagato anche di vantaggio £ 1022.14» – notizia cui il duca risposeordinando che la cifra «non si sconti nell’avvenire, ma resti a favore di dettaopera per le neofite».98 Il lascito Barberini aveva pertanto iniziato a funziona-

93 Sulla quale cfr. G. BIONDI, in DBI, 66, pp. 373-375 e le puntualizzazioni di GROPPI 2008.94 «Essendomi io nella donazione della mia dote fatta a favore del principe mio figlio, riserbata

il poter disporre di 15000 scudi romani per causa pia, intendo che detta somma sia dal mio eredeapplicata per fondo delle 150 doble dette di sopra»; ACAMo, OPC, Rogiti (a).

95 «Se li signori della mia Casa o li loro eredi gradissero d’avere nelli loro Stati o nella loro dio-cesi le missioni, prego il padre generale della compagnia di Giesu a compiacerla preferendo li paesi aloro soggetti ad ogn’altro»; ACAMo, OPC, Rogiti (a). Sul lascito destinato ai Gesuiti e le controversiesorte a riguardo tra la Compagnia e la Camera ducale, cfr. ORLANDI 1972, pp. 163 ss.

96 ZANARDO 1999, p. 121, con rimandi bibliografici.97 Cfr. ASMo, Ente comunale di assistenza, 39, carta segnata «nº 3». Si tratta dell’unica filza di

documenti appartenenti all’archivio dell’Opera Barberini che e stato possibile reperire.98 Ivi, carta segnata «21».

CAPITOLO PRIMO

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re, in maniera piu o meno efficiente,99 nel 1700, lo stesso anno in cui a Mo-dena vedeva la luce l’Opera pia del catecumeno.

Come per le Opere Calori e Venosa, poi, i registri a noi giunti consentonodi ricavare dati quantitativi piu precisi sul funzionamento del legato in que-stione.100 Procedendo come di consueto per campionature, nel gennaio del1722 nella lista dei beneficiari erano iscritte 8 neofite, tre anni dopo ve ne era-no 7, nel 1728 se ne contavano 11, 10 nel 1731, 9 nel 1733, 8 nel 1736, 7 nel1739 e di nuovo 8 nel 1742. Come si vede, l’incidenza dell’Opera Barberiniera relativamente limitata con una media di 8-9 neofite sussidiate ogni mese.Se ci si sposta avanti di un decennio le convertite a cui era assegnato un aiutoeconomico aumentano, portandosi a 10-12. Ma il cambiamento piu significa-tivo, come si apprende da un appunto manoscritto, si ebbe a partire dal 1753,quando il legato fu utilizzato anche per formare le doti «da constituirsi allemaritande».101 Per sostenere la vita delle convertite non era piu sufficienteelargire periodici contributi alle donne nubili, ma si doveva provvedere auna congrua dote che consentisse alle giovani ebree di completare l’inserimen-to nella societa cristiana attraverso il matrimonio. E se anche non sembra chel’istituzione del legato abbia prodotto significativi aumenti nelle conversionifemminili, e evidente che quella misura non poteva che agevolarle.

Per il resto, le carte sopravvissute alla dispersione documentaria lascianointravedere una vita istituzionale indicativamente tranquilla, con bilanci posi-tivi e un’amministrazione virtuosa.

Il Seicento aveva rappresentato per la capitale del ducato estense un pe-riodo di forte attivita in campo conversionistico e, sebbene non si fosse giunticome a Reggio all’istituzione ufficiale di una Casa per catecumeni, tutto ormaisembrava portare in quella direzione: presto una nuova Opera avrebbe accen-trato la gestione dei legati Calori, Venosa e Barberini, e per neofiti e convertitisi sarebbero aperti altri percorsi.

99 Un altro contenzioso che si profilo negli anni seguenti riguardo la valutazione da dare alle«doppie» lasciate dalla duchessa. Secondo la Camera ducale ci si doveva riferire alla doppia romana,mentre i presidenti dell’Opera propendevano per quella d’Italia. Decisa, nel 1753, ad adeguarsi allevalutazioni degli amministratori del lascito Barberini, la Camera risulto debitrice di 11000 lire. Lavertenza si risolse con una composizione tra le parti (cfr. ivi, registro denominato «Legato Barberini.Neofite», in part. cc. 1v-2r).

100 I dati sono desunti da ivi, registro denominato «Neofite».101 Ivi, carta segnata «49».

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ALL’ORIGINE DELL’ATTIVITA CONVERSIONISTICA

CAPITOLO SECONDO

IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

Gli inizi dell’attivita conversionistica erano stati caratterizzati, tanto a Modena quanto a Reg-gio, dalla sperimentazione di formule diverse che, lentamente, avevano posto le fondamentasu cui sarebbero cresciuti gli istituti per catecumeni. Nel caso modenese, verso la fine delCinquecento si era profilato un possibile sostegno delle magistrature comunali a una casaper convertiti e un conseguente inserimento dell’azione conversionistica tra le prerogativedella Santa Unione, l’ente assistenziale cittadino. L’ipotesi – che avrebbe conosciuto una cer-ta fortuna a Reggio – a Modena fu presto accantonata e a partire dagli inizi del Seicentofurono istituiti due lasciti, entrambi gestiti dalle autorita diocesane: il primo sussidiava gliebrei convertiti in occasione del loro battesimo (lascito Calori, 1629); il secondo prevedevaun’elemosina periodica ai neofiti (lascito Venosa, 1633). Nel 1683, poi, la principessa Lucre-zia Barberini diede vita a un terzo legato a favore delle convertite nubili, cui doveva esserecostituita una dote che ne favorisse il matrimonio e l’inserimento nella societa cristiana.A Reggio gli esordi delle opere per catecumeni erano stati invece piu tumultuosi e, a se-guito del lascito del nobile Alberto Scajoli, la confraternita cittadina della Misericordiaaveva proceduto all’istituzione di una vera e propria Casa dei catecumeni nel 1633. Suquell’ente, che pareva attirare donazioni e capitali, il Comune avrebbe voluto esercitareuna qualche giurisdizione, ma le gelosie e gli interessi dei confratelli della Misericordia– beneficiari del testamento Scajoli – fecero sfumare ogni possibilita di accordo nono-stante la mediazione tentata dal duca. Non passo tuttavia molto prima che gli oneri de-rivanti dalla gestione della Casa di Reggio si abbattessero sulla confraternita, e nel 1638venne stipulato un accordo con cui si cedeva in toto l’amministrazione dell’istituto alComune che da quel momento integro l’Opera all’interno degli organismi di assistenzacivica.In queste vicende, avviatesi su binari molto diversi, i sovrani – pur promuovendo una po-litica di relativa tolleranza – avevano svolto un ruolo non indifferente: a Modena eranostate in particolare le donne di Casa d’Este a prevedere nei propri testamenti appositi le-gati a favore di ebrei; a Reggio una parte rilevante era stata giocata dall’ex-duca AlfonsoIII che aveva abdicato a favore del figlio per vestire il saio con il nome di Giambattistad’Este. Nel solco della tradizione francescana, il religioso aveva perorato l’istituzione dellaCasa di Reggio e aveva inutilmente cercato di rendere l’ente per convertiti, il primo delloStato, aperto agli ebrei di ogni provenienza. Nonostante le aspettative dell’antico sovrano,sia l’istituto reggiano che i legati modenesi si attennero a una linea rigorosamente ‘‘locali-stica’’: a essere sovvenzionati potevano essere solo gli ebrei appartenenti alle comunita di

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Modena e Reggio e, come vedremo, raramente le Case estensi si sarebbero scostate daquell’impostazione.Quello che ora si cerchera di comprendere e come gli istituti si strutturarono dal punto divista statutario e operativo e quale fu il profilo che assunsero tra Sei e Settecento, nell’e-poca cioe che ne determino la fisionomia di fondo.

REGOLE DI CASA: IL CATECUMENO DI REGGIO DALLA GESTIONE COMUNALE ALLE

RIFORME SETTECENTESCHE

Per convertire, assieme a canali di finanziamento sicuro, servivano regole.Regole precise, che stabilissero procedure, tempi e modalita operative cui at-tenersi durante il periodo di catecumenato. A Reggio lo si era imparato subitoe, forse ancor prima dell’istituzione ufficiale della Casa, si inizio a lavorare aglistatuti che ne avrebbero regolato la gestione.1

Le norme che la confraternita della Misericordia aveva stabilito nel 1633per il Catecumeno erano allineate, non senza distinzioni di un certo rilievo, aiprincipi generali che reggevano le altre Case italiane, in particolare quella diBologna.2 Si stabiliva anzitutto il carattere laicale dell’Opera e dei suoi benie ci si premurava di sottrarre la Casa a qualunque ingerenza («pretensione,potesta o bailia») del vescovo. Nel ricovero erano ammessi ebrei e non cristia-ni, di ogni eta, sesso e nazione, purche accettassero di ricevere il battesimo aReggio (ma con il passaggio alla gestione comunale, come detto, furono accol-ti solo «ebrei della citta» ed ebrei del ducato sovvenzionati dalle magistratureche li avevano indirizzati verso l’istituto reggiano). Maschi e femmine avreb-bero dovuto avere alloggi separati.3 Il periodo di permanenza nella Casa nonsi esauriva con il catecumenato, stabilito in quaranta giorni,4 ma proseguiva

1 Una copia manoscritta degli statuti e conservata in ASRE, PLC, Capitoli et regole per la Casade’ Cathecumeni. Un’edizione critica del testo, gia noto a CASARINI 1980-1981, e riportata in AL KA-

LAK 2009a, pp. 477-483. Essa reca in frontespizio la datazione 1632, un anno prima dell’erezioneformale dell’Opera dei catecumeni. Una seconda versione degli statuti, divergente sotto il profilo te-stuale, ma sostanzialmente aderente nei contenuti, e riportata in Rapporto cronologico, pp. 11-36, sot-to l’anno 1634. E probabile che quest’ultima sia la veste finale assunta dai regolamenti dell’Opera. Sitiene conto di seguito delle eventuali varianti degne di segnalazione.

2 Come si legge nelle memorie dell’Opera, nel 1634 la Misericordia «passo [...] a stabilire leregole e capitoli [...] conformi nella massima parte alle leggi colle quali si governa il Cattecumenodi Bologna» (Rapporto cronologico, p. 10). Non a caso tra le carte dell’Opera reggiana (AIRete,PLC, Origine, cass. I, filza I, pacchetto A) si trovano le Costitutioni, ordini et leggi della Casa de’ ca-techumeni di Bologna riformati l’anno MDXCIII, Bologna, Rossi, 1595. Torneremo in seguito sul con-fronto tra gli statuti reggiani e quelli di altre Case.

3 Capitoli et regole, p. 477 (cap. 1).4 Lo ricorda la versione statutaria in Rapporto cronologico, p. 24: «Siano catechizati li cathecu-

mini per quaranta giorni intieri per assicurarsi della loro volonta».

CAPITOLO SECONDO

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per almeno un anno dopo il battesimo, nell’intento di sostentare i nuovi cri-stiani con vitto e alloggio, insegnare loro una «buona e onorevole arte» e, nelcaso dei fanciulli, istruirli nelle lettere e nelle scienze. In questo modo i neofitisarebbero stati «di buon esempio alli hebrei per convertirsi» e, trovando unimpiego nella societa cristiana, avrebbero costituito un monito per gli antichicorreligionari.5 La cura delle convertite, solitamente avviate ai servizi domesti-ci o alla vita religiosa, era affidato ad alcune nobildonne designate dagli am-ministratori del Catecumeno.6 Per sistemare i nuovi cristiani si sconsigliava,come prassi, il matrimonio tra neofiti: «Mai maritara neofito con neofita, accionon s’infredino nella santa fede, ma con persone cristiane timorate del Signo-re».7 Per educare non si scartavano inoltre mezzi come una stanza adibita aprigione, «per correggere, occorrendo, i novelli christiani disobedienti et con-tumaci».8

A vigilare sul buon funzionamento della Casa erano chiamati un fattore euna fattora, «marito et moglie essemplari et timorati del Signore»:9 il loro com-pito era quello di evitare rapporti impropri tra maschi e femmine, sorvegliare ilrispetto degli orari e soprattutto di tenere ben chiusi i locali durante la notte perimpedire ogni contatto tra i catecumeni e le famiglie di origine.10 Con lo stessoscopo si vietava ai convertendi di uscire senza essere accompagnati da uno degliamministratori e si proibiva tassativamente qualunque scambio in lingua ebrai-ca prima del battesimo («accio non siano in lingua hebrea affatturati»).11 Se poiun ebreo si fosse avvicinato alla Casa, «intorno o vicino ad essa, per ragionare ofare ragionare [...], molestare o fare inquietare» un ospite, gli sarebbe stata ap-plicata una sanzione di 200 ducatoni d’oro.12

Durante il catecumenato l’istruzione dei convertendi doveva essere com-missionata a «persone atte», preferibilmente «li padri della Compagnia di Ie-su»:13 il battesimo sarebbe stato celebrato in cattedrale alla presenza del vesco-

5 Capitoli et regole, p. 478 (cap. 2).6 Ivi, pp. 480-481 (cap. 9).7 La precisazione e contenuta nei capitoli in Rapporto cronologico, p. 26.8 Capitoli et regole, p. 482 (cap. 15).9 Diversi strumenti di nomina dei fattori della Casa, perlopiu settecenteschi, sono conservati in

AIRete, PLC, Origine, cass. I, filza III, pacchetto B.10 Capitoli et regole, p. 480 (cap. 5).11 Ibid. (cap. 8).12 Ivi, p. 482 (cap. 13).13 Anche prima dell’istituzione della Casa i Gesuiti si erano distinti a Reggio nelle conversioni di

ebrei. Nel 1631, ad esempio, la neofita Bona Levi testimonio di fronte al vicario vescovile: «Hoggi estato qui un padre gesuita vestito di nero, il qual mi ha instrutta et dimandato se voglio esser christiana,et io li ho detto che sı» (ACRE, OPC, 1511-1725, filza 2, cc. non numm.; esame del 31 marzo 1631).

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

vo con un solenne apparato processionale, suoni di campane e una pubblicapredica.14 Per chi decideva di ritirarsi dal battesimo o fuggiva dalla Casa dopoaverlo ricevuto era previsto un risarcimento a favore dell’Opera «per lo scanda-lo» arrecato: i beni del convertito, che l’Opera conservava durante la sua per-manenza, erano confiscati e l’ebreo veniva colpito dal bando perpetuo.15

Come si e visto per l’Opera Venosa di Modena, si indicavano anche alcunicriteri cui i neofiti dovevano attenersi per manifestare la loro adesione allanuova religione, in particolare la comunione e confessione una volta al mesesotto la guida di un sacerdote indicato dall’Opera.16

Per gestire il Catecumeno era designata una congregazione di cinque pre-sidenti: un rettore, un vicerettore, due visitatori e un sindaco, scelto tra i con-fratelli della Misericordia dal duca o dal governatore. Rettore, vicerettore esindaco costituivano le tre cariche principali: il primo, coadiuvato dal viceret-tore, doveva convocare ogni quindici giorni la congregazione per discuteredella gestione del Catecumeno e si recava in visita alla Casa ispezionandoneuna volta all’anno tutte le proprieta; il sindaco – figura di controllo e uomodi fiducia del duca – curava l’amministrazione della Casa, dei suoi «beni sta-bili et mobili», teneva i conti, annotava gli ingressi di nuovi ospiti e controfir-mava i mandati di pagamento emanati dal rettore. In piu, al termine dell’annodoveva dare conto dello stato economico del Catecumeno di fronte ai delegatiducali e all’intera congregazione.17

I presidenti – con un meccanismo analogo a quello adottato in seguito aModena – prendevano in custodia i beni degli ospiti per il tempo della loropermanenza e, all’uscita, restituivano loro ogni proprieta, trattenendo le even-tuali spese sostenute. Se un neofita o un catecumeno morivano senza testa-mento ne parenti cristiani, l’Opera «come madre» acquisiva l’eredita o ne te-neva un quarto se gli eredi erano cristiani «estranei», cioe non congiunti.18

Quando nella Casa non vi erano catecumeni, ne vi era necessita di erogaresussidi ai neofiti gia sistemati al di fuori di essa, si dovevano depositare le en-trate annuali presso il Monte di pieta per accrescere le disponibilita future del-l’istituto.19 Qualora gli ebrei se ne fossero andati da Reggio o «si fosse senzasperanza probabile del loro ritorno», si sarebbero dovuti impiegare i frutti del

14 Capitoli et regole, p. 481 (cap. 10).15 Ivi, p. 482 (cap. 13).16 Ivi, p. 480 (cap. 8).17 Ivi, pp. 478-479 (capp. 4-5).18 Ivi, pp. 478, 482 (capp. 3, 16).19 Ivi, p. 481 (cap. 11).

CAPITOLO SECONDO

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Catecumeno per aiutare le giovani vergini della citta «in mani di padre o ma-dre di mala vita», alloggiandole nella Casa al fine di preservarle.20

L’ultima evenienza che gli statuti contemplavano era l’estinzione della con-fraternita della Misericordia: se fosse venuta meno, il governatore di Reggioavrebbe dovuto nominare un rettore, un vicerettore e un sindaco perche rista-bilissero appieno la struttura dell’Opera e dessero continuita al Catecumeno.21

Con il passaggio del Catecumeno dalla Misericordia all’amministrazionecomunale, non si ebbero particolari modifiche e, oltre a quanto gia detto circagli ebrei «forestieri», si procedette a sostituire la congregazione formata darettore, vicerettore e sindaco con «tre soggetti tratti dal General Conseglio»,cioe nominati dal Comune.22

Se nel 1638, dopo i primi burrascosci anni di vita istituzionale, l’Opera deicatecumeni sembrava dunque avviarsi verso un assetto relativamente stabile,non altrettanto si puo dire del luogo deputato ad accogliere i convertiti. Ini-zialmente ospitati nella casa donata da Alberto Scajoli «in via Tavolata, viciniadi S. Prospero»,23 i neofiti reggiani furono protagonisti di vari trasferimenti daun’abitazione all’altra.24

Nel 1638 erano alloggiati nella casa di un certo Flaminio Ruffini che, aquanto e dato capire, aveva promesso di donare all’Opera i locali. Tiratosiindietro, aveva chiesto 1000 ducatoni per la cessione dello stabile, costringen-do la Misericordia a mettere mano alla borsa. La confraternita aveva poi do-nato la casa al Catecumeno, ormai comunale, intorno al 1640, riservandosiuna stanza per tenervi le proprie riunioni. L’abitazione, nella vicinia di SanRaffaele,25 venne venduta dall’Opera il 9 febbraio 1650 al canonico ValerioZanelletti, che non saldo il prezzo convenuto, dando inizio a una serie di cau-se legali vinte dal Catecumeno e culminate in una composizione tra le partinel 1669.26

20 Ivi, pp. 481-482 (cap. 12).21 Cosı gli statuti in Rapporto cronologico, pp. 35-36. Nei Capitoli et regole, p. 483 (cap. 18) si

trova una definizione che risente ancora della contrapposizione sulla gestione dell’Opera in corso nel1633: in essi si stabiliva che il vescovo e il Comune avrebbero nominato un delegato ciascuno e questiavrebbero proceduto a eleggere un terzo funzionario per ricostituire la terna composta da rettore,vicerettore, sindaco.

22 Rapporto cronologico, p. 41.23 Cenno istorico, p. 170; cfr. Rapporto cronologico, p. 41 («la casa gia di detto Scajoli [e] con-

finata dalle vie di Tavolata e Galgana, sotto la vicinanza di San Prospero»).24 I dati che seguono sono tratti da Rapporto cronologico, pp. 41-48.25 «In confine de’ conti Masdoni, [di] Aurelio Zanelletti e della pubblica strada» (ivi, p. 43).26 Il rogito di vendita e la successiva risoluzione del 1669 si trovano in AIRete, PLC, Origine,

cass. I, filza III, pacchetto A, nn. 2-3.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

Nella stessa vicinia27 l’Opera possedeva altre due abitazioni pervenutelemediante il lascito testamentario di Anna Pratonieri del 26 luglio 1649.28

Quando nel 1650 fu venduta casa Ruffini, i catecumeni furono trasferiti neilocali del lascito Pratonieri, parte dei quali furono alienati il 4 aprile 1691ai conti Paolo e Orazio Parisetti.29 La vendita, che aveva fruttato 600 ducatonipiu 100 ducatoni donati dai compratori, servı a coprire le spese per restauraregli ambienti rimasti e ricavarvi una cantina. Cinquant’anni dopo, l’8 maggio1744, la Casa dei catecumeni proveniente dal testamento Pratonieri fu permu-tata con i conti Parisetti, che cedettero all’Opera due abitazioni, la prima,piu grande, riservata ad alloggiare i convertiti, la seconda dotata di locali diservizio.30

Piu difficile che ricostruire i traslochi risulta stabilire quanti e quali furonogli ospiti dell’istituto: in assenza di un registro degli assistiti o dei battezzati,che pure dovette esistere, non e semplice valutare quanti ebrei giunsero allaconversione attraverso l’Opera, e solo ricorrendo a fonti amministrative oesterne all’archivio del Catecumeno e possibile ricavare qualche indizio.

Cominciamo dai verbali degli esami cui i vescovi sottoposero gli ebrei chemanifestarono l’intenzione di convertirsi.31 Nell’agosto del 1636 fu ascoltatoun bambino, Samuele Vogheni, originario di Borgo San Donnino, l’attuale Fi-denza.32 Da un anno si trovava a Reggio e, dopo essersi rifugiato nell’abitazio-ne di un tal Giovanni Battista Bosi, aveva chiesto di essere condotto in Cate-cumeno. Appena dodici giorni piu tardi, il bambino era in grado di farsi ilsegno della croce e recitare il padre nostro e l’ave maria. Secondo il resocontodei due verbali esistenti, in parte contrastanti tra loro, a influenzare il fanciullo

27 «Confinate da Paolo Parisetti, da Giovanni Ancini, dalla strada pubblica e da Antonio Bel-trami» (Rapporto cronologico, p. 46).

28 Un dettagliato resoconto sul testamento Pratonieri in Rapporto cronologico, pp. 84-94. Cfr.anche AIRete, PLC, Eredita devolute, cass. I-II («Recapiti dal 1629-1665»).

29 La porzione venduta consisteva «in una camera ad uso di cucina, con cantina sotto e di sopraun guasto ad uso di granaro da fondamenti sino al tetto» (Rapporto cronologico, p. 46). Il rogito econservato in AIRete, PLC, Origine, cass. I, filza III, pacchetto A, n. 4.

30 «La prima con colombara, stenditore ed altre pertinenze confinata da oriente dalle ragioniOrselli, a mezzogiorno dal piazzale di San Raffaele, a occidente in parte le ragioni di questo moni-stero ed in parte il viazzolo [...] e da settentrione dalle ragioni Cabrietti; la seconda disgionta sı, madeserviente alla prima ad uso di scuderia, bugadara, teggia ed altro, con sua corticella, confinata amattina da predetto viazzolo rinchiuso, a mezzogiorno dalle ragioni di detto monistero, a occidenteda quelle del consorzio di San Raffaele» (Rapporto cronologico, p. 47). Per il rogito di permuta, cfr.AIRete, PLC, Origine, cass. I, filza III, pacchetto A, n. 5.

31 Si tratta di tre filze in ACRE, OPC, che conservano materiale eterogeneo riguardante i rap-porti tra gli ebrei e le autorita diocesane. Vi fece abbondante ricorso BALLETTI 1930, pp. 189-206.

32 ACRE, OPC, 1511-1725, filza 2, cc. non numm., da cui sono tratte le citazioni che seguono.Si tratta di due verbali di esame datati 21 luglio e 5 agosto 1636.

CAPITOLO SECONDO

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erano state alcune donne che avevano avvisato il canonico Giovanni Paolo Pe-diani, uno dei fondatori del Catecumeno, perche intervenisse e convincesseSamuele a entrare nella Casa. Conversioni del genere, naturalmente, non fu-rono sempre pacifiche. Nel 1644 i parenti del piccolo Ligia, ospite della Casa,avevano fatto ricorso al cardinale Lelio Falconieri contro il vicario di Reggioperche, a loro dire, questi aveva forzato la mano ponendo in Catecumeno unbambino non ancora in grado di intendere e di volere.33

Ulteriori informazioni sugli ospiti vengono poi dai registri contabili dell’O-pera, che fino alla fine del Seicento sembrerebbero attestare la presenza all’in-terno del pio luogo di 8-10 convertiti all’anno, tra catecumeni e neofiti. Nel1645 la Casa – governata, a differenza di quanto stabilito dagli statuti, dauna fattora non maritata – doveva provvedere al vitto di 8 convertiti, per i qualivenivano anche effettuate spese straordinarie (l’acquisto di libri, abiti, tessuti escarpe).34 Simile la situazione degli anni successivi, in cui perdurava la gestionedi fattore o «governatrici» di sesso femminile. Nel 1653 Gioconda Baettini, aiu-tata da una certa Francesca Zanichelli, sovrintendeva a 8 convertiti, 5 femminee 3 maschi, cui si affiancavano alcuni sussidiati esterni e una beneficiaria del le-gato Pratonieri ospitata nei locali della Casa.35 Nel 1654 la «famiglia della Casade’ catecumeni» era cresciuta e agli ospiti – gia cristiani o in attesa di battesimo –dell’anno precedente se ne erano aggiunti altri tre, per un totale di 10;36 cifraanaloga a quella registrabile un decennio piu tardi.37

Nel 1673, mentre la fattora Caterina Bonezzi era licenziata a favore di Gio-vanni Cattini e sua moglie, venivano battezzati a spese dell’Opera 5 ebrei e, a Pa-squa, Francesco II d’Este e la marchesa Teresa di Lanzo accompagnavano al sa-cro fonte la trentenne Rachele Foa.38 Nel primo mezzo secolo di vita la Casa

33 «Li parenti del giovinetto hebreo, presentato gia a V.S. con fine di farsi christiano e da leifatto depositare nelli Catecumeni per vedere se persista in cosı santo proponimento, ricorsero almio vicelegato e poi da me, supponendo che il medesimo fosse stato levato per forza e che hogginon si trova in piena liberta d’eleggere lo stato christiano per la sua minore eta» (ivi; lettera datataBologna, 19 dicembre 1644).

34 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1645, cc. 44-45.35 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1653, c. 2 e passim. Gli ospiti della Casa erano Scola-

stica Buosi, Isabetta Casellini, Isabella Righetti, Isabella Rosselli (o Ruscelli), Anna Fortunati, PietroMaria Ancarani, Giacomo Ruscelli e Francesco Fortunati.

36 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1654, c. 3. I nuovi ospiti erano Anna Teresa Fortunati,Michelangelo Prati e Pietro Gioseffo Fontana.

37 La fonte non distingue tra ospiti e sussidiati. Questi i loro nomi: suor Anna Deodata Man-fredi, Anna Maria, Anna Isabella, Francesco Fortunati, Lucia Manfredi, Luigi, Maria Caterina Va-lentini, Maria Caterina Boccacci, Pietro Gioseffo Fontana e le ebree Sara e Diamante che avevanoricevuto il battesimo in quell’anno; cfr. ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1664, passim.

38 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1673, cc. 5, 15.

4— 33 —

IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

mostro dunque un’attivita stabile con scarsi scostamenti, confermata dai dati, piuprecisi, degli anni seguenti. Nel 1675 erano reperibili 8 convertiti di eta mediamolto bassa (17 anni)39 e un numero analogo di ospiti era presente nel 1688.40

Stando a una testimonianza tarda, agli ebrei alloggiati in Catecumeno era-no assicurati per il tramite del fattore «i letti e biancherie occorrenti per essiletti, per la tavola e per le mani», «il fuoco e lume» e una «giornale cibaria»costituita da pane, due boccali di vino, minestra di grano, pasta, due pietanzela mattina, una zuppa di pane e una pietanza la sera.41

Questo non bastava tuttavia a garantire il buon esito delle conversioni.Anche a Reggio vi furono episodi di fuga o di «incorreggibilita». Nel1697, ad esempio, Giuseppe Sanguinetti era scappato, a un passo dal batte-simo, convinto «dal commune nemico». L’economo aveva cercato di recupe-rare le somme spese per preparare la cerimonia (oltre 300 lire), ma «per ilstato suo miserabile» non se ne era potuto cavare nulla.42 Ne era servito amolto condurre alla fede cristiana Prospero Morandi, che abitava da tempoin Catecumeno: il neofita si era reso protagonista di episodi spiacevoli, e no-nostante «le correzioni fattele in moltissime occasioni e la prigionia», non siera ottenuto altro risultato che quello «di sempre piu renderlo temerario etinsolente, non solo contro li neofiti in detto pio luogo degenti [...], ma anchecontro l’istessi fattore e fattora [...] e verso gli illustrissimi signori presiden-ti». L’Opera decise pertanto di rispedirlo in prigione fino a che non si fosseravveduto.43

Con l’inizio del Settecento l’attivita della Casa pare progressivamente ridimen-sionarsi: lo stato lacunoso dei registri di quegli anni e la carenza di dati non con-sentono valutazioni stringenti, ma e ugualmente possibile riscontrare un affievo-limento dei ritmi iniziali. Nel 1704 assieme ai fattori dimoravano nell’istituto 3 solineofiti,44 lo stesso numero registrabile diversi anni piu tardi, nel 1718.45

39 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1675, c. 2.40 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1688, c. 29. Si trovavano in Catecumeno Rosa Parisetti

e le sue due figlie Caterina ed Elisabetta, Francesco Maria Giglioli, Giuseppe Maria Manicardi, IsaacRava (battezzatosi il 4 maggio come Angelo Maria Salis e uscito poco dopo), Lazzaro Sanguinetti(divenuto cristiano con il nome di Francesco Contardi il 30 maggio) e Natal Norgi.

41 ASMo, Giuridizione sovrana, 139, cc. non numm. (f. «1792. Reggio. Amministrazione delMonte. Pio luogo de’ catecumeni», nº 1 «Promemoria della ducal Camera de’ conti sull’aumentodi stipedio», Memoriale del 20 giugno 1792).

42 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1697, c. 24.43 Partiti 1677-1753, 26 novembre 1749.44 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1704, c. 18. Gli ospiti erano Camilla Fontanelli, Giu-

seppe Vezzani e Benedetto Gabbi.45 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1718, cc. 41-44. Allora erano probabilmente presenti

in Catecumeno Raffaele Diena e suo figlio, entrati quell’anno, e una certa Francesca Emilia.

CAPITOLO SECONDO

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Se pochi erano coloro che alloggiavano nel ricovero per catecumeni, moltirestavano invece i sussidiati, cui erano destinate erogazioni mensili che andava-no da 8 a 16 lire, oltre a un’elemosina di 4 lire a Natale e Pasqua.46 Nel 1721 afronte di 14 sussidiati esterni, si sostenevano «per cibaria» – cioe con il vitto chela Casa forniva ai suoi ospiti – soltanto Camillo Serpini, sua moglie e una neo-fita; si provvedeva poi a una maestra per il piccolo Giovanni Federico Fortuna-ti, a carico dell’istituto dopo che suo padre aveva richiesto l’intercessione delduca per ottenere un prolungamento degli aiuti dell’Opera.47 Due anni piu tar-di Serpini e la moglie erano divenuti fattori e l’unico contributo per ospiti dellaCasa era destinato a Fortunati.48 La penuria di convertendi era tanto evidenteche, nel 1735, se ne fece oggetto di un’apposita seduta dell’Opera: gli ammini-stratori, registrando la «renitenza che da qualch’anni in qua hanno gli ebrei diportarsi in questo pio luogo in occasione intendono di professare la nostra santafede», si domandavano se persistere nel mantenimento dei fattori, divenutotroppo costoso per la cura di cosı pochi ospiti.49

A fronte di tale scarsita di convertendi, i sussidiati non accennavano peroa diminuire: ancora nel 1738, a piu di un secolo dall’istituzione del Catecume-no, se ne contavano 17;50 nel 1749 erano annoverati 2 o 3 ospiti e 13 sovven-zionati esterni,51 mentre nel 1780, per 5 ospiti interni alla Casa, vi erano unaquindicina di sussidiati che abitavano fuori di essa.52

Questa abbondanza di beneficiati e le crescenti uscite della Casa avevanogia determinato, nel 1724, un taglio dei contributi, non essendovi «altro modod’alleggerire le spese [...] che quello di riformare le mensali elemosinarie sov-venzioni».53 Ai neofiti meglio provvisti erano state applicate riduzioni tra il 20

46 Cfr. Rapporto cronologico, p. 51.47 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1721, cc. 15-29; Partiti 1677-1753, 15 dicembre 1721.

Le discussioni riguardanti Fortunati e il suo mantenimento andranno avanti per molti anni. Nel 1727i funzionari dell’Opera fissarono un termine di tre mesi per la sistemazione del giovane, decidendo diavviarlo alla carriera ecclesiastica (che poi imbocchera) o a una qualche arte con cui sostentarsi auto-nomamente (cfr. ivi, 29 novembre 1727; 23 maggio 1730).

48 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1723, cc. sciolte (ricevute dei mesi di agosto e settem-bre).

49 Partiti 1677-1753, 9 luglio 1735. Dopo le discussioni volte a ridurre i costi che gravavanosull’Opera, nella seduta del 24 luglio 1735 si delibero, contrariamente agli auspici dei giorni prece-denti, di cercare nuovi fattori.

50 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1738, c. 17 e ivi, 1742, c. 14.51 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1749, c. 23; elenchi dei sussidiati si trovano anche in calce

a Partiti 1677-1753, che indica 11 sussidiati nel 1746-47, 12 nel ’48, 13 nel ’49 e 10 negli anni 1750-53.52 ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, cc. non numm. («Distinta de’ neofiti esistenti nel 1780»).53 Partiti 1677-1753, 10 giugno 1724. Cfr. anche AIRete, PLC, Origine, cass. I, filza III, pac-

chetto C, n. 2.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

e il 40%, che avevano consentito di preservare le elemosine destinate ai con-vertiti piu bisognosi. In qualche caso l’erogazione dei contributi era stata so-spesa per cattiva condotta, come sperimento Paola Teresa Camilli, che nel1722 si vide negata la «sovvenzione mensale» per «molte inobedienze», cul-minate con la fuga da Reggio e l’abbandono di figli e marito nel 1733.54 Ingenerale comunque si cerco di contenere il drenaggio di risorse economicheattraverso misure di razionalizzazione, dall’obbligo per le neofite di scegliere,al momento di sposarsi, se ricevere una dote oppure godere di un sussidio pe-riodico,55 alla revoca degli aiuti a quelle convertite cui i mariti potevano ga-rantire un adeguato tenore di vita.56

Con le diverse figure che le ruotavano attorno – tra i salariati dell’Opera vierano, oltre ai fattori, un fornaio, un medico e un cancelliere –, la Casa reg-giana era concepita come un istituto in cui si entrava per il periodo di catecu-menato e spesso si rimaneva per un tempo non breve, anche dopo il battesi-mo. Sebbene i registri amministrativi ricorrano all’espressione «neofita» perdesignare indistintamente convertiti battezzati e da battezzare, dalla loro let-tura si puo intuire che gli ospiti, complice in molti casi la loro tenera eta o laprecaria posizione sociale, rimanessero a lungo nella Casa, come del resto eraprevisto dagli statuti.57 Non mancarono casi-limite come quello di TeresaAvogli, che «per lo infermiccio suo stato» nel 1764 abitava nei locali del Ca-tecumeno da otto anni,58 o ancora quello di Elisabetta Parisetti che, sul finiredel Seicento, si era sposata dopo essere rimasta in Catecumeno per diciottoanni.59

Per mantenere una struttura che, tra ospiti e neofiti esterni, arrivo a sus-sidiare all’incirca 20-25 persone all’anno, fu necessario rifornirsi di mezzi eco-nomici adeguati. Gli esordi dell’Opera non furono facili e, almeno agli inizi, sidovettero presentare alcuni problemi di liquidita. Supporterebbe questa ipo-tesi la richiesta di aiuti che, il 19 aprile 1640, il rettore della Casa fece agli An-ziani di Reggio: per risolvere la questione il Consiglio cittadino dispose un

54 Partiti 1677-1753, 8 aprile 1722; 9 maggio 1733.55 Ivi, 15 settembre 1727.56 Questo fu il caso di Antonia Micheli, cui si sospesero le elemosine «per essere il di lei marito

assai comodo e capace a poterla alimentare». Cfr. ivi, 15 giugno 1732.57 Entrambe le versioni statutarie esistenti lo prevedevano: «Nella Casa [...] abitaranno i catte-

cumeni avanti il santo battesimo ed i neofiti dopo il battesimo un anno almeno potendosi, e piu anniconforme al bisogno di ciascuno a giudicio dell’intera congregazione» (Rapporto cronologico, p. 11);pressoche identiche le disposizioni reperibili in Capitoli et regole, p. 478 (cap. 2).

58 Rapporto cronologico, p. 50.59 Il caso di Elisabetta Parisetti e desunto da una testimonianza resa dalla stessa e conservata in

ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, c. non num.

CAPITOLO SECONDO

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prestito a favore dell’Opera da parte dell’Ospedale dei Bastardini, poi restitui-to l’anno seguente.60 Anche il vescovo per parte sua cerco di alleviare la gra-vosa situazione del Catecumeno concedendo ai presidenti la possibilita di rac-cogliere elemosine (Fig. 3).61

Una maggiore stabilita derivo alla Casa dal patrimonio immobiliare di cuiriuscı a entrare progressivamente in possesso: nel 1654, anche grazie al riccolascito di Anna Pratonieri, l’Opera era proprietaria di diverse tenute con edi-fici e terreni (Bagnolo, Nebbiara, ecc.), un mulino, vari campi, due case nellevicinie di San Prospero e San Raffaele e, ovviamente, della Casa dei catecume-ni.62 A un secolo di distanza, nel 1764, i beni stabili parevano essere aumentatie, come prima, continuavano le entrate che derivavano dai censi attivi di cuil’Opera era titolare. Contando i soli beni costituiti da terreni e case, il pio luo-go possedeva piu di 400 biolche di terreno sparse nelle campagne (Rami, Sab-bione, San Tomaso di Bagnolo, San Prospero Strinati, Nebbiara, Porta Castel-lo, Borzano), un mulino in borgo Santa Croce, cinque case a Reggio e unaporzione di casa a Modena.63

Nonostante un incremento patrimoniale cosı significativo, per l’istitutoil Settecento si sarebbe rivelato un periodo di declino. Le riforme della pub-blica assistenza succedutesi nella seconda meta del secolo avrebbero portatoil Catecumeno a confluire nel 1754 nella Congregazione generale delle ope-re pie, unione di sei enti assistenziali di pertinenza comunale, destinati apassare sotto il controllo dell’Intendenza generale. Trent’anni piu tardi,nel 1789, Ercole III emano un nuovo regolamento che, in un’ottica di razio-nalizzazione, ridusse le amministrazioni delle sei opere a tre (Santo Monte,Ospedale e Orfani), includendo il Catecumeno tra i ricoveri facenti capo al-la prima divisione. Inevitabilmente, parte dei fondi e dei lasciti originaria-mente dedicati alla conversione degli ebrei finirono per essere utilizzatiper altri scopi e, quando ormai ci si avvicinava alla soppressione vera e pro-pria, i capitali che avrebbero dovuto favorire neofiti e convertiti si dimostra-rono una preda a cui governi e istituti di assistenza piu grandi non sepperoresistere.64

60 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1640, c. 12.61 Una copia a stampa del provvedimento emanato dal vescovo Paolo Coccapani in ACRE,

OPC, 1511-1725, filza 2, c. non num.62 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1654, c. 2.63 I dati sono rielaborati da Rapporto cronologico, pp. 220-230.64 Sulle riforme della pubblica assistenza a Reggio, cfr. BARAZZONI 1987. Per il riformismo

estense di fine Settecento si veda piu in generale MARINI 1987.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

Fig. 3. Decreto del vescovo di Reggio Paolo Coccapani a favore della casa dei catecumeni(1641).

GLI ESORDI DELL’OPERA DEI CATECUMENI DI MODENA

A differenza di quanto si era verificato a Reggio, Modena non era riuscitaa creare un apposito luogo per i convertendi, ne il Comune o la famiglia re-gnante si erano mostrati propensi a caricarsi stabilmente di quel fardello. Ilpercorso che avrebbe portato all’istituzione di una Casa per i catecumeni videuno specifico impegno dell’autorita vescovile che individuo nel sacerdote donLuca Ugoletti la persona in grado di condurre a buon fine uno sforzo di coor-dinamento e potenziamento dell’iniziativa conversionistica. A partire dal167865 Ugoletti si occupo costantemente di quanti decidevano di abbandona-re l’ebraismo per abbracciare la religione cristiana, sostenuto da vari censi afavore dei neofiti costituiti nello stesso periodo dalla Curia modenese.

E possibile che quello non fosse stato l’unico tentativo in tal senso se, co-me attesta l’erudito Mauro Alessandro Lazzarelli, gia nel 1671 era attiva un’O-pera pia dei neofiti sovvenzionata dalle autorita diocesane.66 Un esame attentodel resoconto fornito da Lazzarelli,67 cosı come diverse indagini svolte in se-guito,68 porterebbero tuttavia a scartare l’esistenza sin da allora di un’operastrutturata dedicata ai nuovi cristiani, aprendo piuttosto all’ipotesi di un sus-

65 Lo si deduce da quanto scritto nel rogito di fondazione dell’Opera dei Catecumeni stilato nel1700 che ricorda come Ugoletti, «deputato da quel vescovo [di Modena] all’instrutione de’ cathecu-meni ebrei e neofiti», dopo «la continua angustia di 22 anni» aveva finalmente trovato donatori di-sposti a sovvenzionare l’Opera. Cfr. Fondatio.

66 Cfr. FABBRICI 1999, p. 58; ZANARDO 1999, p. 122; GHELFI – BARACCHI 1995, p. 34.67 Per maggiore chiarezza riportiamo un ampio stralcio del testo: «In quest’anno [1671] altresı

fu in<st>ituita in Modana l’opera pia del neofitismo ordinata ad alimentare e mantenere et istruireebrei qualora sono catecumeni sino al tempo del loro battesimo a spese dell’opera sodetta [...] Su-periori donque di quest’opera sono monsignor vescovo e vicario generale vescovale di Modana protempore; presidenti e amministratori della medesima sono dodici fra quali un presidente chiamato delgoverno, sei de’ quali devono esser eletti dagli fratelli che sieno sacerdoti dell’oratorio della penitenzaistituito in S. Bartolomeo, chiesa de’ padri gesuiti di Modana, e sei sacerdoti conviventi nella casadella congregazione di San Carlo. In oltre sono sempre 6 dame della citta soprintendenti a quest’o-pera et agli catecumeni, una delle quali e prioressa pel tempo prescritto. L’intenzione per altro de’divoti fondatori di quest’opera [...] e la seguente: che delle entrate de’ ditti censi sieno alimentati licatecumeni pro tempore col pagargli la dozina e somministrargli altre cose necessarie e degli avanzidelle dette entrate se ne faccia sempre maggiore il fondo sino che arrivi l’entrata a duemille scudiannui [...] Sono per altro di quest’opera stampati li capitoli approvati dalla Santa Sede e sono appres-so li detti sacerdoti di San Carlo, uno de’ quali, cioe il signor don Luca Ugoletti, me li mostro e midisse che madama Lucrezia Barberini che fu moglie del duca Francesco primo d’Este e madre delregnante duca Rinaldo primo, prima di morire lascio per testamento scudi romani 10000 [...] alladetta opera pia a che pero alla stessa non sono mai stati dati»; M.A. LAZZARELLI, Informazione del-l’Archivio del Monistero di S. Pietro, V (BEUMo, a.R.8.5), pp. 272-274. Come si vedra tra poco, ladescrizione di Lazzarelli coincide di fatto con gli statuti dell’Opera pia dei catecumeni sorta nel 1700.Cosa abbia portato l’erudito a retrodatarne la fondazione non e chiaro.

68 Cfr. Memorie, II, pp. 43-45.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

sidio informale erogato dalla diocesi ai convertiti attraverso l’istituzione dicensi ad hoc, caso per caso. Che del resto la situazione in quegli anni fosseconfusa e scarsamente organizzata, lo dimostrano alcuni episodi che spinseropersino Roma a chiedere spiegazioni. Capito ad esempio per il figlio di MoiseSacerdoti, battezzato ancora in fasce da una certa Eleonora Bazzani.69 Il 29gennaio 1688, il neonato era stato lasciato alla donna dalla nutrice, tale Cate-rina Rinaldi, costretta ad assentarsi per sbrigare alcuni affari. La Bazzani, a suodire ispirata da Dio, aveva battezzato il piccolo «non volendo che il suo san-gue andasse a casa del diavolo». «Gaetano Francesco Maria vuoi esser battez-zato?», gli aveva domandato. E vedendolo ridere, aveva proceduto a ripeteretre volte la formula battesimale, certa che «chi tace consente». Venuto a co-noscenza della vicenda, il vescovo aveva affidato il piccolo alla balia, cercandodi porre rimedio al groviglio di violazioni del diritto canonico e civile venutosia creare: il bambino non era in pericolo di vita ne, ovviamente, i parenti eranoinformati di quanto accadeva. In piu la Bazzani aveva celebrato il sacramentoa suo modo, pronunciando tre volte (e non una) la formula battesimale e la-sciando il bambino bagnato dall’acqua «accio fusse meglio battezzato». Lacongregazione del Sant’Ufficio, cui quei riti richiamarono forse pratiche di al-tro tipo, pur ritenendo valido il battesimo, domando delucidazioni e ordinoche la Bazzani fosse sottoposta a severe ammonizioni.70

Era evidente che quelle evenienze potevano essere prevenute o quantome-no arginate solo attraverso risposte istituzionali piu articolate. A farsene caricofu il gia menzionato Luca Ugoletti, da cui venne l’impulso decisivo alla nascitadel Catecumeno della capitale estense. Nato a Baiso, nel reggiano, e apparte-nente alla congregazione della Beata Vergine di San Carlo,71 Ugoletti avevaspeso gran parte della sua vita nell’impegno conversionistico.72 Dopo esserestato deputato dal vescovo «all’instrutione de’ cathecumeni ebrei e neofiti»,aveva sperimentato la difficolta di trovare fondi per garantire il necessario so-

69 ACDF, S.O., D.B., 1 (1618-1698), cc. 506-518; le citazioni sono tratte dalle cc. 507-508.70 Il 22 maggio 1688 il vicario diocesano rassicuro sulla punizione inflitta alla Bazzani, ufficial-

mente per aver ripetuto la formula battesimale tre volte: «Si fece una buona riprensione anco damonsignor medesimo, con avertirla a non incorrere piu in simili errori, sotto pena della scommunicae carcere ad arbitrio»; ivi, c. 513.

71 Alcuni ragguagli sulla storia della congregazione sono reperibili in Congregazione 1857. Cfr.anche SOLI 1974, I, pp. 223-232.

72 Cfr. ACAMo, Fondo Casolari (con schede biografiche dei preti modenesi). L’atto di morte diUgoletti consente di definirne approssimativamente la data di nascita (1634): «Adı 13 aprile 1715. Ilsignor don Luca figliolo del signor Pelegrino Uguletti da Baisa de anni 81 incirca della congregacionedel Colegio di San Carlo, munito di tutti li santissimi sacramenti morı e fu sepolto in detta chiesa [diSan Lorenzo]» (ACAMo, Parrocchie soppresse, S. Lorenzo, Libro 159, p. 182).

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Fig. 4. Capitoli dell’Opera dei catecumeni di Modena (1708).

stegno ai convertendi. In assenza di una casa o, almeno, di una qualche ren-dita a vantaggio dei catecumeni, era complicato evitare che i buoni propositiiniziali fossero vanificati dagli ostacoli concreti che si frapponevano sul cam-mino.73 Il sistema di legati a favore degli ebrei operante a Modena garantivasussidi solo dal giorno successivo al battesimo e accompagnava i passi dei neo-fiti quando questi erano ormai cristiani. Quello che invece restava in ombra eper molti aspetti comprometteva l’efficacia della strategia conversionistica erail mancato sostegno durante il periodo di catecumenato, affidato di volta involta alle elemosine, all’ospitalita o alla carita dei cristiani di vecchia data.Era sul campo, dunque, che Ugoletti aveva compreso l’importanza di un’ope-ra che colmasse le falle esistenti e coordinasse gli istituti gia attivi, cioe le Ope-re Calori, Venosa e Barberini.74

Nel 1700 Ugoletti aveva trovato i fondi necessari ad avviare il progettolungamente accarezzato e aveva potuto acquistare per 2600 lire modenesiun censo di 103 lire istituito dal Comune.75 I donatori, come appare dai libricontabili dell’Opera, erano Giovanni Andrea Mongardini, don Giovanni Cor-radi e lo stesso Ugoletti: i tre avevano comprato censi «per persona da nomi-narsi», designando il Catecumeno come beneficiario.76

Reperiti cosı i mezzi e ottenuta l’approvazione della Congregazione delConcilio, il 7 giugno 1700 per mano del cancelliere vescovile Silvestro Galloni(futuro cancelliere del Catecumeno) venivano rogati l’atto di fondazione e gli

73 Lo conferma il testo di una lettera rivolta al papa per chiedere l’approvazione degli statutidell’Opera: «Beatissimo Padre, Luca del fu Pellegrino Ugoletti, sacerdote della compagnia del San-tissimo Sacramento, congregazione della Beata Vergine di San Carlo di Modana, umilissimo servodella Santita Vostra, deputato da quel vescovo all’instrutione de’ cathecumeni ebrei e neofiti, tro-vandosi sempre sommamente angustiato in occasione di qualche convertito, e necessitato mendicarper sostentarlo, non essendo in questa citta casa ne entrata per li cathecumeni, per lo che soventealcuni disposti alla santa fede se ne ritornano e si riconfermano nel primo errore. Dio lodato, dop-po la continua angustia di 22 anni, si sono ritrovati due christiani sı caritativi che, anche viventi,s’essibiscon donare varii lor beni fruttiferi per fondamento d’un’opera per i cathecumeni» (Fonda-tio, cc. 2v-3r).

74 Si vedano a riguardo le discussioni sviluppatesi durante la congregazione del Catecumeno del 20giugno 1707: in essa fu «proposto che la mente e sodisfatione di monsignore illustrissimo e reverendis-simo nostro vescovo sarebbe che la congregazione [del Catecumeno] assumesse in se anco l’Opera Ve-nosa a favore de’ neofiti e la maneggiasse nell’istesso modo ch’e stata sin hora manegiata dal signor donLuca Ugoletti; al che la congregazione ubbidı prontamente» (ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data).

75 Cfr. Fondatio, c. 11v. Il rogito costitutivo era stato rogato dal notaio Giovanni Manini il3 febbraio 1700.

76 La notizia si ricava dal registro conservato in ACAMo, OPC, Amministrazione, 101 sulla pri-ma carta del quale si legge: «Censi acquistati parte dal signor Giovanni Andrea Mongardini, parte dalsignor dottore don Giovanni Corradi e parte dal signor don Luca Ugoletti e tutti per persona danominarsi, e questa e stata l’Opera de’ Catecumeni di Modona per rogito del signor Annibale Ave-roldi lı 14 marzo 1701 [...] Et altri da signori presidenti dell’Opera come in questo».

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statuti dell’Opera alla presenza del vescovo Ludovico Masdoni,77 del vicarioStefano Fogliani78 e dei responsabili dell’istituto.79 Nel consiglio direttivosedevano sei sacerdoti legati alla Compagnia del Gesu (i preti della Peniten-za di San Bartolomeo, chiesa madre dei Gesuiti di Modena)80 e sei prove-nienti, come Ugoletti, dalla congregazione di San Carlo (in origine di ambitoteatino).81

Nel 1700 le cose sembravano essersi finalmente avviate, sebbene i capitoli– cosı celermente approvati nella versione manoscritta – dovettero attendereotto anni prima di essere consegnati alle stampe.82 In quel tempo, erano statimodificati alcuni passaggi riguardanti sussidi e periodi di assistenza ai catecu-meni, che tuttavia non mutavano l’assetto di fondo dell’Opera. Il Catecumenoera presieduto dal vescovo e dal vicario diocesano, assistiti da dodici presiden-ti con funzioni amministrative, scelti, come detto, per meta dall’oratorio dellaPenitenza e per meta dalla congregazione di San Carlo. Qualora uno dei pre-sidenti fosse venuto meno («per morte naturale o civile o per spatriamentovolontario o involontario o absentazione»), lo si doveva reintegrare con unmembro dello stesso gruppo di provenienza, in modo da mantenere inalteratii rapporti di forza interni al governo dell’Opera. Tra i presidenti ne venivanopoi estratti a sorte due, incaricati rispettivamente di seguire le rendite e le spe-se. L’archivio dell’Opera sarebbe stato custodito presso la congregazione diSan Carlo fintantoche, precisavano gli statuti a stampa del 1708, «la medesima[Opera] abbia Casa propria cattecumena».83 L’assemblea dei dodici presi-denti era convocata all’inizio di ogni anno, dinanzi al vescovo o al vicario:in essa si leggevano i capitoli del Catecumeno, si discuteva della rendiconta-zione e si procedeva all’approvazione del bilancio da parte del vescovo. In ca-

77 Vescovo di Modena dal 1691 al 1716. Cfr. TIRABOSCHI 1781-1786, IV, p. 81, Hierarchia ca-tholica, V, p. 277.

78 Successore di Masdoni, Fogliani fu vescovo di Modena dal 1717 al 1742. Cfr. TIRABOSCHI

1781-1786, IV, p. 81, Hierarchia catholica, V, p. 277.79 Cfr. Fondatio, cc. 1v-2v; ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 28 novembre 1701.80 L’Oratorio della Penitenza era una confraternita che riuniva laici e sacerdoti. Poche le notizie

su di esso. Una scrittura del 1769 lo definisce esplicitamente «de’ molto reverendi padri della Com-pagnia di Gesu». Cfr. ACAMo, Parrocchie, S. Bartolomeo, f. «Oratorio di Penitenza».

81 Cfr. Congregazione 1857, pp. 49-91 passim.82 La prima edizione a stampa uscı per i tipi di Antonio Capponi nel 1708. Nei fondi archivi-

stici consultati se ne conservano varie copie (cfr. ASMo, Giurisdizione sovrana, 139; ACAMo, OPC,Registri, 21/b). Un esemplare e custodito anche in BEUMo (segnatura E.54.E.35.1). Il testo mano-scritto, probabilmente approntato in vista della stampa, e datato al 20 luglio 1708 (data dell’appro-vazione vescovile; cfr. Capitoli dei catecumeni 1708, p. 19), e in ACAMo, OPC, Memorie e documen-ti, I12.

83 Capitoli dei catecumeni 1708, p. 6.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

so di questioni da mettere ai voti, si ricorreva allo scrutinio segreto assegnandoall’ordinario diocesano un voto doppio.84

Il crescente fabbisogno del Catecumeno e la preoccupazione per la con-servazione dei capitali su cui si reggeva appaiono con evidenza dall’esamedel quinto e del dodicesimo capitolo del 1708 che, come le norme preceden-ti, limitavano le forme di investimento a censi e rendite, e sorprendentemen-te, vietavano di utilizzare i fondi raccolti per l’acquisto di una Casa. Sin daglistatuti originari si era inoltre articolato un complesso meccanismo di accu-mulo e reinvestimento. Si stabiliva che, senza concedere ai debitori («cen-suarii o conduttori») dilazioni superiori a sei mesi, ogni avanzo di cassa «an-che solo di cento scudi» doveva essere reimpiegato:85 raggiunta la soglia di1000 scudi complessivi di entrate si poteva «acquistar altri fondi» purche«l’entrata loro giunga sicuramente al fruttar altri scudi mille».86 Non si do-vevano stipulare contratti di livello o permute, ma solo locazioni di duratainferiore a tre anni87 e, raggiunti i 2000 scudi di rendite annue, era severa-mente vietato, pena l’esclusione dal collegio dei presidenti, destinare lasciti ofrutti per il reperimento di una Casa.88 L’intero impianto statutario pare, inentrambe le versioni, voler scongiurare l’impiego di risorse per l’acquisto diun luogo in cui alloggiare gli ebrei in attesa di ricevere il battesimo («mai conesse [rendite] in tempo alcuno s’acquisti o fondi Casa ove si ricevino o ali-mentino i catecumeni [...] e se da altri benefattori si fondasse tal Casa, maidelle entrate di quest’Opera si vaglia, se non per alimenti de’ soli cathecu-meni»). La Casa sembra essere considerata uno strumento troppo dispen-dioso e, peggio ancora, una minaccia alla stabilita economica e finanziariadell’Opera.

Le stesse preoccupazioni erano del resto alla base delle norme che sanci-vano le distribuzioni e piu in generale le spese per catecumeni e neofiti. Si po-teva accogliere un convertito (e ottenere in seguito il rimborso dei costi affron-tati per mantenerlo) solo con la licenza in scriptis del vescovo;89 la «dozzina»– il contributo mensile90 – durava quattro mesi per i maschi e sei per le donne(estesi a otto, nei soli statuti del 1700, per le vergini). Per ogni ebreo che ri-

84 Capitoli dei catecumeni 1708, p. 7. Cfr. Fondatio, c. 9r (cap. 32).85 Ivi, c. 5r (cap. 8). Tale meccanismo fu parzialmente modificato negli statuti del 1708.86 Ibid. (cap. 9).87 Ibid. (cap. 10).88 Ivi, cc. 5r-v (cap. 11).89 Capitoli dei catecumeni 1708, p. 10; Fondatio, c. 5v (cap. 12).90 Quantificato in 6 scudi negli statuti del 1700.

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fiutava il battesimo, entrambe le stesure stabilivano un risarcimento da partedella sinagoga,91 mentre coloro che completavano positivamente il camminodi catecumenato e non erano «benstanti» ricevevano dopo il battesimo 10scudi. La cifra poteva essere eventualmente impiegata per prolungare il perio-do di preparazione qualora «la rozzezza» del convertito o un’«infermita, peroleggiera» lo avessero consigliato: le dozzine e i sussidi erogati oltre il tempoprevisto dagli statuti erano detratti dall’elemosina una tantum concessa al mo-mento del battesimo e recuperati alle casse dell’Opera. L’unica deroga riguar-dava i casi di malattia «lunga e pericolosa, e per tale legitimamente provata[...], massime se il cattecumeno sara povero».92

Un caso a parte era costituito dai bambini. Gli statuti originari non pone-vano distinzioni tra maschi e femmine e prevedevano una dozzina di 2 scudiper i lattanti, innalzata a 3 per gli slattati sino ai tre anni di eta.93 Nel 1708, lacura delle catecumene in fasce veniva invece delegata all’Opera Barberini, e ladurata del mantenimento dei maschi era portata a sei anni.

Affiorava poi una preoccupazione che, come visto, era stata al centro dellediscussioni anche nel caso reggiano: l’ammissione di forestieri tra i beneficiati.Gia dal 1700 si era delineata con nettezza la vocazione ‘‘localistica’’ del Cate-cumeno: «Non s’ammettino ebrei che della citta», si prescriveva. Ogni altrocaso – da considerarsi un’eccezione – doveva passare il vaglio del collegiodei presidenti.94 Otto anni dopo, i regolamenti della Casa erano ancora piuprecisi e confermavano la libera ammissione per gli ebrei di Modena, decre-tando l’esclusione di ebrei forestieri, «altri infedeli» ed «eretici». L’Opera siconfigurava cosı come un istituto rivolto ai catecumeni modenesi di origineebraica e, in via eccezionale, a ebrei forestieri e non cristiani. Per contro, nes-suno, nemmeno i presidenti, poteva consentire l’ingresso di cristiani di altreconfessioni.95

Ammissioni ed esclusioni a parte, da subito ci si dovette misurare con lamancanza di un luogo in cui ospitare i convertendi. Il periodo di catecumena-to, come consuetudine, rappresentava un momento di stretto isolamento chedoveva prevenire ed evitare contatti con gli antichi correligionari. L’assenza diuna Casa costituiva, comprensibilmente, un motivo di difficolta nel sorveglia-re i comportamenti dei candidati al battesimo e gli statuti del 1708 non scio-

91 Capitoli dei catecumeni 1708, p. 11; Fondatio, cc. 5v-6r (cap. 14).92 Capitoli dei catecumeni 1708, pp. 8-9. Cfr. anche Fondatio, c. 7r (cap. 23).93 Ivi, c. 6r (cap. 15). Gli importi si potevano modificare «in tempo penurioso»; ibid.

(cap. 16).94 Ibid. (cap. 17).95 Capitoli dei catecumeni 1708, pp. 10-11.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

glievano con precisione il nodo della collocazione dei catecumeni prima delsacramento, forse in previsione di un lascito che provvedesse l’Opera di unricovero. Diversa la situazione delineata dai capitoli del 1700, particolarmentedettagliati in materia: le catecumene, «massime vergini», dovevano essere al-loggiate presso le Orsoline, mentre per i maschi si consigliava la permanenza«presso sacerdoti o altre persone pie, prevalendo al par del cathechismo l’es-semplarita de’ costumi».96 La catechesi che accompagnava alla nuova fede eraaffidata al catechista deputato dal vescovo o a un suo sostituto, scelto tra i pre-sidenti o membro della Compagnia di Gesu.97 Completato il periodo di for-mazione e valutata l’ammissibilita del catecumeno, ci si doveva attivare pressoil duca perche concorresse alla funzione ed eventualmente contribuisse con lapropria offerta alle spese necessarie.98

In modo analogo a quanto visto per l’Opera reggiana, si regolamentavanoi dettagli della cerimonia battesimale, culmine dello sforzo conversionistico. Ilconvertito, vestito di un abito sobrio, veniva accompagnato processionalmen-te dalla confraternita di San Giuseppe99 e dai presidenti verso la chiesa in cuisi sarebbe svolto il rito – preferibilmente la cattedrale – e dalla Casa era con-dotto al sacro fonte, preceduto dallo stendardo dell’Opera. Qui riceveva ilbattesimo ed era di nuovo riportato alla propria abitazione con canti e solen-nita «a fine di commovere il popolo a benedire le divine misericordie et ecci-tare altri ebrei a convertirsi».100 Una volta divenuto cristiano, per parteciparealle distribuzioni semestrali (erogate a maggio e a novembre) doveva dimo-strare di aver avuto, assieme alla sua famiglia, una buona condotta: era tenutoad abitare a Modena, a denunciare tempestivamente la nascita dei propri figlie produrre le fedi che attestavano la frequenza mensile ai sacramenti e alladottrina.101

Erano infine esaminate le possibili cause di paralisi istituzionale dell’Opera:qualora uno degli ordini da cui il Catecumeno era formato si fosse estinto, ilsuo posto – stabilivano gli statuti del 1708 – sarebbe stato preso da sei membri

96 Fondatio, cc. 6r-v (cap. 18).97 Ivi, c. 6v (cap. 19).98 Ibid. (cap. 20).99 Originariamente i presidenti del Catecumeno si erano rivolti ai confratelli di San Sebastiano

che avevano rifiutato, costringendo l’Opera a intavolare trattative con la confraternita di San Giusep-pe. Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 12 febbraio 1701. Per la confraternita di San Giuseppe, cfr.SOLI 1974, II, pp. 211-217.

100 Capitoli dei catecumeni 1708, pp. 11-12. Cfr. Fondatio, cc. 6v-7r (capp. 21-22).101 Capitoli dei catecumeni 1708, pp. 13-14. Gli statuti del 1700 prevedevano anche la possibile

sospensione delle distribuzioni semestrali «in occasione di censo o altro fondo perduto»; Fondatio,c. 8r (cap. 28).

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dell’ordine sopravvissuto. Se cio non fosse stato possibile il vescovo avrebbetratto sei preti dalla confraternita delle Stimmate102 oppure avrebbe nominato«altri sei sacerdoti da lui solo dependenti».103 Quando poi sia la congregazionedi San Carlo sia l’oratorio della Penitenza non fossero risultati piu esistenti, ilvescovo avrebbe designato per il governo del Catecumeno dodici preti di suafiducia.

Dopo otto anni nei quali l’Opera aveva potuto misurarsi con la realta incui era chiamata ad agire, erano dunque gettate basi stabili su cui muoversi.La soluzione adottata a Modena si presentava al banco della storia con unaformula diversa rispetto all’Opera reggiana e le scelte maturate nel ducatosi situavano, nella loro varieta, al crocevia tra modelli differenti. Resta orada capire se e in che cosa l’esperienza estense si distinse da quella attuatain altri contesti geografici e quanto di quelle soluzioni sopravvisse nelle Casedi Modena e Reggio.

CONFRONTI A DISTANZA

Dopo il 1543, anno in cui era sorta a Roma la prima Casa per catecumeni,erano stati molti i ricoveri per convertiti nati lungo la Penisola. A partire dallaseconda meta del Cinquecento luoghi destinati all’accoglienza di quanti desi-deravano ricevere il battesimo erano attivi a Bologna, Ferrara, Mantova, Pine-rolo, Torino, Firenze, Ancona, Pesaro e Venezia, e notizie di istituti analoghisono rintracciabili per Milano, Cremona, Bergamo, Brescia e Parma.

A Reggio, come si e accennato, ci si era apertamente ispirati al modellocostituito dalla Casa dei catecumeni di Bologna, mentre non e altrettanto chia-ro a chi avessero guardato i fondatori del Catecumeno modenese. In entrambii casi e comunque inevitabile constatare la presenza di peculiarita locali e l’a-dattamento dei modelli di riferimento – in primis quello romano – a situazionie dinamiche particolari. Un rapido confronto con alcune delle Case piu im-portanti (Roma, Venezia, Firenze e Bologna) puo aiutare.104

102 La confraternita era stata fondata intorno al 1604 in seguito alla predicazione modenese difrate Bartolomeo Cambi da Saluzzo (uno degli ispiratori, come visto, del ghetto modenese). Cfr. SOLI

1974, III, pp. 301-311.103 Capitoli dei catecumeni 1708, p. 15. Gli statuti del 1700 non contemplavano invece la pos-

sibile estinzione degli ordini che amministravano il Catecumeno.104 Il raffronto operato riguarda le Case ritenute piu significative per vicinanza geografica o ri-

levanza storica. Si escludono gli istituti marchigiani, il contesto napoletano e, per la sua peculiarita, lacasa di Torino. Gli elementi di comparazione sono tratti principalmente da CAMPANINI 1996, FIOREL-

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

Il primo punto su cui riflettere e senza dubbio quello costituito dalla for-ma di governo adottata. Fatta salva la pressoche incontrastata affermazione diuna gestione congregazionale, il Catecumeno di Modena presenta un mono-polio di elementi del clero che sembrerebbe ricondurre alla formula di gover-no romano (dodici sacerdoti secolari riuniti in confraternita, sotto la direzio-ne di un cardinale protettore), mentre il governo della Casa reggiana mostrasin dai suoi esordi un forte controllo da parte delle autorita secolari (dappri-ma con la presenza di un rappresentante ducale tra gli amministratori, quindicon il pieno passaggio sotto l’egida delle magistrature comunali). Piu fluida lasoluzione veneziana che prevedeva una congregazione di governatori sceltitra clero, nobilta e cittadinanza,105 mentre a Firenze, all’opposto di quantoaccadeva a Modena e Roma, si opto per dodici governatori laici di nominagranducale.

Cio in cui invece ne Modena ne Reggio fecero eccezione rispetto ad altreCase fu la determinante presenza dei Gesuiti nell’istituzione dell’Opera e nel-l’istruzione dei catecumeni. Se a Reggio la predicazione del padre OttavioGondi segno l’avvio ideale dell’istituto per convertiti, a Modena addiritturala meta dei presidenti, cui spettava il compito di istruire i convertendi,106 gra-vitava nell’universo gesuitico. Anche a Venezia la Compagnia del Gesu svolseun ruolo decisivo e i seguaci di sant’Ignazio furono chiamati, come nelle Caseestensi, a catechizzare i convertendi e sedere tra i governatori della congrega-zione.107 Piu sfumata, allo stato attuale degli studi, la presenza gesuitica a Fi-renze e Bologna, dove era ugualmente prevista la possibilita di impiegare pretisecolari o regolari per la catechesi dei nuovi cristiani.

Peculiarmente modenese sembrerebbe l’attenzione pressante agli aspettieconomici e gestionali dell’Opera che, presente in tutti i regolamenti, pare tra-valicare le finalita dell’istituto, fino quasi a incidere sul numero di battesimi edi conversioni. L’assillo finanziario che caratterizzo gli statuti della Casa emi-liana fu alla base di una politica di ammissione duplicemente ristretta: i fondidel Catecumeno potevano essere impiegati solo a vantaggio di ebrei e, speci-ficamente, di ebrei modenesi. A Reggio, dove il problema si era posto in ter-

LA 1973-1974 (Bologna); IOLY ZORATTINI 2008 (Venezia); CAFFIERO 2004 (Roma); MARCONCINI

2009, MARCONCINI 2010-2011 (Firenze).105 Sebbene anche nel caso veneziano, pur a fronte di un governo piu composito, si registrasse

la presenza di «un cospicuo numero di ecclesiastici» in controtendenza rispetto alla «maggior partedelle istituzioni benefiche [...] poste sotto il controllo dei laici» (IOLY ZORATTINI 2008, p. 77).

106 Di norma l’incarico ricadeva su uno dei presidenti, sebbene per qualche tempo il compitofosse stato affidato a don Francesco Codeluppi, parroco di San Lorenzo (la parrocchia in cui si tro-vava la Casa). Cfr. Memorie, I, p. 16.

107 Cfr. IOLY ZORATTINI 2008, p. 87.

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mini analoghi, si era elaborata una soluzione meno drastica (almeno nella suaformulazione statutaria) e, ancorche con forti limitazioni, le porte del Catecu-meno potevano essere aperte anche a ebrei forestieri.

Ma la preoccupazione per il dispendio che un’accoglienza troppo estesacomportava non riguardo esclusivamente le Case estensi: a Bologna vi furonolunghe discussioni sull’opportunita di ammettere convertiti forestieri, e soloper pochi anni furono ammessi nell’istituto neofiti provenienti da altre citta.Le ristrette possibilita finanziarie della Casa felsinea indussero a stabilire, neglistatuti riformati del 1593, il divieto di ingresso per i convertiti «battezzati fuo-ri Bologna, salvo che in casi di emergenza e con l’espressa autorizzazione del-l’arcivescovo».108

Diversa la questione della possibile ammissione di non ebrei. Nelle prin-cipali Case italiane la politica adottata fu in linea di massima a maglie larghe: aFirenze, Venezia, Roma e Bologna non si posero limiti all’ingresso di musul-mani, protestanti e acattolici. Anzi, come e stato rilevato, in alcuni casi gli isti-tuti per catecumeni risposero piu all’esigenza di convertire musulmani109 (o,in particolari contesti, protestanti)110 che ebrei. E se a Reggio non si poserorestrizioni statutarie all’ingresso di non-ebrei, la scelta modenese fu invece innetta controtendenza rispetto all’orientamento diffuso nella Penisola e, comesi e detto, l’ammissione in Catecumeno di «eretici» (luterani, calvinisti, ana-battisti ecc.) poteva essere causa di estromissione dal governo dell’Opera.

Vi e infine un ultimo aspetto su cui vale la pena soffermarsi. Tutti i rego-lamenti degli istituti per convertiti disciplinano – evidentemente – il governo ela gestione della Casa in cui catecumeni e neofiti dovevano essere alloggiati.L’Opera modenese mostra al contrario l’assenza ‘‘programmatica’’ della Casaper i convertiti, o meglio non subordina la propria esistenza alla creazione diun ricovero per i catecumeni. E forse questo il segno piu evidente di come leristrettezze economiche potessero determinare la vita e persino le norme cheregolavano un istituto di conversione.

Nella loro diversita le Opere di Modena e Reggio risentirono verosimil-mente della crescente debolezza dello Stato estense, impegnato in riforme de-gli enti di assistenza, afflitto da ricorrenti problemi finanziari e scarsamenteinteressato, dalla meta del Settecento, a sostenere gli sforzi conversionistici

108 FIORELLA 1973-1974, p. 152; CAMPANINI 1996, p. 173. Come vedremo, nella casa bolognesecontinuarono in realta ad arrivare ebrei modenesi, reggiani e di altra provenienza anche nei due se-coli successivi.

109 Queste le conclusioni, per Venezia, di IOLY ZORATTINI 2008, p. 311. Utili anche le conside-razioni di CAFFIERO 2007a.

110 E il caso del Catecumeno di Torino, per cui cfr. ALLEGRA 1996.

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delle autorita religiose. I modelli con cui nelle due citta principali del ducato siprocedette a organizzare l’azione a favore dei convertiti risulta, anche per que-sto, una sintesi originale di esigenze locali e tendenze generali: l’ampio respirodel prototipo romano – aperto a ebrei, musulmani e non cattolici di qualun-que provenienza – fu confinato nei rigidi paletti dell’assistenza municipale ediocesana, affievolendosi nel corso dell’eta moderna e svolgendo di fatto un’a-zione piu simbolica che realmente incisiva.

DONNE DA CONVERTIRE: L’OPERA DELLE CATECUMENE

Nelle strategie conversionistiche come in quelle inquisitoriali, le donne fu-rono spesso un alleato di cui si avvalsero le autorita religiose. Come madri,mogli e figlie, esse consentirono di scalfire dall’interno la solidita delle strut-ture familiari e la leva esercitata su di loro permise di rimodellare, quando nondi convertire, interi nuclei parentali.111

A Modena e, in termini piu sfumati, a Reggio una specifica attenzione allaconversione delle donne ebree era affiorata precocemente; ma mentre nel casoreggiano la presenza di convertite era stata disciplinata negli statuti dell’Ope-ra, a Modena si ritenne opportuno provvedere all’erezione di una specifica«Congregazione delle Cattecumene» distinta dal ramo maschile. La congrega-zione, sorta nel 1702, aveva dato alle stampe il proprio regolamento nel1709,112 un anno dopo la riforma degli statuti dell’Opera dei catecumeni.

I capitoli si presentavano sostanzialmente come un adattamento delle nor-me previste per il ramo maschile: al pari degli uomini, assistiti da dodici sacer-doti, si stabiliva che «alle femmine soprastassero sei dame della citta» (succes-sivamente passate a dodici), incaricate di accudire le catecumene durante laloro preparazione al battesimo.113 La superiora restava in carica tre anni, tra-scorsi i quali le sei dame, riunite davanti ai presidenti del Catecumeno, espri-mevano il proprio voto, ratificato dal cancelliere dell’Opera. Se la superiora siammalava, poteva delegare una sostituta scelta tra le altre dame che, in caso dimorte, le sarebbe succeduta (se non si era nominata alcuna sostituta, suben-trava la dama piu anziana).114

111 Sul ruolo delle donne ebree, oltre alla sintesi di FOA 1999a, si vedano i molti contributi rac-colti in LUZZATI – GALASSO 2007.

112 Per i tipi di Antonio Capponi. I capitoli furono approvati il 28 febbraio 1709 dal vescovoLudovico Masdoni.

113 Capitoli delle catecumene, pp. 3-4.114 Ivi, pp. 8-9 (capp. XI-XII).

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Nei fatti il ramo femminile non godette di nessuna sostanziale autonomia e,anzi, si ordinava esplicitamente che le questioni piu importanti (ammissione,consenso al battesimo, catechesi) fossero esaminate dai presidenti dell’Opera.La superiora veniva avvisata dai sacerdoti del Catecumeno qualora si fosse pre-sentata «alcuna infedele per farsi cristiana» e, con il supporto delle altre dame,provvedeva all’assistenza spirituale e materiale della convertenda,115 ricorren-do al lascito Barberini.116 Una delle dame – o piu di rado una «dama forestie-re» – accompagnava la convertita al battesimo117 e, in vista del suo inserimentonella societa cristiana, poteva «condurla per la citta ed alle chiese ed anche invilla», avviandola alla monacazione o al servizio domestico.118 Come gia previ-sto negli statuti della Casa di Reggio, anche per l’Opera modenese le mansionidelle dame si estendevano dal periodo di catecumenato alla vita che seguiva ilbattesimo: a loro era affidata «l’incombenza di visitare almeno una volta la set-timana durante il tempo del cattecumeno le dette catecumene et invigilare soprala loro educatione et incaminamento nella santa fede», curando che dopo il bat-tesimo restassero «convenientemente collocate».119

Nel 1702, alla nascita della congregazione, erano state chiamate a presie-derla la priora Settimia Ercolani Boschetti, le contesse Erminia Cimicelli Co-debo, Paola Balugola Coccapani, Isabella Calori Grassetti, Giulia CimicelliForni e la marchesa Caterina Castelvetri Molza, che dopo qualche tempo ave-vano ottenuto il «gloriosissimo padrocinio» della duchessa Carlotta Felicita diBrunswick, rinnovando l’antico legame tra le donne di Casa d’Este e le opereconversionistiche modenesi.120

Se queste erano le premesse dell’Opera, in apparenza promettenti, i risul-tati riportati conducono a ben altre conclusioni. Nei primi dieci anni di fun-zionamento la congregazione era riuscita ad accompagnare al battesimo menodi una decina di ebree. Nel 1702 si erano convertite alla fede cristiana MariaTeresa Marsciani121 e Maria Giovanna Boschetti;122 passati cinque anni, un

115 Ivi, p. 5 (cap. I).116 Ivi, p. 6 (cap. III).117 Ivi, pp. 6-7 (cap. V).118 Ivi, p. 7 (cap. VII).119 Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 24 febbraio 1702.120 ACAMo, OPC, Registri, 7, passim. Sulla coperta esterna, coeva, si legge: «1702 al 1740. No-

tizie sopra le Catecumene». Sull’elezione della priora il 6 giugno 1702, cfr. ACAMo, OPC, Registri,9/a, in calce alla seduta del 20 aprile 1702.

121 Nata il 12 giugno 1686, fu battezzata il 14 maggio 1702 dal vicario Stefano Fogliani, levata alsacro fonte dalla contessa Anna Maria Silvia Testi di Marsciano e vestita dal conte Guido Molza. Cfr.ACAMo, OPC, Registri, 7, p. 1.

122 L’ebrea Allegra, figlia di Abram Rabeni e di Regina Verona, era nata il 2 maggio 1683. Il 29

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complicato intreccio di eventi aveva portato al sacro fonte la neonata MariaBenedetta Venturini e, a stretto giro, sua madre Smeralda Sacerdoti. La pri-ma era stata «donata al Signore» dal padre Benedetto Ferraresi, ebreo con-vertito, che, attirate la moglie e la figlia «collo stratagema di dovere tra-vagliare nella casa del signor dottore Coradi», uno dei presidenti delCatecumeno, aveva costretto Smeralda ad alloggiare presso la priora Cate-rina Castelvetri. Quest’ultima non aveva esitato a organizzare il battesimodella piccola, chiamando a farle da madrina la principessa Maria Benedettad’Este, che il 17 dicembre 1707 aveva presenziato al rito svoltosi nella cap-pella ducale, officiante il vescovo Ludovico Masdoni.123 Furono sufficientipochi mesi perche anche la madre cedesse e, il 10 aprile 1708, la duchessaBenedetta di Brunswick pote darle il suo nome durante una solenne ceri-monia nella chiesa di San Carlo.124 Da quel momento la presenza delle don-ne di corte alle celebrazioni promosse dalla priora Castelvetri – gia arteficedel patrocinio ducale sulla congregazione – sembra assumere un carattererelativamente stabile. Cosı e per il battesimo di Anna Benedetta Sadoleto 125

e di sua figlia Caterina Benedetta 126 il 26 luglio 1709 e, ancora, per quellodi Amelia Benedetta Ganaceti il 22 dicembre 1709.127 Implicazioni e dina-miche simili mostrano poi i casi di Rachele Monselici e Ester Rava. La pri-ma, dopo essere entrata nella Casa il 15 ottobre 1709, aveva acconsentito albattesimo della figlioletta Benedetta di nemmeno un anno (21 dicembre1709); 128 la seconda, moglie del rabbino convertito Giuseppe Mendoli,129

«essendo nella Casa delle cattecumene inferma a morte dimando il santo

agosto 1702 venne battezzata nella chiesa di San Carlo da Stefano Fogliani, accompagnata da Setti-mia Ercolani Boschetti. Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 7, p. 1.

123 Ivi, pp. 2-4.124 Smeralda, figlia di Mose e Gentile Sacerdoti, «fu battezzata d’anni 42» con il nome di Be-

nedetta Maria Maddalena. Ricevette la cresima il 2 maggio successivo. Cfr. ivi, pp. 4-5.125 Rachele, figlia di Pellegrino Formigine, nata il 28 maggio 1670 venne battezzata in San Carlo

dal vicario generale Giovanni Battista Toschi. Fu levata al sacro fonte dalla duchessa Benedetta diBrunswick. Cfr. ivi, p. 5.

126 Figlia del catecumeno Lustro Formigine, Benedetta (poi Caterina Benedetta) nacque il 10settembre 1697. Fu levata al sacro fonte dalla principessa di Modena. Cfr. ivi, p. 6.

127 Benedetta, figlia del rabbino Giuseppe Mendoli (poi Geminiano Ganaceti) fu battezzatanella cappella di corte dal vicario generale Giovanni Battista Toschi, levata al sacro fonte da AmaliaBenedetta d’Este. Cfr. ivi, pp. 7-8.

128 Benedetta, figlia di Vitta Urbini, era nata il 25 gennaio 1709. Levata al sacro fonte da Set-timia Ercolani Boschetti, dopo il battesimo assunse il cognome Grisulfi.

129 In occasione del battesimo di Mendoli uscirono alcune rime a stampa (Applausi poe-tici 1710), su cui si soffermera in seguito. Un esemplare e conservato in ACAMo, OPC, Registri,20, d2.

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battesimo», ottenendolo il 20 novembre 1709 per mano di don FrancescoReggiani.130

A ogni modo, le esigenze di mantenere sotto controllo le spese e non dis-sanguare le casse del Catecumeno continuarono ad avere la meglio anche peril ramo femminile. Lo si vide quando si presento l’occasione di battezzare lagia citata Rachele Monselici, madre della piccola Benedetta. Levata al sacrofonte dalla contessa Castelvetri, Rachele (poi Teresa Grisulfi) non era stata«battezata colla figlia per non essere abbastanza istrutta». Divenuta cristiana,le sue precarie condizioni economiche non furono motivo sufficiente per farlaaccedere al lascito Barberini (destinato alle «citelle») e, pur cercando di otte-nere una deroga dal duca, questi preferı mantenere fede alle volonta della Bar-berini. Si dette cosı avvio a una colletta tra nobildonne e religiose che porto araccogliere beni e denari per il sostentamento della neofita.131 L’episodio met-teva a nudo la debolezza di un sistema conversionistico ingessato e incapace difar fronte ai casi che gli si ponevano davanti, rivelando al contempo l’efficaciadella macchina di aiuti che le dame del Catecumeno erano in grado di porre inmoto.

Fu quello stesso zelo a far sı che nel 1718-19, dopo un periodo avaro dibattesimi, si desse seguito a uno dei propositi iniziali della congregazione: l’in-nalzamento da sei a dodici delle dame al governo dell’Opera. La priora Castel-vetri, «vedendo per la mancanza delle signore dame gia morte decadere que-sta congregazione [...], stimo bene di farne ricerca per compiere non solo ilnumero di sei, ma di dodici».132

Da allora in avanti, a parte alcuni battesimi piu o meno solenni, i registrinon annotano eventi di particolare rilievo e, probabilmente, la vita del ramofemminile trascorse senza increspature.

La congregazione delle catecumene, subordinata quasi in tutto ai presi-denti dell’Opera, era sorta per rispondere al problema dell’assistenza da pre-stare alle convertende durante il periodo precedente il battesimo, ma, come ifatti avevano mostrato, il soccorso delle dame risulto prezioso anche quandogli istituti di sostentamento esistenti non seppero rispondere alle necessita divolta in volta presentatesi. Nonostante tutto, nulla riuscı a scardinare l’accen-tramento maschile (e specificamente clericale) nella gestione dei convertiti, e

130 Ricevette il nome di Maria Benedetta Ganaceti. Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 7, p. 7.131 Ivi, pp. 8-14. Teresa Maria Maddalena Elisabetta, di 41 anni, ricevette il battesimo il 25

maggio 1710 dalle mani del vicario Giovanni Battista Toschi. Era figlia di Desiderio Monselici. Lavicenda della Grisulfi si trascino a lungo, come attestato dalle molte note in merito riportate nellostesso registro.

132 Ivi, pp. 21 ss.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

la congregazione femminile, costantemente attiva, finı per svolgere una sem-plice funzione di supporto all’Opera nel suo complesso. La presenza delle da-me non sembro incidere significativamente sul flusso delle conversioni e, co-me vedremo, restarono i presidenti del Catecumeno a gestire e decidere sullasorte di neofite e convertite.

UNA CASA PER LA FEDE

Fu proposto dal signor don Luca Ugoletti, uno de’ signori presidenti, esservi oc-casione opportuna di acquistare una Casa per l’Opera e che lui esibiva di donare al-l’Opra certi censi suoi proprii in somma circa due milla scudi di Modena, ogni voltapero venghi fatto l’acquisto di detta Casa o altra.133

L’ordine del giorno imposto da don Luca Ugoletti il 20 giugno 1707 eracaduto come un fulmine sui primi passi del Catecumeno modenese. Era il se-condo colpo di mano del sacerdote che, dopo aver lavorato a lungo alla con-versione degli ebrei fino a ottenere l’istituzione di un’Opera apposita, si offri-va ora di sovvenzionare l’acquisto di una Casa per i convertendi. Ugoletticoglieva nel segno. Quella modenese, come detto, era un’eccezione caricadi problemi e pretendere di guadagnare gli ebrei alla fede cristiana senza do-tarsi di un edificio in cui isolarli dalla comunita di origine costituiva una visto-sa lacuna.

Dopo la proposta di Ugoletti venne costituita una commissione per avvia-re le trattative per il possibile acquisto di una casa e, sebbene non si giungessea nulla, il 14 gennaio 1710 un risultato fu comunque ottenuto. Nella congre-gazione di inizio anno, i presidenti dell’Opera discussero «di prendere ad af-fitto per servigio della medesima [Opera] e per recapitarvi e tenervi li catte-cumeni la casa delle ragioni del Colleggio delle Orfane di Santa Catterina,posta in Modena sotto la parochia di San Biagio [...] lateralmente alla chiesadi San Girolamo».134 Approvato all’unanimita il provvedimento, l’istituto mo-denese si dotava dunque di una struttura in cui alloggiare gli aspiranti cristia-ni. A meno di un anno da quella decisione, tuttavia, i presidenti tornarono suipropri passi, complice lo stesso Ugoletti che avanzo l’ipotesi di liberarsi dellaCasa affittata «sublocandola» per cercarne un’altra meno onerosa.135

133 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 20 giugno 1707.134 Ivi, alla data.135 Ivi, 10 gennaio 1711.

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La brusca inversione di rotta non aveva solo ragioni economiche: dopo ilprimo decennio di attivita, in cui gli ebrei condotti al battesimo erano stati intutto 32, quella che si profilava all’orizzonte era una pesante flessione.136 Ana-lizzando meglio i numeri, e facile intuire i motivi che avevano spinto Ugoletti acaldeggiare prima e a ritrattare poi l’esigenza di una Casa e le caratteristicheche essa doveva avere (ampiezza, posizione, ecc.). Dei 32 ebrei battezzati neiprimi dieci anni dell’Opera, ben 11 erano passati alla fede cristiana nel 1709,un anno prima, cioe, dell’affitto della Casa nella parrocchia di San Biagio.L’abbondanza delle conversioni e l’entusiasmo che ne era seguito dovetteroguidare la scelta dei delegati dell’Opera che inaspettatamente nel 1710 videroscendere a 4 i battesimi di nuovi cristiani. La prospettiva negli anni successivinon sembro migliorare: nel 1711 non vi erano ebrei intenzionati a diventarecristiani e la spesa per l’affitto della Casa dovette apparire troppo alta in rap-porto ai benefici che ne derivavano. Ci vollero quindici anni perche si potes-sero mettere insieme altri undici battesimi. Dopo un avvio promettente, l’O-pera era entrata in crisi e non restava che rassegnarsi a non avere alcuna Casafinche non si fossero presentate le condizioni adatte.137

Solo l’intervento di Ugoletti nel 1713 avrebbe restituito all’istituto mode-nese la prospettiva di un ricovero per i convertendi. Il sacerdote dono all’O-pera uno stabile di sua proprieta, ponendo alcune condizioni tra cui – parreb-be di capire – l’osservanza di un usufrutto riservato ai nipoti.138 Ormaiprossimo alla morte e forse malato, Ugoletti ritenne di dover saldare i contilasciati in sospeso e perfezionare quella donazione.139 Il 24 aprile 1715, inuna congregazione straordinaria, era data notizia della sua scomparsa e siordinava l’applicazione delle disposizioni testamentarie con cui il prete diSan Carlo aveva designato l’Opera come erede principale.140 Il 15 luglio

136 I dati riportati qui e in seguito sono tratti da ACAMo, OPC, Registri, 15.137 La congregazione del 17 marzo 1711 lo sancı con una delibera ufficiale votata all’unanimita:

«Proposero li signori presidenti di governo che, stando il stato miserabile dell’Opera, sarebbe benestare senza Casa sino a tanto che l’Opera medesima sia reintegrata de’ danni patiti per la condottadell’altra Casa» (ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data).

138 «Fu fatta dal signor don Luca Ugoletti oblazione d’una sua casa per esso acquistata l’annoscorso dal signore Nicolo Cauli posta sotto la parrocchia di San Lorenzo per servigio del Catecume-no con i capitoli e condizioni espresse in un suo foglio» (ivi, 18 maggio [erroneamente segnato: 18aprile] 1713).

139 «Il signor don Luca Ugoletti ad effetto che s’estingua la meta del censo di proprieta di millescudi dovuti per ressiduo del prezzo della Casa cattecumena renuncio alla riserva de’ frutti de’ duecensi che egli gia in proprieta di scudi 400 dono all’Opera a fine valessero per provedere d’una Casaper il Catecumeno e dono all’Opera stessa i detti frutti decorsi e non riscossi et i decorrenti in av-venire» (ivi, 21 febbraio 1715).

140 Ivi, 24 aprile 1715.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

si informavano i presidenti «essersi liberata la Casa cattecumena dalla ser-vitu dell’usofrutto de’ nepoti del fu signor don Luca Ugoletti»141 e da quel-la data l’Opera ebbe finalmente un luogo dove alloggiare catecumeni eneofiti.

La Casa era «situata sotto la parochia di San Lorenzo, vicina al Canalgran-de, formata di due appartamenti di cinque camere l’uno, con suoi fondi e gra-nai»,142 in quella che sarebbe divenuta di lı a poco la «contrada del Catecu-meno».143

Il 25 gennaio 1720 veniva concessa in locazione a un certo Andrea Betto-gli una cantina della Casa «a condizione che il di <essa> uscio venga poi mu-rato a spese del conduttore»,144 per evitare che tra il mondo esterno e l’iso-lamento cui i convertendi erano tenuti si aprissero pericolosi canali dicomunicazione. Tre anni piu tardi ci si accorgeva che la noncuranza degli uo-mini e il «mal sito» degli scantinati portavano a disastrosi effetti per le riservedi vino del Catecumeno – «vi si guasta il vino e marciscono le botte del cu-stode» – e si cercava di porre rimedio al cattivo stato dei locali.145 Nel1731 si disponevano lavori di sistemazione in una delle abitazioni dell’Ope-ra,146 e nel ’39 si rinnovava il corredo di panni e coperte.147

Diversi anni dopo, all’inizio del 1755, si promosse l’intervento piu signifi-cativo. Tutto partı dalla necessita di intonacare la Casa procedendo ad alcunirestauri («si fecero venire i muratori per far la stabilitura in qua e in la»).148

Pellegrino Ceci, attivissimo presidente del Catecumeno, aveva proposto diaprire una finestra per rendere «piu luminosa e allegra» una delle camereche affacciava sul Canalgrande e, constatato che il pozzo interno al cortile(«pozzo di acqua viva») non era fornito delle protezioni opportune, aveva de-liberato di far collocare una «ferriata» attorno alla fonte. Ma il problema prin-cipale, da cui in parte dipendevano restauri e ammodernamenti, era costituitoda una tintoria attigua che, con i suoi fumi, «non solo tinge le esterne paretidella nostra Casa, ma annerisce ancora l’interior delle camere». I tentativi dirisolvere la questione (realizzazione di camini, canne fumarie e altre strutture)non avevano prodotto miglioramenti sostanziali e si fece largo la proposta di

141 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 15 luglio 1715.142 Memorie, I, p. 4.143 Cfr. VALDRIGHI 1880, ad vocem.144 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data.145 Ivi, 26 gennaio 1723.146 Ivi, 28 marzo 1731.147 Ivi, 12 giugno 1739.148 La vicenda e riportata in Memorie, I, pp. 71-84, da cui sono tratte le citazioni che seguono.

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acquistare dai padri Carmelitani, che ne erano titolari, la proprieta della bot-tega per adibirla ad altri usi.

Il 5 giugno 1756, al termine di un’estenuante trattativa, l’Opera pia riuscıa permutare alcuni censi con i Carmelitani, entrando in possesso della tintoriae della casa a essa collegata. I tintori pero, strappando alla maggioranza deipresidenti una promessa di sostegno, premettero per poter restare altri quat-tro anni nei locali di cui godevano, e solo la strenua opposizione della mino-ranza riuscı a ottenere che l’Opera non vanificasse gli sforzi sin lı compiuti.149

La soluzione cui si arrivo accollava ai tintori specifiche opere murarie (chiu-sura di alcune finestre, risarcimento e pittura di un muro esterno), offrendoin cambio la possibilita di restare fino al maggio 1758.150 La pervicacia deltintore Giacomo Ferrari e della moglie ebbe comunque la meglio, e ancoranel 1759 i locali erano occupati dai due coniugi – una «donna intestata» eun «uom da poco», come scrisse risentito don Ceci. L’azione di don GiacomoAnnovi e del canonico Stefano Zampalocchi sblocco la situazione: alla coppiafurono trovati una casa e una bottega dove trasferirsi e a maggio iniziavano itanto attesi lavori di riadattamento dello stabile.

La risistemazione veniva affidata, con piena soddisfazione del vescovo, al-l’architetto della cattedrale Cristoforo Cavazzuti che avrebbe dovuto «nel ri-sarcir la casa del tintore, fare nella medesima un ingresso nobile alla Casa delcatecumeno».151 Il disegno approvato dai presidenti presentava una facciatacon due ingressi indipendenti, uno per l’ex-casa del tintore e uno per la Casadel catecumeno, e sei finestre, in seguito ridotte a cinque. Il cattivo stato dialcuni muri, tra cui quello sul Canalgrande, costrinse a lavori di demolizionee ricostruzione di parti del fabbricato, al cui interno si stabilı di dividere cu-cina e camere mediante la scala («levandosi l’inconveniente di dover passarper cucina per entrar nell’altre camere»). Appena qualche mese e ad agostole operazioni erano concluse: la Casa risultava ora composta da tre apparta-menti contro i due iniziali, dotati ciascuno di granaio e cantina.152 A quantopoi suggeriscono le descrizioni rese da don Pellegrino Ceci nelle Memorie delCatecumeno da lui compilate, la Casa era provvista di due camere al pianoterra per le riunioni di dame e presidenti, una «per il fuoco d’inverno» e un’al-

149 Cfr. Memorie, I, pp. 157-161.150 Qui e in seguito, dove non diversamente precisato, cfr. Memorie, II, pp. 20-25.151 Il progetto originario, scartato perche non consentiva di ottimizzare i pochi spazi disponi-

bili, prevedeva «una gran porta, che veniva a riuscire in mezzo a tutta la facciata della Casa, e questadava l’ingresso ad un grande ed alto atrio; dentro l’ingresso a man diritta v’era una magnifica scalalarga da tre braccia in circa e forse piu» (Memorie, II, p. 23).

152 Memorie, II, p. 92.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

tra contigua per la buona stagione.153 Le cantine dei tre appartamenti eranostate ricavate da pertinenze preesistenti («stalletta, lagnaia, bugadara»),154

mentre i granai avevano comportato l’innalzamento del «distenditore».155

Tralasciando le vicissitudini legate all’ampliamento e alla manutenzionedella Casa, quanto e certo e che dai tempi della donazione di Ugoletti di stra-da se ne era fatta. Con quell’atto di liberalita il prete aveva sı risolto il graveproblema di un ospizio in cui alloggiare gli ebrei in attesa del battesimo, maaveva anche sollevato nuovi bisogni. Se infatti il pio luogo doveva garantirel’isolamento che accompagnava i convertendi alla fede cristiana, era necessarioche qualcuno si impegnasse per assicurare quella condizione. Come previstoper altre Case, ci si dovette dotare di un custode: «uomo da bene e fedele»,doveva essere accompagnato da «una buona moglie e una savia servente» enon avere una famiglia troppo numerosa.156 I suoi compiti erano strettamenteconnessi alla rigorosa quarantena richiesta ai catecumeni: la porta doveva es-sere sempre chiusa «con la chiavatura a botta» e ogni qual volta era necessarioera tenuto a «scender le scale per venirla ad aprire colla chiave» (le unichepersone a poter accedere senza licenza erano i presidenti, il catechista e le da-me); doveva fornire agli ospiti il vitto e l’esempio («mostrarsi coi catecumenibuon cristiano»), radunandoli per recitare con loro le preghiere quotidiane.Ancora, era chiamato a non spargere «per citta chiarle di sorte alcuna», nepoteva introdurre o far uscire «ambasciate o roba». La sua presenza, o quelladella moglie, doveva essere ininterrotta e mai i convertendi potevano restareincustoditi. A lui infine era richiesto di assistere alle riunioni dei presidenti edi svolgere incarichi di manovalanza, dalla consegna di inviti e convocazionialla manutenzione ordinaria dell’edificio.

Il primo custode a cui si ricorse, seppure per poco tempo, fu l’ex-rabbinodi origine polacca Giuseppe Mendoli (battezzato Geminiano Ganaceti), con-vertitosi nel 1710 e impiegato nella Casa in quello stesso anno.157 Nel 1718l’incarico passava da un certo Santo a Pietro Vecchi,158 ne manco il caso diun custode richiamato dopo essere stato dimissionato, Andrea Borriani, di

153 Memorie, I, p. 71.154 Memorie, I, p. 82.155 Memorie, II, p. 92.156 Le citazioni che seguono, salvo diversa precisazione, sono tratta da Memorie, I, pp. 4-6.157 Gli venne assegnato un sussidio mensile di 15 lire (ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 17 giugno

1710). Quando si decise di sublocare la Casa, si stabilı che Mendoli potesse continuare a svolgere lesue mansioni nella nuova sede, qualora essa fosse stata individuata (ivi, 19 gennaio 1711). Non echiaro come la vicenda si concluse.

158 Cfr. ivi, 10 novembre 1718.

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fronte al cui rifiuto venne designato il calzolaio Bartolomeo Colombini, «gio-vane sı, ma assaissimo al caso».159

Oltre che ai custodi, per mettere gli ospiti della Casa al riparo dalla ten-tazione di un ritorno all’ebraismo i presidenti dell’Opera ricorsero, come pras-si, al sostegno delle autorita secolari che, tramite gride e misure ad hoc, vieta-rono ogni contatto tra i catecumeni e le famiglie di origine. Nel 1715 unprovvedimento ducale preciso i confini della zona interdetta agli ebrei, dispo-nendo che un’ampia porzione del Canalgrande e le contrade di San Cristofo-ro, del «Pilator» e «de’ Rovighi» fossero precluse agli abitanti del ghetto(Fig. 5).160 A ribadire quel divieto si stabiliva che, qualora un ebreo si fossepresentato in Catecumeno, i responsabili dell’istituto avrebbero dovuto avvi-sare i massari161 dell’«Universita de gli hebrei» perche ricordassero ai corre-ligionari di non passare per le contrade proibite.162

Queste norme, assieme a un luogo dove finalmente anche l’Opera mode-nese pote alloggiare i convertendi, allineavano la fisionomia dell’istituto aquella delle altre Case diffuse lungo la Penisola e rafforzavano un’azione con-versionistica che, sulla carta, si profilava piu stringente e strutturata.

REGOLE ED ECCEZIONI

Con un certo ritardo rispetto ad altri Stati italiani, agli inizi del Settecentoi due maggiori centri del ducato disponevano di Opere per convertiti dotatedi statuti, regolamenti dettagliati e Case. A fronte di uno sforzo normativo cheaveva cercato di circoscrivere con precisione l’operato degli istituti di Modenae Reggio, la casistica concreta costrinse spesso ad aggirare i rigidi paletti im-posti dalle norme statutarie.

Il punto principale sul quale si dovettero ammettere eccezioni fu il divietodi accogliere in Catecumeno ebrei forestieri. Nel Seicento il problema si eraposto anzitutto a Reggio, dove gli statuti – pur con forti limitazioni all’ingressodi convertendi non provenienti dalla citta – lasciavano uno spazio maggioreche a Modena. Negli anni a ridosso della fondazione della Casa, il diciasset-tenne Moise Arezzi, originario di Castellarano, nella collina reggiana, dopo

159 Cfr. Memorie, II, pp. 14-15.160 ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I/b (foglio sciolto).161 Questo il termine con cui erano chiamati i rappresentanti ufficiali delle comunita ebraiche.162 ACAMo, OPC, Registri, 5, cap. «Cio che devano fare li presidenti di governo venendo ebrei

alla fede».

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

Fig. 5. Mappa delle strade limitrofe alla Casa del catecumeno di Modena interdette agli ebrei(1715).

aver trascorso alcuni giorni presso vari nobili e religiosi, si era recato a Mode-na per chiedere aiuto a Giambattista d’Este, grande patrocinatore del Catecu-meno. Il frate lo aveva inviato nella Casa reggiana dove era stato istruito perquaranta giorni, ricevendo infine il battesimo.163 Un caso simile si era verifi-cato nel 1678, quando la Casa aveva ospitato David Cantoni, originario di No-vellara, accompagnandolo al sacro fonte.164 Che l’ammissione di Moise e Da-vid non fosse scontata, lo dimostra quanto avvenne una quindicina di anni piutardi: nel 1694 infatti fu l’ancora cardinale Rinaldo d’Este a dover intervenirepresso gli Anziani di Reggio perche fossero accettati in Catecumeno due ebreirifiutati per «l’aggravio di detto pio luogo»,165 e nel 1723 l’ebrea modeneseEster Levi chiese al sovrano di ottenerle l’ingresso nell’istituto reggiano, dovedesiderava ricevere istruzione e sussidi.166

I regolamenti stabilivano chiaramente che i convertendi di altre citta do-vevano essere sovvenzionati dalle comunita di provenienza, come accadde adesempio nel 1675 per Canania Finzi. Originario di Bozzolo, Finzi era stato in-dirizzato alla Casa di Reggio dal duca di Sabbioneta che si era impegnato asostenere tutte le spese: quando l’11 agosto Canania ricevette il battesimo,l’Opera non fu gravata da nessun onere.167 Simile il caso di Benedetta Sacer-doti da Novellara, «ebrea non orionda», per il cui mantenimento in Catecu-meno si stabilı «dovesse concorrer[e] la Comunita di Novellara o quelle Ope-re Pie, se ve ne sono, per sollevare cosı almeno in parte il detto pio luogo».168

Anche a Modena non erano mancate vistose deroghe agli statuti: l’11marzo 1706 i presidenti avevano votato per l’ammissione dell’ebreo Abra-mo Ghaon di Spalato,169 e negli anni successivi alla porta della Casa bus-sarono convertiti delle provenienze piu varie (Mantova,170 Siena,171 Ferra-

163 ACRE, OPC, 1511-1725, filza 2, c. non num.; esame di Moise Arezzi datato 4 luglio (annoimprecisato).

164 Ivi, cc. non numm.; licenza di battesimo del 30 marzo 1678.165 ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, c. non num.; lettera di Marcello Signoretti a Rinaldo d’E-

ste (Reggio, 17 agosto 1694).166 Partiti 1677-1753, 20 dicembre 1723.167 ASRE, PLC, Libri d’amministrazione, 1675, c. 2. Canania Finzi assunse il nome di Giovanni

Francesco.168 ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, cc. non numm. (f. «1786»). La citazione e tratta da una

lettera scritta dal balı Venturini e datata Reggio, 12 marzo 1786.169 «Fu pero proposto se si dovesse ammettere nel Cattecumeno un tale Abramo Ghaon ebreo

da Spalatro» (ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data).170 «Fu trattato e discorso essere capitato sotto lı 17 del corrente mese [maggio] in Catecumeno

un hebreo mantovano per nome Daniele Norsi d’eta di venticinque anni incirca» (ivi, 23 maggio1715).

171 «Fu rappresentato essere stato raccommandato un ebreo senese et essere anche stata repli-

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

ra,172 Alessandria,173 Finale,174 Venezia,175 sino al caso gia richiamato diGiuseppe Mendoli «cresciuto in Polonia» e giunto a Modena dopo «moltianni di schiavitu in diversi paesi»).176

Al confine tra eccezione e norma erano poi i casi di ebrei forestieri, resi-denti da tempo nella capitale estense. Nel 1714 era «uscito dal ghetto un taleGiuseppe N. hebreo di Toscana, ma pero da circa tre anni habitante in Mo-dena, a fine di farsi christiano»,177 e nel 1748 un ebreo di Novellara, «il qualeveramente non e nato in Modena, ma vi abita in stabile domicilio da venti epiu anni in qua», aveva manifestato le stesse intenzioni:178 in entrambe le oc-correnze i presidenti dell’Opera avevano considerato quei catecumeni comeebrei modenesi.

Di quando in quando, inoltre, si registrarono rimpalli di competenze traModena e Reggio. In diverse occasioni dalla capitale si cerco di rispedire allaCasa reggiana ebrei che avevano cercato asilo a Modena. Il 21 marzo 1734 Giu-seppe di Michele Bondi, originario appunto di Reggio, era arrivato nella capi-tale, «mandato sopra un barrozzo da monsignore vicario generale di Nonanto-la». I presidenti dell’Opera discussero a lungo sul trattamento da riservare aquel catecumeno povero e malato e, consapevoli «non potersi egli admetteresiccome forestiere, ma doversi ricoverare ne’ catecumeni di Reggio», delibera-

cata la raccommandatione dal reverendissimo padre inquisitore e che percio era esso ebreo stato ri-cevuto nel Catecumeno, il quale era un giovine di 17 in 18 anni, intelligente della Sagra Scrittura»(ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 8 marzo 1717). Un altro ebreo senese, Gioseffo Gallighi (poi GiuseppeMaria Renaldi), era stato battezzato il 10 giugno 1714. Cfr. Applausi poetici 1714; ACAMo, OPC,Registri, 15, alla data.

172 «Fu proposto da monsignore reverendissimo vicario esservi un tal Lauda Dio Norsi ebreoferrarese, come ne consta da lettere del padre Martelli giesuita cattechista della citta di Ferrara, chedesiderarebbe di essere ammesso in questo Cattecumeno ancorche forastiero e pero incapace, peressere ivi instrutto et ammaestrato ne’ dogmi di nostra santa fede et a suo tempo battezato senza perominimo aggravio o spesa di questa Casa Cattecumena, obligandosi egli al pagamento della docinamensale et alla spesa tutta del battesimo et ad ogni altra possi occorrere [...] Tutti a viva voce accet-torono» (ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 17 giugno 1710).

173 «Si presento in congregatione un giovine che s’asserı per Abramo Leone Vitali ebreo nativodi Alessandria della Paglia d’eta di trent’anni, come disse et prout ex aspectu, et espose d’avere fermaintentione di farsi cristiano» (ivi, 8 febbraio 1723).

174 «Fu esposto esser capitato al Finale un certo Ioab che si asserisce ebreo che mostra aversommo desiderio di farsi christiano e per il quale [...] Sua Altezza Serenissima ha fatto intendere ave-re tutte le maggiori premure perche si acetti nel Catecumeno» (ivi, 22 gennaio 1731).

175 «Fu esposto essersi presentato a monsignor illustrissimo Giuseppe [...] ebreo veneziano chedice esser ispirato da Dio a farsi christiano e dimanda d’esser acettato in questo Catecumeno» (ivi,4 marzo 1746).

176 Applausi poetici 1710, p. 5.177 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 25 aprile 1714.178 Ivi, 4 luglio 1748.

CAPITOLO SECONDO

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rono di scortarlo rapidamente in patria.179 Dopo qualche giorno, «essendosiaggravato [...] il male dell’ebreo [...], facendo egli medesimo richiesta d’esserebattezzato, conoscendosi giunto all’estremo, fu per quanto potevasi nell’angu-stia del tempo cattechizzato e successivamente battezzato dal parroco di SanLorenzo».180 Se non fosse stato per l’improvviso precipitare degli eventi, Giu-seppe avrebbe dunque ricevuto i sacramenti nella sua terra d’origine.

Questo del resto era stato il trattamento riservato nel 1713 al reggianoIsaia Cantoni, diretto a Bologna per ricevervi il battesimo. Passato per Mode-na, aveva chiesto, come Giuseppe Bondi, ospitalita e aiuto. I membri dell’O-pera avevano stabilito di «vestirlo a titolo pero di carita semplicemente e chenon possa mai addursi in essempio». La sua sosta modenese tuttavia si prolun-go piu del dovuto: dopo due mesi non si riscontravano particolari progressinel catechismo ne da Bologna giungeva l’ammissione tanto attesa. Non restavache rimandare quell’ospite scomodo al Catecumeno di Reggio.181 Nel 1767 siripropose una scena analoga. Quando l’ebrea Bona Soliani, originaria diReggio, uscı dal ghetto di Modena per portarsi nel Catecumeno cittadino, ipresidenti deliberarono senza indugi di porla sotto le cure dei colleghi reggia-ni. Mantenere quella giovane presso l’istituto avrebbe significato «pregiudica-re alle neofite nubili nostre».182

La prassi di dirottare i catecumeni verso altre case non valse solo tra Mo-dena e Reggio, ma piu in generale vide le Case dello Stato estense particolar-mente attive nei confronti di altri istituti di conversione, specialmente Bolognae Venezia. Cosı fu nel 1742 quando a Reggio si presento l’ebreo Angelo (giaMordechai) Vivanti di Smirne: non potendolo ammettere «senza pregiudiciodegli originari», gli amministratori del Catecumeno lo inviarono a Bologna do-ve trovo accoglienza, come capito due anni piu tardi a un ebreo veneziano.183

Ben documentati, a questo proposito, anche casi modenesi. Nel 1715 i cate-

179 Ivi, 22 marzo 1734.180 Giuseppe fu battezzato il 30 marzo 1734 con il nome di Francesco e «in capo a poche ore,

avuta la estrema unzione, morı». Cfr. ivi, 31 marzo 1734. Una memoria successiva, sulla base del casodi Giuseppe, codifico il comportamento da tenere qualora fosse «mor[to] un neofito battezato nelCatecumeno come occorse nel anno 1734» (ACAMo, OPC, Registri, 5).

181 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 18 marzo, 27 aprile, 18 maggio [erroneamente segnato: 18aprile] 1713.

182 Memorie, II, pp. 93-98. Bona fu battezzata il 5 luglio 1767 e qualche anno dopo pronuncio ivoti solenni presso il monastero del Corpus Domini di Correggio, dove si trovava anche una sua ziamaterna. L’incartamento reggiano sulla Soliani e conservato in ACRE, OPC, 1726-1799, filza 3,cc. non numm. (esame del 3 luglio 1767).

183 Rapporto cronologico, pp. 52-53. Carteggi e altri documenti riguardanti i due invii al Cate-cumeno bolognese sono raccolti in AIRete, PLC, Origine, cass. I, filza III, pacchetto C, n. 4.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

cumeni Daniele Norsi ed Emanuele Vigevani furono accompagnati a Veneziaper conto dell’Opera da don Santo Ferrari;184 poco dopo, nel 1717, i presi-denti scrissero a Bologna e Venezia per sapere se uno dei due istituti potesseaccogliere il giovane Moise Vigevani (modenese!), battezzato infine nella Casafelsinea; 185 sorte analoga quella dell’ebreo Alessandro, inviato a Bolognanel 1727,186 e di Giuseppe Abencabif di Costantinopoli, ricevuto dall’Operamodenese «ad effetto di mandarlo poi a Venezia».187

Le ragioni che portavano a dirottare i convertiti verso altre citta non eranosempre chiare e, come si e visto, poteva capitare che ebrei modenesi o vene-ziani ricevessero il battesimo a Bologna, anziche nelle rispettive Case. In qual-che caso si tratto di veri e propri ricongiungimenti familiari. Il tredicenne Mi-chele Olivetti chiese e ottenne di poter raggiungere da Modena i fratelli «gianeofiti abitanti in Venezia», preparandosi a ricevere il battesimo nella Casa ve-neziana,188 e qualche anno dopo un altro Olivetti – Simone – imbocco la viadella Laguna, assistito dai due fratelli (un romito e un prete) che lo avrebberoistruito e preparato alla fede cristiana.189

Una rete di contatti teneva assieme varie Case per catecumeni e bastano icasi qui esposti per capire come gli istituti di Modena, Reggio, Bologna e Ve-nezia fossero impegnati in un commercio di anime che sorpassava confini egiurisdizioni. Lo stesso protocollo seguito dai presidenti dell’Opera modenesemostrerebbe una prassi in qualche misura codificata: o il convertendo era ac-compagnato alla frontiera per essere affidato alla custodia dell’istituto di de-stinazione oppure la struttura che lo aveva in carico lo scortava sino alla Casain cui avrebbe atteso il battesimo.

Ma la chiusura localistica delle Case estensi – sempre disposte a smistareconvertiti e quasi mai ad accoglierli – non aveva mancato di suscitare malumo-ri negli altri istituti. Capito per l’ebreo veneziano Giuseppe Gabiglio, «am-messo in Catecumeno [a Modena] come in deposito, per le premure parti-colarmente di monsignor vescovo». Nel novembre del 1772, i presidentiscrissero ai colleghi della Serenissima per trasferire l’ospite al Catecumenodi Venezia. Mentre Gabiglio giungeva al luogo in cui avrebbe ricevuto il bat-tesimo, a Modena pervenivano le precisazioni piccate della Casa veneziana.

184 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 1 agosto 1715.185 Ivi, 9 gennaio e 6 febbraio 1717.186 Ivi, 5 novembre 1727.187 Ivi, 5 luglio 1726.188 Ivi, 3 novembre 1734.189 Ivi, 19 maggio 1748. E probabile che Michele e Simone fossero parenti, se non fratelli.

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Nel Catecumeno di Venezia, ricordava il superiore della Casa, «si accettachiunque che da se si presenta, sia nazionale o forestiero», e lo stesso si sareb-be dovuto fare a Modena senza «mandar la chi qui viene a rifuggiarsi».190

Non era il primo avvertimento di quel genere. Nei mesi precedenti era giastato inoltrato un richiamo con cui si cercava di arginare l’invio di convertiti.Quando la Casa di Modena cerco di sistemare a Venezia l’ebreo olandese Da-niele Mendez, i veneziani risposero ai colleghi che quella prassi doveva cessare.

Illustrissimi signori [...],

fu accolto nel nostro pio luogo anche questa volta il catecumeno Daniele Mendezspeditosi con graditissima di Vostre Signorie illustrissime e nelle medesime [sic] sarainstrutto ne’ dogmi di nostra santa fede. E questo fu fatto da noi per il caritatevoleoggetto di non abbandonarlo al suo destino vedendosi anche dal nostro pio luogo ri-fiutato. Ma come il pietoso nostro instituto si obbliga ricevere quelli che, volontari ocondotti da qualche persona che non anno modi di poterli instruire nella santa reli-gione, come potrebbero aver fatto Vostre Signorie illustrissime nella loro Opera pia,cosı siamo in necessita di avvertirle stando attaccati alle nostre leggi di non fare piu inavvenire simili spedizioni, mentre si troveremo pur nella dura necessita o di rispedirlicol pericolo che si perdino o di abbandonarli al loro destino, cose e l’una e l’altra digrave pregiudizio per le mire di carita che militano in simili luoghi pii.191

Pur di evitare il moltiplicarsi di ospiti si ricorse a molti mezzi. Questa fuprobabilmente la motivazione alla base degli aiuti erogati a ebrei di passaggioa Modena e diretti verso altre Case. Il 4 dicembre 1713, ad esempio, Giusep-pe Vita – «hebreo di Constantinopoli» – si era presentato al Catecumeno mo-denese manifestando l’intenzione di raggiungere la Casa di Bologna. Gli am-ministratori del pio luogo, solitamente parsimoniosi, gli avevano accordatoun’elemosina di trenta paoli, prevedendo forse i risparmi che potevano venireall’Opera da quell’invio presso un altro istituto.192

Gli statuti modenesi d’altra parte contenevano un’ulteriore restrizione:nella Casa potevano essere accolti solo ebrei, con l’esclusione di convertitidi altre religioni e confessioni cristiane. Anche in questo caso, si dovette pro-cedere a piu di un’eccezione. Il 28 giugno 1707 si diede notizia in congrega-zione di un «certo turco gia chiamato Caramunta et hora Giovanni Rosa, che

190 Memorie, II, pp. 157-158.191 La lettera fu inviata da Venezia il 4 marzo 1772. Copia del testo e riportata in Memorie, II,

p. 149. Questo il commento in calce alla copia della lettera: «Da cio si deduce che gentilmente lisignori presidenti di Venezia si sono prestati anche per il Mendez [...] ma si deduce ancora dalla so-prascritta lettera che non sono piu in caso in avvenire d’accettarne».

192 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

desiderarebbe d’essere ammesso nel Cattecumeno et instruito negli articoli dinostra santa fede». Di fronte alle rassicurazioni del vicario vescovile sui tra-scorsi del catecumeno («egli veramente [e] turco e non rinegato») e la sua«bona mente et intentione», gli amministratori acconsentirono ad accoglierequel musulmano venuto da chissa dove.193

In altri casi furono il duca o il vescovo a chiedere al Catecumeno di assi-stere, in deroga agli statuti, protestanti di varia origine. Nel 1711, grazie all’in-tervento del sovrano, un «soldato prusciano eretico» alloggiato nel conventodegli Scalzi era soccorso dall’Opera e accompagnato alla conversione;194 nel1729 una giovane «luterana», «ispirata dal Signor Iddio» ad «ardentissima-mente abiurare l’eresia», era affidata dal vescovo alla carita dei presidenti195

e appena un anno dopo si poneva il caso di un anabattista delle Fiandre de-tenuto nelle prigioni estensi.196

A dettare la conversione intervenivano talvolta equilibri familiari, comenel 1738, quando un’anonima calvinista aveva rinnegato le proprie convinzio-ni «a motivo anche di sposarsi».197 Diverso e piu clamoroso il caso di un altrocalvinista, Giovanni Stefani, che aveva provocato qualche scalpore. Impiegatoin una «bottega da caffe» di Modena, il giovane nutriva da mesi la speranza didiventare cattolico. Dopo gli «occulti abboccamenti» organizzati da un prete,don Giacomo Annovi, i suoi intenti erano stati scoperti e le «grandi turbolen-ze» prodotte dai correligionari suggerirono di intervenire con rapidita. «Permetterlo in sicuro e fuori della podesta de’ suoi principali», il 13 gennaio1773 fu ammesso in Catecumeno e, a fronte delle proteste agitate da qualcu-no, si rispose che «la carita cristiana non permetteva lasciar pericolar dettogiovane»: il calvinista, si precisava, si sarebbe mantenuto da solo e l’episodionon sarebbe «pass[ato] in esempio».198

Le Case di Modena e Reggio, sempre angustiate dalle spese, perseguironodunque una politica di accoglienza limitata, cercando di indirizzare molti con-vertiti, perlopiu forestieri, verso altre Case. Le eccezioni non cambiarono la so-

193 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data.194 Ivi, 24 giugno 1711.195 Ivi, 22 gennaio 1729.196 «Monsignore reverendissimo espose esservi in fortezza un giovine d’eta di circa vent’anni

nato, come si asserisce, in Fiandra di padre anabattista per cui Sua Altezza Serenissima ha tutta lapremura che venghi cattechizato ed a suo tempo battezato» (ivi, 13 giugno 1730).

197 Ivi, 30 agosto 1738. Nel verbale della seduta non si precisa il nome della donna, ne si de-libera con precisione la tipologia di sostegno concessa dall’Opera.

198 Memorie, II, pp. 158-159. Stefani abiuro dopo due mesi di permanenza in Catecumeno enell’aprile 1773 «aperse bottega». Cfr. Memorie, II, pp. 161-162.

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stanza di una linea improntata alla prudenza, e se anche stranieri e non-ebreitrovarono di quando in quando ospitalita, le ragioni della fede dovettero spessoadattarsi alle ristrettezze imposte dai magri bilanci su cui si poteva contare.

LO SPETTACOLO DELLA CONVERSIONE

Le Case per catecumeni, pur incentivando le conversioni e servendosi diun vigoroso antigiudaismo, non riuscirono mai a scardinare la struttura dellecomunita ebraiche, ne a incidere in modo determinante sulle dinamiche inter-ne al ghetto. Il numero di convertiti, come si vedra meglio in seguito, in nes-suna occasione raggiunse livelli tali da mettere a rischio la compattezza e laconsistenza delle universita israelitiche e – si e scritto – i battesimi di ebrei,cosı come le prediche forzate, ebbero lo scopo di parlare piu ai cristianiche al mondo giudaico.199 In effetti quando un catecumeno era ammesso albattesimo, l’apparato predisposto per celebrarne pubblicamente la conversio-ne si caricava di simboli e rituali che esaltavano la superiorita della fede cri-stiana e l’illuminazione che aveva dissipato la cecita in cui gli ebrei viveva-no.200 Il convertito era accompagnato tra feste e apparati sino al luogo incui avrebbe ricevuto il battesimo – di solito la chiesa cattedrale – e di quiera condotto nuovamente alla Casa dei catecumeni secondo un percorso pro-cessionale che toccava i principali luoghi della citta. Per dare maggiore lustroalla liturgia venivano poi scelti come padrini e madrine membri dell’aristocra-zia cittadina o esponenti della famiglia regnante, destinati nella maggior partedei casi a dare il proprio nome al nuovo cristiano.

Stando alle descrizioni pervenute, a Modena – non troppo diversamente daquanto riscontrabile a Reggio201 – il convertito era provvisto di un corredo cheprevedeva per i maschi un abito bianco («giustacuore, camicciola, due paiabraghini e tabarro»), una parrucca «alla delfina», calzini, sottocalzini e scarpe

199 Cfr. FOA 1999, pp. 49-50.200 Per le cerimonie connesse alla conversione, cfr. anche CAFFIERO 2004, pp. 265-293 (e biblio-

grafia, in part. nota 2); sulla lunga storia del sacramento e dei suoi riti si veda in generale PROSPERI

2006. Del rituale adottato nel battesimo dei catecumeni l’Opera di Modena appronto un’edizionedesunta dal Rituale Romano (cfr. Ordo baptismi per Congregationem catechumenorum Mutinae).Un esemplare e conservato in ACAMo, OPC, Registri, 20/a.

201 Si veda a titolo di esempio la distinta delle spese in occasione del battesimo di Sanson Ca-merini in ASMo, Giuridizione sovrana, 139, cc. non numm. (f. «Reggio. Catecumeni. 1789»). PerCamerini, oltre all’acquisto di vari tessuti per il confezionamento di un abito, si dovette provvedereal reperimento di due camicie e due fazzoletti, due paia di calze, fibbie, un cappello, una parrucca,un paio di scarpe, dei guanti e un rosario. Analoga la lista stilata il 27 giugno 1788 in vista del bat-tesimo di Raffaele Levi (ivi, f. «Reggio. Catecumeni. 1788»).

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

bianche, quattro camicie, quattro fazzoletti, colletti, fibbie, bottoni, guanti, as-sieme a candele, drappi e libri di devozione, e per le femmine busto, gonna,mantella e cotta, quattro camicie, fazzoletti, calze, cuffie, scarpe e guanti bian-chi, parrucca (se necessaria), drappi di seta, torce, fazzoletti e candelotti.202 Gliindumenti del battezzando erano consacrati con una benedizione in cui con-fluivano echi dei due Testamenti («per nomina tua Sanctissima Hel + Heloym+ Sother + Emmanuel + Sabaoth + et cetera»),203 e alle porte della Casa ini-ziava a raccogliersi il corteo che avrebbe accompagnato il convertito al sacrofonte. La processione era codificata in ogni dettaglio, scandita – come mostrail rituale modenese – da simboli e azioni liturgiche che riportavano al significa-to del sacramento. Ad aprire il corteo stavano due messi della citta, seguiti dalgonfalone dell’Opera dei catecumeni e da quello della confraternita di SanGiuseppe che supportava le celebrazioni. Alle loro spalle sfilavano i confratelli,il cappellano di San Giuseppe, sei «putti» vestiti da angeli, i presidenti del Ca-tecumeno scortati dai «granatieri» e, in mezzo a loro, il convertito. A ognunadelle tre coppie di fanciulli, formate da «neofiti o figli d’essi»,204 era assegnatoun colore diverso: la prima vestiva gli abiti bianchi della fede reggendo unabrocca d’argento e il rituale del battesimo; la seconda, coperta di verde, rievo-cava la speranza e portava fette di pane e scatole d’argento contenti cotone;l’ultima, negli abiti rossi della carita, recava una torcia e un fazzoletto copertoda un drappo bianco.

Il percorso, volutamente ampio, collegava tre luoghi-simbolo della geogra-fia cittadina che compendiavano il cammino di conversione: la Casa del cate-cumeno, il Palazzo Ducale e la chiesa destinata alla celebrazione.205 I salmi cheaccompagnavano il corteo richiamavano il compimento degli oracoli veterote-stamentari nell’avvento di Cristo e celebravano la liberazione del popolo d’I-sraele dalla schiavitu dell’Egitto. A esprimere la gioia di quel giorno erano lefigure di Zaccaria, padre di Giovanni Battista, e Simeone, sacerdoti del Tempioche avevano riconosciuto in Gesu il Messia tanto atteso.206 Essi costituivano ilmodello del pio israelita, capace di abbracciare il messaggio cristiano partendodalla fede dell’Antico Testamento, e offrivano a quanti assistevano alla cerimo-

202 Cfr. Memorie, I, pp. 20-21; ACAMo, OPC, Registri, 5.203 Una copia a stampa della Benedictio indumentorum pro catechumenis, si trova in ACAMo,

OPC, Registri, 20/e.204 Lo precisa l’«Ordine per la processione» riportato in Salmi per il battesimo, p. III (una copia

in ACAMo, OPC, Registri, 20/c).205 Una descrizione del «giro della procesione» e riportata in ACAMo, OPC, Registri, 5, cap.

«Cio che devano fare li presidenti di governo dovendosi battezare uno o piu ebrei», num. 1.206 Cfr. Luca 1, 68-79; 2, 29-32.

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nia – in primo luogo al catecumeno che ne era protagonista – un modello concui identificarsi.

La bellezza e lo splendore di quell’evento erano attentamente pianificati enei giorni precedenti venivano date disposizioni perche le strade attraversatedalla processione e la Casa dell’Opera fossero pulite e decorate. Del resto, alcentro dello spettacolo non era soltanto il primato della fede cristiana: a essereesaltati erano anche (e talvolta soprattutto) i poteri costituiti che avevano con-sentito quel dispiegamento di apparati. Lo si evince chiaramente guardando icomponimenti stampati in occasione di alcuni battesimi. I versi di volta in vol-ta assemblati raccontavano l’agognata illuminazione raggiunta dal catecume-no, cieco e perduto, grazie all’intervento di Dio e di chi ne rifletteva il poterein terra, il duca.

L’ebreo Giuseppe Gallighi, tenuto a battesimo da Rinaldo I, dedico all’il-lustre padrino alcuni sonetti che narravano come il Buon Pastore avesse avutopieta di una pecorella dispersa «per balze erme e pendenti [...] ove son tron-chi e sassi»: il convertito era il virgulto sano che la sterpaglia tentava di soffo-care, e solo le acque del sacramento lo avrebbero salvato dall’empieta dellasua gente.207 Al sovrano era chiesto di condurre a lieto fine quanto la graziadivina aveva cominciato, in un’azione che teneva assieme cielo e terra, princi-pe e Provvidenza:208

Qual chi per notte oscura e tenebrosascorre tra balze e tra dirupi, e credetrovar periglj e morte ovunque il piedeincerto e pauroso ei volge e posa,

cosı errando per strada erta e sassosaquest’alma, poich’intorno altro non vedeche folt’ombre et orror, si ferma e chiededal Ciel soccorso e di piu gir non osa.

Ed ecco che pietoso ad esso inviaun puro e chiaro lume, il quale additaove a finir va cosı torta via.

Poi perche pronto a lei tu porga aitati chiama, o gran Rinaldo, e vuol che sial’opra ch’ei comincio da te compita.

207 Cfr. Applausi poetici 1714, che raccoglie dieci sonetti. Un esemplare in ACAMo, OPC, Re-gistri, 20/d1.

208 Applausi poetici 1714, p. 9.

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IL CONSOLIDAMENTO DELLE OPERE PER CATECUMENI

In altri casi l’esaltazione del sovrano, immagine di Dio e padre dei suoi sud-diti, era ancora piu esplicita. Nel 1707 Isac Levi (poi Francesco Maria Benedet-ti) aveva dedicato al principe Francesco Maria d’Este alcuni Applausi poetici, incui le tre virtu teologali descrivevano l’accidentato cammino che portava allareligione cristiana.209 La Fede esortava il convertendo a seguirla appoggiandosial suo fianco, mentre l’Aquila Estense additava il traguardo «con le grand’ale»;la Speranza affidava al principe il compito di rincuorare il catecumeno spaven-tato («nel real vostro aspetto tutti pose Speranza i raggi suoi»); la Carita infineavrebbe infuso in Francesco Maria d’Este i suoi ardori e quest’ultimo, quasivicario di Dio, li avrebbe trasmessi nel cuore dell’ebreo timoroso («empierodel mio foco il vostro core: voi empietene, o Prence, il cor di lui»).

La cerimonia battesimale diveniva cosı momento di legittimazione del po-tere costituito e celebrazione del principe cristiano che – pur agevolando glistanziamenti ebraici nei propri Stati – non perdeva occasione per presiedere isolenni apparati che accompagnavano i riti di conversione. «La pieta cristiana– ricordavano le rime composte per il battesimo di Isac Levi – e la vera e saldabase degl’imperj»: convertire e regnare erano colonne dello stesso edificio.

La stessa presenza di esponenti dell’aristocrazia ducale svolgeva una fun-zione suppletiva: dove il duca non poteva arrivare, erano membri piu o menodiretti del suo entourage a rappresentarne l’autorita. Nel 1750, quando a Car-pi l’ebrea Eva Finzi ricevette il battesimo (in quel caso senza il concorso delCatecumeno), a sostituire la principessa di Modena fu designata la contessaCamilla Poggi Gavardi.210 La relazione di quei giorni ricorda come in catte-drale fosse stato «eretto nel presbiterio il baldachino, sotto di cui era il ritrattodella Serenissima Principessa Ereditaria», presidiato da diversi alabardieri,impegnati a contenere «l’impeto della folla del popolo». In quella conversionefinivano per confluire istanze diverse che alla vittoria della fede cristiana acco-stavano la celebrazione della figura dei sovrani, solennizzata e posta nel luogopiu sacro della chiesa in cui si svolgeva la cerimonia. Queste esigenze, tipichedelle societa di antico regime, si saldarono con l’utilita che alle Opere per ca-tecumeni pote derivare da simili rituali. La presenza di padrini e madrine in-fluenti consentiva non solo di raccogliere offerte e sostenere agevolmente lespese per il battesimo, ma prospettava ai neofiti un inserimento nella societacristiana. L’illustre patrocinio poneva i convertiti sotto la tutela di chi era ingrado di facilitarne l’impiego e, in un reciproco gioco di convenienze, porgevaalle Opere per catecumeni l’avallo, prezioso e ambiguo, del sovrano.

209 Cfr. Applauso delle virtu 1707. Una copia in ACAMo, OPC, Registri, 20/d3.210 Cfr. Relazione del battesimo 1750. Un esemplare in ASMo, Giurisdizione sovrana, 139.

CAPITOLO SECONDO

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CAPITOLO TERZO

I CONVERTITI

Sul finire dell’eta moderna i due centri principali dello Stato estense erano dotati di Caseper catecumeni che, con le loro peculiarita, avevano introdotto nel ducato emiliano unodegli istituti piu caratteristici della stagione controriformistica. Dalla seconda meta delSeicento e, soprattutto, nel corso del Settecento i due enti avevano rafforzato il loro pro-filo istituzionale e patrimoniale: la Casa reggiana, provvista di statuti sin dal 1633, avevaproceduto a un loro adattamento all’indomani del passaggio alla gestione comunale, men-tre l’Opera modenese, sorta ufficialmente nel 1700, nei suoi primi anni di vita delineo ilproprio impianto normativo dopo aver verificato il funzionamento delle primitive dispo-sizioni. Del resto a Modena le autorita diocesane avevano sviluppato una politica conver-sionistica a tratti caotica e disorganizzata. Il vescovo aveva nominato un sacerdote depu-tato ai catecumeni, don Luca Ugoletti, che dagli ultimi decenni del Seicento aveva curatol’istruzione di convertiti ed ebrei desiderosi di ricevere il battesimo. Nel corso del propriolavoro, il sacerdote si era reso conto dell’esigenza di centralizzare il governo dei tanti le-gati a favore di ebrei e neofiti ed era cosı riuscito a dar vita, con l’appoggio della Curiamodenese, all’Opera dei catecumeni, presto articolatasi in un ramo maschile – l’asse por-tante dell’istituto – e in un ramo femminile, subordinato pressoche totalmente al primo.Nonostante lo zelo del suo promotore, l’Opera di Modena risultava pero afflitta dall’as-senza di una casa, di un luogo cioe dove alloggiare quanti erano in attesa di accostarsi albattesimo, e sebbene Ugoletti nel 1713 donasse uno stabile all’ente cui tanto aveva lavo-rato, gli statuti continuarono a prevedere la piena operativita del Catecumeno anche inmancanza di un ricovero per i convertiti. A differenza dell’istituto reggiano, quello mo-denese dovette inoltre misurarsi con la ricorrente carenza di fondi e risorse destinate alleconversioni, mostrando come le esigenze di risparmio potessero minare l’efficacia dellapolitica conversionistica.Tra tutti questi ostacoli, le Case di Modena e Reggio riuscirono comunque a sopravviveree, con gestioni e statuti diversi, si distinsero in molti ambiti dall’organizzazione di altreOpere italiane. Il loro tratto caratteristico e comune, come si e piu volte notato, fu l’atten-zione esclusiva agli ebrei estensi. I due enti non accettarono mai ebrei provenienti da co-munita che non fossero quella modenese o reggiana e in molte occorrenze dirottarono i«forestieri» verso luoghi piu aperti, come le Case di Venezia, Bologna e Roma. Derogheed eccezioni vi furono e, talora, vennero assistiti ebrei di varia provenienza o infedeli– perlopiu protestanti – approdati negli Stati estensi nei rivolgimenti delle guerre di suc-cessione. Questa tuttavia non fu la regola e il ripiegamento localistico delle Opere di Mo-

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dena e Reggio venne di rado aggirato in nome di interessi superiori, fossero anche quellidella fede. Il legame con il contesto cittadino e ducale, in parte alla base di quella chiusura,trovo infine un suo punto di condensazione nei riti che, pubblicamente, sancivano il pas-saggio di un ebreo alla fede cristiana. Le solenni cerimonie che accompagnavano il batte-simo dei convertiti si caricarono di simboli e richiami che fondevano insieme motivi diver-si, dall’esaltazione delle verita amministrate dalla Chiesa alla legittimazione di un poterepolitico in bilico tra protezione e repressione degli ebrei. In quello ‘‘spettacolo’’ si rivelaval’intreccio di istanze, non solo spirituali, coagulate attorno alle Opere di conversione e sipalesava il pieno inserimento delle Case per catecumeni in un sistema in cui gli ebrei as-solsero spesso una funzione strumentale. Nelle pagine che seguono cercheremo di entrarenel merito di questo groviglio, esplorando al contempo le motivazioni che condussero adaccettare o rifiutare il battesimo. Restituiremo voce ai protagonisti delle conversioni e aquanti tentarono di spingerli o dissuaderli dal diventare cristiani, per valutare perche qual-cuno decise di abbandonare la propria fede e quali interessi si misurarono sul capo di chi,molte volte, cerco soltanto un futuro migliore.

LE RAGIONI DELLA CONVERSIONE

Per convincere qualcuno ad abbracciare la fede cristiana potevano bastareprospettive, piu o meno realistiche, di avanzamento economico e sociale, e leCase estensi offrirono molti esempi di quanto la poverta potesse agevolare ilpassaggio a una nuova religione.

Nel 1740 i presidenti del Catecumeno di Modena si trovarono a dover giu-dicare la richiesta di Anna Sanguinetti, cui si decise di accordare il battesimo«non ostanti le stravaganze del suo umore». La ragazza aveva piu volte insistitocon i superiori per accedere al sacramento, probabilmente per assecondare laconveniente offerta di matrimonio giuntale dal mercante modenese PandolfoPandolfini.1 Circostanze simili si erano gia presentate per l’ebrea Bona, diReggio, che nel 1631 aveva chiesto il battesimo per poter sposare GiovanniBattista Arlotti.2

Il 10 aprile 1721, nella capitale si era verificato invece il caso del figlio diAbramo Rabeni che, trovandosi in carcere, aveva deciso di farsi cristiano e ot-tenere cosı la liberta.3 Sessant’anni dopo il suo esempio fu seguito dal reggia-no Noe Sacerdoti, «ebreo alla cattena»,4 che vide nella conversione una pos-sibilita di riscatto da non lasciarsi sfuggire. L’episodio non doveva essere

1 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 14 gennaio e 3 febbraio 1740.2 ACRE, OPC, 1511-1725, filza 2, cc. non numm. (esame del 31 marzo 1631); cfr. BALLETTI

1930, p. 193.3 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, alla data.4 ACRE, OPC, 1726-1799, filza 3, cc. non numm.

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infrequente, e il duca, sollecitato dalle comunita ebraiche, ritenne opportunoregolamentare quell’evenienza. Un memoriale del 1796 riportava il caso di uncerto Cevidali «mentecatto», fatto incarcerare dalla stessa universita di Reggio«per evitare que’ disordini che da lui derivar ne potevano».5 Per aggirare l’o-stacolo, Cevidali entro nella Casa dei catecumeni con l’intenzione, verosimil-mente simulata, di diventare cristiano. Di fronte a comportamenti di quel ge-nere, non si poneva solo un problema di coscienza, ma una grave questione diordine pubblico. Il governo dovette presto pronunciarsi a riguardo:

La Giurisdizione ha fissati per regola de’ casi avvenire quanto segue: che gli ebreicarcerati non si debbano dalla carcere passare al Catecumeno per il solo riflesso cheessendo detenuti in prigione abbiano dichiarato di voler farsi cristiani, ma ritiene cheprima debbano essere posti in piena liberta – qualora per altro il motivo della carce-razione lo permetta – onde resti per tal via rimosso qualunque prudente sospetto chel’asserta loro vocazione al cristianesimo fosse un pretesto per liberarsi dalla carcere.Ed in caso che il motivo della loro detenzione non permettesse il dimetterli dalle car-ceri, non debba ammettersi alcuno del Catecumeno alle carceri senza prevenirne ilgoverno per aver norma delle risoluzioni da prendersi.

Le necessita e le miserie della vita quotidiana non si limitavano a matrimo-ni e carcerazioni: Giuseppe Levi, dimesso ancora febbricitante dall’ospedaledel ghetto di Reggio, fu costretto nel 1733 a convertirsi per restare nell’ospiziocristiano,6 mentre il figlio undicenne di Michele Sanguinetti si rifugio nellaCasa reggiana dopo che il padre l’aveva duramente sgridato per il furto di100 lire: «Se venisse admesso [al battesimo] – scrisse il genitore in una sup-plica al cardinale Pietro Ottoboni – verrebbe a proibirsi a’ padri la correttionede’ proprii figlii».7

Le motivazioni che portavano alla conversione non erano dunque semprelimpide, ma al netto di episodi come quelli citati, gli amministratori del Cate-cumeno sembrarono voler porre una qualche attenzione alla loro sincerita. Ein particolare la casistica modenese a corroborare questa ipotesi.

Nel 1750 l’Opera ingaggio un duro scontro con l’inquisitore estense cheaveva insistito perche i presidenti accogliessero nella Casa Elia Laudadio

5 ASRE, Universita Israelitica, Archivio Bassani, Cancello XIV 40bis, da cui e tratto il brano chesegue.

6 ACRE, OPC, 1726-1799, filza 3, cc. non numm.; cfr. BALLETTI 1930, pp. 193-194.7 La supplica con cui, nel 1732, Sanguinetti chiese al Sant’Ufficio romano il rilascio del figlio,

trattenuto nella Casa di Reggio su ordine del vescovo, e conservata in ASRE, Universita Israelitica,Archivio Bassani, Cancello XVIII D.5, doc. n. 1. Nonostante le proteste del padre, il figlio di San-guinetti, Simone, venne battezzato il 9 marzo 1732 assumendo il nome di Ignazio Candido Renati(cfr. SPAGGIARI 2013).

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De Angeli, figlio del locandiere Isacco. L’ebreo era stato accusato dal Sant’Uf-ficio di intrattenere relazioni amorose con una donna cristiana e di recarsi fuo-ri dal ghetto di notte. Processato, se l’era cavata con la promessa di astenersiin futuro da quei comportamenti e, a quanto si puo intuire, aveva manifestatol’intenzione di farsi cristiano. I crimini di cui si era macchiato erano tuttavia«tali da potersi ragionevolmente temere che l’ebreo non [fosse] condotto atal passo da vera vocazione», e per evitare il muro contro muro si raggiunseuna soluzione di compromesso. Elia fu accettato, ma ci sarebbe mantenuti«in osservazione della di lui condotta».8

Per verificare la genuinita dell’impulso che portava ad abbracciare la fedecristiana, talvolta furono gli stessi membri della comunita ebraica a reclamareun esame formale dei catecumeni. Intorno alla meta del Settecento il ducaaveva designato un ministro «specialmente delegato agli affari de’ catecumenie neofiti» con il compito di assistere agli interrogatori per valutare se restituiregli aspiranti cristiani alle famiglie di origine (di solito si trattava di giovani ebambini) o lasciarli alle cure delle Opere per convertiti.

Capito cosı che il 10 agosto 1781 Bonaventura, padre dell’ebrea modeneseGrazia Sanguinetti, inoltrasse al duca una supplica per chiedere l’esame dellafiglia e «rivelare se per impulso di vera vocazione o per altro indiretto motivosiasi la medesima involata dalla casa paterna».9 Il 13 agosto il consultore digabinetto e consigliere ducale Giuseppe Antonio de’ Micheli, accompagnatoda uno dei presidenti dell’Opera di Modena e dallo stesso Bonaventura pro-cedette all’interrogatorio di Grazia per sondarne le motivazioni. Le domandeche scandivano l’accertamento dei fatti erano semplici: il ministro chiese all’e-brea chi l’aveva accompagnata al Catecumeno, se era arrivata lı a causa dei«cattivi trattamenti avuti dal proprio padre, madre e congionti», se a spingerlaera stato lo zelo per la nuova fede o piuttosto «qualche fine indiretto di affe-zione o amore che avesse concepito verso persona cristiana». Si voleva inoltrecapire se la convertenda aveva chiari gli oneri che quella conversione compor-tava – anzitutto il distacco dai famigliari –, da quanto tempo avesse in mentedi diventare cristiana, e se mai, timorosa della punizione che le sarebbe spet-tata, non avesse il coraggio di tornare dai genitori pur pentita del frettolosoingresso nella Casa. Infine fu chiesto a Grazia di esporre le proprie ragioni,di rivelare i nomi di quanti erano stati a conoscenza del suo proposito e, in

8 ACAMo, OPC, Registri, 9/a, 14 maggio 1750. Il processo contro Elia e conservato in ASMo,Inquisizione, 228,23. Accolto il 23 maggio nella Casa, De Angeli fu battezzato l’8 novembre succes-sivo.

9 ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I2/d, da cui sono tratte le citazioni che seguono. Cfr.anche ivi, I2/c.

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ultima analisi, di convincere l’esaminatore a lasciarla dove si trovava. La gio-vane non mostro esitazioni: «Sono venuta qui col solo pensiere di mettere insicuro l’anima mia», ribadı piu volte. Accompagnata in Catecumeno da uncerto tenente La Boulaye, l’unico al corrente delle sue intenzioni, Grazia vo-leva ricevere il battesimo («Sono tre anni e piu che io desiderava di sortire dalghetto e di farmi cristiana conoscendo che la religione cristiana era la vera e lareligione ebrea era la falsa, e cio mi e stato inspirato da Dio»). Istruita da qual-cuno o convinta realmente di cio che aveva affermato, Grazia venne licenziataper qualche istante per appurare se il padre avesse altre domande da sugge-rire. Bonaventura, probabilmente rassegnato a perdere quella figlia, si ritennesoddisfatto dall’interrogatorio, e Grazia, non avendo nulla da aggiungere, ra-tifico con la propria firma la strada che aveva imboccato.

A essere esaminati non erano tuttavia solo catecumeni animati da convin-cimenti cosı fermi (almeno in apparenza). Il 5 febbraio del 1781 il ministroducale si era trovato a interrogare David Mantovani, fuggito dalla Casa mode-nese qualche giorno prima.10 In quell’occasione de’ Micheli aveva cercato dicapire se al catecumeno fosse «mancata qualche cosa del necessario» o seavesse avuto battibecchi con altri ospiti. Non ci volle molto per comprendere imotivi che stavano dietro quella rapida serie di ingressi e uscite.

Nessuno mi ha insinuato a partire – rivelo David al ministro – ma volendo dirle laverita, sappia che io ero venuto al Catecumeno coll’idea di sposare la Domenica Ro-mani che, essendo nel Catecumeno e non potendola vedere, mi raccomandai al figliodel custode del Catecumeno perche la tenesse di vista se mi era fedele o se praticassecon altri; ed avendone egli riscontrato d’averla veduta con altri, capii che non mi erafedele e percio mutai volonta e andai a casa mia.

David aveva messo gli occhi su una giovane cristiana, una «lavandara» or-fana di padre, e per ottenere il suo amore aveva deciso di entrare in Catecu-meno e convertirsi alla religione dell’amata. I due, come si apprese dall’inter-rogatorio di Domenica,11 si erano conosciuti in ghetto dove, «li venerdı esabbati», la giovane aveva servito l’ebreo Guardamano Foa come goya shelshabbat. «Questa volta – disse David alla moglie di Foa – la signora Sara hapreso una bella cristianina e se io fossi cristiano vorrei essere il suo moroso».La ragazza, stando al resoconto dato al ministro, non avrebbe accettato le of-ferte di David e, non volendo «impazzar[si] con ebrei», gli ribatte «che andas-

10 ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I2/f.11 Domenica fu interrogata dal ministro de’ Micheli quando David entro in Catecumeno. Il ver-

bale e sempre conservato in ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I2/f.

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I CONVERTITI

se a farsi benedire». In realta, qualche abboccamento tra i due vi era stato per-sino durante la permanenza di David nella Casa: con la complicita del figliodel custode, l’ebreo aveva scorto la ragazza dallo «stenditore» (il locale dovesi asciugava il bucato) e aveva corrisposto al suo saluto con un cenno silenzio-so. E se quell’episodio dimostrava come non fosse difficile aggirare l’isolamen-to del Catecumeno, l’interrogatorio del ministro estense accerto una volta pertutte che le motivazioni di Mantovani coincidevano con la speranza di sposareuna giovane cristiana.

A essere licenziati dal Catecumeno in virtu dell’intervento ducale eranostati anche Marco e Lazzaro Levi, che nel 1788 erano stati condotti nell’isti-tuto reggiano in seguito all’oblazione fattane dal nonno Raffaele Levi (poi bat-tezzato), unico tutore maschio dei due ragazzi, rimasti orfani di padre.12 Il6 giugno il delegato estense condusse esami separati dei due ebrei, appurandoche questi volevano «proseguire ad essere ebrei e che non vogliono farsi cri-stiani». I due giovani – di tredici e undici anni – vennero pertanto rilasciati e,nonostante le proteste del vicario diocesano, si mise fine alla loro permanenzanel pio luogo, riconsegnandoli alla madre – Brunetta Tedesca – che avevainoltrato le proprie suppliche alle magistrature ducali.

La prassi di annullare o non considerare effettivamente vincolanti le obla-zioni di nipoti fatte dai nonni sembrerebbe confermata da un altro caso diquegli anni, simile nello svolgimento e nelle conclusioni alla vicenda dei fratelliLevi. Nel 1778 a Finale il piccolo Leon Osimo di appena diciassette mesi ve-niva proditoriamente sottratto al padre, Jacob, che si appello alla giustiziaestense per chiedere la revoca di quell’atto brutale.13 A offrire il piccolo Leonalla Chiesa era stato il nonno Angelo Samuele, alloggiato da un anno presso ilCatecumeno di Ferrara. Dopo un mese di contenziosi, le richieste di Jacobvennero finalmente soddisfatte e Leon fu restituito ai suoi genitori.

Il governo estense fece dunque la sua parte nel cercare di limitare eventua-li violenze delle autorita religiose e di parenti gia convertiti, e dove si profila-rono violazioni troppo scoperte del diritto tendenzialmente intervenne. Cosıfu tra il 1781 e il 1782 quando Guglielmo Senigallia si porto nella Casa deicatecumeni di Reggio. In qualita di capofamiglia, l’uomo aveva costretto lamoglie e i tre figli a sottoporsi alla quarentena nel pio luogo; non appena peroiniziarono a circolare voci sui presunti maltrattamenti di cui la figlia di Gu-

12 L’intero incartamento relativo ai fratelli Levi e conservato in ASMo, Giuridizione sovrana,139, cc. non numm. (f. «Reggio. Catecumeni. 1788»).

13 PERUGIA CREMA 1980, da integrare con quanto reperibile in ASRE, Universita Israelitica, Ar-chivio Bassani, Cancello XV Ab 1-15.

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glielmo, Armellina, sarebbe stata oggetto, i magistrati disposero un’ispezionealla presenza di un rappresentante della comunita.14

Al di la delle vicende specifiche, gli interrogatori dei funzionari ducali inmateria di conversioni ‘‘sospette’’ rivelavano il complicato equilibrio che i so-vrani, non senza contraddizioni, cercarono di mantenere: da un lato non esi-tarono a promuovere solenni cerimonie battesimali e a sostenere opere a favo-re dei convertiti; dall’altro si schierarono in piu occasioni a difesa dei dirittidella comunita ebraica. La stessa esistenza di un ministro delegato agli affaririguardanti catecumeni e neofiti dimostra quanto fosse desta l’attenzione deiduchi su una questione che, pur riguardando un’esigua porzione della popo-lazione, rivestiva un importante carattere simbolico e giuridico.

In questo quadro, la spontaneita della conversione o la liberta del consen-so non erano comunque diritti su cui poter contare. A fronte del tentativoestense di contenere le pretese delle autorita religiose, in varie occasioni si ve-rificarono battesimi forzati e palesi infrazioni del diritto. Intorno al 1728 Ma-ria Vezzani, nutrice presso la famiglia Finzi, aveva battezzato la bambina cheaccudiva ritenendola in fin di vita: nonostante le vive proteste dei genitori, ilvescovo di Reggio convalido il battesimo, affidando la fanciulla alle cure dialcune balie cristiane.15 Cinquant’anni dopo, nel 1783, l’ebrea Ester Cevidallimanifesto l’intenzione di convertirsi contro il parere del marito e suo figlio diappena 2 anni venne strappato al padre e battezzato.16

In altre circostanze apparve chiaro che la Casa d’Este non era intenzionataa esporsi oltre una certa misura. Nel 1767 tra Roma e Modena si produsserofrizioni potenzialmente pericolose che riproposero il problema della liberta diconversione. Furono due le storie che si intrecciarono tra il Carnevale e laQuaresima di quell’anno.17

A Reggio si era verificato il caso dell’ebreo Elia Sonnino, entrato in Cate-cumeno e raggiunto poco dopo dalle due figliolette. Abbandonati i propositi

14 Una folta documentazione sul caso Senigallia e conservata in ASRE, Universita Israelitica,Archivio Bassani, Cancello XIV, 1-20, 40, AB 57. Se ho ben visto, le fonti non rivelano le sorti diArmellina. Il memoriale che riassume la vicenda ricorda solo che la moglie di Senigallia torno in ghet-to, mentre i due figli maschi furono battezzati.

15 ACRE, OPC, 1511-1725, filza 2, cc. non numm.; cfr. BALLETTI 1930, pp. 203-204.16 Ivi, p. 199, che si appoggia a documentazione dell’ASMo.17 Le vicende e le citazioni proposte, ove non diversamente precisato, sono tratte da Memorie,

II, pp. 88-92. Alcuni riferimenti anche in BALLETTI 1930, cap. XV. Oltre a quanto si segnalera inseguito, incartamenti riguardanti Rabeni e le figlie di Elia Sonnino sono reperibili in ASMo, Giuri-sdizione sovrana, 139, cc. non numm. e ACDF, S.O., St. St., CC 4-b, cc. 893-984. Sulla lunga contesagiudiziaria intorno alle figlie di Sonnino si vedano anche i carteggi e i pareri raccolti dalla comunitareggiana in ASRE, Universita Israelitica, Archivio Bassani, Cancello XX tt 1-52.

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iniziali, l’ebreo era tornato in ghetto, ma la Casa reggiana si era opposta al ri-lascio delle due bambine. La comunita israelitica aveva fatto ricorso alla giu-stizia ducale e, accendendo le ire del vescovo Giovanni Maria Castelvetri,18

aveva ottenuto la restituzione delle fanciulle. Il tribunale – secondo un prin-cipio tanto noto quanto disatteso – decreto che trattenere le bambine «invitopatre [...] e un offendere il ius di natura e l’autorita paterna, vole[ndo] usur-parsi i figli altrui e farli cristiani». Nel frattempo nella Casa reggiana era en-trato anche un certo Lazzaro Rabeni, che l’universita ebraica sosteneva essere«matto e senza uso di ragione» e di cui ottenne – come era accaduto per ledue bambine – il rilascio.

Dopo un’umiliazione di quella portata, la Curia di Reggio non potevarestare in silenzio: fatto ricorso a Roma, il vescovo Castelvetri convinse Cle-mente XIII a indirizzare a Francesco III un breve in cui reclamare la con-segna delle giovani ebree. Nel documento il papa, che aveva fatto compilareuna memoria a sostegno di quell’oblazione,19 ribadiva che Sonnino avevaofferto consapevolmente alla Chiesa le due figliolette («considerato consiliocertoque animo») e risultava percio incomprensibile la decisione dei giudiciestensi di affidare di nuovo le bambine alle cure del padre («perfidi paren-tis curae et custodiae»). Quell’affronto doveva essere cancellato e i magi-strati secolari non avrebbero piu dovuto intromettersi in questioni che toc-cavano la fede e la salvezza. «De huiusmodi rebus solius est ecclesiaeiudicare».20

Le parole pesavano come pietre. Il duca, indisponibile a ingaggiare unbraccio di ferro con la Curia pontificia,21 «mando rimproveri a questo gover-no con ordine supremo che fossero rimmesse tosto in Catecumeno le due

18 Vescovo di Reggio dal 1750 al 1785. Cfr. Hierarchia catholica, VI, p. 355; SACCANI 1898,pp. 128-130. Due lettere scritte da Castelvetri al suo agente a Roma Antonio Saltini per sollecitareun intervento da parte del Sant’Ufficio in ACDF, S.O., St. St., CC 4-b, cc. 894-898 (seguono altrelettere del vescovo di Reggio e pareri della congregazione).

19 Una copia del memoriale, inoltrato al vescovo Castelvetri, in ivi, cc. 906-912.20 Il breve, da cui sono tratte le citazioni, e conservato in ASMo, Carteggi con principi esteri,

1307/26, Clemente XIII, n. 8 (21 febbraio 1767).21 Cosı scrisse Francesco III al papa il 28 febbraio: «Beatissimo padre, furono passati a mia no-

tizia dai ministri del mio governo di Modena li casi accaduti in Reggio sul conto de’ noti ebrei e dellebambine figlie d’uno di loro [...] Non ostante pero li titoli e motivi su cui appoggiavano [...], vennitosto in sentimento di umilmente implorare il superiore oracolo di Vostra Santita sul punto della ca-pacita o incapacita del battesimo [...], in obbligo tanto maggiore di supplicarla a degnarsi di volermiistruire e dichiarare quel tanto che sulla restituzione al Catecumeno e sopra il susseguente battesimogiudichera che io debba praticare» (ivi, n. 9; altro esemplare della missiva ducale in ACDF, S.O., St.St., CC 4-b, cc. 938-939). L’11 marzo 1767 il papa invio un secondo breve in cui ordino di riportarein Catecumeno Rabeni e le figlie di Sonnino. Bozze e copie dei documenti pontifici destinati a Fran-cesco III, in ACDF, S.O., St. St., CC 4-b, cc. 926-937.

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piccole fanciulle e il nostro Lazzaro Robini [sic], e che le due fanciulle fosserotosto battezzate». Ma se le bambine, dopo essere state condotte nel pio luogoil 21 marzo, avevano ricevuto il battesimo nottetempo, Lazzaro non era piudove lo si era lasciato. I magistrati avevano gia accertato il suo stato mentalee, come si leggeva in un rapporto del 25 gennaio 1767, le motivazioni che loavevano condotto in Catecumeno erano tutt’altro che spirituali. Rabeni si erarifugiato nel pio luogo «unicamente per far dispetto a’ suoi parenti che glihano rubato trenta zechini» e, qualora il denaro gli fosse stato restituito, sa-rebbe certamente rientrato in ghetto. Molte volte aveva desiderato persino«gettarsi nel pozzo per anegarsi a fine di far rabia e dispetto a’ suoi medesimidomestici e di aver avuto lo stesso fine quand’e andato vagabondo piu voltein diversi paesi». Sull’instabilita dell’ebreo non si potevano nutrire dubbi, co-sı come sulle offerte con cui era stato spinto a battezzarsi: «se il fattore e cu-stode de’ Cattecumeni le sborsara trenta zechini, come gli ha promesso di fa-re, all’ora si fara cristiano, mostrandosi indiferente a tutte le religgioni purchevenga risarcito dal furto da lui sognato». Il luogotenente inviato dai giudici ainterrogare Rabeni in Catecumeno dipinse un quadro inequivocabile: gli am-ministratori della Casa di Reggio, appoggiati dai teologi della Curia,22 aveva-no fatto leva sulle ossessioni di un uomo gravemente turbato e non in gradodi intendere e di volere.23

In quello scontro senza esclusione di colpi, per mettere al sicuro Rabeni edistoglierlo dal proposito di farsi cristiano la comunita reggiana ritenne pru-dente mandarlo lontano, a Modena, dove suo cognato – Benedetto Sacerdo-ti – lo avrebbe condotto a piu miti consigli. Gli ordini del duca tuttavia nonpotevano essere disattesi: non appena si seppe della presenza dell’ebreo nellacapitale, fu disposto di alloggiarlo nel locale Catecumeno in attesa di un tra-sferimento nella citta di origine. Quando la vicenda sembrava ormai conclusa,

22 Il vicario generale e i consultori della Curia reggiana si espressero a favore del battesimodi Rabeni nonostante l’offerta di denaro con cui era stato attirato nel pio luogo: «Qualora anchel’ebreo di cui parliamo si fosse mosso a chiedere il battesimo per qualche fine temporale, peresempio ad oggetto di conseguire la restituzione del danaro levatogli da’ suoi suoi fratelli e diessere difeso dal predominio de’ medesimi, quando pero voglia recedere dall’ebraismo e siapronto a ricevere le necessarie instruzioni, egli e evidente che non puo licenziarsi, ma che deesianzi ritenere e battezzarsi» (relazione fatta al vescovo di Reggio il 23 gennaio 1767; cfr. ivi,cc. 945-953).

23 Una copia del memoriale da cui sono tratte le citazioni precedenti e conservata in ASRE,Universita Israelitica, Archivio Bassani, Cancello XX tt 21. In modo simile si espresse il Sant’Ufficio:un memoriale della congregazione consigliava di assecondare la richiesta della comunita ebraica erilasciare Rabeni «non potendo esitare un momento dal riconoscere e canonizzare costui per pazzoe mentecato» (ACDF, S.O., St. St., CC 4-b, cc. 920-922). A quanto si deduce, il parere dovette essereignorato per le pressioni pontificie che volevano la restituzione di Rabeni e delle figlie di Sonnino alCatecumeno.

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I CONVERTITI

un colpo di scena venne a sparigliare le carte: arrivato nella propria stanza al-l’interno della Casa modenese, Lazzaro aveva chiesto di potersi ritirare e, ri-masto solo, aveva «rotto la croce del crocefisso, storto il Cristo che era dipiombo, rotto lo spargolo dell’acquasanta e tritolata l’oliva benedetta [...] etutti questi rimasugli eran per terra sacrilegamente sparsi». I segni della pazziae quelli dell’irriverenza si mescolavano e il tribunale vescovile tento per qual-che giorno di appurare la verita. Era evidente a tutti che Lazzaro «dimostravaveramente di essere piuttosto un sempliciano, e quantunque abbia 30 anni eforse piu non mostrava il senno di un ragazzo di 8 in 10 anni». Cio nonostantegli sgherri condussero l’ebreo a Reggio dove inizio la quarantena in Catecume-no. Il fattore della Casa reggiana – Domenico Camoncoli, amico del custodedi Modena Bartolomeo Colombini – scrisse una lettera in cui si svelavano ipresunti ispiratori del gesto.

Esso [catecumeno] – confido Camoncoli a Colombini – mi ha assicurato alla pre-senza di due religiosi e del mio superiore che e vero che ha fatto questo, ma sono statigli ebrei che gli anno insegnato a farlo e gli avevano detto ancora che rompesse ognicosa di quanto poteva aver nelle mani [...] accio che fosse spacciato per matto e inquesta maniera sarebbe ritornato in ghetto.

Per dare prova di follia a Rabeni non furono necessarie troppe finzioni.Riportato in Catecumeno, a inizio maggio l’ebreo ne uscı clandestinamentee, quando quindici giorni dopo la comunita reggiana lo restituı al pio luogo,furono le stesse autorita cristiane a rimetterlo in ghetto «per avere il medesimocostantemente manifestata la sua volonta di persistere nel giudaismo».24

Fosse fedelta alla religione dei padri o un palese stato di minorita, per evi-tare casi simili e dirimere cause riguardanti catecumeni e neofiti, le universitadi Modena e Reggio raccolsero sentenze, pronunciamenti e pareri legali chemiravano a costituire una raccolta giurisprudenziale da utilizzare in contenzio-si per conversioni forzate o, piu frequentemente, eredita e dispute patrimonia-li tra ebrei e nuovi cristiani.25 Il nodo piu delicato che molti di quei dossier

24 L’esito della vicenda di Rabeni e desumibile da un memoriale in ASRE, Universita Israelitica,Archivio Bassani, Cancello XX tt 50; cfr. anche ACDF, S.O., St. St., CC 4-b, cc. 974 ss. Altri incar-tamenti riguardanti Rabeni in ACEMo, Archivio Antico, Recapiti, 2,54, «filza N - nº 80» e «nº 82».Molti anni dopo Rabeni si ripresento in Catecumeno e, complice il cambio del custode, venne accol-to nuovamente nella Casa. Suo fratello Jacob, il 25 gennaio 1782, inoltro una supplica al ministroGaudenzio Vallotta, presidente della Giunta di giurisdizione sovrana, affinche si procedesse al rila-scio di Lazzaro. Esaminato di nuovo l’ebreo, si appuro «non solo essere imbecille, ma positivamentestordito» (relazione del 29 gennaio 1782). Cfr. ASRE, Universita Israelitica, Archivio Bassani, Cancel-lo XIV 21, 23-29.

25 Per Modena, cfr. ACEMo, Archivio Antico, Recapiti, 2,52-54. Per Reggio, ASRE, Universita

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toccavano era il limite entro il quale era possibile esercitare l’offerta di figli enipoti alla Chiesa, tenuto conto dei confini imposti dalla patria potesta.26 Iltentativo di sfruttare la conversione di uno dei genitori per condurre alla fe-de cristiana interi nuclei parentali non era ne nuovo ne infrequente, e unadiscussione canonistica vecchia di secoli si era variamente pronunciata a ri-guardo.

A Modena i presidenti del Catecumeno avevano addirittura elaborato unasorta di regolamento che guidava catechisti e amministratori della Casa nelladelicata costruzione di una conversione familiare.27 «Ogni ebreo che vengaalla nostra santa fede – si spiegava – ha questo ius se ha moglie o figlii: di chia-marli, anzi sforzarli, accio vengano a fare la quarentena alla Casa cattecume-na». L’istruzione non contemplava casi di figli o mogli invitati a coinvolgeregenitori e mariti nel passaggio alla religione cristiana, ma e probabile che lastrategia di pressione psicologica, come accadeva altrove, non conoscesse sen-si unici.28 Quando qualche catecumeno desiderava portare con se i propri fa-migliari, i presidenti dell’Opera dovevano recarsi in ghetto per reclamare laconsegna degli interessati. Se questi non si presentavano spontaneamente, toc-cava ai «birri» scovarli e accompagnarli alla Casa dove avrebbero trascorso unperiodo di internamento forzato. Qui avrebbero ricevuto «vitto ebraico» pre-parato dalla comunita, oggetto – si raccomandava – di attente ispezioni volte aevitare che insieme alle vivande arrivassero «bilietti o altre furberie». Durantela quarantena si sarebbe tentato di convincere tutti i membri della famiglia adiventare cristiani e, non riuscendoci, si sarebbero rilasciati gli ospiti piu re-calcitranti, facendosi rifondere ogni spesa dall’universita ebraica.

La questione era cosı delicata che lo stesso duca, scottato dalle polemichesollevate dal caso delle figlie di Elia Sonnino, provo a codificare un regola-mento per gli Stati estensi. A quanto si desume da un fascicolo conservatopresso le carte della Giunta di giurisdizione sovrana – la magistratura incari-cata di sciogliere e prevenire le controversie tra il governo estense e gli entireligiosi – nel 1783 Ercole III aveva avviato un’indagine presso le Case degli

Israelitica, Archivio Bassani, Cancelli II N 13-24; IV a 1-5, 7, 9-12, 14, 17-18, a/dd, a/ff; XIV, 1-44,AB 45-70; XV Ab 1-15, A e 1-265 (una dettagliata descrizione in BADINI 1998, pp. 7-28).

26 Sul dibattito giuridico relativo alla patria potesta si veda per tutti CAVINA 2007, con partico-lare attenzione al contesto estense.

27 ACAMo, OPC, Registri, 5, cap. «Aviso di cio che deve fare il presidente di governo quando liebrei vog<l>iano o i figlii o moglie», da cui sono tratte le citazioni che seguono.

28 Lo ha mostrato per Roma CAFFIERO 2004, che offre prove convincenti della dilatazione e del-l’adattamento subito dall’istituto dell’offerta di parenti e congiunti alla Chiesa, al fine di agevolare lapolitica conversionistica delle autorita cattoliche. Cfr. anche CAFFIERO 2007.

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I CONVERTITI

Stati circonvicini.29 Attraverso i propri emissari il duca interpello gli istituti diFerrara, Mantova, Verona e Venezia, raccogliendo informazioni sul tratta-mento riservato alle offerte di figli da parte di padri e madri convertiti.Non e chiaro, allo stato attuale della ricerca, che esito ebbe quel tentativo,ma e certo che dietro di esso si nascondevano tutte le tensioni, giurisdizionalinon meno che economiche, sollevate da una prassi che minacciava la tranquil-lita delle comunita ebraiche. Del resto furono gli stessi ebrei del ducato a pro-porre una soluzione per evitare il ripetersi di episodi come quelli di Rabeni eSonnino. Tra il 1788 e il 1790 le universita israelitiche inoltrarono al sovranouna proposta di regolamento che accantonasse per sempre gli aspetti piuodiosi della pratica conversionistica ed evitasse «l’ingordigia d’alcuni poveridisperati ebrei che, per vivere nell’ozio ed a soverchio carico del pubblico, mi-nacciano di trasferirsi alla Casa de’ catecumeni ed ivi trasportare i figli o i ni-poti».30 Prendendo ispirazione dai regolamenti vigenti in altri Stati, si formu-lavano quattro punti cui attenersi: anzitutto si richiedeva un esame delconvertendo alla presenza dei genitori o dei parenti dello stesso, e la possibi-lita di somministrare cibo ebraico all’ospite fintantoche questi non lo avesseesplicitamente rifiutato. Quando padri, madri o altri avi chiamavano in Cate-cumeno i propri figli e nipoti, bisognava interrogare questi ultimi alla presenzadei massari del ghetto e, se esprimevano la volonta «di vivere nel giudaismo»,dovevano essere immediatamente rilasciati; in caso di «titubanza ed incertez-za» la quarantena doveva essere limitata a dodici giorni, dopo i quali si sareb-be rinnovato l’esame. Si chiedeva poi un restringimento della patria potesta:potevano esercitarla su figli e nipoti non emancipati soltanto i padri e gliavi maschi; erano invece estromesse le madri e altri parenti di sesso femminile.Il terzo punto contemplava l’esclusione dal Catecumeno di ebrei «mentecati epazzi», da restituire immediatamente alle famiglie di provenienza, il divieto dibattezzare bambini «anche legitimamente obblati» se prima non avevano rice-vuto il battesimo i genitori o gli avi offerenti, e l’obbligo di consegnare i fan-ciulli offerti ai congiunti qualora l’offerente desistesse dal proposito di conver-tirsi. Si domandava infine che il neofita entrato in Catecumeno inviasse l’attodi ripudio alla moglie rimasta nel giudaismo secondo l’usanza ebraica. Le fontinon consentono di appurare quale fosse la risposta ducale; tuttavia l’arrivo,pochi anni dopo, delle truppe francesi e una prima breve soppressione delleopere per convertiti avrebbero risolto il problema alla radice. Quanto esposto

29 ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, f. «Opera pia de’ Catecumeni in Modena. Carte che lariguardano».

30 Cfr. ASRE, Universita Israelitica, Archivio Bassani, Cancello XIV AB 68, doc. n. 2. Nello stes-so fascicolo si trovano consulti e pareri riguardanti la richiesta delle comunita di Modena e Reggio.

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mostra come, sul finire del secolo, attorno al tema delle conversioni si stesseragionando da piu parti alla ricerca di una soluzione di compromesso in cuitenere assieme esigenze spesso inconciliabili.

Per cio che si puo intuire dalla documentazione superstite, le conversioniforzate dovettero essere contenute e, nonostante episodi gravi ed eclatanti co-me quelli di Lazzaro Rabeni e delle bambine di Reggio, i pronunciamenti deitribunali secolari e gli istituti di garanzia messi in piedi dai sovrani estensi con-tribuirono a contenere i rovesci peggiori che la prassi conversionistica potevacomportare, favorendo un’applicazione relativamente ristretta delle oblazionidi ebrei alla Chiesa. Le tracce di battesimi in cui la volonta del convertito ven-ne aggirata o forzata sono relativamente scarse e, sebbene non sia sempre fa-cile ricostruire i dettagli delle conversioni mediate dal Catecumeno, si ha lanetta impressione che la strategia di fondo perseguita dall’Opera fosse assaidiversa. A spingere verso il battesimo, come l’esperienza mostrava, erano i bi-sogni della vita terrena piu che quelli della vita eterna ed era su questo terrenoche ci si doveva muovere per guadagnare nuove anime alla religione cristiana.Era un modo piu sottile e piu efficace di procedere, in cui il ricorso alla forza,mai escluso del tutto, restava un’opzione estrema e non prioritaria.

STORIE DI FAMIGLIA: ABRAM TEDESCHI E IL FIGLIO RIBELLE

Il ricorso ai battesimi forzati, come detto, doveva misurarsi con la protezio-ne di cui gli ebrei godevano da secoli nel ducato estense e che di fatto continuoa essere loro accordata per tutto il Settecento.31 Se sottrarre alla tutela dei ge-nitori figli in tenera eta per battezzarli e aggregarli al numero dei cristiani nonera impossibile, era pero necessario usare accorgimenti e cautele che in qualchemodo consentissero di superare gli argini che il governo ducale cercava di por-re alle pretese delle autorita ecclesiastiche. La vicenda di Abram Tedeschi edella sua famiglia e, sotto questo profilo, particolarmente significativa.

Il 30 maggio 1756 il presidente del Catecumeno di Modena don GiacomoVincenzi aveva avvertito il confratello Pellegrino Ceci che si stava disponendol’ingresso di Abram nella Casa.32 Della sua vocazione tutti erano certi, ma po-

31 Ancora nel 1771 il Codice estense promulgato da Francesco III dedicava agli ebrei uno spe-cifico titolo. Pur confermando la normativa tradizionale rivolta a mantenere una separazione tra ebreie cristiani, l’universita israelitica era tutelata da eventuali soprusi di parte cattolica. Cfr. Codice 1771,II, pp. 67-78; lib. III, tit. IX. Si noti che alcune delle sanzioni pecuniarie previste dal Codice estensenel titolo sugli ebrei erano devolute per due terzi alla Casa del catecumeno e per il rimanente allaCamera ducale.

32 La vicenda e le citazioni che seguono sono tratte da Memorie, I, pp. 85-139.

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I CONVERTITI

Fig. 6. Pellegrino Ceci, Memorie dell’Opera dei catecumeni di Modena (1755 ca.).

co prima di varcare le soglie dell’istituto, l’uomo se ne uscı con una richiestache fece vacillare certezze altrimenti solide. L’ebreo aveva cercato di ottenerein prestito «alcuni danari» e aveva «preteso, nel tempo del catechismo e primadel battesimo, poter uscire del Catecumeno per accudire a’ suoi interessi e po-ter usare i suoi cibi ebraici». Quelle richieste andavano contro ogni norma sta-tutaria e l’ispirazione stessa dell’Opera. Eppure Abram, mentre dava adito aseri dubbi sulla genuinita dei suoi propositi, portava con se un’eredita allet-tante: la sua famiglia. Quando don Ceci incontro quel catecumeno dalla voca-zione non piu cosı limpida, gli rivolse parole inequivocabili:

Sentite, se voi volete entrar in Catecumeno la prima cosa che vi dico e questa: chenon voglio far patti; dovete star alle leggi che gia sono prescritte e ubbidire a quantovi si commandera. Si fara in modo che venga la moglie e seco vengano tutti li suoi evostri figli. Ma pensate bene a’ casi vostri. Se voi dopo vi pentiste della vostra risolu-zione e voleste ritornar al vostro ghetto, sappiate che io gia ve lo intimo: i vostri fi-gliuoli, che non sono arrivati all’uso della ragione, voi gia li avreste perduti, chenoi li faremmo cristiani. Vi caglia nello stesso tempo de’ vostri interessi temporali eriflettete che se sotto finto pretesto vi rifuggiate fra noi e ve ne pentiste, perderestetosto e credito e amici e protettori e appoggi in ghetto e fuori di ghetto.

L’avvertimento di Ceci, nella sua logica, era tanto lucido quanto lineare:entrare provvisoriamente in Catecumeno per porre una toppa ad affari con-sumati in ghetto non era utile a nessuno. Se Abram desiderava farsi raggiun-gere dalla famiglia doveva inoltre sapere che i suoi figli, non ancora giunti al-l’eta della ragione, sarebbero rimasti nella Casa sino al battesimo. Guardandoil caso Tedeschi, si direbbe pertanto che per carpire ai genitori bambini e lat-tanti si ricorresse alla chiarezza piu che all’inganno: secondo la versione diparte cristiana, le implicazioni della scelta che il convertendo stava per com-piere erano poste sul tavolo cosı da prevenire i contenziosi che potevano de-rivare da eventuali ripensamenti. A ogni modo, Abram «si mostro risoluto» egli eventi che seguirono quella conversazione provarono che la persuasione ele convenienza potevano piu della forza. In pochi giorni l’abilita psicologica didon Ceci avrebbe fatto capitolare uno dopo l’altro tutti i membri della fami-glia Tedeschi, in un meccanismo in cui la costrizione al battesimo restava sullosfondo, secondo una strategia che si muoveva sul filo del diritto.

Convocati i massari del ghetto, il sacerdote fece condurre in Catecume-no la giovane moglie di Abram, Venturina (i due avevano 58 e 33 anni) e iloro figli: Rosa Rachele, di quindici anni, il dodicenne Giuseppe Isaia, Sarae Sabbatino Emanuele di quattro e due anni. L’incontro tra Abram e Ven-turina produsse subito scintille: quando la donna vide il marito che l’avevacostretta a seguirlo in Catecumeno, manifesto la ferma intenzione di torna-

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I CONVERTITI

re in ghetto con i propri bambini appena conclusa la quarantena obbliga-toria.

Signori – disse Venturina ai presidenti dell’Opera – io qui sono venuta perchedebbo ubbidire i massari, mio marito e lor altri signori [...] Ma faccio questa voltaper sempre le mie proteste: compito che sia il tempo che qui dovro stare, intendodi essere restituita donde sono stata tolta co’ miei figlioli. Per altro si assicurinoche io non faro come so aver fatto altre ebree che si son ritrovate nel caso in cuimi trovo io addesso, cioe strepiti, pazie o atti impropri [...] Procurero tutta la civiltae maggior rispetto che sia possibile, ascoltero quanto mi diranno, ma si ricordino chesono e voglio essere ebrea.33

Ceci, accortosi immediatamente del saldo legame tra madre e figli, ritenneopportuno troncare sul nascere la discussione che si stava avviando, «temen-dosi che se si fosse tirato in lungo un tale colloquio il marito sarebbe restatoallora dalla parte del perdere». Il prete separo dunque i vari famigliari e allog-gio in stanze distinte i diversi componenti: si sarebbe dovuto lavorare indivi-dualmente su ciascuno di loro, modellando lo sforzo conversionistico sugli af-fetti preesistenti.

Prevedibilmente si inizio da Abram. La prima cosa che emerse furono imotivi, solo in parte confessati, che potevano averlo indotto alla conversione:Tedeschi era «carico di debiti» (che assicuro di aver saldato prima dell’ingres-so in Catecumeno) e, se non bastasse, il figlio Giuseppe gli aveva procuratomolti grattacapi. Per arginare le intemperanze del ragazzo, Tedeschi avevapensato di allontanarlo da casa e inviarlo a Finale, dove le cose tuttavia nonerano migliorate. La comunita finalese aveva accusato il giovane di essereun «seduttore», di convincere cioe i coetanei ebrei a farsi cristiani.34 Vere ofalse che fossero le accuse, il comportamento di Giuseppe aveva innescatonel padre una riflessione intorno alle verita della fede cristiana: il tarlo deldubbio si era insinuato nel cuore di Abram e il suo avvicinamento alle veritadel Nuovo Testamento divenne certezza.

33 Memorie, I, pp. 89-90.34 L’accusa, a quanto si intende dal resoconto di Pellegrino Ceci, ebbe origine da alcuni com-

portamenti ‘‘equivoci’’ del ragazzo: «Motivi poi per cui si scateno contro di lui la rabbia di tutto ilghetto furono una volta che esso avea comprato un bue e un asinello di terracotta confermandosi nelpensiere che costui inclinasse a farsi cristiano; altra volta in sua casa videro gli ebrei ivi capitati cheegli giuocolando avea fatto come un altarino con vasi e fiori, come costumono quasi i fanciulli cri-stiani, e altra volta entro nel ghetto con una di quella tamperle che usano i ragazzi nostri pel principiod’aprile e per la settimana santa. O che sussurri o che fracassi! Diceva il giudaismo che quella era unaapostasia manifestissima, mentre quel suono di quella tamperla che fa cri cri cri nomina Cristo» (Me-morie, I, pp. 110-111).

CAPITOLO TERZO

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Fu probabilmente l’astuzia di don Pellegrino a suggerire ad Abram, primadi entrare in Catecumeno, di scrivere alla moglie una lettera che ripercorrevaquei fatti e li portava alle loro naturali conclusioni:

Carissima e amatissima consorte,

sin da quando andai a prendere il figlio Giuseppe al Finale per il supposto di se-

duttore, pensai non poco sopra questa sua sopranaturale inclinazione e mi diedi a stu-

diare sopra li punti controvertenti fra il Testamento Vecchio e Nuovo. E restando

persuaso che quest’ultimo regge fondatamente, mi entro sino d’allora nell’animo di

abbracciare la religione cristiana [...] Ho risoluto di abbandonare la prima religione

per attaccarmi alla seconda come infallibile, per salute mia e dei miei figli che Dio

conservi.Vi esorto adunque a non abbandonare il vostro consorte che vi ama per vostra

salute e venire a convivere seco assicurandovi che sarete ancor trattata meglio di quel-

lo che ho fin qui praticato [...] Fatevi coraggio e venite dolcemente perche in altro

modo mi valero della forza per giovare alla salute della vostr’anima. Rispetto poi al

modo di vivere, vi assicuro che la mia professione mi dara da vivere con maggior ab-

bondanza come toccherete con mano, mentre non mancheranno benefattori onorati

[...] Giosefino poi l’avremo virtuoso merce la buona assistenza de’ bravi maestri, e

sara facile che entri in un collegio per studiar le scienze dove che nella primiera reli-

gione la malvagita di cert’uni obbligo li maestri del ghetto di non prendere il figlio

nelle scuole. E vero che il figlio e pessimo, ma questo schiaffo senza mano mi ha ec-

cessivamente mortificato per l’onoratezza, ma per altro verso poi e stato un lume per

sollecitare la mia, vostra e sua salute.Voi sapete quanti amorosi protettori ho in questa citta, onde riflettete quanta

proporzione dara questa santa mutazione di stato [...] Non piangete, vi prego, perche

non son morto, ed assicuratevi che l’amore fra noi restera indivisibile e fra mentre

spero anche ringiovinire perche non avro piu le importune accuse del figlio, e questo

lo vedremo piegare in buona parte perche piu non vivera in ozio.35

Le righe stese da Abram dipingevano una vita fatta di rancori e delusioni: ilpassato di un figlio disobbediente e privo di istruzione si mischiava al risenti-mento verso i correligionari, e la fede che si apprestava ad abbracciare divenivauna speranza di riscatto. Forse anche per questo, Venturina, cui il marito avevaprospettato il ricorso alla coercizione («venite dolcemente perche in altro mo-do mi valero della forza»), accetto senza strepito la quarantena forzosa in Ca-tecumeno. Come don Pellegrino aveva intuito, il cuore della donna era gia in-vaso dalla previsione di una sorte piu felice. Passati i primi giorni, la posizione

35 La lettera, trascritta in copia in Memorie, I, pp. 94-96, e del 30 maggio 1756.

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I CONVERTITI

di Venturina si ammorbidı. I suoi dubbi dottrinali non erano il problema prin-cipale: Ceci e i catechisti addetti all’istruzione dei convertendi erano abituati asentirsi dire che «li cristiani non fossero adoratori del vero unico Dio, ma genteidolatra che venerasse legni, statue e creature, nulla curando del creatore [e]che altri non avesse salute che il poco numero degli ebrei». Furono resistenzedi altra natura, legate agli affetti, a sollecitare le prolungate cure di don Pelle-grino che, dopo una settimana, decise di incalzare la donna con conversazionidiscrete, intrattenute alla presenza del marito verso sera. Il presidente del Ca-tecumeno dimostro una spiccata capacita di lettura dei segni dell’animo umanoe, conducendo i suoi colloqui, scruto sul volto dell’interlocutrice le avvisagliedel successo: «la scorgeva in tale seria attenzione a’ miei detti – scrisse – cheuna sillaba non che una parola non andava in fallo, ma tutta faceva colpo ebreccia». «Era una tenerezza scorgere dalli cambiamenti frequenti del voltodi questa donna, ora impallidirsi, ora sospirare, ora sembrare che piangesse,ora al vederla affannata e ristretta nel petto, quali fossero li commovimenti in-terni che ella provava». L’estensore delle Memorie, che raccontava quella storiaperche i posteri la potessero conoscere e meditare, stava per sferrare l’attaccofinale, cavando dal cuore di Venturina l’ultima preoccupazione che ancora sifrapponeva al battesimo. La conversione – confesso la donna – avrebbe recatodispiacere ai suoi genitori e, soprattutto, le avrebbe impedito di soccorrerli nel-le loro necessita.

Fu allora che il prete chiuse il cerchio: la fede cristiana – l’unica che po-teva dare la salvezza – «non toglie a’ figli l’amore e il dovere verso li genitoriquantunque di diversa religione, ma piu tosto lo accresce e lo perfeziona» e– rilancio – sarebbe stato proprio l’esempio di Venturina a offrire ai suoi cariun sostegno per la salvezza dell’anima oltre che del corpo. Uno dopo l’altro,nei piani del sacerdote i membri della famiglia Tedeschi avrebbero dovuto ab-bracciare la nuova religione, nonni inclusi.

I prossimi in lista, intanto, erano i figli. Cavalcando la solidarieta con lamadre che i bambini avevano dimostrato al loro ingresso in Catecumeno, Cecichiese a Venturina di spiegare a tutti, tranne che al primogenito Giuseppe, ilmerito della sua scelta. L’intento era chiaro: i colpi di testa del ragazzo dove-vano essere domati in altro modo e se i figli di Venturina cedettero dopo po-co, Giuseppe invece doveva essere convinto per altre vie. «Che vuol dire che ilsignor don Pellegrino Ceci non ha dimandato a me se anch’io voglio farmi cri-stiano?», chiese Giuseppe ai genitori. Abram e Venturina, che avevano rice-vuto istruzioni precise, ribatterono che «conoscendosi le sue cattiverie nonsi voleva e non si curava [di convertirlo] e si pensava di rimmetterlo al suoghetto». Tanto basto per spronare il ragazzo, che in breve comincio a studiareil padre nostro, il credo e i rudimenti della fede cristiana.

CAPITOLO TERZO

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Il 15 e 16 agosto 1756, quando Abram, Venturina e i loro figli diventaronocristiani, i fatti diedero ragione alle astuzie di don Pellegrino.36

STORIE DI POVERTA E STORIE AL FEMMINILE

Le pressioni esercitate sulle coscienze e gli affetti dei catecumeni non era-no le sole cui gli esperti della conversione fecero ricorso. Come si e piu volteaccennato, i vantaggi economici che il battesimo poteva accordare pesarononon poco nelle scelte di quanti abbandonarono il ghetto, e una poverta diffusanon fece che aumentare le fuoriuscite dall’ebraismo. Nel 1775, nel «recinto»della capitale estense su 1221 bocche ben 369 dovevano ricorrere a elemosinesettimanali e per rimediare a quella situazione l’universita israelitica non man-co di approntare l’intervento di apposite confraternite ed enti assistenziali.37

In questo contesto, per le autorita cristiane fu piu facile incentivare il passag-gio alla nuova fede attraverso aiuti e sostegni di vario tipo. A ricordarlo furonogli stessi convertiti che, una volta divenuti cristiani, pretesero di beneficiaredei sussidi prospettati loro durante il periodo di catecumenato.

A Reggio, sul finire del Settecento, furono diversi i casi di neofiti che sirivolsero direttamente al duca per reclamare quanto era stato loro promesso:nel 1787 Elena Cristiana si lamento perche l’Opera aveva ridotto il suo sussi-dio annuo a 8 zecchini,38 e per tre anni, a partire dal 1780, Luigia Vaccari Da-voli chiese al sovrano di farle ottenere il sussidio mensile cui riteneva di averdiritto, riuscendo infine a strappare un contributo da parte del pio luogo.39

Particolarmente significativa e per certi aspetti singolare era stata, negli anniprecedenti, la protesta del neofita Francesco Cesare Cesari che, in un memo-riale al duca, pretendeva dalla Casa reggiana 100 ducatoni «che questo pioluogo de’ cathecumeni sia solito di dare agl’ebrei fatti christiani che hannomoglie».40 Cesari, sessantenne, si definiva «inabile al tutto e quasi sempre in-disposto», gravato dal carico «della di lui moglie e due figliuolini inutili, con

36 Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 15, alla data.37 Traggo i dati da FRANCESCONI 2011, p. 193, che ricorda tra l’altro come la poverta fu alla

base di molte conversioni «volontarie» (cfr. p. 203).38 ASMo, Giurisdizione sovrana, 139, cc. non numm. (f. «1787»).39 Ivi, cc. non numm. (f. «1784»).40 Ivi, cc. non numm. I documenti, non datati, dovrebbero risalire alla fine degli anni Settanta

del XVII secolo. Una lettera riguardante il caso di Cesari del 15 giugno 1679 e conservata in ASMo,Giurisdizione sovrana, 140, c. non num. (f. «Lettere di diversi circa neofiti ed ebrei»). Cesari ricevetteil battesimo il 3 maggio 1677.

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I CONVERTITI

cui non ponno in modo alcuno sostentarsi, essendo il maggiore de lui figliod’anni 6 stropiato e l’altro di quattro anni». L’ebreo lamentava soprattuttola disparita di trattamento rispetto a un’altra famiglia di convertiti, quella diSigismondo Lanzi, che a suo dire aveva maggiori mezzi per sostentarsi («dettoSigismondo giovine [...] lavora e guadagna, come altresı fa tutti i lui figli») ericeveva in proporzione molto di piu.

Gelosie legate ai sussidi erogati serpeggiarono tra i nuovi cristiani anche aModena. Nel 1760 si verifico «una specie di ammutinamento» organizzato daalcuni neofiti esclusi dalla distribuzione di elemosine straordinarie.41 I presi-denti del Catecumeno erano accusati di fare «limosina ad alcuni pochi e adaltri no» e la presunta parzialita degli amministratori aveva convinto piu diun convertito a indirizzare al duca un memoriale che ponesse fine a quell’ini-qua distinzione. Tra i pochi beneficiari vi erano coloro che per vecchiaia o in-fermita non erano in grado di «procacciarsi il vivere» e che, secondo don Pel-legrino Ceci, era necessario aiutare per carita e giustizia. Non tutti i presidentisi mostrarono pero d’accordo con quella soluzione e dietro la protesta agironoprobabilmente i dispareri e le divisioni del collegio di governo.42

Al di la di questi episodi, molte erano le attestazioni del vincolo che tenevaassieme scelte di coscienza e necessita materiali. Una tradizione in particolare,la cosiddetta «limosina del pane», rimarcava in modo evidente il legame tranuova fede e antichi problemi: istituita ai tempi di Rinaldo I (1695-1737), l’e-lemosina prevedeva la distribuzione di pane ogni sabato «alli neofiti, alle ve-dove de’ servidori di corte e ad altre povere vedove». Alla meta del Settecen-to, secondo la testimonianza delle Memorie, del pane non rimaneva che ilnome e al suo posto era erogato un sussidio di 25 bolognini destinato ai nuovicristiani di cui si erano accertate condizioni di indigenza e bisogno. Sui 52neofiti assistiti dall’Opera intorno al 1755, circa il 50% – scrive don Ceci –partecipava alla «limosina del pane».43 Dunque, se la conversione si ottenevaoffrendo prospettive di riscatto sociale, si deve concludere che almeno nella

41 L’episodio e le citazioni che seguono sono tratte da Memorie, II, pp. 58-61.42 Lo suggerirebbe un passaggio delle Memorie redatte da don Ceci: «Dio buono! Perche [...]

debbesi abbandonare chi di presente e in necessita? Io non so capire come questi riflessi non sienocommuni a tutti li presidenti e guai alli poveri neofiti presenti se non avessero favorevoli molti de’medesimi» (Memorie, II, pp. 60-61).

43 Memorie, I, pp. 66-69. «Donde e da chi abbia avuto origine questa limosina – scrive Ceci –non lo so. Il signor Giuseppe Moreni ricercato da me di tal cosa rispose che presso la compotesteriaducale non se ne ha memoria, ma che e annoverata fra li legati pii della Corte, onde si deduce che siaun obbligo lasciato per legato da qualche principe o principessa di Casa d’Este» (Memorie, I, p. 68).FRANCESCONI 2011, p. 202 fissa la fondazione dell’elemosina del pane al 1706 (rinviando a GRANA

1991).

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meta dei casi il miglioramento tanto atteso non arrivasse. A confermarlo sono ibilanci di un altro lascito, il legato Pio, istituito dall’omonimo marchese nel1747: i suoi frutti, ammontanti a 1000 lire annue, dovevano essere ripartititra i neofiti poveri abitanti a Modena in occasione del Natale, e nel 1755 agoderne furono in 35 su una cinquantina di potenziali beneficiari.44

La poverta restava un male duro da debellare e non sempre le acque delbattesimo riuscivano a lavare gli spettri della fame e dell’indigenza. In questosenso ad avere miglior sorte parevano essere le donne che riuscivano a con-trarre matrimonio con un cristiano o a entrare in monastero. Garantite inqualche misura dai fondi del legato Barberini, le convertite – almeno a Mode-na – potevano contare su un inserimento piu significativo nella nuova societa,scampando alla miseria.

A questa conclusione conduce, ad esempio, il caso di Elisabetta AvenzaBolognini e della sua famiglia.45 Elisabetta (olim Ventura Padovani) era statabattezzata e cresimata insieme alla madre Giuditta Urbini il 13 novembre1755.46 Quest’ultima era rimasta precocemente vedova, e all’eta di quaran-tasei anni dovette preferire una nuova religione alle condizioni precarie incui versava. Per sostentare la figlioletta quindicenne non le sembro sbagliatoentrare in Catecumeno e i vari lasciti di cui pote beneficiare le dettero ragio-ne. Madre e figlia – ricorda il solito Pellegrino Ceci – «vivevano unite assie-me e si mantenevano col frutto della dote della madre di £ 5000 in censi, colsussidio mensale per tutte due della limosina del pane, cogli altri sussidi an-nuali della Opera pia [del catecumeno] e dell’Opera Venosa e particolar-mente col sussidio per la figlia nubile del legato Barberini [...] e finalmentecon quel tanto che si andavano guadagnando col loro lavoro che consistevanel far batterie di seta, oro e argento». Come testimonia l’elenco di don Ceci,i mezzi a disposizione delle neofite erano numerosi e, di fatto, erano conce-piti per accompagnare le giovani dal nubilato a una condizione piu stabile,convento o matrimonio che fosse. A sperimentarlo erano state anche tre ziematerne di Elisabetta che da oltre trent’anni erano diventate cristiane e, spo-satesi, si erano stabilite tra Mantova e Milano dove vivevano «in istato como-do». Dopo la morte della madre, Elisabetta tento di entrare in monastero,ma, nonostante un avvio promettente, finı per cedere agli inviti delle zie ab-bandonando il convento cittadino di Santa Chiara e trasferendosi a Manto-

44 Cfr. Memorie, I, p. 70. Carte e recapiti amministrativi del legato Pio sono conservati in ACAMo,OPC.

45 Per la sua vicenda, qui compendiata, cfr. Memorie, II, pp. 26-28, 48. Di qui sono tratte, salvodiversa indicazione, le citazioni che seguono.

46 ACAMo, OPC, Registri, 15, alla data.

— 91 —

I CONVERTITI

va. Passato qualche anno, si sposo con «un certo signor Gaetano Sindonatesoriere [...], persona assai civile e di garbo», completando felicemente ilproprio inserimento nella societa cristiana.

Non sempre pero la conversione nacque da prospettive di avanzamentoeconomico e sociale. Vi furono ebrei, come Abigail Molco, che si mostraronodisposti a rinunciare ai vantaggi garantiti dalla comunita di provenienza.47 Na-ta a Venezia nel 1754, Abigail era figlia di Nathan Molco, originario di Ales-sandria d’Egitto, e Regina Mendez, morta durante il parto. Perduta la moglie,Nathan si era risposato con la modenese Grazia Levi Orsi da cui aveva avutodue figli, Israel e Samuel. Dopo qualche anno Molco, impegnato in traffici ecommerci via mare, morı travolto dai debiti per un carico naufragato. I suoitre figli vennero cosı ospitati a Modena, in casa del fratello di Grazia, LeoneMose Levi Orsi, dove Abigail pote ricevere un’educazione di «rango distinto»grazie alle ricchezze dello zio. Mentre poi nello spirito della giovane si facevanolargo la fede cristiana e, verosimilmente, un certo desiderio di emancipazionedalla famiglia, in casa di Leone Orsi entravano artigiani e maestranze per edi-ficare una nuova sinagoga. Fu da quelle fila che uscı «il gran mezzo» con cuiAbigail sarebbe scappata dal ghetto: il falegname Guerra prese infatti a cuore ildesiderio della giovinetta e, attivando una lunga catena di mediatori, riuscı aorganizzare la fuga. Un venerdı sera, l’11 ottobre 1771, durante la funzionedella comunita, Guerra si nascose nelle cantine di casa Orsi attendendovi Abi-gail. Dopo una serie rocambolesca di colpi di scena e contrattempi (Guerravenne chiuso per errore nello scantinato, Abigail rischio di essere scopertada tre correligionari, e cosı via), Guerra riuscı a travestire Abigail con tabarro ecappello, conducendola fuori dal ghetto. Inseguiti da alcuni ebrei che si eranoaccorti della fuga, i due riuscirono ugualmente a dileguarsi e per Abigail si aprıl’itinerario della conversione. Superato l’esame del ministro ducale richiesto daLeone Orsi e amministrato il battesimo,48 si tratto di sistemare la giovane – oraBenedetta Maria Ernestina Cavallerini – all’interno della societa in cui era en-trata con il sacramento. Trascorso un breve periodo come educanda presso ilconvento modenese del Corpus Domini, Abigail accerto di non sentirsi «inte-riormente chiamata allo stato religioso» e si avvio al matrimonio.

A differenza di altri casi, con la conversione l’ebrea aveva rinunciato a unfuturo di agi all’interno della comunita di origine: «Ella – scrisse con enfasi

47 Cfr. Memorie, II, pp. 122-129, 131-144, 163-165. Copie dell’esame svolto su Abigail dal mi-nistro estense deputato ai catecumeni sono conservate in ACEMo, Archivio Antico, Recapiti, 2,54,«filza N - nº 72»; ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I2/a; ASMo, Giurisdizione sovrana, 139,cc. non numm. (con diversi fascicoli riguardanti il caso Molco).

48 Il battesimo fu celebrato il 15 dicembre 1771. Cfr. anche ACAMo, OPC, Registri, 15, alla data.

CAPITOLO TERZO

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don Pellegrino Ceci – era destinata a restar un giorno padrona della casa Osigli,sposando un suo fratello dalla parte del padre, ma figlio di altra madre, cioefiglio della sorella del signor Leone Usigli, casa nel ghetto delle principali e ric-chissima». Quando si tratto di maritare Abigail, i presidenti del Catecumenodovettero tenere conto del rango a cui la giovane sarebbe stata destinata senon avesse rinnegato l’antica fede. Nonostante essa protestasse di disprezzarei beni terreni («Amo meglio di essere una povera cristiana che una ricca ebrea»,aveva detto), non la si poteva accasare con uomini di bassa estrazione. Si scartocosı un «giovane bracciere [...] molto morigerato, ma povero assai», membrodi «una famiglia di niun nome», preferendogli un certo Carlo Pacchioni «diuna famiglia che ha alcune terre del suo, che si industria con alcune mercanziedi acquavite». Le garanzie che Pacchioni offriva convinsero gli amministratoridell’Opera a procedere e, durante l’officiatura degli sponsali da parte del vesco-vo, si inizio a raccogliere la dote che avrebbe concluso l’affare.49 Gli accordi tral’Opera e Pacchioni prevedevano che gli sposi avrebbero abitato a Modena,dove Pacchioni si sarebbe attivato per trovare un «impiego proprio».

La conversione con cui Abigail si era esposta al rischio di perdere ricchez-ze e privilegi era stata cosı ricompensata. Con il suo passato fatto di lutti e spo-stamenti, la ragazza preferı essere povera e cristiana piuttosto che ricca edebrea: un’apologia della conversione che sembrava gia scritta.

IL PESO DELLE CONVERSIONI

Resta ora da valutare se e in che misura l’azione delle Opere per catecu-meni incise concretamente sulle due principali comunita ebraiche del ducatonel corso dell’eta moderna, prima cioe che le soppressioni del Triennio giaco-bino e la cesura segnata dall’avventura napoleonica cambiassero decisamenteil quadro di riferimento. In linea generale, le Case estensi fecero registrare lostesso fallimento verificatosi in altre zone d’Italia.50

A Modena dal 1700 al 1796 si contano 148 conversioni, una media di 1,54battezzati all’anno. Rispetto al secolo precedente – dove, tra il 1629 e il 1699, i

49 La dote risulto di 12000 lire: 5000 furono versate dalla principessa Benedetta d’Este, protet-trice di Abigail, 2000 giunsero dall’Opera Barberini, 1771 vennero dalle offerte erogate dal lascitoCalori all’indomani del battesimo e le restanti 3229 corrispondevano al valore presunto dei gioiellie beni mobili della giovane.

50 Gia Attilio Milano parlava di «cifre notevolmente modeste» in riferimento alle conversionipromosse dalle Case. Cfr. MILANO 1963, p. 593. Le indagini quantitative svolte da allora su vari con-testi geografici continuano a confermarlo. Si veda in sintesi FOA 1999, pp. 48-50.

— 93 —

I CONVERTITI

battesimi erano stati 139 (in media 1,98 all’anno) – si assiste a una diminuzio-

ne, con una flessione del 22% circa.51 Se poi si osserva la distribuzione delle

conversioni lungo i decenni, e facile notare la loro irregolarita: dopo tre bat-

tesimi nel 1700, dal 1701 al 1710 se ne registrano trentacinque, nel decennio

seguente otto, e in quelli successivi dodici (1721-1730), sette (1731-1740),

venti (1741-1750), ventuno (1751-1760), dieci (1761-1770), altri dieci

(1771-1780), quindici (1781-1790) e sette (1791-1796). Sulla base di questi

numeri si puo ipotizzare che, dopo l’exploit legato alla fase fondativa dell’O-

pera – una fase in cui era necessario giustificare e legittimare l’istituzione del

Catecumeno –, ci si fosse avviati a un’attivita di fatto saltuaria, ‘‘ravvivata’’ dal

risveglio antigiudaico che caratterizzo il pontificato di Benedetto XIV.52 La

corrispondenza tra il lungo governo di Prospero Lambertini (1740-1758) e

la ripresa delle conversioni e infatti, nel caso modenese, quasi perfetta: 42 bat-

tesimi negli anni del papa ‘‘illuminato’’ contro la ventina del trentennio pre-

cedente. Vi e inoltre da notare come le stagioni di maggiore operato del Ca-

tecumeno coincidano almeno in parte con i periodi di attivita di due figure

51 L’analisi dei battesimi dal 1629 al 1796 si basa su ACAMo, OPC, Registri, 15, pp. 1-59 esuccessive pp. non numm.

52 Mi limito sinteticamente a rinviare alle considerazioni di ROSA 1989, poi riprese e ampliate inROSA 1997.

Grafico 1. Battesimi (Modena, 1700-1796).

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CAPITOLO TERZO

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chiave dell’Opera modenese – don Luca Ugoletti e don Pellegrino Ceci –53 ecome, accanto a molte annate prive di battesimi, gli isolati picchi di conversionicorrispondano pressoche sempre a battesimi di nuclei familiari o parentali.54

Esaminando i dati appena esposti in un’ottica di genere e ponendo atten-zione all’eta in cui ci si accostava al battesimo, e possibile ricavare altri ele-menti su cui vale la pena soffermarsi.

Per Modena le stime desumibili dal registro dei battezzati consentono unavalutazione di lungo periodo.55

Tab. 1. Battezzati (Modena, 1629-1796).

Decennio M F M+F Eta media M Eta media F

1629-1640 20 15 351641-1650 10 4 141651-1660 3 6 9 12 + 15,3+

1661-1670 5 4 9 12 +

1671-1680 11 6 17 4,5 + 28 +

1681-1690 11 11 22 13,9 17,71691-1700 19 17 36 17,3 20,61701-1710 25 10 35 23,4 19,31711-1720 7 1 8 24,4 131721-1730 4 8 12 24,7 21,51731-1740 3 4 7 20+ 26,51741-1750 17 3 20 26,8 17,31751-1760 12 9 21 29,3 28,21761-1770 10 – 10 27,6 –1771-1780 3 7 10 23,3 27,31781-1790 9 6 15 32,1 18,21791-1796 6 1 7 30 2

Totale 175 112 287Eta media* 24,1 21,3

+ Media non attendibile per carenza di dati.* L’eta media e calcolata sul periodo 1681-1796, escludendo i dati non attendibili contrassegnati

con +.

53 Come visto, Ugoletti accompagno la fase fondativa, mentre Ceci opero dalla meta degli anniCinquanta del Settecento.

54 Tra il 1708 e il 1710 si convertirono i membri della famiglia Lustro-Formiggini (poi Sado-leto), i Ganaceti e i coniugi Ferraresi-Sacerdoti, preceduti nel 1707 dalla figlioletta di sei mesi; nel1727 fu la volta di Anna Teresa Bolognini e delle sue tre figlie, dei coniugi Levi (poi Carrara) nel1748, mentre nel 1750 tocco a Francesco Sassoli con i tre figli. La situazione e simile per gli anniseguenti.

55 I dati sono tratti, come in precedenza, da ACAMo, OPC, Registri, 15.

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I CONVERTITI

I convertiti maschi incidevano per circa il 60% del totale mentre l’eta me-dia in cui si riceveva il battesimo (almeno per gli anni dai quali tale informa-zione e documentabile) e relativamente bassa: 24,1 anni per gli uomini e 21,3per le donne. Nel corso dei decenni si evidenzia tuttavia una tendenza all’in-nalzamento dell’eta media di conversione che passa, per gli uomini, dai 13,9anni del 1681-90 ai 29,3 del 1751-60 e, per le donne, da 17,7 a 28,2 anni. Nel1753 si ha addirittura il caso di Maria Fortunata Rivalta battezzata ottantennedal vescovo di Modena Giuliano Sabbatini che l’anno dopo autorizzera il bat-tesimo di Giuseppe, marito di Maria Fortunata, di vent’anni piu giovane. Nel1759 e la volta del settantenne Giovanni Andrea Renati e dal 1768 un nutritogruppo di catecumeni tra i 35 e i 40 anni anima le cerimonie dell’Opera. Sulfinire del secolo si assiste inoltre a un’apparente divaricazione e se gli uominisembrano convertirsi in eta sempre piu avanzata, per le donne si registra unalenta flessione in direzione opposta.

Per cogliere fino a che punto i dati modenesi si distinguano o meno dagliandamenti registrabili in altre Case e pero necessario allargare lo sguardo. Lacarenza di indagini sistematiche a riguardo non agevola il compito, sebbenequalcosa si possa ugualmente ricavare. Confrontando la situazione di Modenacon quella del Catecumeno romano nel periodo 1676-1730,56 si puo ad esem-pio osservare come la distribuzione fra i sessi a Roma fosse meno equilibrata:il 33% dei convertiti e di sesso femminile e il restante 67% maschile. Per quelche riguarda il momento del battesimo, il quadro e invece sostanzialmentecompatibile: il 59% dei convertiti romani ha un’eta compresa tra gli 11 e i30 anni, il 18% e costituito da bambini al di sotto dei 10 anni e solo un re-stante 23% ha piu di 31 anni. In linea risultano poi le stime relative a un’altraimportante Casa, quella veneziana, che, pur distribuite su un arco cronologicomolto ampio (fine sec. XVI-1789), evidenziano una concentrazione prevalentedei catecumeni nella fascia di eta 14-30 anni.57 Per quanto concerne il pro-gressivo innalzamento dell’eta media delle conversioni, il caso modenese simostra ancora una volta in sintonia con quello romano: nel passaggio dal pe-riodo 1614-1676 al periodo 1676-1730, nell’Urbe si rileva infatti una diminu-zione dei battesimi prima dei dieci anni e un incremento dei convertiti ultra-quarentenni, che salgono dal 5 al 12% del totale.

56 Cfr. RUDT DE COLLENBERG 1986-1988, II parte, p. 109 (da cfr. con I parte, p. 99). I dati ro-mani e quelli modenesi sono solo parzialmente confrontabili, data la diversita delle fonti e delle mi-surazioni effettuate.

57 IOLY ZORATTINI 2008, pp. 128-132.

CAPITOLO TERZO

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Se questa e l’analisi che deriva dalla documentazione modenese, piu com-plicata e la definizione di un quadro per Reggio, dove non e stato possibilereperire il registro dei battesimi amministrati dalla locale Opera dei catecume-ni, che pure dovette esistere come prescritto dagli statuti.

L’unica riflessione che si puo tentare riguarda le cerimonie di conversionesvolte nella cattedrale, dove di norma si celebravano i battesimi patrocinatidal Catecumeno. Sulla base delle schedature attualmente disponibili,58 sipuo abbozzare una valutazione relativa al periodo tra il 1637 e il 1793 (conlacune tra il 1699 e il 1713). Trasponiamo i dati ricavabili in due grafici,uno per secolo.

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Grafico 2. Battesimi (Reggio, 1637-1699).

58 Traggo i dati da SPAGGIARI 2013. Si tratta di un inventario dattiloscritto che censisce a fini pro-sopografici i battesimi di ebrei reperibili nei fondi della cattedrale di Reggio. Se la schedatura costitui-sce un buon punto di partenza e offre dati significativi, non e tuttavia ne esauriente ne completamenteattendibile. Per qualche ragione in essa si trovano infatti casi – ancorche limitati – di catecumeni checertamente non ricevettero il battesimo, mentre non sono registrati battesimi tra il 1699 e il 1713probabilmente per la lacunosita delle fonti esaminate. Queste constatazioni inducono dunque a uti-lizzare con prudenza lo strumento in esame, da cui e ugualmente possibile ricavare linee di tendenzautili.

8— 97 —

I CONVERTITI

Ricordando che, in assenza di una documentazione specifica, i dati quiesposti vanno considerati con prudenza e per il loro valore tendenziale, si pos-sono estendere al Catecumeno reggiano alcune delle osservazioni avanzate inprecedenza. Anche in questo caso i battesimi furono relativamente pochi. I163 convertiti del periodo considerato – 65 nel Seicento e 98 nel secolo se-guente – fanno segnare una media di poco superiore a un battesimo all’an-no,59 con un leggerissimo incremento settecentesco (si passa da 1,05 a1,22 battesimi annui). Come per Modena, i picchi registrabili, ben evidenziatidai grafici, sono da ricondurre quasi esclusivamente a conversioni di nucleifamiliari.60

Analizzando poi la ripartizione tra i sessi, le conversioni maschili rappre-sentano il 60-65%, mentre quelle femminili costituiscono il restante 35-40%,secondo proporzioni assimilabili a quelle modenesi. Ne mancano riscontrianaloghi per quanto concerne l’eta dei battezzati: mediamente, tra il 1713 eil 1793, un convertito – senza distinguere tra maschi e femmine – riceveva

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Grafico 3. Battesimi (Reggio, 1713-1793).

59 1,04 battesimi all’anno. Se si escludono dal computo gli anni tra il 1700 e il 1713 non con-templati in SPAGGIARI 2013 la media si innalza a 1,13 convertiti all’anno.

60 Dei 7 battezzati del 1651 almeno 3 vengono dalla famiglia Fortunati; nel 1673 si convertironoi 6 membri della famiglia Lanzi, nel 1677 altri 6 della famiglia Cesari, nel 1696 fu la volta della fami-glia Advocati; la stessa situazione si riscontra per le concentrazioni di battesimi del Settecento.

CAPITOLO TERZO

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il battesimo a 23,1 anni, cioe nella stessa fascia di eta calcolata per la capitaleestense.61 Si puo dunque concludere che le Case del ducato seguissero linee disviluppo tra loro assimilabili, non difformi da quanto osservato in altre realtageografiche.

Puo essere infine interessante valutare quanto la presenza dei convertitiincidesse sul complesso della popolazione ebraica di Modena e Reggio. Le vi-cende demografiche della comunita modenese portarono il numero degliebrei presenti in citta da circa 700 unita all’epoca dell’istituzione del ghetto(1638) a 1262 nel 1756.62 A fronte di questo incremento della popolazione,le conversioni avrebbero pesato in misura decrescente con il trascorrere deltempo, passando dal 3% annuo misurabile nel corso del Seicento a una per-centuale di poco superiore all’1% nel Settecento. Ancora inferiori le stime perReggio. Se si considera che la popolazione del ghetto nel 1669 contava 162famiglie, pari a 885 persone,63 l’incidenza dei battesimi puo essere stimata ap-pena al di sopra dell’1% per il Seicento, con un andamento decrescente nelsecolo successivo quando la popolazione ebraica conobbe un ulteriore incre-mento.

Per capire pero come, nel medio periodo, la presenza di convertiti potesseessere percepita e necessario estendere la valutazione dai battezzati per annoai catecumeni e neofiti mediamente presenti in uno stesso momento. In questaprospettiva la percentuale sale in modo rilevante. Nei primi anni Settanta delSeicento, ad esempio, la Casa reggiana ospitava una decina di convertiti, cor-rispondenti piu o meno all’1% degli ebrei, convertiti e non, di Reggio, e con-siderando la presenza di ulteriori sussidiati al di fuori della struttura la percen-tuale va ritoccata al rialzo. A Modena i neofiti assistiti dal Catecumeno nel1755 erano, secondo la testimonianza di don Pellegrino Ceci, una cinquantina

61 Fino al 1700 e possibile censire due soli ultracinquantenni (di 55 e 54 anni) e tre quarantenni (perla precisione tre convertiti di 39, 40 e 42 anni). Dopo quella data, e in modo crescente con il procedere deltempo, la situazione si mostra piu mossa: nel 1724 e nel 1733 troviamo due convertiti di 49 anni, nel 1736un quarantunenne e un quarantaduenne, nel 1769 un battezzato di 64 anni, nel 1772 un sessantenne, nel1774 un cinquantacinquenne, tra il 1782 e il 1789 tre convertiti di 48, 44 e 40 anni, e nell’88 persino unsettantacinquenne. Per il resto i convertiti sono quasi sempre bambini o giovani tra i 14 e i 25 anni.

62 Desumo i dati da ARIETI 1999, in part. p. 96 (che rielabora la ricostruzione di BALLETTI 1930,p. 174). FRANCESCONI 2007 parla di circa 750 ebrei presenti a Modena nel 1638. Il numero degliebrei esistenti in quel periodo e ricavabile anche dalla supplica con cui la comunita si oppose all’e-dificazione del ghetto. In essa si parla di «settecento e piu persone» che non avrebbero trovato uncongruo alloggio negli spazi progettati (cfr. ASMo, Archivio per materie, Ebrei, 14, f. 4, cc. 42-45). Edunque da ritoccare al rialzo la stima di 500 unita proposta da Arieti. Le carte conservate nell’Archi-vio per materie ricordano inoltre che, al momento dell’erezione del ghetto, 256 ebrei abitavano fuoridal recinto, mentre 336 cristiani vi si trovavano dentro (cc. 66-69).

63 Cfr. BALLETTI 1930, p. 178.

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I CONVERTITI

(in linea con i dati del secolo precedente), un numero cioe pari al 4% degliebrei modenesi.

Le stime qui proposte non si distanziano troppo da quanto e stato calco-lato per la Casa romana, madre e modello degli istituti di conversione, dallecui mura usciva ogni anno un numero di neofiti in grado di portare il rapportotra nuovi cristiani ed ebrei tra il 3 e il 5% per ogni generazione.64

Nella modestia delle percentuali appena ricordate, la ‘‘comunita dei con-vertiti’’ rappresentava una presenza comunque visibile per la minoranza ebrai-ca dello Stato estense e, al di la dei numeri, quanto contava era il valore ditestimonianza e di monito che essa assumeva. Molti o pochi che fossero, i neo-fiti avevano il compito di ricordare a nuovi e antichi correligionari la superio-rita della fede cristiana e la necessaria subalternita degli ebrei alla maggioranzache li circondava.

64 Cfr. FOA 1999, p. 49.

CAPITOLO TERZO

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CAPITOLO QUARTO

RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONI

L’eta moderna si era chiusa, per le Case estensi, con un bilancio relativamente magro: leconversioni che le Opere di Modena e Reggio avevano promosso non erano state molte e,in termini relativi, avevano inciso in modo trascurabile sulla consistenza e sulla vita delleuniversita israelitiche. Come si e visto, a spingere alcuni ebrei verso il battesimo eranostate spesso le condizioni di indigenza e disagio in cui versavano e, in generale, la speran-za di un avvenire piu confortevole. In questo senso, le conversioni al cristianesimo furonoperlopiu spontanee. Dal canto loro, le autorita cattoliche – poco propense a investire in-genti risorse a vantaggio di catecumeni e neofiti – fecero di tutto per massimizzare i ri-sultati che potevano derivare da una politica assistenziale e religiosa al contempo. Neipiani, la conversione di un ebreo si sarebbe infatti dovuta estendere all’intero nucleo fa-miliare e allo scopo vennero elaborate precise strategie persuasive. Pur mantenendo co-stantemente sullo sfondo il possibile uso della forza, raramente vi si fece ricorso, verosi-milmente per evitare frizioni con le magistrature ducali. A consigliare prudenza era lastorica protezione accordata dagli Estensi agli ebrei che, se non riuscı sempre a evitarebattesimi forzati e prevaricazioni, ebbe pero l’effetto di incentivare l’adozione di una lineafondata sul convincimento (motivato o meno da ragioni spirituali).L’esperienza rivoluzionaria e napoleonica rappresento, come noto, un momento di cesuranetta nei rapporti tra Chiesa e Stato e dunque anche nelle relazioni tra ebrei e istituzionipolitico-religiose. Le vicende delle Case per catecumeni, soppresse dalle municipalita re-pubblicane filofrancesi giunte al governo negli ex ducati dopo la cacciata degli Este, nefurono una significativa testimonianza. Tuttavia, lo smantellamento – soltanto tempo-raneo – delle Opere non significo il tramonto delle conversioni: con un ritmo e un’inci-denza sul complesso delle comunita ebraiche di Modena e Reggio che non sembra mar-care evidenti discontinuita tra nuovo e antico regime, il flusso dei battesimi riprese sindai primi anni dell’Ottocento. Se nelle ragioni di fondo che spinsero alcuni ebrei a lasciarela comunita di origine non paiono affiorare elementi di novita rispetto al recente passato,furono le autorita civili, centrali e periferiche (il ministero per il Culto della RepubblicaItaliana e poi del Regno d’Italia, i prefetti, i delegati di polizia) a rappresentare, con la loroocchiuta presenza, l’elemento nuovo di questa stagione. Come vedremo, dopo la reistitu-zione delle Case al termine del Triennio giacobino, tali figure non solo fornirono agli aspi-ranti neofiti tutele e garanzie per un regolare svolgimento del catecumenato, erodendo tra-dizionali e consolidati spazi del potere ecclesiastico, ma introdussero ulteriori forme dicontrollo: moralita, «costumanza» e buona condotta (politica) fecero cosı il loro ingressonel lessico e nelle procedure che conducevano al battesimo.

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Con il ritorno degli Este, nell’estate del 1814, la vita dei due istituti continuo seguendoancora una volta il binario latamente assistenziale che ne costituiva da sempre il fondamen-to. A Modena, il varo di un nuovo statuto nel 1816, mentre da un lato riaffermava la sto-rica apertura dell’ente ai soli ebrei cittadini – vocazione localistica mantenuta anche dal-l’Opera reggiana –, dall’altro introduceva ufficialmente alcune garanzie quali l’esamedel catecumeno, da svolgersi alla presenza dei familiari, del rabbino e di un funzionariodelegato dal duca. Il modesto impegno finanziario – per non dire il vero e proprio disim-pegno – con cui le autorita religiose avrebbero sostenuto nei decenni successivi le sortidelle due Case (sia a Modena che a Reggio a lungo non vi sara neppure una vera e propriacasa) non impedirono pero il ripetersi di battesimi forzati.

RIVOLUZIONE E CONVERSIONI

Liberta UguaglianzaCittadini [...], pensando e riflettendo che avevo fatto male ad abbandonare la mia

religione e non persuaso dalla cristiana, cominciai a vivere a mio modo [...] Ora vivocon gli ebrei quando mi piace, vado alle scuole e alle sinagoghe quando mi piace e vivoa modo mio, approfittandomi di quel diritto che viene concesso dalla Costituzione.

Utilizzando il classico incipit rivoluzionario di «Liberta e Uguaglianza», ilventunenne Giovanni Battista Salvatori, olim Lazzaro Sanguinetti, nell’estatedel 1801 chiedeva alla Municipalita e alla Delegazione di polizia di Modenail permesso di risiedere nel territorio cittadino. Lazzaro, ebreo di Scandiano,si era convertito nel 1796 presso la Casa dei catecumeni di Reggio Emilia al-l’eta di sedici anni, «abbagliato – scriveva – dalla speranza avuta di miglioraredi molto le fortune temporali». Ma approfittando con piena consapevolezzadei tempi nuovi aperti dall’esperienza rivoluzionaria non aveva timore a rac-contare alle autorita di essere tornato al giudaismo o, meglio ancora, di vivereormai la propria religiosita lontano da ogni recinto precostituito. Un brevepasso indietro aiutera a comprendere quali circostanze consentirono a Lazza-ro Sanguinetti di esprimersi con una tale, almeno apparente, liberta.1

La fuga del duca Ercole III nel maggio del 1796, l’arrivo delle truppe fran-cesi e le insurrezioni di Reggio Emilia e Modena con la proclamazione della Re-pubblica Cispadana durante il Congresso reggiano del dicembre 17962 costitui-

1 ACAMo, OPC, Famiglie, Sabbadini-Vigevani. Lazzaro era stato battezzato nel duomo di Reg-gio Emilia il 15 settembre 1796. La sua richiesta di risiedere a Modena venne inviata per conoscenzadalla Municipalita al vescovo, che la trasmise a sua volta all’Opera del catecumeno. Il fascicolo noncontiene ulteriore documentazione.

2 Il 26 agosto 1796 era insorta Reggio, proclamando l’autonoma Repubblica Reggiana e, tregiorni dopo, si era sollevata anche la capitale del ducato. La Repubblica Cispadana nasceva quindi

CAPITOLO QUARTO

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rono per gli ebrei estensi eventi portatori di positive e potenzialmente dirom-penti novita, anche se grande cautela e circospezione sembro inizialmente emer-gere tra i membri della minoranza, tanto negli ex ducati quanto altrove.3 La po-polazione ebraica dei Dipartimenti del Panaro e del Crostolo – questi i nomiassunti dalle due circoscrizioni politico-territoriali in cui furono riorganizzati idomini estensi – ammontava a circa 2800 unita, di cui 1300 residenti a Modena(pari al 6% della popolazione cittadina), 800 a Reggio Emilia (il 7% degli abi-tanti entro le mura) e la restante manciata sparsa tra le piu piccole comunita diCarpi, Mirandola, Finale, Correggio, Novellara, Scandiano, Reggiolo, Luzzara,Guastalla, Brescello e Castelnovo ne’ Monti.4 Non senza diffidenze e timori daparte degli stessi ebrei, i portoni dei ghetti furono abbattuti: a Reggio Emilia,per ordine del generale francese Rusca, gia il 18 ottobre 1796; solo diversi mesidopo, il 14 luglio del 1797, a opera del generale Chabot nell’ex capitale.5

Con l’insediamento dei governi municipali repubblicani anche le dinami-che conversionistiche andarono incontro a radicali mutamenti, a cominciaredall’atto certamente piu eclatante: la chiusura delle due Case dei catecumeni.Sebbene antiche mentalita e prassi nei confronti del gruppo ebraico – come siprecisera – caratterizzassero anche a Modena e Reggio gli avvenimenti delTriennio,6 la chiusura dell’Opera del catecumeno rappresento senza dubbio

dalla trasformazione della Confederazione Cispadana che, dall’ottobre 1796, riuniva le citta di Mo-dena e Reggio con Bologna e Ferrara emancipatesi dall’autorita pontificia.

3 Circa il cauto atteggiamento assunto dalla comunita ebraica mantovana all’arrivo dei francesi,cfr. BERNARDINI 1996, p. 225.

4 Cfr. DELLA PERGOLA 1993, p. 71.5 Sia in relazione all’apertura dei portoni del ghetto sia in rapporto alla questione, ugualmente

complessa, dell’inserimento degli ebrei nella guardia civica, e possibile ravvisare un atteggiamentonon esente da pulsioni contrastanti e contraddittorie nel modo in cui la minoranza ebraica degliex ducati affronto inizialmente l’arrivo delle liberta politiche e civili. Tanto a Modena che a Reggiole comunita preferirono ottenere l’esonero dalla guardia civica dietro pagamento di un tributo. Cfr.ARTOM 1950; BALLETTI 1930, pp. 231-235; PADOA 1986, pp. 16-20 e ASRE, Universita Israelitica,Archivio nuovo, b. 3, f. 4. Resistenze e cautele sono riscontrabili da parte ebraica anche nella parte-cipazione degli studenti israeliti alle scuole pubbliche sorte nei due dipartimenti del Crostolo e delPanaro. Cfr. PADOA 1986, pp. 38-39.

6 Non disponiamo di una storia degli ebrei e delle comunita ebraiche italiane durante il Trien-nio repubblicano. Si vedano a riguardo DE FELICE 1953; DE FELICE 1965; SYMCOX 2008; TURIEL

1994; BATTAGLINI 1994; CATALAN 2000, pp. 27-30; BERNARDINI 1996, pp. 223-238. Per la bibliogra-fia su alcuni casi specifici, cfr. CATTANEO – RAO 2003, pp. 170, 183, 188, 190. Sinora e prevalsa l’idea– in buona parte da sottoporre a verifiche locali – che ha attribuito agli ebrei atteggiamenti in totofilofrancesi. Resta utile, a proposito, un lontano spunto di Marino Berengo: «Nel triennio repubbli-cano era corsa per tutta Italia la voce di un massiccio apporto ebraico alla causa rivoluzionaria, emolti ghetti di Romagna, di Toscana e delle Marche avevano subito il saccheggio delle bande sanfe-diste. Ma in realta, chi studi oggi le carte processuali e quelle di polizia, o ripercorra i dibattiti svoltisinelle repubbliche democratiche, di ebrei ne incontra pochi, o almeno in numero non proporzionaleal livello di sviluppo economico che alla fine del ’700 essi avevano raggiunto in alcuni Stati italiani»(BERENGO 1972, p. 11).

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RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONI

per gli ebrei un evento di grande rilievo, pratico e simbolico al tempo stesso. Il22 gennaio 1797, il vescovo di Reggio Francesco Maria d’Este, figlio naturaledi Francesco III e fratellastro del fuggiasco duca Ercole III, rallegrandosi dellaconversione di una «intiera famiglia avvolta nella giudaica pertinacia»,7 di-chiarava di non sapere dove ospitare i neofiti; gia a quella data, la Casa deicatecumeni era stata formalmente soppressa dal nuovo governo municipaleinsediatosi l’ottobre precedente, e il ricovero che dal 1744 ospitava i conver-tendi in contrada San Raffaele era stato «concesso a livello perpetuo» a un pri-vato cittadino.8 Un anno piu tardi, l’8 febbraio del 1798, anche la Munici-palita di Modena avrebbe decretato la chiusura del locale Catecumenonell’ambito della piu generale soppressione, decisa dal governo della Cisalpi-na, di tutte le corporazioni ecclesiastiche regolari e secolari con l’incamera-mento dei loro beni.9 L’Opera modenese fu cosı costretta a rimettere nellemani delle autorita municipali la Casa su cui tanto aveva investito, con «quan-to vi si trovava», cosı come tutti i beni e i legati con cui l’istituto si sosteneva,«pari a modenesi lire 165098», nonche «quanto trovavasi di denaro in cassa,pari a modenesi lire 4645,16».10 Anche il patrimonio del Catecumeno andoquindi a ingrossare le fila dei cosiddetti beni nazionali: le proprieta dell’Operafurono vendute per piu «di sessantamila lire di Modena» e il rimanente con-fluı nelle casse municipali.11 Il Catecumeno di Reggio Emilia, al contrario, siavvio a un destino diverso: in quanto sottoposta al controllo dell’autorita civile– non della Curia vescovile – e inserita nella piu ampia rete delle opere piecittadine, l’istituzione reggiana fu lasciata in possesso dei redditi, legati e censisu cui si era mantenuta, con la sola rilevante eccezione dei locali che ospita-vano materialmente la Casa.

7 Cit. in GAMBARELLI 1998, p. 82. La famiglia cui si riferiscono le parole del vescovo era quelladi Abram Bondı Corinaldi, che con le tre figlie e la moglie fu battezzato nel duomo di Reggio il 29aprile del 1797.

8 Cenno istorico, p. 172.9 La soppressione delle congregazioni religiose aveva coinvolto anche la comunita ebraica: nel

luglio del 1798 il governo municipale di Modena decise infatti di liquidare le 15 confraternite attiveall’interno dell’universita israelitica. Cfr. BERTUZZI 2006, p. 83. Tanto a Modena quanto a Reggio lecomunita riuscirono in realta a mantenere l’amministrazione delle confraternite impegnate nel campodell’istruzione e della beneficenza, pur con l’obbligo di sottoporne annualmente i bilanci al controllodel governo municipale; cfr. PADOA 1986, pp. 31-37.

10 Informazioni e citazioni sono tratte da ACAMo, OPC, Registri, 6, «Notizie compendiate del-l’opera pia de’ Catecumeni di Modena si aggiungono diverse note, moduli utili [...] Modena sul finiredell’anno 1826», p. 5.

11 ACAMo, OPC, Amministrazione, 3/a, «Amministrazione dell’Opera pia dei catecumeni diModena in maneggio del canonico Ferdinando Bassoli nominato alla suddetta come pure al cassie-rato della suddetta dopo la morte del canonico Andrea Carandini il giorno 9 novembre 1816», p. III.

CAPITOLO QUARTO

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Soppressi formalmente gli istituti del Catecumeno, nel corso di tutto ilTriennio giacobino l’attivita conversionistica nei territori degli ex ducati esten-si risultera completamente interrotta.12

Ma al di la della rilevante chiusura delle due Opere, fu l’arrivo stesso deglieserciti francesi e l’instaurazione delle municipalita repubblicane a suscitareinevitabilmente l’interesse – e le comprensibili apprensioni – della minoranzaebraica. E infatti significativo che in concomitanza con l’insediamento dei nuo-vi governi filofrancesi, i rappresentanti delle comunita di Modena e Reggio siaffrettassero a ricontrattare congiuntamente un nuovo Regolamento per la Na-zione ebrea di questi Stati. Pur invocando e facendo propri nelle loro richiestelo spirito e i principi rivoluzionari, l’azione dei delegati delle due comunita eravolta soprattutto a garantire la sopravvivenza di buona parte delle precedentiprerogative di autogoverno delle universita israelitiche. Il 17 ottobre 1796 Moi-se Formiggini13 e Mose Beniamino Foa,14 rispettivamente massari di Modena eReggio, presentarono alle autorita comunali una bozza di regolamento per ve-derla approvata senza sostanziali cambiamenti pochi giorni piu tardi. Il testoabrogava «tutto cio che il codice precedente previgeva»,15 garantendo alledue comunita il libero esercizio del proprio culto ma mantenendo loro, comein passato, il diritto di organizzarsi e auto-governarsi tramite proprie istituzionie rappresentanti.16

12 La sola eccezione e rappresentata dai casi precedentemente ricordati della famiglia reggianaBondı Corinaldi e di Lazzaro Sanguinetti.

13 Moise Formiggini (1756-1809) figlio di Benedetto e di Grazia Levi era membro di una facol-tosa famiglia di argentieri e banchieri. Con l’arrivo dei francesi, Formiggini affianco agli affari unavivace attivita politica: eletto, unico ebreo, tra i deputati del Congresso Cispadano (cfr. CASINI

1897, p. 168) e quindi nel nuovo consiglio municipale modenese dal dicembre 1797, Formigginifu poi designato a rappresentare il dipartimento del Panaro presso i comizi nazionali di Lione perla costituzione della Repubblica Italiana (cfr. DA COMO 1934-1935, I/2, pp. 715-717). Infine, futra i delegati italiani al Gran Sinedrio napoleonico a Parigi nel 1807. Sulla ramificata e prospera at-tivita economica di Moise Formiggini, cfr. MAIFREDA 2000, pp. 47-63. Sulle posizioni assunte da For-miggini in merito all’emancipazione ebraica, incentrate principalmente sull’utilita economica che alloStato avrebbero portato le solide attivita della minoranza emancipata, cfr. FRANCESCONI 2010. Unprofilo biografico di Formiggini in G. MONTECCHI, in DBI, 40, pp. 52-53.

14 Mose Beniamino Foa (1729-1821), figlio di Salvatore e Dolce Lenghi, riuscı a diversificare esviluppare il piccolo commercio di chincaglierie e libri ereditato dal padre, divenendo uno dei mag-giori librai del suo tempo. La sua fama e la sua abilita lo portarono a essere nominato Provveditoredella Biblioteca Ducale e Tipografo dell’Universita. Subito dopo l’arrivo dei francesi la stamperia delFoa pubblico il Giornale repubblicano di pubblica istruzione, sostenitore delle piu accese posizioni deigiacobini modenesi e reggiani; il foglio fu in seguito stampato dal tipografo Vincenzi. Foa, del resto,si era sempre mantenuto piu vicino alle posizioni dei ceti abbienti e accolse con soddisfazione la svol-ta moderata imposta dal Direttorio e da Napoleone alla politica della Cisalpina. Cfr. G. MONTECCHI,in DBI, 40, pp. 394-396; BALSAMO 1986, pp. 59-65.

15 Il riferimento e al codice di Francesco III (Codice 1771).16 ASMo, Archivio Napoleonico, 6142/2bis, f. 43, «Ebrei nello Stato 1796».

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RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONI

Dei venti articoli della proposta, ben sette erano dedicati specificamenteal problema delle conversioni, a testimonianza di quanto, almeno nella perce-zione degli interessati, tali questioni rappresentassero un nodo sensibile su cuioccorreva finalmente porre norme certe. A questo proposito il testo dell’otto-bre 1796 riprendeva, con alcune novita, le richieste gia inoltrate ai duchi nel1788-90:17 si domandava di poter «passeggiare in tutte le strade [della citta]malgrado i neofiti esistenti in qualunque casa»; restava invariata la prassi, giain vigore, di sottoporre il catecumeno a un esame per verificarne la sincerita– esame da effettuarsi alla presenza dei parenti – e la norma per cui «il cate-cumeno ammogliato, prima di ricevere il battesimo [doveva] dare il libello diripudio a rito ebraico alla moglie qualora questa [volesse] continuare a viverenel giudaismo». Per le pendenze tra i neofiti e i loro congiunti ebrei, solita-mente legate a problemi ereditari o di successione, il regolamento prescrivevasi dovessero applicare esclusivamente «le patrie leggi civili». Grande attenzio-ne era quindi dedicata al problema dei battesimi forzati; il ricordo degli ultimicasi era ancora vivo, risalendo, sia per Reggio che per Modena, ad appena po-chi anni prima dell’arrivo dei francesi. Si proibiva a chiunque di «battezzarclandestinamente li fanciulli ebrei non ancora giunti all’eta legittima», penaun’ammenda di 500 scudi d’oro; anche i «fanciulli minori di anni sette oblatidal padre o dalla madre» non si potevano battezzare se non «dopo sommini-strato il battesimo all’offerente medesimo» in modo che, contrariamente aquanto spesso avveniva, «al pentirsi dell’offerente dal suo consiglio debbansirimettere anche gli oblati». Infine, non si potevano trattenere e battezzare«mentecatti e pazzi ebrei», anche qualora si fossero presentati spontaneamen-te al Catecumeno; nel loro caso, stabiliva la normativa, non doveva procedersineppure all’esame.

A prescindere dagli specifici articoli destinati al problema delle conversioni,volontarie o forzate che fossero, le nuove regole garantivano agli ebrei la libertadi culto e salvaguardavano largamente l’autogoverno delle istituzioni comuni-tarie, secondo forme e criteri consolidati.18 Tuttavia, la liberta religiosa stabilitadal regolamento dell’ottobre 1796 non rappresento un’acquisizione piana. Nei

17 Cfr. supra, pp. 82-83.18 Gli altri articoli del regolamento prevedevano tra l’altro il rispetto della festivita del sabato, la

possibilita per i carcerati ebrei di essere riforniti di cibi preparati e consegnati secondo le prescrizionirituali; veniva autorizzata la macellazione secondo il rito ebraico e concesso che massari e rabbinimantenessero la loro autorita, compreso il diritto di esigere dai singoli i contributi fissati per i bisognicomunitari. Se nelle cause fra ebreo ed ebreo dovevano essere osservate le leggi dello Stato, per quel-le «riguardanti il culto e rito loro, come sono li matrimoni, li divorzi, per giuramenti e simili, spetteraai rabbini il decidere». Inoltre, era prescritto l’obbligo di tenere in lingua italiana i libri contabili delleattivita commerciali e le lettere commerciali per l’Italia.

CAPITOLO QUARTO

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mesi successivi, la Costituente della Repubblica Cispadana avrebbe infatti af-

frontato il tema della liberta di culto con significative frizioni al suo interno.

Su tale delicata questione l’assemblea, composta da 110 deputati eletti in rap-

presentanza di Modena, Reggio, Bologna e Ferrara – tra cui sedeva, unico

ebreo, il gia citato Moise Formiggini – registro uno scontro tra l’ala conserva-

trice, numericamente e politicamente prevalente,19 e quella piu schiettamente

democratica, capeggiata da Giuseppe Compagnoni.20 L’iniziale versione del-

l’articolo sulla liberta religiosa prevedeva il riconoscimento del solo cattolicesi-

mo quale culto del nuovo Stato: «La Repubblica Cispadana – recitava la prima

bozza approvata – conserva la religione della Chiesa cattolica apostolica roma-

na».21 Nessuno spazio era dedicato alle minoranze. L’iniziativa diretta di Bona-

parte22 – e, a suo dire, gli interventi in assemblea dello stesso Moise Formiggi-

ni 23 – portarono all’inclusione degli ebrei, e unicamente degli ebrei, nella

versione definitiva del testo, proclamato ufficialmente il 27 marzo 1797:

La Repubblica Cispadana conserva la religione della Chiesa cattolica apostolica ro-

mana. Non permette verun altro esercizio di pubblico culto. Solo agli ebrei permette la

continuazione del libero e pubblico esercizio del loro culto per tutto il suo territorio.24

E significativo che proprio durante le settimane in cui l’assemblea costi-

tuente stava discutendo dell’articolo sulla liberta religiosa, nelle carte personali

19 MENOZZI 1990, pp. 145-156.20 Il principio della tolleranza religiosa aveva del resto gia ispirato Compagnoni nel Saggio sugli

ebrei e sui greci pubblicato proprio a Modena nel 1791 all’interno del carteggio letterario con il mar-chese modenese Francesco Albergati, Lettere piacevoli se piaceranno. Pesantemente tagliato dal cen-sore ducale per la sua posizione di apertura nei confronti degli ebrei, il saggio fu ripubblicato inte-ramente a Venezia nel 1792. Oltre a COMPAGNONI 2001, cfr. anche COLORNI 1983 e LUCCI 2006.

21 L’articolo, presentato dal Comitato di Costituzione il 25 gennaio 1797, continuava: «[La Re-pubblica] non permette che alcun cittadino abitante nel suo territorio, quando viva ubbidiente alleleggi sia inquietato per opinioni religiose, ne per esercizio privato di culto diverso» (DE VERGOTTINI

1946, p. 155).22 ZAGHI 1984, pp. 216-224; ZAGHI 1935, pp. 96-98, 236-237.23 In una lettera inviata all’amico reggiano Moise Beniamino Foa il 22 febbraio 1797, Formiggini

dava conto della seconda e definitiva formulazione dell’art. 4: «Ho preso la parola e diro che lo spiritodi santita mi mise le parole in bocca [a favore della nuova formulazione]. Quello che e certo che se ionon ero in congresso eravamo rovinati». Cfr. PADOA 1986, p. 22. In realta, risulterebbe che Formigginisi fosse espresso favorevolmente anche rispetto alla prima formulazione, assai piu limitativa, appoggian-do la mozione presentata in assemblea a fine gennaio dal nobile bolognese Fava Ghislieri, leader delloschieramento cattolico moderato: «Il cittadino Formiggini appoggio la mozione di Fava, nulla diman-dando di piu per la nazione ebrea, fuorche di essere conservata in materia di religione e di esercizio diculto nello stato che gli fu finora permesso» (Della tolleranza religiosa, p. 159).

24 Si veda inoltre NATALI 1939-1940. La Costituzione, sottoposta il 19 marzo 1797 al voto deicittadini, non divenne mai operativa a seguito dell’aggregazione della Cispadana con la RepubblicaCisalpina, avvenuta a opera del Direttorio nel luglio successivo; cfr. AMORTH 1967, p. 260.

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RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONI

di Ludovico Ricci – tra i protagonisti delle riforme in senso giurisdizionalistadegli anni di Ercole III, poi membro del direttorio della Cispadana e nominatoda Bonaparte ministro delle Finanze della Repubblica Cisalpina25 – si trovi labozza di una Mozione sopra gli ebrei fatta per un cittadino che volle impaurirlionde non si opponessero alle sane massime della costituzione intorno la religionecattolica.26 Nel testo ostilita e pregiudizi si mescolavano, in maniera solo appa-rentemente contraddittoria, alla richiesta di eliminare le disparita di trattamen-to economico e giuridico sino ad allora riservato agli ebrei, in modo che questipotessero infine «spargersi e accostarsi al restante del popolo»:

La tolleranza delle corporazioni ebraiche negli Stati della Repubblica Cispadana econtraria alle massime politiche, morali e civili della vera democrazia e percio le univer-sita degli ebrei debbono essere sciolte o cacciate [...] Quanto poi alla ragione civile emunicipale, non potra mai la democrazia tollerare le differenze che sono tra i cristianie gli ebrei sia nel poter essere giudicati tra molti nelle cause da una particolare accade-mia sia nella sottra[zione] ai giudici nelle cause minori [...] Quanto alle massime politi-che, la societa ebraica vive tra noi per la massima parte solo coll’esercizio di arti infimeche si fondano sul bisogno e sulla inesperienza del popolo. Ora, una classe di arteficiche si occupa quasi tutta di arti infime e che convive in abitato e in religione separatae perniciosa pel raffinamento e pel monopolio che i loro comuni studi portano nellemedesime arti nelle quali non possono avere competitori che ribassino i loro guadagni.Quindi la democrazia non dee favorire simile pernicioso raffinamento [...] Lasciando ilontani esempi, e fuor di dubbio che una delle cagioni per cui la mercatura bolognese eprosperata in paragone coi Paesi vicini e stato quello di non aver avuto ebrei [...] Lastoria greca e romana e quella dei bassi e degli ultimi tempi parlano tutte concordemen-te di questo vizio della societa ebraica. Quindi e che gli ebrei trovando nell’eserciziodelle arti infime un lucro poco penoso non si volgono mai alle arti faticose; talche gliebrei «neque arant neque occant neque serunt sed sibi ipsis metunt». La mano di unebreo non ha mai fatto nascere una spica, il che disconviene ad un popolo agricolo.

L’accenno al foetor judaicus si accompagnava poi alla tradizionale polemi-ca antitalmudica e ai riferimenti alla differente moralita degli ebrei:

Fa d’uopo poi ricordare quella puzza, quel lezzo, quella triste sanita di cui parla ilRamazzini, De morbis artificum, e che ogni contagio per lo piu e stato seminato dagliebrei [...] Non e error popolare il credere che il Talmud abbia comandato ad essi di

25 Ludovico Ricci (1742-1799) fu economista e uomo politico. Nel 1798 venne nominato com-missario generale delle tasse della Cisalpina. Su di lui si veda PUCCI 1971.

26 ASMo, Archivio Ricci, 42, vol. I, p. 101. Il testo, ricco di riscritture, cancellature e rimandiinterni, reca la data del 1º febbraio 1797. Ringrazio Giulia Ammannati, senza la cui competenza pa-leografica non sarei riuscita a decifrare molti passaggi di difficile lettura.

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ingannare singolarmente i cristiani. Hanno i principi nel Talmud di cacciare il cristia-no nel pozzo se lo posson fare con sicurezza e di levar la scala se si trovasse. Preganoper la desolazion della Chiesa. Frangon le olle nella sinagoga dicendo «sicut contritusest Aman etc.». Quanto alle massime morali, bisogna tener per fermo che non sonoerrori popolari il credere che gli ebrei nudriscano principi di morale diversi da quellidella benevolenza sociale, perche si reputano in istato di guerra, o almeno disuguale,co’ cristiani, e che il volgo de’ cristiani nudre pure avversione per essi. Dalle quali na-sce una immoralita reciproca, per cui si reputan lecito il mutuo inganno [...] Onde fad’uopo che la corporazione ebraica si sciolga e si sparga e si accosti cosı piu al restantedel popolo, unico mezzo per guarire le sconfidenze e avversioni e le immoralita, lepersecuzioni che si avvalorano non tanto da persona a persona quanto da campo acampo. La vera democrazia dimanda unione e piu i principi cristiani che gli ebraici.27

Nel luglio del 1797 l’inserimento della Cispadana nella neonata Repubbli-ca Cisalpina avrebbe determinato una nuova regolamentazione del rapportoStato-Chiesa: sull’esempio della costituzione francese dell’anno III, anche lacarta della Cisalpina proclamo la liberta di esercizio pubblico di qualsiasi cul-to, superando cosı i limiti del testo approvato dai deputati cispadani.

Il governo provvisorio di Modena, solo pochi giorni dopo la proclamazio-ne della costituzione cispadana, dava concretezza al dettato relativo alla libertareligiosa, diffondendo in citta il seguente proclama:

La costituzione cispadana sanzionata dal popolo considera tutti gli uomini viventiin societa come fratelli e prescrive il rispetto delle proprieta e delle persone qualunquesia il loro sistema religioso [...] Quindi, il comitato di governo si lusinga che questo bra-vo popolo [modenese] sapra respingere qualunque principio d’intolleranza verso la na-zione ebrea e ne vedra con indifferenza curare i propri affari nelle diverse parti dellacitta in quei pochi giorni che una volta li vedevano rinchiusi entro certi recinti.28

A pochi giorni dalla Pasqua, l’invito era dunque quello di permettere agliebrei di uscire liberamente dal ghetto durante la settimana santa, cancellandoil divieto tradizionalmente previsto dalle precedenti interdizioni. Ma le solle-citazioni della Municipalita si scontrarono con ostilita e pregiudizi difficili dacancellare con un semplice proclama, e i sentori di agitazioni antiebraiche inoccasione delle imminenti festivita portarono all’intervento delle truppe fran-

27 Oltre al riferimento al De morbis artificum (Padova, 1700) del medico Bernardino Ramazzini,la bozza di Ricci fa menzione del celebre trattato di diritto canonico del giureconsulto Marquardusde Susannis, pubblicato a Venezia nel 1558 (Tractatus de Iudaeis et aliis infidelibus circa concernentiaoriginem, contracta, bella, foedera, ultima voluntates, iudicia et delicta Iudaeorum et aliorum infide-lium, et eorum conversiones ad fidem).

28 PADOA 1986, p. 17. Il proclama e del 7 aprile 1797.

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cesi e della stessa Municipalita. Anche la definitiva apertura del ghetto fu ri-mandata: solo qualche mese piu tardi infatti, il 18 luglio, su nuova sollecitazio-ne delle autorita militari francesi, i quattro portoni che lo chiudevano veniva-no fatti scardinare.29

Se il dibattito sulla liberta religiosa svoltosi in seno alla Costituente dellaCispadana nell’inverno del 1797 rifletteva gli ostacoli nei confronti di una ve-loce accettazione di tutte le liberta giunte insieme agli eserciti francesi, anchel’esame della stampa giacobina locale testimonia l’esistenza di uno sguardoverso gli ebrei non scevro da toni critici e ambigui.30

Tra il marzo e l’aprile del 1797, sul foglio giacobino modenese Il Giornalerepubblicano di pubblica istruzione, uno dei piu importanti a livello italiano, sipotevano leggere due interventi intitolati Gli ebrei:

Ridotta questa nazione al piu fiero stato dell’umana schiavitu, bersaglio deglischerni di un popolo fanatico, di molto si allontanava dalle dottrine del suo mansuetoPrecettore [Mose]; condannata a vivere raminga senza stabile proprieta e riservata aduna esistenza precaria, cosa poteva mai divenire questa misera porzione dell’uman ge-nere, se non una classe d’uomini vili, egoisti per eccellenza, e nemici di tutti i loropersecutori! Una serie continua, e replicata di mali e di calamita, che passa alle gene-razioni, avvilisce l’uomo e lo rende codardo [...] Ecco la causa di quei difetti, di queivizj e di quelle antisociali costumanze che si riscontrano negli ebrei, che li hanno resiper tanto tempo l’oggetto d’obbrobrio delle nazioni. Sia lode a quest’epoca in cuitrionfa finalmente la filosofia, in cui la proclamazione dei sacri diritti dell’uomo unisceal restante de’ cittadini questa classe d’uomini che l’ignoranza soltanto e la supersti-zione avevano potuto separare. Se la presente e fortunata generazione, merce i lumidella filosofia, ha saputo sciogliere agli ebrei le catene di una schiavitu, tanto ingiustaquanto oppressiva, ben e di ragione che per giusta riconoscenza gli ebrei stessi, pron-tamente rinunzino a quei frivoli privilegj di nazione che le loro replicate preci, e i doniumilianti al trono avevano potuto carpire dall’avidita dei loro passati tiranni. Nientedi piu assurdo che abbiano a conservare in mezzo alla Repubblica corpi amministra-tivi sotto il nome di universita, cassa nazionale, e perfino il potere giudiziario a certideterminati casi. Che dovra poi dirsi se questo loro tal qual governo sia organizzato suuna forma aristocratica, e che dovra dirsi poi se anche fra loro i ricchi essendone i

29 Su tali episodi vedi PADOA 1986, pp. 17-18. Non risultano tuttavia elementi di carattere anti-semita nelle insorgenze che interessarono i territori degli ex ducati estensi; cfr. TADOLINI 1998. Ingenerale sul tema si veda RAO 1999.

30 A oggi manca un’esauriente ricognizione della stampa giacobina italiana relativa alle posizio-ni mantenute dai fogli del Triennio sulla questione dell’emancipazione ebraica, che consentirebbe dicontestualizzare al meglio le posizioni affioranti negli ex ducati estensi. Dallo studio di Renzo De Fe-lice, che peraltro analizza solo un campione della pubblicistica giacobina (tra cui non e incluso il gior-nale modenese), sembra emergere una presenza esilissima del tema; cfr. DE FELICE 1962, pp. 218,244-245, 256.

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tiranni cercassero ogni via di conservarlo? Niente di piu certo. E ridicolo per esempioil metodo che han in Reggio che i sette massari, che sono i tiranni di quel ghetto, ab-biano a eleggere 32 elettori che eleggano di nuovo i massari per un nuovo corso di treanni. Egli e ben naturale, che gli elettori saranno tanti loro satelliti partitanti e prez-zolati che faranno di nuovo ricadere le elezioni sopra gli stessi soggetti che gli hannoeletti, e con questo circolo vizioso si perpertuera il dispotismo di pochi.31

E ancora, pochi giorni piu tardi:

Ebrei! I principi della vera religione, i diritti di uomo e di cittadino obbligano icristiani ad amarvi e a fraternizzare con voi, ma voi rendetevi degni dell’amor univer-sale coll’onesta dei costumi, coll’integrita di condotta, e cessate una volta di essereschiavi delle vostre abitudini e d’esser la vittima della cabala, e del raggiro di pochidespoti che vi reggano, se volete meritare un posto nel novero degli uomini liberi.32

Echi del dibattito europeo sull’emancipazione degli ebrei, propri dellastagione prerivoluzionaria, sono facilmente individuabili nei passi citati: al ri-conoscimento che le persecuzioni subite avessero rappresentato la causaprincipale dei mali che affliggevano quella «misera porzione dell’uman gene-re», si affiancava la richiesta esplicita di uno sforzo di cambiamento, di ele-vazione da parte degli stessi ebrei tale da poter far loro «meritare un postonel novero degli uomini liberi»; un’esortazione dunque a lasciarsi alle spalleusi, abitudini e riti, considerati al pari di superstizioni o malcostumi. Se eraesplicito l’invito ad abbandonare la «nazione» ebraica e a fondersi, indivi-dualmente, come singoli cittadini, tra gli altri cittadini, dismettendo ogni ele-mento che manteneva la separatezza dal resto del corpo sociale, il principaleobiettivo polemico degli articoli comparsi sul Giornale repubblicano sembra-va essere la forma di autogoverno, rigidamente oligarchica, che l’universitaisraelitica si era data nel corso della sua storia; un governo affidato, nelle co-munita degli ex ducati estensi come altrove, alla ristretta cerchia degli espo-nenti economicamente piu rilevanti. Il nuovo regolamento dell’autunno 1796– cui si e fatto cenno nelle pagine precedenti – nulla innovava in tal senso, e

31 Cfr. Gli ebrei, in «Il Giornale repubblicano di pubblica istruzione», 24 marzo 1797, pp. 378-379. Il Giornale repubblicano uscı a Modena dal 18 ottobre 1796 al 17 settembre 1798. Non e pos-sibile attribuire gli articoli del foglio giacobino, che comparivano solitamente non firmati; sulla basedelle informazioni disponibili, alle date in cui apparvero i due interventi dedicati agli ebrei, la mag-gior parte dei testi era riconducibile alla penna del direttore, il canonico e giacobino Valentino Con-tri, sul quale cfr. C. CAPRA, in DBI, 28, pp. 542-546.

32 Cfr. Gli ebrei, in «Il Giornale repubblicano di pubblica istruzione», 7 aprile 1797, p. 418.L’attenzione del Giornale alla minoranza ebraica si sarebbe peraltro limitata ai due soli interventi ri-cordati. Ne i disordini della Pasqua del 1797 ne l’apertura definitiva dei portoni del ghetto modenesenel luglio successivo avrebbero trovato spazio nelle pagine del foglio.

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anzi ribadiva lo stretto controllo dei massari sulle comunita. Alcune delle ideeespresse dal foglio giacobino parevano peraltro aver fatto presa almeno suuna parte degli ebrei modenesi: rapporti della polizia datati febbraio 1798riferivano di «tumultuarie» riunioni svoltesi in comunita dove erano voluti«intervenire per forza giovani non invitati» che con «strepiti» chiedevanosi convocasse una assemblea generale «per levare gli attuali amministratoriche sono i piu facoltosi per sostituirne degli altri».33 Il tentativo venne repres-so, il sistema organizzativo e le gerarchie che scandivano la vita comunitarianon subirono alcun mutamento.

Sebbene i diritti politici, civili e la liberta di culto fossero stati raggiunti,34

sebbene uno dei simboli piu odiosi del passato, la Casa dei catecumeni, fossestata soppressa, nei territori degli ex ducati estensi l’articolazione socio-econo-mica interna alla comunita ebraica non registro durante il Triennio cambia-menti tali da incidere sulle motivazioni principali, la marginalita sociale e lamiseria, che in passato avevano spinto alcuni membri ad abbandonare il ghet-to per abbracciare il cattolicesimo.35

«CALMATO CHE FU IL FURORE DELLO SPOGLIO»: LE CASE DI MODENA E REGGIO

NEL PERIODO NAPOLEONICO

Conclusa la stagione rivoluzionaria, insediatosi il nuovo governo napoleo-nico della Repubblica Italiana e poi del Regno d’Italia, il flusso delle conver-

33 Cfr. PADOA 1986, p. 28.34 Nelle elezioni del nuovo consiglio municipale modenese del dicembre 1796, gli ebrei otten-

nero per la prima volta il diritto di voto, attivo e passivo. Quattro esponenti della comunita diven-nero membri del consiglio municipale: il gia ricordato Moise Formiggini, Emanuele Sacerdoti, Isaacd’Angelo Levi e Beniamino Amadio Padoa. Cfr. BRIZZI 1995-1997, I, pp. 141-142.

35 E qui solo possibile accennare a una pagina importante inaugurata dagli avvenimenti delTriennio e che probabilmente porto a una ridefinizione – o sclerotizzazione – degli equilibri so-cio-economici interni alle comunita ebraiche. Si tratta dell’acquisto, da parte degli ebrei, dei beninazionali e dunque dell’accesso al mercato fondiario, per la prima volta teoricamente concesso atutti i membri della comunita. A Modena, in particolare, la partecipazione ebraica all’acquistodei beni nazionali appare significativa: il 7% di tutti i rogiti sottoscritti vide infatti protatonisti ebrei.Ancora una volta si distinse Moise Formiggini che, insieme ai fratelli Salomone e Luigi, si colloco alprimo posto fra gli acquirenti dei terreni nel dipartimento del Panaro, acquistando 3850 biolche.Cfr. BERTUZZI 2006, pp. 42-44. Uguale intraprendenza ebraica nel mercato dei beni nazionali sem-bra essersi registrata a Roma e a Ferrara. Cfr. rispettivamente DE FELICE 1960, pp. 205 ss. e ZUC-

CHINI 1962. Negli anni della Restaurazione, nonostante i chirografi ducali imponessero periodica-mente la vendita dei beni immobili in possesso degli ebrei, l’esistenza negli archivi dellecomunita di ampi fondi relativi alle «possidenze» immobiliari lascia intuire che tali imposizioni aves-sero subito delle deroghe. Cfr. ACEMo, bb. 14, 20, 21 (1827-1859); ASRE, Universita Israelitica,Archivio nuovo, b. 46 (1827).

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sioni riprese, a Modena come a Reggio.36 Cio significo, di fatto, la riaperturadelle locali Case dei catecumeni pur in assenza di atti ufficiali che ne decretas-sero la ricostituzione. La differente impostazione delle due istituzioni gia de-lineatasi in passato fu mantenuta: dipendente e gestita esclusivamente dall’au-torita vescovile la Casa modenese, sottoposta all’amministrazione municipalequella reggiana tanto da confluire, nell’autunno del 1807, all’interno dellanuova e piu ampia Congregazione di carita cittadina.37

Dalla primavera del 1800, e sino all’insediamento del nuovo duca FrancescoIV nell’estate del 1814, furono almeno 33 i casi di conversione avvenuti tra Mo-dena e Reggio – e fu all’interno di quest’ultima comunita che se ne registro ilmaggior numero, 22.38 In media, la perdita per le comunita ebraiche dell’ex du-cato fu quindi di 2,3 membri ogni anno, diminuzione percentualmente esigua(meno dell’1%)39 e lontana dal costituire motivo di allarme per la sopravviven-za della minoranza. I nomi di due donne inauguravano la nuova lista dei con-vertiti: il 12 aprile del 1800 la ventisettenne reggiana Marianna Rava veniva bat-tezzata in duomo divenendo Anna Maria Giardini;40 il 19 febbraio del 1804, ilnome di Sara Norsa era trascritto, otto anni dopo l’ultimo caso, nei registri del-l’Opera modenese. Vedova, anziana, lasciato un figlio adulto in ghetto, Sara as-sunse l’identita di Maria Eleonora Lannarino.41

L’esigenza di ricostituire il Catecumeno modenese e reggiano era in lineacon quanto accaduto in altre realta, dove gli istituti per convertiti non avevanonemmeno interrotto la propria attivita: il piu noto istituto romano, ad esem-

36 Come per il Triennio giacobino, anche per il periodo napoleonico manca una sintesi sullastoria delle comunita ebraiche della Penisola, cosı come sulle politiche tenute dalle istituzioni del Re-gno d’Italia nei confronti della minoranza. Sul tema, cfr. BERNARDINI 1996, pp. 240 ss.; CATALAN

2000, pp. 29-39; BERENGO 1972; MASOTTI 2000; «Rivista italiana di studi napoleonici», XIX(1997); LARAS 1974; MANGIO 1976, pp. 196-204; SALVADORI 1993; SALVADORI 1994, pp. 475-498.

37 Cenno istorico, p. 172. Su diretta sollecitazione francese e in seguito ai decreti del settembre edicembre 1807, a Reggio, come nelle altre province del Regno d’Italia, erano state istituite le Con-gregazioni di carita sul modello dei bureaux de bienfaisance attivi nell’Impero. Lo scopo era quellodi eliminare il ruolo svolto dai patriziati locali e dall’autorita ecclesiastica in un ambito politicamentee socialmente strategico come l’assistenza. Cfr. BRESSAN 2002.

38 Il piu alto numero di conversioni registratosi a Reggio si legava al passaggio al cattolicesimodi due interi nuclei familiari, tra loro imparentanti, quelli dei fratelli Abram Joel e Isach Cividalli,composti rispettivamente di 5 e 6 membri. Tra i 33 convertiti vi erano 7 minori, battezzati insiemeai genitori o, in un unico caso, insieme alla sola giovane madre.

39 La percentuale e stata calcolata sul totale degli ebrei residenti nelle varie comunita dell’exducato (circa 2800 unita).

40 La conversione della Rava si colloca durante la breve restaurazione portata dagli eserciti au-stro-russi tra la primavera del 1799 e quella del 1800, che aveva condotto al ripristino delle prece-denti interdizioni a danno degli ebrei. Dopo la vittoria napoleonica a Marengo, nel giugno del 1800, ifrancesi tornarono a occupare i territori estensi.

41 ACAMo, OPC, Registri, 15. Sara, 57 anni, scappo dal ghetto nell’agosto del 1803.

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pio, «funziono senza discontinuita anche nel periodo napoleonico, pur regi-strando una certa flessione nel numero dei suoi ‘‘clienti’’»;42 e cosı avvenneanche a Firenze e Livorno dove l’azione delle Case non conobbe alcuna, nep-pure temporanea, soppressione formale.43

La ripresa dell’attivita conversionistica comporto innanzitutto la ricerca diuno spazio da destinare ai catecumeni. A tal fine, a Modena le autorita delRegno d’Italia misero a disposizione alcuni locali dell’ex convento di San Ge-miniano, «all’angolo [...] dove questo volge nel suo circondario verso la cosid-detta Canossa».44 Ricostituzione organizzativa, quella dell’Opera modenese,per la quale e documentabile l’attivo intervento del vescovo Tiburzio Corte-se,45 uno dei pochi in Emilia a restare nella propria sede durante il Trienniorivoluzionario e che, «calmato che fu il furore dello spoglio», riuscı a trattarecon il ministro del Culto della Repubblica Italiana Giovanni Bovara46 la con-cessione dei nuovi locali, «sprovvisti pero di tutto».47 Il 18 giugno 1804, Bo-vara cosı scriveva al vescovo:

Ho il piacere di parteciparvi che il vice-presidente [Melzi d’Eril] dietro mio rap-

porto, ha accordato alla deputazione dei catecumeni esistente in codesto vostro co-

mune 4 o 5 stanze dal convento goduto dalle monache ora soppresse di San Gemi-gnano, a comodo di questi ebrei che amano abbracciare la religione cristiana.48

Sino al 1830, quando la Curia modenese avrebbe venduto al restauratogoverno estense i locali in questione (da cui furono ricavati depositi militari),questa porzione del grande convento fu la nuova sede della Casa, distante ap-pena una manciata di strade dall’ubicazione precedente.49 Per lungo tempo,invece, il Catecumeno reggiano rimase formalmente privo «del locale necessa-rio per accogliervi e custodirvi i convertiti»;50 soltanto nel 1833 il duca Fran-

42 CROCE 2003, p. 594.43 MARCONCINI 2009, ZUCCHI 2012.44 ACAMo, OPC, Amministrazione, 3/a, p. IV.45 Per il ruolo di Cortese nelle vicende di quegli anni si veda ORLANDI 1967.46 Sulla politica religiosa del ministro Bovara, cfr. PEDERZANI 2002. Il volume non affronta pe-

raltro la questione dell’atteggiamento e delle politiche di Bovara nei confronti della minoranza ebraica.47 ACAMo, OPC, Amministrazione, 3/a, p. II.48 ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I5, «Scritture spettanti al Catecumeno 1804. Epoca in

cui comincio a ristabilirsi l’Opera soppressa nel 1797, 26 settembre».49 Accanto ai convertendi, l’ex convento avrebbe ospitato depositi di legname e i «forni norma-

li» (i forni gestiti dall’Annona). Sfrattati i catecumeni, dal 1867 sarebbe quindi divenuto la sede delTeatro dei Dilettanti e del Pio istituto di beneficenza per le Orfanelle della citta. Attualmente e sededella Facolta di Giurisprudenza dell’Universita di Modena e Reggio Emilia.

50 Cenno istorico, p. 172.

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cesco IV stabilı l’affrancazione del livello sulla proprieta che aveva ospitato laCasa prima degli eventi rivoluzionari, ordinando che con il ricavato si proce-desse all’acquisto di una sede per il Catecumeno. Il fabbricato scelto si trovavain via del Torrazzo, nel pieno centro cittadino, e sarebbe stato il ricovero deineofiti reggiani per i trent’anni successivi. Prima di allora, in assenza di un ve-ro e proprio luogo i convertiti reggiani, «nel solo tempo di una brevissimaistruzione e dell’anno di catecumenato erano mantenuti a dozzena presso ilfattore e la fattora della soppressa Casa».

Per le ricostituite istituzioni, la ripresa di un’attivita conversionistica ufficia-le significava anche dover riorganizzare la tradizionale, e fondamentale, azionedi sussidio economico a vantaggio dei neofiti. I nuovi orientamenti in materia diparita religiosa ma, soprattutto, lo stato economico malcerto delle due Opere– e in particolare di quella modenese, a seguito degli espropri e delle venditesubite nel Triennio – non permisero molti incentivi di questo genere: sia a Mo-dena che a Reggio le autorita politiche decisero di garantire soltanto i diritti ac-quisiti, per cui unicamente «li neofiti di antica data», ovvero quelli battezzatiprima degli avvenimenti rivoluzionari, avrebbero continuato a ricevere per tuttala loro vita un sussidio mensile (di 10 lire nel caso modenese; di una cifra va-riabile da 3 a 30 lire nel caso reggiano),51 significativamente erogato, «quandopiu quando meno con precisione»,52 dalle stesse magistrature civili. Nella mag-gior parte dei casi, a cio non si sarebbe accompagnato alcun aiuto per i nuovicatecumeni.53 Un’auspicata parificazione del trattamento concesso a vecchi enuovi neofiti era peraltro oggetto di «continui clamori»54 e di reiterate quantoinascoltate richieste rivolte al governo da parte dell’amministrazione dell’Operamodenese. Ulteriore motivo di lamentele era poi il fatto che alla morte dei bat-tezzati di antica data,55 il loro sussidio non fosse destinato ai nuovi convertiti,che di «continuo reclama[vano] per essere sollevati dalle loro angustie»,56 mavenisse piuttosto erogato al coniuge o ai figli dei neofiti scomparsi.57

51 ACAMo, OPC, Registri, 6, p. 6; ASRE, PLC, 8, f. «Sovvenzionati del Pio luogo dei catecu-meni 1807-1808» e f. «Recapiti 1800-1806».

52 ACAMo, OPC, Registri, 6, p. 6.53 In realta due nominativi, Giuseppe Schiedati e Benedetto Grisanti, risultano essere stati bat-

tezzati nel periodo napoleonico, rispettivamente nel 1802 e nel 1803. A Reggio i neofiti sovvenzionatidurante il governo di Napoleone furono complessivamente 18.

54 ACAMo, OPC, Registri, 6, p. 8.55 Nell’elenco del 1807 dei sussidiati reggiani compare ancora, ad esempio, il nome di Giusep-

pe Giusti, convertitosi nel lontano 1764.56 ACAMo, OPC, Registri, 6, p. 8.57 ACAMo, OPC, Amministrazione, 3/a, p. III. I figli avevano diritto al sussidio gia goduto dai

genitori fino ai 20 anni di eta.

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Il magro aiuto economico concesso ai catecumeni piu recenti, che si tra-duceva nella copertura delle spese per il periodo d’istruzione religiosa pressol’Opera e, nel caso reggiano, anche nell’anno di assistenza post-battesimale,era tratto unicamente dalle elemosine raccolte in duomo dopo le prediche del-l’Avvento e della terza settimana di Quaresima, oltre che dalla «carita dei fe-deli». Se a Modena a tali entrate si sommavano le poche rendite derivanti dal-l’affitto di alcune parti non utilizzate dell’ex convento di San Geminiano,nuova sede della Casa,58 a Reggio la Municipalita aveva disposto sin dal1801 che gli eventuali residui annui dell’Opera dovessero essere dirottati ver-so l’Ospedale degli Infermi e quello degli Esposti59 e non reimpiegati per lagestione della Casa o il sussidio dei catecumeni.

La minore disponibilita finanziaria delle due Opere e il loro indebolitoruolo assistenziale non costituirono pero un evidente freno per i convertendi:tra Modena e Reggio, i 33 casi accertati negli anni del dominio napoleonicotestimoniano una situazione non dissimile dai 41 battesimi registrati nelquindicennio prerivoluzionario. La riapertura delle Case dei territori exestensi all’epoca della Repubblica Italiana rappresento infatti non solo il ten-tativo dell’autorita ecclesiastica di riconquistare spazi perduti, ma anche laconseguenza di una fase di ripresa della domanda conversionistica: il numerocomplessivo di neofiti – pur modesto sia in termini assoluti che percentualirispetto all’entita delle due comunita – sembrava nascondere una dinamicadalle proporzioni piu ampie, tale da giustificare agli occhi dei rappresentantidella minoranza ebraica una richiesta di intervento da parte delle autorita ci-vili per porvi un freno o, comunque, per regolamentarla. Negli anni napoleo-nici, agli ebrei che effettivamente ufficializzarono con il battesimo il passag-gio al cristianesimo, si affiancarono infatti i casi di coloro che, pur bussandoalle porte del Catecumeno, vennero per varie ragioni respinti. L’ampiezzadel fenomeno, insieme alle proteste delle comunita, aveva condotto le auto-rita del Regno d’Italia a un formale intervento in modo da disciplinare, con-trollare e gestire in prima persona le conversioni. Cosı scriveva nel febbraiodel 1803 il ministro del Culto Giovanni Bovara ai prefetti dei Dipartimenti diPanaro, Crostolo, Basso Po e al Commissario prefettizio di Verona, territoridove, evidentemente, le dinamiche conversionistiche davano adito alle mag-giori tensioni:

58 ACAMo, OPC, Amministrazione, 3/a, p. VII. Si trattava di «un amplissimo camerone e diuna camera mediocremente grande a quella annessa» adibiti «a granaro» e di «tre bassifondi condot-ti ad uso di cantina».

59 Cenno istorico, p. 172.

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Dietro diversi reclami portati individualmente da vari ebrei e rappresentati conformale rappresentazione dall’intiero corpo di essi per la soverchia facilita con cui al-cuni, od alcune, si permettono di abbandonare il loro culto e la loro famiglia col pre-testo di volersi ascrivere alla religione cattolica, volendosi prevenire in questa parteogni disordine e togliere di mezzo ogni querela, sono venuto in determinazione diproporre alla sanzione del vice presidente alcune massime generali che potessero ser-vire come regolamento provvisorio di norma e direzione in que’ dipartimenti ne’ qualile antiche pragmatiche o sono incerte o mancanti o incoerenti, onde impedire abusi disimulazione per parte dei postulanti o di eccessivo o falso zelo per parte sia degli op-ponenti ebrei sia degli invitanti ministri cattolici e comporre col favore dovuto all’au-gusta religione dello Stato la liberta costituzionale garantita al culto ebreo.60

Cio su cui i prefetti erano chiamati a vigilare erano dunque due fenomenidistinti: da una parte l’eccessivo zelo dei ministri del culto cattolici e dall’altrogli «abusi di simulazione» da parte degli stessi ebrei. Dalle carte reggiane emodenesi, emerge essere soprattutto quest’ultimo il comportamento piu pra-ticato, non essendo stati registrati dai documenti, ne di parte ebraica ne diparte cattolica, episodi di battesimi forzati per tutto il periodo 1800-1814.Per cercare di portare ordine nella gestione dei casi controversi, e per evitareeccessi da entrambe le parti, il 30 gennaio 1803 il ministro Bovara aveva ema-nato un Regolamento sopra le cautele da osservarsi per ammettere i convertitiebrei alla religione cattolica:

Art. I. Non si ammette al battesimo nessun ebreo ne ebrea postulante se nonquattro mesi dopo la prima dichiarazione o dimanda.

Art. II. In questo intervallo cautamente e nelle forme si esamina la sincerita e fer-mezza dell’enunziata disposizione.

Art. III. Frattanto si tiene ritirata o nel Catecumeno, dove esiste, o in custodia disavia persona cattolica la persona ebrea che vuole ascriversi al cattolicesimo, dove perdi lei conto ed a spese de’ propri parenti ed in sussidio co’ fondi del Catecumeno ocon ispontanei soccorsi pij debba esservi mantenuta.

Art. IV. In questo stato di ritiro la polizia locale veglia che non le si faccia violen-za e permette che liberamente vi si accostino cosı i ministri cattolici per interrogarlaed instruirla come i parenti ed amici ebrei a parlare dove ella non li respinga.

Art. V. Onde poi sia provato con piena cognizione che e liberamente e sincera-mente questa e determinata al cattolicesimo, sara facoltativo all’universita degli ebreidi fare presentare i cibi secondo il rito ebraico osservate le opportune e pratiche cau-

60 ASRE, Universita Israelitica, Archivio nuovo, b. 25, f. 1, «Battesimi forzati e volontari» (1780-1844), «Lettera del ministro per il Culto ai prefetti dei dipartimenti del Panaro, Crostolo, Basso Po,ed al commissario di governo di Verona sopra l’ammissione dei postulanti ebrei alla religione catto-lica, 3 febbraio 1803, anno II».

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tele finche sieno da essa rifiutati ed in giorno stabilito saranno ammessi i rabbini eparenti a sentirla in presenza di un delegato della polizia onde, interrogata sia da’ mi-nistri cattolici sia dagli ebrei, liberamente esprima la sua volonta.

Art. VI. Affinche poi in ogni tempo possa constare della spontanea e deliberataperseveranza nel proposito della parte, si dovranno in giorno destinato chiamare igenitori e prossimi parenti se ve ne sono ed in mancanza i massari della universita,ed in presenza tanto di essi che di due altri testimoni maggiori d’ogni eccezione, erilevata dietro interrogazione perentoria la definitiva volonta di abbracciare il catto-licesimo, dovra rogarsene l’atto pure del delegato politico dandosene copia alle partiinteressate come pure alla Curia vescovile ed alla prefettura onde si conservi il do-cumento.61

Il Regolamento non era unicamente rivolto all’attenzione dei prefetti; unalettera del ministro accompagnava il testo indirizzandolo ai vescovi di Mode-na, Reggio Emilia, Ferrara e Verona:

L’esempio delle antecedenti legislazioni alle quali non si e voluto togliere il vigoredove compiute e coerenti sussistono, ha eccitate le cure del Governo, incessantemen-te provocato da reclami e da rappresentanze per molti fatti odierni, a non lasciare,dove le leggi mancano, all’arbitrio privato una parte cosı gelosa e delicata nella qualesia l’eccessiva diffidenza e severita delle prove, sia la troppo facile accondiscendenzaugualmente pregiudica, la prima ritardando e respingendo i sinceri convertiti, la se-conda accogliendo intempestivamente i simulati e profughi per meno retti, ed ancoper biasimevoli motivi.62

Il regolamento Bovara – in vigore in tutto il territorio del Regno d’Italia –testimoniava il nuovo attivo ruolo assunto dalle autorita civili nella gestionedei rapporti Stato-Chiesa, anche nel delicato ambito delle conversioni. Nona caso, piu di una volta sara l’intervento governativo a dare o a negare il de-finitivo assenso all’accesso in Catecumeno degli ebrei che ne facevano richie-sta. Al di la del rispetto di quanto prescritto dal testo del 1803, le autorita ci-vili, centrali o locali, prima dell’entrata di un richiedente in Catecumeno, siriservavano il compito di indagarne «vita, costumi, condotta morale e politi-ca»,63 cercando di individuare se vi fossero motivazioni di carattere contin-gente – solitamente non spirituale – che spingevano alla conversione. Piu ingenerale, le autorita civili si premuravano di verificare se il soggetto fosse mo-

61 ASRE, Universita Israelitica, Archivio nuovo, b. 25, f. 1, «Battesimi forzati e volontari» (1780-1844).

62 ASMo, Archivio Napoleonico, 5773/27, f. «Religioni diverse».63 Ibid.

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ralmente non «costumato», respingendone in questi casi la domanda di acces-so. La «costumanza» morale, prima di quella politica, sembrava divenire il cri-terio attorno al quale valutare la bonta di una richiesta di conversione; un pa-rametro che l’autorita religiosa era tenuta non solo ad accettare, ma che inalcuni casi divenne anche per i delegati vescovili il motivo principale per rifiu-tare il percorso catecumenale a chi ne faceva istanza. E questo, ad esempio, ilcaso di Salomone Forti, oggetto di indagine da parte della polizia modenese,avendo egli chiesto di essere ammesso in Catecumeno nell’autunno del1813. Il commissario di polizia cosı relazionava al prefetto:

Posso assicurarla che dietro le piu accurate indagini da me fatte praticare sonovenuto in cognizione che il Forti e sempre stato un giovane scialacquatore, per cuiha ridotto all’estrema miseria anche il proprio padre avendogli levato il maneggiocon pretesti e raggiri; il medesimo ha sempre frequentato le osterie e si e dedicato alledonne, volendosi che la di lui presente malattia [sifilide?] possa provenire da questeultime. Sul particolare poi della di lui politica condotta, questi non ha mai affermato iproprio sentimenti, essendosi sempre mostrato indifferente.64

Per il giovane Lazzaro Rovighi, entrato in Catecumeno nei primi mesidel 1812 e quindi allontanato per la sua condotta, era stato direttamenteil ministro Bovara a scrivere al prefetto del Panaro: essendo «troppo vivele suspicioni per le quali l’ebreo Lazzaro Rovighi fu rimandato dal Catecu-meno e poscia respinto dal tentativo fatto per rientrarvi – argomentava ilministro – [...] giudico pertanto lasciarsi passare un intervallo che costuivivendo nella societa si dimostri costumato e perseverando nel buon propo-sito faccia fede di sua sincerita».65 In precedenza, del resto, lo stesso vesco-vo Cortese aveva manifestato al prefetto di Modena «l’irregolarita e l’immo-ralita» di Lazzaro, che aveva «sempre continuato in tresche e con ebrea econ cristiana», esprimendo la propria contrarieta al ritorno di Rovighi inCatecumeno:

Nel tempo in cui era in Catecumeno sono tante e di tal fatta le prove che mi trovoavere della sua doppiezza e del suo malcostume che ho deciso di non poter esseresincera la sua brama di abbracciare una religione che egli fa vedere di non conoscerenemmeno o di rispettare se la conosce [...]; per cui mi permetta, signor prefetto, diconfermarle che non lo ritengo sufficientemente provato nella sua vocazione per am-metterlo nuovamente al Catecumeno.66

64 Ibid. Lettera del commissario di polizia al prefetto, 29 dicembre 1813.65 Ibid. Lettera di Bovara al prefetto 17 aprile 1812.66 Ibid. Lettera di Cortese al prefetto, 12 febbraio 1812.

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Ne Forti ne Rovighi risulteranno mai battezzati. Nel caso del modeneseLeon Vita Teglio – che invece si convertı – le ragioni di ordine pratico cheavevano spinto l’uomo alla conversione (Teglio desiderava sposarsi con unadonna cattolica), inducevano il ministro Bovara a chiedere il piu attento ri-spetto delle regole:

Visto che il progettato matrimonio con persona cattolica puo dare luogo a sospet-tare che da questa causa, e non gia dalla libera volonta del predetto ebreo, possa de-rivare il desiderio di essere lo stesso ammesso al battesimo prima del tempo prescritto[...], io non posso permettere che al predetto ebreo si amministri il sacramento delbattesimo prima del tempo stabilito.67

Nel complesso, tra 1800 e 1814, le indagini svolte dalle autorita civili ri-guardo a moralita, condotta e motivazioni che spingevano gli ebrei a bussarealle porte della Casa portarono, tra Modena e Reggio, a respingere otto richie-ste di entrata o mantenimento in Catecumeno, pari a un quinto di quelle per-venute nel periodo.

I documenti di questi anni restituiscono in modo purtroppo molto scarnoil profilo dei neofiti; dietro la frammentarieta delle informazioni si possonocomunque intravedere le motivazioni alla base della conversione. I nuovi cri-stiani erano in massima parte giovani: l’eta media era a Modena di 26 anni, 28per gli uomini e 24 per le donne; a Reggio Emilia di 21 anni, 19 per gli uominie 23 per le donne. Suddivisi equamente tra i due generi, i neofiti sembranoprovenire dalle fasce socialmente ed economicamente piu marginali della co-munita,68 una condizione riscontrabile soprattutto nei casi di conversioni fem-minili: si tratta di vedove, donne sole, perche orfane di uno o di entrambi igenitori – nella maggior parte dei casi occupate come domestiche in casa dicorreligionari – e dalle cui parole emerge la presenza di una debole, talvoltainesistente, rete familiare alle spalle. La reggiana Venturina Levi, domesticaventiduenne, orfana di padre, della madre non conosceva neppure il cognome– «Mia madre si chiama Bona, della quale pero non ricordo il cognome».69

67 ASMo, Archivio Napoleonico, 5773/27, f. «Religioni diverse». Lettera di Bovara al prefetto,11 luglio 1812.

68 La poverta delle comunita degli ex ducati, in particolare delle piccole comunita del contadoreggiano, e desumibile anche dalle dichiarazioni rese da queste all’Universita israelitica di Reggio nel1806, quando, in occasione della partecipazione del rabbino reggiano Jacob Carmi al sinedrio napo-leonico di Parigi, fu chiesto alle varie universita della provincia un contributo per sostenerne le spesedi viaggio. Guastalla dichiarava che su 50 membri, ben 20 erano bisognosi, Novellara faceva presenteche piu di due terzi delle famiglie erano «notoriamente miserabili»; anche la comunita di Scandianochiedeva di essere esentata a causa del «numero elevato di famiglie miserabili». Cfr. ASRE, Univer-sita Israelitica, Archivio nuovo, b. 6, f. 8.

69 ACRE, OPC, 1802-1883, filza 3.

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Stessa condizione per Benedetta Vienna, domestica non piu giovanissima, or-fana di entrambi i genitori: «Mia madre aveva per nome Anna, non ricordan-domi il cognome».70 In altri casi si puo ipotizzare un percorso dettato da unapiu sincera curiosita religiosa. La giovane modenese Venturina Osimo, contra-stata dai genitori nel suo proposito di convertirsi, sara accolta senza ulterioriindagini presso la Casa cittadina, rifiutera il cibo kasher offertole in rispettodel Regolamento del 1796 e le visite dei parenti – «Ora amo di stare quietae non ho piacere a vedere i miei genitori [...] Io non ho altro da dire, chiedosolo la mia biancheria».71

Un solo caso di battesimo, per cosı dire eccellente, scosse le due comunitanegli anni napoleonici, quello del minorenne Laudadio Formiggini, unico fi-glio maschio, assai agiato, di quel Moise Formiggini piu volte incontrato nellepagine precedenti. Perduto il padre nel 1809 e gia orfano di madre, Laudadio,ancora adolescente, e descritto dalle fonti come un giovane sbandato, privo diguida, intento ad assecondare «il destino di una vita libertina cui non vuolerinunciare». La sua fragile moralita e la condizione che, nella lettura data dallafamiglia, spiega la volonta di convertirsi espressa dal ragazzo: «Nulla mi sor-prende di un giovane scapestrato che non ha chi lo conduca – scriveva lo zioLuigi Raffaello al fratello Salomone nell’inverno del 1813 –; dunque la conclu-sione si e che spende e spande e si disonora». Laudadio da tempo non vivevapiu con la famiglia; dalla morte del padre era stato affidato a un tutore, nonebreo, che cosı relazionava la situazione alle autorita civili, come sempre inte-ressatesi direttamente al caso:

Appena egli [Laudadio] fu nello stato di portarsi in societa cadde in deliquio d’a-more per una onesta figlia colla quale parlo di promesse di nozze. Ad effettuarla con-cepı il disegno di cambiare la religione dei suoi genitori. Non appena nato questo pro-ponimento egli si inoltro nel Catecumeno [di Bologna]. Tutto cio avvenne senza cheio ne avessi notizia [...] Insorsero allora tutti quelli della di lui famiglia, declamaronovivamente e gia avevano fatte delle mosse anche troppo forti per impedire la violenzamorale da cui dipendeva l’iniziato cambiamento di religione.

A nulla valsero i tentativi del tutore di farlo recedere: «Mi avvidi pero chei miei ragionamenti scorrevano su di un piano liscio ed inclinato [...] e dopopochi giorni mi fu riferito che l’ardore per la figlia di Bologna aveva lasciatoluogo ad altro fuoco per una figlia di Milano con la quale il mio pupillo aveva

70 Ibid.71 ASMo, Archivio Napoleonico, 5773/27, f. «Religioni diverse». Interrogatorio del 15 giugno

1807. Venturina sara battezzata nella parrocchia di San Michele di Modena il 15 novembre succes-sivo; diverra Giovanna Maria Luigia Fedeli.

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gia avanzato giuramenti di matrimonio». Nel dicembre 1813 Laudadio si con-vertiva, a Milano, assumendo il nome di Giuseppe. Nel suo caso emerge chia-ramente il distacco che maturo dall’ambiente di origine con la conversione:«La prego di non parlarmi piu di questo affare siccome purtroppo non sifa altro che rimetterci e nient’altro – chiese la matrigna Zeffira Norsa al tuto-re –; per conseguenza, non mi conviene di scriverle di piu oltre per essere coseche rammaricano oltremodo senza niun rimedio». All’invito di essere presentealla cerimonia rivoltogli dal commissario di polizia del comune di Modena, lozio Salomone rispondeva infine: «La ragione impropria e la mia eta non mipermettono di fare il viaggio a Milano».72

Il decreto Bovara del 1803 aveva consentito una gestione regolamentatadelle conversioni: nessun battesimo forzato si registro in questi anni nelledue comunita e la maggior parte delle conversioni, 28 su 33, si realizzaronodopo l’entrata in vigore della normativa. Essa tuttavia venne velocemente ac-cantonata nella primavera del 1814, non appena discioltosi il Regno d’Italia. Ilnuovo duca Francesco IV d’Austria-Este non era ancora entrato nei suoi do-mini quando, il 22 maggio del 1814, la segreteria della Reggenza provvisoriadegli Stati estensi gia si affrettava a richiamare «in vigore la disciplina e rego-lamenti che erano in corso prima del 1796 per l’ammissione degli ebrei allacattolica religione». «Se ne passa la notizia a questa universita ebraica persua norma».73

«LA SOMMA DIVERSITA DEI TEMPI»: GLI STATUTI OTTOCENTESCHI DELLE OPERE

DEI CATECUMENI

Restaurato il potere estense, uno dei primi ambiti in cui Francesco IV de-cise di intervenire fu quello delle opere pie, con particolare riguardo alla Con-gregazione di Carita di Reggio, di cui il Catecumeno era parte. Con decretodel 5 gennaio 1815 il duca revoco la normativa napoleonica, stabilendo chetutte le opere attive in citta dovessero essere affidate all’amministrazione diun presidente e di due consiglieri, «nobili uomini» di nomina sovrana postisotto la tutela e il controllo del governatore. Per la concreta gestione del Ca-

72 BEUMo, Archivio familiare Formiggini, cass. 5, ff. 90, 95 e 101. La vicenda si dipana tra ilgennaio e il dicembre 1813.

73 ACEMo, b. 15,4. Il solo governo austriaco del Lombardo-Veneto, con decreto del 3 marzo1817, manterra in vigore il regolamento Bovara anche durante gli anni della Restaurazione. Cfr.ASRE, Universita Israelitica, Archivio nuovo, b. 25, f. 2, «Battesimi forzati e volontari» (1844-1860) e CROCE 2003, p. 605.

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tecumeno cittadino si decise quindi di richiamare «in attivita e osservanza leantiche massime e i vetusti regolamenti, in quelle parti pero che potesseroconciliarsi con le circostanze e coi tempi presenti».74 Se l’Opera reggiana silimito a ripristinare i capitoli preesistenti, pur con una formulazione che sem-brava lasciare spazio agli adeguamenti imposti dalle «circostanze» e dai «tem-pi presenti», piu decisa fu invece la soluzione adottata dall’istituto di Modena,che nel luglio del 1816 diede alle stampe una nuova versione dei propri sta-tuti. Nella breve introduzione che precedeva il regolamento la speranza di ri-comporre l’ordine spezzato dalla lunga parentesi repubblicana e napoleonicalasciava trasparire la definitivita di un cambiamento che agli occhi dei contem-poranei veniva percepito come irreversibile:

In poche pagine si presentano rifusi i vecchi capitoli dell’Opera pia de’ catecume-ni, visto che li suddetti non riescono piu d’alcun uso nella maggior parte delle lorodisposizioni, stante la somma diversita dei tempi, e soprattutto dopo le passate vicen-de di tante rivoluzioni e spogli. Una semplice scorsa di lettura, che loro se ne dia, puoaccertare di tal vero.75

Nonostante l’incipit si richiamasse alla «somma diversita dei tempi», nu-merosi elementi di continuita con il passato prerivoluzionario erano chiara-mente ravvisabili nelle nuove regole. La Casa modenese era sempre ammini-strata da dodici sacerdoti nominati dal vescovo, a due dei quali, estratti a sorteogni due anni, spettava la riscossione e l’amministrazione dei redditi dell’Ope-ra, la manutenzione della Casa e la vigilanza sugli eventuali catecumeni ospi-tati.76 Ai dodici sacerdoti si affiancavano, come in precedenza, dodici nobil-donne preposte a «confortare, animare, istruire, soccorrere» le convertendee ad accompagnarle, in qualita di madrine, al battesimo. Non mutavano nep-pure alcune delle caratteristiche storiche dell’Opera modenese, ovvero la mis-sione conversionistica esclusivamente rivolta alla componente ebraica – «equanto agli eretici, non si ricevano sotto qualsiasi pretesto, ne a proposta oistanza di chicchessia che li proponesse» – e, piu in particolare, verso la sola

74 Cenno istorico, p. 172. Nel 1815 fu nominato presidente del Catecumeno il conte Nicola An-cini; Pellegrino Turri e Giuseppe Gazzoli vennero invece indicati come consiglieri. Ad Ancini seguı,dal gennaio 1828, il conte Giulio Parigi e consiglieri furono Giuseppe Turri e Luigi Bonini. Cfr. BA-

RAZZONI 1987, I, p. 100.75 Capitoli dei catecumeni 1816. Una copia in ACAMo, OPC, Registri, 21. Lo statuto si com-

poneva di 21 brevi capitoli, nonche di un’«Appendice prima spettante li custodi del Catecumeno»e di una «Appendice seconda. Regolamenti disciplinari per quelli o quelle che dal giudaismo vengo-no al Catecumeno». Le citazioni che seguono, quando non diversamente indicato, sono tutte trattedai capitoli del 1816.

76 Si trattava dei canonici Franco Mantovani e Ferdinando Bassoli.

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comunita israelitica locale, principio che negli anni successivi non sara mai di-satteso.77

Nei nuovi capitoli venivano inoltre codificate quelle forme di tutela neiconfronti della comunita ebraica non previste dagli statuti prerivoluzionari,ma di fatto gia introdotte dal governo ducale sul finire del Settecento, qualila possibilita di intervento dei rappresentanti dell’universita israelitica nel casoin cui i familiari di un catecumeno si opponessero alla scelta compiuta dalcongiunto, o l’«esame del fuggitivo», l’interrogatorio del convertendo previstoanche dal regolamento napoleonico del 1803. Il colloquio aveva lo scopo difare luce sulla reale volonta di colui che si presentava alle porte della Casaquando questi fosse un minore o una «femmina (sia libera, sia maritata)»,78

a stigma, in questo secondo caso, di un’inferiorita giuridica della donna incui ebraismo e cattolicesimo non sembravano divergere. L’esame si svolgevaseguendo un rigido copione, costruito su una serie sempre uguale di domande– «se abbia sentito dire che solo nella religione cattolica possa salvarsi, e se locrede»; «se qualcuno gli/le dicesse che il Messia non e venuto, cosa direbbe»;«se siasi indotto ad abbracciare la religione cattolica spontaneamente oppuresiavisi indotto da dispiaceri avuti in famiglia, da suoi correligionari o per qual-che altro motivo o riguardo umano». Nella larga parte dei casi, le risposte de-gli ebrei apparivano ispirate da formule preconfezionate, volte a esprimere leverita dogmatiche del cattolicesimo in contrasto con l’ebraismo ed esaudirecosı le aspettative dell’esaminatore. All’interrogatorio avrebbe assistito il mini-stro ducale delegato al Catecumeno, rappresentante del governo che, oltre aun ruolo di garanzia, era chiamato a tutelare gli interessi economici del neo-fita, in particolare qualora «un ebreo o ebrea passati al Catecumeno per farsicristiani [avessero] lasciato in ghetto, o dove che sia, effetti di loro privata ra-gione e pertinenza, per poterli riprendere in via giudiciaria».

Immutato, il cordone sanitario che il nuovo statuto disegnava attorno alconvertendo per tutto il periodo del catecumenato. Se i membri della comu-nita ebraica dovevano «tenersi lontani due contrade» dalla Casa per non in-correre nelle pene comminate ai trasgressori, ai due custodi del Catecumeno79

77 L’unica eccezione fu rappresentata dal giovane musulmano Beehet Sabaa, battezzato a diecianni nel 1839 con il nome di Francesco Geminiani. I convertiti dall’ebraismo non appartenenti inorigine alla comunita modenese, perche nati a Venezia, Ferrara, Firenze, Reggio Emilia, erano co-munque da anni residenti a Modena.

78 Come in passato, nessuno, «sia maschio sia femmina», poteva comunque entrare in Catecu-meno se non aveva precedentemente ottenuto «licenza in scriptis» dal vescovo o da uno dei sacerdotipresidenti. In mancanza di tale licenza i custodi della Casa non erano autorizzati ad ammettere con-vertendi.

79 I due custodi, marito e moglie, come compenso ai propri servizi occupavano a titolo gratuito

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spettava il compito di «non ammettere persona alcuna [...] che cercasse di farvisita al nuovo ospite», neppure i familiari, «tenere sempre chiusa la loro stan-za da letto e, permettendo al catecumeno di entrarvi, impedire che si acco-st[asse] alle finestre che guardano la strada». In piu il convertendo non potevane scrivere ne ricevere lettere,80 ne poteva tenere il lume acceso in camera «intempo di notte» o «disporre arbitrariamente delle persone de’ custodi permandare a fare provviste capricciose e non necessarie come caffe, rosolj, vini,ambasciate, ecc.». Rispetto al passato si introduceva la possibilita per gli ebreidi «mandare de’ loro cibi», sempre che «il rifugiato non siasi protestato di nonvolerne». Il periodo di catecumenato durava tassativamente quattro mesi, conuna considerevole dilatazione rispetto ai 40 giorni previsti in precedenza. Inquel tempo l’Opera «provvedeva l’aspirante di vitto conveniente [...] compre-sovi sempre pane e vino», «il lume per la sera ed il fuoco nell’inverno», e altermine predisponeva un esame sulla dottrina cristiana il cui contenuto e svol-gimento rimaneva nei capitoli dell’Opera del tutto imprecisato. Una volta bat-tezzato, il neofita era ricondotto in Catecumeno, solitamente per una settima-na, per prepararsi a ricevere la prima comunione. Trascorsi quei giorni,cominciava una nuova vita, supportata da un modesto sussidio erogato unatantum al momento della definitiva uscita dalla Casa.

Le regole riguardanti la separazione del convertendo dal suo ambiente fa-miliare e dalla comunita di provenienza avevano una valenza simbolica – la so-litudine ‘‘necessaria’’ al cammino di rigenerazione spirituale intrapreso – oltreche pratica. Complice, probabilmente, l’esame iniziale del catecumeno che se-lezionava e filtrava l’accesso al percorso conversionistico, non risulta peraltroche nel corso degli anni qualcuno tentasse mai di forzare le porte dell’Operamodenese. Per molti di coloro che decisero di entrare nella Casa, l’isolamento,artificiale e costrittivo, vissuto nel periodo del catecumenato non dovette es-sere maggiore di quello reale – familiare, sociale, economico – da cui si cerca-va di sfuggire. Gli spazi fisici che accoglievano i convertiti presso l’ex conven-to di San Geminiano erano piuttosto circoscritti, quasi domestici, costituti dapochi locali: una camera di ingresso, una camera di ricevimento con «un ca-nape da sedere moderno e un piccolo burro [sic] a due cassetti e ribaltino» equindi tre altre stanze destinate a ospitare gli eventuali catecumeni, spartana-mente arredate con «un letto composto di due cavalletti, quattro tavole, pa-

due camere, una cucina, un «granaro da fassi e legna» con una cantina contigua e un sottoscala, sem-pre nei locali dell’Opera.

80 La possibilita di ricevere visite dei familiari, come quella di scrivere o ricevere lettere, eraconcessa solo con l’assenso di un sacerdote presidente dell’Opera.

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gliericcio e materazzo con coperta di filaticcio a righe larghe, usata», «una ta-vola di noce a quattro piedi [...], quattro sedie vecchie [...], tre tende di lino,usate, ma buone [...], un siffone o servitore da notte [...], un quadro bislungoportante i regolamenti disciplinari»; riposti «in un armadiolo, 2 bicchieri,6 tondi e due posate di Princisbek».81

Le novita introdotte dallo statuto del 1816, piu che legate allo spirito deitempi, erano soprattutto il risultato delle condizioni economiche tutt’altro chefloride in cui versava il Catecumeno modenese dopo «lo spoglio totale dellegia furono ricche sostanze dell’Opera, seguito sotto il Governo francese anar-chico repubblicano»82 – situazione che ne la diocesi ne il governo ducalevollero in alcun modo sanare durante i decenni della Restaurazione. Insedia-to sul trono, Francesco IV aveva restituito al Catecumeno «alcuni piccolicapitali fruttiferi di censi invenduti [...] ed alcuni arretrati spettanti a detti ca-pitali», ma si trattava di somme assolutamente insufficienti per sperare disussidiare i neofiti «senza piu ricorrere alla pieta dei fedeli per mezzo di que-stue o come che sia». Il duca non sembrava, in generale, mostrare grande in-teresse nei confronti dell’Opera e della sua missione: nonostante le reiterarerichieste da parte degli amministratori «nulla si e fatto di quanto si sperava»,concludeva afflitto uno dei presidenti, il canonico Ferdinando Bassoli, redi-gendo nel novembre del 1816 un sunto della precaria situazione finanziariadell’ente. Francesco IV non aveva nemmeno modificato l’assai contestata pra-tica, introdotta nel periodo napoleonico, di sussidiare – in modo comunquemodesto – soltanto i vecchi neofiti trascurando i nuovi:

Tenue e, a dir vero, detto assegnamento mensile di lire 10, ma infine e semprequalche cosa per quei che lo percepiscono; laddove per neofiti posteriori [al perio-do rivoluzionario] e specialmente uomini, maritate e vedove e cosa dura il nulla ave-re, il nulla poter sperare dal governo, che di loro in questo particolare non s’inte-ressa affatto.

Nel 1826, facendo riferimento alla situazione finanziaria del passato de-cennio, gli amministratori del Catecumeno stimavano che il reddito annuosu cui l’Opera aveva potuto contare era di circa 1200 lire modenesi,83 cifradecisamente ridimensionata rispetto alle rendite prerivoluzionarie e alle nonindifferenti spese da sostenere. Oltre al mantenimento dell’istituto e dei suoi

81 ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I10.82 Questa citazione e le seguenti sono tratte, dove non diversamente precisato, da ACAMo,

OPC, Registri, 6, p. 7.83 Ivi, p. 8.

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ospiti, in assenza di madrine o padrini che se ne occupassero, gli oneri per lafunzione battesimale erano a carico del Catecumeno,84 sebbene spesso la que-stua organizzata dalla confraternita di San Giuseppe il giorno della cerimoniariuscisse a raccogliere fondi da cui si poteva ricavare qualche donativo da con-segnare al neofita al momento della definitiva uscita dalla Casa. Complessiva-mente pero la situazione economica rimaneva precaria, non permettendo «as-solutamente di accordare a veruno il piu leggero sussidio» dopo il battesimo.

L’unica eccezione, come in passato, era riservata alle neofite nubili: lesomme destinate loro dal legato Barberini permettevano di elargire alle ragaz-ze un sussidio mensile che le avrebbe accompagnate sino al matrimonio, quan-do sarebbe stata concessa loro anche una dote: «Le sole figlie adunque ed an-che le bambine fino al punto in cui si maritino o si facciano religiose hannodiritto: 1º alla mensilita accordata loro dal legato Barberini per la somma men-sile di 50,75 lire modenesi; 2º alla dote di £ 2000 modenesi prendendo stato;3º alla mancia cosı detta delle feste del santo Natale», concessa a tutti ineofiti «sı vecchi sı nuovi». Nel 1826 i beneficiari della mancia natalizia– di cui non conosciamo l’entita – erano 35, 14 uomini e 21 donne; meno dellameta risultava essersi convertita dal 1800 in avanti; la maggioranza era dunquecostituita da neofiti di vecchia data o, molto piu probabilmente, dai loro figli,beneficiari che gli amministratori dell’Opera non esitavano esplicitamente aetichettare nelle loro relazioni come «usurpatori».

In assenza di un piu consistente aiuto della diocesi o del governo ducale,le elemosine dei fedeli continuavano a costituire le principali entrate su cui ilCatecumeno modenese si reggeva, non essendo mutata nel periodo della Re-staurazione la tradizionale scelta di non finanziare l’Opera con contributi for-zosi da parte della stessa comunita ebraica85 – come invece era avvenuto econtinuava ad avvenire per le Case dei vicini territori pontifici.

Stanti tali condizioni economiche, occorreva piu che mai procedere a unaattenta selezione di coloro che bussavano alla porta della Casa: la volonta diguadagnare al cattolicesimo, a qualunque costo, quante piu anime possibilelasciava spazio a considerazioni circa le ristrettezze del momento, che consi-gliavano la massima prudenza e non disdegnavano, come era avvenuto nel pe-riodo napoleonico, una politica di ‘‘respingimenti’’, questa volta gestita total-mente dalle autorita ecclesiastiche, senza interferenze da parte del governo.

84 Nel 1826 la spesa della cerimonia era stimata in 220 lire modenesi, una quota consistenteconsiderata l’entrata media annua del Catecumeno pari a 1200 lire.

85 L’unico eventuale onere imposto alla comunita riguardava il rimborso delle spese sostenutedall’Opera per il mantenimento del catecumeno nel caso in cui questi decidesse di non convertirsi.

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Compito dei presidenti (i dodici sacerdoti amministratori) era quello di «di-singannare a dovere» tutti coloro che, intraprendendo il percorso di conver-sione, speravano con questo di «essere sovvenuti mensilmente dal Catecume-no o da altro luogo pio».86 Le esperienze passate, a detta dello statuto,mettevano in guardia in tal senso:

Poiche l’esperienza ne ha convinti che la maggior parte degli ebrei, e specialmen-te se della classe degli indigenti, vengono al cristianesimo, piu per mire di interesseche per intima persuasione essere la religione cristiana l’unica in cui si possa salvare,indaghino diligentemente li presidenti se chi si presenta dal giudaismo abbia realmen-te tali mezzi di sussistenza onde vivere dopo il battesimo, sicche giammai sia per es-sere di carico a’ fedeli.

«Parlar loro ben schietto si rende indispensabile per le circostanze», pro-seguiva lo statuto; nessun rammarico, pertanto, se cosı facendo qualcuno sidissuadeva e rinunciava al proposito di convertirsi:

Se per tale discorso qualcuno si ritiri dal concepito disegno di farsi cristiano, ditale ritirata non si prendino scrupolo, o pena alcuna, li presidenti, non essendo in loropotere migliorare i tempi o promettere o lusingare di provvidenze delle quali non ap-parisce fondamento veruno.

Cio nonostante, l’assenza di un sostegno economico non costituı, almenoper alcuni ebrei modenesi, motivo sufficiente a rimanere in seno alla comunitadi origine e, come vedremo, il flusso delle conversioni anche negli anni dellaRestaurazione non subı alcuna apprezzabile flessione.

Ai rinnovati capitoli dell’Opera modenese Reggio rispose non mettendomano a nuovi statuti, ma riportando semplicemente in vigore i precedenti re-golamenti, senza alcuna formale modifica. Pur nell’estrema vicinanza geogra-fica delle due citta, le tutele formalmente previste dal nuovo statuto modenesedel 1816 per lungo tempo non trovarono alcun riscontro nei regolamenti ri-portati in vita a Reggio: l’esame iniziale dell’aspirante neofita, da farsi di frontea parenti o a rappresentanti della comunita israelitica per verificare «la fermavolonta del convertito», non venne codificato dalla Casa reggiana sino al giu-gno del 1838, quando un chirografo di Francesco IV, «facendosi carico anchedelle rimostranze avanzategli dal rabbino di Reggio»,87 lo introdusse ufficial-

86 Capitoli dei catecumeni 1816, cap. IX, da cui sono tratte anche le citazioni seguenti.87 Cenno istorico, p. 173, da cui sono tratte le citazioni che seguono. Il duca aggiungeva: «I pic-

coli ebrei non potranno esporre la loro volonta che compiuti i dieci anni e prima di questa eta do-vranno essere assistiti dai piu prossimi loro parenti in mancanza del padre». Inoltre, come a Modena,anche ai catecumeni reggiani potevano essere offerti cibi ebraici.

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mente. Inoltre da quella data si stabilı che, completato il periodo dell’istruzio-ne religiosa affidata a un sacerdote indicato dal vescovo – periodo «assai piulungo di quanto praticavasi per lo passato» –, si procedesse a un secondo esa-me, sempre alla presenza dei parenti e del rabbino; molte volte pero «nessunodella nazione israelitica era intervenuto, quantunque sempre invitato».

Alla carenza di tutele che per molti anni segno l’operato dell’istituto reg-giano faceva da contraltare una paternalistica attenzione per le sorti dei con-vertiti, che si traduceva, rispetto al caso modenese, in un piu concreto e co-stante sostegno economico e professionale:

Dopo il battesimo, a stretto rigore degli antichi regolamenti, i neofiti adulti nondovrebbero continuare a rimanere in Catecumeno che un solo anno; ma una lungaesperienza ha convinto che non conviene abbandonarli sı presto a loro medesimi prividi mezzi, massime le donne, mentre la spesa che incombe nel trattenerli piu a lungonello stabilimento, viene largamente ricompensata da migliore riuscita e dall’evitareeziandio di doverli di poi sussidiare sinche vivono o giungono ad avere mezzi propri,o di vederli andare raminghi e tapini non senza scandalo per l’abbracciata religione,che se poi dipende da cattiva volonta l’Opera pia non ha mancato ne manca di essereloro madre [...] Si e fatta inoltre costante osservazione che i neofiti riescono difficil-mente nelle arti meccaniche, ma sibbene nel commercio, nelle arti liberali e nellescienze [...] In generale le donne riescono a meraviglia nell’adoprarsi l’ago e nei di-versi lavori propri al loro sesso.

Se il diverso atteggiamento delle Opere di Modena e Reggio nei confrontidei neofiti era frutto della differente filosofia che dalle origini informava ilcomportamento delle due Case, durante la Restaurazione la situazione econo-mica dei due istituti acuı lo scarto: nel corso di tutto il 1822 per sostenere i 35neofiti modenesi, l’Opera cittadina aveva impegnato 740,40 lire;88 piu deldoppio di tale somma, 1532,30 lire, era stato utilizzato nel 1819 per sussidiarei 26 convertiti reggiani,89 che dunque mediamente potevano contare su uncontributo piu consistente. La maggiore generosita dell’Opera reggiana nonne avrebbe tuttavia frenato i comportamenti arbitrari e ben presto si sarebbe-ro riaffacciate antiche pratiche, da cui nemmeno Modena sarebbe stata esente.

88 ACAMo, OPC, Amministrazione, 3/a, f. «Stato attuale della cassa catecumeni». Si tratta delbilancio dell’Opera modenese a tutto il 1822.

89 AIRete, PLC, Recapiti di pagamenti, filza III, foglio «Neofiti sussidiati mensilmente da que-sto istituto». Nel 1819 l’importo del sussidio reggiano, solitamente elargito mensilmente, variava daneofita a neofita: da un minimo di 3 lire a un massimo di 29 lire al mese (destinate ad esempio aMarianna Giardini, gia Venturina Fontanella, in quanto ritenuta piu bisognosa essendo «malata cro-nica»). Le somme impegnate dalle due Case a sostegno dei neofiti sono in questo periodo raffronta-bili poiche, a seguito di un decreto del 21 dicembre 1807, nelle due citta del ducato veniva utilizzato,a differenza che in passato, il medesimo conio: la cosiddetta lira italiana. Cfr. MARTINI 1883, p. 573.

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TEMPI NUOVI, PRASSI ANTICHE: I BATTESIMI CLANDESTINI NEL DUCATO ESTENSE

Gli anni della Restaurazione furono contraddistinti dalla ricomparsa di unfenomeno che la frattura 1796-1814 aveva solo momentaneamente interrotto:i battesimi clandestini di minori. I dettagliati statuti dell’Opera modenese del1816 non facevano menzione di simili casi, ne quelli reggiani, fermi all’epocaprerivoluzionaria, affrontavano in qualche modo la questione, che pure si pro-pose in entrambe le citta del ducato. Due episodi si verificarono a Modena– quello di Grazia Camerini, nel 1816, e di Angelo Sanguinetti, nel 1824 – etre casi videro coinvolta la comunita ebraica di Reggio – Saporina De Angelinel 1814, Samuele Diena nel 1837 e Pamela Moroni nel 1844.

Nelle pagine che seguono queste vicende saranno ripercorse velocemente,poiche le circostanze che portarono a estorcere tali battesimi non differivanoin nulla dagli schemi del passato – i battesimi erano frutto dell’atto abusivo dinutrici o serventi cristiane impiegate presso famiglie ebraiche, che avevano im-partito di nascosto il sacramento – cosı come non appaiono mutare gli stru-menti con cui i genitori delle vittime, solitamente con l’appoggio dell’interacomunita, tentarono inutilmente di difendersi: suppliche al duca, appelli alpontefice, presentazione della precedente trattatistica e giurisprudenza in ma-teria, tentativi di screditare la reputazione delle protagoniste degli abusi. Aqueste date, poi, non si avverte il minimo mutamento nell’atteggiamentoe nelle pratiche tenute dalle autorita ecclesiastiche di fronte a vicende del ge-nere: il ritenere che il sacramento fosse stato regolarmente impartito e la pre-minenza del favor fidei su ogni altro possibile criterio rappresentarono il mo-dus operandi adottato. Si tratta percio di comprendere se nel comportamentoseguito di volta in volta dal duca, che rappresentava l’arbitro ultimo di questiepisodi (erano gli uomini della polizia di Francesco IV a prelevare material-mente i minori dalle loro case), incisero concrete motivazioni strategico-poli-tiche, oltre che ideologiche, inerenti ai rapporti con l’autorita religiosa, sia lo-cale che romana. L’immagine riflessa dalle fonti e che gli ebrei finirono peressere in realta pedine, spesso del tutto accidentali, all’interno dell’evolversidi un piu ampio e complesso reticolo di relazioni che legava l’autorita gover-nativa a quella religiosa. Proprio per il carattere strumentale con cui la que-stione dei rapporti con la minoranza israelitica venne di volta in volta gestita(o semplicemente ignorata) dal duca, gli ebrei finirono per essere doppiamen-te vittime.

In tal senso, i battesimi di Saporina De Angeli e di Grazia Camerini regi-stratisi, non a caso, nei primi mesi della Restaurazione possono essere letti co-me il suggello dato dalla Casa d’Este alla rinnovata alleanza tra trono e altare.In entrambi i casi, Francesco IV, lontano dal volere ingaggiare un braccio di

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ferro con le autorita ecclesiastiche, si dimostro solerte e prono ad accettare leindicazioni vescovili e pontificie che lui stesso, almeno in un’occasione, avevasollecitato.

Figlia di Giacobbe e Consola Neppi, Saporina De Angeli venne sottrattaalla famiglia all’eta di 8 anni dopo che una servente aveva rivelato al proprioconfessore di avere clandestinamente battezzato la piccola all’eta di un anno,poiche reputata in pericolo di vita. Nel novembre del 1814, su ordine del go-vernatore di Reggio, i soldati prelevarono la bambina dalla casa paterna e lacondussero presso il Catecumeno cittadino. La comunita ebraica reggiana in-vio, a nome del padre, una supplica al duca, allegando una copiosa documen-tazione, per lo piu tardosettecentesca, che testimoniava la giurisprudenzaadottata in favore degli ebrei in casi analoghi, sebbene in altri contesti geogra-fici. La supplica menzionava anche i privilegi «accordati da Sua Altezza Sere-nissima Ercole III alla Nazione Ebrea di questa citta», che prevedevano severepunizioni da infliggersi a chi si rendeva colpevole di simili azioni:90

Non vogliamo – aveva decreato l’antico sovrano – che in avvenire niuno di checondizioni, sesso e qualita esser si voglia ardisca per effetto di malizia e di soverchiozelo di religione battezzare li fanciulli ebrei non giunti all’eta legittima contro la vo-lonta dei loro genitori e contro i dettami di tutte le leggi e, battezzati, rapirglieli e ri-tenerglieli [...] sotto pena di 500 scudi d’oro, della fune, frusta, berlina e della galeraancora secondo che parera al retto giudizio di chi vorra giudicare [...] da applicarsirispetto alla pena pecuniaria per due terzi alla nostra Ducal Camera e per l’altra al-l’accusatore segreto o palese, nelle quali rispettive pene si intende ancora incorsa ognialtra persona che prestasse opera, favore, consiglio, assistenza anche minima.91

Il riferimento alla stagione giurisdizionalista di Ercole III non impressionoaffatto il nuovo duca, che trovo persino impropria la consueta prassi della co-munita ebraica di agire collettivamente in nome dello sfortunato padre; per-che la sua supplica potesse essere ascoltata, Giacobbe De Angeli avrebbe do-vuto scrivere, secondo il sovrano, a titolo esclusivamente individuale. Il2 novembre del 1814 la Segreteria di Gabinetto di Francesco IV rispondevainfatti:

I diritti di patria potesta si vogliono conservati illesi ugualmente per gli ebrei chepei cristiani, ma se nel fatto di cui trattasi potessero essere lesi, avrebbero loro diritto

90 Nella supplica la comunita ebraica chiedeva il rispetto degli articoli riguardanti i battesimiforzati presenti nel regolamento siglato, nell’ottobre del 1796, dai massari di Modena e Reggiocon il governo repubblicano.

91 Il testo della supplica in cui sono menzionati i privilegi di Ercole III su citati e conservato inACEMo, b. 15,4.

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di reclamare i genitori ed a loro soltanto si renderebbe conto dell’operato e non gia aidue deputati ebrei, che non vi entrano per nulla e le cui rappresentazioni non si ac-cettano in affare che non li riguarda.92

Nel gennaio del 1815 Francesco IV decise di rivolgersi al pontefice, unatto di per se non neutro, che testimoniava la piena disponibilita e volontadel sovrano estense di rimettersi all’autorita papale, verosimilmente per gua-dagnarne il favore. Per mezzo di una memoria firmata dal prosegretario diStato di Pio VII, il cardinale Bartolomeo Pacca, l’11 marzo successivo perve-niva al duca la ‘‘sentenza’’ che chiudeva la vicenda senza ulteriori discussioni:

Avendo Sua Santita il tutto maturamente considerato, non ha esitato un momen-to a decidere che ottima e ben lodevole e stata la condotta tenuta dal signor gover-natore di Reggio, come quella, appunto, che in altri simili casi e stata costantementeprescritta da questa Santa Sede in coerenza dei piu saldi dogmi e invariabili principidella cattolica religione.93

Il «qualsivoglia preteso diritto di patria potesta» a favore «della tollerataGente circoncisa» veniva velocemente respinto poiche – continuava la memo-ria – nulla poteva rispetto «al diritto divino». Le parole del cardinale diveni-vano oltremodo beffarde quando aggiungevano:

E pero da osservarsi che quanto sono provvide le leggi ecclesiastiche a favore del-la nazione judaica [...] cosı incauti sono gli ebrei nel guardare i loro figli, lasciandolisovente soli con persone cristiane, dond’e che alla loro stessa negligenza piu che al-l’indiscreto zelo di qualche cristiana, e in niun modo a difetto delle ecclesiatiche leggi,attribuirsi si debbono quelli incovenienti.94

Le righe conclusive della lettera erano rivolte al duca del cui zelo il pon-tefice non poteva che rallegrarsi:

Che se alcuni principi cristiani hanno talvolta deviato nelle loro sanzioni dalle so-pra espresse massime e tracce, Sua Santita non puo che compiangerne nel profondodel suo cuore il cattivo contegno e la sorte infelicissima nel riflettere a quel tremendogiudizio di Dio che ne avranno subıto, come altrettanto si compiace e si rallegra dellozelo per la cattolica religione dimostrato da Sua Altezza Reale nella disposizione diuniformarsi ai sicuri dettami della cattedra di verita [...] Confida Sua Santita nello ze-lo e religione di Sua Altezza Reale che non vorra giammai revocare la misura presa dal

92 ACEMo, b. 15,4.93 ACRE, OPC, 1802-1883, filza 3.94 Ibid.

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signor governatore di Reggio ne fare consegnare alla perdizione in mano agli ebreiquell’innocente fanciulla.95

Il 15 aprile del 1815, ricevute le cerimonie supplettorie del rito batte-simale nel duomo di Reggio, Saporina divenne, definitivamente, Maria Lui-gia Angiolini. Nel caso De Angeli c’e pero un particolare di non immediatalettura: non solo il fratello diciottenne di Saporina, Isach, nel 1822 decisespontaneamente di convertirsi, ma nel 1833 anche la sorella Deborah, ven-tottenne, abbandono definitivamente il ghetto reggiano. All’epoca del rapi-mento di Saporina, Isach e Deborah avevano rispettivamente nove e undicianni, un’eta sufficiente a ricordare lo strazio vissuto dai genitori di frontealla perdita cosı traumatica della figlia piu piccola. In mancanza di infor-mazioni sulle condizioni economiche della famiglia De Angeli e sul destinodi Saporina dopo il battesimo, non e facile comprendere le ragioni del ge-sto: forse ormai scomparsi i genitori, Isach e Deborah, per ragioni affettive,volevano ricongiungersi con la sorella ‘‘perduta’’ anni prima o forse la nuo-va condizione sociale della neofita costituiva per i due un incentivo a com-piere tale passo. Questa ipotesi non sembra tuttavia la piu attendibile, poi-che ancora nel 1859 tutti e tre i fratelli risultavano sussidiati dall’Operareggiana in quanto in condizioni disagiate.96 Di certo, il trauma patito acausa di quei lontani e laceranti avvenimenti del 1815 non costituı perIsach e Deborah una ragione per non intraprendere il percorso conversio-nistico.

Il caso di Grazia Camerini, sottratta dalla polizia ducale dalla casa del pa-dre nel gennaio del 1816 all’eta di sette anni e condotta presso il Catecumenomodenese, non si discosta troppo da quello di Saporina. Toccante, quantoinutile, fu la supplica inviata dal padre Abram al sovrano:

Lo sviscerato ed irresistibile amore di padre conduce lo sfortunato Abram Ca-merini ebreo modenese ai piedi di Vostra Altezza Reale. Egli invio a Vostra AltezzaReale gia le sue suppliche per avere la comunicazione degli atti relativi alla di lui fi-glia Grazia [...] E un padre, Altezza Reale, un padre che ama teneramente i suoi figlie che ha su questi i diritti della patria potesta che domanda di conoscere fatti, atti percui una innocente figlia fu strappata dalle sue braccia e viene gelosamente guardata ecustodita lontano dalla sua famiglia. Questo riflesso commuova il cuore sensibile egeneroso di Vostra Altezza Reale e doni a questo padre infelice il conforto di saperecome e perche debba egli fatalmente perdere una figlia, che formava la delizia del

95 Ibid.96 Cfr. AIRete, PLC, Recapiti di pagamenti, filza III.

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suo cuore e che poteva forse essere un giorno il sollievo e il conforto dell’ultima suavecchiezza.97

Questa volta non fu necessario ricorrere all’intervento romano e il ducadecise senza indugi, memore probabilmente del benestare giuntogli da Romal’anno precedente per il caso De Angeli. Occorsero cosı solo pochi giorni dalricevimento della supplica perche Francesco IV chiudesse, sbrigativamente, laquestione:

La segreteria di Gabinetto di Sua Altezza Reale il Serenissimo duca di Modena eReggio notifica a Camerini Abram ebreo sull’oggetto della supplica da lui rassegnata aSua Altezza Reale [...] nella quale domanda per ottenere comunicazione degli atti re-lativi alla figlia che le e stata distaccata e posta in Catecumeno quanto segue: si avratutta la cura per la figlia, ma non si puo per ora restituirla in casa.

Abram Camerini non avrebbe piu rivisto la figlia, che nel febbraio del1816 assunse l’identita di Anna Cristiani. La giovane fu quindi condotta pres-so il convento cittadino delle monache domenicane, dove, sempre sostenutadal Catecumeno, sarebbe rimasta in qualita di «dozzinante» per il resto dellasua non lunga vita. Nel 1844, a soli 34 anni, Anna moriva, lasciando ad alcunepagine manoscritte il proprio testamento.98 Avendo trascorso la sua intera esi-stenza presso il convento delle monache era in quello stesso luogo – «nel corointerno della Chiesa» – che desiderava essere sepolta. L’affetto per la famigliacui era stata strappata riaffiorava nelle parole dedicate all’«amatissimo padre,signor Abram» cui lasciava, a titolo di legato, «tutto quanto le vigenti leggiprescrivono che gli debba competere a titolo di legittima».99 Ma era soprat-tutto al Catecumeno che i pensieri della neofita erano rivolti; l’istituzioneera infatti nominata dalla donna quale erede universale del «tenue patrimonioche a forza dei risparmi annuali erasi procurato per lei». L’usufrutto della pic-cola eredita veniva destinato da Anna al sostegno degli ebrei convertiti; in par-ticolare, la sua speranza era che tali somme potessero un giorno andare «a

97 ACEMo, b. 15,4 (12 febbraio 1816); nello stesso fascicolo si trova anche la risposta ducalecitata di seguito.

98 ACAMo, OPC, Rogiti, IV (h). Dagli atti testamentari di Anna Cristiani sono tratte tutte lecitazioni seguenti.

99 Le norme in vigore prevedevano la possibilita che la neofita testasse a favore di congiuntirimasti nell’ebraismo. Dai documenti notarili si apprende che, in questo caso, la legittima fu effetti-vamente devoluta ad Abram Camerini. Dal resoconto circa gli attivi e passivi del patrimonio di AnnaCristiani, stilato dal notaio che registro e aprı il testamento, si apprende inoltre che, ancora in vita, laneofita aveva impiegato «contanti a beneficio del di lei padre», a testimonianza della persistenza dilegami e rapporti che la conversione non aveva evidentemente reciso.

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profitto di mio padre, o di mia sorella o di lei figli e nipoti, quando succedesseloro la bella sorte di questo beato passaggio dalla religione israelita alla nostrareligione cristiana».

Uno scenario di meschino risentimento sembra invece fare da sfondo alcaso di Angelo Sanguinetti, avvenuto ancora a Modena nell’autunno del1824. Il piccolo Angelo, ritenuto in fin di vita, fu battezzato dalla giovane do-mestica di casa Sanguinetti, Vittoria Sala – dissero che «tutto al piu non po-teva sopravvivere che fino a giorno», avrebbe sostenuto in seguito la don-na.100 Non appena il suo gesto fu noto al vicario diocesano, il bambinovenne sottratto alla famiglia, la quale tento inutilmente di difendersi dimo-strando alle autorita ecclesiastiche cittadine la scarsa attendibilita di Vittoria,donna di pessima reputazione:

La pubblica voce e notorieta qualifica questa donna per meretrice – scrisse il pa-dre di Angelo al vescovo di Modena –; per questo titolo venne piu volte precettata epunita con espulsioni e con carcere dal Buon Governo, e per questa causa medesimafu scacciata da casa e servigio dell’oratore nel 22 agosto [1823] prossimo passato, co-me di tutto si dara piena prova col mezzo di testimoni [...] Narrano che di lı a pochigiorni e mentre le scaldava anche il petto quel risentimento che l’espulsione clamoro-sa, quanto meritata, dalla casa del ricorrente le aveva evitato, siasi fatta a deporre d’a-vere molti mesi dietro amministrato al bambino il battesimo, mentre era in forse divita. Ma sebbene sia vero che ne’ primi giorni soccombesse egli ad una delle ordinariemalattie degl’infanti [...], altrettanto e vero che in quei brevi giorni mai fu lasciato ilbambino in liberta della donna surriferita, potendo giurar la madre ed offrendosi digiurare l’intera famiglia che di notte e giorno il fanciullo fu curato e vigilato dalla ma-dre stessa [...] Cio posto, l’Eccellenza Vostra Reverendissima [...] comprendera age-volmente qual fede si meriti il detto della denunciante e di quale tristissimo esempiosarebbe il concedere ad un testimonio di questa natura la facolta di turbare a suo gra-do la quiete di tante famiglie.

La memoria inviata dalla famiglia alle autorita vescovili citava quindi la«bolla» di Benedetto XIV del 28 febbraio 1747 – l’istruzione Postremo mense –che, tra le argomentazioni a (parziale) tutela dei genitori cui venivano sot-tratti e battezzati i figli, prevedeva che il testimone del sacramento dovesse es-sere persona degna di fede. La memoria dei Sanguinetti cosı concludeva: «Nelsoggetto caso dee ritenersi inefficace il detto di questa donna perche, in ag-giunta all’infamia a lei scolpita in fronte pel tenore di sua vita peccaminosae vilissima, sorge altra legale eccezione per l’astio che conservo contro la fami-

100 ACDF, S.O., D.B., 12 (1823-1827), f. 21, da cui sono tratte le citazioni che seguono.

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glia e persona dell’oratore della di lei espulsione [...] che facilmente avra ten-tato di soddisfare a mezzo d’una calunnia».

Il riferimento all’istruzione di papa Benedetto XIV non era tra gli appi-gli piu consoni cui la famiglia poteva ricorrere, poiche il medesimo testoprescriveva – come tutt’oggi, del resto, prescrivono le norme canoniche 101 –la piena liceita del battesimo conferito ai bambini acattolici davanti al ri-schio di morte. La famiglia Sanguinetti non si arrese e decise di ricorrereall’intervento romano del Sant’Ufficio. La congregazione, lodato il compor-tamento del vescovo modenese, il 29 aprile del 1825 chiudeva velocementela vicenda ritenendo il sacramento validamente impartito.102 Come nel casoDe Angeli, un episodio verificatosi negli anni seguenti risulta di non imme-diata lettura: il piccolo Angelo non fu l’unico membro della famiglia Sangui-netti ad abbandonare la comunita: nel 1854, anche il fratello Samuele siconvertira, questa volta spontaneamente, all’eta di 18 anni.103

Il battesimo clandestino di Angelo fu l’ultimo che coinvolse la comunita diModena.104 Sebbene proprio nel corso degli anni Venti e Trenta dell’Otto-cento gli ambienti del cattolicesimo intransigente cittadino – come si dira inseguito – fossero largamente impegnati nel tentativo di riconquista della socie-ta, considerando l’andamento complessivo dei battesimi tale progetto non sitradusse in un significativo aumento della pressione conversionistica, ne favorıil ripetersi di atti violenti e arbitrari come quelli registrati nei primi anni dellaRestaurazione. La triste staffetta dei battesimi forzati sarebbe passata nellemani della Casa reggiana, protagonista degli ultimi episodi su cui ci si soffer-mera.

«Venne per ordine governativo, il giorno d’Ognissanti del 1836, condottoin Catecumeno un fanciullo di circa sette anni, chiamato Samuel di DavidDiena di Reggio».105 Un uomo che frequentava la casa, e che asseriva di essere

101 La validita del battesimo conferito a un bambino in caso di pericolo di morte contro la vo-lonta dei genitori – anche se acattolici – e stata ribadita nel 1980 dalla Congregazione per la Dottrinadella Fede con l’Instructio de baptismo parvulorum, recepita quindi dal nuovo Codice di diritto ca-nonico emanato da Giovanni Paolo II nel 1983 (can. 868, § 2). Le norme previste dal testo del 1983,a loro volta, nulla mutano rispetto al precedente Codice di diritto canonico del 1917 (can. 750). Cfr.ZENDRI 2011, pp. 1-27; RIVELLA 1996.

102 Angelo Sanguinetti assunse l’identita di Luigi Giuseppe Azzaroni.103 Samuele, poi divenuto Alessandro, portera lo stesso cognome (Azzaroni) dato anni prima al

fratello. Per la sua storia vedi infra, p. 197.104 Sembra che nel corso dello stesso 1824 la supplica inviata al duca dal modenese Amadio

Castelfranco affinche gli fosse restituito il figlio «battezzato da un garzone di bottega» sortisse l’ef-fetto sperato, poiche il nome del giovane Castelfranco mai comparira nell’elenco dei battezzati (ACE-Mo, b. 15,1, f. B, «Documenti provenienti dal doverno. Suppliche ed altro col medesimo»).

105 Cfr. Cenno istorico, p. 173, da cui sono tratte le citazioni che seguono.

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il padre naturale del bambino, gli aveva nascostamente amministrato il sacra-mento. La madre, Venturina Moravia, non pote testimoniare perche scompar-sa da qualche tempo e il vescovo, «avendo una morale certezza del batte-simo», non reputo necessaria nessuna ulteriore indagine. Come gia inpassato, l’Opera cittadina diveniva ufficialmente la «madre» dei piccoli sot-tratti ai genitori:

I fanciulli, se non chiamati da’ loro genitori convertiti, ma condotti in Catecume-no da circostanze estranee alla loro volonta, vengono adottati, come figli del Pio luo-go, e ivi rimangono sinche sieno altrimenti provveduti.

Riconosciuto il «talento non comune» del bambino, divenuto ormai Gio-vanni Valeri, il Catecumeno decise di investire notevolmente nella sua educa-zione, sostenendolo a lungo presso il locale istituto dei Gesuiti, dove Giovan-ni, a diciassette anni, concluse gli studi filosofici «con plauso universale dellascolaresca tutta, dalla quale era amato e stimato». «Pel di lui speciale merito»,il governo estense acconsentı a che l’Opera continuasse a coprire le spese dellasua educazione stanziando, nel 1847, 200 lire perche il ragazzo potesse esseremantenuto «a dozzena» presso il Regio Convitto Medico-Militare. Nel 1848 ilgiovane «propugno la causa italiana nei campi di battaglia»106 e rientrato inpatria, sempre sottoposto alla cura del Catecumeno, venne inviato all’Univer-sita di Modena per continuare i suoi studi «con onore e distinzione quando,nel 1852, conseguı la laurea dottorale nelle matematiche [...] Egli aspirava aduna cattedra e ne era ben degno e meritevole, ma immatura ed acerba mortelo tolse ai vivi, all’onore della patria e del Catecumeno il 14 agosto del 1854,universalmente compianto».

Sembra infine un orizzonte di vendetta simile a quello gia visto per AngeloSanguinetti, a fare da sfondo all’ultimo caso di battesimo clandestino che si re-gistro nei domini estensi. Nel luglio del 1844, Pamela Moroni, di soli 18 mesi,venne sottratta alla famiglia a causa della confessione della domestica Cateri-

106 E piuttosto singolare che la partecipazione del giovane alla «causa italiana» tra i volontariche si unirono alle truppe piemontesi non fosse, evidentemente, motivo di un suo allontamentodal Catecumeno, ne della cessazione dei sussidi economici accordatigli dall’Opera. Con lo scoppiodei moti del febbraio del 1848 anche Francesco V lascio Modena, ritirandosi a Bolzano e nominandoun governo provvisorio. La sconfitta dei piemontesi a Novara porto al ritorno della corte nella capi-tale e la punizione dei protagonisti della rivolta. L’informazione circa la condotta patriottica del gio-vane Diena e tratta, come detto, dal Cenno istorico scritto dall’ultimo presidente dell’Opera e acclusoalle carte da questi consegnate nel 1865 alle autorita municipali, prima che l’ente venisse definitiva-mente soppresso. Non e da escludere un tentativo da parte dei responsabili del Catecumeno di ‘‘gio-care’’ la carta patriottica nella speranza di gettare una luce migliore sull’istituzione, allora fortementecontestata.

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na.107 Quest’ultima, una giovane di 24 anni, era stata a servizio dalla famiglia Mo-roni soltanto per una decina di giorni nel giugno precedente e ne era stata velo-cemente allontanata – sostenne il padre di Pamela, Abram Moroni – per la pes-sima reputazione che la circondava. «La menzogna [come] carattere abituale», ilmatrimonio con un calzolaio etichettato nelle fonti ebraiche come «delinquente»e un passato di piccole truffe e furti, sconsigliavano la famiglia Moroni dal man-tenere Caterina, «bastarda di nascita», presso di se. Nei dieci giorni trascorsi inquella casa, testimonio la giovane nell’interrogatorio di rito, «mi affezionai tantoche desideravo di mettere in salvo l’anima di quella fanciullina».

Se il padre della piccola Pamela non fu mai messo direttamente a confron-to con Caterina, sempre interrogata alla sola presenza delle autorita religiose,non furono ascoltati neppure i testimoni da lui indicati. Le dichiarazioni a so-stegno della buona condotta e della moralita della giovane esibite dal suo par-roco, dal suo confessore e dal conte Scapinelli, che l’aveva avuta a servizio pertre anni, furono ritenute valide e attendibili. Nei ripetuti interrogatori cui fusottoposta, Caterina dette prova di sapere tenere testa alle domande, rigettan-do con precisione le accuse di furto e truffa mosse contro di lei dai testimoniindividuati dalla famiglia Moroni (si trattava del furto di una veste di percallee di un ombrello usato sottratti a un’ortolana). In filigrana, talvolta, si potevaintravedere un’ostilita nei confronti dei suoi ex datori di lavoro: «E vero chequando trovavasi a servizio degli ebrei abbia detto di servire invece una fami-glia cristiana?», chiedeva il delegato vescovile. «E vero – confessava Caterina –che ho detto cio, perche mi vergognavo di esser serva agli ebrei e procuravo ditenerlo nascosto». Il suo gesto, continuava la giovane, le era valso peraltro lariprovazione di molti: «Da tante parti sono stata rinfacciata».

Alla crudelta dell’atto subito, per la famiglia Moroni si aggiungeva, se pos-sibile, anche la beffa. Mesi dopo, il 21 gennaio 1845, veniva recapitata alla co-munita reggiana la seguente ingiunzione di pagamento da parte dell’ammini-strazione del Catecumeno:

L’amministrazione dell’Opera pia del catecumeno reclama giustamente una pre-stazione per la giovinetta Pamela Moroni a carico del di lei padre, rimanendo essa tut-tora a carico dello stabilimento. Il padre adduce sin dal luglio scorso per esimersi daqualunque carico, ma cio non e sufficiente a comprovare la aperta impotenza che nonpotrebbe d’altronde definirsi che da un regolare inventario di tutte le sue spettanze.108

107 La documentazione piu ricca riguardo al caso e conservata in ACRE, OPC, 1802-1883, fil-za 3, f. Pamela Moroni. Quando non diversamente indicato, e da questo fascicolo che sono trattele citazioni seguenti.

108 ASRE, Universita Israelitica, Archivio nuovo, b. 25/2, f. I, «Battesimi forzati e volontari»(1845-1860).

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La lettera era indirizzata al rabbino reggiano Jacob Carmi, cui si chiedevadi fare da intermediario con Abram affinche questi provvedesse al pagamentoprima che l’Opera procedesse con «efficiente misura» (probabilmente un se-questro di beni). Non sappiamo se il padre di Pamela si risolse a contribuirealle spese per la detenzione della figlia; certo e che la vicenda si trascino an-cora per tre anni. Le comunita – fu infatti coinvolta anche quella modenese –tentarono di ottenere l’appoggio di illustri membri dell’ebraismo internazio-nale (una lettera fu inviata al barone viennese Salomon Mayer Rothschild eal filantropo Moses Montefiore) e si mobilitarono economicamente per soste-nere, a Roma, la causa della famiglia.109 Di questa fase e rimasta soltanto lamemoria stesa nell’agosto del 1845 dal vescovo di Reggio Filippo Cattani einviata alla congregazione del Sant’Ufficio.110 Nelle parole del prelato la bam-bina «era stata liberata dalla schiavitu del demonio», Caterina non era stataallontanata dalla famiglia, ma si era «licenziata spontaneamente dal servigio»e, soprattutto, le testimonianze portate dalla famiglia per denigrare la figuradella giovane dovevano considerarsi del tutto inattendibili:

Non debbo pero dissimulare [...] che gli ebrei, vedendo inutili i mezzi adopratiper riuscire nel loro intento, si appigliarono ad altri estremi: [...] il primo, di corrom-pere il marito della Caterina con promesse ed offerte non piccole di denaro; poscia, lereplicate minacce alla stessa battezzante, per indurla a negare il fatto minacciando dipercuoterla e di privarla di vita qualora l’avessero incontrata per istrada [...] Aggiun-go inoltre che gli ebrei corruppero con denaro la piu parte dei testimoni da essi loroindicati a essere esaminati.

In ogni caso, qualunque fosse stata la reputazione e la condotta di Cate-rina, per le autorita diocesane «la validita del sacramento conferito non [era]vincolata alle qualita morali del ministro, ma all’intenzione di questi nell’atto,alla forma prescritta e materia». Alla fine la Curia reggiana conquisto l’animadella piccola Pamela, che ricevette i riti supplettivi del battesimo il 13 dicem-bre 1847. La bambina, cui fu dato il nome di Adele Lanzoni, fu quindi ricon-dotta in Catecumeno dove risiedette per molti anni – ancora nel dicembre del1858 Adele, sedicenne, risultava ospite dell’Opera.111

L’arrivo del nuovo duca Francesco V, salito al trono nel gennaio del 1846,quando la vicenda Moroni non era ancora conclusa, non muto sostanzialmen-

109 Ne la documentazione dell’archivio romano del Sant’Ufficio ne quella dell’Archivio SegretoVaticano conservano tracce del caso Moroni.

110 ACRE, OPC, 1802-1883, filza 3, f. Pamela Moroni.111 Cfr. Cenno istorico, p. 171.

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te il clima nei confronti degli ebrei.112 Il 21 ottobre del 1851, accluso al testodel nuovo Codice civile per gli Stati estensi, il cosiddetto Editto sovrano sopragli ebrei113 ribadiva interdizioni e discriminazioni a danno della minoranza.Non e probabilmente un caso che, solo pochi giorni dopo, il 28 ottobre,pur in assenza di nuovi casi contestati, i rappresentanti delle comunita di Mo-dena e Reggio presentassero congiuntamente al duca un ennesimo appellocontro la pratica dei battesimi clandestini, a testimonianza della percezionedi una minaccia che, alla luce di avvenimenti non lontani e della pesante cor-nice normativa riaffermata dall’Editto, non si considerava affatto estinta:

E dunque contro tale pericolo che noi supplichiamo caldamente l’Altezza VostraReale di porre un riparo. Che almeno per l’avvenire il mostro che non s’arresta all’i-dea delle paterne lagrime e del biasimo universale, che non fa caso alle ripetute proi-bizioni e alle spirituali pene minacciate da tanti sommi pontefici sia spaventato allacertezza che una rigorosa punizione li aspetta.114

Solo la definitiva emancipazione giuridica, giunta con la caduta del ducatoalla fine del 1859, avrebbe finalmente allontanato «il mostro».115

LA STRETTA INTRANSIGENTE E I NUOVI STATUTI DELLA CASA MODENESE

Mentre la Curia di Reggio Emilia contendeva alla famiglia Moroni l’animadella piccola Pamela, nell’estate del 1845, il vescovo di Modena Luigi Reggia-nini116 decideva di dare alle stampe nuovi capitoli per il Catecumeno cittadi-

112 In merito alle conversioni, si veda soltanto il chirografo di Francesco V del 27 novembre1849 che prescriveva di dover avvertire «l’autorita delegatizia» (la polizia) nel momento in cui unebreo chiedeva di entrare nel Catecumeno, reggiano o modenese.

113 Una copia in ASMo, Stampe, tomo 36 (1851-1853), n. 7.114 ASRE, Universita Israelitica, Archivio Nuovo, b. 25/2 (1845-1860).115 E utile segnalare un ulteriore caso di battesimo clandestino, questa volta sventato, avvenuto

a Reggio Emilia nel giugno del 1856. Come in passato era stato lo zelo di una servente a far ammi-nistrare il sacramento al piccolo Leopoldo Finzi. Le indagini svolte dal governatore della citta furonodecisive poiche, come egli stesso scrisse al vescovo, tali e tante erano le contraddizioni sui tempi e iluoghi in cui la domestica sosteneva di aver impartito il battesimo al bambino che era fuori di dubbioche mentisse («la giovane – aggiungeva il governatore – e di tale qualita da non dover meritare tuttaquella fede che si attribuirebbe ad altre»; cfr. AIRete, OPC, 1802-1883, filza 3, f. Finzi Leopoldo).

116 Su Luigi Reggianini (1775-1848) esiste una scarna voce in EC, X, p. 642. Cfr. inoltre CASOLI

1902, RUSSO 1981. Formatosi presso il seminario di Modena, fu tra i fondatori del periodico Memoriedi religione. Confessore dei principi estensi dal 1814 sino alla morte, nel 1831 fu posto al fianco delvescovo Adeodato Caleffi, ritenuto dagli ambienti intransigenti cittadini troppo moderato. Nel 1834,su pressioni di Francesco IV, assunse la direzione del seminario e, nel 1837, fu nominato vescovo diModena. Negli anni in cui la sua influenza sulla diocesi si fece decisiva, notevoli furono le concessioni

CAPITOLO QUARTO

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no,117 disposizioni che, sotto molti aspetti, apparivano piu stringenti e severe diquelle emanate quasi trent’anni prima (Fig. 7). Alle poche significative paroleche, nello statuto del 1816, davano voce alla consapevolezza dei rivolgimenti fi-gli dell’esperienza rivoluzionaria, i capitoli del 1845 sostituivano una introdu-zione piu ampia, quasi a voler ribadire la presenza di un potere ecclesiastico or-mai solidamente restaurato. Il lessico tornava quello tradizionale e sedimentatoda secoli di antigiudaismo: si trattava di combattere «l’ostinata perfidia» degliebrei, «sollevandone le basse speranze alle promesse infallibili di un’eterna ce-leste eredita», di sottrarli «alla superstizione talmudistica» e di accrescere le«cure [...] verso i traviati ed accecati figli d’Israele, affin [...] di cambiarne il vec-chio uomo materiale nell’uomo spirituale tolto dalla servitu ed innalzato alla di-gnita». Occorreva quindi «cooperare [...] affine di condurre alla luce della sa-lutar verita quei miseri fratelli di Adamo i quali non in lontane e barbareregioni, ma in mezzo alla nostre contrade e nelle nostre mura stannosi tutt’oraimmersi purtroppo nelle tenebre della superstizione e dell’infedelta».118

Molti erano i cambiamenti rispetto alla versione del 1816, a cominciaredall’amministrazione e gestione dell’Opera che, sottoposta come in passato al-la guida del vescovo, era lasciata a sette sacerdoti aventi il titolo di «coa-djutori»; cancellato, poi, il ruolo delle nobildonne, impegnate sino ad alloranell’assistenza verso le convertende. Ben quattro dei coadiutori erano prepostiunicamente alla catechesi, cui il nuovo statuto rivolgeva maggiori attenzioniche in precedenza; due destinati rispettivamente all’amministrazione e all’ar-chivio; il settimo, infine, aveva compiti di sorveglianza sul comportamentodei convertiti. Come in passato occorreva infatti verificare se, dopo il battesi-mo, «i neofiti conducano una vita veramente cristiana, se praticano con gliebrei, se hanno relazioni con cattivi cristiani, se si accostano ai santissimi sa-cramenti, se conservano delle superstizioni giudaiche, se attendono a lucri di-sonesti ed illeciti».119 La rete di controllo, qualora il neofita avesse dimoratofuori citta, si estendeva ai parroci locali che dovevano tenere informato il ve-scovo sul comportamento dei convertiti residenti nella loro parrocchia. Que-

che la Chiesa ottenne dal governo ducale, dalla stipula del concordato del 1841, al ritorno al ricono-scimento del foro ecclesiastico.

117 Capitoli dei catecumeni 1845. Una copia a stampa e conservata in ACAMo, OPC, Registri,21. Il nuovo statuto si componeva di una prima parte intitolata «Direzione spirituale», composta di22 capitoli, e di una seconda sezione definita «Amministrazione temporale» di 12 capitoli. Quandonon diversamente indicato, le citazioni presenti nel testo sono tutte tratte dai nuovi capitoli.

118 Non mancavano nell’introduzione riferimenti alla teologia paolina, in particolare 1Corinzi,16 e Romani, 14-16.

119 I neofiti dovevano «accostarsi ai santissimi sacramenti almeno una volta il mese, e riportareattestato d’essersi confessati».

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Fig. 7. Capitoli dell’Opera pia dei catecumeni di Modena (1845).

sta e altre clausole ampliavano notevolmente la sorveglianza esercitata: con rife-rimento esplicito alle disposizioni emanate nel 1542 da Paolo III,120 il vescovo,che si riservava «la giurisdizione sopra tutti i neofiti nel caso di matrimoni»,avrebbe impedito le unioni tra «neofiti e neofite, per togliere le occasioni di uni-formarsi nei loro antichi errori». Veniva inoltre introdotto il cosiddetto Orato-rio dei neofiti: a fianco alla celebrazione della Messa, ogni domenica a partire daOgnissanti e sino alla fine di aprile, quattro sacerdoti catechisti avrebbero tenu-to «un discorso» ai convertiti e ogni anno si sarebbe stabilito «un corso di ar-gomenti sacri da svolgersi polemicamente e catechisticamente».121

Circa le garanzie che il precedente statuto accordava al potenziale catecu-meno, nel nuovo testo non se ne trovava cenno. Se il riferimento all’esame peraccertare le motivazioni che spingevano alla conversione era presente anchenei capitoli del 1845, non si faceva tuttavia nessuna menzione della presenzadei familiari, del rabbino o dei massari durante tale colloquio.

Allo stesso modo, scompariva la figura e la funzione assolta sino a quelmomento dal ministro delegato del Catecumeno, e con lui decadeva il ruolodi garanzia, almeno formale, svolto dal rappresentante ducale, sintomo diun ulteriore cedimento del governo nei confronti del potere ecclesiastico. Sa-rebbe stato il coadiutore incaricato dell’amministrazione dell’Opera a interes-sarsi della tutela degli interessi economici, specialmente ereditari, dei conver-tendi, avendo cura «che i neofiti conseguiscano cio che di diritto loroappartiene sull’asse paterno e materno».

Nulla mutava, invece, riguardo all’isolamento in cui il catecumeno dovevavivere sino al giorno del battesimo; contrariamente allo statuto del 1816 que-sta volta era pero esclusa la possibilita «di permettere agli ebrei di portare cibiai loro nazionali». Ma la piu rilevante novita introdotta dai capitoli del 1845riguardava l’assenza di una vera e propria Casa per i catecumeni, circostanzache a Modena risaliva gia al 1830 e che non costituiva, comunque, un fattoinsolito nella storia dell’Opera, essendo stata codificata persino nei regola-menti istitutivi del 1700/1708. Per ragioni non precisate – presumibilmentedi natura economica, considerati i magri bilanci dell’istituto – e nella speranzadi avere presto una nuova «Casa catecumena, o per pia donazione di qualchebenefattore o per compra», ci si sarebbe organizzati diversamente. La speran-za ando delusa e l’Opera modenese rimase senza Casa per tutti gli anni a ve-nire. Mentre gli uomini sarebbero stati affidati ai sacerdoti coadiutori, le don-

120 Il riferimento e alla bolla Cupientes Judaeos, che disciplinava tempi e modi della conversionedegli ebrei.

121 I neofiti, inoltre, dovevano «adempiere al precetto pasquale nel giovedı santo in duomo [...]ricevendo la comunione dal vescovo».

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ne, si legge ancora nello statuto, sarebbero state ospitate presso il monasterocittadino delle suore domenicane e consegnate, per la loro istruzione religiosa,alla madre superiora. Presso il medesimo convento si sarebbe quindi svolta lafunzione battesimale. In realta, come attestano i registri di battesimo, fu l’in-tera rete dei conventi, dei conservatori e degli educandati religiosi cittadini aessere coinvolta nell’accoglienza e nell’educazione delle neofite.

Come gia accennato, i nuovi capitoli incrementavano gli sforzi destinatialla catechesi, «onde non erigere una fabbrica senza fondamenti», tentandocosı di porre un argine allo «spirito d’indifferentismo che oggi giorno purtrop-po regna». La necessita di una piu salda istruzione nasceva, a detta dello sta-tuto, soprattutto dalla «grande ignoranza» religiosa dei futuri neofiti:

Siccome una generale e lunga esperienza ha fatto conoscere che quelli che dall’e-braismo si convertono alla nostra santissima religione, ed in ispezialita quelli dei ghettid’Italia, hanno per lo piu una grande ignoranza della storia dell’Antico Testamento,su cui dovrebbe essere basata la loro religione, rendesi necessario e indispensabile lostudio accurato di quanto in essa storia si contiene.

Lo studio dell’Antico Testamento sarebbe stato naturalmente ‘‘piegato’’alle specifiche esigenze della catechesi conversionistica:

Prima di passare all’insegnamento della dottrina cristiana [il catechista] dovra fa-re rilevare l’avveramento di tutte le profezie riguardanti il Messia [...] Deve spiegarglie farli imparare quei passi che in essa storia parlano del Messia, confutando special-mente gli errori dell’ebraismo e dimostrandogli quanto di presente s’ingannino esiano lontani dalla perfetta osservanza della mosaica legge, traendo invece la lorocredenza e religione da una collezione di favole, capricci e puerilita, sotto cuioccultarono la vera legge e i profeti. Inoltre, gli fara comprendere cosa tendevanoa prefigurare e quale era lo scopo a cui additavano quei portentosi fatti accaduti ailoro maggiori, nel mentre gli fara toccare con mano le profezie che parlano del Messiaventuro sussistere realmente ed essere state pienamente adempiute ed avverate. Insomma, in questo modo non manchera alla premura e zelo del catechista opportunita,onde fare risaltare saggiamente ed ad esuberanza la falsita della religione abbandonatae la veracita di quella in cui brama di entrare.

Per assicurare una piu salda preparazione si stabiliva che il periodo di ca-techesi, a differenza dei precedenti regolamenti, sarebbe durato «sino a tantoche il sacerdote istruttore prudentemente giudichi della sufficiente capacita»del convervendo.122

122 Nel caso di un’intera famiglia che intraprendeva il catecumenato, il periodo di istruzione e

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All’attenzione nei confronti dell’istituzione religiosa i capitoli del 1845 af-fiancavano poi l’esigenza di provvedere a neofiti e neofite una collocazione la-vorativa perche «persever[assero] nella perfetta osservanza della legge evange-lica e non [fossero] necessitati a mendicare il pane con iscandalo altrui e aproprio disonore». «A tal fine [...] si dara ogni premura e cerchera ogni mezzoonde questa sant’Opera venga provveduta del necessario per ottenere lo scopoprefisso». Le possibilita offerte ai convertiti attraverso i buoni uffici della Casaerano in realta piuttosto limitate: si poteva essere posti «a servigio», oppure«apprendere qualche arte». Nel primo caso, il Catecumeno avrebbe vigilato af-finche il padrone fosse «persona dabbene ed esemplare e dove non vi sia moltaservitu». L’esplicita indicazione delle modeste professioni cui i convertiti sa-rebbero stati indirizzati tradiva la consapevolezza che i possibili ospiti dell’O-pera sarebbero stati, adesso come in passato, di umili origini. Nel caso i neofitiavessero perso il lavoro, dovevano essere «riconsegnati» all’istituzione, che liavrebbe nuovamente ospitati e avrebbe trovato «loro un nuovo servigio piupresto che sia possibile». Se il neofita mostrava di voler apprendere qualchearte, «si dovra procurare che questa sia onorevole [...] di buon guadagno e me-no pericolosa per l’anima». L’Opera doveva ancora «indagare le qualita dellepersone di bottega». Rispetto allo statuto del 1816, dunque, la preoccupazioneper il delicato momento dell’inserimento del neofita nella societa cristiana sem-brava emergere – almeno sulla carta – in maniera piu nitida e l’istituzione de-lineava in modo formale il percorso con cui avrebbe accompagnato il conver-tito e per un tempo piu lungo. Nessun accenno, per contro, veniva fatto neinuovi capitoli ai mezzi finanziari con cui concretamente attuare l’azione di so-stegno prospettata, aspetto per nulla trascurabile, anche considerata la cronicadifficolta finanziaria che aveva da sempre contraddistinto l’azione della Casa.Senza una solida base economica, le affermazioni dello statuto sia in materiadi preparazione al battesimo che di inserimento sociale dei neofiti rischiavanodi essere piu che altro simboliche enunciazioni di principio. Un intento chia-ramente simbolico, del resto, era ravvisabile nella scelta di Reggianini di cele-brare i battesimi nella cattedrale. Dall’inizio dell’Ottocento, infatti, il rito si erasvolto esclusivamente presso le varie parrocchie e conventi della citta, mentreora era portato in uno scenario piu solenne e visibile. Evidente, nella decisionedel vescovo, l’esigenza di fare delle conversioni degli ebrei un evento pubblico,non confinato in un contesto raccolto e privato, ma edificante per l’intera cit-tadinanza.

isolamento doveva durare «un anno almeno, ed anche di piu», affinche ci si potesse assicurare «delloro buon tenore di vita».

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I nuovi capitoli dell’Opera e la celebrazione, in realta per breve tempo, deibattesimi in cattedrale non furono peraltro le sole iniziative che l’intransigenteReggianini volle promuovere a favore della conversione degli ebrei. Il 1º no-vembre del 1845, a pochi mesi dal rinnovato statuto della Casa, il vescovorivolgeva ai «venerabili fratelli parrochi non che ai fedeli tutti» una letterapastorale dedicata interamente al tema delle conversioni.123 La pastoraleprendeva spunto dal fatto che negli ultimi anni, secondo il prelato, erano statechiamate «alla luce del Vangelo [...] nuove pecorelle che innanzi ne aborriva-no il santo ovile» (la percezione del vescovo circa un generale incremento del-le conversioni negli anni del suo magistero era probabilmente determinata dairecenti battesimi di tre numerosi nuclei familiari). Attingendo alle consuetecontrapposizioni retoriche di «luce» e «ombra», «sole» e «tenebre», «cecita»e «illuminazione», il vescovo invitava i suoi fedeli «a cooperare e colle pre-ghiere e coi fatti alla conversione degli ebrei», giacche «la conversione delleanime e la piu santa fra le azioni in cui possa impegnarsi un cristiano». Ade-rendo ai classici schemi della teologia della sostituzione, Reggianini ammettevala comune origine delle due fedi – gli ebrei erano i «custodi dei libri santi edelle profezie [...]; ebreo il precursore Giovanni, ebrea quella Vergine il cuinome solo porta la speranza nel mondo». Il riconoscimento di una matrice co-mune doveva quindi muovere i fedeli a contribuire attivamente alla conversio-ne delle pecorelle «indurate nell’errore». «Concorretevi colle preghiere – sol-lecitava il vescovo – ma concorretevi ancor colle opere!». Era questo,evidentemente, lo scopo principale della lettera: procacciarsi mezzi per soste-nere finanziariamente il Catecumeno. Insomma, se la Curia non sembrava vo-lersi impegnare economicamente per sussidiare l’impresa, occorreva che qual-cun altro vi facesse fronte. La pastorale doveva essere letta dai parroci per «trefeste consecutive nell’ora di maggior concorso e con tutta la sollecitudine dellor ministero spiegarla, commentarla, aggiungervi quanti argomenti sapra lorsuggerire l’amore delle anime. Quando abbiano cio fatto, altrettante personerispettabili a cio da noi deputate si recheranno presso gli individui del rispet-tivo ceto per raccogliervi quelle offerte che la religione di ciascuno sapra lorsuggerire». «Siete voi poveri? – preveniva il vescovo – Ricordatevi come GesuCristo valuto il soldo della vedova sopra ogni altro donativo». A suggello dellalettera, l’immancabile riferimento al deicidio: «Se i giudei crocefissori impre-carono sul capo loro e de’ figli il sangue del Giusto, noi lo invocheremo su dinoi e sulle nostre famiglie come pegno di eterna salvezza».

123 Una copia in ACAMo, OPC, Registri, 21. Si tratta di un unico grosso foglio a stampa, da cuisono tratte tutte le citazioni che seguono.

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Le iniziative del vescovo Reggianini nei confronti degli ebrei e della loroconversione erano il riflesso e il risultato della solida posizione riguadagnatadal cattolicesimo modenese negli anni di governo di Francesco IV. Si trattodi una riconquista che assunse caratteri ancor piu marcati ed evidenti in segui-to al fallimento dei moti insurrezionali del febbraio 1831. Dopo quella data, ilduca, fortemente irrigidito nei suoi orientamenti antiliberali, dismise gli ultimiaccenti giurisdizionalistici che avevano caratterizzato in parte la politica eccle-siastica dei suoi inizi e cerco una collaborazione sempre piu stretta con i fau-tori di una restaurazione religiosa e romanocentrica.124 A partire dal terzodecennio dell’Ottocento, Modena era in effetti divenuta una delle capitaliitaliane dell’intransigentismo cattolico: attraverso l’opera dell’abate GiuseppeBaraldi,125 dello stesso Reggianini e del nutrito circolo di collaboratori di cui idue si circondarono, la citta emiliana si distinse come centro nevralgico di ela-borazione e diffusione di un progetto cultural-ideologico di riorganizzazionein senso gerarchicamente cattolico della societa.

La voce ufficiale dell’intransigentismo modenese, con un’eco e una diffu-sione che travalicavano ampiamente i confini del piccolo Stato estense, fu peranni il periodico Memorie di religione, morale e letteratura,126 edito a partiredal gennaio del 1822 soprattutto per iniziativa di Baraldi. Nel 1832, con lascomparsa dell’abate, si chiuse la stagione di maggiore prestigio del foglio an-che se, con nome mutato, le Memorie continuarono a essere pubblicate sino al1885.127 Il testimone – con toni veementi contro ogni fermento liberale e con

124 Per una ricostruzione complessiva della politica ecclesiastica di Francesco IV, si vedanoMANNI 1968, RUSSO 1981.

125 Giuseppe Baraldi (1778-1832), presi i voti nel 1801, fu insegnante di grammatica e retoricapresso il seminario modenese che, dopo la breve soppressione in epoca giacobina, divenne la palestradegli intransigenti presenti in citta. Posto alla guida della Biblioteca estense, su nomina di FrancescoIV fu dal 1820 docente di etica e diritto canonico presso l’Universita. Dal 1822 associo il suo nomealle Memorie, di cui fu direttore e principale compilatore, entrando in relazione con molte persona-lita del mondo cattolico e legittimista italiano: Cesare Taparelli d’Azeglio, il principe di Canosa,Gioacchino Ventura, Antonio Rosmini, Antonio Bresciani. Su di lui, cfr. G. VERUCCI, in DBI, 5,pp. 762-774.

126 Le Memorie raccoglievano articoli originali, ma anche ristampe e traduzioni di scritti soprat-tutto di cattolici francesi – notevole fu l’opera di diffusione degli scritti di Lamennais e della sua cer-chia, almeno sino al momento in cui il bretone non varco i confini dell’ortodossia. Appoggiato e in-coraggiato dalla Santa Sede, il periodico era diffuso in molte zone dell’Italia centrale e settentrionale,con esclusione della Lombardia, dove incontro l’ostilita della censura austriaca. Giovandosi di unnutrito gruppo di collaboratori, modenesi e non, le Memorie svilupparono il motivo della necessitadel cattolicesimo per l’organizzazione della societa e pur difendendo il principio legittimista afferma-vano la superiorita della Chiesa anche nel campo temporale. Cfr. MANNI 1968, pp. 94-185.

127 Dal 1833 al 1844 fu pubblicata la seconda serie e dal 1845 al 1855 la terza, entrambe con iltitolo di Continuazione delle memorie di religione, letteratura e morale; dal 1856 al 1885 il foglio as-sunse invece il titolo di Opuscoli religiosi letterarj e morali.

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un intento piu esplicitamente politico – fu quindi raccolto da La voce dellaverita, pubblicato dal 1831 al 1841.128 A fianco dell’Enciclopedia ecclesiasticae morale di Napoli, del Giornale ecclesiastico di Roma, del Giornale degli apo-logisti della religione cattolica di Firenze, de L’amico d’Italia di Torino, de Lavoce della ragione di Pesaro, della Pragmatologia cattolica e dell’Araldo dellapragmatologia cattolica di Lucca, i due fogli modenesi avrebbero animatoquella nutrita pattuglia di periodici espressione della cosiddetta controrivolu-zione cattolica del periodo della Restaurazione.129

Per i temi che qui interessano, da uno spoglio sistematico delle Memorie ede La voce della verita emerge una scarsa attenzione nei confronti degli ebrei.Nell’incessante, esplicita e virulenta polemica antiliberale condotta, seppurcon toni e accenti differenti, dai due periodici – su un piano prevalentementecultural-letterario dalle Memorie, piu battagliosamente e dichiaratamente po-litico da parte de La voce della verita – l’uso ideologico e strumentale di rife-rimenti antigiudaici per esemplificare i mali del liberalismo e della modernitaappare in questi anni ancora sfuocato. In tal senso, affiora con maggior enfasie frequenza il ricorso alla retorica antiprotestante, coniugata agli attacchi al-l’Inghilterra e alla Francia orleanista. A queste date, la polemica antiebraicanon sembra dunque ancora costituire uno degli strumenti privilegiati dellapropaganda politica cattolica, come diverra a partire dagli anni Sessanta del-l’Ottocento.130

128 A pochi mesi dalla fallita insurrezione del febbraio 1831, con il patrocinio del principe diCanosa (che divenne una delle firme piu attive) e la collaborazione degli stessi Baraldi e Reggianini,inizio la pubblicazione de La voce della verita-Gazzetta dell’Italia centrale. Ogni numero – il periodicousciva tre volte la settimana – riportava ampie rassegne della stampa estera, riassunte e variamentecommentate secondo la prospettiva del cattolicesimo ultra-legittimista. Il foglio modenese si caratte-rizzo per la polemica nei confronti del regime orleanista, e una costante avversione nei confronti del-l’Inghilterra (e dei protestanti inglesi), considerata l’origine di tutti i mali del tempo. Proprio la vee-menza degli attacchi al governo britannico porto nel 1841 a una crisi diplomatica, risolta perintercessione di Metternich che impose a Francesco IV la chiusura del giornale, la cui distribuzione,al pari delle Memorie, era stata vietata nel Lombardo-Veneto. Cfr. MANNI 1968, pp. 187-225.

129 Si trattava nel complesso di una rete organica di periodici, legata da scambi epistolari tra ipromotori delle varie iniziative in cui era frequente la collaborazione degli stessi nomi a piu periodici.Monaldo Leopardi, ad esempio, fondatore a Pesaro de La voce della ragione sulla falsariga del piu notofoglio modenese (cfr. FANTONI 2004), figurava anche tra le firme di quest’ultimo. Uno spoglio comples-sivo della pubblicistica intransigente del periodo della Restaurazione, al fine di farne emergere le even-tuali posizioni in merito alla questione ebraica, a oggi e ancora mancante. Tra gli interventi antiebraicipiu noti, ricordiamo quello di padre Ferdinando Jabalot, pro-procuratore generale dei domenicani eco-direttore del Giornale ecclesiastico di Roma (per cui cfr. GUNZBERG 1992, pp. 40-44; LUZZATTO VO-

GHERA 1997, pp. 70-77), cui si aggiunga il lavoro del domenicano Filippo Aminta, predicatore agliebrei di Roma, L’ebraismo senza replica e sconfitto colle stesse sue armi, Roma, 1823.

130 DAHL 2003. Quanto alle Memorie, va tenuto conto che il fine dell’iniziativa editoriale di Ba-raldi non era quello di interessare un vasto pubblico con una diffusione capillare della propria pro-paganda religiosa e politica, ma di arrivare a una cerchia ben definita di lettori. Diversa, in tal senso,

CAPITOLO QUARTO

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Se nelle pagine de La voce della verita si possono rintracciare due soli in-terventi riguardanti gli ebrei,131 anche nelle piu longeve Memorie questi sonooggetto soltanto di estemporanee attenzioni. In oltre sessant’anni di attivitadel periodico, dal 1821 al 1885, si possono contare appena una decina di in-terventi, tra articoli e recensioni, riguardanti la minoranza ebraica, i piu cor-posi dei quali dedicati proprio al tema delle conversioni.132 Si trattava di rac-conti di battesimi ‘‘mirabili’’, presentati dagli stessi protagonisti di quellevicende sotto forma di memorie o di lettere inviate alla famiglia. Peraltro, letestimonianze offerte dalle pagine delle Memorie non erano inedite: come siapprende dalle note apposte in calce dai redattori si trattava di riproposizionio traduzioni di pubblicazioni gia comparse su altri periodici cattolici del cir-colo intransigente, italiani o stranieri, a testimonianza dell’esistenza di una ve-ra e propria rete in cui lo scambio e la circolazione dei materiali di questo ge-nere era prassi usuale.133

l’iniziativa de La voce della verita che con le sue tre uscite settimanali si proponeva un fine piu di-rettamente politico e un pubblico probabilmente piu vasto.

131 Si tratta di due articoli tra loro correlati, sebbene comparsi a distanza di quattro anni l’unodall’altro. Protagonista, in negativo, di entrambi era Simon Deutz (poi Giacinto de Gonzaga), ebreoalsaziano figlio di un rabbino del Concistoro parigino, convertitosi a Roma nel febbraio del 1828 (unlungo resoconto della conversione di Simon comparve su «L’amico d’Italia», XV, 1829). Deutz eracognato di un altro celebre convertito francesce, l’ex rabbino David Drach. Da Roma, dove risiedevain quanto bibliotecario del Collegio di Propaganda Fide, Drach indirizzo nel novembre del 1832 avari fogli italiani una lettera riguardante il cognato (cfr. «La voce della verita», n. 210, 7 dicembre1832) per prenderne vigorosamente le distanze. Deutz fu infatti accusato di essere tra coloro che ave-vano tradito la duchessa di Berry, facendo fallire il tentativo di colpo di stato legittimista orchestratoda quest’ultima. Quattro anni dopo, un altro editoriale del foglio modenese (ivi, n. 824, 12 novembre1836) tornava sull’argomento prendendo le mosse da un intervento comparso su Le Moniteur de laReligion che raccontava l’esistenza «scellerata» di Deutz, cosı come emergeva da una velenosa bio-grafia che gli era stata dedicata (La verite sur l’arrestation de madame duchesse de Berry, ou les men-songes de Deutz devoiles, suivie de plusieurs pieces et documens pour servir a la biographie des gens deNantes, Parigi, Levasseur, 1836). L’autore, Ignace-Xavier Morel (gia Levy-Gumpel), era a sua voltaun ebreo convertito. L’intervento comparso sul foglio modenese nel 1836 esprimeva il piu vivo sde-gno nei confronti della figura di Deutz, utilizzando paragoni tratti dal regno animale per definirne il«miserabile» comportamento: un «rettile», un «ragno che fila la sua tela». Sebbene, chiaramente,l’articolo mettesse in dubbio la bonta e la sincerita della conversione di Simon – che infatti venivasempre chiamato «ebreo» –, nelle righe de La voce della verita il caso Deutz veniva ricondotto e cir-coscritto al comportamento individuale del solo Simon senza che, per estensione, la falsita della suaconversione e il suo tradimento venissero riconosciuti come tipici degli ebrei in generale. Sul casoDeutz, cfr. KALMAN 2003, SZAJKOWSKI 1970.

132 In ordine di pubblicazione, apparvero: Conversione di un rabbino capo, Conversione notabiledi un ebreo, Sopra la conversione del signor Ratisbona, Lettera di Abramo Levi Duraccio sopra la pro-pria conversione. Assai piu numerosi, e differenti nei toni e nei contenuti, i resoconti di conversionescritti da protestanti comparsi in quegli stessi anni sulle pagine delle Memorie. Sfogliando gli indicidel periodico comparsi nel 1830, a fronte di soli cinque interventi che davano conto di conversioni diebrei, ben 22 erano dedicati alla conversione di protestanti. Sulle differenze, narrative e contenuti-stiche, tra i due tipi di racconti, cfr. LANG 2008, pp. 152-154.

133 Le memorie di Ratisbonne erano state riprese da un articolo gia comparso sull’Amico della

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RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONI

I protagonisti delle conversioni di cui si dava conto erano tutti ebrei eccel-lenti, esponenti di rilievo sociale e culturale delle rispettive comunita; perso-naggi che spesso vantavano una solida consapevolezza della fede rigettata edunque una buona conoscenza dell’Antico Testamento e delle profezie sullavenuta del Messia, rilette sulla scorta dell’illuminazione ricevuta. Seguendo iconsueti canoni agiografici, nei casi presentati dalle pagine delle Memorie laconversione era conseguenza di lunghi travagli interiori, continue chiamate econtinui ostacoli, dubbi di fede talvolta accesi da incontri eccezionali, comequello con papa Pio VII raccontato dall’anconetano Salomone Vita Ascoli.I tormenti della coscienza erano spesso risolti grazie all’intervento di segni cele-sti, eventi prodigiosi, miracolosi – e l’apparizione di Gesu durante una proces-sione che dipana gli ultimi dubbi della sedicenne Anna Costantini di Ancona;celebre e la visione della Vergine nella chiesa romana di Santa Maria delle Frat-te, alla base della conversione di Alphonse de Ratisbonne. Questi casi eccezio-nali rappresentavano quanto di piu lontano da cio che la realta – almeno quellache sembra emergere dalle vicende del ducato estense – proponeva concreta-mente, una realta fatta di neofiti la cui estrazione sociale era assai modesta e lacui ‘‘chiamata’’ era raramente legata ad apparizioni o illuminazioni miracolosee piu spesso condizionata da esigenze terrene.

Nulla di particolarmente originale si ricava dall’analisi di questi testi; la strut-tura e quella tipica del discorso agiografico e i topoi di cui si nutrono sono quellipiu consueti dell’antigiudaismo cattolico introiettati dagli stessi neofiti e per lamaggior parte giocati intorno alla contrapposizione metaforica tra le tenebre del-l’ebraismo e la luce del Vangelo. Il distacco dalla fede avita assume toni fermi edecisi; classicamente e il Talmud il bersaglio polemico: un «libro [...] opera dellospirito delle tenebre [...] Quante fanciullaggini vi sono, quante favole, quante as-surdita! [...] Pratiche frivole e supertiziose».134 Ma il rigetto dell’ebraismo avvie-ne senza quelle accentuazioni livide e veementemente offensive proprie di moltenarrazioni di questo genere. Del resto, il fenomeno piuttosto consueto nell’etamoderna – ma ancora molto vivo, ad esempio, nella Francia orleanista135 – di

religione. Tra il 1842 e il 1852, il testo ebbe peraltro una vasta circolazione in Italia, venendo ripub-blicato a Ferrara, Milano, Novara, Loreto, Udine, Napoli e, piu volte, a Roma. Il racconto della con-versione della giovane Anna Costantini (apparsa sul volume X delle Memorie nel 1826) era un suntodell’opuscolo La gloria di Dio manifestata nella conversione ammirabile dell’egregia ed illustre donzellasignora Francesca Maria Anna Pichi gia Anna Costantini israelita d’Ancona. Operetta dedicata alla me-desima dal canonico Mariano Bedetti, pubblicata ad Ancona nel 1826; la lettera di Abramo Levi Du-raccio rappresentava una traduzione dello stesso testo pubblicato in francese a Milano, su iniziativadi don Luigi Biraghi, direttore della Biblioteca Ambrosiana.

134 Lettera di Abramo Levi Duraccio sopra la propria conversione, p. 108.135 Sul caso francese, cfr. HELFAND 1988.

CAPITOLO QUARTO

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‘‘crociate’’ antiebraiche condotte con acredine e zelo missionario proprio daineofiti, non sembra appartenere in questi anni al panorama italiano, e lo spogliodella stampa periodica intransigente pare confermarlo.136

Cio che e importante sottolineare e che la pubblicazione, da parte del pe-riodico modenese come dei suoi omologhi, di questi racconti apologetici ave-va uno scopo preciso e un ancor piu preciso pubblico, che poco o nulla avevaa che fare con gli ebrei: assai lontane dall’essere loro rivolte (e dall’essere daquesti lette), quelle pagine erano indirizzate principalmente ai cattolici. Loscopo non recondito era mostrare ed esaltare la grandezza delle granitiche ve-rita dei dogmi cristiani e con essa l’autorita indiscutibile della Chiesa. Un ul-teriore tentativo di combattere e frenare l’avanzata della modernita proiettan-do, anche attraverso i racconti di conversione, un’immagine del cattolicesimocome realta religiosa e politica ancora vittoriosa e dominante.137

136 Tra le eccezioni, si ricorda l’opera di Amedeo Teresio Maria Valperga, gia Salomone IsaccoLuzzati. Figlio di un rabbino di Casale e convertitosi nel 1823, dara alle stampe le Osservazioni sullafalsa persuasione degli ebrei di non ammettere la venuta del vero Messia (Torino, 1826). Dai forti ac-centi antisemiti anche il libello, Memorie d’un cattolico, pubblicato a Prato nel 1850, a firma del con-vertito mantovano David Norsa. Occorrera poi attendere la fine del secolo per vedere all’opera unodei piu virulenti e noti polemisti antisemiti italiani, quel Rocca D’Adria – gia Cesare Algranati, ebreoanconetano convertitosi nel 1888 – autore di velenosi pamphlets quali L’eucarestia e il rito pasqualeebraico moderno o Nella tribu di Giuda, novella ebraica, usciti nel 1895.

137 Solo in questo senso e condivisibile l’ipotesi formulata recentemente da Lang riguardo alledinamiche conversionistiche italiane e alla politica seguita in tale ambito dalle autorita vaticane nelcorso della prima meta dell’Ottocento: «Vatican supporters advocated conversion because they wi-shed to ensure that the newly emerging nation-state remained culturally and religiously catholic»(LANG 2008, p. 3). L’autrice, che si basa su un campione tanto eterogeneo di fonti quanto numeri-camente ridotto, sottostima (quando non ignora) la profonda continuita teologica, giuridico-canoni-stica e ideologico-politica delle autorita romane in materia di conversioni, continuita che rende assaidebole e sfumata l’ipotesi interpretativa avanzata.

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RIVOLUZIONI E RESTAURAZIONI

CAPITOLO QUINTO

CONVERSIONI AL TRAMONTO

Quando la Casa d’Este torno alla guida dei suoi Stati nel 1814, alcune delle precedenti mi-sure volte a contenere le pretese arbitrarie delle autorita cattoliche in materia di battesimi,pur trasformate, sopravvissero. Fino al 1845 gli statuti del Catecumeno modenese manten-nero l’esame del convertendo alla presenza di familiari, rappresentanti della comunita e delgoverno ducale, mentre a Reggio tali disposizioni furono introdotte solo a partire dal 1838.Queste deboli misure non impedirono la piena partecipazione delle Case al clima di rinno-vata intesa tra trono e altare. Lo stesso duca talora si servı strumentalmente degli ebrei permostrare la propria fedelta a Roma accettando, se non agevolando, alcuni battesimi forzati.La torsione del diritto testimoniata da quegli eventi, cosı come la pressione proselitistica pa-trocinata, piu con le parole che con i fatti, dagli ambienti dell’intransigentismo modenese da-gli anni Venti dell’Ottocento, non condusse tuttavia a significativi mutamenti delle dinamicheconversionistiche. Come vedremo, ne i numeri dei battesimi, ne le motivazioni che spinseroalcuni ebrei ad abbandonare il ghetto fecero registrare eclatanti differenze rispetto al passato,se non per una maggiore propensione delle donne a lasciare la comunita di origine in ragionedi dinamiche socio-culturali che, molto probabilmente, affondano la loro radice negli equili-bri della vita comunitaria, per questa stagione ancora totalmente da esplorare.La definitiva emancipazione della minoranza, avvenuta nei territori estensi nel corso del1859, avrebbe radicalmente mutato il quadro di riferimento, incidendo, questa volta inmodo irreversibile, sulla vita delle istituzioni per convertiti. Per quanto le fonti possanoraccontarlo solo in modo parziale, nei decenni postunitari il proseguimento quasi inerzialedell’attivita della sola Casa modenese – quella reggiana fu soppressa nel 1866 – sarebbeavvenuto entro un quadro segnato da un evidente e netto declino nel numero dei batte-simi: agli ebrei emancipati si aprivano infatti nuove possibilita di mobilita sociale e profes-sionale che rendevano meno urgente e necessario il ricorso a istituti assistenzial-caritativicosı fortemente connotati come le Opere per catecumeni. L’evidente flessione dei batte-simi sembra avvalorare l’ipotesi che il nuovo Stato non richiedesse ai membri della mino-ranza alcun «biglietto di ammissione» – per riprendere le celebri parole con cui HeinrichHeine si riferı alla propria conversione alla religione cristiana – per entrare a far parte dellaneonata nazione italiana, a differenza di quanto si verifico all’interno dello scenario ebraicotedesco e mitteleuropeo nel periodo post-emancipazione.A fronte di tali rivolgimenti, la funzione assistenziale delle Case per catecumeni percorsesenza modifiche sostanziali i decenni dell’Italia liberale, e inalterata rimase anche la mode-stia dell’impegno finanziario speso dalle autorita ecclesiastiche per sostenere gli enti. La

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preminenza assunta dalle autorita civili – gia emersa nel periodo rivoluzionario e napoleo-nico, depotenziata, ma presente sottotraccia anche negli anni dei governi di Francesco IVe Francesco V – si sarebbe quindi nuovamente imposta con l’Unita.

LA FEDE, LA FAME E LA FAMIGLIA

I dolorosi episodi di battesimi forzati di cui si e detto nelle pagine prece-denti non devono fare dimenticare che nella larghissima maggioranza dei casi,circa il 96%, anche durante tutta la stagione della Restaurazione le conversio-ni avvenute in seno alle comunita ebraiche reggiano-modenesi furono il risul-tato di decisioni volontarie. La libera scelta di battezzarsi – come si dira – deveevidentemente essere interpretata con cautela.

Dal 1814 e sino alla fine del 1859, furono complessivamente 133 gli ebreiche lasciarono il ghetto,1 86 a Modena e 47 a Reggio. In media, le comunitadei ducati estensi persero circa tre membri ogni anno.2 Si trattava dunque diuna emorragia contenuta, percentualmente minima (nell’ordine dell’1,5%o),che non si discostava significativamente dalle dinamiche registrate nel corsodell’ultima eta moderna.3 Assai esile in termini assoluti e relativi, la perditaannua sofferta dai gruppi ebraici dei ducati diveniva piu consistente, e forseanche maggiormente visibile e percepibile dentro le mura cittadine, se riferitaall’insieme dei neofiti: nel corso degli anni Trenta dell’Ottocento, l’insieme deiconvertiti, rapportato alla popolazione israelitica, rappresentava infatti il 2,7%a Reggio4 e un significativo 4,3% a Modena.5

1 Questo numero non comprende i cinque casi di battesimi clandestini ricordati nel precedentecapitolo. Inoltre, tra gli 86 neofiti modenesi non sono state conteggiate le conversioni di Angelo Sa-cerdoti, della moglie Grazia Formiggini e dei loro quattro figli. Il caso non coinvolse direttamente lacomunita e le istituzioni estensi (la documentazione locale, infatti, non ne reca traccia) poiche i co-niugi lasciarono la citta per battezzarsi Roma. La vicenda vide impegnate quindi le autorita pontifi-cie, occupate nella ricerca dei bambini che il nonno paterno era riuscito a sottrarre ai genitori primache questi fossero battezzati presso la Casa romana. Dopo una fuga durata tre anni e conclusasi aTrieste, i bambini furono infine ricondotti a Roma e battezzati. Cfr. CROCE 2003, p. 613.

2 Per la precisione 2,9. La perdita annua fu di 1,9 membri per la comunita modenese e di1 membro per quella reggiana. In un periodo piu o meno analogo, dal 1813 al 1869, presso la Casadei catecumeni di Roma furono battezzati 196 ebrei, 3,5 ogni anno (MILANO 1950, p. 5). Consideratele dimensioni della comunita romana, l’apertura dell’Opera a ebrei di ogni provenienza geografica,anche il bilancio dell’istituto capitolino poteva dunque considerarsi assai modesto.

3 In assenza di dati certi circa il caso reggiano, un piu puntuale confronto che avvalora l’ipotesidi una sostanziale stabilita nell’andamento di lungo periodo delle conversioni e invece possibile per ilnucleo ebraico modenese che, dal 1751 al 1796, perse in media 1,5 membri all’anno.

4 La percentuale e stata calcolata rapportando la media della popolazione israelitica reggianaregistrata nel 1834 e nel 1849 (stimabile in circa 700 unita) con il numero di convertiti sussidiati

CAPITOLO QUINTO

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Se appare difficoltoso ricomporre i singoli percorsi individuali, indagandol’intreccio di motivazioni nascoste dietro le scelte compiute dai 133 ebrei chedecisero di abbracciare la fede cristiana, dall’analisi dei dati complessivi sipossono invece cogliere alcuni tratti caratteristici delle dinamiche battesimalidi questa stagione. In particolare, si conferma, e si accentua ulteriormente ri-spetto agli anni precedenti, un aspetto gia chiaramente emerso durante il pe-riodo napoleonico, ovvero che la strada verso il fonte si percorreva, tipicamen-te, in eta giovanile. L’eta media dei neofiti risulta di 19,6 anni, senzaapprezzabili differenze tra i due generi, 20 anni per le donne e 18,5 per gliuomini.6 Questo elemento lascerebbe intendere che la conversione fornisseai giovani ebrei la promessa di un futuro e di un tessuto di relazioni piu pro-mettente e soddisfacente di quello da cui provenivano. Se poi si valuta la com-posizione del gruppo esaminato, emerge che negli anni della Restaurazione fu-rono 73 le donne che rinnegarono la fede degli avi, circa il 56% del totale. Sitratto di una tendenza piu marcatamente modenese, dato che nella capitaledel ducato la percentuale femminile tra i catecumeni raggiunse il 65%. Seb-bene nella prima meta dell’Ottocento un analogo andamento sia riscontrabileanche all’interno delle comunita ebraiche di Firenze, Livorno e Trieste,7 ilcampione e ancora troppo circoscritto e numericamente limitato per afferma-re che in questi decenni fosse in atto, rispetto all’eta moderna, un ribaltamen-to di genere nelle dinamiche conversionistiche. Ne si hanno solide prove (allimite indizi) per avanzare valide ipotesi interpretative: la presenza, a Modena,di un sussidio destinato esclusivamente alle neofite nubili, nonche la dote loroconcessa al momento delle nozze, poteva certamente costituire per le giovaniebree rimaste prive di un sostegno familiare o comunitario un incentivo allaconversione, assente invece per le correligionarie reggiane. In tal senso, none da sottovalutare che tra le varie confraternite attive all’interno della comu-nita ebraica modenese, nessuna fosse statutariamente preposta a elargire dotialle ragazze da marito.8

dal Catecumeno reggiano in quegli stessi anni. Cfr. ASRE, Universita Israelitica, Archivio nuovo,b. 35, ff. 1/5; AIRete, PLC, Recapiti di pagamenti, filza III.

5 La percentuale e stata calcolata rapportando la popolazione ebraica modenese registrata nel1847, pari a 1141 individui, al numero di neofiti sussidiati dall’Opera modenese in quell’anno. Cfr.ACEMo, b. 50,1, «Ruolo della popolazione 1847-1852».

6 Modeste le differenze all’interno delle due comunita: a Reggio l’eta media dei convertiti era di20,7 anni a fronte dei 17,9 di Modena. Relativamente al genere, a Reggio gli uomini avevano media-mente 19,7 anni e le donne 21,6; a Modena le eta medie erano rispettivamente di 18,5 e 17,4.

7 Cfr. SALVADORI 1993, p. 108; ARMANI 2006, p. 299; ZUCCHI 2012, pp. 28 ss.; CATALAN 2000,p. 208.

8 Una assenza analoga e riscontrabile, per questi stessi anni, anche presso le comunita di Torino

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

Probabilmente, alcune letture che hanno sottolineato la scarsa propensio-ne, se non la vera e propria resistenza, delle donne ebree alla conversione an-drebbero comunque sfumate e sottoposte alla prova della documentazione edei differenti contesti ebraici italiani, tradizionalmente molto eterogenei e dif-formi fra loro.9 La rappresentazione, spesso fortemente ideologizzata, che l’e-braismo emancipato ha voluto assegnare alla donna come fulcro e custodedell’identita ebraica (culturalmente, religiosamente ed etnicamente intesa) inperiodi in cui, di fronte alle sfide poste dall’emancipazione e dall’integrazione,la coesione sociale, culturale e religiosa della minoranza appariva minacciata, estata talvolta adottata anche dalla storiografia come chiave di lettura per avan-zare la tesi di una supposta resistenza femminile all’abbandono dell’ebraismo,a discapito di un’analisi empirica e sistematica che potrebbe rivelare un pano-rama assai piu mosso, articolato e mutevole.10

C’e poi un ulteriore elemento che emerge dall’esame dei neofiti e che nonconsente sommarie letture circa la maggiore o minore propensione di uno deidue generi alla conversione. Si tratta dell’aspetto realmente peculiare che af-fiora dall’esame dei battesimi in questi decenni: la conversione si configura co-me un fenomeno marcatamente familiare. Con questo si intende dire che 28sui 47 convertiti reggiani e ben 65 sugli 86 neofiti modenesi – una percentualerispettivamente del 59,6% e del 75,6% – erano legati da stretti vincoli di pa-rentela. I dati, che con molta probabilita riflettono il fenomeno solo in modoparziale,11 necessiterebbero di essere affinati piu nel dettaglio, ma permettonointanto di constatare che l’elemento caratterizzante di questi percorsi non e,come sarebbe lecito immaginare, il battesimo di interi nuclei, laddove erapiuttosto prevedibile che i figli, specie se minori, seguissero le scelte e la vo-lonta dei genitori, magari vedovi e di condizione socialmente precaria.12 Cio

e di Firenze. A Livorno, al contrario, la confraternita Moar Abetulot aveva il compito di elargire sinoa dodici doti all’anno alle ragazze povere. Cfr. ARMANI 2006, p. 305.

9 In particolare si vedano ALLEGRA 1996, p. 135 e CAFFIERO 2000-2001.10 Pagine precise e illuminanti per contestare la tesi della presunta maggiore resistenza femmi-

nile alla conversione sono state scritte da ARMANI 2006, pp. 300-307.11 Le informazioni che i registri di battesimo riportano consentono di avere notizie su luogo di

nascita, paternita e maternita dei neofiti, nonche su data e luogo del battesimo e sul nuovo nomeassunto dal convertito. Pur con le cautele dovute alle frequentissime omonimie che caratterizzanole comunita ebraiche, e con l’ausilio di notizie talvolta riportate nei fascicoli personali dei convertiti,e possibile determinare con un buon grado di attendibilita le parentele di primo e secondo grado; cionon e invece semplice per i gradi successivi. Per tali ragioni, le percentuali riportate nel testo devonoprobabilmente essere considerate erronee, ma per difetto.

12 A Reggio si registro la conversione di un unico intero gruppo familiare, quello di AbramoVienna; a Modena quella delle famiglie di Benedetto Formiggini, Sansone Sanguinetti, Moise Padovae Benedetto Girolamo Levi. Tipicamente, le famiglie ricevevano il sacramento durante la medesimacerimonia.

CAPITOLO QUINTO

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che invece affiora nettamente e la scelta che legava soprattutto fratelli e sorel-le, accomunati dal medesimo destino catecumenale, sebbene spesso compiutoad anni di distanza gli uni dagli altri.13 Abram Forti, ventenne reggiano con-vertitosi nel 1816 fu seguito, otto anni dopo, dal fratello Raffaele, diciottenneal momento del battesimo; quindici anni separano la scelta di Raffaele Fano,ebreo di Scandiano, da quella della sorella Giuditta, avvenuta nel 1833; oltredue decenni intercorrono tra la conversione delle modenesi Celeste e RosaModena, cosı come tra quella dei fratelli reggiani Ottavio e Prospero Modena.I casi risultano tra loro estremamente eterogenei, sia per l’assenza o la presen-za in vita di uno o entrambi i genitori al momento dell’abbandono della co-munita d’origine, come per l’eta e il genere dei protagonisti.14 Difficilmentee possibile interpretare questi comportamenti alla luce di un comune denomi-natore; tuttavia, il ricongiungimento familiare, l’elemento affettivo che finisceper prevalere sulla tradizione ebraica, potrebbe, forse, essere avanzato comechiave interpretativa di queste dinamiche: quando vissuta all’interno di unamedesima generazione, come accadeva nel caso di fratelli e sorelle, la conver-sione poteva dunque perdere il suo carattere di frattura netta, di cesura irri-mediabile. Questi particolari percorsi conversionistici si distribuirono senzaevidenti discontinuita su tutti i decenni qui presi in esame, dai primi anni dellaRestaurazione sino a scivolare oltre il periodo dell’emancipazione.

Per questa stagione, appare infruttuoso anche il tentativo di trovare unachiave di lettura dei battesimi leggendone l’andamento alla luce delle circo-stanze e dei condizionamenti politico-religiosi del periodo. La crescente pres-sione degli ambienti cattolico-intransigenti, assai attivi tra gli anni Venti eQuaranta dell’Ottocento, non sembra ad esempio aver avuto esplicite e diret-te conseguenze nel determinare un significativo incremento nel numero delleconversioni,15 ne intorno alle cesure legate ai rivolgimenti del 1831 e del 1848sembrano visibilmente addensarsi o diluirsi le scelte dei convertiti. Nemmeno

13 Sono ben 18 i gruppi di fratelli e sorelle che decisero di battezzarsi, 8 a Reggio e 10 a Mo-dena.

14 Le fonti purtroppo non consentono in maniera esaustiva di accertare, per tutti questi casi, seuno o entrambi i genitori fossero anora in vita al momento della conversione dei figli. Si tratterebbenaturalmente di un elemento in grado di chiarire e arricchire il quadro delle motivazioni e della con-dizione dei convertiti.

15 Nessun significativo incremento o decremento del flusso conversionistico emerge inoltre alsuccedersi dei vescovi; per Modena: T. Cortese (1786-1823), G. Sommariva (1824-1829), A. Caleffi(1830-1837), L. Reggianini (1838-1847), L. Ferrari (1848-1851), F.E. Cugini (1852-1872); per Reg-gio: F.M. d’Este (1785-1821), A.M. Ficarelli (1822-1825), F. Cattani (1826-1849), P. Raffaelli (1849-1866). Neppure avvenimenti che aggravarono il quadro economico complessivo dei ducati, come lapesante carestia del 1815-1817 o il riaffacciarsi dell’epidemia di colera nel 1835 e nel 1855, sembranoaver giocato un qualche ruolo nel condizionare l’andamento dei battesimi.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

la scomparsa del retrivo Francesco IV, nel gennaio del 1846, rappresento unpossibile momento di svolta poiche la politica adottata dal figlio Francesco Vnei confronti degli ebrei si inserı senza alcuna evidente frattura all’interno del-la cornice, normativa e ideologica, gia disegnata dal padre.16

E pertanto nel privato di un percorso e di una condizione individuale efamiliare che devono con ogni probabilita ricercarsi i moventi di tali scelte.Ferma restando una certa inadeguatezza che gli storici avvertono di frontea vicende che affondano nelle anse della psicologia, la conversione, quandonon coatta, era senza dubbio «l’esito di un percorso interiore che si sondain una humus densa di risorse e di relazioni con l’ambiente circostante: la fa-miglia [...], le opportunita economiche e matrimoniali delle quali si dispone, iprocessi di mobilita sociale e territoriale in cui si e coinvolti, i meccanismi so-ciali di integrazione ed espulsione».17

A scorrere le pur esili tracce documentarie rimaste a testimonianza di que-ste vicende, poverta, marginalita, solitudine, erosione dei rapporti intra-fami-liari e della rete di sostegno che tradizionalmente la famiglia rappresentava,sembrano costituire il retroterra comune alla larga maggioranza dei neofiti,il cui precario profilo socio-economico emerge chiaramente dalle fonti dispo-nibili. Si trovano cosı domestiche (condizione nettamente prevalente nelledonne che decidono di battezzarsi),18 calzolai, lavoratori e lavoratrici di tru-cioli, sarti, venditori ambulanti: la poverta di mezzi resta il dato biograficodominante tra coloro che aspiravano alla conversione.19 Dalle pressanti,continue, richieste di sussidio e di aiuto rivolte dai neofiti all’Opera del cate-cumeno traspare l’universo di profonda miseria e disagio in cui i convertiti,spesso anche con le loro nuove famiglie cattoliche, continuavano a vivere,sia nell’immediatezza del battesimo sia a molti anni di distanza – non e infre-quente che fosse proprio il coniuge cattolico a rivolgere all’Opera la supplica

16 Per quanto datati, sulla politica degli ultimi due duchi d’Este verso gli ebrei negli anni dellaRestaurazione, cfr. FANO 1932, FANO 1941. Precisi riferimenti alle disposizioni antiebraiche re-intro-dotte o inaugurate da Francesco IV anche in BADINI 1998.

17 Cfr. ALLEGRA 1996, p. 12.18 In questi stessi anni, anche il caso fiorentino registra la presenza predominante di domesti-

che/cameriere tra le neofite ebree. Cfr. ARMANI 2006, p. 303.19 Lo spaccato socio-economico della comunita modenese emerge dal ruolo della popolazione

del 1847, laddove ai pochi «possidenti», «sensali» o «banchieri», si contrappongono in grande nu-mero qualifiche come «stracciarolo», «giratario», «ferrovecchio», «cucitrice», «oste», «caffettiere»«materazzaro», «trovavecchio», «lavandiera», «pelapolli», «pizzicagnolo», «merciaio», «facchino».Cfr. ACEMo, b. 50,1. Analoga polarizzazione, nei medesimi anni, emerge dal ruolo della popolazio-ne di Reggio Emilia, dove nel 1849, a fronte di 649 individui nel segmento economicamente piu agia-to, si registrano soltanto 13 banchieri, 7 mediatori e 13 liberi professionisti. Cfr. ASRE, Universitaisraelitica, Archivio nuovo, b. 35/1-5.

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per un ennesimo sostegno economico. Per la maggioranza dei neofiti, il pas-saggio del confine tra l’antica e la nuova comunita di appartenenza non avevarappresentato, come sperato, l’approdo a una condizione di maggiore stabili-ta. La marginalita da cui avevano tentato di evadere sembrava seguirli, senzaalcuna possibilita di riscatto, anche mutati nome e fede.

Emblematica, tra le tante, la vicenda della famiglia reggiana di Isach Civi-dalli, in cui la poverta segno il destino dei componenti attraverso piu genera-zioni. Nel 1812 Isach e la moglie Sara entrarono nel Catecumeno cittadino in-sieme ai loro quattro bambini di pochi anni. Nel 1818 i figli, nell’impossibilitadi essere mantenuti dai genitori, furono posti a dozzina presso una famigliareggiana a spese dell’Opera. Neppure questo sollievo economico tuttavia mu-to la condizione miserevole dei due coniugi. Nel febbraio del 1820, Isach– ora chiamato Pietro Sori – rivolgeva una supplica al vescovo:

Le piu orribili calamita opprimono all’ultimo grado l’infelice Pietro Sori, neofitadi questa citta, servo ossequiosissimo di Vostra Eccellenza: la moglie del supplicantegiacente in letto da due mesi circa, oppressa da diversi mali e passioni; lo stato di as-soluta nudita in cui trovasi in questa crudele stagione, senza vestimenti ne scarpe inpiedi. [E] in tale oceano di guai, che non trova conforto che nella santa fede, che hadi cuore abbracciata e fatta abbracciare, che cotesto si trova di ricorrere alla pieta edesemplare religiosita dell’Eccellenza Vostra.20

Un aiuto supplementare venne accordato, e Pietro e la moglie furono sus-sidiati sino alla morte, avvenuta nel corso degli anni Quaranta. Le poche pa-role, a scarno riassunto della loro vicenda, poste sulla copertina del fascicolointestato alla famiglia Sori li ricordava, tristemente, come «sempre miseri e talisono morti, anche con sussidi stabili e replicati sussidi straordinari». Ne mi-glior fortuna ebbero i figli di Pietro che, ancora nel 1859, risultavano tutti co-stantemente sussidiati dal Catecumeno: Giulio, cinquantenne, «ammogliatoed avente una figlia e lavoratore sartore, ma povero», Maria «nubile e mala-ticcia», Anna «maritata e sempre malata».21

Anche per la reggiana Venturina Cantoni, poi Beatrice Pisi, la conversionenon costituı un effettivo riscatto. Venturina aveva vent’anni quando nel 1819si convertı e lascio la citta avendo trovato un lavoro come domestica a Parma.Nel 1842, divenuta quasi cieca e costretta ad abbandonare l’impiego, nell’im-possibilita di trovare una nuova occupazione a causa delle sue condizioni, tor-nava nella citta natale. Ormai priva, presumibilmente, di appoggi e sostegni,

20 AIRete, PLC, titolo I, filza I, rubrica 3.21 Ibid.

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non le restava che rivolgere al Catecumeno la richiesta di un aiuto. La donnafu cosı posta a dozzina presso una famiglia che, sussidiata dall’Opera, l’avreb-be accolta in casa propria e si sarebbe occupata di lei. Dopo alcuni anni, eranogli stessi ospiti a chiedere un aumento del sussidio che mensilmente veniva lo-ro corrisposto, considerato l’aggravarsi della situazione:

Trovandosi ad avere da quattro anni in dozzena la neofita Pisi Beatrice, come enoto alla Signoria Vostra, non potendo piu a lungo tenerla, non tanto per l’annatacritica quanto per la sua malferma salute, per la quale e obbligata continuamentenel letto, dal quale non puo muoversi perche cronica, e ridotta in uno stato taleche fa d’uopo servirla come una bambola, egli e percio che l’umile ricorre alla prelo-data Signoria Vostra perche si degni di portare l’attuale dozzena da lire 10 a lire 20mensili, in forza anche del gran consumo di biancheria.22

Nel 1852, da tempo degente presso l’Ospedale delle donne di Reggio,Venturina moriva.

Probabilmente non fu la fede a spingere l’anziano Angelo Levi Minzi, diBrescello, a rinnegare l’ebraismo. Settantenne, solo, «in stato di cecita e privoaffatto dei mezzi di necessaria sussistenza», con un «figlio spurio», Leon, dicinque anni da mantenere, nel 1825 Angelo decise di entrare nel Catecumenoreggiano. La lettera inviata dal governatore della citta al vescovo raccontavadella lunga esistenza «dissoluta» dell’uomo, condotta sempre ai margini, an-che della sua stessa comunita:

Mi occorre di fare conoscere alla Signoria Vostra illustrissima reverendissima cheil predetto ebreo Levi Minzi, per di lui colpa, vive da molti anni separato dalla di luimoglie Regina Fano, che ha sempre tenuto scostumata condotta ed ha coltivato rela-zioni illecite con donne di diversa qualita e specialmente con la di lui servente ebreadalla quale ha avuto luogo illegittimi frutti, fra i quali il sunnominato [Leon] e che l’at-tuale miseria del Minzi e stata prodotta principalmente dalla mala gestione e depaupe-ramento del di lui patrimonio, mantenendo sempre una condotta scandalosa ed affattoriprovevole. Di tutto cio ne parlano gli atti di questo governo, dai quali emerge pure lediverse misure prese contro il Minzi per porre freno al dissoluto di lui vivere, misureche hanno di poco o nulla distolto il Minzi dal di lui riprovevole contegno di vita.23

Nonostante i dubbi del governatore reggiano, la Curia cittadina accettol’anziano e il suo bambino tra i catecumeni, dimostrando come non sempreuna cattiva fama e trascorsi poco limpidi fossero ragione sufficiente per negare

22 AIRete, PLC, titolo I, filza I, rubrica 3.23 Ibid.

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il battesimo. Nella maggior parte dei casi, pero, le autorita religiose respinseroi soggetti la cui condotta e le cui motivazioni non erano ritenute moralmenteaffidabili. A Modena e Reggio – ma anche a Firenze o a Trieste24 – la «costu-manza» del possibile convertendo faceva talvolta premio su ogni possibileconsiderazione di ordine spirituale: coloro la cui reputazione aveva gia resicattivi ebrei, ben difficilmente sarebbero divenuti in futuro buoni cattolici.La vocazione di Fortunato Teglio, ventenne modenese e rivenditore ambulan-te di limoni, non convinse ad esempio il delegato vescovile al Catecumeno,che nel 1847cosı motivava i suoi sospetti circa le vere intenzioni del giovane:

In quell’esame [il primo colloquio per testare la genuinita alla conversione] il Te-glio non lascio a sufficienza trasparire i segni di una verace vocazione alla fede, mo-strandosi non affatto scevro da fini umani e specialmente d’interesse. Le strettissimecircostanze in cui versa, la totale incapacita a qualunque sia industria propriamentedetta ingenerarono in me non pochi dubbi. Lasciai passare qualche tempo in cui lotenni d’occhio e chiesi a parecchi sul conto di lui. Gli ho rifatto un esame sui motiviche lo spingerebbero al cattolicesimo. Sempre fermo nel suo proposito e sempre igno-rante come prima: pero meno fiducioso di un avvenire fortunato come sognava unavolta.

Fortunato, come si intuisce, non fu mai accolto in Catecumeno.25

La moralita del convertito, la sua buona o cattiva condotta, anche politica,incidevano peraltro sulle possibilita che le (immancabili) richieste di aiutopost-battesimale trovassero accoglimento. Non fu esaudita per esempio la ri-chiesta di Abramo Modena, alias Giuseppe Palingeni, convertitosi a trent’anninel 1845; l’uomo era noto infatti alla polizia modenese, che cosı lo descrivevain un rapporto del 1849 inviato al Catecumeno:

Essere egli di pessimi costumi, sia morali che religiosi, per permettere che la di luiabitazione sia consesso di prostitute favorite da lui medesimo e dalla propria moglie,gia cognita per la riprovevole sua condotta morale avendo inoltre a tempo addietrosubito una condanna per titolo di furti. Quel negozio che in via provvisoria il Palin-geni ha aperto in Contrada Monti anziche considerarsi uno smercio di caffe e liquoripuo dirsi un richiamo di persone di cattiva fama sotto ogni rapporto, per cui bastaaccennare per prova di fatto che non ha guari un marito vende la propria mogliead altro uomo anch’egli ammogliato con figli ed il contratto di cessione fu eseguitoin detto negozio mediante scrittura in carta bollata con firme di testimoni. Oltrecio durante il governo provvisorio durante il 1848 il Palingeni, unitamente al ben no-

24 Cfr. SALVADORI 1993, pp. 101-150; CATALAN 2000, pp. 210-216.25 ACAMo, OPC, Famiglie Sabbadini-Vigevani.

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to farmacista F., subirono qualche tempo d’arresto e furono sottoposti a criminaleprocesso per avere tentato sulla piazza grande di questa citta di promuovere la repub-blica.26

La giovane Giulia Modena, poi Maria Luigia Campobianco, convertitasitredicenne nella capitale del ducato nel 1852, avanzava dopo il battesimo con-tinue richieste di aiuto, minacciando il delegato dell’Opera modenese di «an-dare a chiedere aiuto alla casa paterna». Stizzita la risposta che le pervennenell’estate del 1857:

Si faccia conoscere alla giovine neofita Campobianco Maria Luigia che il Catecu-meno non puo mantenere i giovani che si convertono in una vita disoccupata, e se sipotesse, non dovrebbe; e che percio ella debba prestarsi a guadagnare onoratamenteil proprio vitto col mettersi al servigio in qualche cristiana famiglia.27

Rifiuti e conflitti tra l’Opera e i convertiti non oscurano il fatto che tantoa Modena quanto a Reggio il ruolo svolto dal Catecumeno dopo il battesimofu quello di un ente assistenzial-caritativo che elargiva sussidi ordinari (soli-tamente mensili, talvolta trimestrali) o straordinari, rappresentando per i neo-fiti, anche per quelli di antica data, un punto di riferimento cui sapevano osperavano di potersi sempre rivolgere. In tal senso l’Opera reggiana sembradistinguersi da quella modenese per l’aiuto assicurato ai convertiti non solonell’anno che seguiva il battesimo, ma anche nei successivi periodi di difficol-ta, con il coinvolgimento di famiglie presso le quali il neofita era posto a doz-zina28 – dinamica assente nel caso modenese. Tra il 1819 e il 1859 la nuovacomunita dei sussidiati reggiani, sovrapponibile in massima parte a quella de-gli stessi convertiti,29 conto in media 19 persone.30 Si trattava di una presen-za, come detto, estremamente povera: le note manoscritte poste a marginedell’elenco dei beneficiati del 1850, tutte relative a convertiti di vecchia data,testimoniano il perdurare di una condizione miserevole, che il battesimo

26 ACAMo, OPC, Famiglie, filza III.27 Ibid.28 Anche nel primo anno dopo il battesimo il sostegno dell’Opera reggiana ai neofiti si sostan-

ziava nel loro mantenimento a dozzina presso una famiglia.29 Pochissimi sono i nomi di convertiti reggiani non presenti nelle liste nominative dei sussidiati:

un neofita morı a pochi mesi dal battesimo, un altro emigro in Francia. Negli elenchi non risultano inogni caso i nomi dei neofiti non reggiani, in quanto, secondo lo statuto dell’Opera, gia dal periodo dicatecumenato (come per l’anno successivo alla conversione) questi non ricevevano alcun sostegno dalCatecumeno, ma erano sussidiati dal municipio di appartenenza.

30 Tra le carte d’archivio si e conservato l’elenco nominativo dei sussidiati per gli anni 1819,1826, 1830, 1839, 1846, 1850 e 1859. Cfr. AIRete, PLC, Recapiti di pagamenti, filza III.

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– ricevuto anche dodici, ventisei o trentacinque anni prima, in giovane eta –non aveva cambiato: «ammogliato e povero», «malaticcia», «povero ammo-gliato con figli», «con prole e povero», «senza impiego dal 1842 in avanti»,«nubile, povera e semplice», «degente a San Lazzaro» (l’ospedale riservato aimalati di mente),31 «rimessa dopo 24 anni a sussidio, perche povera e inatta alavorare».32

Sebbene costantemente impegnata nel sostegno ai neofiti, l’Opera reggia-na non ricopriva certamente un ruolo centrale nella rete degli enti di assisten-za municipale di cui faceva parte, ma piuttosto una posizione di nicchia, spe-cifica e circoscritta, come mostrano anche i suoi bilanci. Nel 1845, sui diciottoistituti di beneficienza attivi in citta, il Catecumeno contava su un introito an-nuo di circa 6000 lire, a fronte di istituzioni come l’Ospedale degli Infermi el’Albergo degli Orfani che, rispettivamente con 50000 e 40000 lire di entrateannue, rappresentavano le realta principali dell’assistenza cittadina. Occorrepoi commisurare le rendite del Catecumeno a quanto l’Opera elargiva effetti-vamente per i suoi servizi. L’entita dei sussidi erogati in questi anni, diversa aseconda dei singoli casi (nel 1815 da un minimo di 36 a un massimo di 345 lireannue; nel 1850 da 60 a 180 lire annue),33 se confrontata con i bilanci mette inrilievo un’amministrazione parsimoniosa, piu attenta a tutelare le entrate del-l’istituzione che non a svolgere una fattiva e concreta azione di sostegno aineofiti o a impegnare le proprie risorse verso un attivo proselitismo. Nel de-cennio 1835-1845 delle 6000 lire annue di entrata (comprensive di legati, in-teressi sui capitali, livelli, censi e affitti) solo 1300 erano erogate per il sussidiodei convertiti.34

Analoga la condotta con cui furono prudentemente gestite le piu scarnesostanze dell’Opera modenese: nel 1826 i proventi dell’ente, derivanti da frut-ti di censo, affitti di parte del fabbricato che ospitava il Catecumeno ed ele-mosine raccolte durante le prediche, ammontavano a 4654,03 lire,35 superan-do ampiamente le uscite complessive di quell’anno, pari a 1208,65 lire; 36

31 L’Ospedale di San Lazzaro, originariamente lebbrosario, divenne gia a partire dal 1700 il fre-nocomio di Reggio Emilia.

32 AIRete, PLC, Recapiti di pagamenti, filza III.33 Ibid. Nel corso del 1815 l’entita dei sussidi erogati annualmente dall’Opera reggiana fu di

lire 1601,30, nel 1850 di 1557,16 lire. Tali somme erano da dividersi rispettivamente tra 18 e 13neofiti.

34 Ibid.35 Cosı ripartite: frutti di censo 1827,10 lire; affitti di parte del fabbricato che ospitava l’Opera

721,54 lire; elemosine raccolte durante le prediche 2105,39 lire.36 ACAMo, OPC, Amministrazione, f. «Stato attuale della cassa catecumeni». Si tratta del bi-

lancio dell’Opera modenese a tutto il 1826. Per Modena, come per Reggio, i rendiconti contabili a

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anche a Modena, dunque, gli amministratori preferivano riservarsi una quotada tenere ferma in cassa piuttosto che incrementare l’assistenza ai neofiti ol’attivita conversionistica. Sta di fatto che l’Opera modenese scontava unacondizione di debolezza economica rispetto alla consorella reggiana da cuinon riuscı o non volle mai risollevarsi nel corso dei decenni della Restaurazio-ne. Il supporto che l’istituto era in grado di assicurare dovette essere quindipiuttosto modesto (restava, pero, l’aiuto specifico rivolto alle donne nubili ela dote loro concessa in caso di nozze), e a rendere ancor piu esile quel soste-gno fu l’aumento del numero di sussidiati: da 35 nel 1826 si passo a 49 nel1841,37 26 donne e 23 uomini.38

Se alle porte della Casa continuavano a bussare ebrei per lo piu indigentispinti dal bisogno o individui marginali, neppure durante la stagione della Re-staurazione mancarono eccezioni e anomalie, ovvero battesimi eccellenti ri-guardanti esponenti di spicco del gruppo ebraico. Ancora una volta, a essereprotagonista fu la famiglia modenese dei Formiggini.

Economicamente assai agiato, figlio di Salomone e nipote di quel Moiseche tanta parte aveva avuto negli anni della Cisalpina e del Regno d’Italia, Be-

noi pervenuti presentano lacune e vuoti cronologici che rendono difficile seguire l’andamento delleentrate e delle uscite in modo sistematico.

37 Dati tratti dall’elenco dei percettori della mancia natalizia di quell’anno, come sempre desti-nata a tutti i convertiti. ACAMo, OPC, Memorie e documenti, I9. Manca purtroppo l’ammontaredella somma erogata ai singoli, cosı come la somma totale della mancia natalizia. Il dato e invece notoper quanto riguarda l’Opera reggiana che piu o meno in quegli stessi anni, nel 1847, distribuiva aNatale 120 lire da dividersi tra 17 catecumeni. Come sempre l’entita del sussidio variava da individuoa individuo, da un minimo di 2,36 lire a un massimo di 10 lire. Per avere un’idea del potere di ac-quisto di tali somme possediamo un’utile lista delle spese correnti sostenute mensilmente dal Cate-cumeno reggiano, sempre nel 1847: con 33 lire si coprivano le spese di bucato mensile di tre cate-cumeni, con 31 si poteva sostenere il barbiere e il bucato del convertendo Alessandro Brisi, 22 lirevennero pagate «al Caffe Chiesi per trattamento Valeri [ex Samuele Diena] per l’Accademia», 21 lirefurono date «al calzolaio per l’Adele [ex Pamela Moroni]». La lista, che ci permette di capire comel’Opera sostenesse molte spese necessarie al mantenimento quotidiano di convertendi e neofiti (bar-biere, bucato, calzolaio, «sartore», «cure e medicinali», libri), mette altresı in evidenza l’esiguita delsussidio erogato mensilmente, nonche quello della mancia natalizia.

38 Assai utile sarebbe un confronto piu puntuale tra la politica del Catecumeno e quella attuatadalle istituzioni ebraiche; sia per Modena che per Reggio l’assenza di studi complessivi dedicati allabeneficenza e alla filantropia nelle comunita non permette tuttavia di avanzare alcuna ipotesi circa ilfunzionamento della rete assistenziale ebraica. Nel corso dell’Ottocento, accanto al Talmud Tora, ledue confraternite a scopo benefico piu significative all’interno della comunita modenese furono laCompagnia So‘ed H

˙olim (poi Misericordia Donne) e la Compagnia Misericordia Uomini che, sorte

nel Settecento, si occupavano dell’assistenza a malati e moribondi. A Reggio dagli anni Quaranta del-l’Ottocento risulta operare una Congregazione di carita israelitica, di cui sono rimaste solo pochecarte, divenuta nel 1856 Sezione d’economia e beneficenza (cfr. ASRE, Universita Israelitica, Archi-vio Nuovo, bb. 7, 18). Sul tema, in generale, cfr. LEVI D’ANCONA 2003, MINIATI 2010. Dai risultatidella Statistica delle Opere pie promossa dal governo nel 1897, risulta che a quella data in Italia fos-sero 109 le istituzioni di beneficenza-assistenza facenti capo a universita israelitiche; cfr. LEPRE 1988,p. 97.

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nedetto Formiggini aveva 36 anni quando, nel 1827, decise di abbandonare lacomunita.39 L’uomo era da tempo uno dei rappresentanti ufficiali dell’univer-sita israelitica cittadina; sue, ad esempio, erano state le firme apposte in calceai molti appelli rivolti, solo pochi anni prima, al duca e al pontefice perche ilpiccolo Angelo Sanguinetti potesse essere restituito all’affetto dei genitori do-po il battesimo clandestino impostogli da una servente. I modi violenti e arbi-trari con cui la Chiesa era ancora solita strappare alle famiglie ebree i proprifigli non dovettero dunque causare nell’animo di Benedetto eccessiva repul-sione verso il cattolicesimo. Se gran parte delle carte d’archivio restituisconoin modo opaco le motivazioni (apparentemente di ordine spirituale) che con-dussero al battesimo di Benedetto, di sua moglie Ricca Sacerdoti e dei lorodue figli Felice e Chiara, rispettivamente di 13 e 8 anni, alcuni documenti con-servati presso il Sant’Ufficio consentono di ricostruire con maggiore dettagliole circostanze in cui i Formiggini decisero di condursi al fonte battesimale o,per meglio dire, la procedura del tutto peculiare seguita dal capofamiglia Be-nedetto.40

Questi i fatti: una notte del giugno 1827 Benedetto Formiggini, ancoraebreo, approfittando del sonno della moglie e dei figli, aveva clandestinamenteimpartito loro il battesimo. L’uomo si guardo bene dal confessare il gesto com-piuto: Ricca Sacerdoti ne fu informata mesi dopo, nel febbraio del 1828, e i dueragazzi solo a marzo, al momento di essere sottoposti all’esame del vescovo diModena. Nel caso dei figli, Benedetto riteneva evidentemente inutile renderliedotti, stimando che questi avrebbero comunque dovuto sottostare alla volon-ta paterna; il silenzio nei confronti della moglie era invece giustificato dal timo-re che la famiglia Sacerdoti (come in effetti avvenne) potesse mettersi in allar-me. Per alcuni mesi, battezzati segretamente i congiunti, Benedetto mantenneil piu stretto silenzio. Nell’ottobre del 1827 si decise pero a confessare a un par-roco quanto avvenuto. La questione che si poneva non era banale: poteva rite-nersi valido il battesimo impartito da un non-cristiano nei riguardi di personeche il sonno rendeva totalmente inconsapevoli? Informato il vescovo di Mode-na, il ricorso al giudizio romano fu inevitabile e la macchina del Sant’Ufficio simise in moto, oliata da lunghi memoriali dell’abate Baraldi, interessatosi per-sonalmente a che la vicenda avesse un «lieto esito»:

Quest’ebreo – scriveva Baraldi al cardinale penitenziere – istrutto nelle scienzefilosofiche e nelle legali, comincio sin dal 1813 a studiare i caratteri della religion vera

39 Benedetto era quindi cugino di quel Laudadio Formiggini che, con grande scandalo dellafamiglia, si era convertito nel 1813. Vedi supra, p. 121.

40 Per l’intera vicenda, ACDF, S.O., D.B., 13 (1828-1830), f. 3, da cui sono tratte le citazioniche seguono.

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e a persuadersi d’essere nella falsa. Ondeggio lunga pezza dopo aver gustate le erro-nee dottrine de’ moderni increduli e le lezioni egualmente perverse che a quei giornis’insegnavano a Bologna. Infine resto convinto della verita del cristianesimo e si de-cise di volerlo abbracciare. Ha per moglie un’ottima, educatissima signora, figlia d’u-no de’ piu ricchi ebrei d’Italia e quanto ricchi altrettanto tenacissimi dell’ebraismo.Cerco di persuader la moglie e comincio fin dal 1826. Trovo grandi ostacoli che apoco a poco fur vinti.

Temendo che i parenti della moglie potessero distoglierla, Benedetto cer-co di prevenirli mettendoli di fronte al fatto compiuto, consapevole dei pro-blemi sollevati da un battesimo tanto originale:

Studio allora da se l’ebreo i canoni e le bolle: vide che un consenso e un’intenzionantecedente rendeva valido un battesimo conferito anche in sonno o in demenza: equindi cerco di avere un argomento autentico e incontrovertibile dell’intenzion dellamoglie. Stese una dichiarazione precisa, apertissima in cui esponeva di volere abbrac-ciare il cristianesimo, di desiderare il battesimo e di segnar questa dichiarazione sot-toscritta dalla moglie colla firma di due testimoni e la ricognizione di un pubblico no-taio: tal carta fu scritta il 15 giugno scorso [1827].41

Dopo aver convinto anche i due figli a esplicitare per iscritto la propriaintenzione di passare al cattolicesimo, procedette a battezzarli nel sonno:

Cio fatto, si munı di una boccella capace di cristallo, piena d’acqua purissima, e il24 giugno medesimo alle ore 6 antimeridiane, mentre la moglie dormiva, sulla testascoperta verso porzion di quell’acqua pronunciando rettamente la formola. Il giornoseguente, 25 giugno alle 93/4 della sera battezzo nello stesso modo il maschio, e reca-tosi nella stanza della figlia ne trovandola abbastanza addormentata, piu tardi cioe alleore 101/2 di sera battezzolla del pari e sempre in modo esatto, preciso e da togliereogni menomo dubbio. Con questa esposizione parmi che si risponda a parecchi deidubbi del voto e che abbia a ritenersi certamente valido il battesimo conferito.

I cardinali si mostrarono inizialmente indecisi sulla validita del battesimo;Baraldi si impegno quindi con un secondo scritto, determinato soprattutto adimostrare che l’intenzione al battesimo della moglie e dei due figli fosse in-dubitabile, nonostante le circostanze particolari in cui il sacramento era statoimpartito:

So d’aver detto a Vostra Eccellenza le qualita personali di questa famiglia. L’uo-mo e dotto, giudizioso, rispettosissimo in ghetto e anche fuori e che conosce a fondo

41 Lettera di Baraldi al cardinale Francesco Saverio Castiglioni, 4 novembre 1827.

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lo spirito d’intolleranza e di fanatismo de’ suoi correligionari per cui non ha vedutomezzo piu efficace da illuderlo e chiudergli ogni via quanto col conferire nel modo alei noto il s. battesimo alla moglie e ai figli. Egli era convinto dell’intenzion loro insecondarlo e le molte volte la moglie sua mostrava rammarico di non esser nata cri-stiana, gli prometteva di seguitar il suo esempio quando fossesi dichiarato, ma di ca-rattere timido e avvezza ad una obbedienza cieca assoluta ed immensa ad una madretenacissima ebrea, e dai fratelli potentissimi in influenza, in ricchezza, in fanatismo,legato co’ rabbini eglino stessi, e di tanta forza sul cuore e sullo spirito della rispettivafiglia e sorella da indurla a qualunque passo [...] quantunque, le ripeto, sia donna aquel che mi dice il parroco mediatore, mentre io non la conosco, di ottimi costumi, dibuon’indole e tutta del marito e de’ figli [...] Il marito assicura che in seguito [alladichiarazione di fede sottoscritta il 15 giugno] non diede mai menomo segno di in-tenzion contraria [...] Non rimanendo percio dubbio sull’intenzion della donna nesul modo con cui venne somministrato il battesimo pare deggia ritenersi valido.42

Nel febbraio del 1828, lo stesso Benedetto, forse stanco di aspettare il re-sponso romano e timoroso di un intervento della famiglia della moglie – «sa-rebber capaci sin di rapirla e farla scomparire non solo da Modena, ma da Ita-lia stessa», incalzava Baraldi nei suoi resoconti –, uscı allo scoperto e licenziatatutta la servitu ebraica chiese la dispensa papale in modo da poter al piu prestoiniziare il catecumenato «nella propria superba villeggiatura» a San Cesario,dieci miglia distante da Modena. Considerato il profilo del futuro neofita, larichiesta fu prontamente accolta e la famiglia Formiggini non conobbe maile anguste e povere stanze della Casa modenese, potendo comodamente svol-gere il veloce periodo di istruzione religiosa nella dimora di campagna, assistitadal locale parroco. Il vescovo di Modena, recatosi personalmente presso la villadei Formiggini, condusse il consueto esame, volto a testare le intenzioni deiconvertendi. La moglie Ricca, a prestar fede alla trascrizione dell’interrogato-rio, affermo di aver aderito al cristianesimo «per vero convincimento» e che datempo aveva avuto l’intenzione di farsi cristiana: «Conosco da qualche tempoche la religione giudaica non puo essere la vera [...]; esitai pero per quei riguar-di che mi legano ai parenti e soprattutto alla mia mamma [...]; esitai pel rispet-to che la madre mia non avrebbe potuto riguardarmi colla solita affettuosita».I due figli, interrogati su un possibile pentimento rispetto alla volonta manife-stata per iscritto al padre mesi prima «risposero con tutta franchezza e sinceritadi non aver mai sentito alcun pentimento».

Inviati a Roma i risultati dell’esame vescovile, il 26 marzo del 1828, il votofinale del Sant’Ufficio dichiarava valido il battesimo impartito nel sonno da

42 Lettera di Baraldi al cardinale Castiglioni, 9 dicembre 1827.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

Benedetto Formiggini.43 A testimonianza di un diverso atteggiamento riserva-to ai Formiggini da parte delle autorita ecclesiastiche in virtu dello status dellafamiglia, e significativo che, unico caso tra i convertiti modenesi e reggiani de-gli anni della Restaurazione, Benedetto, la moglie e i figli poterono mantenereil loro cognome anche dopo il battesimo, cosı come non mutarono i nomi, cuifurono semplicemente aggiunti quelli dei padrini e delle madrine che ne ac-compagnarono l’ingresso nella nuova religione.

MEMORIE DAL CATECUMENO

«Eccomi tornato da Venezia col cuore immerso nel piu vivo dolore.Un’anima e fuggita dall’ovile di Gesu Cristo ed e sorda alle voci della Chiesache la richiama». Il 10 novembre 1871, don Lodovico Raffaelli, delegato ve-scovile per il Catecumeno modenese, iniziava con queste parole un lungoracconto, sorta di diario o memoriale, in cui dava conto del suo tentativodi riportare alla fede una «pecorella smarrita».44 Il manoscritto del canonico(Fig. 8) prendeva spunto dalle vicende di Teresa Eletti, convertitasi nell’au-tunno del 1838, all’eta di 28 anni, nelle mani dell’allora vescovo Luigi Reg-gianini. Nel marzo del 1871, ormai non piu giovane, Teresa decideva di la-sciare la famiglia modenese presso la quale era da anni a servizio e di tornaredalle sorelle, rimaste nell’ebraismo, nella sua citta natale, Venezia. Qui si sa-rebbe riappropriata del suo nome originario, Ermellina Del Sole, e con essodella fede degli avi.

Il lungo racconto del sacerdote ufficialmente non era pensato per esserereso pubblico – erano pagine «destinate a giacere in una filza dell’archivio del-la Pia opera dei catecumeni»45 scriveva Raffaelli – e non fu mai dato alle stam-pe. Oltre ad assecondare una personale vocazione letteraria del canonico, in-tendeva essere soprattutto una testimonianza di tutti i tentativi esperiti perricondurre alla fede l’apostata fuggiasca: «Queste pagine serviranno a provarequanto questa Pia opera abbia fatto per chiamare sul buon sentiero la neofita

43 L’intera famiglia ricevette il battesimo il 9 aprile del 1828. Padrino di Benedetto fu il mar-chese Luigi Rangoni, ciambellano e ministro di Francesco IV. Odi, sonetti e inni vennero stampati ededicati a «Benedetto Formiggini, modenese di acutissimo ingegno e di largo censo» da esponentidel circolo intransigente modenese quali Marc’Antonio Parenti. Cfr. BEUMo, Archivio familiare For-miggini, cass. 7, f. 151.

44 Il manoscritto, rilegato e intitolato Una gita a Venezia, si compone di 85 pagine e porta comedata conclusiva il 10 novembre del 1871. Gli avvenimenti narrati datano dal marzo precedente. Iltesto e conservato in ACAMo, OPC, Registri, 8.

45 Una gita a Venezia, p. 82.

CAPITOLO QUINTO

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Fig. 8. Lodovico Raffaelli, Una gita a Venezia (1871).

Teresa Eletti».46 Utili a comprendere giudizi (e pregiudizi) di don Raffaelli suebrei e neofiti, le pagine illuminano anche atteggiamenti e prassi con cui il ca-nonico svolgeva il proprio compito di delegato al Catecumeno, di cui dal 1852era, di fatto, il factotum:47

Sono io che ebbi, posso dirlo, la maggior parte nelle cose relative alla venuta, alle

prove, agli esami, al mantenimento, all’istruzione, alla custodia ed al battesimo dei ca-tecumeni. Ed io conosco le brighe, i pensieri e moltissime volte i dispiaceri, le incer-

tezze, le ansie che accompagnano quegli atti.48

Il diario, seppure attraverso il filtro narrativo e la prospettiva certamentenon imparziale del suo autore fornisce qualche elemento in piu sulla vita deiconvertiti e sulle motivazioni che condussero alcuni di loro al battesimo, non-che sui mutamenti in atto nella societa all’indomani dell’Unita e della defini-tiva emancipazione della minoranza ebraica.

La struttura del racconto si presenta piuttosto mossa. Alla vicenda princi-pale della neofita fuggiasca, filo rosso che costituisce il pretesto da cui il diariomuove, Raffaelli alterna con frequenti flashback le «ben piu liete reminiscen-ze» legate alle storie di altre convertite: Griselda Calabresi, Emilia Rava, Re-gina Modena e Benedetta Formiggini. La narrazione del canonico e dunque,fondamentalmente, una storia di donne. Cio non deve stupire. Il sacerdote,designato nell’ottobre 1852 quale delegato al Catecumeno dal vescovo EmilioCugini, nella sua quasi ventennale esperienza aveva accompagnato al fonte 24catecumeni e ben 18 di loro erano donne.

Particolare la scelta stilistica con cui tutte le vicende sono esposte. Conuno spiccato senso teatrale, Raffaelli privilegia la forma del dialogo: «Teresa,sento da don Benedetto che pensate di abbandonar Modena e stabilirvi a Ve-nezia; sarebbe vero? – Sı, e vero signor canonico, e gia qualche tempo che migira pel capo tal idea». Il testo si presenta come un’autentica sceneggiaturache, arricchita dalle descrizioni dei vicoli e dei palazzi di una Modena spessogelida e innevata – le fughe delle aspiranti catecumene avevano luogo, tipica-

46 Una gita a Venezia, p. 83.47 Don Lodovico Raffaelli nacque a Modena il 21 marzo 1820. Ordinato sacerdote nel 1843 dal

vescovo Reggianini, si distinse per le proprie capacita. Nel 1855 compı un viaggio in Francia e In-ghilterra; fu canonico della cattedrale, cameriere segreto di Leone XIII, oltre che delegato vescovileal Catecumeno dal 1852. Svolse attivita di insegnamento presso varie scuole e si impegno nella dif-fusione della devozione a san Giuseppe tramite il periodico intransigentista Il divoto di San Giuseppe(cfr. MENOZZI 2005). Morı a Modena il 10 giugno 1899. Le notizie biografiche sono tratte dallo sche-dario dattiloscritto conservato in ACAMo, Fondo Casolari.

48 Una gita a Venezia, p. 6.

CAPITOLO QUINTO

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mente, col favore di livide albe – accompagnano il lettore dentro la scena chesi sta svolgendo.

E introducendo la «vergognosa defezione» della sessantenne Teresa Elettiche si aprono le pagine del racconto. Nel marzo del 1871, informato del pro-posito della donna di voler lasciare Modena (a testimonianza di un’attiva retedi controllo che monitorava la condotta anche dei neofiti di piu antica data:33 anni, nel caso di Teresa), Raffaelli la invita a un colloquio, persuaso chetale scelta nasconda delle insidie: «Ve lo dico schiettamente, temo molto a ve-dervi fare questo passo». Le rassicurazioni di Teresa non convincono il cano-nico, che sospetta che la donna intenda regiudaizzare. Allettandola con la ga-ranzia di non cancellarla dall’elenco delle sussidiate – in quanto nubile, laEletti continuava a percepire le somme del legato Barberini – Raffaelli le fapromettere che, una volta a Venezia, si presentera al suo nuovo parroco affin-che questi possa scrivere al collega modenese qualche riga di rassicurazione.Nondimeno, la partenza di Teresa conduce Raffaelli a riflettere sulla «condot-ta non commendevole di alcuni neofiti, «specialmente donne»:49

Nella condotta di alcuni neofiti, specialmente donne, ho di che dolermi. Alcunigiudaizzarono quasi apertamente, ne qui e il peggio. Due fra le neofite cresciute ededucate a tutta spesa della nostra Pia opera sono ite a Roma dopo il 20 settembre1870 e la si sono poste in una casa di licenza. Anzi, non ignoro gli sforzi sataniciche esse fanno per indurre una loro minor sorella, essa pure cristiana, a raggiungerlecola ed imitarle.50

Ma e anche la societa circostante, riflette il sacerdote, a non mostrarsi par-ticolarmente benevola nei confronti dei convertiti, guardandoli con il sospettoche si riserva ai rinnegati:

Il mondo giudica troppo severamente i neofiti; e quando parla di uno di essi,d’ordinario, lo insulta dicendo: e un ebreo fatto turco. La e questa una solenne ingiu-stizia. Purtroppo gli e vero che alcuni di essi venuti alla fede o per mero interesse oper una prepotente passione del cuore, dimenticano poco dopo le giurate promesse evivono una vita affatto indifferente in materia religiosa.51

Trascorrono la primavera e l’estate, ma da Venezia non giunge alcuna let-tera e i sospetti del canonico sono ormai divenuti certezze. La storia di Teresa,

49 Ivi, p. 29.50 Si tratta con ogni evidenza di Emilia, Giuditta e Rosalia Modena, figlie di Giuseppe e Anna

Formiggini; le prime battezzate nel 1854, Rosalia nel 1868. Per la loro vicenda si veda infra, pp. 193-194.

51 Una gita a Venezia, p. 5.

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a questo punto, e posta per alcune pagine sullo sfondo e la penna del sacer-dote lascia spazio ai ricordi di conversioni piu «commendevoli», come certa-mente dovette apparire agli occhi di Raffaelli quella di Griselda Calabresi. Na-tiva di Ferrara, la ragazza si sentiva sin dall’adolescenza «chiamata allareligione di Gesu Cristo». Visioni di strane sinagoghe abitavano i sogni dellagiovane: «Sapessi il bel sogno che ho fatto stanotte, mamma! Mi pareva di es-sere in una sinagoga di cristiani. Oh quanti lumi vi ardevano!».52 I genitoricercarono di farla desistere, allontanandola da Ferrara e mettendola a serviziopresso una ricca famiglia di ebrei modenesi. Del resto, non erano le prime de-fezioni che minacciavano l’unita della famiglia Calabresi: secondo una dinami-ca che – come segnalato nelle pagine precedenti – sembra essere una delle ca-ratteristiche del fenomeno conversionistico di questi anni, il fratello diGriselda, residente a Roma, si era gia convertito e cosı anche la sorella dellamadre.53 Giunta a Modena, la ragazza non esito a portare avanti il suo pro-getto e compiuti i 18 anni decise di entrare in Catecumeno. Battezzata nel set-tembre del 1853 con il nome di Maria Angiola, manifesto il proposito di pren-dere i voti. Raffaelli, in quegli anni gia delegato al Catecumeno, si adoperopositivamente perche la giovane potesse ricevere, oltre al sussidio del legatoBarberini, anche una somma aggiuntiva che le permettesse di risiedere pressol’Istituto delle Figlie di Gesu che la ospitava. Fu l’arciduchessa Maria Beatriced’Este, secondo le consolidate tradizioni che vedevano le donne della Casa re-gnante assai solerti nel sostegno ai catecumeni, a coprire le spese per il man-tenimento della ragazza sino al momento della consacrazione. In un turbiniod’identita, mutato ancora una volta il proprio nome e assunto (con riferimentoalla benefattrice) quello di Maria Beatrice, nel 1858 la giovane donna prese ivoti entrando nel convento modenese del Carmine dove, scriveva Raffaelli conmalcelata soddisfazione, «sacrifica la propria vita, logora le proprie forze, negacontinuamente se stessa, dirozzando le povere figlie del popolo».54

Ugualmente lieta era stata per il delegato la vicenda, contemporanea aquella di Griselda, di Emilia Rava, giovane reggiana convertitasi a Modenanella primavera del 1854, all’eta di 25 anni. La scomparsa della madre e il vi-vere lontano dalla casa paterna – la giovane era stata posta a servizio presso uncorreligionario modenese – spinsero Emilia a rivolgersi al canonico per orga-nizzare la fuga dal ghetto, inutilmente tentata qualche anno prima, quando an-cora era residente a Reggio. «Oggi che sono libera – diceva Emilia ricordando

52 Una gita a Venezia, p. 6.53 ACAMo, OPC, Famiglie, filza III.54 Una gita a Venezia, p. 9.

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il precedente, fallito, tentativo – oggi che per ruinose traversie domestichemio padre ha dovuto, sebbene a malincuore, permettermi di cambiar paeseper guadagnarmi il pane, spero non andra cosı».55 Interrogata da Raffaellicirca i motivi che la spingevano a un tale passo, la giovane non sapeva perofornire risposte: «Vorrei dirglielo, signor sacerdote, ma non so spiegarmi[...] Sento dentro di me una certa cosa che mi sprona a chiedere la fede cat-tolica, ma non la so comprendere [...] Il mio cuore vorrebbe pregare Iddio,ma non lo posso appagare». Incalzata dalle domande del canonico, Emiliarivelava cosı una quasi totale ignoranza religiosa, sia del proprio credo –«So qualche orazione, ma non la intendo [...], sono in ebraico [...] Qualchevolta ho provato a chiederne spiegazione, mi fu risposto che non importava»– sia di quello che bramava abbracciare – «Sapete nulla figliola mia di unSalvatore venuto o da venire?», «No»; «Sapete nulla di Sacra Bibbia?»,«No», rispondeva senza imbarazzo la giovane. L’interesse di Emilia versoil cristianesimo era stato riacceso, qualche mese prima, da un libro di pre-ghiere: «Trovai un libro cristiano [...] di quelli che le donne portano secola festa [...] a quando a quando ne leggo un poco, ma di nascosto». Fattonon comune (se diamo fede alle parole del canonico), la ragazza sapeva dun-que leggere ed era stata proprio la possibilita di recitare e capire le preghieread aver attirato l’interesse della giovane: «So che i cristiani fanno delle pre-ghiere in due lingue».56

Raffaelli congedo Emilia prendendo tempo, sospettando che di fronte atale esibita ignoranza religiosa la ragazza celasse in realta motivi solo terreniche la spingevano alla conversione: «Minor male, a mio avviso, una conversio-ne di meno, di quello di dover segnalare un’apostasia di piu! [...] Anche lozelo – chiosava il canonico – ha le proprie regole».57 Ma ormai risoluta a fug-gire, Emilia si licenzio, suscitando l’immediato allarme del padre e del fratello,giunto a Modena per cercarla. L’ostinazione della ragazza e il precipitare deglieventi indussero anche Raffaelli all’azione. Per testare le motivazioni di Emilia,il sacerdote la condusse inizialmente presso l’abitazione di due anziane zitelle,con le quali la giovane avrebbe iniziato la sua istruzione religiosa. Il padre, ar-rivato a Modena nel tentativo di far desistere la figlia, ebbe con lei un dram-matico incontro: «Vorrai tu, con un passo cotanto inconsiderato, disonorarela mia famiglia? [...] Tutti siamo pronti a perdonarti [...] ed a dimenticare»– aggiunse per farla recedere. Ma la giovane non sembro intimorita: «Perdo-

55 Ivi, p. 10.56 Ivi, p. 11.57 Ivi, p. 14.

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narmi e dimenticare cosa?».58 Alla fine, rassegnato, l’uomo «non si lascio an-dar a quelle basse invettive, a quelle troppo note imprecazioni cui d’ordinariosogliono precipitare i genitori ebrei in simili circostanze».59 Condotta quindipresso il convento cittadino delle Salesiane, Emilia vi avrebbe ricevuto il bat-tesimo con il nome di Maria Teresa Celesti, avendo anch’essa per madrina lagia ricordata Maria Beatrice d’Este.60 La ragazza si sarebbe in seguito sposatacon «onesto artista», con il quale «si conduce[va] da sposa cristiana e da ma-dre di famiglia esemplarissima».61

Di ben altro tenore, a considerarne l’epilogo, fu invece la storia di ReginaModena, battezzatasi all’eta di 35 anni nel 1840 con il nome di Clotilde. Ladonna non si era mai sposata e aveva continuato a svolgere umili mestieriper aiutare la famiglia rimasta in ghetto. Nell’inverno del 1871 il fratello,non convertito, presso cui viveva chiese l’aiuto di Raffaelli: «Si presento unuomo alto, curvo nelle spalle, stretto in uno sdrucito cappotto [...]; presentavaegli quel vero tipo che presso noi fa distinguere gli ebrei».62 Clotilde – o co-me, significativamente, continuava a chiamarla il fratello, Regina – era grave-mente malata e desiderava ricevere il conforto di un sacerdote. Il canonico se-guı l’uomo presso l’abitazione della famiglia:

Misericordia! Qual vista! Sotto un crudel accesso d’asma [Regina] era balzata dalletto: teneva sugli omeri un cencio di panno nero a forma di mantello; aveva gambeignude e i piedi mal calzati in due larghe pantofole. Un fazzoletto di tela turchino scu-ro le copriva a meta il capo completamente calvo. Un tumore le aveva rosa la puntadel naso [...] il catarro la soffocava. Dio mio! La miseria che regnava cola dentro. Nonun fuoco che temperasse il rigore del freddo intenso di quel dı e correggesse l’ariaguasta di quel piccolo ambiente, ove i mobili e la biancheria erano al di sotto di quan-to possa immaginarsi di miserando.63

58 Una gita a Venezia, p. 22.59 Ivi, p. 23.60 Forse in ragione della levatura della nobile madrina, la notizia del battesimo di Emilia com-

parve, il 22 luglio del 1854, anche sulle pagine del Messaggere di Modena.61 Anche la conversione di Emilia non sara che la prima a vedere coinvolta la famiglia Rava: alla

scomparsa del padre nel settembre 1858, il fratello Ercole (divenuto Carlo) entro nel Catecumeno diReggio convertendosi qualche mese piu tardi e assumendo lo stesso cognome, Celesti, di Emilia.«Perche coltivato negli studi», pote procurarsi un posto come maestro elementare a Massenzatico,cessando di essere a carico dell’Opera (Cenno istorico, p. 174). L’altro fratello, Giuseppe, sarebbeinvece stato battezzato, su sua richiesta, nella sua abitazione nel ghetto reggiano, nel dicembre1859; condotto subito dopo presso l’ospedale, morı a poche settimane dal battesimo. L’ultima sorellaRava, Vittoria, avrebbe inutilmente chiesto di essere ammessa in Catecumeno nella primavera del1864. Per la sua storia, vedi infra, pp. 194-195.

62 Una gita a Venezia, p. 57.63 Ivi, p. 59.

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Regina non chiedeva aiuto per se stessa – «Io sono rassegnata [...], muoiovolentieri» – ma per il fratello e la sua famiglia. La conversione non aveva in-terrotto i rapporti e l’affetto tra lei e il fratello: «So che non avrei dovuto coa-bitare con ebrei [...], ma se sapeste! Si trova tanto male il povero mio fratello![...] Io non aveva altro mezzo di aiutarlo». «Clotilde – la rassicurava il cano-nico –, a cio ora non pensiamo. Voi avete pero sempre vissuto da cattolica».Raffaelli le promise che sarebbe stata l’Opera, da quel momento in avanti, asostenere le spese necessarie per la sua assistenza, alleviando cosı la famigliadel fratello da quell’ulteriore onere. Dopo pochi giorni dalla visita del cano-nico Regina moriva.

L’ultimo ricordo del diario ci conduce nella delicata fase di passaggio trala fine del dominio estense e l’annessione dei ducati al nascente Regno d’Italia,al momento della definitiva emancipazione della minoranza ebraica. Nel di-cembre del 1859, quando Modena e Reggio erano gia passate sotto il controllodi Luigi Carlo Farini, governatore per i territori emiliani in nome di VittorioEmanuele II, una giovane di circa 15 anni, Benedetta Formiggini, si presentoa don Raffaelli manifestando la ferma intenzione di farsi cattolica. «Fra tantiisraeliti che m’ebbero a esternare il loro divisamento di abiurare – scriveva ilcanonico – niuno piu di Benedetta seppe nel primo istante persuadermi dellaverita e rettitudine delle sue intenzioni». Figlia del maestro dell’Istituto Israe-litico modenese, rimasta orfana di madre, Benedetta era stata posta dal padrea servizio presso la casa di un correligionario. Nonostante la giovane apparisseassai risoluta il sacerdote prese tempo, conscio che la minore eta della ragazzacostituiva una difficolta, specie nel nuovo scenario aperto dall’emancipazione.Alla ferma intenzione di Benedetta – «Io mi sento risoluta e pronta a lottarecon tutta la forza della mia anima» – il canonico opponeva una certa pruden-za: «Ma ragazza mia, non e mica facile oggi [farsi cristiani]; sapete che giornicorrono [...] Oggi gli ebrei possono molto piu di una volta. Vostro padre po-trebbe opporsi piu che non pensate».64 L’insistenza di Benedetta fu tale – laragazza torno piu volte a chiedere aiuto – che ne fu predisposta l’accoglienzapresso l’educatorio di San Paolo, un istituto cittadino che ospitava ragazzesenza famiglia istruendole sino alla maggiore eta. La sera precedente la fuga,Raffaelli avvertı il vescovo e si reco presso l’ufficio di pubblica sicurezza perfar «conoscere al signor delegato la probabile fuga di una giovinetta ebrea, dicui dissi nome, cognome e paternita, il che si usa fare in simili casi a scanso diincovenienti».65 Come nelle previsioni, il padre di Benedetta, accompagnato

64 Ivi, p. 38.65 Ivi, p. 39.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

dai rappresentanti della comunita, il giorno stesso in cui la ragazza fu accoltaall’educatorio reclamo, ottenendolo, l’immediato rilascio della figlia.

La reazione di don Raffaelli non si fece attendere. Precipitatosi dal dele-gato di polizia ne chiese l’intervento, denunciando che la giovane non avrebbein realta voluto seguire il padre e lo aveva fatto solo a fronte delle minacce delgenitore, versando «calde lacrime»: «Gli ebrei l’han carpita!»66 – tuonava fu-ribondo il canonico. «Badi come discorre, signor don Raffaelli» – lo frenavacon altrettanta decisione il delegato. Ma il prete non riusciva a contenere l’ira:«Liberi gli ebrei di restare ebrei; liberi i cristiani di vivere da ebrei giacche sivuole cosı, ma liberi altresı gli ebrei, volendolo, di farsi cristiani!».67 Tornato acasa, le parole dell’ufficiale di polizia continuavano a risuonare nelle orecchiedel sacerdote: «‘‘Badi come discorre’’ – commentava nel suo diario Raffaelli –Mi cuoceva dentro la stizza di vedere gli ebrei farsi forti delle mutate condi-zioni politiche del mio paese per soverchiarci; pensavo alla povera giovinettarestituita a un padre che l’avrebbe odiata».68 Tuttavia l’ufficiale, dopo averraccolto le deposizioni di Benedetta, dei familiari e dei vari testimoni e avereffettivamente accertato che «la ragazza aveva ceduto alle richieste del padresoltanto in vista di una minacciata violenza» decise di condurre la giovane in«terzo luogo [presso una famiglia], con facolta al padre e ai parenti di visitarlaa loro piacere».

La risoluzione del caso fu quindi lasciata alla magistratura. La famiglia e lacomunita chiedevano che si appurasse se Benedetta fosse stata «sedotta o isti-gata per fini indiretti» – di «un amorazzo» con un giovane cattolico riferı, sen-za riscontri, l’uomo presso il quale Benedetta era a servizio. Il padre intendevasoprattutto dimostrare che la giovane non aveva ancora «il libero uso della suaragione e che non conoscesse ne l’importanza ne le conseguenze del passo cheintendeva fare». A tal fine il tribunale richiese l’intervento di tre medici, di cuiuno appartenente alla stessa comunita ebraica, Giuseppe Usiglio, affinche va-lutassero «lo stato di mente della Formiggini».

In modo del tutto analogo al caso di Emilia Rava, l’indagine fece emergereche Benedetta era «cresciuta senza religione [...], quasi perfettamente ignaradelle prime elementari nozioni del suo culto [...]; essa ignora chi fosse Abra-mo, chi Mose – scrivevano i medici – ne sa cosa e la Pasqua che gli israeliticelebrano ogni anno». Senza alcuna educazione religiosa, la fascinazione dellagiovane verso il cristianesimo era nata, come gia avvenuto per Emilia, dalla

66 Una gita a Venezia, p. 49.67 Ivi, p. 44.68 Ibid.

CAPITOLO QUINTO

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lettura di un libro di preghiere e orazioni cattoliche che, caduto dalle mani diuna donna che lavorava nella medesima casa in cui Benedetta prestava servi-zio, aveva molto impressionato la giovane; a cio si erano aggiunte le visioniavute della madre scomparsa che la incitava a farsi cristiana. Ma, riportavanole perizie, era stata soprattutto «la vista delle chiese e delle cerimonie del cultocattolico» cui, evidentemente, la giovane aveva cominciato a prendere segre-tamente parte, a operare «sul di lei animo tale profonda impressione». Le pa-role dei medici lasciavano trasparire quanto l’adolescente fosse «in preda aduna specie di entusiasmo religioso, come di una innamorata verso l’oggettoamato», lontano pero dal costituire una «monomania patologica». Anche allaluce delle risposte «ferme, contegnose e coerenti della ragazza [...], della suavita precedente la quale non diede mai segni di imbecillita e scempiaggini», iperiti conclusero che il «preteso difetto di discernimento in detta fanciullanon sussiste in conto alcuno» e «al pieno sviluppo fisico della Formiggini tiendietro in lei un pieno sviluppo morale».

Caduta ormai ogni interdizione nei confronti degli ebrei69 e riconosciutal’uguaglianza di tutti i cittadini sulla base dello Statuto Albertino, introdottoa queste date anche nei territori degli ex ducati, per il Tribunale modenese ilcaso Formiggini andava affrontato sulla base dei Codici estensi ancora vigenti.70

Avendo Benedetta gia compiuto i 14 anni, la questione del suo «discernimen-to», dell’«uso del libero arbitrio», non poteva piu essere invocata dalla fami-glia per frenarne i propositi conversionistici; il codice penale estense del185671 stabiliva infatti che a quell’eta «le facolta intellettuali dell’uomo sianosviluppate in modo da poter conoscere e dirigere di per se liberamente le pro-prie azioni nell’ordine morale».72 Anche gli articoli del codice civile relativi

69 Il 13 giugno del 1859, ancor prima di formalizzare l’annessione degli ex ducati al Regno diSardegna con il plebiscito dell’agosto successivo, la nuova Municipalita di Modena aveva cancellatole leggi eccezionali vigenti contro gli ebrei, abrogando, in particolare, l’ultima espressione delle in-terdizioni israelitiche introdotta da Francesco V, ovvero l’Editto sovrano sopra gli ebrei promulgatoil 25 ottobre 1851.

70 Francesco V aveva portato a termine una riforma dei Codici civile e penale, e dei rispettiviCodici di procedura. Il nuovo Codice civile era stato promulgato il 25 ottobre del 1851 (accluso viera il gia menzionato Editto sopra gli ebrei), mentre il nuovo Codice penale entro in vigore il 14 di-cembre del 1855. La ristretta commissione che, presieduta dal duca, si occupo della riforma, affrontoanche il tema della possibile equiparazione civile degli israeliti, ipotesi rigettata dalla maggioranza deicommissari (con l’eccezione di Vincenzo Palmieri) e dallo stesso duca, preoccupato soprattutto chel’eventuale facolta per gli ebrei di acquistare fondi rustici e terreni senza limitazioni avrebbe avutoripercussioni negative «sull’animo dei contadini e sul traffico di cereali». Cfr. LATTES 1930,pp. 11-12 e ASMo, Ministero di Grazia e Giustizia, b. 183, f. I.

71 Libro I, tit. V, art. 60.72 Ordinanza del tribunale sul fatto della giovinetta Benedetta Formiggini, p. 13 (in ACEMo,

Carteggio, BB4). Cfr. anche ASRE, Universita israelitica, Archivio nuovo, b. 25/2. In consonanza

13— 177 —

CONVERSIONI AL TRAMONTO

all’esercizio della patria potesta, dettagliati e ancora molto stringenti, nonsembravano per i giudici contenere appigli a favore delle istanze della fami-glia: «Niuna disposizione – si legge nella sentenza – [esiste] che contempliil caso del figlio che voglia passare a religione diversa da quella in cui nacquee regoli in tale evento i diritti della patria potesta».73 Tali motivazioni dovet-tero suonare al padre di Benedetta come una beffa: fino a pochi anni prima,sulla base dell’Editto sovrano sopra gli ebrei del 1851 (art. 6) il passaggio di unfiglio ebreo al cattolicesimo faceva cessare il diritto all’esercizio della patriapotesta;74 ora nel 1859, in un orizzonte giuridico radicalmente mutato, la po-testa di un genitore veniva sconfessata in nome del libero arbitrio dei figli inmateria di religione.

L’ordinanza del Tribunale di Modena, emanata nel febbraio del 1860,riconosceva a Benedetta la piena liberta di coscienza di farsi cattolica. Ap-poggiata – cosı si legge nelle pagine di Raffaelli – dallo stesso governatoreFarini, la famiglia Formiggini presento ricorso, ma nel maggio del 1860 an-che la sentenza d’appello ribadı la legittimita della scelta della giovane. Laragazza torno cosı presso l’educatorio di San Paolo dove il 15 agosto succes-sivo fu battezzata, divenendo Carolina Coratti. I legami con la famiglia aquesto punto si spezzarono: «Il padre della medesima – scriveva Raffaellial vescovo informandolo sulla situazione della giovane – si dichiara privodi mezzi per prestare alla figlia perfino i piu limitati alimenti senza intenderedi ledere a quei diritti che la legge accorda ai figli».75 Cio nonostante, Bene-detta sembrava piu che mai convinta del passo compiuto e il 13 agosto del1861, a due giorni dal primo anniversario della sua conversione, scriveva alcanonico:

Se tanto si festeggia nel giorno in cui si comincio a respirare quest’aria di vita sıcaduca ed incerta, come non dovro io solennizzare il prossimo giorno 15 corrente me-se, il quale segna il primo anno anniversario di mia vita spirituale? Ben a ragione dun-que io sospiro l’aurora di questo bel dı, per tributare al Signore l’omaggio del mio

con quanto deciso dal tribunale di Modena, si vedano le note dell’avvocato Isacco Rignano, membrodella comunita ebraica livornese, pubblicate in un volume che ebbe allora un vasto seguito (cfr. RI-

GNANO 1868, pp. 104-106).73 Ordinanza del tribunale sul fatto della giovinetta Benedetta Formiggini, p. 14. In realta, negli

articoli del Codice civile relativi ai diritti di patria potesta era menzionata la possibilita di apostasia diun figlio, ma solo «dalla cattolica religione» (art. 842). In questo caso, il figlio del testatore o i suoidiscendenti potevano essere diseredati. Il medesimo principio non valeva invece nel caso di apostasiada altre religioni.

74 Con il passaggio al cattolicesimo cessava anche l’usufrutto legale spettante al padre del bat-tezzato, ma non le ragioni successorie. Cfr. CAVINA 1995, II, p. 89.

75 ACAMo, OPC, Famiglie, filza III da cui sono tratte le citazioni che seguono.

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cuore e del mio affetto e per rinnovargli le proteste che gli feci prima di essere rige-nerata alla grazia mediante il santo battesimo.

La ragazza rimase presso l’istituto, a spese del Catecumeno, sino al 1866.In seguito Raffaelli si adopero per trovarle una sistemazione:

Compiutasi l’eta voluta dal regolamento [20 anni] Carolina Coratti sta per usciredallo Stabilimento di San Paolo, ove a spese della nostra Pia opera e stata per piu annimantenuta. La malferma salute della Coratti non permette alla medesima di guada-gnarsi il pane con servizio in qualche buona famiglia, al che per vero dire, essa sareb-be dispostissima [...] Avrei gia una buona donna che la accoglierebbe in casa.

Pur con tutte le cautele dovute alla salute della giovane, il destino profes-sionale della neofita sembrava comunque segnato:

Carolina – scriveva Raffaelli alla giovane – ho avuto ottime informazioni della fa-miglia G. di Casumaro [borgo nelle campagne modenesi]. Se voi vi sentite in animodi porvi in trattative per avere in essa il posto di cameriera, fatelo pure dal momentoche vi sentite piu trasportata a scegliere una famiglia che abiti continuamente in cam-pagna. Cercate pero prima di informarvi bene sul genere di servizio che dovreste pre-stare per vedere se le vostre forze varranno a sostenerlo.

La conversione non aveva mutato in alcun modo lo status e l’orizzonte so-ciale della neofita che, occupata a servizio presso una famiglia ebraica primadel battesimo, al medesimo impiego era destinata anche una volta divenutacattolica, sebbene sapesse leggere e scrivere, circostanza certamente non co-mune per una giovane donna. L’investimento, non solo economico, che il Ca-tecumeno era disposto a fare per assicurare un futuro ai neofiti, vedeva dun-que nei confini di genere un’insuperabile barriera, essendo le convertiteconfinate al solo ruolo di madri e mogli, al piu di domestiche, altre volte disuore. Non sappiamo se Carolina torno mai a prestare servizio: «Presente-mente – scriveva Raffaelli nel 1871 – e sposa di un onesto artigiano e madredi una cara bambina».76

Se l’uguaglianza degli ebrei di fronte alla legge aveva consentito a Benedet-ta Formiggini di scegliere il suo credo, la medesima uguaglianza assicurava que-sto diritto anche alla fuggiasca Ermellina Del Sole, da cui siamo partiti. Le pres-sioni e i tentativi di don Raffaelli non costituivano per lei una reale minaccia: lasua apostasia non era piu perseguibile. Rintracciata la donna con l’aiuto di unsacerdote veneziano e dello stesso patriarca – Ermellina risultava ormai ufficial-

76 Una gita a Venezia, p. 51.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

mente registrata presso l’anagrafe di Venezia con il suo nome originario –,77

Raffaelli si risolse a partire per la Laguna, convinto della necessita di un ultimotentativo. Nell’udienza avuta con il patriarca fu concordato che, per cercare diindurre Ermellina a un incontro, le si facesse sapere che il canonico intendevasolamente consegnarle i sussidi arretrati. L’appuntamento fu fissato, ma donRaffaelli aspetto invano. Ermellina non si presento, ma fece recapitare al sacer-dote un messaggio, «mostruoso documento di cieca ostinazione»:78

Al Signor Canonico Raffaelli, Venezia 5 novembre 1871

Le ripeto e le confermo che fino ad aprile prossimo passato ho ritornato [sic] a

professare la mia santa religione giudaica, che fu sempre nel mio pensiero e che vogliorestare e morire in essa santa religione dei miei padri.

Sua devotissima serva, Ermellina Del Sole

I tempi erano ormai cambiati e anche il volitivo canonico – «Mi si rimestaancora il sangue trascrivendo queste righe!»,79 chiosava nel suo diario – si sa-rebbe dovuto arrendere alla libera scelta della donna.

EMANCIPATI E CONVERTITI: IL DECLINO DELLE OPERE DEL CATECUMENO DOPO

L’UNITA

Ella ben sa la situazione in cui mi trovo. Non sono pentita del passo che ho fatto,perche l’ho fatto con tutta convinzione e agendo di piena mia volonta. Spero che lei,giusto com’e, me lo vorra perdonare, riconoscendo in ognuno la liberta di operare

secondo il dettame della propria coscienza. In occasione del prossimo mio matrimo-nio mi occorrono modenesi lire 600 per provvedermi di quanto in tale circostanza mie assolutamente indispensabile. A cauzione di tale somministrazione, e a garanzia del-la restituzione che ne farei il piu presto possibile, sono pronta ad ammettere regolare

certificato. Attendo tanta parte quanta sulla dote che mi competera circa entro unanno, in qualita di neofita modenese, nonche su quella qualunque porzione di patri-monio mi potesse un giorno pervenire dalla famiglia.80

77 Le indagini promosse dalla Curia di Venezia appurarono, «cosa abbastanza deplorevole epericolosa», che Ermellina aveva ripreso il suo precedente lavoro di domestica presso l’abitazionedi un ebreo veneziano (Una gita a Venezia, p. 73).

78 Ivi, p. 79.79 Ivi, p. 80. L’originale del messaggio di Ermellina e conservato tra le pagine del manoscritto di

Raffaelli.80 ACAMo, OPC, Famiglie, Sabbadini-Vigevani. Nel periodo in esame, i rapporti tra l’Opera e

l’Azienda Israelitica in materia di conversione sembrano formalmente definiti: nel caso qualche mem-

CAPITOLO QUINTO

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Le parole che, nel settembre del 1859, la venticinquenne Fortunata Sangui-netti rivolgeva allo «stimatissimo zio» Sansone Teglio denunciavano, oltre all’e-ducazione e al censo della giovane, una matura consapevolezza tanto delle pro-prie scelte di vita – Fortunata aveva deciso di abbandonare la religione dei padriper amore di un artista –, quanto dei propri diritti, civili e patrimoniali. Nel di-cembre successivo, a conclusione della vicenda (la donna fu battezzata il 17 ot-tobre e, caso raro, avrebbe ufficialmente rinunciato a ogni forma di sussidio daparte dell’Opera), il fratello Bonaiuto scriveva al delegato vescovile del Catecu-meno modenese. Con parole affrante, a tratti sconnesse, come di chi scrive inpreda a un’emozione difficilmente contenibile – e che colpiscono ulteriormente,considerando che il giovane, dopo un travaglio interiore durato vari anni, si sa-rebbe anch’egli convertito nel 1867 –, Bonaiuto ringraziava don Raffaelli «per letanto amorevoli cure ed assistenza prodigate a mia sorella nel di lei sciaguratopasso». L’amore fraterno doveva lottare «con lo sdegno che mi eccitava la vio-lata religione de’ miei padri» e ancor piu con la «vergognosa catastrofe dome-stica» provocata dall’uomo che Fortunata aveva deciso di sposare: «Se almenovi fosse stata costretta dalla forza di una passione meno infima – sbottava Bo-naiuto –; e cio non perche stimassi vile che mia sorella si legasse ad un artista,ma perche quello, d’artista, non coltiva che i vizi!».81

La vicenda della conversione di Fortunata Sanguinetti, come quella coevadi Benedetta Formiggini ricordata nelle pagine precedenti, inaugurava la sta-gione della definitiva emancipazione ebraica. E improbabile che la risolutacondotta delle due giovani fosse gia il risultato del nuovo clima che si respi-rava negli ex ducati a seguito della parita civile e politica recentemente rag-giunta.82 Certo e che, annessi i territori estensi al Piemonte sabaudo ed entra-to in vigore lo Statuto Albertino, per gli israeliti si apriva una pagina diversa etanto le modalita quanto le motivazioni delle conversioni ne sarebbero stateinvestite e in parte travolte.

bro della comunita decidesse di farsi cattolico, il rabbino rilasciava all’Opera un certificato che atte-stava nome, cognome, paternita e maternita del convertendo. Se poi quest’ultimo, come fu per For-tunata Sanguinetti, non desiderava ricevere «i cibi fatturati secondo la legale e religiosa prescrizionedegli israeliti» avrebbe dovuto inviare al presidente della comunita una dichiarazione sottoscritta.

81 Ibid.82 Per gli ebrei modenesi la data di riferimento e il 13 giugno 1859: in quei giorni Francesco V

aveva gia intrapreso la via dell’esilio e la Municipalita aveva decretato l’abolizione immediata di tuttele leggi eccezionali riguardanti gli israeliti. Cfr. ASMo, Stampe, tomo 39 (1859), n. 68. Luigi CarloFarini, governatore delle province emiliane, con determinazione del 23 giugno successivo confermotale volonta, facendo pubblicare la legge sarda del 19 giugno 1848, n. 735, relativa alla riconosciutacapacita politica e civile dei cittadini non professanti la religione cattolica. Cfr. «Gazzetta di Mode-na», n. 5, 25 giugno 1859. Di poco posteriore, il 15 giugno del 1859, la data della cancellazione delleprecedenti interdizioni da parte della Municipalita di Reggio Emilia, decisione poi ratificata da undecreto del dittatore Farini nel settembre successivo.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

Fig. 9. Elenco dei sussidiati del Catecumeno di Modena (1912).

L’emancipazione giuridica apre peraltro numerosi problemi di ordine me-todologico, di non facile soluzione, che anche per lo studio del fenomeno con-versionistico non possono essere elusi. Nulla, in teoria, consente dopo l’Unitadi individuare e definire gli ebrei come tali, smantellata quella violenta certez-za classificatoria, eterodiretta, che le precedenti interdizioni paradossalmenteconsentivano. Gli ebrei cominciano cosı a percorrere, attraverso mille rivoli, lemolte strade che l’uguaglianza apre loro, percorsi in cui l’appartenenza algruppo, religiosamente e culturalmente intesa, verra declinata in forme econ intensita differenti, da individuo a individuo, da famiglia a famiglia. Il rap-porto che sino a quel momento aveva legato i singoli ebrei alla comunita, an-che nella sua accezione istituzionale,83 si fa piu sfumato e meno vincolante;elementi di disaffezione, o vera e propria secolarizzazione, si insinuano potentiall’interno della minoranza. La decisione di allontanarsi, in modo piu o menoformale, dalla religione dei padri entra a pieno titolo tra le opzioni possibilima, a differenza del passato, nel mutato contesto giuridico, le tracce che que-ste scelte lasciano diventano piu sfuggenti e difficili da individuare, seguire,quantificare.

Come alcune vicende dimostreranno, l’identita religiosa poteva assumerein questi decenni confini assai sfumati. Per alcuni individui sara possibile vi-vere il proprio credo nello spazio strettamente privato della coscienza, dandovita a forme di appartenenza non lineari: non mancheranno coloro che, pursentendosi intimamente cattolici, continueranno a vivere come ebrei – sortadi marrani rovesciati – e altri che, battezzati, non cesseranno di frequentarele istituzioni ebraiche.

Per la nostra analisi, al problema di capire chi siano, concretamente, gliebrei nel periodo successivo all’emancipazione, si somma poi la radicale tra-sformazione cui vanno incontro, loro malgrado, gli istituti preposti da secoliall’accoglienza dei neofiti. Il caso di Reggio risulta in tal senso emblematicodelle difficolta che dopo l’Unita si incontrano nel tentativo stesso di quantifi-care il fenomeno. Nelle pagine seguenti si e pertanto scelto di circoscriverel’analisi delle conversioni nel periodo post-emancipazione a cio che le duestrutture da sempre dedicate a questo scopo sono in grado di raccontarci.I numeri che saranno forniti, e il tentativo di interpretarli, dovranno quindi

83 Dopo l’Unita, le comunita ebraiche di Reggio e Modena, come in generale le comunita emi-liane, furono organizzate secondo la legge sarda del 4 luglio 1857, cosiddetta legge Rattazzi, che ele-vava le universita israelitiche a enti morali comprensive di tutti gli individui «appartenenti al cultoisraelitico e domiciliati da oltre un anno nel Comune nel quale [l’universita] trovasi eretta». L’uni-versita israelitica aveva la facolta di imporre una contribuzione ai propri iscritti ed era amministratada un consiglio eletto tra i suoi membri (maschi, maggiorenni, che sapessero leggere e scrivere e fos-sero contribuenti della comunita stessa). Cfr. DAZZETTI 2008.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

intendersi in senso relativo. Risultera presto evidente che si tratta di un raccon-to incompleto, poiche la documentazione del Catecumeno non riesce piu a for-nire, nel complesso contesto politico e sociale che l’emancipazione avvia, unquadro esauriente. Le fonti dell’Opera non sono capaci di dare conto per in-tero dell’ampiezza del fenomeno ne, dunque, delle sue caratteristiche; unaparzialita che non risulta colmabile neppure attraverso il ricorso alle fontiebraiche.84 E verosimile – per il caso di Reggio Emilia, quasi certo – che al-cuni israeliti abbiano abbandonato la religione dei padri senza piu ricorrereall’intervento della Casa, seguendo la strada di una conversione formalizzata,per cosı dire, solo attraverso l’iscrizione nei registri parrocchiali.

Nel periodo postunitario, inoltre, la tradizionale funzione di ente assisten-ziale svolta dall’Opera e sottoposta all’attacco delle politiche dei nuovi governiliberali dell’Italia unita che intendono avocare (o tentano di avocare) alle auto-rita civili la gestione e il controllo di un settore strategico, come la beneficenzae l’assistenza, storicamente cittadelle del potere ecclesiastico. La battaglia chesi combatte in quegli anni attorno al destino degli istituti conversionistici e alloro ruolo e parte di un piu ampio, e assai noto, conflitto che oppone lo Statoliberale e la Chiesa romana. Questa volta, pero, gli ebrei, o almeno la maggiorparte di loro, non ne sarebbero piu stati le strumentali pedine.

Anche per questo ultimo capitolo della loro storia, la vicenda della Casamodenese e quella della consorella reggiana imboccarono strade diverse,frutto di una storia istituzionale che era stata da sempre differente: l’Operadi Reggio fu infatti letteralmente travolta dalle politiche di matrice anticle-ricale adottate dal neonato Regno d’Italia sino alla soppressione ufficiale nelmaggio del 1866. Il Catecumeno modenese, sottoposto al solo controllodella Curia ancora per tutto il primo trentennio postunitario, sino all’entra-ta in vigore della cosiddetta legge Crispi sulle opere pie del 1890, sarebbeinvece riuscito a difendere lo specifico ruolo assistenziale storicamente svol-to. Successivamente, dall’alba del Novecento, l’istituzione avrebbe vissuto

84 Le carte della comunita di Reggio, versate nel 1909 presso l’Archivio di Stato cittadino pervolonta dello stesso consiglio dell’Universita israelitica, si fermano agli anni 1859-1860; atti e docu-menti della seconda meta dell’Ottocento sono invece rimasti nella sede di produzione. Cfr. BADINI

1993, p. 33. Nella documentazione modenese, grazie alle carte relative alle abiure all’ebraismo in se-guito all’entrata in vigore del regio decreto 30 ottobre 1930, n. 1731 (su cui cfr. infra, p. 202), e pos-sibile ricavare alcune informazioni sulle conversioni postunitarie che completano il quadro offertodalla documentazione prodotta dal Catecumeno. In ogni caso, occorre sottolineare che anche peril periodo precedente l’Unita le fonti ebraiche reggiano-modenesi non risultano generalmente utiliper seguire quantitativamente l’allontanamento dei membri dalla comunita in seguito a una conver-sione. Gli unici episodi che lasciano traccia sono di norma quelli contestati, per i quali le universita simobilitavano; ma per i battesimi volontari neanche il minimo segno ufficiale (ad esempio una regi-strazione o un’annotazione in appositi elenchi) pare essere rimasto.

CAPITOLO QUINTO

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un progressivo fenomeno di svuotamento dall’interno delle sue funzioni inragione di un deciso calo nel numero delle conversioni e, di fatto, si sarebbelentamente estinta, benche non risulta che nessun atto di formale chiusurasia mai stato emanato dalle autorita ecclesiastiche modenesi.

Si tranquillizzino le coscienze; che la soppressione del Catecumeno non e per noiuna questione religiosa, ne noi intendiamo che resti con questa misura precluso l’adi-to agli ebrei, che ne hanno la vocazione, di farsi cattolici [...] Vorremmo che, pur ri-spettando lo scopo cui mirano le tavole di fondazione, si togliesse dalla istituzione,quale oggi e, tutto cio che la fatta esperienza ha dimostrato non condurre allo scopoe che non e consono ai principi che informano la moderna societa [...] Il mantenereaperta una Casa, ove i proseliti trovano asilo non solo, ma un poco men che lautotrattamento e vi rimanevano anche oltre il termine del catecumenato; il tenere un’am-ministrazione separata per questa opera pia; l’elargire non lievi assegni mensili ai neo-fiti, dopo che erano usciti dalla Casa, senza distinzione fra chi n’era veramente biso-gnoso e chi era provvisto altrimenti, ecco, a parer nostro, i vizi ne’ quali avevadegenerato questa istituzione. Non e alcuno che non vegga come cio, oltre all’aggra-vare di forti inutili spese l’amministrazione, fosse poi un pericoloso e immorale allet-tamento ad abbracciare la religione cattolica non per vocazione, ma per ignobili fini: einfatti noi vedemmo una gran parte di questi ebrei domandare asilo al Catecumeno efarsi cattolici, spinti solo da passione o da mire di personale interesse. La Casa apertadel Catecumeno era pel clero un potente strumento per fare de’ proseliti, fossero poiquesti o no mossi da sincero sentimento di religione, avessero o no la coscienza di cioche facevano. Negli attuali tempi, con la liberta di coscienza, colla tolleranza religiosanon poteva permettersi che sussistesse un fomite a’ proselitismo tanto piu disdicevolein una pubblica amministrazione.85

Le parole infuocate con cui l’organo dei liberali reggiani, L’Italia centrale,l’8 giugno del 1865 attaccava l’Opera del catecumeno sono un chiaro esempiodello scontro che si era acceso tra le opposte forze politiche cittadine, quellefilogovernative e quelle filocattoliche,86 attorno al nodo delle Opere pie e del-la loro sottrazione al controllo ecclesiastico. Le affermazioni del foglio liberaleriflettevano un evidente intento politico-propagandistico che ingigantiva ilruolo giocato dal Catecumeno. L’ultimo elenco dei sussidiati dell’Opera del1859, oltre alla modestia del numero dei neofiti, mostrava come il supportofinanziario concesso agli assistiti – tutti di condizioni miserevoli – non fossecerto tale da «fomentare l’ozio, il vizio e l’infingardaggine». Era poi significa-

85 «L’Italia centrale», 8 giugno 1865, p. 1.86 Il Consigliere del popolo, diretto da Giuseppe Turri, presidente dell’Opera pia della Carita,

era invece il portavoce dell’opposizione cattolica piu intransigente.

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tivo il fatto che le parole dell’Italia centrale non contenessero un solo accenno,neppure indiretto, ai casi di battesimi forzati che avevano visto proprio la Casareggiana tristemente protagonista. Non si trattava dunque, neppure per i piuaccesi detrattori della Casa, di restituire dignita agli israeliti, tutelando i dirittirecentemente acquisiti dalla minoranza e ponendo simbolicamente fine a unalunga stagione che le Case del catecumeno avevano incarnato, ma di modifi-care e ridefinire gli equilibri politici locali, anche attraverso l’attacco a quegliistituti tradizionalmente controllati dalla Chiesa.

L’articolo del 1865 si collocava quasi al termine di una contesa che era co-minciata cinque anni prima. Il primo atto era stato l’estensione a tutte le pro-vince annesse al Piemonte delle norme vigenti in materia di assistenza e bene-ficenza nello Stato sabaudo.87 Cosı, il decreto luogotenenziale dell’8 dicembre1860, firmato da Eugenio di Savoia, scioglieva tutte le amministrazioni dei piiistituti reggiani, Catecumeno compreso: «i beni mobili ed immobili, tutti gliatti e i titoli relativi ai patrimoni amministrati» dovevano essere consegnati allanuova, istituenda, Congregazione di carita,88 ente centralizzato che sotto ilcontrollo del Comune avrebbe sovrinteso alla gestione dei vari istituti di assi-stenza e all’interno della quale anche la Casa sarebbe, per il momento, conflui-ta. Com’era forse prevedibile, non uno dei presidenti delle amministrazioniabolite adempı di buon grado alle diposizioni governative e solo a seguitodi reiterate ingiunzioni gli atti furono consegnati alla nuova Congregazione.Occorsero vari mesi, in particolare, perche l’ex presidente del Catecumeno,Orazio Toschi, cedesse e consegnasse, il 4 marzo del 1861, «l’archivio, i libridi protocollo, tutti i registri e il libro di ragioneria e quant’altro si riferisca al-l’Opera pia del catecumeno». E proprio il vecchio ricovero dell’Opera, in viadel Torrazzo 10, sarebbe divenuto la sede della presidenza della nuova Con-gregazione di carita cittadina.

Iniziava a quel punto uno scontro per la definitiva soppressione dell’Ope-ra, di cui l’articolo dell’Italia centrale era espressione, che culminava con unadeliberazione del Consiglio comunale del 16 ottobre 1865 seguita, il 17 mag-gio 1866, da un decreto di Vittorio Emanuele II che sanciva la chiusura delCatecumeno e lo smembramento del suo patrimonio a vantaggio di altre isti-

87 Con decreto del dittatore Farini del 4 ottobre 1859, ai territori emiliani fu esteso quanto pre-scritto, in materia di amministrazione e controllo delle opere pie, dall’editto sabaudo del 24 dicembre1836 e dalla legge del 1º marzo del 1850. Cfr. FARRELL-VINAY 1997.

88 Le legge del 2 agosto 1862, n. 735 sull’amministrazione delle opere pie avrebbe esteso a tuttoil territorio del Regno l’istituzione, in ogni Comune, di una Congregazione di carita. Alla normativasarebbero state sottoposte anche le istituzioni di beneficenza e assistenza facenti capo alle varie uni-versita israelitiche. Sulla legge del 1862 e i suoi limiti, vedi CHERUBINI 1991, pp. 7-20.

CAPITOLO QUINTO

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tuzioni di assistenza di Reggio: i beni «di qualsiasi specie da esso posseduti»erano devoluti all’Opera pia della Carita; dalle liquidita della Casa sarebberostate prelevate 2500 lire da destinarsi, «sino a che permanevano le presentiangustie», alla Pia scuola della Figlie di Gesu, mentre gli eventuali residuidi cassa dell’esercizio 1865 erano da erogare alla Casa di Mendicita. Infine,1000 lire sarebbero state utilizzate per il mantenimento dei catecumeni «nel-l’anno di prova e per le spese occorrenti per il battesimo», e «in via transito-ria» sarebbero stati conservati i sussidi ai neofiti che ancora ne godevano almomento della soppressione «entro pero i limiti del mero bisogno».89

La chiusura della Casa reggiana non coincise evidentemente con la con-clusione del flusso delle conversioni, tanto che solo due settimane dopo lasoppressione ufficiale, Faustina Rimini, trentasettenne di Correggio, ricevevail battesimo seguita, sino al 1882, da altre tre giovani donne. Notizie della loroconversione si ritrovano in quello stesso fondo della Curia di Reggio che dasempre aveva accolto la documentazione sui catecumeni. Resta da capire per-che, dopo il 1882, anno dell’ultima conversione di cui quelle carte restituisco-no memoria,90 gli eventuali altri battesimi non siano piu stati annotati nei re-gistri dalle autorita diocesane. Essendo difficilmente ipotizzabile che nessunebreo reggiano abbia da quel momento in avanti deciso di abbandonare for-malmente la comunita, e probabile che, soppressa ufficialmente la Casa, letracce degli eventuali altri convertiti si possano ritrovare soltanto sfogliandoi registri di battesimo delle singole parrocchie in cui la cerimonia ebbe luogo.I pochi studi dedicati alla storia della comunita ebraica reggiana dopo l’Unitanon affrontano questo tema, ma mettono in rilievo che la minoranza israeliticaconobbe, assieme a una progressiva e inarrestabile erosione quantitativa 91

frutto di un massiccio flusso migratorio, una veloce integrazione all’interno

89 Cfr. BARAZZONI 1987, II, p. 175. Attualizzata ai valori del 2011, la cifra preposta annualmen-te al sostegno dei catecumeni era di circa 4700 euro. Qui e in seguito per la rivalutazione della lirasono stati utilizzati i Coefficienti di rivalutazione monetaria forniti annualmente dall’Istat.

90 Leonilde Rimini, ultimo battesimo di cui si trova traccia nelle carte della Curia reggiana, fuaccolta presso l’Opera modenese per il catecumenato; il vescovo di Modena volle poi che la ragazzafosse battezzata a Reggio e considerata, probabilmente ai fini del sussidio, neofita reggiana.

91 La comunita ebraica di Reggio, che all’inizio dell’Ottocento costituiva il 7% della popolazio-ne cittadina, nel 1861 risultava percentualmente quasi dimezzata, attestandosi al 3,9%. Nel 1898 ilnumero degli ebrei reggiani era ulteriormente sceso a 300 individui, divenuti 250 nel 1909 e 50 nel1939. Fenomeni migratori investirono ancor piu massicciamente le piccole comunita della provincia:Guastalla passo dagli 80 membri del 1847 ai 40 del 1871; a Correggio nel 1824 vivevano 228 ebreidivenuti 60 nel 1909; la comunita di Novellara, che contava ancora 110 individui nel 1871, risultavaestinta nel 1913. Un’analoga progressiva decrescita, anche in questo caso dovuta principalmente afattori migratori, avrebbe investito la comunita di Modena, composta nel 1881 di 1108 anime, dive-nute 960 nel 1898, 800 nel 1909, 440 nel 1933 e 275 nel 1939 (cfr. BENATTI 1984, p. 5; MARACH

1999, p. 183).

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

del notabilato cittadino, almeno per cio che concerne la sua elite socio-econo-mica.92 Se e quanto questo processo abbia influito sulla scelta della conversio-ne resta ancora da indagare.

Con le cautele gia ricordate, e tenendo conto dell’incompletezza dei datirelativi alle conversioni reggiane, cerchiamo di capire l’andamento dei batte-simi nel periodo postunitario, quale testimoniato dalle carte delle Case dei ter-ritori ex estensi. Il primo e piu evidente riflesso del nuovo clima innescato dal-l’emancipazione sembra essere senza dubbio la decisa caduta nel numero delleconversioni, flessione che subisce una macroscopica accelerazione con l’iniziodel nuovo secolo quando si arrivera addirittura a non registrare nessun atto dibattesimo tra il 1901 e il 1914.93 Nel corso di quasi un sessantennio, tra il1859 e l’estate del 1914 – data nella quale si chiude il libro dei battesimi diModena – furono soltanto 32 i casi registrati, di cui 6 a Reggio Emilia. Il pa-ragone con le 166 conversioni dei sessant’anni precedenti rende il crollo po-stunitario particolarmente evidente. In ragione di un numero cosı limitato diconversioni, una riflessione piu minuta su questi battesimi diviene particolar-mente delicata. Rispetto al passato risulta confermato il dato che emerge comeunica reale costante nel lungo periodo, ovvero la giovinezza dei neofiti, essen-do l’eta media dei convertiti pari a 22,9 anni.94 Ad apparire ancora piu mar-cata rispetto alle stagioni precedenti e la propensione femminile alla conver-sione. Furono complessivamente 26 – il 78,8% sul totale del neofiti –le donne che scelsero di abbandonare l’ebraismo nei decenni qui considera-ti.95 Una circostanza, trascritta negli stessi registri di battesimo, permette difare luce sulle motivazioni di queste conversioni al femminile: il giorno succes-sivo al sacramento, se non talvolta il giorno stesso, quasi un terzo delle donnebattezzate si univa in matrimonio con un cattolico. Una gravidanza da ‘‘rego-larizzare’’ sembra essere la causa, nel 1892, del passo compiuto dalla trenten-ne Jenny Modena – «il battesimo si faccia a chiesa chiusa, o in cappella pri-vata, e cio per le circostanze speciali nelle quali versa attualmente lacatecumena» –; 96 il desiderio (o la necessita) di legittimare i figli gia avuti

92 FERRABOSCHI 2003, pp. 118-131. L’elite ebraica reggiana si distinse per essere stata tra le pro-tagoniste dell’acquisizione di proprieta immobiliari in seguito alla liquidazione dell’asse ecclesiasticoavviato dai governi postunitari nel 1867.

93 Allora, come detto, era attiva la sola Casa di Modena, che assisteva alla piu lunga assenza dibattesimi registrata nella sua storia.

94 L’eta media dei convertiti fu di 22,2 anni a Reggio (20,9 per gli uomini, 23,5 per le donne) edi 23,6 a Modena (rispettivamente 23,8 e 23,4 per maschi e femmine). Cfr. Tabelle 1-2 in calce alpresente capitolo.

95 Rispettivamente 5 a Reggio e 21 a Modena.96 ACAMo, OPC, Corrispondenza, II, f. 1892, da cui e tratta anche la citazione che segue.

CAPITOLO QUINTO

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dal compagno cattolico spingono nel 1893 Sara Uzielli, 34 anni, alla conver-sione, con la benedizione del delegato al Catecumeno:

Per pura verita devo dire che nei circa quarant’anni che esercito questo ufficio didelegato ai catecumeni non mi sono forse mai incontrato in una catecumena megliodisposta e meglio preparata di questa. Sembra proprio che l’israelita supplicante siamossa unicamente dal desiderio di mettersi in regola il legame onde da circa 8 annie stretta a certo Pivetti Napoleone e legittimare i figli che da tale unione le sono nati.Non ho mancato dichiarare alla medesima che se mai fosse mossa da umano interesse oda speranza di percepire sussidio da codesta Opera s’ingannerebbe giacche le condi-zioni in che oggi versa l’Opera stessa e la falsa situazione che la postulante si e venuta atrovare di fronte alla legge col contratto civile di matrimonio le tolgono ogni diritto alladote Barberini ed a qualsiasi sussidio si possono concedere le altre neofite.

Accanto alla motivazione rappresentata dall’imminente matrimonio, i re-gistri di battesimo sono anche in grado di far emergere un’ulteriore, nuova,caratteristica di queste conversioni: in piu di un’occasione i protagonisti sonodei bambini che, gia nati da un’unione mista, vengono solo successivamentebattezzati, talvolta insieme al genitore ebreo; piu spesso risulta essere invecela madre, cattolica, che rimasta vedova decide di condurre (o ricondurre) nellasua comunita di appartenenza i figli. Nel periodo postunitario si confermereb-be inoltre quel fenomeno – la conversione come percorso familiare – che ave-va cosı massicciamente caratterizzato la stagione della Restaurazione, seppurein forme meno accentuate: sono infatti 16 (il 50%) i neofiti tra loro legati davincoli di parentela e, ancora una volta, si trattava in netta prevalenza di fra-telli o sorelle che si convertivano insieme o, piu spesso, ad anni di distanza.97

Come gia in passato, l’andamento rapsodico dei battesimi nel corso degli anninon sembra fare emergere alcun evidente legame delle conversioni ad avveni-menti o condizionamenti particolari, configurandosi come una scelta che af-fonda le proprie radici principalmente nei percorsi privati e individuali deiprotagonisti.98

97 L’unico nucleo familiare non comprendente fratelli e sorelle fu quello di Roberto Rava, 30anni, che nel novembre del 1900 si convertı insieme ai due figli, Mario e Bianca, di 7 e 4 anni. Ravaera sposato civilmente con una donna cattolica; il suo battesimo e quello dei suoi bambini sembra con-figurarsi come una scelta successiva a un matrimonio misto. Per la sua storia, vedi infra, pp. 201-202.

98 E utile segnalare un ultimo tentativo, sventato, di battesimo forzato avvenuto a Modena nel-l’agosto del 1879 quando una levatrice sottrasse a Fortunata Modena, ragazza madre, la bimba ap-pena nata; condotta la piccola presso la Congregazione di carita la fece battezzare. Fortunata rico-nobbe, con regolare atto notarile, la figlia come propria e ricorse quindi alle autorita civilichiedendo, e ottenendo velocemente, la restituzione della piccola. Sebbene effettivamente battezzatae gia iscritta presso l’anagrafe di Modena come Ernesta Maria Trebelli, figlia illegittima, nel settem-bre successivo la neonata fu riconsegnata alla madre naturale. Cfr. ACAMo, OPC, Registri, 18.

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Ulteriore elemento di novita dovuto alla rinnovata cornice politico-istitu-zionale – una novita significativa per la valenza fortemente simbolica – era l’i-dentita del convertito all’indomani del battesimo. Il tradizionale mutamentodel nome fu sottoposto all’attacco delle politiche dei governi liberali dell’Italiaunita: con il definitivo passaggio del controllo dei servizi anagrafici dalle par-rocchie ai comuni, reso obbligatorio in tutto il Regno nel corso del 1871,99 ilconsueto cambiamento del nome all’atto del battesimo non aveva piu luogo.Dopo il 1871 tutti i neofiti reggiani e modenesi mantennero cosı la loro ori-ginaria identita, non essendo possibile vedere trascritto nel registro di batte-simo un nome differente da quello gia presente nei documenti dell’anagrafecittadina. In un momento successivo al sacramento, nulla avrebbe peraltrovietato al convertito, se ne sentiva l’intima esigenza, di richiedere il cambia-mento del nome e del cognome, seguendo pero le leggi e i regolamenti cheil Regno d’Italia si era dato in proposito.

Nel mutato contesto politico e giuridico, il ruolo che, almeno sino alla vi-gilia del nuovo secolo l’Opera continuo comunque a svolgere, fu quello assi-stenziale. Il Catecumeno modenese riuscı per qualche anno a difendere la pro-pria specificita, evitando il destino della consorella reggiana. In tal senso, ladocumentazione prodotta – i bilanci, ma, soprattutto, la corrispondenza epi-stolare tra l’istituzione e i neofiti – mostrano il permanere di dinamiche tipichedel periodo preunitario: alle porte della Casa (ed e utile ricordare come, dal1830, non ci fosse in realta nessuna casa) continuavano a bussare alcuni, po-chi, individui marginali – o marginalizzati dalla stessa comunita –, in qualchecaso gia usciti informalmente dall’orbita dell’ebraismo in seguito a relazionisentimentali con cattolici o che seguivano con il battesimo la strada gia percor-sa da fratelli e sorelle. Le possibilita di integrazione sociale ed economica chel’emancipazione aveva aperto per gli israeliti non riguardarono, evidentemen-te, tutti i membri della comunita e larghi segmenti di questa, a Modena comealtrove, continuarono a vivere in condizioni di estremo disagio.

La pessima situazione sanitaria della comunita ebraica di Modena, a quasitrent’anni dall’emancipazione, e descritta dal medico Carlo Levi, libero do-cente di fisiologia presso l’Universita cittadina, membro della comunita ebrai-ca e mohel della stessa. Con sguardo positivista, Levi dava conto dello statosconfortante in una relazione inviata al consiglio di amministrazione della co-

99 Il primo provvedimento unitario per l’istituzione del servizio anagrafico presso ogni Comunedel Regno risale al regio decreto 31 dicembre 1864, n. 2105. Fu tuttavia con la legge 20 giugno 1871,n. 297 che tale obbligo fu ribadito, poiche in molti Comuni la precedente disposizione non era stataosservata.

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munita nel 1895:100 erano 177 i membri che nel corso di quell’anno avevanoavuto titolo per ricevere cure gratuite (87 uomini e 90 donne) e ben 582 eranostati i soggetti assistiti a domicilio (219 uomini e 369 donne).

In generale – scriveva Levi – gli individui si presentano molto male: manca co-stantemente l’aspetto di buona salute, che non di rado si riscontra invece nelle classimeno abbienti dei cattolici, dove pure, per molti aspetti, si hanno condizioni di vita dimateriale inferiorita. Lo scheletro [degli ebrei] e di dimensioni scarse, i muscoli pocosviluppati e flaccidi, la pelle esangue, talora con colorito subitterico. Si aggiungano lecondizioni poco felici dei bambini, travagliati da rachitismo, scrofola, tubercolosi,quasi tutti da anemia e catarri intestinali. Notevole era la frequenza di nevrosi poli-morfe, specie nelle donne, con degenerazione in un caso di pazzia, in quattro di mor-finomania [...]; elevatissimo il numero di affezione degli organi genitali femminili.

L’eredita del ghetto, materiale e morale al tempo stesso, era individuata daLevi come causa della condizione in cui la gran parte degli israeliti modenesiancora versava. Il medico puntava il dito su una serie di elementi che, a suogiudizio, occorreva radicalmente mutare, sposando quindi la tesi di coloro,ebrei e non, che si auguravano che l’emancipazione aprisse per la minoranzaun rinnovamento e una radicale rigenerazione, fisica e spirituale. Levi, in par-ticolare, sottolineava

la tendenza, dolorosamente contrastante col medio-elevato grado di cultura, ad acco-gliere volgari superstizioni, contrarie alle norme piu elementari di igiene e di razionaleterapia; la vita inerte, condotta rifuggendo per lo piu, in omaggio a vieti e rovinosipregiudizi, da ogni utile attivita fisica come dal lavoro manuale; i matrimoni conclusiin brevissimo giro di consanguinei, cosı da precipitare le forme morbose. La selezionee l’incrocio sono alti e potenti fattori di salute e vigoria, soprattutto in una razza unpo’ vecchia e quindi bisognevole di rinnovamento e reintegramento fisico. Se dunque,per parte di chi puo e deve interessarsene, si provvedesse a scuotere dalla inerzia pre-valente tutti costoro, a dar loro un senso piu spiccato della dignita personale, a rav-vivarne il senso morale, si renderebbe un servizio notevole a loro ed alla societa. Equando questa convivenza sociale fosse piu attivata, mentre ora e scarsa o nulla, moltipregiudizi reciproci sparirebbero.101

Se a pochi decenni dall’emancipazione la vita interna della comunitaebraica modenese sembrava riflettere la permanenza di tratti propri dell’eta

100 La relazione fu anche pubblicata; cfr. Gli israeliti poveri nel comune di Modena.101 Nel 1893 il Consiglio comunale modenese approvo un progetto di risanamento edilizio della

citta che prevedeva, tra l’altro, lo sventramento dell’isolato compreso tra via Blasia e via Coltellini,una parte dell’area dell’antico ghetto considerata una delle «plaghe antigieniche» della citta. L’abbat-timento fu realizzato nel 1903.

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del ghetto, anche le coeve vicende del Catecumeno cittadino testimoniavanoche il retaggio dei tempi passati non poteva essere cosı velocemente cancella-to. Lo status sociale degli aspiranti neofiti, ma soprattutto la difficile condizio-ne socio-economica in cui i converititi ancora vivevano dopo il battesimo, rap-presentava senza dubbio uno dei maggiori elementi di continuita con laprecedente stagione. Inevitabilmente, per buona parte degli anni Settanta eOttanta dell’Ottocento la maggioranza dei sussidiati risulto composta da co-loro che si erano battezzati nei decenni preunitari, sulle cui precarie condizio-ni ben poco incise il passaggio dal dominio estense al nuovo Regno, comechiaramente emerge dalla lettura delle causali dei numerosi e reiterari sussidistraordinari che il delegato al Catecumeno modenese concedeva loro: «neofitainferma e bisognosa di cure dispendiose», «povera e inferma», «inferma e bi-sognosissima in Finale Emilia», «degente in Genova», «miserabile coatto aLampedusa», «in ristrettezze e infermita, trovandosi carica di figli ed il maritosenza servizio», «senza impiego e bisognoso di soccorso», «ammalata e privadi mezzi per sostentarsi», «la si aiuti nelle spese di baliatico di un suo bimbo,che essa e impotente per male», «continuamente inferma presso il frenocomiodi Reggio».102

Anche le vicende dei pochi nuovi convertiti sembrano non mutare signi-ficativamente rispetto a quelle di chi li aveva preceduti. Rosa Modena (poiMaria Pellegrini) aveva trent’anni quando nel 1865 si battezzo. Sposatasi e pri-va di occupazione, inondera il Catecumeno di lettere per chiedere per se e ilmarito disoccupato, un aiuto a trovare lavoro come domestici: «Torno solle-citare la carita di anticiparmi questi sei mesi di affitto a cio che io possa conquesto denaro industriarmi a cercare di guadagnare un tozzo di pane». Erastata licenziata a causa delle condizioni di salute – «La mia cattiva salutenon mi permette d’andare a servizio e pero faccio quello che posso per difen-dermi giornalmente e non morire di fame quantunque si stia ben spesso 24ore senza mangiare». Rimasta vedova, nel 1875 Rosa supplicava il delegatodon Raffaelli «di una sua elemosina, essendo ridotta in uno stato indecen-te».103 Elettra Formiggini, cucitrice, orfana, battezzatasi nel 1898, riuscira aottenere un posto come domestica presso le suore cittadine del Buon Pastoredove aveva svolto il catecumenato. La lettera con cui chiedeva l’appoggio didon Raffaelli per ottenere l’impiego testimoniava l’isolamento di Elettra e i fie-voli legami familiari che le erano rimasti: «Non ho viventi che un fratello pernome Celeste il qualche si fece cattolico da circa 11 o 12 anni, a San Miniato.

102 ACAMo, OPC, Amministrazione, 11/d.103 ACAMo, OPC, Famiglie, filza III.

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I miei genitori nulla possedevano e nulla mi hanno lasciato, avendo la matrignaritirato presso di se i pochi mobili, la quale disse che era tutta roba sua».104

Pare inizialmente positiva la vicenda di Marietta Dieghi, olim Emilia Mode-na, convertitasi adolescente insieme alla sorella Giuditta nel 1854. Marietta, nel1863, era stata posta a servizio a Reggio Emilia presso i marchesi Gatti e fu pro-prio la marchesa a impartire alla ragazza lezioni di «calligrafia, aritmetica e ma-tematica» e a far sorgere in lei il desiderio di diventare maestra. La giovane scri-veva cosı a don Raffaelli affinche l’Opera le potesse concedere un sussidioulteriore per pagarsi gli studi; il delegato al Catecumeno – per il quale le neofite,oltre che mogli e madri, ad altro non potevano aspirare se non a un impego comedomestiche – decise comunque di intercedere presso il vescovo «sebbene taleprofessione present[ava] non poche difficolta e non pochi pericoli trattandosidi una ragazza nel verde della sua eta e di carattere piuttosto vivace». Il prelatoacconsentı e Marietta sembro riuscire nel suo intento tanto che, nel dicembre del1864, lo stesso Raffaelli le scrisse una raccomandazione indirizzata all’arcipretedi Modena: «La neofita Marietta Dieghi, maestra elementare, non puo da menon essere caldamente raccomandata. Durante il lungo soggiorno che ella fecein Reggio trovo nell’ottimo rettore di Santa Teresa un morale appoggio e io soche si deve appunto alla paterna sorveglianza di quel distinto sacerdote che laDieghi non cadde vittima della sua inesperienza e del suo carattere un po’ troppovivace». Chissa se in quel «carattere un po’ troppo vivace», piu volte sottolineatonelle sue note dal delegato non si nascondesse la chiave delle future vicende delladonna. Le notizie di Marietta ci portano infatti, qualche anno dopo, a Torino.Era del 10 agosto 1869 questa lettera recapitata all’Opera modenese:

Per imperiose ragioni di alte convenienze sociali il signor luogotenente IppolitoDronchat, mio figlio unico, ha dovuto lasciare la signorina Marietta Dieghi colla qualeda due anni e piu viveva in concubinaggio. Malgrado che mio figlio abbia spiegato avoce e per lettera una parte delle suddette ragioni, la signora Marietta in vece di ras-segnarsi alla sua sorte vien per ben due volte in Torino per cercare a ritornare con luie scrivere nello stesso tempo lettere su lettere nelle quali sostiene delle cose che nonavrebbero mai dovuto uscire ne da sua penna ne da sua bocca. Nella qualita di madredi questo mio figlio unico, sola mia consolazione, io mi indirizzo alla Signoria Vostra.Se per caso la signora Marietta nutrisse il progetto di farsi sposare bisogna che se lolevi dalla testa perche in primo luogo non ha il benche minimo diritto ed in secondoluogo non daro mai e mai il mio consenso. In quanto poi a vivere insieme come per ilpassato, cose che sarebbe non decorosa ne per l’uno ne per l’altro, questo e impen-sabile. I suoi superiori ed anche il Ministro della Guerra ne sono informati.

104 Ibid.

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Il destino della donna sembra prendere a questo punto un’altra piega e,nel 1872, giunse al Catecumeno notizia che Marietta era a Roma, dove la que-stura aveva accertato che sin «dal 21 giugno scorso e stata cancellata dal regi-stro delle prostitute per essersi dedicata alla professione di artista teatrale». Ilnome della donna, evidentemente rimasta nubile, continuera sino al 1896 acomparire tra le beneficiarie mensili del legato Barberini.105

Per alcune giovani il Catecumeno rappresentava davvero l’ultimo approdoper sfuggire a vicende familiari di degrado e miseria. A dimostarlo, nell’ottobredel 1867, fu proprio una delle sorelle di Marietta. Si trattava di Rosalia Modena(poi Teresa Dieghi) che, a soli 15 anni, era stata accolta nel monastero del BuonPastore dopo che, «trascinata per opera di un padre snaturato e di due sorellemaggiori a correre la via della prostituzione, era caduta ora inferma e da tuttiabbandonata». In ragione della sua condizione particolarmente disagiata le ver-ranno accordati otto mesi di sussidio anticipato.106

Altrettanto penosa la storia di Rosa Modena (divenuta Maria GiuseppaCampobianco); nel giugno del 1865 la giovane era stata posta anch’essa pressoil Buon Pastore e sembrava avviata a una rapida conversione. Trascorsi oltredue anni, la donna non aveva ancora ricevuto il battesimo; in circostanze chele lettere di don Raffaelli sono assai lontane dal chiarire, apprendiamo che laragazza era stata vittima di uno stupro in conseguenza del quale aveva contrat-to la sifilide ed era stata a lungo ricoverata a spese dell’Opera. Battezzata nel-l’autunno del 1869, Rosa morira pochi anni dopo.107

La marginalita dei convertiti, delle neofite in particolar modo, e documen-tata anche dai casi di aspiranti catecumene che, come nei decenni precedenti,videro respinta la richiesta di entrare nella Casa. Mutati i tempi e i contesti,era sempre la dubbia moralita, quando non la pessima reputazione delle can-didate – si tratto in entrambe i casi di due giovani donne – a costituire il cri-terio con cui si filtrava l’entrata nella Casa.

L’esempio dato dalle precedenti conversioni della sorella Emilia e deifratelli Ercole e Giuseppe non fu sufficiente a Vittoria Rava per vincerenel 1864 l’ostilita e la diffidenza delle autorita di Reggio, tanto civili che re-ligiose, e poter entrare nel Catecumeno cittadino. Vittoria aveva 28 anni euna vita non facile alle spalle. Dalle risposte date al prefetto che, significa-

105 ACAMo, OPC, Famiglie, filza II.106 Rosalia fu battezzata nel novembre 1868. Cfr. ibid.107 Rosa, figlia di Lazzaro e Fortunata Cevidalli, era la quarta figlia a percorrere la strada del

Catecumeno, dopo Giovanni e Giuseppe, convertiti nel novembre 1854, e Cecilia, battezzata nel giu-gno del 1859. Come prassi, a tutti i membri di una stessa famiglia, anche se battezzati ad anni didistanza, veniva posto lo stesso cognome, in questo caso Campobianco. Cfr. ibid.

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tivamente, nel nuovo contesto postunitario condusse il consueto interrogato-rio preliminare alla presenza del rabbino e del delegato vescovile al Catecu-meno, emergevano le difficolta in cui la donna si dibatteva, essendo venutameno da tempo la rete di protezione familiare: era orfana, ultima dei fratelli(tutti gia battezzati a queste date e uno di loro scomparso). «Viventi i geni-tori, la mia famiglia – raccontava la giovane –, ero stata abbastanza provve-duta di mezzi di sussistenza e dopo la loro morte la Comunione Israelitica[aveva] sufficientemente supplito alla deficienza». Interrogata sui motiviper cui «avendo un sostegno, fosse ascritta al ruolo delle prostitute in Reg-gio», Vittoria rispondeva: «L’essere stata abbandonata a me stessa, la noncompleta sufficienza dei mezzi pel mio mantenimento mi indussero dal de-clinare dalla via dell’onesta». Nel febbraio del 1864, a spese del Catecume-no, la donna fu quindi condotta presso le suore della Carita di Reggio periniziare il periodo di istruzione religiosa. Ma su richiesta del presidente dellaCongregazione di carita venne allontanata dall’istituto qualche mese dopo.«L’indomabile sregolatezza» di Vittoria era stata causa di molte lamentelee riprovazioni da parte delle religiose, che non riuscirono «a condurla adabitudini d’ordine, di disciplina e di lavoro e a vincere le stravaganze diun cervello balzano». Il supplemento di indagine promosso dalle autorita ci-vili sulla vita della donna e sulle reali motivazioni che la spingevano al bat-tesimo avevano portato a stigmatizzarne con ferocia la condotta e a conclu-dere che il suo catecumenato andasse senz’altro interrotto. Era ancora ilprefetto a intervenire, questa volta per chiudere la vicenda, indirizzandoal vescovo un rapporto in cui dava conto dei motivi per i quali la donna,da quel momento in avanti, non doveva piu essere posta a carico dell’assi-stenza cittadina. Le parole dell’alto funzionario rappresentavano una misce-la di vecchi e nuovi strumenti accusatori: al marchio, per cosı dire tradizio-nale, dell’immoralita, si sommava per la giovane anche quello dellamalattia mentale, declinato con la violenza che le parole della scienza medicaconsentivano.

Contrastano ad una sincera vocazione [...] i precedenti di una condotta disonestaed intemperante al segno di aver professato il pubblico meretricio; una costituzionefisica alterata da perturbamenti nervosi epilettici e da affezioni isteriche tali da man-tenerla costante in quelle tendenze, alle quali si associa un carattere irriflessivo, leg-gero, incostante ed intollerante; la violenta passione concepita verso Luigi Pignettie la pertinacia del divisamento di potersi in qualche modo associare al Pignetti nono-stante sia stata avvertita la Vittoria Rava che il medesimo e unito in vincoli matrimo-niali; l’inettitudine di detta donna a qualunque figlio, faccenda domestica ed a fem-minili lavori; l’odio dei suoi correligionari contro suddetta donna sino a desiderare

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che si faccia cristiana senza opporre veruno degli ostacoli che sono soliti opporre perimpedire simili eventi, talche prova l’abiettudine della femmina.

Vittoria non aveva pertanto diritto alla carita ne dei cattolici, ne degliebrei, ne dello Stato.108

Anche nel rifiuto opposto, nel 1884, alla giovane modenese Allegra Fua, sievidenziava una singolare sintonia, e sinergia, tra la Casa del catecumeno el’Azienda Israelitica: collaborazione che portera, per i medesimi motivi, en-trambe le istituzioni ad allontanare (e abbandonare) la giovane. Dopo la mortedei genitori Allegra era stata mantenuta «di peso dall’Azienda Israelitica, laquale nel 1882 per sollevarsi dalla spesa e per abituare la Fua a guadagnarsiun pane le procuro un servizio a Bologna. Ma la prova torno inutile». Le fa-miglie presso le quali Allegra aveva lavorato «se ne querelavano di continuopresso la Presidenza dell’Istituto Israelitico di beneficienza, accusando laFua di vita troppo libera, di costumi non troppo onesti, di vagabondaggiodiurno e notturno. In base a cio e visto che la Fua s’era data in braccio adun amoraccio con un cristiano l’Azienda la sconfesso, le sospese gli assegniabbandonandola in braccio a se stessa». Fu allora che Allegra decise di rivol-gersi al Catecumeno, considerato che il fidanzato cattolico dichiarava di voler-la sposare, a patto che si fosse convertita. Allegra tuttavia non sara mai am-messa nella Casa. Don Raffaelli, ottenute le informazioni dall’UniversitaIsraelitica si rifiutera di accoglierla: «La vita che conducete non mi sembra taleda far supporre in voi il dono della vocazione alla fede. Lo sbagliare e di tutti,ma il durare nell’errore rivela un animo non troppo buono; scusate io la pensocosı».109

La condizione miserevole dei convertiti non era una sola questione di ge-nere (femminile). Luigi Canova era gia anziano quando, dopo trent’anni di as-senza, tornava a Modena, nel 1863. Nella citta non aveva piu alcun legame enessun’altra soluzione se non rivolgersi al Catecumeno per cercare di alleviarela sua situazione: «Non si dimentichera – scriveva a Raffaelli nel 1866 – di unpovero infelice e vorra accordarmi il solito a lei noto sussidio, onde io possaprocurarmi almeno due braghe ed una giacchetta e possa sortire dalla stallache da parecchi giorni sono forzato a trattenermi».110 Il Catecumeno conti-nuera ad assisterlo facendolo entrare, dal 1872, nel Ricovero di Mendicita cit-tadino.

108 AIRete, PLC, titolo I, filza III, rubrica 2.109 ACAMo, OPC, Famiglie, filza III.110 Ibid.

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Singolare, almeno per l’identita di uno dei protagonisti, e poi la vicenda diAlessandro Azzaroni, seguito dal Catecumeno in tutti gli spostamenti tra lecarceri e gli ospedali in cui sara, suo malgrado, ospite. L’uomo, una volta Sa-muele Sanguinetti, si era convertito appena diciottenne nel 1854. Dalle carterisulta una carriera di piccoli furti e truffe, di prigione e isolamento. Nel 1871era dall’Ospedale di Modena, dove giaceva «affetto da convulsioni epiletti-che», che scriveva a don Raffaelli una lunga lettera in cui chiedeva aiutoper trovare un impiego: «Ormai mi trovo in una posizione la piu critica cheimmaginar si possa, ridotto ai minimi termini [...]; son disposto a fare qualun-que cosa». Lo scoramento e la solitudine dell’uomo trovavano espressione inun’altra missiva inviata mesi dopo al fratello, anch’esso convertito, cui Ales-sandro rimproverera la freddezza e un incomprensibile rifiuto a rispondereal ‘‘richiamo del sangue’’:

Ormai bisogna che mi persuada di non avere piu nessuno del mio sangue! Poicheda sette mesi che mi ritrovo all’ospitale nessuno ha pensato a me se non il signor ca-nonico Raffaelli [...] Dietro le istruzioni dei vostri primi anni di gioventu e le virtu chevi ha fatto mettere in pratica la buon’anima di quella donna che vi ha fatto le veci dimadre, vi fa vergogna di essere cosı vendicativo con il vostro sangue, mentre perquanto abbia potuto mancare ci puo essere speranza nell’ammenda [...] Voglio sı avermancato al mondo fin che volete, ma ritrovare un cuore sı crudo come il vostro nonmi sarei mai immaginato! [Resto] con la speranza che rifletterete avere uno sventu-rato fratello e quindi ricordarvi di lui una qualche volta; sı, lo spero, cosı potro dire:«ho qualcuno del mio sangue».111

Il destinatario della lettera era Luigi Azzaroni, ovvero quell’Angelo San-guinetti battezzato clandestinamente da una domestica all’eta di sette anni esottratto per questo alla famiglia nel 1825.112 Non sappiamo se gli appellidi Alessandro fecero breccia nell’animo del fratello; le tribolazioni del primo,di certo, non si conclusero: alloggiato, a spese dell’Opera, nel Ricovero diMendicita sino al 1872, lo ritroviamo al confino a Lampedusa nel 1878 e in-fine detenuto nelle carceri di Reggio Emilia nel 1879. In tutti i suoi sposta-menti, mai don Raffaelli aveva omesso di inviargli mensilmente il sussidio do-vuto.

Anche nei primi decenni postunitari, dunque, il ruolo di ente assistenzial-caritativo svolto dall’Opera non venne meno e anzi, in un periodo in cui il nu-

111 Ibid.112 Cfr. supra, p. 136. La missiva di Alessandro era indirizzata alla prefettura modenese, presso

la quale il fratello lavorava come ragioniere.

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mero complessivo dei convertendi locali subiva un progressivo sensibile calo,il Catecumeno modenese, in deroga alla sua storica prassi, si apriva a sostene-re con la concessione di sussidi straordinari neofiti di varia origine, anche solodi passaggio in citta, come attestano le carte amministrative.113 Oltre a questo,il disperdersi dei ‘‘suoi’’ stessi catecumeni in diverse citta italiane – circostanzache si fa molto piu frequente dopo l’Unita – non rappresento motivo di inter-ruzione dei legami tra il convertito e l’Opera; don Raffaelli, come i suoi suc-cessori, sara costantemente impegnato nell’invio di vaglia postali per raggiun-gere i neofiti nelle nuove localita di residenza e recapitare loro i contributispettanti.

Scomparendo via via i battezzati di vecchia data, la comunita dei sussidiatisi assottiglio in modo deciso, come testimonia il numero decrescente di coloroche ricevevano le somme del legato Barberini (per le neofite nubili) e il sussi-dio annuale del legato Savoia (per la cosiddetta mancia natalizia, destinata aessere divisa tra tutti i battezzati). Nel 1866 la somma di 383 lire annue(329 lire dal 1895) devoluta in occasione del Natale verra concessa a 42 neo-fiti, divenuti esattamente la meta nel 1915.114 Anche l’andamento del sussidiodel legato Barberini riflette il ruolo sempre piu marginale che l’Opera ricoprıcon lo scorrere degli anni: se nel 1868 erano 10 le neofite tra cui venivano di-vise le 50,5 lire mensili previste, nel 1896 le beneficiate sarebbero state soltan-to 3.115 Nonostante la progressiva diminuzione nel numero degli assistiti, lecasse del Catecumeno non sembrarono risentirne in senso positivo, e ancoranei primi anni del Novecento i bilanci confermano la difficolta economica incui l’istituzione si dibatteva da decenni. Il bilancio consuntivo del 1897 parladi un totale di entrate di 2811,43 lire, diminuite, sebbene di poco, dieci annidopo a 2731,23 lire.116 Dal canto suo, la giunta provinciale amministrativa, al

113 ACAMo, OPC, Registri, 11, «Libro sussidiario 1875-77».114 Nel 1866 i convertiti ricevevano dunque una mancia annuale di circa 9 lire, pari a 44 euro,

cifra attualizzata al 2011. Nel 1915, pur dimezzato il numero dei riceventi la mancia natalizia, le flut-tuazioni del valore della lira facevano sı che il sussidio procapite ricevuto dai 23 beneficiati rimasti, paria 15,7 lire, fosse solo di poco superiore, circa 49 euro, a quella concessa anni prima ai loro predecessori.

115 La consistenza del legato Barberini era di 50,5 lire mensili, da dividersi tra tutte le neofiteche ne avevano titolo. Questo si traduceva, nel 1868, in una somma pari a circa 20 euro al mese; nel1896, rimasta invariata la somma a disposizione, le tre beneficiarie ricevevano invece l’equivalente di70 euro mensili. ACAMo, OPC, filza VII, Legato Barberini (1868-1898). Per contestualizzare l’am-montare dei sussidi concessi e peraltro piu utile fare riferimento al potere di acquisto che avevanoallora le somme erogate, in relazione al prezzo medio di alcuni beni di prima necesessita: tra 1879e 1881, ad esempio, patate, pasta, burro, olio d’oliva, carbone, formaggio e zucchero costavano alchilo rispettivamente 0,12, 0,65, 2,68, 1,5, 0,31, 2 e 0,7 lire. Per il triennio 1901-1903 i prezzi al con-sumo registrarono un significativo calo, attestandosi, per le stesse merci rispettivamente a 0,07, 0,38,2,43, 1,2, 0,26, 1,6 e 0,23 lire. Cfr. FOSSATI 1951, p. 277.

116 Attualizzate al 2011 si tratta rispettivamente di circa 11700 e di 10321 euro; vedi ACAMo,

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cui controllo i conti dell’Opera erano sottoposti in seguito alla legge Crispi del1890,117 stanziava a favore del Catecumeno una significativa quota di 600 lireannue, che rappresentava lo stipendio del delegato vescovile e il pagamentodell’affitto e del mobilio di due stanze a uso ufficio in cui si svolgeva l’istru-zione dei catecumeni. Ai neofiti non rimaneva molto da dividere: 1120 lire nel1898, passate a 1285 nel 1901.118 Gli amministratori non mancavano di segna-lare le incerte sostanze dell’istituzione che rendevano sempre meno efficace lagia esile azione di supporto: «Il capitolo quarto del bilancio 1899 [sussidi or-dinari] rimase esaurito colle assegnazioni dell’ottobre, ne avanza margine al-cuno nei mesi di novembre e dicembre nei quali i poveri catecumeni soffronoil maggiore disagio e il maggior bisogno».119 Il verbale del 6 novembre diquello stesso anno poteva per lo meno registrare che «da caritatevole anonimoe stata fatta a quest’Opera un’oblazione straordinaria di lire trecento nell’in-tendimento non abbiano a difettare i sussidi ai catecumeni nei mesi di novem-bre e dicembre».120

Si e gia accennato al mutamento delle motivazioni – regolarizzazione reli-giosa dei matrimoni misti, battesimi dei figli nati da queste unioni – che all’al-ba del Novecento spingevano gli ebrei all’abbandono della comunita di origi-ne. Singolari, tuttavia, perche ben testimoniano la fluidita e i confini elasticidei percorsi di queste conversioni tarde, e le difficolta di seguirne lo tracce,sono i casi di Emma Coen e di Roberto Rava.

Sposata a Camillo Sacerdoti, esponente di una delle piu illustri famigliedell’ebraismo modenese, Emma maturava da tempo il proposito di farsi cat-tolica. Era il dicembre del 1897 quando il vescovo di Modena, in contatto

OPC, Registri, 2, «Libro dei verbali 1897-1914». Mancano i dati dei bilanci preventivi e consuntiviper gli anni dal 1909 al 1914.

117 Dopo il tentativo, in buona parte fallito, di riordino delle Opere pie in seguito alle normeemanate nel 1862, la legge 17 luglio 1890, n. 6972 trasformo le Opere pie in Istituzioni pubbliche dibeneficenza, potenziando i controlli delle autorita civili sull’amministrazione e i bilanci degli istituti,affermando la responsabilita degli amministratori e stimolando il concentramento di istituzioni di be-neficenza con scopi simili. Anche le Opere del catecumeno, non solo quella di Modena ma tutti glienti analoghi ancora attivi nella Penisola, furono quindi sottoposte a un maggior controllo che, nelcaso modenese, si tradusse in una piu costante e ordinata compilazione dei bilanci, preventivi e con-suntivi.

118 Rispettivamente circa 5050 e 5300 euro; vedi ACAMo, OPC, Registri, 2, «Libro dei verbali1897-1914», alle date.

119 Dal 1898 fu inserito un quinto capitolo nelle spese, destinato all’istruzione dei neofiti: «Ilnuovo capitolo 5º significa che quest’Opera non si limita strettamente al soccorso materiale, maestende la sua azione all’educazione e istruzione non tanto nell’interno del Catecumeno, quanto ineducatori e scuole d’arte e mestieri, presso le quali furono collocati gia alcuni neofiti con evidenteprofitto». Cfr. ibid.

120 Ivi, alla data.

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

con la donna, decise di coinvolgere il Sant’Ufficio, poiche un dubbio proce-durale lo rendeva incerto su quale fosse la strada piu opportuna da seguire:

Una buona signora ebrea di nome Emma Coen, sposa da quattordici anni a unsignore ebreo di nome Camillo Sacerdoti, che dalla giovinezza ha sempre nudritonel cuore molta propensione alla religione cattolica, infermatasi gravemente di polmo-nite insieme con tre figli dei cinque che ha, si volse piena di fiducia alla beata Verginee fece voto di farsi cattolica se ottenesse la guarigione a se e ai figli, e l’ottenne. Pienadi gratitudine si diede tosto con premura e con discreto profitto allo studio della no-stra religione, si astenne da ogni atto d’ebraismo, prescelse pe’ suoi figli un’istitutricecattolica e finalmente disse un giorno al marito che se alla sua morte trovasse, e latroverebbe di certo, espressa in iscritto la sua volonta d’essere sepolta nel cimiterocattolico, si guardasse dal contravvenirvi, poiche, conchiuse, io sono gia cattolica,ho gia ricevuto il battesimo.121

Emma mentiva, perche nessun battesimo le era stato impartito.

Il marito mostro molta maraviglia a quella notizia, ma punto sdegno; di che siaccrebbe in lei il desiderio di fare davvero quello che aveva falsamente annunziatod’aver fatto [...] e questa volonta – proseguiva il vescovo – m’ha fatto esprimeredal parroco nel cui territorio dimora e me l’ha espressa di sua bocca in un colloquioche mi sono procurato con lei. Ma le circostanze del caso sono tali che io non mi sen-to l’animo di procedere senza averlo esposto all’Eminenza Vostra [...] La famiglia Sa-cerdoti e cospicua per censo e posizione sociale rispetto a’ suoi correligionari e com-mendevole per probita e beneficenza; non e affezionata alla religione ebraica, anzi lariguarda con indifferenza. Non v’e quindi pericolo che si pretendano dalla signoraCoen atti appartenenti al culto israelitico, ed essa in ogni caso saprebbe resistere.Per altro e certo che durante la vita del suocero e del costui fratello, non solo nonle sara mai lasciata tanto di liberta da poter osservar le pratiche esterne e gli esternidoveri della religione cattolica, ma appena in qualche parte potra adempirli, e conmolte cautele; e ai figli dovra contentarsi al presente d’insinuare le verita cristiane ela necessita d’appartenere alla Chiesa cattolica per ottenere l’eterna salute, senza peropoter confidare di condurli al battesimo e cio almeno fintanto che durino le odiernecondizioni della famiglia. Si degni pertanto l’Eminenza Vostra d’esprimermi se io pos-sa e a quali condizioni conferire alla supplicante il santo battesimo, che nel caso dovraesserle amministrato con tutta segretezza e senza che nulla ne sappia lo stesso marito,al quale essa gia disse d’essersi fatta battezzare.

Il 26 gennaio 1898 la Congregazione stabiliva di supplicare il papa percheautorizzasse il vescovo a procedere a sua discrezione e secondo coscienza,

121 ACDF, S.O., D.B., 29 (1897-1907), f. 23, da cui sono tratte le citazioni che seguono. Dellavicenda Coen e rimasta traccia soltanto negli archivi romani del Sant’Ufficio.

CAPITOLO QUINTO

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chiedendo alla donna, per quanto possibile, «di compiere atti di religione eeducare i figli alla religione cristiana».122 Il 28 gennaio 1898 Leone XIII con-cedeva al vescovo la facolta richiesta. La segretezza del sacramento eventual-mente conferito fu tale che non sappiamo se Emma Coen fu mai effettivamen-te battezzata o se continuo a vivere da ebrea, pur sentendosi spiritualmentecattolica.

La doppia identita religiosa con cui a lungo – e apparentemente di na-scosto da familiari e amici – convisse Roberto Rava, convertito al cattolice-simo nel novembre del 1900, ma di fatto ancora parte della comunita ebrai-ca, fu scoperta solo molti anni dopo, quando l’uomo si trovava sul letto dimorte.123 Nel settembre del 1933, la comunita israelitica cittadina decisedi svolgere delle indagini sulla conversione in extremis di Rava, volendo so-prattutto accertare che non fosse stata estorta contro la volonta del moribon-do dalle religiose dell’ospedale. Il battesimo, si disse, era avvenuto «dietropressioni esclusive della moglie e della figlia del Rava, ferventi cattoliche,e sia il frate che la suora intervennero soltanto dopo essere stati chiamatidai predetti parenti e dopo essersi (il Rava non parlava, ma ancora compren-deva) accertati che il morente, dai segni che faceva, desiderava l’assistenzacattolica». Ma l’uomo, come emergera dalle indagini poi svolte dalla comu-nita, era gia stato battezzato trent’anni prima;124 non si poteva dunque par-lare di «conversione in extremis» e quanto accaduto non era da ascriversi aillegittimi comportamenti del personale dell’ospedale. Nonostante il battesi-mo, Rava «si era successivamente dato alla religione ebraica, intervenendoalle funzioni del Tempio e protestandosi di fronte a terzi di religione israe-litica» e piu volte, durante la sua degenza all’ospedale, il rabbino e moltiamici di «indiscussa fede ebraica si erano recati per salutarlo e confortarlo».Eppure quindici giorni prima di morire, aveva espresso la volonta di confes-sarsi e di ricevere l’estrema unzione dal frate dell’ospedale. Il religioso, co-

122 «Suppl. SS.mo pro gratia remittenda arbitrio et conscientiae ordinarii, qui mulierem horte-tur ut, quo melius fieri poterit, actus catholicae religionis compleat et filios quantum in se est sanc-titate christianae religionis educet».

123 ACEMo, b. C64 (inventario Garavini).124 La dichiarazione di volersi convertire insieme ai suoi due figli, scritta e firmata di pro-

prio pugno da Rava il 30 ottobre del 1900, si trova in ACAMo, OPC, Registri, 18. «Io sottoscrit-to fermamente risoluto di ricevere il santo battesimo dichiaro che spontaneamente abbraccio lareligione cattolica assieme a miei due figli Mario e Bianca e che accio non sono stato mosso daviolenza alcuna ne materiale ne morale. Nel tempo stesso dichiaro e riconosco di non avere di-ritto alcuno a sussidi finanziari ne ad altro aiuto materiale». Il battesimo avvenne il giorno suc-cessivo. Dall’indagine promossa dalla comunita israelitica fu inoltre accertato che Rava avevapercepito in vita «oltre ai sussidi che la comunita israelitica gli dava, anche le somme dell’Operacatecumeni».

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

noscendolo come ebreo, «prima di aderirvi domando al Rava se volesse in-vece il rabbino (al che non fece alcun cenno) o se volesse l’estrema unzione(al che rispose con un cenno del capo)».

Come mostrava il singolare episodio di Rava, i percorsi che guidavano laconversione diventarono con il passare degli anni sempre meno istituzionaliz-zati e prevedibili, complice lo sgretolamento degli istitituti per catecumeniche, dopo la soppressione della Casa reggiana, anche a Modena erano ormaialla fine della loro storia. L’ultimo nome trascritto nei registri dell’Opera mo-denese il 14 agosto del 1914 fu quello della ventiduenne Bice Vigevani, unitasiin matrimonio a un cattolico il giorno seguente. Dopo quella data le pagine sucui dagli inizi del Seicento si annotavano le generalita dei neofiti sarebbero ri-maste bianche. Naturalmente, questo non significo che da quel momento inavanti nessun membro della comunita ebraica avrebbe deciso di allontanarse-ne in qualche modo; il Catecumeno pero non sarebbe piu stato necessaria-mente coinvolto e le scelte avrebbero assunto un risvolto privato che potevaanche non sfociare in un approdo al cattolicesimo. Fu il registro delle abiure,introdotto presso le singole comunita dopo il 1930,125 a fissare le tracce diquanti vollero rendere ufficiale il passaggio a una nuova fede, e tra il 1915e il 1938 furono 15 coloro che, a Modena, decisero di abbandonare la religio-ne dei padri.126

125 In seguito all’entrata in vigore del decreto 30 ottobre 1930, n. 1731, «Norme sulle co-munita israelitiche e sull’unione delle comunita medesime», l’assetto istituzionale delle comunitaebraiche italiane fu ridisegnato all’interno di una cornice di norme unitarie e omogenee. Il de-creto, noto anche come legge Falco, dal nome del giurista Mario Falco che se ne fece promotorea nome dell’elite dell’ebraismo nazionale, trasformava le comunita ebraiche in enti pubblici, uni-formandone gli ordinamenti e dando loro un assetto giuridico fortemente orientato in senso pub-blicistico, un’impostazione che trovava compiuto riscontro negli orientamenti della culturagiuridica italiana di quegli anni. Grande importanza aveva per i rappresentanti ufficialidell’ebraismo la definizione dell’appartenenza alla comunita: per controbattere le spinte assimi-lazionistiche che, a partire dall’emancipazione, avevano reso sempre piu flebile, e legato alla sin-gola coscienza individuale, il legame con la religione mosaica, Falco propose di introdurre nellanuova legge un articolo (divenuto poi l’art. 4 del testo definitivo) che saldava l’appartenenza al-l’ebraismo all’appartenenza/iscrizione alla propria comunita: chi desiderava uscirne, con un attoformale di abiura comunicato al presidente della locale comunita e al rabbino, cessava contem-poraneamente di essere ebreo. Tale decisione trovava riscontro nell’elenco ufficiale delle abiureconservato, dopo l’entrata in vigore dalla legge Falco, presso le locali istituzioni comunitarie.

126 ACEMo, Abiure 1936-1942, bb. 1-5. Applicando quanto previsto dal decreto 30 ottobre1930, n. 1731, tutti coloro che, anche in precedenza all’entrata in vigore di tali norme, si erano al-lontanati dall’ebraismo come frutto di una scelta personale furono obbligati a formalizzare in modoufficiale l’avvenuto distacco dalla comunita. I 15 ebrei modenesi che riconfermarono nel 1931 l’ab-bandono delle comunita (fra loro anche la sorella di Bice Vigevani, l’ultima convertita il cui nome etrascritto nei registri dell’Opera dei catecumeni) non sono stati conteggiati nel numero di battezzatifornito dalla Tabella 2.

CAPITOLO QUINTO

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Tab. 1. Battezzati (Reggio, 1800-1882).

Decennio M F M+F Eta media M Eta media F

1800-1810 3 6 91811-1820* 12 9 211821-1830 8 1 91831-1840 5 8 131841-1850 3 3 61851-1860 3 5 81861-1870 2 1 31871-1880 2 21881-1882 1 1Periodo 1814-1859 19,7 21,6Periodo 1860-1882 20,9 23,5

Totale 36 37 72**

Tab. 2. Battezzati (Modena, 1800-1914).

Decennio M F M+F Eta media M Eta media F

1800-1810 2 3 5

1811-1820*** 12 7 19

1821-1830 9 13 221831-1840 12 13 25

1841-1850 1 7 81851-1860 4 15 191861-1870 5 5

1871-1880 2 21881-1890 2 4 61891-1900 3 7 101901-1910 1 11911-1914 1 1Periodo 1814-1859 18,5 17,4Periodo 1860-1914 23,8 23,4

Totale 47 76 123

* Dei 21 battezzati del decennio 1811-20, i maschi che ricevettero il sacramento prima dellarestaurazione estense (15 luglio 1814) furono 6, mentre le femmine risultano 5.

** A questo totale vanno aggiunti i cinque componenti della famiglia Bondı Corinaldi e LazzaroSanguinetti, che entrarono nella Casa poco prima della fuga di Ercole III e ricevettero il battesimodurante il Triennio.

*** Come per Reggio, si indicano i battesimi registrati prima della restaurazione estense: delle 19conversioni del decennio, 9 vanno ascritte al periodo 1811-luglio 1814 (5 maschi e 4 femmine).

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CONVERSIONI AL TRAMONTO

EPILOGO

Dicembre 1938. Su un foglio di carta a quadretti, con scrittura resa malcerta dall’eta, Maria Pivetti, indirizzava una breve lettera al vescovo di Mode-na. Maria aveva 80 anni e tre figli, scriveva da Milano, dove da molti anni ri-siedeva:

Reverendissimo monsignore,

Con tante scuse mi rivolgo a lei per chiederle un grande favore. Mio figlio Ed-mondo, residente a Roma, ha ricevuto un documento nel quale deve dichiarare lasua religione e razza e quella dei suoi genitori. Altrettanto avverra per mio figlio En-rico, col quale convivo, e io pure dovro fare la dichiarazione. Mi occorrono percio trecertificati che comprovino il mio avvenuto battesimo [...] Spero che ella potra esseretanto gentile di procurameli [...] Resto in fiduciosa attesa.1

Abbiamo gia incontrato Maria. Si trattava di Sara Uzielli, ebrea modeneseconvertitasi nel 1892 per regolarizzare religiosamente il legame che da anniaveva con il compagno cattolico. In virtu di quel lontano battesimo, la donnae i suoi figli chiedevano di non essere considerati «di razza ebraica» e di nonessere sottoposti alle norme antisemite, una speranza che per Maria si sarebberivelata vana.2 Nell’autunno del 1938, con l’inizio ufficiale della campagnarazziale voluta dal regime fascista, molti ebrei, non solo modenesi, credetteroche la strada per la salvezza, terrena, potesse essere rappresentata dall’abban-dono dell’ebraismo e dall’approdo al cattolicesimo. Non compresero – o nonvollero accettare – che la nuova persecuzione passava attraverso lo stigma del

1 ACAMo, OPC, Registri, 18.2 Secondo quanto prescritto dall’articolo 8 del regio decreto legge del 17 novembre 1938,

n. 1728, «Provvedimenti per la difesa della razza italiana», era infatti sempre considerato «di razzaebraica colui che e nato da genitori entrambi di razza ebraica, anche se appartenga a religione diversada quella ebraica». I figli di Maria Pivetti riuscirono invece a essere risparmiati dalla persecuzione,poiche sulla base dello stesso articolo «non e considerato di razza ebraica colui che e nato da genitoridi nazionalita italiana, di cui uno solo di razza ebraica, che alla data del 1º ottobre 1938-XVI, appar-teneva a religione diversa da quella ebraica».

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sangue, marchio che agli occhi dei persecutori fascisti e della legislazione daloro voluta e introdotta era incancellabile, anche attraverso il battesimo.

Saranno 12 gli ebrei modenesi che si convertiranno nel corso del solo set-tembre 1938, numero cresciuto a 69 nel gennaio del 1939, a 84 nel dicembredel 1940, sino ad arrivare a 93 nel gennaio del 1944.3

Un nuovo ghetto era stato eretto, senza mura e senza case questa volta, achiudere una breve stagione di liberta.

3 ACEMo, Abiure 1936-1942, bb. 1-5. Un terzo dei membri – il 33,8% – aveva dunque abban-donato la comunita di Modena come effetto della persecuzione razziale. Complessivamente, al 7 no-vembre del 1942 risultavano 6639 gli ebrei residenti in Italia che si erano convertiti, mentre nel no-vembre del 1938 il loro numero era assai inferiore, 1990 (quest’ultima cifra comprendeva tutti coloroche, a partire all’incirca dagli anni dell’emancipazione, avevano abbandonato in maniera piu o menoformale l’ebraismo). Sul tema si veda anche DEL REGNO 1992, pp. 62-67.

EPILOGO

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ABBREVIAZIONI ARCHIVISTICHE

Cenno istorico = AIRete, Pio luogo dei catecumeni, Titolo I, Beneficenza, filza I, Cennoistorico ovvero relazione sulla origine e sul progresso del Pio Istituto de’ Catecumeni (edi-to in BARAZZONI 1987, II, pp. 170-174, doc. n. 11, da cui si traggono le citazioni).

Capitoli et regole = ASRE, Pio luogo dei catecumeni, Capitoli et regole per la Casa de’ Ca-thecumeni di Reggio (edito in AL KALAK 2009a, pp. 477-483 da cui si traggono le cita-zioni).

Fondatio = ACAMo, Opera pia dei catecumeni, Registri, 1, «Fondatio et Erectio Opere pieCathecumenorum».

Memorie, I = ACAMo, Opera pia dei catecumeni, Registri, 3, «Memorie attinenti all’Operapia del Catecumeno».

Memorie, II = ACAMo, Opera pia dei catecumeni, Registri, 4, «Seguito delle Memorie at-tinenti all’Opera pia del Catecumeno».

Partiti 1677-1753 = AIRete, Pio luogo dei catecumeni, Origine, cass. I, filza II, pacchetto A(Registro contenente partiti e deliberazioni dell’Opera dei catecumeni di Reggio dal1677 al 1753).

Rapporto cronologico = AIRete, Pio luogo dei catecumeni, Rapporto cronologico dell’origine,progresso e stato presente del Pio luogo de’ Cattecumeni di Reggio diviso in sei parti etratto dalle autentiche scritture esistenti nell’archivio d’esso luogo pio e d’altronde procu-rate l’anno 1764 (registro manoscritto).

Una gita a Venezia = L. RAFFAELLI, Una gita a Venezia, in ACAMo, Opera pia dei catecu-meni, Registri, 8.

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Applausi poetici 1710 = Applausi poetici consecrati all’Altezza Serenissima di Rinaldo I [...]dalla Congregazione de’ catecumeni di Modena nel solenne battesimo fatto nella Chiesadi S. Carlo della detta Citta del rabbino Giuseppe Mendoli ebreo catecumeno levato alsacro fonte da Sua Altezza Serenissima col nome di Geminiano Giuseppe Ganaceti e diMose di lui figlio levato dal Serenissimo Principe di Modena col nome di Francesco Maria,Modena, Capponi, 1710.

Applausi poetici 1714 = Applausi poetici nell’occasione del solenne battesimo di GioseffoGallighi ebreo senese levato al sacro fonte dall’Altezza Serenissima di Rinaldo I, ducadi Modona, Reggio, Mirandola etc. col nome di Giuseppe Maria Renaldi, Modena, Cap-poni, 1714.

Applauso delle virtu 1707 = Applauso delle virtu fede, speranza e carita nobilmente rappre-sentato dalla Congregazione de’ catecumeni di Modana nella prima pubblica funzione delserenissimo principe Francesco Maria d’Este in occasione del solenne battesimo d’Isac Le-vi ebreo catecumeno di detta citta [...], Modena, Capponi, 1707.

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— 220 —

INDICE DEI NOMI*

Abencabif Giuseppe, 64Adamo, 141Advocati, famiglia, 98Agosti Daniela, XIII

Al Kalak Matteo, 8, 12-13, 15-16, 22, 28Albergati Francesco, 107Aldobrandini Ippolito, vedi Clemente VIIIAlessandro, catecumeno, 64Algranati Cesare (poi Rocca d’Adria), 151Allegra Luciano, VI, XI, 49, 156, 158Altimani Giovanni, 23Aman, personaggio biblico, 109Aminta Filippo, 148Amorth Luigi, 107Ancarani Pietro Maria, 33Ancini Giovanni, 32Ancini Nicola, 123Andreoni Luca, VI, XI

Angelo ebreo (poi Cristoforo), 8-9Angiolini Maria Luigia, vedi De Angeli Sapo-

rinaAnna, ebrea, 121Anna Isabella, catecumena, 33Anna Maria, catecumena, 33Annovi Giacomo, 57, 66Aprile Renato, 3Ardingo, ebreo, 1Arezzi Moise, 59, 61Arieti Stefano, 5, 99Arlotti Giovanni Battista, 72Armani Barbara, VI, IX, XI, XIII, 155-156, 158Aron Beller Katherine, VII, 4Artom Emanuele, 103

Ascoli Salomone Vita, 150Avenza Bologni Elisabetta, vedi Padovani

VenturaAveroldi Annibale, 42Avogli Teresa, 36Azzaroni Alessandro, vedi Sanguinetti SamueleAzzaroni Luigi Giuseppe, vedi Sanguinetti

Angelo

Bacchini Geminiano, 8Badini Gino, 1, 5, 81, 158, 184Baettini Gioconda, 33Balboni Maria Pia, 1Baldigiani Giovanni Maria, 24Balletti Andrea, V, 1-3, 5-6, 13, 15, 17, 32, 72-

73, 77, 99, 103Balsamo Luigi, 105Balugola Coccapani, 51Baracchi Orianna, 1, 39Baraldi Giuseppe, 147-148, 165-167Barazzoni Paola, 12, 37, 123, 187Barberini Lucrezia, 24, 39, 53Bassoli Ferdinando, 123, 126Battaglini Mario, 103Bazzani Eleonora, 40Beltrami Antonio, 32Benatti Geminiano, 1, 187Benedetti Francesco Maria, vedi Levi IsacBenedetto XIV (Prospero Lambertini), papa,

XIII, 94, 135-136Berengo Marino, 103, 113Bergonzoni Daniela, 1Bernardi Jacopo, VI

* I convertiti sono stati censiti, dove possibile, sotto il nome precedente al battesimo, riportandotra parentesi la denominazione assunta in seguito. Non sono stati indicizzati i nomi di persona riferitia legati, opere pie, leggi (ad es. legato Barberini, Opera pia Calori, legge Crispi, ecc.), ne i riferimentigenerici alla Casa d’Este.

— 221 —

Bernardini Paolo L., VI, IX, 103, 113Bernardino da Feltre, vedi Tomitano Bernar-

dinoBerry, duchessa di, 149Bertuzzi Giordano, 104, 112Bettogli Andrea, 56Biagio, canonico di S. Agostino, 3Biondi Albano, VII, 1, 3-4, 6, 19-20Biondi Grazia, 24Biraghi Luigi, 150Boccacci Maria Caterina, 33Bolognini Anna Teresa, 95Bona, ebrea, 120Bonaparte Napoleone, vedi Napoleone impe-

ratoreBondı Corinaldi Abram, 104Bondı Corinaldi, famiglia, 105, 203Bondi Giuseppe (poi Francesco), 62-63Bondi Michele, 62Bondoni Simonetta, 1Bonezzi Caterina, 33Bonfil Roberto, 3Bonilauri Franco, 1Bonini Luigi, 123Borriani Andrea, 58Boschetti Maria Giovanna, vedi Rabeni AllegraBoschetti Paolo, 19-20Bosi Giovanni Battista, 32Bovara Giovanni, 114, 116, 119-120Bresciani Antonio, 147Bressan Edoardo, 113Brisi Alessandro, 164Brisi Angelo, 14Brisi Jacob, 13-14Brisi Serena, 13-14Brizzi Gian Paolo, 112Brunswick Benedetta di, duchessa, 52Brunswick Carlotta Felicita di, duchessa, 51Buosi Scolastica, 33Buscemi Francesco, XIII

Busi Giulio, 1

Cabrietti, famiglia, 32Caffiero Marina, V, IX, XI-XIII, 3, 48-49, 67,

81, 156Calabi Donatella, 5Calabresi Griselda (poi Maria Angiola), 170,

172Caleffi Adeodato, vescovo, 157Calio Tommaso, 3Calori Annibale, 17, 19-20Calori Giovanni Battista, 17Calori Grassetti Isabella, 51

Calori Raffaele, 17Calvi Giulia, VIII

Cambi Bartolomeo, frate, 4Camerini Abram, 133-134Camerini Grazia (poi Anna Cristiani), 130,

133-134Camerini Sanson, 67Camilli Paola Teresa, 36Camoncoli Domenico, 80Campanini Saverio, VI, 47, 49Campobianco Maria Giuseppe, vedi Modena

RosaCampobianco Maria Luigia, vedi Modena

GiuliaCaniatti Giovanna, 1Canosa Romano, VII

Canova Luigi, 196Cantoni David, 61Cantoni Isaia, 63Cantoni Venturina (poi Beatrice Pisi), 159-

160Capece Minutolo Antonio, principe di Cano-

sa, 147-148Capello Alberto, 9Cappella Francesca, XIII

Capponi Antonio, 43, 50Capra Carlo, 111Carafa Gian Pietro, vedi Paolo IVCaramunta, turco convertito (poi Giovanni

Rosa), 65Carmi Jacob, 120, 139Casarini Fausta, 12, 28Casellini Isabetta, 33Casini Tommaso, 105Casoli Pier Biagio, 140Castelfranco Amadio, 136Castelvetri Giovanni Maria, vescovo, 78Castelvetri Molza Caterina, 51-53Castiglioni Francesco Saverio, cardinale, 166-

167Catalan Tullia, VI, XI, 103, 113, 155, 161Cattaneo Mario A., 103Cattani Filippo, vescovo, 139, 157Caterina, domestica, 138-139Cattini Giovanni, 33Cauli Nicolo, 55Cavallerini Benedetta Maria Ernestina, vedi

Molco AbigailCavazzuti Cristoforo, 57Cavina Marco, 81, 178Ceci Pellegrino, 17, 56-57, 83-91, 93, 95, 99Celesti Carlo, vedi Rava ErcoleCelesti Maria Teresa, vedi Rava Emilia

INDICE DEI NOMI

— 222 —

Cesari Francesco Cesare, 89Cesari, famiglia, 98Cevidali, catecumeno, 73Cevidalli Ester, 77Chabot, generale, 103Cherubini Arnaldo, 186Chiappini Luciano, 13Chiaramonti Barnaba Niccolo, vedi Pio VIICignani Francesco, 16Cimicelli Codebo Erminia, 51Cimicelli Forni Giulia, 51Cividalli Abram Joel, 113Cividalli Isach (poi Pietro Sori), 113, 159Cividalli Sara, 159Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini), papa, 4Clemente XIII (Carlo della Torre di Rezzoni-

co), papa, 78Coccapani Paolo, vescovo, 37-38Codebo Isabella, 17Codeluppi Francesco, 48Coen Emma, 199-201Colletta Claudia, VI

Colombini Bartolomeo, 59, 80Colorni Vittore, 107Compagnoni Giuseppe, 107Contardi Francesco, vedi Sanguinetti LazzaroContri Valentino, 111Coratti Carolina, vedi Formiggini BenedettaCorradi Giovanni, 42, 52Cortese Tiburzio, vescovo, 114, 119, 157Costantini Anna, 150Cristiani Anna, vedi Camerini GraziaCrivello Francesco, 8Croce Giuseppe Maria, 114, 122, 154Cugini Emilio, vescovo, 157

D’Antonio Emanuele, XI

Da Como Ugo, 105Dahl Jose David Lebovitch, 148Dazzetti Stefania, 183De Angeli Deborah, 133De Angeli Elia Laudadio, 73-74De Angeli Giacobbe, 131De Angeli Isacco, padre di Elia Laudadio, 74De Angeli Isach, fratello di Saporina, 133De Angeli Saporina (poi Maria Luigia Angio-

lini), 130, 133De Caro Gaspare, 19De Felice Renzo, 103, 110, 112De Le Roi Johannes Friedrich Alexander, XI

De Vergottini Giovanni, 107Dei Francesco, XIII

Del Regno Filomena, XI, 206

Del Sole Ermellina (poi Teresa Eletti), 168,170-171, 179-180

Della Pergola Sergio, 103Deutz Simon (poi de Gonzaga Giacinto), 149Diamante, catecumena, 33Dieghi Marietta, vedi Modena EmiliaDieghi Teresa, vedi Modena RosaliaDiena David, 136Diena Raffaele, 34Diena Samuele (poi Giovanni Valeri), 130,

136-137, 164Donabella ebrea, 9Drach David, 149Draghi Sacchelli Grazia, 13

Elena Cristiana, convertita, 89Eletti Teresa, vedi Del Sole ErmellinaErcolani Boschetti Settimia, 51-52Este Alfonso III d’, duca (poi frate Giambat-

tista d’Este), 13, 15-16, 19, 27, 61Este Amalia Benedetta d’, 52Este Benedetta d’, 93Este Borso d’, duca, 2Este Eleonora, vedi Venosa EleonoraEste Ercole I d’, duca, 2Este Ercole III d’, duca, 37, 81, 102, 104,

108, 131, 203Este Francesco I d’, duca, 13, 15-16, 24, 39Este Francesco II d’, duca, 33Este Francesco III (Francesco Maria) d’, du-

ca, 70, 78, 83, 104, 105Este Francesco IV d’, duca, 113, 122, 126,

128, 130-132, 134, 137, 140, 147-148,154, 158, 168

Este Francesco V d’, duca, 139, 154, 158,177, 181

Este Francesco Maria d’, vescovo, 104, 157Este Luigi d’, 15Este Maria Beatrice d’, 172, 174Este Maria Benedetta d’, 52Este Obizzo d’, 13Este Rinaldo I d’, duca, 39, 61, 69, 90Estense Tassoni Ippolito, 16

Fabbrici Gabriele, 1, 39Fabre Pierre-Antoine, VIII

Falco Mario, 202Falconieri Lelio, cardinale, 33Falloppia Giovanni, 9Fano Clelia, 158Fano Giuditta, 157Fano Raffaele, 157Fano Regina, 160

— 223 —

INDICE DEI NOMI

Fantoni Nada, 148Farini Carlo Luigi, 175-176Farnese Alessandro, vedi Paolo IIIFarrel Vinay Giovanna, 186Fava Ghislieri Nicolo, 107Favalotto Paolo, 17Fedeli Giovanna Maria Luigia, vedi Osimo

VenturinaFerraboschi Alberto, 188Ferraresi Benedetto, 52Ferraresi-Sacerdoti, famiglia, 95Ferrari Cassoli Doralice, 13Ferrari Giacomo, 57Ferrari Luigi, 157Ferrari Santo, 64Ficarellli Angelo M., vescovo, 157Finzi Canania (poi Giovanni Francesco), 61Finzi Eva, 70Finzi Leopoldo, 140Finzi Riccardo, 1Finzi, famiglia, 77Fiorani Luigi, V

Fiorella Arcangela, VI, 47, 49Foa Anna, XII, 3, 7, 50, 67, 93, 100Foa Guardamano, 75Foa Moise Beniamino, 105Foa Rachele, 33Foa Salvatore, 105Foa Sara, 75Fogliani Stefano, vescovo, 43, 52Fontana Pietro Gioseffo, 33Fontanella Venturina (poi Giovanna Giardi-

ni), 129Fontanelli Camilla, 34Formiggini Anna, 171Formiggini Benedetta (poi Carolina Coratti),

170, 175-179, 181Formiggini Benedetto, figlio di Salomone,

156, 164-168Formiggini Benedetto, padre di Moise, 105Formiggini Celeste, 192Formiggini Chiara, 164Formiggini Elettra, 192Formiggini Felice, 164Formiggini Grazia, 154Formiggini Laudadio (poi Giuseppe Pace),

121, 165Formiggini Luigi Raffaello, 112, 121Formiggini Moise, 105, 112, 121, 164Formiggini Salomone, 121-122, 164Formiggini, famiglia, 6, 164Formigine Benedetta (poi Caterina Benedet-

ta), 52

Formigine Lustro, 52Formigine Pellegrino, 52Formigine Rachele (poi Anna Benedetta Sa-

doleto), 52Forti Abram, 157Forti Raffaele, 157Forti Salomone, 119Fortunati Anna Teresa, 33Fortunati Anna, 33Fortunati Francesco, 33Fortunati Giovanni Federico, 35Fortunati, famiglia, 98Fossati Antonio, 198Francesca Emilia, catecumena, 34Francesconi Federica, VII, 1, 5-6, 89-90, 99,

105Frattarelli Fischer Lucia, VI

Fregni Euride, 1, 7Fua Allegra, 196Fumagalli Elena, 13

Gabbi Benedetto, 34Gabiglio Giuseppe, 64Galasso Cristina, 50Gallighi Giuseppe (poi Giuseppe Maria Re-

naldi), 62, 69Galloni Silvestro, 42Gambarelli Augusto, XIII, 104Ganaceti Amelia Benedetta, vedi Mendoli Be-

nedettaGanaceti Geminiano, vedi Mendoli GiuseppeGanaceti Maria Benedetta, vedi Rava EsterGanaceti, famiglia, 95Gazzoli Giuseppe, 123Geminiani Francesco, vedi Sabaa BeehetGesu Cristo, 4, 68, 86, 146, 150, 168, 172Ghaon Abramo, 62Ghelfi Clara, 1, 39Giacomo da Ceva, frate, 3Giambattista d’Este, frate, vedi Este Alfonso

IIIGiardini Anna Maria, vedi Rava MariannaGiardini Giovanna, vedi Fontanella Venturi-

naGiglioli Francesco Maria, 34Giovanni Battista, santo, 68, 146Giuseppe N., ebreo toscano, 62Giuseppe, catecumeno veneziano, 62Giuseppe, marito di Maria Fortunata Rivalta,

96Giusti Giuseppe, 115Goldstein Beniamino, XIII

Gondi Ottavio, 12

INDICE DEI NOMI

— 224 —

Gonzaga Alessandro, 15Gonzaga Giacinto de, vedi Deutz SimonGonzaga Vincenzo, duca, 4Grana Daniela, 10, 90Graziosa, ebrea, 9Grisanti Benedetto, 115Grisulfi Benedetta, vedi Urbini BenedettaGrisulfi Teresa Maria Maddalena Elisabetta,

vedi Monselici RacheleGroppi Angela, 24Guerra, falegname, 92Gunzberg Lynn A., 148

Helfand Jonathan, 150Horowitz Elliott, 5

Ignazio di Loyola, santo, 7, 48Ioab, catecumeno, 62Ioly Zorattini Pietro, VI, 48-49, 96

Jabalot Ferdinando, 148

Kalman Julie, 149

La Boulaye, tenente, 75Lambertini Prospero, vedi Benedetto XIVLamennais Hugues-Felicite Robert de, 147Lang Ariella, XI, 149, 151Lannarino Maria Eleonora, vedi Norsa SaraLanzi Sigismondo, 90Lanzi, famiglia, 98Lanzo Teresa di, marchesa, 33Lanzoni Adele, vedi Moroni PamelaLaras Giuseppe, 113Lattes Alessandro, 177Lattes Andrea Yaakov, VII

Lazzarelli Mauro Alessandro, 39Lecchini Roberto, 13Lenghi Dolce, 105Leone XIII (Vincenzo Gioacchino Pecci), pa-

pa 170Leoni Aron di Leone, 2Leoni Paolo, VII

Leopardi Monaldo, 148Lepre Stefano, XI, 164Levi Angelo, 112Levi (poi Carrara), famiglia, 95Levi Benedetto Girolamo, 156Levi Bona, 29, 72Levi Carlo, 190-191Levi D’Ancona Luisa, 1, 5, 164Levi Duraccio Abramo, 150Levi Ester, 61

Levi Giuseppe, 73Levi Grazia, 105Levi Isac (poi Francesco Maria Benedetti), 70Levi Isacco, 112Levi Lazzaro, 76Levi Marco, 76Levi Minzi Angelo, 160Levi Orsi Grazia, 92Levi Orsi Leone Mose, 92Levi Raffaele, 67, 76Levi Venturina, 119Levy Gumpel (poi Ignace Xavier Morel), 149Ligia, ebreo, 33Lucci Diego, 107Luigi, catecumeno, 33Lustro-Formiggini (poi Sadoleto), famiglia, 95Luzzati Michele, 2, 50Luzzatti Isacco Salomone (poi Amedeo Tere-

sio Maria Valperga), 151Luzzatto Voghera Gadi, 148

Maifreda Germano, 105Malena Adelisa, VIII

Mandredini Antonio, 11Manfredi Anna Deodata, 33Manfredi Lucia, 33Mangio Carlo, 113Manicardi Giuseppe Maria, 34Manini Giovanni, 42Manni Graziano, 147-148Mantovani David, 75-76Mantovani Franco, 123Manzoli Alberto, frate, 9Marach Ines Miriam, 187Marcocci Giuseppe, XIII

Marconcini Samuela, VI, 48, 114Marini Lino, 7, 37Marsciani Maria Teresa, 51Martelli, gesuita, 62Martini Angelo, 130Marzola Mario, VII

Masdoni Ludovico, vescovo, 22, 43, 50, 52Masdoni, conti, 31Masina Annamaria, 1Masotti Lucia, 113Maugeri Vincenza, 1Mazur Peter, 7Melzi d’Eril Francesco, 114Mendez Daniele, 65Mendez Regina, 92Mendoli Benedetta (poi Amelia Benedetta

Ganaceti), 52

16— 225 —

INDICE DEI NOMI

Mendoli Giuseppe (poi Geminiano Ganace-ti), 52, 58, 62

Menozzi Daniele, XIII, 107, 170Metternich Klemens von, 148Micheli Antonia, 36Micheli Giuseppe Antonio de’, 74-75Milano Attilio, V, XI, 2, 7, 93, 154Miniati Monica, 164Mirandola Giulio, 10Modena Abramo (poi Giuseppe Palingeni),

161Modena Celeste, 157Modena Emilia (poi Marietta Dieghi), 171, 193-

194Modena Fortunata, 189Modena Giuditta, 171, 193Modena Giulia (poi Maria Luigia Campo-

bianco), 161Modena Giuseppe, 171Modena Jenny, 188Modena Luisa, 5, 7Modena Mayer Maria, 7Modena Ottavio, 157Modena Prospero, 157Modena Regina (poi Clotilde), 170, 174-175Modena Rosa (poi Maria Giuseppa Campo-

bianco), 194Modena Rosa (poi Maria Pellegrini), 192Modena Rosalia (poi Teresa Dieghi), 171, 194Molco Abigail (poi Benedetta Maria Ernesti-

na Cavallerini), 92-93Molco Israel, 92Molco Nathan, 92Molco Samuel, 92Molza Carlo, vescovo, 22Molza Guido (sec. XVI), 9Molza Guido (sec. XVII), 51Mongardini Giovanni Andrea, 42Monselici Desiderio, 53Monselici Rachele (poi Teresa Maria Madda-

lena Elisabetta Grisulfi), 52-53Montecchi Giorgio, 105Montefiore Moses, 139Morandi Prospero, 34Moravia Venturina, 137Morel Ignace Xavier, vedi Levy GumpelMoreni Giuseppe, 90Mores Francesco, XIII

Moroni Abram, 137Moroni Pamela (poi Adele Lanzoni), 130,

137, 139, 164Moroni, famiglia, 138, 140Mose, profeta, 110

Muratori Lodovico Antonio, 1Muzzarelli Maria Giuseppina, 3

Nani Michele, XIII

Napoleone, imperatore, 105, 115Natali Giovanni, 107Neppi Consola, 131Niccolo V (Tommaso Parentucelli), papa, 2Norgi Natal, 34Norsa David, 151Norsa Sara (poi Maria Eleonora Lannarino),

113Norsa Zeffira, 122Norsa, famiglia, 6Norsi Daniele, 61, 64Norsi Laudadio, 62

O’Malley John W., 7Olivetti Michele, 64Olivetti Simone, 64Orlandi Giuseppe, 24, 114Orselli, famiglia, 32Osimo Angelo Samuele, 76Osimo Jacob, 76Osimo Leon, 76Osimo Venturina (poi Giovanna Maria Lui-

gia Fedeli), 121Ottoboni Pietro, cardinale, 73

Pacca Bartolomeo, cardinale, 132Pacchioni Carlo, 93Pace Giuseppe, vedi Formiggini LaudadioPadoa Beniamino Amedeo, 112Padoa Lazzaro, 1, 103, 104, 107, 109-111Padova Moise, 156Padovani Ventura (poi Elisabetta Avenza Bo-

lognini), 91Palingeni Giuseppe, vedi Modena AbramoPandolfini Pandolfo, 72Paolo III (Alessandro Farnese), papa, 143Paolo IV (Gian Pietro Carafa), papa, 4Papouchado Fulvio Diego, 1Parentucelli Tommaso, vedi Niccolo VParigi Giulia, 123Parisetti Caterina, 34Parisetti Elisabetta, 34, 36Parisetti Orazio, 32Parisetti Paolo, 32Parisetti Rosa, 34Parisetti, conti, 32Pastore Alessandro, X, 7Pazzani Tommaso, 9Pecci Vincenzo Gioacchino, vedi Leone XIII

INDICE DEI NOMI

— 226 —

Pederzani Ivana, 114Pediani Giovanni Paolo, 33Pedrazzi Antonio, 22Pellegrini Maria, vedi Modena RosaPerani Mauro, XIII, 1, 5Perugia Crema Alda, 76Peyronel Rambaldi Susanna, 10Pini Angelo, 12Pio VII (Barnaba Niccolo Chiaramonti), pa-

pa, 132, 150Pisi Beatrice, vedi Cantoni VenturinaPivetti Maria, vedi Uzielli SaraPivetti Napoleone, 189Poggi Gavardi Camilla, 70Pongiluppi Lorenzo, XIII

Ponziani Daniel, XIII

Prati Michelangelo, 33Pratonieri Anna, 32, 37Prosperi Adriano, VIII, 2-5, 67

Quazza Romolo, 13

Rabeni Abram, padre di Allegra, 51Rabeni Abramo, 72Rabeni Allegra (poi Maria Giovanna Boschet-

ti), 51Rabeni Jacob, 80Rabeni Lazzaro, 78-80, 82-83Raffaelli Ludovico, 168, 171-173, 176, 178-

181, 192-193, 196-197, 198Raffaelli Pietro, vescovo, 157Ramazzini Bernardino, 109Rangoni Fulvio, 8Rangoni Giulia Orsina, 9Rangoni Ludovica, 10Rangoni, famiglia, 10Rao Anna Maria, 103, 110Ratisbonne Alphonse de, 150Rava Bianca, 189Rava Emilia (poi Maria Teresa Celesti), 170,

172-174, 176Rava Ercole (poi Carlo Celesti), 174, 194Rava Ester (poi Maria Benedetta Ganaceti),

52Rava Giuseppe, 174, 194Rava Isaac (poi Angelo Maria Salis), 34Rava Marianna (poi Anna Maria Giardini), 113Rava Mario, 189Rava Roberto, 189, 199, 201-202Rava Vittoria, 174, 194-195Reggiani Francesco, 53Reggianini Luigi, vescovo, 140, 146-148, 168Renaldi Giuseppe Maria, vedi Gallighi Giu-

seppe

Renati Giovanni Andrea, 96Renati Ignazio Candido, vedi Sanguinetti Si-

moneRezzonico Carlo, vedi Clemente XIIIRicci Ludovico, 108Righetti Isabella, 33Rimini Faustina, 187Rinaldi Caterina, 40Rioli Maria Chiara, XIII

Rivalta Maria Fortunata, 96Rivlin Bracha, 5Rocca d’Adria, vedi Algranati CesareRocciolo Domenico, V, XI

Romani Domenica, 75Rosa Giovanni, vedi CaramuntaRosa Mario, XIII, 94Rosmini Antonio, 147Rosselli (Ruscelli) Isabella, 33Rothschild Salomon Mayer, 139Rovighi Lazzaro, 119Rovigo, famiglia, 6Rudt de Collenberg Wipertus Hugo, V, 96Ruffini Flaminio, 31Rusca Francesco Domenico, 103Ruscelli Giacomo, 33Russo Giuseppe, 140, 147

Sabaa Beehet (poi Francesco Geminiani), 124Sabbatelli Giacomo V., 3Sabbatini Giuliano, vescovo, 96Sacerdoti Angelo, 154Sacerdoti Benedetta, 61Sacerdoti Benedetto, 79Sacerdoti Camillo, 199-200Sacerdoti Emanuele, 112Sacerdoti Gaetano Francesco Maria, 40Sacerdoti Gentile, 52Sacerdoti Moise, padre di Gaetano Francesco

Maria, 40Sacerdoti Mose, padre di Smeralda, 52Sacerdoti Noe, 72Sacerdoti Ricca, 164Sacerdoti Smeralda (poi Benedetta Maria

Maddalena), 52Sacerdoti, famiglia, 6Sadoleto Anna Benedetta, vedi Formigine Ra-

cheleSala Vittoria, 135Salis Angelo Maria, vedi Rava IsaacSaltini Antonio, 78Salvadori Roberto G., XI, 113, 155, 161Salvatori Giovanni Battista, vedi Sanguinetti

Lazzaro

— 227 —

INDICE DEI NOMI

Sanguinetti Angelo (poi Luigi Giuseppe Az-zaroni), 130, 135-137, 165, 197

Sanguinetti Anna, 72Sanguinetti Bonaiuto, 181Sanguinetti Bonaventura, 74-75Sanguinetti Fortunata, 181Sanguinetti Giuseppe, 34Sanguinetti Grazia, 74-75Sanguinetti Lazzaro (poi Francesco Contar-

di), 34Sanguinetti Lazzaro (poi Giovanni Battista

Salvatori), 102, 203Sanguinetti Michele, 73Sanguinetti Samuele (poi Alessandro Azzaro-

ni), 136, 197Sanguinetti Sansone, 156Sanguinetti Simone (poi Ignazio Candido Re-

nati), 73Sanguinetti, famiglia, 6, 135Santo, custode, 58Sara, catecumena, 33Sarti Raffaella, VI

Sassoli Francesco, 95Scajoli Alberto, 12, 17, 27, 31Scapinelli, conte, 138Schiedati Giuseppe, 115Segre Renata, 2, 4Senigallia Armellina, 77Senigallia Guglielmo, 76-77Serpini Camillo, 35Siegmud Stephanie, 5Signoretti Marcello, 61Signorotto Gianvittorio, 13Simeone, personaggio biblico, 68Simonino di Trento, 3Sindona Gaetano, 92Soli Gusmano, 40, 46-47Soliani Bona, 63Sonnino Elia, 77-78, 81-82Sorda, ebrea, 8Sori Pietro, vedi Cividalli IsachSpaccini Annibale, 10-11Spaccini Giovanni Battista, 4Spaggiari Angelo, VII

Spaggiari Milo, XIII, 73, 97-98Stefani Giovanni, 66Stefani Piero, XIII, 2Susannis Marquardus de, 109Symcox Geoffrey, 103Szajkowski Zosa, 149

Tacchi Venturi Pietro, 7Tadolini Luca, 110

Taparelli d’Azeglio Cesare, 147Tedesca Brunetta, 76Tedeschi Abram, 83, 85-89Tedeschi Giuseppe Isaia, 85-88Tedeschi John, VIII

Tedeschi Rosa Rachele, 85Tedeschi Sabbatino Emanuele, 85Tedeschi Sara, 85Tedeschi Venturina, 85-89Tedeschi, famiglia, 88Teglio Leon Vita, 119Teglio Sansone, 181Testi di Marsciano Anna Maria Silvia, 51Tiraboschi Girolamo, 43Toaff Ariel, 3Todesco Andrea, 3Tollari Adriano, XIII

Tomitano Bernardino, frate, 3Torresan Sara, XIII

Toschi Giovanni Battista, 52-53Toschi Orazio, 186Trebelli Ernesta Maria, 189Turiel Alfredo, 103Turri Giuseppe, 185Turri Pellegrino, 123

Ugoletti Luca, 39-40, 42, 54-56, 58, 71, 95Ugoletti Pellegrino, 40, 42Urbini Benedetta (poi Benedetta Grisulfi), 52-53Urbini Giuditta, 91Urbini Vitta, 52Usigli Leone, 93Usigli (Usiglio), famiglia, 6, 93Usiglio Giuseppe, 176Uzielli Sara (poi Maria Pivetti) 189, 205

Vaccari Davoli Luigia, 89Valdrighi Luigi Francesco, 11, 56Valentini Giambattista, 11Valentini Maria Caterina, 33Valeri Giovanni, vedi Diena SamueleVallotta Gaudenzio, 80Valperga Amedeo Teresio Maria, vedi Luz-

zatti Isacco SalomoneVeca Ignazio, XIII

Vecchi Pietro, 58Venosa Eleonora d’Este di, 21Venosa Ludovico, 21Ventura Gioacchino, 147Venturini Maria Benedetta, 52Verona Regina, 51Vezzani Giuseppe, 34Vezzani Maria, 77

INDICE DEI NOMI

— 228 —

Vienna Abramo, 156Vienna Benedetta, 120Vigevani Bice, 202Vigevani Emanuele, 64Vigevani Moise, 64Visdomini Sisto, vescovo, 9Vita Giuseppe, 65Vitali Abramo Leone, 62Vittorio Emanuele II, re, 175, 186Vivanti Mordechai (poi Angelo), 63Vogheni Samuele, 32-33

Weinstein Roni, XIII

Zaccaria, padre di san Giovanni Battista, 68Zaghi Carlo, 107Zambonelli Antonio, 5Zampalocchi Stefano, canonico, 57Zampalocchi Stefano, della congregazione di

S. Carlo, 20Zanardo Andrea, VII, 17, 20-22, 24, 39Zanelletti Aurelio, 31Zanelletti Valerio, 31Zanichelli Francesca, 33Zannoni Enrica, XIII

Zucchi Enrico, VI, XI, 114, 155Zucchini Mario, 112

— 229 —

INDICE DEI NOMI

INDICE

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. V

Sigle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » XV

Capitolo I – All’origine dell’attivita conversionistica . . . . . . . . . » 1

Capitolo II – Il consolidamento delle Opere per catecumeni . . . . » 27

Capitolo III – I convertiti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 71

Capitolo IV – Rivoluzioni e restaurazioni . . . . . . . . . . . . . . . . » 101

Capitolo V – Conversioni al tramonto . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 153

Epilogo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 205

Abbreviazioni archivistiche e bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . » 207

Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 221

— 231 —

CITTA DI CASTELLO . PG

FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI GIUGNO 2013