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GIF II, n.s. 2011 LE POENAE DEL PERFIDUS. ENEA TRA NAUFRAGIO E PATERNITÀ MANCATA (OVIDIO, HER. 7) Calato il sipario sul suicidio della regina di Cartagine, infelice e dolente protagonista di una tragedia di amore e morte, Ovidio prova a riscriverne la sceneggiatura nelle Eroidi 1 . Fedele ai criteri di originalità elaborati dalla cultura classica, egli non inventa storie nuove, ma da’ prova della sua abilità nel “rimettere in una cornice singolare, inattesa, una quantità di storie già note” 2 aprendo nuovi orizzonti a vicende mitiche famose riproposte secondo i moduli espressivi e i valori del patrimonio tradizionale dell’elegia 3 . Confer- mando il disinteresse degli antichi per l’effetto sorpresa legato al “come andrà a finire”, il poeta di Sulmona anticipa già nel primo verso l’esito finale della vicenda siglando il destino di morte del personaggio nel participio futuro moritura 4 . Nella Didone virgiliana la decisione di darsi la morte era maturata tragicamente quale unica, possibile soluzione dopo il fallimento dei reiterati tentativi di per- suadere il pius Aeneas ad anteporre le ragioni dell’amore agli iussa deum, dopo il naufragio di tutti i sogni e di tutte le aspettative della regina tradita e abbandonata e, soprattutto, dopo il crollo di quell’illusione del coniugium che avrebbe conferito parvenza di le- gittimità alla relazione inhonesta con il novus hospes. 1 Sul fitto dialogo intertestuale tra la riscrittura ovidiana in chiave elegiaca e il mo- dello virgiliano, cfr. Means 1929; Döpp 1968, 17-55; Anderson 1973, 49-67; Jacobson 1974, 76-93; Michel 1976; Gross 1978-79; Adamietz 1984; Steinmetz 1987, 128-145; De- smond 1993; Voit 1994; Kuhlmann 2003; Miller 2004; Habermehl 2006; Piazzi 2007. 2 Cfr. Bettini 1989, 17. 3 Come ha di recente messo in rilievo la Piazzi (2007, 73), la predilezione ovidiana per il ‘raccontare variando le medesime storie’ trova icastica rappresentazione nel perso- naggio di Ulisse, che narra piú e piú volte alla ninfa Calipso la caduta di Troia (ars 2, 128 ille referre aliter saepe solebat idem). Per una riflessione piú ampia su questa peculiarità della poetica ovidiana si rinvia a Galinsky 1975, speciatim 44 e 219-222. 4 her. 7, a-b Accipe, Dardanide, moriturae carmen Elissae; / quae legis, a nobis ultima verba legis, cfr., anche, 7, 1-2 Sic ubi fata vocant, udis abiectus in herbis / ad vada Maeandri concinit albus olor; e 7,181 Si minus, est animus nobis effundere vitam. Anche questo participio è, come è noto, un virgilianismo (Aen. 4, 308 Nec moritura tenet crudeli funere Dido?). Sulla complessa questione dell’autenticità del distico iniziale dell’Eroide si rinvia a Piazzi 2007, 113-115 e ai riferimenti bibliografici ivi citati. Brescia.pmd 26/05/2011, 15.05 1

Le poenae del perfidus. Enea tra naufragio e paternità mancata (Ovidio, Heroides, 7)

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1TEXTUAL PROBLEMS IN LATIN POETRY OF THE GOLDEN AGE

GIF II, n.s. 2011

LE POENAE DEL PERFIDUS.ENEA TRA NAUFRAGIO E PATERNITÀ MANCATA

(OVIDIO, HER. 7)

Calato il sipario sul suicidio della regina di Cartagine, infelicee dolente protagonista di una tragedia di amore e morte, Ovidioprova a riscriverne la sceneggiatura nelle Eroidi 1. Fedele ai criteridi originalità elaborati dalla cultura classica, egli non inventa storienuove, ma da’ prova della sua abilità nel “rimettere in una cornicesingolare, inattesa, una quantità di storie già note” 2 aprendo nuoviorizzonti a vicende mitiche famose riproposte secondo i moduliespressivi e i valori del patrimonio tradizionale dell’elegia 3. Confer-mando il disinteresse degli antichi per l’effetto sorpresa legato al“come andrà a finire”, il poeta di Sulmona anticipa già nel primoverso l’esito finale della vicenda siglando il destino di morte delpersonaggio nel participio futuro moritura 4. Nella Didone virgilianala decisione di darsi la morte era maturata tragicamente quale unica,possibile soluzione dopo il fallimento dei reiterati tentativi di per-suadere il pius Aeneas ad anteporre le ragioni dell’amore agli iussadeum, dopo il naufragio di tutti i sogni e di tutte le aspettativedella regina tradita e abbandonata e, soprattutto, dopo il crollo diquell’illusione del coniugium che avrebbe conferito parvenza di le-gittimità alla relazione inhonesta con il novus hospes.

1 Sul fitto dialogo intertestuale tra la riscrittura ovidiana in chiave elegiaca e il mo-dello virgiliano, cfr. Means 1929; Döpp 1968, 17-55; Anderson 1973, 49-67; Jacobson1974, 76-93; Michel 1976; Gross 1978-79; Adamietz 1984; Steinmetz 1987, 128-145; De-smond 1993; Voit 1994; Kuhlmann 2003; Miller 2004; Habermehl 2006; Piazzi 2007.

2 Cfr. Bettini 1989, 17.3 Come ha di recente messo in rilievo la Piazzi (2007, 73), la predilezione ovidiana

per il ‘raccontare variando le medesime storie’ trova icastica rappresentazione nel perso-naggio di Ulisse, che narra piú e piú volte alla ninfa Calipso la caduta di Troia (ars 2,128 ille referre aliter saepe solebat idem). Per una riflessione piú ampia su questa peculiaritàdella poetica ovidiana si rinvia a Galinsky 1975, speciatim 44 e 219-222.

4 her. 7, a-b Accipe, Dardanide, moriturae carmen Elissae; / quae legis, a nobis ultima verbalegis, cfr., anche, 7, 1-2 Sic ubi fata vocant, udis abiectus in herbis / ad vada Maeandri concinitalbus olor; e 7,181 Si minus, est animus nobis effundere vitam. Anche questo participio è,come è noto, un virgilianismo (Aen. 4, 308 Nec moritura tenet crudeli funere Dido?). Sullacomplessa questione dell’autenticità del distico iniziale dell’Eroide si rinvia a Piazzi 2007,113-115 e ai riferimenti bibliografici ivi citati.

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2 G. BRESCIA

Nella rilettura ovidiana della Didonis fabula non c’è piú tracciadel tormento interiore che aveva condotto l’eroina virgiliana dalturbamento della confessione del sentimento amoroso alla pienezzadella passione, ai dubbi, ai sospetti e, infine, dopo il discidium de-terminato dalla partenza dell’eroe troiano, alla tragica decisione delsuicidio quale unico possibile “risarcimento” per la perdita dellapudicitia e di quella fama per cui saliva alle stelle 5.

Nell’Eroide il destino di morte che accompagna il personaggiosin dal suo ingresso sulla scena risulta svuotato di pateticità 6: ladichiarazione di morte imminente è sottesa dall’intento persuasivoche orienta la riscrittura ovidiana e maschera il reale tentativo didissuadere Enea dal proposito della partenza ricorrendo anche al-l’ipotesi del suicidio come “elemento ricattatorio” 7. Il vero obiettivodella missiva di Didone è quello di convincere l’amato a non ab-bandonarla: in questo nuovo orizzonte di scrittura giungono ormaideboli echi della concezione virgiliana del mondo, di quei dueuniversi di valori destinati ad entrare in tragico contatto e contra-sto tra di loro 8; non c’è piú spazio per la missione divina, per gliiussa deum o per l’odio eterno tra i due popoli: qui non c’è piútraccia di Enea, della sua pietas, delle sue ragioni, di cui si colgonosolo pallidi ricordi 9. In scena resta solo Didone, che ha perso ilsuo statuto di regina per rivestire semplicemente i panni di unadonna innamorata e abbandonata 10, intenzionata a mettere in cam-po tutte le armi a sua disposizione per tentare di raggiungere il

5 Cfr. Verg. Aen. 4, 321-323 te propter eundem / extinctus pudor et, qua sola sidera adi-bam, / fama prior.

6 In realtà, come fa notare la Piazzi (2007, 188-189), “mentre la Didone virgilianamatura a poco a poco la consapevolezza dell’inevitabilità del suicidio, il personaggio ovi-diano sembra essere fin dall’inizio sicuro della propria morte imminente, o meglio, inten-de cosí presentarsi agli occhi di Enea, dal momento che in realtà l’epistola mira piú atrattenere l’amato con un estremo tentativo che ad annunciargli il suicidio”.

7 Cfr. Piazzi 2007, 20, n. 25: “il tono fortemente suasorio e retoricamente atteggiatodell’epistola fa pensare che la minaccia del suicidio sia introdotta soprattutto come ele-mento ricattatorio nei riguardi di Enea dal momento che il vero obiettivo della missiva èquello di convincere l’amato a restare”. Si tratta di aspetti già rilevati da Barchiesi 1987,90: “la decisione di morire maschera, con ostentazione, il reale tentativo di convincere ericonquistare Enea”.

8 Cfr., sull’argomento, Conte 2002, 91 sgg.; 136 sgg.; Piazzi 2007, 21. Del lessico edei topoi adottati da Didone sia in riferimento a se stessa che a Enea come spia di questoprocesso di reinterpretazione della fabula in chiave elegiaca, mi sono occupata in un mioarticolo (2001, 220-228) cui mi permetto di rinviare.

9 Cfr. her. 7, 139 Sed iubet ire deus.10 Sulle potenzialità elegiache rintracciabili allo stato latente già nella Didone virgi-

liana, cfr. Barchiesi 1987, 82-86; Piazzi 2007, 14-17.

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3LE POENAE DEL PERFIDUS

suo scopo. E se la natura formale del poema-lettera, che impone diincorporare in un solo monologo, pronunciato in un unico momen-to, spunti e motivi di piú discorsi, disseminati in sezioni differentidel testo virgiliano di riferimento 11, sottrae alla protagonista dell’epi-stula la possibilità di un dinamismo psicologico, le risorse della fan-tasia ovidiana sperimentano nuovi, originali percorsi attingendo inparticolare al raffinato gioco dell’intertestualità, che suggerisce al poetadelle Eroidi l’ampliamento di motivi già presenti nei versi dell’Eneide,come quello della punizione degli spergiuri d’amore.

Nel suo delirio la Didone virgiliana aveva affidato la dispera-zione per il suo amore tradito e vilipeso al terribile quanto legitti-mo desiderio di vendetta invocato sul capo del traditore. Ai numina,garanti di pietas e giustizia, il delicato compito di riequilibrare labilancia di poenae e pretia infliggendo al reo il meritato castigo:l’espiazione della culpa nell’infuriare di una tempesta sul mare, fragli scogli, invocando, ormai vanamente, il nome della donna amatae abbandonata, perseguitato senza requie, sino alla morte, dall’umbradi lei assetata di giustizia fin nelle piú profonde dimore dell’Erebo(Aen. 4, 381-387):

I, sequere Italiam ventis, pete regna per undas.Spero equidem mediis, si quid pia numina possunt,supplicia hausurum scopulis et nomine Didosaepe vocaturum. Sequar atris ignibus absens:et, cum frigida mors anima seduxerit artus,omnibus umbra locis adero. Dabis, improbe, poenas.Audiam et haec manis veniet mihi fama sub imos.

Al medesimo supplicium, evocato nelle forme apotropaiche diun’ipotesi deprecabile, si fa riferimento nella riscrittura ovidiana(her. 7, 65-74):

finge, age, te rapido (nullum sit in omine pondus)turbine deprendi: quid tibi mentis erit?

Protinus occurrent falsae periuria linguae,et Phrygia Dido fraude coacta mori;

coniugis ante oculos deceptae stabit imagotristi sed effusis sanguinolenta comis.

Quid tanti est ut tum “merui”: “concedite!”dicas,quaeque cadent, in te fulmina missa putes?

Da breve saevitiae spatium pelagique tuaeque:grande morae pretium tuta futura via est.

11 Cfr. Barchiesi 1987, 85; Spentzou 2003, 177. Sulla mancanza di evoluzione psico-logica nella Didone ovidiana rispetto al personaggio virgiliano cfr. Piazzi 2007, 20.

Il titolo della testatina di pagina dispari è stato così sintetizzato perché altrimenti troppolungo, va bene? .......

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4 G. BRESCIA

Ma alla carica eversiva dell’odio che nasce dall’orgoglio ferito edall’amore tradito e che spinge la Didone virgiliana ad augurarsi(Aen. 4, 383 spero) quasi catarticamente tali sciagure per l’improbus,fa riscontro, nelle parole dell’eroina abbandonata, il timore (v. 61timeo) che l’amato possa incorrere in tali pericoli – la cui sola pro-spettiva (v. 65 finge) spaventa – e la speranza di poterli evitarepersuadendo Enea a non commettere questa imprudenza 12. Acca-de, dunque, che la ‘maledizione mancata’, “ancora prima di esserepronunciata, si tramuta in espressione apotropaica beneaugurante(v. 65 nullum sit in omine pondus) 13, quasi che Didone si morda lalingua per aver anche solo immaginato il naufragio di Enea” 14.L’ipotesi della sciagura invocata sul caput del perfidus si trasforma,cosí, nella Didone ovidiana, in argumentum utile a dissuadere il de-stinatario dell’epistula dal proposito della partenza, in linea con laprecettistica retorica che rinvia al genus deliberativum 15: ad esserechiamati in causa sono, infatti, i topoi dell’utile e dell’honestum 16.

Il processo dissuasivo, mirato a scoraggiare la partenza dell’eroe,poggia sul topos dell’utilitas e ruota ovviamente, in prima istanza,

12 Sulla distanza che si registra in questi versi tra la Didone ovidiana e quella virgi-liana, cfr. Jacobson 1974, ad loc. Interessante l’osservazione di Barchiesi 1987, 87, chericonduce la conversione del motivo (dalla maledizione ai moduli del propemptikon elegia-co) non tanto al carattere piú mite della Didone ovidiana rispetto al personaggio viriliano“quanto piuttosto ad un adeguamento al fine pragmatico della lettera, cioè la Werbung”(cfr. Piazzi 2007, 180).

13 Sulla valenza apotropaica di simili espressioni, orientate ad allontanare un malumomen dopo aver fatto riferimento alla possibile morte di qualcuno, cfr. Piazzi 2007, 185.

14 La citazione è di Piazzi 2007, 22.15 Cfr. Rhet. Her. 1, 2; Quint. inst. 3, 8, 6. L’influenza esercitata dalla retorica e, in

particolare dalla suasoria, sulle Heroides è stata messa in rilievo da Oppel 1968, 52-55; Bar-chiesi 1987, 65 sgg.; Rosati 1989, 5-7; Fedeli 1999, 1218: la peculiarità della dimensioneformale prescelta, la lettera, esaltando la centralità del ruolo del destinatario all’interno deltesto, accentua marcatamente la funzione persuasiva del messaggio. Per una proposta di lettu-ra dell’Eroide 13 secondo i moduli e gli schemi del genus deliberativum mi permetto dirinviare ad un mio contributo (1996) e alla bibliografia di riferimento; la stessa chiave dilettura è stata di recente applicata all’Eroide 4 da Cipriani-Masselli 2008, 101-113.

16 Discussa è nella precettistica retorica l’individuazione dei topoi che devono costituirel’intelaiatura su cui imbastire una suasoria: mentre per Aristotele (Rhet. 1, 3, 20 sgg.) eper l’autore della Rhetorica ad Herennium, il fine del discorso deliberativo è l’utile (3, 3Omnem orationem ... finem sibi conveniet utilitas proponere ... Utilitas in duas partes in civili con-sultatione dividitur: tutam, honestam), per Cicerone, invece, esso va individuato sia nell’utileche nell’honestum (inv. 2, 169); Quintiliano (inst. 3, 8 sgg.) indica essenzialmente l’utile el’honestum – di cui enumera i diversi aspetti, costituiti per l’uno, dal facile, magnum, iucun-dum, sine periculo [tutum], e, per l’altro, dal fas, iustum, pium, aequum, mansuetum – e ponecome ulteriore topos il possibile. Sull’importanza attribuita alla scelta accurata dei topoi peril successo di un’orazione, cfr. Michel 1982, 58 sgg.; Mortara Garavelli 1989, 52.

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5LE POENAE DEL PERFIDUS

sull’enumerazione e l’enfatizzazione dei rischi e dei pericoli connessialla navigazione 17 mediante un’utilizzazione antifrastica del tutum 18.Altrettanta efficacia viene, però, conferita anche alla mancanza divantaggi derivanti dal viaggio mediante una massiccia incursionenella sfera semantica del profitto e della perdita 19, che svela unalogica utilitaristica 20 poco adatta, in realtà, allo statuto del perso-naggio epico Enea. Ad una “pragmatica” Didone, che ragiona intermini di profitti e perdite, la decisione dell’eroe troiano sembra,infatti, poco oculata, sbilanciata com’è tra costi e benefici: ed èproprio facendo ricorso al locus dello “spreco” 21 che l’eroina inna-morata cerca di dissuadere l’amato con un ragionamento di tipocomparativo ed economico 22. Ma nel processo dissuasivo – comedicevamo – non poteva mancare anche il ricorso all’honestum 23: lastrategia argomentativa utilizzata da Didone mira, infatti, a dimo-strare come la decisione di Enea, oltre ad essere poco “remunera-tiva”, risulti anche moralmente riprovevole poiché comporta l’infra-zione della fides nei confronti della persona amata 24. A sostegno diquesta ulteriore argomentazione, il poeta delle Eroidi non si lasciasfuggire l’occasione per un’operazione di ampliamento e chiarifica-zione didascalica di un motivo già virgiliano 25. Nulla è lasciato tra lerighe, nessuno spazio alla semantica delle allusioni e dell’evocazione:la maledizione scagliata da Didone all’indirizzo del principe troianoviene decodificata con il riferimento esplicito al naufragio come ca-stigo tradizionalmente previsto per gli spergiuri (her. 7, 57-60):

Nec violasse fidem temptantibus aequora prodest:perfidiae poenas exigit ille locus,

praecipue cum laesus amor, quia mater Amorumnuda Cytheriacis edita fertur aquis.

17 Cfr. vv. 39-41; 45-46; 56; 61-62; 65-66; 71-74.18 Cfr. Rhet. Her. 3, 3; Quint. inst. 3, 8, 27 (sine periculo); cfr., anche, Cic. inv. 2, 169

che individua nell’incolumitas una categoria dell’utile.19 Cfr. vv. 45 Non ego sum tanti – numquid censeris – inique?; 47-48 Exerces pretiosa odia

et constantia magno, si dum me careas, est tibi vile mori; 57 Nec violasse fidem temptantibusaequora prodest; 63 Vive, precor! Sic te melius quam funere perdam; 74 grande morae pretium tutafutura via est.

20 Questo aspetto è stato messo in rilievo da Rosati 1988.21 Cfr. Perelman-Olbrechts-Tyteca 1976, vol. II, 294-298.22 Su questa logica utilitaristica, analizzata da Piazzi 2007, 83-84, mi ero soffermata

in un mio precedente lavoro (2001, 223-224) cui rinvio.23 Cfr. Quint. inst. 3, 8, 1 ne utile quidem, nisi quod honestum esset.24 Sul rectum come categoria dell’honestum, cfr. Rhet. Her. 3, 3 sgg.; Cic. inv., 2, 159 sgg.;

Quint. inst. 3, 8, 26.25 Cfr. Lamacchia 1960.

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6 G. BRESCIA

La poenae che l’Enea virgiliano è chiamato a espiare (Aen. 4,386) si connotano, dunque, quale perfidiae poena (her. 7, 58), viola-zione di un giuramento e, piú specificatamente, di un giuramentod’amore (her. 7, 59-60). I pia numina, chiamati dalla Didone virgilia-na a farsi garanti del rispetto della pietas (Aen. 4, 382), trovanodimora nella profondità marina e assumono il volto specifico diVenere, la divinità dell’Amore nata dalla spuma del mare (her. 7,59-60) 26. Gli indizi si accumulano. Un altro importante dettaglioper la composizione del mosaico viene fornito dal poeta di Sulmo-na: nel suo profetico presagio, l’eroe troiano, travolto dal turbinedei flutti, avrà memoria e consapevolezza dell’origine e delle ragio-ni di quel supplicium (her. 7, 65-66) che ricondurrà senza alcunaesitazione ai falsae periuria linguae; con altrettanta onestà egli dovràriconoscere le sue responsabilità nel suicidio di Didone, ascrivibili,quasi eziologicamente, ai connotati “etnici” della stirpe troiana (her.7, 67-68) con un interessante rovesciamento se si considera che, disolito, la perfidia è tratto marcato dei Cartaginesi. E se la persecu-zione postuma dell’imago, doppio speculare della donna ingannatae tradita, arricchita dal macabro corredo del sangue e delle effusaecomae (her. 7, 69-70), peculiare delle umbrae di quanti perirono dimorte violenta, gioca a distanza con il modello virgiliano 27 (Aen. 4,382-386), l’allusione esplicita alla tradizionale perfidia della stirpetroiana evoca il suo mitico capostipite Laomedonte e la violazionedella sua promessa ad Apollo e Nettuno. In realtà, il ruolo giocatonell’adozione del modello comportamentale di perfidia da parte diEnea, del patrimonio genetico ereditato dal mitico progenitore nonera sfuggito già alla regina virgiliana (Aen. 4, 541-542):

Nescis heu, perdita, necdumLaomedonteae sentis periuria gentis

Ma la vicenda di Laomedonte aveva colpito in modo particola-re la fantasia di Ovidio, che a questa fabula avrebbe di lí a pochi

26 Ricorrendo all’amplificatio per comparationem (cfr. Quint. inst. 8, 4, 3-9) “il motivotopico della navigazione rischiosa per i colpevoli di un crimine viene adattato al casoparticolare di Enea, spergiuro in amore attraverso la connessione tra Venere, dea del-l’amore e madre stessa dell’eroe e il mare da cui essa è nata: se il mare è pericoloso pertutti gli spergiuri, in particolare lo sarà per gli infedeli in amore, che offendono maggior-mente la dea” (Piazzi 2007, 178).

27 Interessante la notazione di Casali (1999-2000, 112, n. 20) che individua nellariscrittura ovidiana del v. 62 neu bibat aequoreas naufragus hostis aquas una nota esplicativarispetto all’immagine metaforica utilizzata dalla Didone virgiliana (Aen. 4, 383 suppliciahausurum).

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7LE POENAE DEL PERFIDUS

anni dedicato ampio spazio nel suo poema epico 28. Come è noto,Laomedonte, impegnato nella fondazione delle mura di Troia no-vella, usufruí del prezioso aiuto divino di Nettuno previa stipula diun vero e proprio “contratto d’opera” (met. 11, 199-204). Venne,infatti, pattuita una mercede quale pretium per quella fatica. Ma,ottenuto il risultato auspicato e edificate solide mura, il tirannovenne meno alla parola data e negò il compenso: alla perfidia siaggiunge, cosí, lo spergiuro (met. 11, 205-206):

Stabat opus: pretium rex infitiatur et addit,perfidiae cumulum, falsis periuria verbis 29.

Inequivocabile il gioco allusivo e intratestuale dell’Ovidio delleMetamorfosi con il poeta delle Eroidi: spia utile alla decifrazione ilrichiamo lessicale che disegna un affascinante gioco di specchi sul-l’intelaiatura costituita da termini chiave quale pretium (her. 74; met.205); perfidia (her. 58; met. 206), poena (her. 58; met. 211), periuria(her. 67; met. 215), sino alle ‘iuncturae’ falsae periuria linguae (her. 67)~ falsis periuria verbis (met. 206) 30. Altrettanto inequivocabile il nessocausa-effetto tra culpa e poena: la vendetta di Nettuno, vittima dellospergiuro e del mendacio, non si fa attendere: il signore del mareriversa tutte le sue acque sui lidi dell’avida Troia; empie di mare laterra, distrugge i prodotti dei campi e con i flutti copre la pianura(met. 11, 207-212). Il mare, simbolo ed emanazione di colui cheper primo fu vittima della perfidia troiana, si rivela, dunque, ilveicolo piú naturale per la vendetta e la punizione di questa culpa:i pia numina, evocati indistintamente dalla Didone virgiliana, assu-mono nella riscrittura ovidiana il volto di Nettuno che mette incampo la sua potenza per punire la Phrygia fraus dalla sua origina-ria manifestazione a tutte le successive emanazioni 31.

Ma le poenae con cui Enea dovrà espiare il suo tradimento nonsi limitano al naufragio. La Didone ovidiana amplia e sviluppa un

28 Met. 11, 194-215. Cfr. Bömer 1980, 290-294.29 Il racconto ovidiano amplifica ulteriormente la propensione di Laomedonte al

tradimento della parola data: come punizione per il primo spergiuro, Poseidone avevaimposto al sovrano frigio il sacrificio della figlia ad un mostro marino. La fanciulla erastata salvata da Eracle, ma anche l’Alcide si vide negare da Laomedonte la mercedepattuita (met. 11, 211-215); la legittima vendetta fu la guerra a Troia e la conquista dellemura bis periura.

30 Sull’effetto di amplificatio per congeriem (Quint. inst. 8, 4, 3-9) realizzato attraversol’accumulo di termini, cfr. Piazzi 2007, 85-86.

31 Il motivo della perfidia dei discendenti di Laomedonte ritorna in Silio dove l’umbradi Didone mette in guardia la sorella Anna dal prestar loro fede (pun. 8, 171-172).

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8 G. BRESCIA

altro motivo di cui si trova traccia già nei versi virgiliani: è il mo-tivo dei figli, della maternità come ulteriore legame con Enea. Nellafabula virgiliana il rimpianto per una prole mancata aveva datovoce a quell’illusione del coniugium con cui la regina cercava dilegittimare la sua relazione con l’hospes.

Nel quarto libro dell’Eneide il sipario si apre su un’aurora tor-mentata: dopo una notte insonne Didone si trova a prendere co-scienza dei turbamenti provocati nel suo cuore dall’arrivo improvvi-so nella sua reggia e nella sua vita del novus hospes 32. Ma il pensie-ro e il ricordo dell’antico sposo restano ancora indelebili e ossessivinell’animo della regina e dettano l’indissolubilità del vincolo sanci-to dalla promessa nuziale; ferma la volontà, dichiarata nella confes-sione alla sorella Anna, di resistere alle attrattive e alle lusinghedel cuore per serbare fedeltà e onore al primo sposo e, nel nomedi lui, ai Pudoris iura, le leggi del Pudore 33.

Ed è proprio quella volontà di rimanere fedele allo statuto diunivira a provocare il lapsus freudiano: il sentimento che sta nascen-do per il principe troiano viene etichettato come culpa 34. È Servio,con l’acume del fine commentatore, a leggere tra le righe del testovirgiliano e a svelare l’origine e il senso di questo lapsus, che de-nuncia, insieme, la fedeltà al destino di personaggio e istanze ideolo-giche profondamente avvertite nella Roma augustea. Il riferimentosotteso alla definizione di culpa – spiega l’esegeta – è ad un ritua-le, quello della Fortuna Muliebris, destinato alle univirae, ovvero alledonne che avevano avuto un solo uomo e che preservavano talecondizione anche dopo la vedovanza 35. Dalla celebrazione di que-sto culto rimanevano rigorosamente escluse quelle donne che sirisposavano, anche se si trattava di vedove o di donne ripudiatedal primo marito: le nuove nozze annullavano, infatti, i privilegiconnessi alla condizione dell’univirato 36.

32 Aen. 4, 1-30.33 Aen. 4, 15-29.34 Aen. 4, 19.35 Cfr. Serv. ad Verg. Aen. 4, 19 Culpae: bene ‘culpae’ potius quam amori. Et hoc

propter antiquum ritum, quo repellebantur a sacerdotio, id est Fortunam muliebrem non corona-bant bis nupta.

36 Il modello comportamentale di riferimento è quello incarnato dalla figura esem-plare di Cornelia, la sposa di Sempronio Gracco che, dopo la morte del marito, nonvolle piú risposarsi rifiutando persino la proposta di matrimonio di un principe d’Egitto,Tolomeo VIII Physkon. L’allusione è a quelle figure esemplari di spose devote e eroichecelebrate dalla mitopoiesi che non vollero sopravvivere alla morte del coniuge: il pensierocorre a Porcia, la figlia di Catone Uticense, sposa di Bruto, uno dei cesaricidi che, all’indo-mani della definitiva sconfitta dei repubblicani a Filippi e dopo la morte dell’amatissimo

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9LE POENAE DEL PERFIDUS

Debole e velleitario il tentativo del personaggio e del poeta ditrovare una via d’uscita all’impasse travestendo questo amor/culpa,l’inhonesta res sotto la parvenza di una res honesta. Consapevole dellapeccaminosità del suo sentimento d’amore per il principe stranieroe del contrasto con la sua dignità regale 37, Didone tenta, infatti,con tutte le sue forze di occultarlo e di conferire una parvenza dilegittimità ad una passione nata al di fuori della norma che rico-nosce il matrimonio come l’unico legame consentito e autorizzatodai Pudoris iura. Ella cerca, pertanto, di ricondurre la passione chesente divampare per il principe straniero nell’alveo di un rapportolegittimo: Adgnosco veteris vestigia flammae 38, confessa la regina adAnna soror. Non sfugge allo sguardo acuto e ammiccante di Servioil senso di questo transfert che sovrappone il sentimento d’amoreper l’hospes a quello per lo sposo Sicheo, la passione illegittima cheavrebbe declassato la regina al rango di meretrice, al sentimentoche si suole provare per il legittimo consorte 39. E Didone raccontaa se stessa, prima ancora che agli altri, una favola, la favola di unconubium, di un matrimonio legittimo: la racconta ad Anna nel pa-thos della confessione, la racconta a se stessa dopo l’incontro nellagrotta, quando cerca di velare con questo nome la sua culpa, laperdita del pudor 40: la racconta ad Enea nel momento della dispe-razione, delle preghiere, per convincerlo a non partire, a non ab-bandonarla 41, e la racconta ancora a se stessa quando, di fronte

coniuge, non esitò a darsi la morte inghiottendo carboni ardenti. Castissimi vennero defini-ti da Valerio Massimo (4, 6, 5) gli ardori (ignes) di quella passione che, non a caso,sceglie i carboni ardenti come mezzo e strumento privilegiato per serbare, con l’eroicosuicidio, la castità espressa con l’univirato; cfr. anche Liv. perioch. 124; App. 4, 136; Mart.1, 43; Plut. Brut. 53. Su questa e altre vicende esemplari di vedove univirae cfr. Cantarella20085, 121-25.

37 Serv. ad Verg. Aen. 4,1 regina: bene ‘regina’ quia contra dignitatem amor susceptusgravior esse solet: ex hoc enim nomine et pudoris et deliberationis nascitur causa, et praecipuepotiundi difficultas. Videtur et post amissam castitatem etiam iustus interitus; 4, 3 multa viri virtusanimo: bene mediam se facit praebere Didonem inter regalem pudorem et amoris impulsum.

38 Aen. 4, 23.39 Serv. ad Verg. Aen. 4, 23 Veteris vestigia flammae: bene inhonestam rem sub honesta

specie confitetur, dicens se agnoscere maritalis coniugii ardorem: hoc est, quo mariti diligi solent;nam erat meretricium dicere: in amorem Aeneae incidi.

40 Cfr. Aen. 4, 169-172 Ille dies primus leti primusque malorum / causa fuit; neque enimspecie famave movetur, / nec iam furtivum Dido meditatur amorem: / coniugium vocat; hoc praetexitnomine culpam.

41 Aen. 4, 314-319 Mene fugis? Per ego has lacrimas dextramque tuam te / (quando aliudmihi iam miserae nihil ipsa reliqui), / per conubia nostra, per inceptos hymenaeos, / si bene quid dete merui, fuit aut tibi quidquam / dulce meum, miserere domus labentis et istam, / oro, si quisadhuc precibus locus, exue mentem.

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10 G. BRESCIA

alla monoliticità e all’imperturbabilità dell’amante di un tempo, ri-masto sordo ai suoi pianti, alle sue preghiere, alle sue imprecazio-ni, rimpiange una prole mancata, un piccolo Enea, imago paternache giochi nelle stanze regali evocando una presenza/assenza (Aen.4, 327-330):

Saltem si qua mihi de te suscepta fuissetante fugam suboles; si quis mihi parvulus aulaluderet Aeneas, qui te tamen ore referret;non equidem omnino capta ac deserta viderer.

Ma perché mai – ci potremmo chiedere – una donna abban-donata dal suo amato dovrebbe desiderare di essere resa madreproprio dall’uomo che ha rinnegato il loro legame? Anche questodesiderio di maternità va letto, come Servio ci aiuta a fare, comeun’ulteriore traccia di quel processo di mistificazione della realtàche rinvia all’ossessione delle nozze, la cui finalità è, appunto, quelladi garantire e assicurare la legittimità della discendenza come reci-ta la nota formula (liberorum quaerendorum causa). Ad essere chiama-to in causa è un topos radicato nell’immaginario epico fin da Ome-ro 42. Essere imago del proprio padre, riprodurne le fattezze fisichecome, nel rimpianto di Didone, avrebbe potuto fare il suo “piccoloEnea”, è infatti, nella cultura romana, garanzia e suggello della le-gittimità della prole 43. Un figlio che assomigli al proprio padre, chene ricalchi la fisionomia come l’impronta del sigillo nella cera, recaincisi nei suoi lineamenti “la propria inconfutabile ascrizione genea-logica” 44: si tratta di un vero e proprio test del DNA ante litteramche, oltre a garantire l’inserimento di diritto del figlio nel genuspaterno, conferisce alla relazione i crismi del coniugium. Va letto inquesta luce il rimpianto di Didone per la maternità mancata 45: quelpiccolo Enea, oltre a non farla sentire del tutto capta e deserta 46,

42 Si confrontino i noti passi omerici in cui Telemaco è riconosciuto per la suarassomiglianza con Odisseo da Nestore (Od., 3, 123) e da Menelao (Od. 4, 142). Per lafortuna di questo topos nel panorama letterario latino costituisce imprescindibile testo diriferimento la chiusa dell’epitalamio composto da Catullo per Manlio Torquato e IuniaAurunculeia (61, 216 -227).

43 Sul ruolo assegnato alla riproducibilità nel filius dell’imago paterna come garanziadi legittimità della prole, cfr. Lentano 2007, 147-176 e il repertorio bibliografico ivi citato.

44 La definizione è di Lentano 2007, 152.45 Si tratta di una chiave di lettura che ho già adottato in un mio precedente lavoro

(2007), cui rinvio anche per la bibliografia di riferimento.46 Agisce qui il motivo del figlio come simulacro, che colma un’assenza irrimediabile,

secondo lo statuto originario dei simulacra (cfr. Bettini 1992, 211 sgg.).

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11LE POENAE DEL PERFIDUS

avrebbe potuto fare di lei una “donna onesta”. In definitiva, laregina di Cartagine parla e agisce come una vera e propria matro-na, l’unica donna a cui – come è noto – la cultura romana, inconsiderazione del suo ruolo di sposa legittima, affida il delicatoe fondamentale compito di assicurare ad una stirpe la continuitàdella discendenza patrilineare. Didone si illude, quindi, di esseresposa legittima di Enea e di sottrarsi, cosí, all’ignominia dellacolpa di impudicitia: è il solito Servio a leggere nelle accorate pa-role della donna deserta un’ulteriore traccia di quell’illusione delconiugium annotando argutamente che Didone si esprime comefarebbe una moglie legittima (Serv. ad Verg. Aen. 4, 327 quasi alegitimo marito deseratur: quis enim ignorat matrimonia liberorum susci-piendorum gratia iniri?) 47.

E sarà proprio il crollo definitivo di questa illusione, quando Enea,con un realismo spietato che rischia di suonare cinismo, riporteràla regina alla realtà ricordando di non aver mai innalzato fiaccolenuziali, di non aver mai consacrato la loro unione con i crismi delmatrimonio, a segnare il tragico epilogo della fabula 48. All’infeliceregina non resterà, allora, che arrendersi all’evidenza e rassegnarsiall’inevitabile partenza dell’eroe chiedendo solo una mora per cercaredi rendere piú sopportabile lo strazio della separazione 49.

47 È interessante il riferimento ad un altro locus del commento serviano in cui lamenzione di una pulchra proles affranca un legame dal sospetto di libido conferendoglii crismi del conubium legittimo. È Giunone ad utilizzare questo argumentum per convin-cere Eolo a collaborare, scatenando una tempesta, al suo progetto teso ad impedireall’odiata gente troiana, che naviga il mare Tirreno, l’approdo sulle coste del Lazio.La ricompensa promessa dalla dea al re dei venti è l’unione con Deiopea, la piú belladelle quattordici ninfe del suo seguito: si tratterà – precisa la dea – di un vero eproprio conubium ovvero di un matrimonio legittimo, in grado, in quanto tale, diassicurare e garantire una legittima discendenza, ovvero, una pulchra proles (cfr. Aen. 1,64-75; Serv. 1, 73 conubio iungam: et conubium est ius legitimi matrimonii. Et bene ‘conu-bio iungam’ dixit, ut hanc ab aliis segregaret, quae a regibus sine lege habentur. Solent enimreges inter plures uni praecipuum dare nomen uxoris; Conubio iungam stabili propriamquedicano: multa in unum contulit versum quae Iuno promittit; dicendo enim ‘conubio’ ostenditlegitimam, dicendo ‘stabili’ longam promittit concordiam, id est quae divortio careat, dicendo‘propriam’ adulterii removet suspitionem; 75 Pulchra prole: bene postremum addidit propterquod matrimonium contrahitur, pulcherrimos filios. Et mire hoc Iuno Lucina promittit, quasinon ob libidinem offerat).

48 Aen. 4, 337-339 Pro re pauca loquar. Neque ego hanc ascondere furto / speravi (ne finge)fugam, nec coniugis unquam / praetendi taedas aut haec in foedera veni.

49 Aen. 4, 429-436 Quo ruit? Extremum hoc miserae det munus amanti: / expectet faci-lemque fugam ventosque ferentis. / Non iam coniugium anticum, quod prodidit, oro, / nec pulchrout Latio careat regnumque relinquat: / tempus inane peto, requiem spatiumque furori, / dum meame victam doceat fortuna dolere. / Extremam hanc oro veniam (Miserere sororis!), / quam mihi cumdederit, cumulatam morte remittam.

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12 G. BRESCIA

Allo stesso motivo dei figli imago paterna, come proiezione diun legame indissolubile non solo tra il padre e la propria legittimaprole, ma anche tra i due genitori, avrebbe fatto ricorso un’altraeroina protagonista di una vicenda analoga di abbandono da partedell’amato. Si tratta della Medea ovidiana 50 che, nella chiusa del-l’epistula 51, prima di abbandonare ogni speranza residua di riconci-liazione e rivolgersi al suo progetto di vendetta 52, aveva cercato difare breccia nel cuore del perfidus Giasone facendo appello proprioal “potere connettivo” dei figli per essere riammessa nel ‘talamonuziale’ 53 (her. 12, 185-198):

Tam tibi sum supplex, quam tu mihi saepe fuisti,nec moror ante tuos procubuisse pedes.

Si tibi sum vilis, communes respice natos:saeviet in partus dira noverca meos.

Et nimium similes tibi sunt, et imagine tangor,et, quotiens video, lumina nostra madent.

Per superos oro, per avitae lumina flammae,per meritum et natos, pignora nostra, duos:

redde torum, pro quo tot res insana reliqui;adde fidem dictis auxiliumque refer.

Non ego te imploro contra tauros virosque,utque tua serpens victa quiescat ope;

te peto, quem merui, quem nobis ipse dedisti,cum quo sum pariter facta parente parens.

Anche in questo caso, come nell’Eneide, la “rilettura” dellafabula dell’eroina innamorata e abbandonata sembrerebbe risentiredi un motivo culturale squisitamente romano che, non a caso, nonviene sfruttato da Euripide e a cui Seneca, concentrato nella messain scena dell’ultimo atto del dramma di Medea, conferisce valore

50 Sull’importanza di Medea come modello sia per la Didone virgiliana che perquella ovidiana, cfr. Casali 2004-2005; Schiesaro 2005; Battistella 2007.

51 Sull’autenticità dell’epistola ovidiana, generalmente riconosciuta, si rinvia a Piazzi2007, 96 e alla bibliografia di riferimento ivi citata.

52 Sulla compresenza nella lettera “dei due codici, eroico ed elegiaco, finché la chiu-sa minacciosa e programmatica dissolve lo spazio dell’elegia, annunciando la tragedia”,cfr. Bessone 1997, 12. La valenza di “allusione intertestuale al futuro del personaggio” diher. 12, 212 nescio quid certe mens mea maius agit era già stata colta da Barchiesi 1992.

53 Sulla rivendicazione, da parte di Medea, dello status di uxor, cfr. Rosati 1992, 83 sg.In realtà, per la Medea ovidiana non si parla mai esplicitamente di nozze ma di promes-se, giuramenti (her. 12, 83-88) e di merita acquisiti dalla donna nei confronti dell’amato(her. 12, 190-207) ma si può verosimilmente presupporre che nell’ottica dell’eroina inna-morata – come già era accaduto alla Didone virgiliana – su questa unione si proiettil’illusione del coniugium (cfr. Guastella 2001, 122-124). Sul carattere irregolare anche del-l’unione della Medea senecana cfr. Guastella 2001, 127.

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in funzione della vendetta 54. Si è già avuto modo di sottolineare lacentralità conferita a Roma alla procreazione della prole legittima,individuata come la finalità principale delle unioni matrimoniali.Ma altrettanto importante, come si evince anche dalle parole dellaMedea ovidiana, è la capacità attribuita ai figli di realizzare mate-rialmente queste unioni, mettendo insieme in un unico corpo ilsangue dei genitori (socius sanguis) 55. Prendendo in prestito l’effica-ce metafora utilizzata da Guastella, si può affermare che “l’alleanzadelle famiglie ‘prendeva corpo’ (è il caso di dirlo) nei nuovi nati: ei figli rappresentavano dunque un importante documento del lega-me comune fra i genitori anche se la loro funzione principale eraquella di prolungare la stirpe paterna” 56. Il legame fisico tra padree il figlio, segnalato in maniera lampante dalla somiglianza, si con-figura, dunque, come strumento che consente di suggellare anchesul piano piú strettamente carnale l’unione tra un uomo e unadonna. Communis 57 vengono definiti dalla madre Medea i figli dalei partoriti a Giasone (partus meos) attraverso i quali si era realizza-ta quella relazione reciproca che aveva consentito l’assunzione deirispettivi ruoli di padre e madre (12, 197-198) 58. Era stato Giasonea rendere madre Medea; era stata Medea a rendere padre Giaso-ne. Quei figli si rivelano, pertanto, come patrimonio comune econdiviso (v. 187 communis natos), pegno reciproco (v. 192 pignoranostra) in grado di garantire la solidità dell’unione 59.

54 Per la centralità conferita nelle rivendicazioni della Medea senecana al ruolo ma-terno, in piena coerenza con la concezione tradizionale del matrimonio romano, si rinviaalle approfondite riflessioni di Guastella 2001, 124-128.

55 È proprio questa paradossale volontà di vendicarsi di chi è loro intimamente legatoin virtú dei figli ad accomunare, nella rilettura ovidiana del mito, Procne e Medea (cfr. am. 2,14, 29-32 Colchida respersam puerorum sanguine culpant, / atque sua caesum matre queruntur Ityn: /utraque saeva parens, sed tristibus utraque causis / iactura socii sanguinis ulta virum; cfr. anche rem.59-60 nec dolor armasset contra sua viscera matrem, / quae socii damno sanguinis ulta virum est). Sulsignificato della ‘iunctura’ socius sanguis, cfr. Guastella 1985, 91-93; Id. 2001, 104-105.

56 Cfr. Guastella 2001, 124-136.57 Sulla valenza patetica della ‘iunctura’ communes ... natos, cfr. Verg. Aen. 2, 789; Prop.

4, 11, 73; Ov. met. 5, 523.58 Questo motivo troverà attestazione, sia pure con nuovi, imprevedibili esiti, nel

monologo proemiale della tragedia senecana in cui una Medea animata da terribili pro-positi di vendetta augura all’odiato Giasone di generare figli simili al padre e simili allamadre (24-26 quoque non aliud queam / peius precari, liberos similes patri / similesque matri –parta iam, parta ultio est: / peperi).

59 Il motivo dei figli come pignora dell’unione era stato già chiamato in causa nelleEroidi da un’altra eroina legata proprio a Giasone, Ipsipile, 6, 119-124 (Nunc etiam peperi:gratare ambobus, Iason! / Dulce mihi gravidae fecerat auctor onus. / Felix in numero quoque sum,prolemque gemellam, / pignora Lucina bina favente dedi. / Si quaeris, cui sint similes, cognoscerisillis: / fallere non norunt; cetera patris habent).

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A questi stessi argumenta sembra far ricorso la Didone ovidiananel tentativo di dissuadere dal suo proposito l’eroe in partenza. Ilmotivo del figlio come proiezione del legame con il padre, giàutilizzato dalla protagonista della fabula virgiliana per dare voce adun’illusione e ad un rimpianto, si arricchisce nella rilettura di Ovi-dio di una funzione persuasiva messa in atto per fare presa sul-l’eroe. Nelle Eroidi, ancora una volta, come già era accaduto per ilmotivo del naufragio-punizione per i rei di spergiuro in amore, alcampo semantico della speranza si sostituisce quello della fictio: ilrimpianto per una prole mancata, che in Virgilio aveva dato voceall’illusione di Didone di legittimare la sua relazione con il princi-pe troiano, è sostituito nell’epistula ovidiana indirizzata dall’eroinainnamorata al perfidus Enea dall’allusione ad una possibile gravi-danza 60 che, nell’ottica della donna innamorata, avrebbe costituitoun vero e proprio legame fisico con l’amato (her. 7, 133-134):

Forsitan et gravidam Didon, scelerate, relinquas,parsque tui lateat corpore clausa meo.

Il v. 134 sembra, infatti, alludere proprio alla naturale conti-nuità tra il corpo materno e, in particolare, il suo ventre 61, il suoutero di donna incinta, e il corpo dei figli. È interessante rilevare,seguendo un percorso di lettura tracciato da Guastella 62, come illegame carnale della madre con la prole venga riconosciuto anchein ambito giuridico 63: lo dimostra la definizione del feto quale “partedella madre o delle sue viscere” riportata in Ulpiano (Dig. 25, 4,1, 1 partus enim antequam edatur, muliebri portio est vel viscerum). Lacitazione, tratta dal libro XXIV di Ulpiano (ad edictum), si riferisceal parere dato dal pretore Valerio Prisciano sul caso di RutiliusSeverus il quale, nonostante avesse divorziato dalla moglie Domizia,

60 Sulla distanza dal modello virgiliano di questi versi, contrassegnati dall’accusa di vol-garità, cfr. Austin ad Aen. 4, 339: “Ovid, in some vulgar lines, makes Dido already with child”.

61 Cfr. Hor. carm. 4, 7, 19-20 latentem / matris in alvo; Ov. rem. 59-60 nec dolor armas-set contra sua viscera matrem, / quae socii damno sanguinis ulta virum est; am. 2, 13, 20latens ... onus; Sen. Med. 1011- 1012 In matre si quod pignus etiamnunc latet, / scrutabor enseviscera et ferro extraham; ep. 124, 8 Si quis diceret illum in materno utero latentem, sexus quoqueincerti, tenerum et inperfectum et informem iam in aliquo bono esse, aperte videretur errare. Signi-ficativo, in tal senso, l’uso, a partire proprio da Ovidio, del termine viscera per definire ifigli assimilati, appunto, alle “proprie viscere”; cfr., sull’argomento, Pokrowskij 1907-10,396-399 e le testimonianze letterarie ivi citate; Guastella 2001, 86-91.

62 2001, 90-91.63 Sule regole giuridiche per il controllo del venter, ovvero del feto contenuto nel

ventre materno, si rinvia alle approfondite riflessioni di Thomas 1986; Cantarella 2008,109-113.

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rivendicava i suoi diritti sul partus della donna che egli sospettava diessere incinta e a cui pretendeva di assegnarle un custos partus. Il testodi Ulpiano commentava il rescriptum con cui si consigliava a Domiziauna visita medica per accertare lo stato dei fatti: ex hoc rescripto eviden-tissime apparet senatus consulta de liberis agnoscendis locum non habuisse, simulier dissimularet se praegnantem vel etiam negaret, nec immerito: partusenim antequam edatur, mulieris portio est vel viscerum. Post editum planepartum a muliere iam potest maritus iure suo filium per interdictum desiderareaut exhiberi sibi aut ducere permitti) 64. Questa testimonianza mi sembraparticolarmente preziosa perché mette in luce la scansione temporaleche determina il “passaggio” della prole dal legame viscerale maternoallo stadio successivo alla nascita in cui i figli si configurano come“patrimonio” del padre in virtú della centralità loro attribuita nel ga-rantire la continuità della legittima discendenza di una stirpe. C’è,dunque, un momento in cui i figli appartengono alla madre, cosícome c’è un momento, quello dell’unione felice, in cui essi si configu-rano quali pignora della solidità del legame.

Allo stesso modo è proprio la consapevolezza del ruolo prezio-so e imprescindibile affidato alla madre quale tramite necessarioper garantire la legittima discendenza a spiegare le ragioni chespingono una donna tradita e offesa ad individuare nella prolel’arma piú efficace per colpire i padri. Sono tristemente noti i tra-gici ed efferati piani di vendetta messi in atto da Procne 65, cosícome da Medea per vendicarsi dell’iniuria subíta, rispettivamente,da Tereo e Giasone: l’eliminazione della prole, oltre a configurarsicome il tragico, necessario presupposto per il compimento dellavendetta mirata a privare i padri della loro legittima e prioritariaaspirazione alla continuità generazionale, si rivela anche la via piúdiretta e immediata per troncare ogni legame anche sul piano fisi-co con l’uomo che le ha ingannate e tradite e porre, cosí, definiti-vamente fine a quell’unione 66.

In particolare, nella tragica vicenda che vede protagonista lamaga della Colchide, è possibile seguire la trasformazione dei figlida “pegni d’unione” 67 a strumento privilegiato per la realizzazionedi una vendetta che consenta di colpire la figura paterna e, nelcontempo, di dissolvere il vincolo coniugale e ogni possibile legame

64 Cfr. Guastella 2001, 91, n. 45.65 Cfr. Ov. met. 6, 424-674.66 Cfr. Guastella 2001, 82.67 Sul valore di pignus conferito ai figli cfr. Ov. fast. 3, 218; met. 3, 134; trist. 1, 3,

60; Sen. Med. 143-146; 1012. Cfr., sull’argomento, Guastella 1985, 91 sgg.; Minardi 1999.

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tra i loro genitori. La somiglianza con la figura paterna si trasfor-ma, cosí, da patente di legittimità di un’unione a tragico contrasse-gno di una condanna a morte: ai figli spetta lo scomodo ruolo divittime sacrificali la cui soppressione sancisce la definitiva rotturadel rapporto. L’orgoglio materno nel vedere rispecchiato nei figli ilriconoscimento di un legame con i padri e di un ruolo imprescin-dibile e socialmente riconosciuto, si trasforma in odio e rancore: lospecchio si deforma e rinvia un’imago da cui è tragicamente neces-sario prendere le distanze 68.

Accade, allora, che quella stretta interdipendenza con il partnerdeterminata dalla proles communis che nell’Eroide ovidiana, quandoancora c’era spazio per la speranza della riconciliazione, era stataindividuata da Medea come legame a cui aggrapparsi, dopo il crollodefinitivo di ogni illusione, diviene monumentum 69 da cancellare perriuscire ad elaborare un definitivo distacco dal traditore. Nel mo-mento in cui matura il piano di vendetta messo in scena nella tra-gedia senecana, per Medea, come già per Procne, diviene necessariodistruggere i frutti di quell’unione anche se il prezzo da pagare peraffrancarsi definitivamente da ogni legame con il coniuge è altissi-mo: l’eliminazione dei figli “la cui fisicità ed emotività li lega ancorastrettissimamente al corpo della madre che li ha partoriti” 70.

Ma è nella tragedia senecana che si manifesta in modo terribi-le l’altra faccia di Medea, quella animata da un odio implacabile edalla sete di vendetta, anche se è possibile, forse, già intravedernequalche barlume nell’Eroide al di sotto della superficie elegiaca cheancora esprime la commozione dell’eroina al ritrovare nei figlil’aspetto amato del padre 71.

68 Per l’influenza della lettura ovidiana del mito di Procne (Ov. met. 6, 621-622 A!quam / es similis patri!) sul motivo senecano della somiglianza odiosa con il padre qualeprefigurazione dell’infanticidio (Sen. Med. 23-26 quoque non aliud queam / peius precari, liberossimiles patri / similesque matri – parta iam, parta ultio est: / peperi), cfr. Larmour 1990, 133; Otis1970, 211; 215; Friderich 1967, 26 sgg.; per i loci paralleli, cfr. Bessone 1997, 257.

69 Sul ruolo di monumentum del padre e, in genere della stirpe, assegnato ai figli, sirinvia alle belle pagine di Lentano 2007, 147-176.

70 Efficaci, sull’argomento, le osservazioni di Guastella 2001, 82: “perché la vendettasi realizzi la decisione delle due eroine deve attraversare questo paradosso: per cancellarela propria unione coniugale è necessario distruggerne i frutti, cioè i figli, la cui fisicità eemotività li lega ancora strettissimamente al corpo della madre che li ha partoriti [...] ilfiglio diventa bersaglio di una vendetta che si configura tanto come danneggiamento dellafigura paterna quanto come dissoluzione del vincolo coniugale [...], grazie al quale lamadre può elaborare il proprio distacco da un marito traditore e dalla sua stirpe”.

71 Sul doppio livello di lettura di questo motivo nell’Eroide ovidiana in cui si registre-rebbe una compresenza tra la superficie elegiaca che esprime “la commozione dell’eroina al

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Tutt’altro è evidentemente l’animus che ispira la Didone ovidiana:nella lettura della sua vicenda possiamo fermarci alla superficie ele-giaca. Nelle vesti dell’eroina innamorata e abbandonata, ella vorrebbeneutralizzare la deprecabile prospettiva della separazione e, a tale fine,mostra al perfidus, tra gli esiti nefasti della sua scellerata condotta,proprio la possibile cancellazione della sua stessa stirpe. Senza saperloe senza volerlo, Enea, individuato sia dalla Didone virgiliana cha daquella ovidiana quale responsabile unico della morte di Didone 72,potrebbe trasformarsi inconsapevolmente nell’artefice della morte delproprio figlio (her. 7, 136 nati funeris auctor). In altre parole, la donnaabbandonata tenta di perorare la sua causa mostrando all’amato idanni che egli arrecherebbe a se stesso prima ancora che alla suainfelice amante 73. Ad essere chiamato in causa, ai fini del processopersuasivo, è, dunque, ancora una volta, un campo in cui l’utile siconiuga con l’honestum. Perduta ogni speranza di riuscire a trattenerel’eroe con la prospettiva del destino di morte cui avrebbe inevitabil-mente condannato la sua amante, Didone tenta di giocare un’altracarta sollecitando delle corde a cui Enea, rivisitato in chiave romana,non può restare indifferente. Se la morte della donna di cui egli èriconosciuto e individuato come l’unico, reale artefice (her. 7, 195-196Praebuit Aeneas et causam mortis et ensem: / ipsa sua Dido concidit usamanu), lo lascia indifferente, non altrettanto può lasciarlo la prospetti-va che quella ruina avrebbe inevitabilmente coinvolto e travolto con séil feto, parte integrante del ventre materno (her. 7, 135-138):

Accedet fatis matris miserabilis infans,et nondum nati funeris auctor eris,

cumque parente sua frater morietur Iuli,poenaque conexos auferet una duos.

ritrovare nei figli l’aspetto amato del padre” e al fondo “il motivo tragico dell’odio diMedea per i figli, ritratto dell’odiato Giasone”, cfr. Bessone 1997, 256; un’intuizione diquesto motivo già in Jacobson 1974, 122 n. 32.

72 Si tratta di un ruolo riconosciuto al principe troiano già nell’Eneide dalle paroledella regina morente (4, 659-662 Moriemur inultae! / Sed moriamur, ait. Sic sic iuvat ire subumbras. / Hauriat hunc oculis ignem crudelis ab alto / Dardanus et nostrae secum ferat ominamortis) prima di trovare stigmatizzazione in forme piú esplicite nell’epitaffio dettato dall’ero-ina stessa in Ovidio (her. 7, 190-195: Anna soror, soror Anna, meae male conscia culpae, / iamdabis in cineres ultima dona meos. / Nec consumpta rogis inscribar ‘Elissa Sychaei’ / hoc tamen intumuli marmore carmen erit: / ‘Praebuit Aeneas et causam mortis et ensem; / ipsa sua Dido conciditusa manu’; cfr., anche, fast. 3, 545-550: Arserat Aeneae Dido miserabilis igne, / arserat exstructis insua fata rogis, / compositusque cinis, tumulique in marmore carmen / hoc breve, quod moriens ipsareliquit, erat: / ‘praebuit Aeneas et causam mortis et ensem: / ipsa sua Dido concidit usa manu’).

73 Sulla valenza “ricattatoria” nei riguardi di Enea dell’argomento della maternitàutilizzato dalla Didone ovidiana, cfr. Piazzi 2007, 248.

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18 G. BRESCIA

E per accentuare ulteriormente il “danno” provocato da questaperdita, Didone, prendendo in prestito, ancora una volta, il vocabo-lario e gli argumenta della romanità, cerca di conferire alla sua prolela patente di legittimità. Potrebbe essere letta in questa ottica, a mioavviso, la connotazione del miserabilis infans quale fratello di Iulo,prole legittima dell’eroe troiano. Per la comprensione di questo argu-mentum può risultare illuminante un’incursione nel laboratorio sene-cano, che ci consente di osservare la successiva elaborazione di que-sti stessi argumenta, diversamente utilizzati all’interno di un canovaccioincentrato, come si diceva, sulla “messa in scena” della vendetta 74.Ci troviamo nel punto della tragedia in cui il contraddittorio tra idue ex amanti si gioca proprio sui figli. È Giasone il primo a chia-mare in causa la proles communis per neutralizzare la richiesta di Medeadi una fuga comune quale legittima rivendicazione di un contrac-cambio dei suoi merita (v. 482) e dei benefacta (vv. 466-476) resi all’in-gratum caput (v. 465). Il Giasone senecano, nell’intento di allontanaredalla sua persona il sospetto di ingratitudine, aveva giustificato il suorifiuto di fuggire insieme a Medea con un argomento unanimemen-te riconosciuto superiore: il bene dei figli 75. La scelta di sposare lafiglia del re Creonte sarebbe stata determinata dalle ragioni dellapietas 76 (Med. 437-439):

IA. Non timor vicit fidem,sed trepida pietas: quippe sequeretur necemproles parentum

La nuova unione, separando il destino dei figli da quello dellamadre, avrebbe, infatti, garantito loro non solo la salvezza ma an-che lo statuto di prole legittima (Med. 506-509):

IA. Quin potius ira concitum pectus doma,placare natis.ME. Abdico eiuro abnuo –Meis Creusa liberis fratres dabit?IA. Regina natis exulum, afflictis potens.

Il brivido d’orrore suscitato nella Medea senecana dalla prospet-tiva di una commistione della sua prole con i figli avuti dal loro

74 Sulla centralità di questo motivo nel piano di vendetta della Medea senecana, cfr.Guastella 2001, 128-136.

75 Per una lettura in chiave retorica delle contrapposte ragioni di Giasone e Medea,cfr. Masselli 2008, 132-141.

76 Per la presenza di questo motivo già in Euripide, cfr. Collard 1974, 134. Sulla prio-rità conferita da Giasone alla pietas rispetto alla fedeltà a Medea, cfr. Zwierlein 1978, 40-45.

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padre con un’altra donna, timore già affidato nell’Eroide ovidianaalla malaugurata prospettiva di una noverca (vv. 187-188 Si tibi sumvilis, communis respice natos: / saeviet in partus dira noverca meos 77), siera sostanziato proprio nella deprecabile ipotesi che Creusa dessedei fratelli ai suoi figli determinando una mescolanza tra le duefigliolanze (Med. 510-512):

ME. Nec veniat umquam tam malus miseris dies,qui prole foeda misceat prolem inclitam,Phoebi nepotes Sisyphi nepotibus.

Alla preoccupazione materna Giasone contrappone i vantaggi of-ferti da quella paventata confusione proprio ai nati di Medea: la suanuova posizione di sposo legittimo della figlia del re Creonte gli avreb-be guadagnato lo status di padre di liberi, figli legittimi (v. 508), statusdi cui avrebbero potuto indirettamente beneficiare anche i figli natu-rali, frutto della sua unione irregolare con la paelex, che in questomodo avrebbero guadagnato la posizione di fratelli dei liberi (v. 509).

La Didone ovidiana, nel suo tentativo di dissuadere l’eroe adabbandonarla, rinnega le ragioni di Medea e si appropria di quelledi Giasone. Questa permutazione di segno degli argumenta è deter-minata dalla diversità di scenario e dai diversi intenti dei protago-nisti. Didone, a differenza della Medea senecana, non intende pren-dere le distanze dalla prole di Creusa 78 e tutelarsi, quale donnagelosa, dai rischi della contaminazione: per Didone, che aspira aconfigurarsi come coniunx 79, Creusa non è una rivale, ma si trasfor-ma paradossalmente in alleata. La diversità di prospettiva con cuile due eroine guardano alla sposa legittima dell’amato è data dalpiano temporale in cui si colloca la loro relazione. Mentre Medea

77 Nel gioco delle partner femminili che aveva contrassegnato le performances eroti-che di Giasone, anche Ipsipile, abbandonata dall’eroe argonautico per Medea, aveva ma-nifestato la stessa preoccupazione per la propria prole destinata a subire l’ostilità dellamaga della Colchide, una noverca piú odiosa di quanto lo statuto stesso della novercapresupponga (6, 125-128 Legatos quos paene dedi pro matre ferendos, / sed tenui coeptas saevanoverca vias. / Medeam timui: plus est Medea noverca; / Medeae faciunt ad scelus omne manus).Sulla proverbiale ostilità della matrigna nei confronti dei figliastri, cfr. Watson 1995. Dellostatuto della noverca mi sono occupata in un mio recente studio (2009, 158-173), cui mipermetto di rinviare anche per il repertorio bibliografico.

78 Come è noto si parla di due personaggi diversi legati da omonimia, anche se lacitazione a breve distanza di Creusa, figlia di Creonte, nova nupta di Giasone e Creusa, lasposa di Enea scomparsa durante l’incendio nell’ultima drammatica notte di Troia, potreb-be dare adito a confusione.

79 Su questa aspirazione anche della Didone ovidiana, come già di quella virgiliana, apresentarsi come legittima sposa di Enea, cfr. her. 7, 69 coniugis ... imago, e Piazzi 2007, ad loc.

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è stata estromessa dal thalamus proprio dalla figlia del re Creonte,destinata a diventare la sposa legittima di Giasone, Creusa, coniunxdefunta di Enea, si colloca nel suo passato e, pertanto, non costi-tuisce una minaccia per Didone, tutt’altro. La proiezione ideale esimbolica nel coniunx defunto, il transfert con la sua figura, cosícome era accaduto già per Enea da parte della Didone virgiliana,può, invece, essere utile per legittimare la nuova relazione. Se Eneapoteva divenire un nuovo Sicheo e conferire veste di legittimità adun’inhonesta res 80, per le stesse ragioni Didone può ambire ad esse-re una nuova Creusa guadagnando al figlio concepito con Enea lostatus di legittimità mediante l’assimilazione al frater Iulus. Enea può,cosí, legittimamente proiettare anche sull’ipotetico nascituro la stessaattenzione riservata a Iulo, alla cui tutela la nostra Didone lo avevagià “strategicamente” esortato (her. 7, 75-77):

Nec tibi sim curae; puero parcatur Iulo!Te satis est titulus mortis habere meae.

Quid puer Ascanius, quid di meruere Penates? 81

A differenza di Medea, Didone, come farà il Giasone senecano,sia pure spinto da ragioni diverse, individua nell’ipotetica commi-stione della sua prole con quella legittima di Enea un argumentumutile a perorare la sua causa: rammentare che il nascituro è fratellodi Iulo consente, infatti, di conferire lo status di prole legittima alfrutto di una relazione irregolare. Didone, in definitiva, non disde-gna di appropriarsi anche di ragioni peculiarmente “maschili”, spintacom’è in tutta l’epistula da un unico intento: persuadere Enea anon abbandonarla attingendo a tutte le risorse offerte sia dallaretorica dell’utile che da quella dell’honestum.

GRAZIANA BRESCIA

80 Cfr. Serv. ad Verg. Aen. 4, 23.81 Sul ricorso strumentale da parte della Didone ovidiana alla sorte di Iulo con moti-

vazioni antifrastiche rispetto a quelle addotte dall’Enea virgiliano, cfr. Piazzi 2007, 195.

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23LE POENAE DEL PERFIDUS

Abstract: In the Heroides VII, Ovid rereads the Didonis fabula andtakes up again and develops themes of the Aeneid 4th book, chang-ing them into argumenta in order to discourage the epistula ad-dressee from leaving (according to the rhetorical precepts’ genusdeliberativum). This rewrite derives from cultural and anthropolog-ical models, and its original issues lie, in particular, both in theshipwreck’s motif meant as punishment on guilty of love perjury,and in the hint at pregnancy as guarantee of a physical relationshipwith the lover.

Key words: Rewrite, Shipwreck, Pregnancy.

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