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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Scienze Umanistiche
Corso di Laurea in Studi Storico-Artistici Laurea Triennale
Tesi di Laurea in Iconografia e Iconologia
Il MITO DI APOLLO E PITONE
Relatore: Candidato: Prof.ssa Claudia Cieri Via Francesca Domenica Neglia Matr. 1480864
Anno Accademico 2014-2015
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INDICE
INTRODUZIONE 3 ............................................................
1. FONTI LETTERARIE DEL MITO
DI APOLLO E PITONE 7 ..................................................
1.1 FONTI CLASSICHE 7..................................................................................................
1.2 FONTI MEDIEVALI 15..................................................................................................
1.3 FONTI RINASCIMENTALI 25.......................................................................................
2. CATALOGO DELLE OPERE 33 ..................................
3. L’EVOLUZIONE ICONOGRAFICA DEL MITO .....
105
3.1. Apollo e Pitone in età antica: la contesa per l’oracolo di Delfi 105.............................
3.2. Apollo e Pitone in Egitto: il serpente Apep e la barca del sole 108...........................
3.3. Tra gloria e fallimento: Apollo vittima di Amore 110....................................................
Le fonti letterarie nel mito di Apollo e Pitone 113...............................................................
Elenco delle immagini 128.................................................................................................
BIBLIOGRAFIA 130..........................................................
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INTRODUZIONE
Apollo, figlio di Zeus e Latona, era per gli antichi Greci, il detentore dell’Oracolo
di Delfi, il più importante santuario oracolare. Attraverso la Pizia, la sacerdotessa, il dio
emanava i suoi responsi profetici; il luogo era motivo di pellegrinaggio per tutti coloro
desideravano interrogare Apollo sul futuro.
L’oracolo di Delfi non appartenne ad Apollo fin dall’origine; a presiedere il sacro
tripode delfico, dal quale si dispensavano gli oracoli, era la dea Gea, la madre terra, la
quale aveva messo a guardia del tempio sacro uno dei suoi figli, il serpente Pitone.
Quest’ultimo fu incaricato da Era, la regina di tutti gli dei, di perseguitare Latona, la
quale unendosi con Zeus, era rimasta gravida di due gemelli. L’ira della dea era tanto
grande da aver lanciato contro di lei una maledizione, per la quale nessun luogo sulla
terra avrebbe accolto la donna per dare alla luce i suoi figli. Grazie all’aiuto di Zeus e
del fratello Poseidone, Latona fu nascosta sull’isola di Ortigia , che, dopo aver ospitato 1
la donna, fu sommersa dalle onde del mare. Pitone, stanco di cercarla, tornò alla sacra
sede oracolare; lì fu raggiunto da Apollo, pronto a vendicare la madre per i torti subiti.
Apollo, armato di frecce ed arco, doni ricevuti da Efesto subito dopo la sua nascita, si
recò presso il santuario di Delfi e sconfisse il serpente Pitone. Il luogo dello scontro,
risoltosi con la presa di possesso della sede oracolare da parte di Apollo, fu segnato
attraverso una pietra ovale, l’onphalos, che, secondo la leggenda, fu poi rivestito della
pelle di Pitone.
Il mito di Apollo e Pitone fu anche il mito di fondazione dei celebri giochi Pitici,
festa nazionale religiosa che si svolgeva ogni quattro anni nel teatro di Delfi, in onore di
Apollo Pizio. Importanti tanto quanto quelle olimpioniche, le gare furono istituite da
Apollo, sotto ordine della dea Gea, offesa per l’oltraggio subito dal dio per aver ucciso e
spodestato il figlio Pitone.
L’isola di Ortigia acquisì nome di Delo dopo la nascita di Apollo e Artemide.1
!3
Questa tesi intende indagare l’evoluzione del mito nel corso dal tempo attraverso
uno studio iconografico e iconologico atto a permettere al fruitore delle opere, non solo
di rilevarne il contenuto narrativo, ma anche di comprendere le cause che hanno
condotto gli artisti a scegliere una determinata forma artistica. Questa tipologia di studio
non può esimersi dal considerare il materiale letterario di riferimento al mito, supporto
fondamentale dell’artista che intenda dedicarsi a soggetti provenienti dalla cultura
classica mitologica. A tal proposito, il primo capitolo è interamente dedicato alle fonti
letterarie, dall’antichità sino al Rinascimento.
La storia di Apollo e Pitone, in epoca classica, sarà fondamentale, da un punto di
vista antropologico e culturale, per risalire alla storia d’origine del santuario di Delfi, il
luogo sacro per eccellenza in Grecia, tanto importante da essere stato considerato dal
popolo greco, il centro della Terra.
Nel medioevo e Rinascimento, il mito sarà, tuttavia, spogliato della sua accezione
“delfica”, dal momento in cui la versione di riferimento del mito diventerà quella
presente nelle Metamorfosi di Ovidio, il quale scelse di non menzionare la contesa per
l’oracolo di Delfi.
Lo studio delle fonti medievali e rinascimentali ha permesso di rilevare il modo in
cui i nuovi autori, hanno raccolto il sapere antico, sottoponendo, talvolta, il contenuto
mitologico ad una lettura interpretativa, allegorica e religiosa-cristiana. In questo modo
il mito greco si attualizzò, permettendone una costante diffusione nel corso della storia.
Gli studi di Bodo Guthmuller hanno permesso di comprendere la maniera 2
attraverso la quale gli autori moderni hanno scelto di trattare l’opera ovidiana. Lo
studioso ha rilevato i testi di diffusione delle Metamorfosi, indagando le motivazioni
che hanno portato a considerate Ovidio, non solo una fonte enciclopedica della
mitologia antica, ma anche un modello di riferimento etico e morale.
Il secondo capitolo è stato dedicato alla raccolta delle opere artistiche inerenti al
mito di Apollo e Pitone, a partire dal V sec. a.C. sino al tardo Seicento. Il catalogo,
Guthmuller B., Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel Rinascimento, Bulzoni Editore, 2
Roma 1997.
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ordinato cronologicamente, mostra le varianti del mito da un punto di vista
iconografico. Per lo studio artistico del mito nell’antichità è stato di particolare aiuto il
testo di Joseph Fontenrose , il quale ha condotto una ricerca puntuale ed elaborata sulla 3
figura di Pitone, rilevando le fonti antiche di riferimento per illustrare il mito. Le opere
classiche sono state individuate attraverso il Lexicon Iconographicum Mythologiae
Classicae , fornendo non solo un catalogo ma anche una ricca bibliografia di 4
riferimento.
A partire dal medioevo si andrà fissando una forma definitiva di rappresentazione
che, come noteremo, non subirà rilevanti cambiamenti fino al Rinascimento. Le
interpretazioni allegoriche associate al mito non saranno, nella maggior parte, rilevabili
attraverso l’immagine; si andranno però inserendo nuovi elementi iconografici, del tutto
assenti nel repertorio delle opere antiche, di derivazione specificatamente ovidiana.
Nel terzo capitolo vengono rilevati i fondamentali cambiamenti riscontrati tra
l’antichità sino al Rinascimento alla luce degli elementi figurativi introdotti nella
rappresentazione del mito. È stato realizzato un piccolo approfondimento sul mito di
Apollo e Pitone in relazione a quello di Apollo e Dafne incentrandosi sulla figura di
Amore, elemento di comunione tra le due favole.
Un ulteriore approfondimento è stato inoltre dedicato al mito egiziano di Apep e Ra
che, secondo quanto rileva Fontenrose, è associabile al mito di Apollo e Pitone. Lo
studioso dedica un intero capitolo alla diffusione del mito in Oriente, in particolare in
Egitto, riscontrando forte analogie tra la concezione greca ed egiziana di intendere le
divinità solari ed il ruolo da loro assunto nella realtà religiosa.
Lo scopo di questa tesi, dunque, si rivela essere quello di osservare l’opera artistica
prelevandone, in primis, il contenuto narrativo ed associandolo ad una fonte letteraria di
riferimento. In seconda istanza si è tentato un approccio iconologico: l’immagine viene
“interpretata” nel tentativo di rilevare le intenzioni dell’artista il quale, inserendo o
eliminando elementi figurativi, ci “racconta” come il mito è stato da lui inteso. I
Fontenrose J., Python: a study of delphic myth and its origins, Berkeley, University of California Press, 3
Los Angeles, Londra 1959.
Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, vol. II, Artemis, Zurigo 1984-1994.4
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personaggi, seppure sempre gli stessi, assumono il carattere che l’artista ha scelto di
attribuirgli, secondo una sua personale idea, un suo specifico modo di leggere la storia.
Alcune opere sono state quindi sottoposte ad uno sguardo, non solo descrittivo, ma
anche “interpretativo”. Il nostro studio propone, quindi, di considerare il ruolo
dell’immagine come testimonianza preziosa per afferrare il modo di fruire la realtà da
parte dell’individuo, ad uno stadio interiore e personale. Essa smette di essere semplice
“illustrazione” del testo scritto, acquisendo un ruolo primario per lo studio della storia;
il testo letterario, in questo senso, diventa un supporto del fenomeno artistico, poiché
grazie ad esso è possibile comprendere efficacemente le dinamiche nascoste dietro ad
ogni manifestazione artistica.
La storia dell’arte, in tal senso, è strumento scientifico poiché permette di penetrare
all’interno delle diverse realtà culturali rilevando quelle che sono le tendenze, i pensieri,
gli stati d’animo, le sicurezze, i valori che albergano nello spirito dell’uomo di ogni
epoca.
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1. FONTI LETTERARIE DEL MITO DI APOLLO E PITONE
1.1 FONTI CLASSICHE
Il mito di Apollo e Pitone narra del combattimento tra il dio del sole ed il serpente
Pitone, figlio di Gea , per il possesso dell’Oracolo di Delfi. Poco dopo la sua nascita 5
sull’isola di Delo, Apollo, figlio di Latona, partì per il Monte Parnaso dove viveva
Pitone, guardiano del sacro oracolo. Il dio si scagliò contro il serpente, uccidendolo a
colpi di frecce, e prendendo possesso della sede oracolare. Gea, oltraggiata, domandò a
Zeus, padre degli dei, di renderle giustizia per il torto subìto da Apollo; a questi fu
ordinato non soltanto di purificarsi, ma d’istituire i giochi Pitici in onore di Pitone . 6
Il santuario di Delfi era luogo particolarmente sacro, fu considerato “l’utero della
Terra” , motivo per il quale alcuni autori antichi lo ritenevano un luogo antico quanto il 7
mondo. Il dio, a seguito della presa di possesso della sede oracolare, dispensava i suoi
oracoli attraverso la Pizia, una sacerdotessa vergine, la quale sedeva sul tripode delfico.
Il cambio di successione da Gea ad Apollo comporta l’instaurazione di un nuovo ordine
cosmico: Apollo attua un’operazione di bonifica della regione, mediante l’uccisione del
serpente Pitone (dal quale discende il nome della Pizia) ed acquisisce poteri oracolari
offerti a lui da Zeus, il dio sovrano del pantheon greco . 8
Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, ad vocem Python, vol. VII, p. 609.5
Il soprannome di Apollo Pizio deriva dalla lotta contro Pitone. 6
Euripide, Ifigenia in Tauride, vv. 1246-1248: “O Febo, mettesti il piede sul divino oracolo ed ora siede 7
sull’aureo tripode, sul trono veritierao dispensando vaticini d’oracoli ai mortali dai penetrali, vicino alla fonte Castalda, occupando il centro della Terra”.
Fontenrose J., The delphic oracle: its responses and operations with a catalogue of responses, Berkeley, 8
University of California Press, London, Los Angeles, 1978, p. 204.
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La versione più antica del mito, del VII-VI sec. a.C., è quella raccontata nell’Inno
Omerico ad Apollo Pizio celebrato per aver ucciso a colpi di frecce il mostro “che molti
mali recava agli uomini” . 9
La storia racconta che Apollo, poco dopo la sua nascita sull'isola di Delo, partì alla
ricerca di un luogo dove fondare un suo oracolo. Inizialmente scelse Aliarto, antica città
della Beozia, ma venne persuaso dalla ninfa Telphusa che vi viveva, la quale gli
consigliò di raggiungere il monte Parnaso. Durante la fondazione del suo tempio, il dio
si imbatté nella terribile dragonessa, Delfine, una creatura mostruosa, tormento dei
popoli che vivevano in quei luoghi. Omero racconta anche che presso la dragonessa
viveva Tifone, figlio di Hera, la quale per far dispetto a Zeus, che aveva concepito Atena
dalla sua testa, decise di concepire un figlio senza l'aiuto maschile. Tifone, creatura
mostruosa, venne affidato dalla dea alla dragonessa . 10
Il mostro fu lasciato imputridire sotto i raggi del sole, nel luogo che fu chiamato per
questo Pito, dal verbo greco pythèin (“imputridire”) . Omero ci offre la prima notizia 11
riguardo l'etimologia del nome del serpente, il quale, in questo caso è presentato come
un creatura femminile, la dragonessa, la quale è stata anche confusa con Echidna , una 12
donna bellissima con coda di serpente, figlia di Ceto e Forcio, e sorella di Ladone . 13
In linea con la tradizione omerica, solo Nonno di Panopoli , nel V sec. d.C., 14
raccontando il mito, non fa menzione di Pitone, ed associa il mostro ad un essere
femminile, Delfine, anche considerata dalla tradizione la compagna di Pitone.
Il temibile nemico di Apollo acquisirà sesso maschile a partire da un frammento di
Omero Minore, Inni Omerici, III, vv. 168-190; 115-121.9
In occasione del combattimento tra Apollo e Pitone, Omero dedica diverse righe alla storia di Tifone, il 10
quale non sarà più menzionato se non nel discorso di trionfo fatto dal dio dopo aver vinto la dragonessa.
Omero Min, Inni, III, vv. 188-190: ,“e dove cadde, quivi la forza divina del sole imputridir lo fece: 11
onde or detto Pito è quel luogo, e Pizio detto fu dell’arco il Signore: ché quivi putrido rese il mostro la forza rovente del sole”.
Echidna viveva nella caverna della Cilicia, presso il paese degli Arimi. Secondo la leggenda, aveva 12
l’abitudine di mangiare gli uomini e fu in sposa a Tifone, dalla quale unione nacquero mostri orrendi, tra cui l’Idra di Lerna, la Chimera e Orione con il quale giacque, generando la Sfinge e il Leone Nemeo.
Ladone era il serpente oracolare che custodiva le mele d’oro nel giardini delle Esperidi, per 13
approfondimenti: Graves R., I miti greci, Longanesi & co, Milano 1987, 33.e., p. 113.
Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, II, 13, 28.14
!8
Simonide , riportato da Giuliano l’Apostata, che narra il combattimento tra Apollo ed il 15
serpente, il quale trova, per la prima volta, l’appellativo Pitone. Simonide menziona
l’episodio allo scopo di spiegare uno tra gli epiteti dati al dio, Apollo Hekateros, cento
missili, poiché secondo questa versione, egli avrebbe ucciso il serpente a colpi di cento
frecce . 16
Nel IV sec. a.C., Euripide, nella sua Ifigenia in Tauride , fissa quella che sarà 17
considerata la versione tradizionale del mito . Il poeta narra che Apollo, poco dopo la 18
sua nascita, si reca sulla vetta del Monte Parnaso, insieme alla madre Latona,
imbattendosi nell’enorme serpente arrotolato intorno all’oracolo. Il dio, bambino ancora
in fasce, scaglia le sue frecce contro il mostro dalle braccia della stessa madre,
prendendo possesso dell’aureo tripode, il trono sacro dal quale si dispensavano gli
oracoli. Questa versione trova un confronto iconografico in un lèkythos a figure nere su
sfondo bianco, del V sec. a. C., dunque un secolo prima che Euripide concepisse la sua
tragedia. La rappresentazione mostra infatti il piccolo Apollo in braccio a Latona in
procinto di uccidere il serpente . 19
In Igino Apollo uccide Pitone allo scopo di vendicare la madre, la quale era stata 20
perseguitata dal serpente prima della sua nascita, poiché quest’ultimo aveva previsto che
sarebbe stato spodestato da uno dei figli di Latona, concepiti dall’unione con Giove.
Giove, padre dei bambini, ordina al fratello Nettuno di prendersi cura della donna, ma il
dio del mare, spaventato dall’ira di Giunone, venuta a conoscenza del tradimento del
marito, nasconde Latona sull’isola di Ortigia che viene sommersa dalle onde. Giunone,
infatti, aveva scagliato contro la donna una maledizione: ella avrebbe partorito in un
luogo mai illuminato dal sole. Quando il serpente, stanco di cercarla, torna sul monte
Simonide, Frammento 173, da Lettere di Giuliano.15
Fontenrose J., Python: a study of Delphic myth and its origins, Berkeley, University of California Press, 16
London, Los Angeles 1959, p. 15.
Euripide, Ifigenia in Tauride, vv. 1239-1248.17
LIMC, ad vocem Python, p. 609.18
vedi scheda n. 3, p. 2919
Igino, Favole, 53.20
!9
Parnaso, Nettuno riporta l’isola alla superficie, e Latona, abbracciando un ulivo,
partorisce Apollo e Artemide, ai quali vengono dati in dono da parte di Vulcano, delle
frecce, le stesse grazie alle quali Pitone sarà sconfitto.
Igino riporta anche il mito che racconta l’istituzione delle famose Gare Pitiche,
successive per importanza solo alle Olimpie, che ebbero luogo per la prima volta nel
590 ca a.C., anno in cui la città dell’Ansfizionia vinse la città di Cirra, durante la prima
guerra sacra. I giochi si svolgevano nello stadio e nel teatro di Delfi ogni quattro anni,
comprendendo gare atletiche oltre che musicali, poetiche ed oratorie . In occasione 21
della morte di Pitone fu istituita un’altra ricorrenza della quale ci rende nota Plutarco : 22
la festa del Setterione che aveva luogo esclusivamente a Delfi e consisteva in una
rappresentazione teatrale della lotta tra Apollo e Pitone.
Nello studio della mitologia antica l’opera che più di qualsiasi altra ha avuto
fortuna, sopravvivendo al tramonto della civiltà pagana e divenendo non solo oggetto di
studio letterario ma esercitando un fascino tale da ispirare manifestazioni artistiche di
ogni genere, sono Le Metamorfosi di Publio Ovidio Nasone del I sec. d.C.. Il poema
risulta essere un compendio ricchissimo di tutti i miti greci, legati attraverso un rapporto
di continuità temporale e spaziale. Ciascuna favola raccontata da Ovidio offre elementi
narrativi che conducono alla messa in atto della favola successiva. Nonostante ogni mito
possa venir facilmente isolato, divenendo un’entità unica, in sé conclusa, Ovidio ha
generato un tessuto continuo, unificato, per il quale ogni mito dipende da quello appena
precedente . Questa unica caratteristica permette di considerare il poema ovidiano 23
come se si trovasse in uno stato di continuo movimento: tutto vive in un continuo stato
di trasformazione, destinato a diventar qualcos’altro. Uomini e dei subiscono
metamorfosi di ogni genere, a partire dalla mutazione in animale o in elemento vegetale.
Il processo di trasformazione porta ad una disumanizzazione di colui o colei che la
subisce, ma, al tempo stesso, conduce ad una umanizzazione dell’animale o dell’oggetto
La fondazione dei giochi Pitici è menzionata in altre fonti due fonti, Ovidio e Stazio (I sec. d.C.), i quali 21
narrano che Apollo istituì i giochi per onorare la vittoria sul serpente e commemorare l’eroica impresa.
Plutarco, Opere Morali, Eziologia Greca, 12.22
Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, a cura di Piero Bernardini Marzolla, Einaudi editore, Torino 2005, 23
p. XVIII.
!10
in cui si trasforma. Così, ad esempio, l’albero di alloro contiene in sé vivo lo spirito
della bella Dafne, tanto amata da Apollo che farà di quell’albero il simbolo della sua
grandezza. Ovidio è al corrente della falsità del mito: non lo racconta per legittimare la
realtà, sembra piuttosto volersi rifugiare nella fantasia in un momento storico che
vedeva tramontare il paganesimo, dalle quali ceneri avrebbe preso vita il
Cristianesimo . Scoraggiato dalla brutalità della realtà, l’autore latino sembra voler 24
naufragare nel fantastico mondo dell’inverosimile, permettendo ai lettori contemporanei
e futuri di poter far tesoro delle meraviglie contenute nella letteratura greca.
Ma Ovidio non sembra farsi illudere dal carattere fantastico. Egli è infatti
profondamente consapevole che lo spirito umano è facilmente corruttibile, capace di
grandi azioni quanto di terribili. L’uomo è messo in luce nelle sue molteplici
sfaccettature; tutti i personaggi, sebbene alcuni incarnino ideali di virtù, sono colpevoli
di azioni immorali. Ne è un esempio proprio la favola di Apollo e Pitone, laddove
Apollo nonostante si sia prodigato per il bene dell’umanità, uccidendo il mostro Pitone,
è soggiogato dalla superbia e dalla vanità, ed è per questo punito.
La favola è collocata nel primo libro, successivamente al diluvio ed alla rinascita
del pianeta, grazie all’intervento di Deucalione e Pirra . 25
Quando dunque la terra, tutta fangosa per il recente
diluvio, si riasciugò al benefico calore dell’astro celeste,
partorì un’infinità di specie e in parte riprodusse le forme
di una volta, in parte creò mostri sconosciuti.
Certo essa non avrebbe voluto, eppure allora generò anche
te, immenso Pitone, serpente mai visto prima, che
divenisti il terrore dei popoli rinati: per tanto spazio ti
distendevi calando dal monte!
Febo, il dio che porta l’arco ma che fino ad allora si era
Publio Ovidio Nasone, Metamorfosi, a cura di Piero Bernardini Marzolla, Einaudi editore, Torino 2005, 24
p. XIX.
Ovidio, Met., I, vv. 251-434.25
!11
servito di quell’arma soltanto contro i cerbiatti e i caprioli
che scappano, uccise quest’essere, ma dovette seppellirlo
sotto mille frecce e svuotare quasi la faretra, prima che
morisse in un lago di sangue velenoso uscito dalle nere
ferite. E perché il tempo non potesse cancellarne la
memoria della gloriosa impresa, istituì le solenni gare
chiamate Pitiche, dal nome del serpente vinto . 26
Notiamo come Ovidio non s’inscriva nella tradizione che vede Apollo e Pitone in
lotta per contendersi l’Oracolo di Delfi; non è dunque ben chiaro, perché, nella versione
Ovidiana, Apollo si scagli contro il serpente . La storia però, nonostante sia trattata 27
piuttosto superficialmente, è indispensabile per dar vita al mito che segue subito dopo, e
che vede protagonisti Apollo e Dafne. Poco dopo aver ucciso il serpente, Apollo
s’imbatte in Cupido, Eros, figlio di Venere, il fanciullo che, scoccando le sue frecce,
aveva il potere di far innamorare tra loro uomini e dei. Apollo, inorgoglito dalla recente
vittoria contro il mostro Pitone, si prende gioco di Eros, schernendolo di non essere
bravo nell’uso dell’arco e delle frecce. Eros, per vendicare l’offesa ricevuta, fa
innamorare Apollo della ninfa Dafne, la quale pur di respingerlo, si fa trasformare in
albero di alloro. Apollo, inseguendola, tenta di convincerla a fermarsi, le ricorda che sta
rifiutando l’amore di un dio, il “signore della terra di Delfi”, il figlio di Giove, maestro
imbattibile nell’uso della lira. E nonostante le sue doti da arciere siano infallibili;
nonostante egli sia, non solo il dio della musica, della divinazione, della poesia, il
signore della medicina, la freccia che lo ha reso schiavo dell’amore per la ninfa è stata
Ovidio, Met., I, vv. 434-447.26
Ovidio, nonostante non riconduca il mito alla contesa per ottenere l’oracolo di Delfi, riconosce in 27
Apollo doti oracolari: infatti, quando il dio cade innamorato della ninfa Dafne, Ovidio afferma che nonostante Apollo sia il dio degli oracoli, egli, spinto dalla vana speranza di conquistare la ninfa, è incapace di prevedere che non potrà mai coronare il suo sogno d’amore (I, 490-491: Febo è innamorato e brama di unirsi a lei, e in quello che brama ci spera, benché si sbagli, proprio lui che è il dio degli oracoli).
!12
potente a tal punto da non ammettere rimedi . 28
Tradizionalmente il mito di Apollo e Dafne era ambientato in Arcadia o Laconia, e
quello di Apollo e Pitone sul monte Parnaso; Ovidio situa le due vicende in Tessaglia. In
questa regione si trova la Valle di Tempe, situata tra il Monte Olimpo a nord e il Monte
Ossa a sud, luogo sacro ad Apollo e le Muse, presso il quale, secondo Plutarco , Apollo 29
si rifugiò dopo il combattimento per espiare l’uccisione del serpente.
Altri autori narrano dei riti di purificazione compiuti da Apollo dopo il
combattimento. Il primo a parlarne è Stazio , il quale racconta che il dio, dopo aver 30
compiuto l’impresa, si recò presso il re Crotopo, re di Argo, per purificarsi prima di
tornare al Monte Olimpo. Plutarco , invece, riporta che secondo quanto sostenevano i 31
teologi di Delfi, Apollo fuggì verso i confini della Grecia per far ammenda allo scopo di
evitare che lo spirito di demoni cattivi potesse tentare di vendicare la morte della bestia.
Infine Pausania spiega che, non solo Apollo, ma anche la sorella Artemide fu partecipe 32
al combattimento. I fratelli, dopo il combattimento, dovettero recarsi presso Egialea per
purificarsi e per questa ragione venne istituito il culto di Peitho, che consisteva in una
processione durante la quale le statue dei gemelli venivano portate presso il santuario.
Pausania è l’unico autore a citare Artemide come complice del fratello nella lotta
contro il serpente. Sappiamo che la dea della caccia partecipò con il fratello
all’uccisione di un altro essere mostruoso, il gigante Tizio, il quale tentò di violentare la
madre Latona a Delfi e per questo fu condannato ad una terribile tortura nel regno 33
dell’Ade: il suo corpo fu immobilizzato a terra affinché due aquile divorassero il suo
Ovidio, Met., I, vv. 521-524: «la medicina l’ho inventata io, e in tutto il mondo mi chiamano guaritore 28
ed ho in mano i poteri delle erbe. Ahimè, però,che non c’è erba che guarisca l’amore, e la scienza che giova a tutti non giova al suo signore!».
Plutarco, Opere Morali, Eziologia Greca, 12.29
Stazio, La Tebaide, I, vv. 561-568.30
Plutarco, Moralia, Sul tramonto degli Oracoli, 15.31
Pausania, 2, 7, 7.32
Graves R., I miti greci, Longanesi & c., Milano 1987, 21.d, p. 6633
!13
fegato per l’eternità . Notizie di Tizio sono riportate da Strabone , che lo descrive 34 35
come un uomo violento che abitava presso Panopeus, città delle Focide, ai confini della
Beozia. Apollo, il quale stava percorrendo la terra allo scopo di civilizzare il genere
umano, ritrovatosi a Panopeus uccide Tizio, liberando così gli abitanti della città
dall’autorità del perfido uomo. La fama di Apollo si diffonde in tutta la Grecia, ed egli
viene chiamato in aiuto dagli abitanti del Monte Parnaso, i quali erano perseguitati da
Pitone, presentato non come un serpente, bensì come un uomo malvagio
soprannominato il Dragone.
Fontenrose, 1959, p. 22.34
Strabone, Geografia, IX, 3, 12.35
!14
1.2 FONTI MEDIEVALI
I mitografi tardo-antichi e medievali svolgono un ruolo di cardinale importanza
per la sopravvivenza del mito nel corso della storia. Essi si sono cimentati nella
trascrizione della mitologia antica attingendo direttamente dai più importanti
mitografi antichi, Igino e Pseudo-Apollodoro, celebri per aver composto due opere,
rispettivamente le Fabulae e la Biblioteca, nelle quali è raccolta l’intera tradizione
classica antica. Queste due opere furono un riferimento importante per il lavoro dei
due grandi Mitografi tardo-antichi e medievali: Fulgenzio, il quale compose il
Mythologiarum Libri Tres, una raccolta di racconti mitologici resi in chiave
allegorica e Lattanzio Placido il quale scrisse le Narrationes Fabularum
Ovidianarum, un compendio delle favole raccolte nelle Metamorfosi di Ovidio.
Nell’ambito della letteratura mitografica rivestirono fondamentale importanza i
cosiddetti Mitografi Vaticani, una raccolta di tre scritti che devono il loro nome al
lavoro di Angelo Mai, il quale, nel 1831, si occupò della loro pubblicazione,
basandosi sui codici vaticani (Reg. lat. 1401 e Vat. lat. 8742).
A partire dal XII sec. l’autore di riferimento per il recupero della letteratura
classica divenne Ovidio. La sua celebre opera, Le Metamorfosi, ebbe particolare
fortuna e gli autori medievali vi si dedicarono allo scopo di interpretarne i miti da un
punto di vista morale ed etico, in linea con il nuovo credo cristiano. L’influenza delle
Metamorfosi si esercitò in ambito letterario così come in quello artistico e perdurò
fino alle fine del XVII sec.
Il primo mitografo a trattare il mito di Apollo e Pitone fu Fulgenzio . Apollo, 36
personificazione del sole, è presentato come colui in grado di vedere passato,
presente e futuro; i suoi raggi sono paragonati ai raggi solari e la luce emanata
Fulgenzio, Mythologiarum Libri Tres, I, 17.36
!15
allontanando le tenebre si fa portatrice di verità e chiarezza. Pitone, in quanto
manifestazione del regno dell’oscurità è da quelle stesse frecce ucciso. Ci è noto
come il serpente, nel mondo cristiano, acquisisca una forte accezione negativa a
partire dal racconto biblico della Genesi, quando riveste i panni del diavolo tentatore,
corrompendo Adamo ed Eva a mangiare il frutto della conoscenza. A partire dal
peccato originale i rapporti tra Dio e gli uomini subiscono una rottura, che sarà
risanata grazie la venuta di Cristo, il quale redimerà il genere umano morendo sulla
croce. In questo senso, la figura di Apollo, dio del sole, trova analogie con quella di
Cristo; ci è noto infatti che a partire dal V sec. gli artisti cristiani che intendono
rappresentare la vittoria di Cristo sul peccato usano raffigurare Cristo che trafigge un
serpente con la lancia . 37
In Lattanzio Placido la storia di Apollo e Pitone è menzionata a proposito 38
dell’istituzione dei famosi Giochi Pitici.
La notizia sui giochi Pitici sarà successivamente trattata nell’Ovide Moralisé, nel
XIV sec., e nell’opera di Giovanni de’ Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos Vulgare,
la prima traduzione in italiano volgare delle Metamorfosi.
Tutti e tre i Mitografi Vaticani riconducono la morte di Pitone per mano di
Apollo ai maltrattamenti che Latona subì dal serpente durante la gravidanza dei
gemelli, rifacendosi alla versione del mito presente nelle Fabulae di Igino.
Il primo riporta la storia di Apollo e Pitone allo scopo di raccontare la nascita 39
dei gemelli, Apollo e Artemide, sull’isola di Ortigia, ed arricchisce la narrazione
citando il mito della creazione dell’isola: Asteria, dea figlia di Ceo e Febe, sorella di
Latona, fu oggetto di desiderio di Giove. Per sfuggirgli la dea si trasformò in quaglia,
ma durante la fuga precipitò nell’Egeo. Giove, addolorato, muta Asteria in un’isola,
chiamandola Ortigia, che letteralmente significa “isola delle quaglie”. Quando
Latona, gravida di Apollo e Artemide, vagava per la terra in cerca di un luogo dove
Per approfondimenti vedi Il dizionario dei simboli cristiani di Edouard Urech, p. 227.37
Lattanzio Placido, Narrationes Fabulatum Ovidianarum, I, 8.38
Mitografo Vaticano I, Scriptores rerum muthicarum latini tres Romae nuper reperti, I, 37.39
!16
partorire, perseguitata dal serpente Pitone che voleva ucciderla, viene condotta da
Giove sull’isola dove partorisce prima Artemide, poi Apollo, Quest’ultimo, appena
dopo la sua nascita, vendica la madre per i torti subiti, scagliandosi contro Pitone.
Allegoricamente il mito il mito di Apollo e Pitone, verrà interpretato considerando
Pitone una forza del male, simbolo del vizio e del delitto, ed Apollo la
rappresentazione della ragione e della sapienza.
Il primo autore che si dedicò alle Metamorfosi di Ovidio ponendocelo in chiave
allegorica fu Arnolfo D’Orleans, il quale compose nel 1175 le Allegoriae super
Ovidii Metamorphosen,“il più importante commento allegorico delle Metamorfosi
dell’età ovidiana” . In quest’opera le favole furono studiate allo scopo di svelarne un 40
significato morale: Arnolfo intendeva la metamorfosi fisica alla quale i personaggi
sono soggetti come, in primis, una metamorfosi dello spirito, una discesa verso uno
stadio più basso, lo stadio animale. Il primo ad intendere il concetto di mutatio in
questo senso fu Boezio, filosofo e letterato romano, nella sua Consolatio
Philosophiae, composta tra il 523 e il 525, il quale aveva sviluppato l’idea che cadere
nel peccato comportava necessariamente una perdita d’umanità, riducendo l’uomo ad
uno stato bestiale . Apollo sconfigge Pitone, e così facendo rende gloria alla 41
sapienza divina, schiacciando il simbolo del vizio. Il poeta non si limita a celebrare 42
il dio del sole ma va avanti, introducendo l’episodio che segue la battaglia tra Apollo
e Pitone e che vede protagonisti Apollo e Cupido, il quale offeso dall’arroganza del
dio, decide di punirlo facendolo innamorare perdutamente della ninfa Dafne. Apollo,
aggiunge, è saggio quanto superbo poiché cade preda del desiderio amoroso
rinunciando per questo all’amore per Dio.
Lo stesso significato ci viene fornito da Giovanni di Garlandia, che scrive nel
1234, l’Integumenta Ovidii, altro studio allegorico-esegetico sulle Metamorfosi:
B. Guthmuller B., Mito, Poesia, Arte, Bulzoni Editore, Roma 1997, p. 25.40
Ibidem, p. 26.41
Arnolfo D’Orleans, Allegoriae super Ovidii Metamorphosen, 8.42
!17
Apollo uccidendo Pitone proclama la fine della malignità e, dunque, la vittoria della
sapienza.
La duplice natura di Apollo, simbolo tanto della virtù quanto del vizio, sarà
tematica trattata nuovamente dagli autori medievali a partire da Giovanni del
Virgilio, professore universitario attivo all’università di Bologna nel primo ventennio
del Trecento, il quale tra il 1322 ed il 1323 espose due lezioni universitarie sulle
Metamorfosi di Ovidio, l’ Expositio e le Allegoriae, che furono tradotte in volgare da
Giovanni dei Bonsignori di città di Castello tra il 1375 e il 1377 . 43
Nelle Allegoriae Librorum Ovidii Metamorphoseos, opera stampata in lingua
originale latina solo nel 1933 dal Ghisalberti in appendice al suo lavoro Giovanni del
Virgilio espositore delle “Metamorfosi” , i due personaggi, Pitone e Apollo, sono 44
nuovamente intesi simbolicamente, l’uno come qualunque inganno e crimine
mondano, l’altro come saggezza, la quale però, a sua volta, soccombe alla forza di
Eros. La storia di Apollo e Pitone, alla quale segue quella di Apollo e Dafne, pone
l’accento sulla caducità della natura umana, la quale seppur dotata di ragione, cade
vittima delle passioni animali e terrene. Persino Apollo, dio di tutte le arti, simbolo
dell’eleganza, della grazia, della virtù, è soggiogato dalla passione amorosa . Il suo 45
amore per Dafne lo rende folle, le corre dietro senza tregua, non riesce ad arrendersi
alla brama di possederla; la ninfa gli sfugge, gli si nega con avversione ma il dio non
le sa rinunciare.
Febo è innamorato; ha visto Dafne e brama di unirsi a lei,
e in quello che brama ci spera, benché si sbagli, proprio lui
che è il dio degli oracoli. E come, levate le spighe, si
bruciano le fragili stoppie, come le siepi si incendiano se
Guthumuller, 1997, p. 65.43
Pubblicate integralmente in appendice a: Ghisalberti F., Giovanni del Virgilio espositore delle 44
“Metamorfosi”, in “Il Giornale Dantesco”, XXXIV, N. S. IV, Annuario Dantesco 1931.
Giovanni del Virgilio, Allegoriae Librorum Ovidii Metamorphoseos, I, 8: “Sed per hoc quod amor 45
trafitti Phebum intelligo quod homosapiens possit fallacias huius mundi interimere”.
!18
per caso un viandante accosta troppo una torcia, o magari
la butta stando ormai per far giorno, così il dio prende
fuoco, così arde dappertutto nel petto, e alimenta con la
speranza uno sterile amore . 46
L’opera di Giovanni del Virgilio sarà un modello per tutti i volgarizzamenti
ovidiani pubblicati fino alla metà del Cinquecento, tra cui in particolare l’opera di
Giovanni dei Bonsignori, l’Ovidio Methamorphoseos vulgare, parafrasi esegetica delle
Allegoriae. redatta tra il 1375 e il 1377, ma stampata più di un secolo dopo a Venezia,
nel 1497, in qualità di prima edizione delle Metamorfosi in lingua italiana. Bonsignori
distingue diversi genere di letteratura, tra cui la “favola”, che appartiene al mondo
poetico, e che contiene in sé due livelli di significato: letterale e allegorico . Il lettore 47
invitato a non lasciarsi ingannare dal significato letterale poiché non solo esso è
inverosimile, ma ha la capacità di poter spingere il credente ad allontanarsi dalla vera
fede, quella cristiana. Per questa ragione non sorprende che il carattere retorico e
stilistico di quest’opera non sia particolarmente curato; l’ornamento poetico
affascinerebbe a tal punto da indurre l’uomo moderno ad una lettura troppo
appassionata.
Bonsignori s’interroga sull’origine della creazione delle divinità pagane, i quali,
risponde, non furono nient’altro che potenti signori idealizzati a tal punto da
considerarli esseri divini. Di conseguenza è bene non prendere alla lettera il processo
di trasformazione sul quale si concentra Ovidio, poiché si tratta di una mutazione
figurata, metaforica. A tal proposito, è bene rendere nota di una particolarità presente
in Bonsignori: la trasformazione non sempre comporta una discesa verso il vizio, e
dunque la perdita della virtù. Questo aspetto lo distingue da autori come d’Orlèans
Ovidio, Metam., I, 490-496.46
Guthumuller, 1997, p. 56.47
!19
che, come abbiamo visto, intende la trasformazione in animale esclusivamente in
senso negativo . 48
L’opera di Bonsignori non consiste in una semplice traduzione del testo latino
ovidiano, quanto piuttosto risulta essere una spiegazione, al punto tale che l’autore si
comporti come un intermediario tra il testo antico ed il nuovo pubblico (parla spesso di
Ovidio in terza persona) allo scopo di non far sentire il lettore estraneo al testo.
Inserisce continuamente elementi tratti dalla realtà dell’epoca, quando parla dei giochi
o dei capi d’abbigliamento, realizzando un lavoro di “attualizzazione” del mito . 49
Nella trattare il mito di Apollo e Pitone, insiste su quanto già detto dal professore
bolognese, considerando metaforicamente Apollo come l’uomo savio e Pitone come
vizio mondano : 50
“non ostante che l’uomo sia molto savio, nondimeno pò cadere in fallo ed in peccato e perciò l’uomo savio non de’ in tutto spregiare altrui feriti dallo stimulo della lussuria, come narra il testo , fu ferito Febo da Cupido.” 51
Subito dopo Bonsignori si dedica al mito di Apollo e Dafne e parlando della nona
trasmutazione, ovvero quella che vede Dafne trasformata in albero d’alloro, si
sofferma ancora sulla figura di Pitone, nato dalla terra, il quale morì consumato dai
raggi del sole. Bonsignori intende dare una spiegazione, non solo allegorica, bensì
naturalistica , intendendo Pitone come rappresentazione dell’umidità ed Apollo come 52
il calore solare. L’umidità evapora grazie all’azione dei raggi solari consentendo
all’aria di purificarsi . 53
L’autore constata che la storia di Apollo e Pitone sia stata inventata dagli antichi
allo scopo di spiegare l’azione del sole che, con il suo calore, asciuga l’umidità.
Guthumuller, 1997, pp. 57-58.48
Guthmuller B., Ovidio Metamorphoseos Vulgare, Cadmo, Firenze 1981.49
Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, I, 26.50
Bonsignori si riferisce al racconto ovidiano.51
Troviamo un’informazione analoga in Boccaccio che scrive 15 anni prima di Bonsignori, vedi p. 13.52
Bonsignori, I, 27: “ perciò che se ‘l caldo del sole non sciucasse la sioperchia umidità, l’aire se 53
corromperie per sì fatto modo che noi cibamo, saria tossico.”
!20
Citando Guthmuller: “i poeti hanno inventato le trasformazioni per abbellire la storia
vera” . L’impresa di Apollo è dunque di fondamentale importanza poiché libera 54
l’umanità da un male che, vestendo le sembianze di un mostro fantastico, rappresenta
un nemico naturale, l’umidità.
L’infallibilità del dio viene meno quando egli si rivela essere incapace di resistere
al desiderio carnale. L’idea dell’amore non sembra avere solo un’accezione negativa
per Bonsignori, ma anzi, il sentimento amoroso è descritto come elemento essenziale
insito nell’idea stessa di perfezione.
“[…] perciò che senza amore niuna cosa se po’ fa perfetta” . 55
Apollo è punito per essersi preso gioco di Eros, per aver sottovalutato la forza
delle sue frecce, potenti abbastanza da sottomettere dei e uomini virtuosi.
Fino ad ora sono state descritte le favole contenute nelle metamorfosi sotto una
luce allegorica e morale frutto dello studio della scolastica medievale; esiste però una
tradizione testuale legata alle Metamorfosi che ha tentato d’interpretare il contenuto
dell’opera ovidiana sotto una luce allegorica-cristiana. In questo senso i due testi più
importanti furono l’Ovide Moralisé e l’Ovidius Moralizatus, che costituirono la
versione francese delle Metamorfosi in età medievale. 56
L’Ovide Moralisé è un poema anonimo scritto tra il 1316 e il 1328 in lingua
francese che ha giocato un ruolo di fondamentale importanza nella letteratura e l’arte
europea tra il XIV e il XV sec. L’opera vanta un’ampia tradizione manoscritta che
presenta ben venti manoscritti completi, un manoscritto perduto e tre frammenti, oltre
che due prose e due incunaboli. Il testo è restato per molto tempo ai margini degli studi
sulla letteratura medievale; nel 1915 ad Amsterdam ne fu redatta un’edizione da
Cornelis De Boer, Ovide Moralisé, Poème du commencement du quotazione siècle, su
modello del manoscritto conservato nella biblioteca municipale di Rouen (Bibl. Mun.,
Guthumuller, 1997, p. 58.54
Bonsignori, I, 27.55
Guthumuller, 1997, p. 48.56
!21
1044 [O.4]), uno dei più antichi, realizzato poco dopo la prima edizione. L’altra copia
manoscritta antica di riferimento è quella di Parigi (Ars., 5069); in entrambi i
manoscritti vengono riportate immagini rappresentative delle favole e delle rispettive
allegorie.
La diffusione dell’Ovide Moralisé ha permesso di comprendere in che modo
Ovidio veniva considerato nel Medioevo; tradurre la sua opera ha consentito una
sopravvivenza delle figure antiche pagane fino al Rinascimento, quando grazie ai
nuovi studi filologici, sono state ripristinate alla loro antica forma, spogliandosi delle
alterazioni subite durante il periodo medievale . Il mito non avrebbe potuto resistere 57
in epoca medievale, se non fosse diventato strumento della dottrina cristiana; tale è il
fine dell’Ovide Moralisé: mettere in valore gli insegnamenti biblici facendo uso della
tradizione pagana.
Il mito di Apollo e Pitone è dunque trattato per la prima volta da un punto di vista
puramente cristiano: Apollo è Cristo stesso, salvatore dell’umanità, il quale combatte
contro il demonio, il serpente Pitone, allo scopo di redimerci dal peccato originale.
L’altro testo medievale che ci fornisce una lettura allegorica cristiana è l’Ovidius
Moralizatus, dal monaco benedettino Petrus Berchorius, realizzato tra il 1342 e il 1350
e data alle stampe nel 1509 con il titolo integrale Metamorphosis ovidiana moralite
explanata . 58
Berchorius non attinge esclusivamente dai miti presenti nelle Metamorfosi, ma ne
aggiunge degli altri ripresi dalla tradizione mitografica. La sua opera si inserisce nella
tradizione dell’esegesi biblica piuttosto che quella mitografica o grammatica, con lo
scopo di “cristianizzare” la morale contenuta nelle favole antiche. La letteratura
pagana è così volutamente spogliata dalla voluntas auctoris originaria.
Un altro celebre autore medievale dedicatosi allo studio della letteratura classica
fu Giovanni Boccaccio, il quale nel 1360 compose la Genealogia Deorum Gentiulium,
Capelli R., Allegoria di un mito: Tiresia nell’Ovide Moralisé, Edizione Fiorini, Verona 2012, p. 6.57
Guthumuller, 1997, p. 47.58
!22
opera in quindici libri consacrata all’origine e la discendenza degli dei pagani. Anche
Boccaccio propone una spiegazione metaforica tanto dei personaggi mitologici quanto
delle favole a loro associate. L’opera fu stampata per la prima volta nel 1472, più di
cento anni dopo la sua composizione commissionata nel 1347 dal Re di Cipro.
A differenza di Berchorius, il quale considerava il mito come elemento parte di
un’enciclopedia universale, Boccaccio dà molta più importanza al sapere mitografico
antico; nella dedica all’opera tradisce una certa nostalgia dell’antico, rendendo nota
del suo desiderio di recuperarne la tradizione, realizzando un’opera che ricomponga la
letteratura classica. La poesia mitica contiene in sé un profondo significato ed un
carattere filosofico che gli legittima la sua appartenenza alla “theologia physica”, per
la quale si intende la filosofia naturale. Il mito, dunque, si avvale di tre diversi sensi: il
“naturalis”, “moralis” e “historicus”. Boccaccio è interessato a comprendere e
valorizzare l’intenzione dell’autore antico , poiché è ben consapevole che la realtà 59
antica non può realmente mischiarsi con quella moderna; ciò non significa che la
cultura antica, in quanto riflesso di una religione non ancora illuminata dalla
rivelazione cristiana, debba essere disdegnata dal lettore moderno, che, anzi, deve
essere stimolato a riconoscere che l’uomo antico possiede prudentia e mundana
sapientia; per questo il cristiano può trarre benefici dalla lettura dell’antico e tuttavia
mantenere vivo e forte il proprio credo religioso.
Pitone ci viene presentato per la prima volta nel primo libro, in qualità di settimo
figlio di Demorgorgone, divinità principio di tutte le cose ; per Pitone si intende il 60
sole e tale è il suo nome per “haversi acquistato tal nome dal serpente Phitone da lui
amazzato”.
Boccaccio cita nuovamente Pitone nel quarto libro , al momento di parlare della 61
figura di Latona, a causa della quale si anima la lotta tra Apollo e Pitone. Dopo aver
Abbiamo visto come in Berchorius, ad esempio, la volontà dell’autore antico perde tutta la sua 59
importanza, ed anzi viene eliminata allo scopo di fare del mito uno strumento biblico.
Giovanni Boccaccio, Geneologia degli Dei. I quindeci libri di M. Giovanni Boccaccio sopra la origine 60
et discendenza di tutti gli Dei de’ gentili, con la spositione et sensi allegorici delle favole, et con la dichiaratione dell’historie appartenenti a detta materia, a cura di Da Bassano G.B., Venezia 1547, I.
Ibidem, IV.61
!23
raccontato della nascita dei gemelli sull’isola di Ortigia, che a seguito
dell’avvenimento muterà nome in Delo, Boccaccio tenta di restituirci una spiegazione
plausibile riguardo il mito raccontandoci che dopo il diluvio l’aria in Grecia era tanto
umida da non permettere ai raggi lunari e solari di penetrare sulla terra. La venuta di
Diana, personificazione della luna e successivamente Apollo, il sole, è dunque
ricondotta alla riapparsa della luce lunare e solare. Pitone ucciso dalle frecce di
Apollo, rappresenta il dissolvimento dell’umidità grazie all’azione dei raggi solari. La
storia si conclude con l’acquisizione dei poteri oracolari da parte del dio che da quel
momento cominciò ad essere interrogato dalle genti.
!24
1.3 FONTI RINASCIMENTALI
I miti antichi conobbero una straordinaria fioritura, in particolare quelli contenuti
nelle Metamorfosi di Ovidio tra la fine del Quattrocento fino a tutto il Cinquecento,
nell’ambito dell’ambiente di corte.
L’umanista Raffello Regio, attivo a Padova e Venezia, raccolse gli studi sulle
Metamorfosi allo scopo di realizzare un commento del poema Ovidiano. Il commento
esce nel 1493, sotto il nome di Metamorphoseon Pub. Ovidii Nasonis libri XV.
Quest’opera si diffuse con una tale velocità da contare nel 1513 la bellezza di 50.000
esemplari che circolavano in territorio italiano e francese . Questo testo presenta una 62
tipologia d’approccio ai miti sostanzialmente diversa da quelle precedenti. Rispetto a
Bonsignori e Boccaccio, i quali si erano dedicati allo studio del mito in chiava
allegorica, Regio non forza un significato altro da quello che la favola, così come ci è
narrata dall’autore antico, trasmette. L’umanista, inoltre, celebra non solo il mito da un
punto di vista contenutistico, ma pone lo sguardo su quello stilistico, riconoscendo la
ricchezza della letteratura pagana in quanto prodotto artistico e narrativo. Grazie a
Regio si attua un primo approccio filologico, che condurrà ad un ripristino della
cultura antica nella sua autentica forma.
“Il poema di Ovidio”, scrive Guthumuller, “rappresenta agli occhi di Regio
un’enciclopedia dell’intera erudizione. […] Ovidio corrisponde dunque in maniera
ideale alla concezione umanistica del poeta, e soprattutto del poeta epico, come poeta
eruditus ”. 63
Guthumuller, 1997, p. 63.62
Ibidem, p. 62.63
!25
Il suo approccio essenzialmente filologico, e non allegorico, è dimostrato anche
nel racconto della storia di Apollo e Pitone . Ovidio viene riportato più o meno 64
fedelmente: dopo aver presentato Pitone in quanto serpente figlio della Terra, è narrata
la sua disfatta per mano di Apollo, alla quale segue l’istituzione dei giochi Pitici. Il
vincitore dei giochi avrebbe indossato una corona d’alloro, l’albero sacro al dio . 65
È necessario sottolineare però che il metodo filologico non sarà esclusivo nel
corso del Cinquecento, anzi continueranno a circolare opere quali l’Ovidius
Moralizatus di Berchorius, e ancora Boccaccio e le sue Genealogie; in particolare
quest’ultimo fu un insostituibile modello nell’ambito degli studi mitografici sino alla
metà del secolo.
Nel 1522 fu pubblicata a Venezia un’altro volgarizzamento delle Metamorfosi:
l’Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, di Niccolò degli Agostini. Il testo consiste
nella messa in ottava rima della prosa del Bonsignori che, ricordiamo, era stata data
alle stampe nel 1497 per opera di Lucantonio Giunta. I due testi hanno inoltre in
comune la particolarità di essere decorati con xilografie atte a raffigurare i miti narrati.
Il testo di Bonsignori vanta una serie xilografica, realizzata da un artista anonimo
francese, che fu il modello iconografico per tutte le illustrazioni delle Metamorfosi
successive. Le stesse xilografie, infatti, furono utilizzate per redigere il testo di
Agostini nella prima edizione del 1522, aggiungendo alla serie altre sette illustrazioni.
Solo l’edizione del testo di Agostini del 1538 presenta una diversa serie xilografica ,
che era stata usata per la prima volta per decorare l’edizione di Raffaello Regio del
1513. La differenza tra le didascalie che accompagnano il testo di Bonsignori e quelle
del 1513 è che quest’ultime si presentano come una semplificazione di quelle del 1497
e oltre alla resa, presentano talvolta i nomi dei protagonisti del mito ed alcune
didascalie.
Raffaello Regio, Metamorphoseon Pub. Ovidii Nasonis libri XV, I, Venezia, 1493.64
Come sappiamo, l’alloro diventa un simbolo di Apollo a seguito della trasformazione della ninfa 65
Dafne: “Poiché non puoi essere moglie mia, sarai almeno il mio albero. O alloro, sempre io ti porterò sulla mia chioma, sulla mia cetra, sulla mia faretra.” Ovid., I., vv. 557-559.
!26
La fortuna di Bonsignori dimostra quanto, nonostante siano passati duecento anni,
molti dei volgarizzamenti delle Metamorfosi, dipendano indirettamente o direttamente
dalla lezione del professore bolognese Giovanni del Virgilio, alla quale si era ispirato
l’autore dell’Ovidio Metamorphoseos Vulgare . 66
Agostini inaugura una nuova trattazione del classico ovidiano, riscritto secondo lo
schema del romanzo cavalleresco, sul modello dell’Orlando innamorato di Boiardo . 67
Bisogna riconoscere che, considerando che le Metamorfosi ebbero una particolare
fortuna artistica, questi volgarizzamenti furono il repertorio letterario di pittori,
scultori ed incisori, che non sapendo leggere il latino, attingevano da questi testi; ciò
comportava una resa iconografica che non coincideva con l’originale antico, ma
rifletteva la favola nella sua forma “volgare”, che rispetto l’originale appariva non solo
diversa, ma anche banalizzata . 68
La storia di Apollo e Pitone è dunque nuovamente riportata insistendo sul
significato allegorico che ne aveva dato Bonsignori: la virtù trionfa sul vizio ma, al
tempo stesso, il vizio vince la virtù, come nel caso di Apollo, simbolo di sapienza, che
cade in fallo a causa della lussuria amorosa.
Nel 1553 esce un’altra traduzione delle Metamorfosi, Le Trasformazioni di
Lodovico Dolce, pubblicate da Gabriele Giolito a Venezia, testo che si basa
direttamente sull’originale ovidiano, nonostante i volgarizzamenti precedenti, in
particolare quello di Agostini, siano stati d’aiuto per la stesura dell’opera. Il testo fu
accompagnato dalle celebri xilografie di Antonio Rusconi, il quale però disegna
prendendo spunto non dal testo di Dolce, bensì da quello di Bonsignori e Agostini. Le
Trasformazioni si pongono come tentativo di fare del poema ovidiano un nuovo
classico italiano, sull’esempio dell’Orlando furioso, scritto da Lodovico Ariosto, allo
scopo di fare delle Metamorfosi un nuovo poema cavalleresco. Dolce suddivide i
quindici libri di Ovidio in trenta canti di cui ciascuno è introdotto da un proemio. Le
Per una trattazione completa si rimanda al paragrafo precedente.66
Lo stesso faranno Lodovico Dolce e Giovanni Andrea dell’Anguillara, i quali però presero Ariosto con 67
l’Orlando furioso, vedi paragrafi successivi.
Guthumuller, 1997, p. 67.68
!27
favole non subiscono alcuna interpretazione altra dal testo ma sono raccontate così
come Ovidio le aveva scritte; piuttosto sono decorate con artifici linguistici e retorici.
La favola di Apollo e Pitone , che come sappiamo in Ovidio non è lungamente 69
trattata, trova qui un più ampio spazio: la lotta tra il serpente e il dio è descritta in
modo molto dettagliato. Pitone, orrido ed immenso serpente, nato dopo il diluvio
quando “cessaro i venti e l’acque, e tornò il mondo a le bellezze prime”, è
l’indesiderato figlio della Terra . Il mostro era una minaccia per l’intera umanità, 70
poiché andava in giro per il mondo destando terrore e distruzione. Apollo interviene e
lo uccide trafiggendolo con più di mille frecce. L’impresa rimane immortale nella
storia grazie non solo all’istituzione dei giochi Pitici che da quel momento, solevano
celebrarsi ogni anno, ma anche all’appellativo Pizio che caratterizza il dio, datogli
dagli uomini liberati dalla bestia.
Notiamo che non vi sono essenziali diversità con il mito raccontato in Ovidio. La
novità è la resa stilistica; Dolce ha cura dell’aspetto retorico ed arricchisce il testo con
puntuali ed attente descrizioni: si scorge il modello della nuova poesia del
Cinquecento . 71
Sull’onda della popolarità del poema cavalleresco, nel 1561 viene pubblicata a
Venezia l’opera in ottava rima di Giovanni Andrea dell’Anguillara . Alla stregua di 72
Dolce, il modello di riferimento è ancora l’Ariosto; l’opera si rivelerà essere però
decisamente superiore poeticamente a quella del suo predecessore . Pitone è, in 73
questa versione, descritto come mai prima era stato fatto: grande come una montagna,
di colore nero, ogni dente è paragonato ad una colonna, con tre corni intorno alla
All’invittissimo e gloriosissimo Imperatorie Carlo Quinto, Le Trasformationi di m, Lodovico Dolce, In 69
Venetia, appresso Gabriel Giolito de Ferrari e fratelli, 1553, II.
“e si pentì Natura, d’haver d’un parto tal mai preso cura.” Dolce L., 1553, II, nell’edizione elettronica: 70
http://www.bibliotecaitaliana.it/p. 17 .
Guthumuller, 1997, p. 78.71
Le Metamorfosi di Ovidio, ridotte da Giovanni Andrea dell’Anguillara in ottava rima, al cristianesimo 72
Re di Francia Henrico Secondo, a cura di Giovanni Griffio, Venezia, 1561.
Guthumuller, 1997, p. 80.73
!28
bocca e occhi tanto spaventevoli da sembrare una “fornace ardente” . Il resto della 74
storia si attiene a quanto già detto da Dolce, senza particolari variazioni.
Nel 1563, l’opera di Anguillara fu corredata di un commento realizzato da
Giuseppe Orologgi . Il mito di Apollo e Pitone è arricchito da una spiegazione 75
metaforica naturalistica, intendendo per Pitone il terreno impregnato d’acqua dopo il
diluvio. L’umidità non permetteva alla terra di poter produrre cibo; grazie all’azione
del sole (Apollo), la terra torna ad essere fruttifera. Orologgi, chiarisce il concetto
prendendo ad esempio il fiume Nilo, che con le sue inondazioni, permette alla terra
d’Egitto di prosperare; al tempo stesso però, l’umidità che permane sopra la terra dopo
l’azione del fiume, riscaldata dai raggi del sole, “produce diversi sorti di animali, come
coccodrilli, ed altri, che talor vegonsi rimanere imperfetti” . 76
Soffermandosi a parlare dei giochi Pitici, aggiunge che i vincitori delle gare
avrebbero cinto i loro capi con corone di quercia e non d’alloro, poiché questo sarà
simbolo sacro ad Apollo solo dopo la trasformazione del primo amore del dio, Dafne,
nella suddetta pianta, la quale diventerà emblema imperiale e dell’arte poetica.
Sulla scia di una diversa tradizione, la quale prende origine dalla Genealogia del
Boccaccio, nel Cinquecento continuano a trovare diffusione opere che appartengono al
genere della Mitografia allegorica, grazie al lavoro di autori quali Natale Conti e
Vincenzo Cartari . 77
Il primo pubblica nel 1551 con le Mythologiae sive explicationis fabularum libri
decem. Conti sembra interessarsi al mito di Apollo e Pitone in relazione ai giochi 78
Pitici. Egli spiega velocemente la ragione per la quale le famose competizioni sono
Dell’Anguillara, 1563, I (edizione elettronica: http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?74
docId=bibit000744/bibit000744.xml&chunk.id=d4852e138&toc.depth=1&toc.id=&brand=bibit).
Giuseppe Orologgi, Annotazioni a le Metamorfosi di Ovidio ridotte da Giovanni Andrea 75
dell’Anguillara in ottava rima, 1563 Venezia.
Orologgi, 1563, Annotazione del libro I.76
Un’altra importante opera che si inserisce nella tradizione mitologica del Cinquecento è De deis 77
gentium varia et multiple historia di Lilio Gregorio Giraldi, 1548.
Natale Conti, Mythologiae sive explicationis fabularum libri decem, Libro V, cap. 2 , Venezia 1567, p. 78
428.
!29
state istituite, raccontando di come Apollo vincendo su Pitone abbia anche acquisito le
doti oracolari prima proprie a Temi. Si concentra poi sulle gare, menzionando
personaggi importanti che presero parte alle gare nel corso della storia e in
conclusione fa un discorso analogo a quello già fatto da Giuseppe Orologgi, dicendo
che è improbabile pensare che i premi destinati ai vincitori fossero corone d’alloro,
poiché la creazione della pianta e la sua attribuzione al dio Apollo risale ad un
momento che succede la battaglia con il serpente. I doni consistevano infatti in corone
di quercia o palma, e non d’alloro come alcuni erroneamente avevano creduto.
Cartari scrive nel 1556 pubblicando a Venezia Le immagini colla sposizione degli
dei antichi. Da un punto di vista allegorico, la storia di Apollo e Pitone è trattata in
chiave naturalistica così come aveva già fatto Boccaccio . Cartari ci dà 79
un’informazione riguardo l’etimologia del nome del serpente, secondo quanto già
detto nell’inno omerico all’Apollo Pizio : Pitone significa “putridine, la quale sovente 80
nasce dalla terra per la troppa humidità, e farebbe di grandissimi mali, se non fosse
consumata da i caldi raggi del Sole, che sono gli acuti strali di Apollo ”. Cartari 81
prolunga il racconto aggiungendo una metafora che pone in analogia il Sole al lupo, il
quale rapisce e divora i greggi, così come il sole aspira via l’umidità della terra.
In un’ultima istanza, è doveroso trattare un’altra tradizione letteraria legata alle
Metamorfosi che ha origine nel 1557, con Bernard Salomon, incisore ed illustratore
francese, autore di un’opera che si proponeva essere un vero e proprio compendio di
poesia ed arte: La Métamorphose d’Ovide figurée . L’opera era costituita da 178 82
pagine, ognuna delle quali era strutturata secondo la tripartizione tipica degli emblemi:
inscriptio, pictura, subscriptio. Ogni pagina era circondata da una bellissima cornice
ornamentale, in stile arabesco o piante intrecciate. Le immagini avevano lo scopo di
vedi paragrafo dedicato alle fonti medievali, p. 15.79
vedi paragrafo dedicato alle fonti antiche, p. 2.80
Vincenzo Cartari, Imagini colla posizione de i dei antichi, III, Venezia, nell’edizione elettronica: http://81
www.bibliotecaitaliana.it/indice/elenco/letter/C.
Guthumuller, p. 213, 1997.82
!30
rappresentare i miti raccontati, ognuno dei quali presentava un titolo in alto, seguito da
un epigramma volto a descrivere la scena. Nel caso di Apollo e Pitone i versi non
fanno altro che proporre quanto già detto da Ovidio, senza ulteriori variazioni.
Questa stessa opera fu poi tradotta in italiano dal poligrafo Gabriele Symeoni nel
1559, con il titolo Metamorfoseo d’Ovidio, figurato & abbreviato in forma
d’Epigrammi, anch’esso stampato a Lione. La struttura della pagina è identica a quella
di Salomon, così come le xilografie, le quali si mantengono le stesse, escluse poche
eccezioni. L’unica sostanziale variante sta nell’epigramma, il quale non si presenta
essere una semplice descrizione della scena rappresentata, bensì dal mito si ricava una
verità morale la quale è solitamente posta all’inizio del verso . In entrambi i casi non 83
sono presenti allegorizzazioni, poiché le verità morali che vengono enunciate sono
facilmente deducibili dal testo ovidiano, non se ne distanziano.
Diversamente sarà per altre due opere, pubblicate in suolo tedesco, le quali pur
inscrivendosi in questo filone letterario-artistico, studiano la favola da un punto di
vista allegorico per trarne utili insegnamenti: i Tetrasticha in Ovidii Metamor. lib. XV
del medico e poeta Johannes Posthius da Germersheim pubblicate nel 1563 e le
Metamorfosi del notaio Augsburg Johannes Spreng, dello stesso anno.
L’opera di Posthius si rivolge anche agli artisti, poiché si propone essere un
modello iconografico per le rappresentazioni delle Metamorfosi. Il testo, che presenta
il testo in due lingue, tedesco e latino, è ugualmente accompagnato da xilografie
realizzate da Virgil Solis, le quali non sono altro che precise copie di quelle di
Salomon. Il poeta tedesco crede fermamente nel potere del mito, una lettura piacevole
e appassionante la quale, al suo interno, nasconde un insegnamento che viene
facilmente colto dal lettore:
“le favole ovidiane risultano allora estremamente adatte allo scopo: da un lato,
infatti, contengono molti fatti bizzarri e strani che solitamente suscitano un grande
Non tutti i miti sono preceduti da una sentenza moralizzate: è il caso del nostro mito, il quale è 83
descritto secondo quanto aveva già detto Salomon.
!31
interesse nel lettore, e dall’altro rappresentano un modello di vita oltremodo utile per
una retta condotta. ”. Si unisce, in questo senso, l’utile al dilettevole. 84
L’opera di Posthius non manca, oltre che di un’interpretazione allegorica, di una
storica e naturalistica. Ad esempio, il mito di Apollo e Pitone è trattato sotto questa
luce, intendendo per Apollo i raggi solari che aspirano l’umidità della terra,
personificata da Pitone.
Per quanto riguarda il libro di Spreng, la spiegazione allegorica è inclusa in
ciascun mito. La struttura, seppure le xilografie siano ancora una volta quelle di
Salomon, rielaborate secondo Solis, è leggermente diversa, poiché l’immagine e il
testo occupano due pagine nella versione latina e quattro in quella tedesca . La prima 85
pagina è dedicata all’ inscriptio; viene poi indicato il libro al quale il mito appartiene e
il titolo del soggetto, oltre che l’immagine ed un piccolo testo che trae ispirazione
dagli argumenta di Lattanzio. La seconda pagina presenta invece l’epigramma, la
subscriptio, composta dal racconto del mito e dall’allegoria ad esso associata.
L’aspetto allegorico è trattato in questo caso in chiave cristiana, diversamente da
gli epigrammi di Posthius che trattano il mito in chiave essenzialmente umanistica.
Ogni mito è studiato secondo un corrispettivo biblico: nel caso di Pitone, esso è il
demonio sconfitto da Apollo, prefigurazione di Cristo . 86
Guthumuller, 1997, p. 220.84
Ibidem, p. 225.85
Ibidem, p. 226.86
!32
Scheda n. 1
Titolo dell’opera: Apollo bambino uccide Pitone dalle braccia della madre Latona
Autore: anonimo
Datazione: 470 a.C.
Collocazione: Parigi, Bibliohèque Nationale de France, Cabinet des Médailles
Committenza:
Tipologia: Lèkythos attico
Tecnica: pittura a figure nere su sfondo bianco
Soggetto principale: Apollo bambino uccide Pitone dalle braccia della madre Latona
Soggetto secondario: Artemide assiste alla scena
Personaggi: Apollo, Latona, Artemide, Pitone
Attributi: arco, freccia (Apollo); corpo di serpente (Pitone)
Contesto: grotta dalla quale esce Pitone
Precedenti:
!34
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Kahil L., Apollon et Python in Mélanges offerts à Kazimierz
Michalowski, Panstwowe Wydawn Naukowe, Varsavia 1966, pp. 483-490; Fontenrose
J., Python: a study of Delphic mith and its origin, University of California Press,
Berkeley 1980, pp. 16-17; Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, Vol. II, ad
vocem Artemis, Artemis, Zurigo 1984, p. 718
Annotazioni redazionali: Il lekythos attico a figure nere su sfondo bianco sul quale è
raffigurata la morte di Pitone per mano di Apollo, è databile al 470 a. C., ed è ora
collocato al Cabinet des Médailles di Parigi.
L’artista del lekythos ha scelto di rappresentare la morte di Pitone ispirandosi alla
versione Euripidea , secondo la 87
quale appena dopo la nascita dei
divini gemelli Apollo e Artemide,
Latona si recò sulla vetta del Monte
Parnaso sul quale viveva Pitone, il
serpente figlio di Gea, guardiano
dell’oracolo di Delfi. Euripide
afferma che Apollo trafisse Pitone con le sue frecce dalle braccia della madre Latona,
poiché era ancora una bambino in fasce. La morte di Pitone comportò la presa di
possesso dell’oracolo di Delfi da parte di Apollo, il quale ne divenne il detentore. La
scena è fedele a quanto riportato da Euripide: Latona tiene tra le braccia Apollo il
quale punta la sua freccia contro il serpente, dietro il quale è rappresentata una grotta.
In mezzo vi è un’altra figura, identificata come Artemide nonostante sia un’adulta.
Questa scelta iconografica trova spiegazione nel fatto che secondo la tradizione,
Latona fu partorita prima di Apollo e di conseguenza risulta essere la sorella maggiore.
Euripide, Ifigenia in Tauride, vv. 1239-1248.87
!35
La stessa iconografia è, difatti, riscontrabile in un altro lèkythos conservato allo 88
Staatlen Museum di Berlino, sul quale è nuovamente rappresentato Apollo-bambino
tra le braccia di Latona in atto di scagliare la freccia, ma è del tutto assente tanto la
presenza di Artemide, quanto quella di Pitone . 89
Vedi scheda n. 2.88
Kahil L., Apollon et Python,in Mélanges offerts à Kazimierz Michalowski, Panstwowe Wydawn. 89
Naukowe, Varsavia 1966, p. 486
!36
Scheda n. 2
Titolo dell’opera: Apollo bambino uccide Pitone dalle braccia della madre Latona
Autore: Pittore di Latona
Datazione: 470 a.C.
Collocazione: Berlino, Staatliche Museen
Committenza:
Tipologia: Lèkythos attico
Tecnica: pittura a figure rosse su sfondo bianco
Soggetto principale: Apollo bambino uccide Pitone dalle braccia della madre Latona
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Latona
!37
Attributi: arco, freccia (Apollo)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Enciclopedia dell’arte antica, classica e orientale, Istituto della
Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, Roma 1961, p. 506; Kahil L.,
Apollon et Python in Mélanges offerts à Kazimierz Michalowski, Panstwowe Wydawn.
Naukowe, Varsavia 1966, pp. 483-490; Lexicon Iconographicum Mythologiae
Classicae, Vol. II, ad vocem Apollon, Artemis, Zurigo 1984, p. 301;
Annotazioni redazionali: Il lèkythos è stato attribuito al cosiddetto Pittore di Latona,
ceramografo attico, attivo entro il terzo venticinquennio del V sec. a.C. Oltre questo
lékythos, gliene sono stati assegnati altri che presentano la stessa tecnica a figure rosse
su fondo bianco. Fu proprio la nostra ceramica ad aver dato il nome al pittore, la quale
infatti presenta una raffigurazione di Latona . La donna tiene in braccio il figlio 90
Apollo che sta per scagliare una freccia. La raffigurazione sembra alludere allo scontro
con il serpente Pitone nella versione che ci ha lasciato Euripide secondo la quale 91
Apollo uccise il serpente poco dopo la sua nascita, in fasce, tra le braccia della madre.
Il serpente Pitone non è rappresentato, così come la sorella Artemide; un’illustrazione
più ricca, che li vede presenti, la quale, come questa, attinge direttamente dalla
versione euripidea è presente su un altro lèkithos, databile nello stesso periodo oggi
conservato al Cabinet des Mèdailles di Parigi . 92
Enciclopedia dell’arte antica, 1961, p. 506.90
Euripide, Ifigenia in Tauride, vv. 1239-1248.91
Vedi scheda n. 1.92
!38
Scheda n. 3
�
Titolo dell’opera: Apollo e Pitone
Autore: anonimo
Datazione: 470-460 a.C.
Collocazione: Parigi, Musée du Louvre
Committenza:
Tipologia: Lèkythos attico
Tecnica: pittura a figure nere
Soggetto Principale: Apollo bambino seduto sull’omphalos tira una freccia al serpente
Pitone il quale tenta di scappare colpendo Apollo con il piede
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: arco, frecce, omphalos (Apollo); corpo da serpente, uraeus (Pitone)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://cartelen.louvre.fr/cartelen/visite?
srv=obj_view_obj&objet=cartel_11834_14284_gv015599.002.jpg_obj.html&flag=false
!39
Bibliografia: Kahil, L., ad vocem “Python” in Lexicon Iconographicum Mythologiae
Classicae, vol. VII, tomo I, Artemis Verlag, Zurigo 1994, pp. 609-610; Kahil L.,
Apollon et Python in Mélanges offerts à Kazimierz Michalowski, Panstwowe Wydawn.
Naukowe, Varsavia 1966, pp. 483-490; Fontenrose J., Python: a study of Delphic mith
and its origin, University of California Press, Berkeley 1980
http://www.anticoegitto.net/deiapofi.htm
Annotazioni Redazionali: La rappresentazione a figure nere su sfondo bianco presente
sul lekythos attico , circondata da palmette laterali, orizzontali, mostra due figure, 93
individuabili come il dio Apollo ed il serpente Pitone. Il primo, appollaiato su una sorta
di monticello ovale, all’interno del quale appare un treppiede, si appresta a scagliare una
freccia contro Pitone, il quale ci viene presentato come essere anguipede, con testa e
torso umano e base del corpo di serpente o dragone. La vittima reagisce tendendo le
mani verso il dio, nell’atto di difendersi. A destare particolare attenzione è sicuramente
l’acconciatura del serpente: presenta una capigliatura corta e sulla fronte un corno
arrotondato che forma un angolo sulla fronte.
Quasi tutti gli elementi figurativi sono associati alla leggenda della lotta tra il dio del
sole ed il serpente, il quale spodestando il mostro si appropria dell’oracolo di Delfi,
secondo la versione euripidea (Ifigenia in Tauride, vv. 1239-1248), che descrive il dio 94
ancora infante, il quale compiuta l’impresa, siede in segno di gloria sul tripode sacro,
acquisendo così doti oracolari.
L’aspetto antropomorfo, nonostante sia una rarità per la rappresentazione del mostro
Pitone, è giustificabile col fatto che nella mitologia e nell’iconografia greca, gli esseri
ctoni, mostri, dei fluviali o altri figli della terra, sono descritti come metà uomini metà
animali, spesso allo scopo di insistere sulla loro natura bestiale o inferiore, poiché né
Il Lekythos, di tipo detto “Haimonian”, databile approssimativamente all’inizio del V sec., di fattura 93
non particolarmente pregiata, può essere associato da un punto di vista stilistico alla lekythos della Bibliothèque National, nella sezione del “Cabinet des medailles” e di un'altra ancora, replica di quest’ultima, presente a Bergen, nel museo di arti applicate.
Ifigenia in Tauride, vv. 1239-1248.94
!40
uomini, né Dei. A tal proposito vale la pena ricordare Strabone che, in un opera più 95
tarda, descriverà Pitone come un individuo, soprannominato “il dragone”.
Per quanto riguarda la pettinatura del serpente Pitone, il corno arrotondato è
individuabile come un uraeus, accessorio caratteristico dei faraoni in Egitto, in uso
anche nella Grecia di epoca arcaica.
La leggenda greca del combattimento tra Apollo e Pitone trova un legame con altre
leggende egiziane, in particolare quella che vede in lotta il dio solare Ra ed il serpente
Apep, essere primordiale, metafora del caos . Probabilmente questo mostro trae le sue 96
origini dal pitone, animale già diffuso in epoca preistorica nelle zone acquitrinose del
Delta e del Nilo. Il combattimento vede i soldati di Ra, al comando di Horus,
contrapposti ad Apep ed al suo esercito, e si conclude con la disfatta delle forze del
male, dunque la vittoria del dio solare; talvolta è Seth ad uccidere il serpente Apep,
nonostante alcune versioni vedano Seth e Apep coincidere nello stesso personaggio,
poiché entrambi incarnazioni del nemico divino, simbolo dei poteri dell’oscurità.
L’esistenza di Apep era, tuttavia, necessaria a garantire l’equilibrio del mondo. Narra
infatti la leggenda che le spire del mostro circondavano la terra lungo la linea
dell’orizzonte e da questa posizione attaccava il sole, stringendolo con le sue spire.
Dalle ferite colava il sangue che conferiva il colore rosso tipico dell’alba come del
tramonto.
L’attributo dell’uraeus mette in luce questa analogia tra la leggenda greca e quella
egiziana poiché probabilmente la stessa storia della lotta tra il Dio del sole Apollo, e
Pitone, essere ctonio e primordiale, trova origine da quella che vede il dio solare
egiziano sconfiggere le forze del male, incarnato nella figura di un serpente.
Strabone, Geografia, IX, 3, 1295
Kahil, 1966, p. 48996
!41
Scheda n. 4
Titolo dell’opera: Latona fugge da Pitone con i figli in braccio
Autore: anonimo
Datazione: prima metà del IV sec. a.C.
Collocazione: perduto, probabilmente proveniente dalla Puglia
Committenza:
Tipologia: anfora a collo
Tecnica: pittura
Soggetto Principale: Latona o Ortigia scappa da Pitone tenendo tra le braccia Apollo e
Artemide
Soggetto Secondario:
Personaggi: Pitone, Latona o Ortigia, Apollo, Artemide
Attributi: due bambini in braccio (Latona)
Contesto: paesaggio roccioso
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Tischbein, W., Collection of engravings from ancient vases mostly of pure
Greek workmanship discovered in sepulchres in the kingdom of the Two Sicilies but
chiefly in the neighbourhood of Naples during the course of the years MDCCLXXXIX.
!42
and MDCCLXXXX. now in the possession of sir W.M Hamilton, Vol. III, Napoli 1795, p.
8; Strabone, Della Geografia, Libri XVII, Vol. IV, a cura di Ambrosoli F., Collana degli
Antichi Storici Greci volgarizzati, Milano 1834, pp. 314-315; Falkener, E., Ephesus and
the temple of Diana, Londra 1862, pp. 33-34, nell’edizione elettronica: http://
d i g i . u b . u n i - h e i d e l b e r g . d e / d i g l i t / f a l k e n e r 1 8 6 2 / 0 0 5 4 ?
sid=e592ad8899b1335b92cf5b559282c7d6; Lexicon Iconographicum Mythologiae
Classicae, Vol. II, 1, Artemis Verlag Zurich und Munchen, Zurigo 1984, p. 302, p. 720
Annotazioni redazionali: L’anfora a collo di IV sec. a.C. andata perduta; conosciamo il
soggetto grazie al lavoro di William Tischbein, il quale realizzò un catalogo delle
incisioni provenienti dai vasi antichi greci scoperti nel Regno delle due Sicilie e nel
regno di Napoli tra il 1779 e il 1780, custoditi nella collezione privata di sir Hamilton.
Dall’incisione sappiamo che l’anfora raffigurava Latona con i gemelli Apollo e
Artemide tra le braccia in atto di fuggire dal serpente Pitone, che perseguitava la donna
su ordine di Era, gelosa dell’ennesima amante del marito Zeus. Artemide è distinguibile
dal fratello per essere più grande di lui; sappiamo infatti che prima a nascere fu
Artemide e successivamente Apollo. Un altro tratto distintivo sono i buchi alle orecchie
e la pettinatura.
Probabilmente l’artista ha voluto rappresentare il momento in cui Latona cerca di
mettersi in riparo dal serpente all’interno di una grotta; in questo modo potremmo
spiegare il contesto roccioso nel quale è ambientata la scena. Tischbein riflette sulla
possibilità che la donna con i bambini in braccio, potrebbe essere non Latona, bensì
Ortigia, la nutrice dei gemelli. Attraverso Strabone sappiamo infatti che Ortigia era 97
anche un luogo che si trovava in prossimità del monte Solmissus, vicino la città di
Efeso; l’autore la descrive come un magnifico bosco dentro il quale passava il fiume
Cencrio, conosciuto perché secondo il mito Latona vi si lavò dopo il parto dei gemelli.
Sul Monte Sulmisso di trovavano diversi templi all’interno dei quali vi erano statue di
cui molte scolpite dall’artista Skopas. Una in particolare rappresenta Latona con uno
scettro ed accanto a lei Ortygia, che teneva i bambini tra le braccia. Questa statua, di cui
Strabone, Geografia, Libro XIV., p. 31597
!43
abbiamo notizia solo attraverso Strabone , potrebbe essere stata un modello per la 98
rappresentazione.
Strabone, Geografia, Libro XIV, p. 31698
!44
Scheda n. 5
Titolo dell’opera: Apollo e Pitone
Autore: anonimo
Datazione: 420-390 a.C.
Collocazione: Berlino, Staatliche Museen (proveniente da Crotone)
Committenza:
Tipologia: moneta d’argento (statere)
Tecnica: bassorilievo
Soggetto principale: Apollo bambino saetta con una freccia il serpente Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: freccia, arco (Apollo)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.archeo.it/mediagallery/fotogallery/1974
Bibliografia: http://www.archeocalabria.beniculturali.it/archeovirtualtour/calabriaweb/
crotone6_11.htm; Giangiulio M., Ricerche su Crotone arcaica, Scuola Normale
Superiore, Pisa 1989; Kahil, L., ad vocem “Python” in Lexicon Iconographicum
Mythologiae Classicae, vol. VII, tomo I, Artemis Verlag, Zurigo 1994, pp. 609-610;
!45
http://www.discovercalabria.eu/index.php/news-eventi/item/627-ercole-e-la-fondazione-
di-crotone.html
Annotazioni redazionali: La produzione monetaria di Crotone prende avvio a partire
dal VI sec. a.C. con tecnica incusa. Solo dal 440 a.C., si comincia ad adottare la tecnica
“a doppio rilievo”. A partire dal 530 a.C., fu scelto come tipo per la monetazione il
tripode delfico, dal quale l’Apollo pitico vaticinava le profezie . Il tripode, simbolo del 99
santuario di Delfi, fu l’emblema della polis crotoniate e l’Apollo Pizio acquisì un posto
di particolare rilievo nel pantheon ufficiale locale , testimoniato anche dalla presenza 100
di un tempio dedicato al dio nella città.
La scelta del tripode come episema monetale mette in luce quelle che erano le intenzioni
dell’autorità emittente: proclamare un particolare collegamento tra Crotone e il
santuario di Delfi, collegamento che trae origine nel mito di fondazione della città. La
storia vede protagonista Miscello, il quale si era recato presso l’oracolo di Delfi allo
scopo di consultarlo per scopi privati; prima ancora che Miscello interrogasse l’oracolo,
quest’ultimo si espresse spontaneamente ordinandogli di occuparsi della fondazione di
una città, quella di Crotone. La scelta del tripode delfico come emblema della città
intendeva dunque enfatizzare il fatto che la fondazione di Crotone fosse stata voluta da
un dio oracolare . Il ruolo della colonia greca acquisì particolare prestigio; nel VI sec., 101
epoca durante la quale si istituì il tripode delfico come simbolo della città, si manifesta
apertamente, da parte dell’aristocrazia crotoniate, il desiderio di essere riconosciuti in
ambito internazionale.
Inoltre, a stabilire un nesso tra Crotone e Delfi sono altri due dati storici: il primo
consiste nella partecipazione ai giochi pitici da parte di molti atleti crotoniati, tra i quali
Milone, che vinse i giochi per sette anni consecutivi . Il secondo invece è testimoniato 102
da reperti archeologici rinvenuti a Delfi, consistenti in terrecotte architettoniche
Giangiulio M., Ricerche su Crotone arcaica, Scuola Normale Superiore, 1989 Pisa, pp. 79-80.99
Ibidem, p. 84.100
Ibidem, p. 138.101
Giangiulio, 1989, p. 158.102
!46
identificabili in tetti di edifici costruiti nel santuario delfico per conto della città di
Crotone.
Il tripode in rilievo sullo statere è rappresentato nella versione con tre anelli collocati sul
collo che si erge dal centro del calderone. Dal IV sec., con le emissioni a doppio rilievo
i tipi riprodotti sono più vari e di più alta fattura: tripode sul retro e sul davanti l’aquila,
talvolta sostituita con Eracle. La presenza di quest’ultimo è dovuta ad un mito che vede
protagonisti Eracle e lo stesso Apollo per il possesso del tripode delfico. La storia narra
che Eracle, dopo aver ucciso, in preda alla follia, la moglie Megara e suo figlio, si recò
presso l’oracolo per interrogarlo. Apollo, alla luce del delitto commesso dall’eroe, si
rifiuta di riceverlo, poiché i suoi crimini erano imperdonabili. Eracle, offeso, ruba il
tripode delfico minacciando di portarlo via, con l’intenzione d’istituire un suo proprio
oracolo. Apollo tenta subito di fermarlo, e comincia una lotta tra i due che si risolverà
con la definitiva resa di Eracle che restituirà il tripode al suo legittimo proprietario . 103
Il cratere dello Staatliche Museen di Berlino è una rarità nella produzione monetaria
reperita, poiché oltre al tripode compaiono Apollo nell’atto di saettare il serpente Pitone
con sotto inciso KROTON. La scena mostra Apollo infante nell’atto di uccidere con una
freccia il serpente Pitone. Il tripode delfico davanti al quale si svolge la scena, permette
di individuare la versione di riferimento per la rappresentazione. In questo caso, Apollo,
sta uccidendo il serpente per appropriarsi dell’Oracolo di Delfi, custodito fino a quel
momento da Pitone. Euripide, nell’Ifigenia in Tauride è il primo a parlarci
dell’acquisizione delle abilità oracolari da parte di Apollo, dopo l’uccisione del
serpente, aggiungendo che il dio si appropriò del tripode delfico, ovvero il trono dal
quale vengono dispensati gli oracoli.
Fontenrose, 1980, p. 401.103
!47
Scheda n. 6
Titolo dell’opera: La morte di Pitone
Autore: anonimo
Datazione: I sec. d.C.
Collocazione: Pompei, Casa dei Vettii
Committenza: Aulus Vettius Restitus e Aulus Vettius Convive
Tipologia: pittura murale
Tecnica: affresco
Soggetto principale: il serpente Pitone giace morto avvolto intorno all’omphalos, dopo
essere stato ucciso da Apollo
Soggetto secondario: Una donna porta un toro per sacrificarlo; una figura femminile e
Artemide assistono alla scena
Personaggi: Pitone, figura femminile, Apollo, Artemide
Attributi: omphalos (Pitone); corona d’alloro, lira (Apollo); faretra (Artemide)
!48
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/d/d1/Pompeii_-
_Casa_dei_Vettii_-_Triclinium_-_Iphigeneia.jpg
Bibliografia: http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/damelio1899/0011; Fontenrose J.E.,
Python: a study of Delphic myth and its origins, University of California Press, Berkely
and Los Angeles 1959, pp. 374-37; Archer W. C., The paintings of the Casa dei Vettii in
Pompei, University Microfilms International, Ann Arbor 1981, Vol. 1, p. 279
Annotazioni redazionali: L’attribuzione delle casa dei Vettii ai fratelli liberti Aulus
Vettius Restitus e Aulus Vettius Convive ci è testimoniata da due sigilli in bronzo. La
struttura della casa a due atri è anteriore all’acquisizione della casa da parte della
famiglia Vettii, i quali la fecero ristrutturare nel I sec. d. C.
La pittura murale presa in esame è collocata nella zona del triclinio e consiste in un
quadretto che si trova al di sotto di un pannello decorativo raffigurante due candelabri
contenuti in due fasce verticali nere. Al centro vi è un piede cilindrico che poggia su una
piccola mensola sostenuta da una figura di baccante, intenta a suonare i crotali, piccoli
piatti antichi usati come strumenti a percussione.
Al di sotto è collocata la pittura murale che vede protagonista il serpente Pitone il quale
giace inerme attorcigliato intorno all’omphalos apollineo, posto sopra un gradino
rialzato rispetto al terreno. La testa del serpente giace invece a terra, in un mare di
sangue. Dietro l’omphalos si erge un pilastro al quale sono legati con una benda l’arco
ed il turcasso rosso di Apollo, determinando così la presa di possesso della sede
oracolare di Delfi, la quale prima era occupata dal serpente. Apollo, rappresentato nudo,
con indosso solo il mantello di color rosso, è intento a suonare la lira con il plettro
volgendosi verso la carcassa del serpente. Accanto a lui è presente Artemide, la quale
porta un chitone verde con manto giallo. La dea assiste alla scena appoggiata ad un
pilastro, tenendo nella mano sinistra una lancia, armata di faretra. Tra Apollo e Artemide
è presente un ramo d’alloro, che come sappiamo è simbolo sacro ad Apollo, la cui testa
infatti è cinta con una corona realizzata dall’intreccio della pianta. La stessa corona
!49
d’alloro è portata anche dalla figura femminile, in movimento, posta a sinistra del dio.
All’estremità sinistra è presenta un’altra donna vestita di verde e giallo, la quale
conduce un toro al sacrificio in onore di Apollo tenendolo per un corno.
Non è del tutto chiaro se la presenza di Artemide sia giustificabile perché partecipe
dell’uccisione di Pitone insieme al fratello Apollo. Attraverso Euripide sappiamo che,
poco dopo la nascita dei divini gemelli, Latona si sposta con loro sul monte Parnaso,
dove s’imbatte nel serpente che avvolgeva l’oracolo di Delfi, ed in questa occasione
Apollo, il quale però è descritto come un bambino, uccide Pitone. Artemide non è
menzionata, ma è implicita la sua presenza in quanto sorella del dio.
Igino, nel I sec. d.C, articola la storia dicendo che Latona fu perseguitata durante la
gravidanza dal serpente, il quale aveva previsto che sarebbe stato spodestato da uno dei
suoi figli. Quando i gemelli vengono alla luce, vengono donati loro da Efesto arco e
frecce; anche in questo caso solo Apollo però è considerato responsabile della fine del
serpente. Sempre nel I sec., Seneca nella sua Medea , scrive che Pitone fu punito con 104
la morte per essersi scagliato contro i divini gemelli Apollo e Artemide; Seneca lascia
pensare che entrambi i fratelli, attaccati dal serpente, avrebbero potuto scagliarsi
insieme contro di lui. In ogni caso l’artista si attiene per realizzare l’opera, alla
tradizione letteraria, che ha origine con Euripide, che vede Pitone custode o detentore
dell’oracolo di Delfi.
L’omphalos, un masso bianco avente la forma di semicono, era considerato da
Varrone la tomba di Pitone. Alla morte del serpente, secondo il mito, le sue ossa 105
furono conservate all’interno del tripode, mentre la sua pelle fu avvolta intorno
all’omphalos; questa pietra aveva anche il ruolo di segnare Delfi come centro della
Terra, ed infatti in greco la parola omphalos significa letteralmente ombelico.
Seneca, Medea, vv. 700.104
Fontenrose, 1959, p. 375.105
!50
Scheda n. 7
Titolo dell’opera: Apollo e Pitone
Autore:
Datazione: 1385
Collocazione: Lione, Bibliothèque Municipale, manoscritto dell’Ovide Moralisé, Ms.
742, f. 97v
Committenza: Crétien Legouais
Tipologia: illustrazione
Tecnica: miniatura ad acquarello
Soggetto principale: Apollo uccide Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: arco, frecce (Apollo); corpo da drago, coda di serpente (Pitone)
Contesto: scena all’aperto con palma
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://sged.bm-lyon.fr/Edip.BML/(eteid045ly5xig3xpfakdqzx)/Pages/
Redirector.aspx?Page=MainFrame
!51
Bibliografia: Paris G., Chrétien Legouais et autres traducteurs ou imitateurs d’Ovide,
Imprimerie Nationale, Parigi 1885, pp. 3-73; De Boer C.- Van Sant J.T.M., Ovide
Moralisé, Amsterdam 1915, p. 44; Cotton F., Les manuscrits a peintures de la
Bibliothèque de Lyon. Essai de catalogue, in « Gazette des Beaux-Arts », LVX, 1965, n.
1156-57, p. 286, n. 48.
Annotazioni redazionali: Questa miniatura appartiene ad uno dei venti manoscritti
dedicati al celebre poema medievale l’Ovide Moralisé, scritto tra il 1316 e il 1328 in
lingua francese, che ebbe una risonanza non irrilevante nella letteratura tra il XIV e il
XV sec. L’opera fu attribuita dalla critica a Crétien Legouais, il quale scelse di
raffigurare Apollo, vestito secondo gli usi dell’epoca, dopo aver appena colpito il drago
Pitone. L’arco con il quale è stata scagliata la freccia è grande tanto quanto il dio, forse a
sottolineare l’incredibile abilità di Apollo come arciere. Il drago è alla sua destra, piega
la parte superiore del corpo dopo aver accusato il colpo. Dalla ferita esce del sangue;
ricordiamo che Ovidio parlando del momento della morte, dice che Pitone morì in un
“lago si sangue velenoso uscito dalle nere ferite ”. 106
Nella stessa pagina di manoscritto è presente un ulteriore miniatura, che vede
rappresentati Apollo in compagnia di Cupido, il quale lo sta per colpire con una delle
sue frecce d’amore, episodio che segue quello di Apollo e Pitone.
Nel poema Pitone è descritto come serpente orribile, incarnazione delle forze
diaboliche, capace di indurre l’uomo alla perdizione etica e morale. Apollo, metafora di
Cristo, sopraggiunge per liberare l’uomo dal peccato; la morte di Pitone rappresenta la
sconfitta del diavolo per opera divina, assumendo un significato analogo alla liberazione
dell’uomo dal peccato originale attraverso la redenzione di Cristo.
Ovidio, Le Metamorfosi, Libro I, vv. 443-444.106
!52
Scheda n. 8
Titolo dell'opera: La favola di Apollo e Pitone, e di Apollo e Dafne
Autore: Anonimo incisore veneziano della seconda metà del XV sec.
Datazione: 1497
Collocazione: Giovanni Bonsignori, Ovidio Methamorphoseos vulgare, Zoan Rosso,
Venezia 1497, f. 7r.
Committenza:
Tipologia:
Tecnica: incisione su legno (xilografia)
Soggetto principale: Apollo e Pitone, Apollo e Dafne
Soggetto secondario: Apollo e Cupido
Personaggi: Apollo, Pitone, Dafne, Cupido
Attributi: arco e freccia (Apollo); faretra al fianco (Apollo); corpo di drago alato e coda
di serpente (Pitone); tronco d’alloro sulla testa, rami al posto delle mani (Dafne); arco e
faretra in vita (Cupido)
Contesto: paesaggio campestre con fiume e città turrita sullo sfondo
Precedenti:
Derivazioni: Anonimo incisore veneziano, Apollo ed il serpente Pitone, Apollo e
Dafne, in Nicolò degli Agostini, Ovidio Metamorphoseos in verso vulgar, Venezia 1522,
!53
f. A 8v. (Cfr. scheda opera 38); Giovanni Antonio Rusconi, La morte di Pitone ed Apollo
e Dafne, in Lodovico Dolce, Le Trasformationi, Gabriele Giolito de' Ferrari, Venezia
1553 (II ed.), f. B 2r.
Immagini:
Bibliografia: Huber-Rebenich G., L’Iconografia della mitologia antica tra Quattro e
Cinquecento. Edizioni illustrate delle Metamorfosi di Ovidio, in “Studi umanistici
piceni”, 12, 1992, p. 123-133; Bodo Guthmuller, Ovidio Metamorphoseos Vulgare,
Cadmo, Firenze 2009, p. 62
Annotazioni redazionali: L’Ovidio Metamorphoseos Vulgare di Giovanni di
Bonsignori, realizzato tra il 1375 ed il 1377, fu stampato per la prima volta nel 1497 da
Luca Antonio Giunta, corredato di 52 xilografie, le quali furono un modello
fondamentale per tutte le illustrazioni delle Metamorfosi in Europa. Queste illustrazioni
servirono come punto di riferimento in molti campi artistici, in particolare nella
tradizione manoscritta ed in quella pitturale.
Quest’opera non proponeva esclusivamente una traduzione in volgare del testo
ovidiano; Bonsignori aggiunse ad ogni mito una spiegazione allegorica, oltre che una
prefazione ed una conclusione all’inizio ed alla fine del testo, nelle quali mise per
iscritto, le sue considerazioni sulle Metamorfosi . 107
Le xilografie presenti nel volgarizzamenti di Bonsignori non traggono diretta
ispirazione dalle Metamorfosi di Ovidio, come aveva inizialmente creduto Erich Krause,
l’unico a dedicare un’intera monografia sull’Ovidio Metamorphoseos . L’illustratore 108
infatti partì direttamente dal volgarizzamento di Bonsignori. La sicurezza che vi sia una
stretta relazione tra testo ed illustrazione ci è data dal fatto che molti particolari
iconografici dipendono esclusivamente dall’elaborazione volgare fatta da Bonsignori . 109
La struttura delle xilografie segue due diverse scelte effettuate dall’illustratore: in un
primo caso, egli sceglie di porre in fila più sequenze della storia raccontata, seguendo un
Guthmuller, 1981, p. 63.107
Krause E., Die Mythendarstellungen in der venezianischen Ovidausgabe von 1497, Wurzburg, Tilsit 108
1926.
Huber-Rebenich, 1992, p. 124.109
!54
ordine temporale e spaziale delineato nel testo. In questo modo uno stesso personaggio è
rappresentato più volte nella stessa xilografia; nel secondo caso, l’artista sceglie dal
racconto un elemento di rilievo, volto a rappresentare l’intero racconto . 110
L’illustrazione presa in esame si conforma al primo caso: il dio Apollo svolge tre azioni
differenti. A sinistra è raffigurato in piedi, con arco e freccia in mano, ed alla sua destra
giace, ormai morto, Pitone. Nonostante nel testo, Pitone sia descritto come un essere
mostruoso di dimensioni tanto grandi da spaventare chiunque, nella xilografia il mostro,
con corpo e ali da drago e coda di serpente, non suscita affatto nel lettore i sentimenti di
paura e terrore descritti da Bonsignori, ma anzi le sue dimensioni sono mediocri rispetto
quanto ci si aspetterebbe da un drago.
Apollo è nuovamente rappresentato, in secondo piano sullo sfondo, mentre discute con
Cupido ed infine, è presente ancora una volta in primo piano, a destra, in atto di
inseguire Dafne la quale si sta trasformando in albero di alloro. La storia di Apollo e
Pitone, analogamente a quanto riportato da Ovidio, è raccontata da Bonsignori
precedentemente a quella di Apollo e Dafne. La relazione tra questi due miti è
fondamentale in quanto è proprio a causa della superbia di Apollo, superbia stimolata
dall’aver sconfitto il temibile serpente, che il dio viene punito da Cupido. Apollo vanta
la sua abilità nell’uso dell’arco e delle frecce con Cupido, schernendolo per non essere
altrettanto capace. Il dio dell’amore risponde all’offesa colpendo Apollo con una freccia
che lo renderà pazzo d’amore per la ninfa Dafne, la quale invece è trafitta da una freccia
di piombo che la renderà riluttante a qualsiasi rapporto amoroso.
Le illustrazioni, nonostante siano volte a porre in immagine i miti contenuti nell’opera,
mancano di alcuni elementi che caratterizzano il testo. è noto, infatti, che Bonsignori si
sia dedicato, non soltanto, alla trascrizione delle favole ma abbia arricchito la narrazione
attraverso allegorie. Nel caso di Apollo e Pitone, ad esempio, i personaggi sono intesi
l’uno come “l’uomo savio”, l’altro come “ciascun delitto e vizio mondano ”. 111
Huber-Rebenich, 1992, p. 125.110
Bonsignori, I, 26.111
!55
L’illustrazione però non rivela alcuna caratteristica allegorica, ma si limita a
rappresentare i fatti privandoli della lettura moraleggiante elaborata da Bonsignori.
Le illustrazioni non presentano, inoltre, alcun elemento “straordinario”, anzi riflettono
la “normalità”, nel senso che esse sono dominate da motivi quotidiani della realtà
dell’epoca. A dimostrazione di quanto detto, è possibile prendere in esame la tipologia
di vestiario, ben lontana da quella classica antica, ma appartenente alla realtà storica del
XV sec., come dimostra lo stesso Apollo che veste un’armatura. In questo senso,
“attualizzare” i miti a livello iconografico, consente al lettore, attraverso l’illustrazione,
di non essere colto da un senso di disorientamento procuratogli dalla lettura di un testo
appartenente ad un’epoca estremamente lontana dalla sua. A tal proposito, le xilografie
hanno lo scopo, non soltanto di decorare il testo, ma anche quello di “colmare l’abisso
tra il mondo degli dei e l’immaginazione e le esperienze del pubblico contemporaneo, al
quale la lettura veniva così facilitata mettendo i contenuti delle leggende nel contesto
del loro tempo ”. 112
Huber-Rebenich, 1992, p. 127.112
!56
Scheda n. 9
�
Titolo dell’opera: Mito di Apollo e Dafne
Autore dell’opera: Giorgione (attr. da Morelli e Berenson, fino al 1957); Tiziano (attr.
da Pallucchini e Zampetti); Paris Bordon (attr. da Canova)
Datazione: 1510-1515 circa
Collocazione: Venezia, Seminario Patriarcale
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tavola
Soggetto principale: Dafne e Apollo
Soggetto secondario: Apollo uccide Pitone; Apollo discute con Cupido
Personaggi: Apollo, Dafne, Cupido, Pitone (tagliato), figure non identificabili
Attributi: arco e freccia (Apollo); arco e freccia, ali (Cupido); mani in forma di rami
d’alloro (Dafne)
Contesto: paesaggio campestre con città sullo sfondo
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
!57
Bibliografia: Margiotta A.-Mattirolo A., Il mito di Apollo e Dafne, in Giorgione e la
cultura veneta tra Quattro e Cinquecento. Mito, allegoria, analisi iconologica, De Luca
Editore, Roma 1981, p. 162
Annotazioni redazionali: Il pannello figurativo preso in esame è stato soggetto ad una
serie di attribuzioni tra cui Giorgione, Tiziano o Paris Bordone; è più probabile si tratti
di un lavoro di un anonimo veneto, realizzato nel primo decennio del 1500 . 113
Il dipinto rappresenta il mito di Apollo e Dafne secondo un’iconografia che ricorda
quella presente nell’opera di Giovanni di Bonsignori, e che diverrà modello per ogni
genere di manifestazione artistica legata alle Metamorfosi di Ovidio. Sappiamo infatti
che le xilografie del 1497 furono un modello, non solo per la tradizione manoscritta, ma
anche per quella pittorica . 114
I due episodi cardine, l’uccisione di Pitone e l’inseguimento di Dafne, si svolgono in
primo piano in un contesto del tutto naturale. In secondo piano è possibile scorgere
Apollo che sta per essere trafitto da una delle frecce di Cupido. Lo schema iconografico
segue esattamente quello della xilografia di Bonsignori con due uniche differenze: nel
dipinto veneto Apollo sta uccidendo Pitone, il quale peraltro non è visibile, mentre in
Bonsignori, la lotta tra i due si è già risolta con la morte del serpente, che giace inerme
alla sua destra. Ed ancora, nella xilografia Apollo e Cupido stanno ancora discutendo;
diversamente, nel dipinto veneto Cupido sta per scagliare la sua freccia contro Apollo.
Un’altra sostanziale analogia è evidente nella scelta del contesto nel quale si svolgono le
azioni. Il primo piano, riservato ai due episodi principali, è ambientato nella natura;
sullo sfondo invece è possibile scorgere una città in lontananza.
Per quanto riguarda il nostro dipinto, la scelta di raffigurare una città sul terzo piano
delle composizione potrebbe essere soggetta ad interpretazione. La città, infatti, si pone
in netto contrasto con la natura che, immacolata, domina il primo ed il secondo piano
riservato allo svolgimento della dimensione mitica. Il mito abita una realtà naturale, in-
civilizzata, un mondo che non è ancora stato organizzato secondo statici schemi sociali.
Il racconto mitico nel suo aspetto fantastico ed inverosimile non può convivere
Margiotta-Mattirola, 1981, p. 165 (nota n. 5).113
Vedi scheda n. 9.114
!58
all’interno di una realtà civile, nella quale l’uomo deve partecipare attivamente senza
perdersi in effimere fantasticherie . Margiotta e Mattirola, nello studio del dipinto, 115
hanno dato un ruolo anche alle figure sullo sfondo, le quali ad un primo sguardo
sembrano aver un ruolo puramente decorativo. I due personaggi che portano la lancia
sulle spalle rappresentano il concetto di vita attiva, contrapposto invece al concetto di
vita contemplativa personificato nel giovane seduto sotto un albero in atteggiamento
malinconico . Questa scelta interpretativa è giustificabile se si considera che in quegli 116
anni, in ambito umanistico, era acceso un dibattito ideologico che coinvolgeva due
diverse dimensioni, poste in opposizione: la vita attiva che prevede un impegno costante
e concreto dell’uomo, il quale partecipa al bene comunitario; vita passiva riservata a
coloro che perdono se stessi in una dimensione del tutto introspettiva e non amano
lasciarsi coinvolgere da obblighi sociali.
Margiotta-Mattirola, 1981, p. 162.115
Per approfondimenti circa il concetto vita attiva/vita contemplativa in relazione alla favola di Apollo e 116
Dafne vedi il saggio di Margiotta-Mattirolo in Giorgione e la cultura veneta tra ‘400 e ‘500, De Luca Editore, Roma 1981, pp. 161-165.
!59
Scheda n. 10
�Titolo dell’opera: Apollo e Dafne
Autore: Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma (1477-1549)
Datazione: 1511 ca.
Collocazione: Worcester, Worcester Art Museum,
Committenza: famiglia Chigi
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (56.4 x 32.1 cm)
Soggetto Principale: Apollo e Pitone, Cupido colpisce Apollo con una freccia
Soggetto Secondario: Dafne fugge da Apollo
Personaggi: Apollo, Pitone, Cupido, Dafne
Attributi: arco, faretra (Apollo); arco, ali (Cupido)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
!60
Immagini: http://vqs61.v3.pair.com:8080/emuseum/view/objects/asitem/search@/8/
title-desc?t:state:flow=5d9cb0bf-80c5-47c2-851c-ccd039d7556d
Bibliografia: Bartalini R., Le occasioni del Sodoma, dalla Milano di Leonardo alla
Roma di Raffaello, Donzelli Editore, Roma 1996, pp. 111-112
Annotazioni redazionali: Il dipinto che vede protagonista Apollo, Pitone, Cupido e
Dafne, fa parte di un piccolo ciclo firmato Giovanni Antonio Bazzi, detto il Sodoma,
che doveva decorare gli ambienti di Palazzo Chigi al Casato di Siena. Il ciclo era
costituito da altri piccoli dipinti a soggetto ovidiano, tra cui la Caduta di Fetonte, che si
trova nello stesso museo con un’altra tavola dal soggetto non identificabile; Diana e
Atteone, oggi in una collezione milanese, e Venere e Marte nella rete di Vulcano del
Metropolitan Museum of New York.
L’impresa decorativa di Palazzo Chigi aveva lo scopo di dar valore ad un progetto
figurativo che s’incentrasse esclusivamente sul mito dell’antichità. Il modello letterario
al quale probabilmente il Sodoma s’ispirò non furono tanto le Metamorfosi nella loro
versione originale, quanto piuttosto il testo di Giovanni Bonsignori, l’Ovidio
Metamorphoseos vulgare comparso per la prima volta nel 1497 , la prima opera 117
dedicata alle Metamorfosi che godette di una ricchissima decorazione xilografica, dalla
quale dipenderà tutta la tradizione figurativa manoscritta. Nel caso di Apollo e Pitone, il
mito era solito essere rappresentato in relazione alla favola di Apollo e Dafne, dunque
non è un caso siano presente, oltre ad Apollo e Pitone, quest’ultimo in veste di drago
alato, anche Cupido che scaglia la freccia contro il dio. Più in là, sullo sfondo, notiamo
una donna che avanza verso destra correndo, la quale è identificabile con la ninfa Dafne,
vittima dell’amore di Apollo. La differenza fondamentale che corre tra l’illustrazione
che decora il mito in Bonsignori, modello letterario di riferimento, ed il dipinto di
Sodoma consiste nel fatto che quest’ultimo concentra in un unico, immediato, momento
i tre avvenimenti (l’uccisione del serpente, la discussione con Cupido, e l’inseguimento
tra Apollo e Dafne), mentre nella xilografia del 1497, Apollo è rappresentato più volte
Roberto Bartalini, Le occasioni del Sodoma, dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, 117
Donzelli Editore, Roma 1996, p. 112
!61
ed è protagonista dei tre diversi episodi rendendo chiaro lo svolgimento consequenziale
dei fatti . 118
Ritroveremo lo stesso schema figurativo nella xilografia di Giovanni Antonio Rusconi, il quale decora 118
l’opera di Ludovico Dolce del 1553, con la differenza che Apollo sarà rappresentato nell’atto di inseguire Dafne (vedi scheda num.14).
!62
Scheda n. 11
Titolo dell’opera: Apollo uccide il serpente Pitone
Autore: Bernardo Daddi, detto Maestro del Dado (1512-1570)
Datazione: 1520 ca.
Collocazione: Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto disegni e stampe
Committenza:
Tipologia: illustrazione
Tecnica: incisione
Soggetto principale: Apollo uccide il drago Pitone
Soggetto secondario: Apollo discute con Cupido su una nuvola in alto a destra; Apollo
sul monte Parnaso con le muse con Cupido che lancia una freccia contro di lui in alto a
sinistra; figura di donna sullo sfondo armata di arco con caprioli a destra
Personaggi: Apollo, Pitone, Cupido, Muse, figura di donna
!63
Attributi: faretra, mantello, arco (Apollo); corpo da drago, coda di serpente (Pitone);
piccole ali, arco, frecce (Cupido); attributi delle arti (Muse), arco, lungo vestito (donna
non identificata)
Contesto: paesaggio campestre con Monte Parnaso
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.renzocampanini.it/file/opere/maestro%20del%20dado%20-
%20Apollo%20uccide%20il%20serpente%20Pitone.jpg
Bibliografia: Bartsch, “Le Peintre-Graveur”, Lipsia 1867, vol.XV, pag.197, nº19;
D'Amico “Incisori veneti dal XV al XVIII secolo” Bologna 1980, pag.39, nº118
Annotazioni redazionali: L’incisione è stata realizzata da un soggetto di Giulio
Romano o di Baldassare Peruzzi dall’artista soprannominato Maestro del Dado,
identificabile dal piccolo dado a destra situato appena sotto il drago Pitone. L’incisione
era la prima di un ciclo di quattro, dedicato alla favola di Apollo e Dafne, della quale
facevano parte “Apollo e Dafne”, “Dafne che supplica il padre Peneo” e “I fiumi che
consolano il fiume Peneo”.
La nostra incisione presenta in primo piano Apollo in atto di colpire Pitone, già trafitto
al collo da una freccia. Il dio è stato rappresentato nudo, secondo l’iconografia antica,
con indosso solo il mantello. Egli è rappresentato altre due volte nella stessa
illustrazione. Nel secondo caso, egli è stante su una nuvola in compagnia di Cupido, con
il quale sta discutendo. Secondo quanto racconta Ovidio, infatti, dopo aver ucciso il
terribile dragone, Apollo incontrò Cupido con il quale si vantò delle sue doti da arciere,
schernendo il dio dell’amore il quale, secondo Apollo, non avrebbe mai potuto compiere
un’impresa pari alla sua. Nel terzo caso Apollo si trova in compagnia delle muse, sulla
cima del Monte Parnaso dove era solito riunirsi con loro. Cupido, nuovamente
rappresentato, vola al di sopra del monte, in procinto di colpire Apollo con una freccia,
il quale volge lo sguardo verso di lui. L’incisore inserisce un elemento del tutto nuovo
nella trattazione del mito di Apollo e Dafne, presentandoci le muse, divinità minori
appartenenti al dio solare, detentore di tutte le arti, le quali erano solite riunirsi con lui
sulla cima del monte.
!64
In Ovidio è scritto che poco dopo aver ricevuto l’offesa da Apollo, Cupido si recò sulla
vetta del Parnaso e lì fabbricò due frecce: una con il potere di scacciare, l’altra di far
innamorare . 119
La morte di Pitone è qui raffigurata dal Maestro del Dado in qualità di scusa per porre
l’accento sull’arroganza di Apollo: nello stesso modo in cui il dio del sole trafigge le
membra del drago, il suo cuore viene trafitto e spezzato da un amore destinato al
fallimento. Così infatti recita l’ottava incisa nel margine inferiore:
Uccide Phebo il gran Phiton serpente
et altier di suo forza. Amor disprezza
che nell’aria fanciul dice impotente
Quell’arco non conviene a tua bassezza
Ma di tanta aroganza poi si pente
Che con quell’arco il fere el cuor gli spezza
Sendo in parnaso in tra le nove suore
Tal che per Daphne poi si strugge e muore
Apollo è dunque punito per aver disonorato l’amore ed il suo potere, talvolta
aggregante, talvolta distruttore. Sarà, infatti, proprio l’amore cieco di Apollo per la ninfa
a condurre quest’ultima alla morte.
Ovidio, Le Metamorfosi, Libro I, vv. 466-469.119
!65
Scheda n. 12
Titolo dell’opera: Apollo uccide il serpente Pitone
Autore: Nicola Filotesio, detto Cola dell’Amatrice (1480 o 1489 - 1547 o 1559)
Datazione: 1543
Collocazione: Città di Castello, Palazzo Vitelli alla Cannoniera
Committenza: Alessandro Vitelli
Tipologia: dipinto
Tecnica: affresco
Soggetto principale: Apollo staglia una freccia contro il drago Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: Apollo (arco, faretra); Pitone (corpo da drago)
Contesto:
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Catalogo regionale dei Beni Culturali dell’Umbria, Pinacoteca di città di
Castello, Dipinti, Città di Castello, Electa/Editori Umbri Associati, 1989, pp. 47-56;
Cieri Via C., L’arte delle Metamorfosi. Decorazioni mitologiche nel Cinquecento,
Lithos Editore, Roma 2003, pp. 178-180
Annotazioni Redazionali: Il Palazzo Vitelli alla Cannoniera a Città di Castello fu
costruito a partire dal 1521. Questa prima fase edilizia si concluse nel 1531, anno di
!66
nozze di Alessandro Vitelli, il proprietario. Tra il 1534 e il 1535, in occasione del
sopralluogo di Giorgio Vasari insieme con Antonio da Sangallo il Giovane e
Pierfrancesco da Viterbo, vennero effettuati altri interventi edilizi. Gli ultimi lavori
risalgono al 1543, con l’ampliamento della sala di rappresentanza, con l’intervento di
Cola dell’Amatrice.
La decorazione interna del palazzo, in gran parte eseguita a grottesche, celebra
tematiche quali amore, poesia, eroismo militare e la virtù attraverso soggetti mitologici,
storici e religiosi.
L’affresco rappresentante Apollo nell’atto di uccidere Pitone è parte della decorazione
dello scalone, sulla volta della prima rampa di scale, e fa parte di un complesso
decorativo tripartito che prevede la raffigurazione di Apollo e delle nove Muse nell’asse
centrale, e nelle sezioni trapezoidali e semicircolari, ai bordi della volta, si susseguono
le storie del dio.
La volta presenta, al centro, lo stemma di Alessandro Vitelli; nell’ovato superiore,
Apollo tiene in una mano una lira da braccio, nell’altra arco e frecce e, ai suoi piedi, la
faretra e il drago a tre teste, l’attributo associato all’antica divinità solare Serapide,
assimilata al dio greco.
Le storie trattate negli scomparti, dal basso in alto e da sinistra a destra, provengono
dalle Metamorfosi di Ovidio: la contesa di Apollo e Marsia, Apollo scortica Marsia,
Apollo uccide il serpente Pitone, Punizione di Mida, La contesa di Apollo e Pan e
Apollo e Dafne.
All’epoca della decorazione dello scalone, la più diffusa versione in italiano delle
Metamorfosi di Ovidio era quella edita a Venezia, nel 1497, di Giovanni di Bonsignori
da Città di Castello, sicuramente nota alla corte del Vitelli. La storia raffigurante Apollo
che uccide il serpente Pitone vede il giovane dio a destra, piegato, in atto di scagliare la
freccia fatale contro il drago, che lo affronta con le fauci spalancate, all’estremità
sinistra dell’affresco.
!67
Scheda n. 13
Titolo dell’opera: Apollon tuant le serpent Python
Autore: Etienne Delaune (1529 - 1583)
Datazione: 1547-1548
Collocazione: Strasburgo, Cabinet des estampes et des dessins
Committenza:
Tipologia: illustrazione
Tecnica: incisione con bulino su carta vergatina
Soggetto principale: Apollo scaglia le sue frecce contro il serpente Pitone
Soggetto secondario: la folla acclama la vittoria di Apollo contro il serpente; Artemide
su una nuvola implora Zeus seduto accanto ad Atena
Personaggi: Apollo, Pitone, folla di persone, Artemide, Zeus, Atena, dio fluviale
Attributi: Apollo (arco, faretra); Pitone (coda, testa, ali, zampe da drago, lingua
biforcuta); Artemide (corona lunare); Zeus (barba, cigno posto sulle gambe); Minerva
(elmo, lancia, scudo sul quale è appesa la testa della Gorgone Medusa); dio fluviale
(acquario)
Contesto: paesaggio brullo
Precedenti:
!68
Derivazioni:
Immagini: http://www.culture.gouv.fr/Wave/image/joconde/0776/
m001302_0082518_1.jpg
Bibliografia: http://www.culture.gouv.fr/public/mistral/joconde_fr?
ACTION=RETROUVER&FIELD_4=REPR&VALUE_4=ART
%C9MIS&NUMBER=151&GRP=0&REQ=((ART%C9MIS)%20%3AREPR
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Annotazioni Redazionali: La scena mostra in primo piano il dio solare Apollo che
bandisce il suo arco, nell’atto di scagliare una freccia contro il serpente Pitone; a sinistra
una folla esaltata acclama la morte del mostro e la vittoria del glorioso dio. Secondo
quanto narrato da Ovidio, Pitone, essere generato dalla dea Gea dopo il grande diluvio,
perseguitava le genti e venne ucciso dal dio proprio allo scopo di liberare gli uomini da
questa minaccia. Diverse fonti, antecedenti, ci parlano della presenza della folla che
esorta il dio ad uccidere il mostro, come dimostra l’inno omerico ad Apollo Pizio 120
dove a seguito della morte del serpente “surse un clamore infinito di gioia”. Anche
Callimaco nel III sec. a.C., parla del popolo che acclamò Apollo dopo l’impresa ; 121
Strabone descrive Apollo che uccidendo Pitone viene incoraggiato dal popolo di 122
Delfi, città presso il Monte Parnasso dove risiedeva Pitone, custode dell’oracolo,
gridante “Hié Paian”, spiegando così l’origine del peana, canto corale in onore di
Apollo. Pausania, nel X libro della sua opera “Pariegesi della Grecia ” afferma che 123
furono proprio gli abitanti di Delfi a pregare Apollo di liberarli del dragone Pitone,
guardiano dell’oracolo, poiché era un essere pericoloso. In secondo piano è possibile
distinguere, sotto una montagna, dentro una grotta, un dio fluviale; poi a destra, in cima
ad una montagna un edificio a base circolare, sicuramente il Tempio di Delfi. Appena
sotto la montagna, una grotta dalla quale escono raggi di luce. Nel cielo, a sinistra, un
Omero Min. Inni, III, v. 172.120
Callimaco, Inni, vv. 92-93.121
Geografia, IX, 3, 12.122
X, 6, 5.123
!69
gruppo di dei: Artemide, su una nuvola, in atteggiamento implorante verso Zeus seduto
vicino Atena.
!70
Scheda n. 14
!
Titolo dell'opera: La morte di Pitone ed Apollo e Dafne
Autore: Giovanni Antonio Rusconi
Datazione: 1548-1553
Collocazione: Lodovico Dolce, Le Trasformationi, Gabriele Giolito de' Ferrari, Venezia
1553 (II ed.), f. B2 r.
Committenza: Gabriele Giolito de' Ferrari
Tipologia: stampa
Tecnica: incisione su legno (xilografia)
Soggetto principale: la morte di Pitone
Soggetto secondario: Dafne e Apollo
Personaggi: Pitone, Apollo, Dafne, Cupido, Peneo
Attributi: faretra, arco (Apollo); mani in forma di rami d’alloro (Dafne); arco (Cupido);
corona di foglie, urna (dio-fiume Peneo)
Contesto: paesaggio campestre con fiume
Precedenti:
!71
Derivazioni:
Immagini: http://ovid.lib.virginia.edu/MetDolce1553/LD155307.jpg
Bibliografia: Bodo Guthmuller, Mito, Poesia e Arte, Bulzoni Editore, Roma 1997, p.
67; p. 265; p. 273; Margiotta M., Mattirolo A., Il mito di Apollo e Dafne, in Giorgione e
la cultura veneta tra ‘400 e ‘500, De Luca Editore, Roma 1981, pp. 161-165
Annotazioni Redazionali: Le Trasformazioni, opera liberamente tratta dalle
Metamorfosi di Ovidio realizzata da Lodovico Dolce, fu pubblicata da Gabriele Giolito
per la prima volta nel 1553. L’opera fu arricchita dalle celebri xilografie di Giovanni
Antonio Rusconi, il quale però s’ispirò per la realizzazione ad altre due opere, l’Ovidio
Metamorphoseos Vulgare di Giovanni Bonsignori e Tutti li libri de Ovidio
Metamorphoseo, in verso vulgar con le sue allegoriae in prosa et istoriato di Niccolò
degli Agostini; questa scelta è riconducibile al fatto che Rusconi, al momento di
realizzare le illustrazioni non aveva ancora a disposizione il testo di Dolce in quanto
Giolito, per accelerare i tempi di stampa, commissionò le xilografie prima ancora che
Dolce terminasse la sua opera. Rusconi ricorse quindi a precedenti traduzioni delle
Metamorfosi.
Nel caso dell’illustrazione relativa ad Apollo e Pitone, Rusconi presenta il mostro in
forma di drago, il quale giace morto alla destra. Sia Bonsignori che Agostini avevano
descritto il mostro come un enorme serpente e probabilmente la smisurata grandezza di
Pitone ha indotto l’artista a raffigurarlo come drago, scelta iconografica che ricorre per
tutto il periodo medievale e rinascimentale.
Sulla sinistra troviamo Apollo che insegue la ninfa Dafne, la quale sta già subendo la
trasformazione in albero di alloro. Apollo infatti, era stato colpito da una delle frecce di
Cupido, che troviamo in alto a destra, a causa di una discussione sorta tra i due appena
dopo aver ucciso il serpente Pitone. Bonsignori e Agostini, e prima ancora Del Virgilio,
concentrandosi sull’aspetto metaforico del mito, avevano dato molta importanza alla
storia di Apollo e Dafne in merito a quella Apollo e Pitone, poiché il folle desiderio
amoroso per la ninfa metteva in luce la caducità del dio, il quale nonostante
personificasse sapienza e virtù, cadeva vittima del desiderio lussurioso. Pitone era
!72
considerato il simbolo del vizio, la sua morte dunque rappresentava il trionfo dello
spirito sulla carne.
Alla sinistra della ninfa è raffigurato il padre, il dio-fiume Peneo, che svolge nella storia
di Apollo e Dafne raccontata da Ovidio un ruolo di cardinale importanza, poiché è
proprio grazie al suo intervento che Dafne si trasforma in alloro. La ninfa, per sfuggire
ad Apollo, aveva scongiurato il padre di mutare il suo corpo poiché esso era la causa del
desiderio di Apollo.
Confrontando la xilografia di Rusconi con quella presente nell’Ovidio
Methamorphoseos di Giovanni Bonsignori del 1497 o ancora quella dell’opera di
Agostini del 1522 di Giacomo da Lecco, notiamo che tutte e tre creano uno stesso ciclo
narrativo diviso in tre diversi momenti: Apollo e Pitone, Apollo e Cupido, Apollo e
Dafne. Una caratteristica fondamentale separa però Rusconi dai suoi predecessori: la
figura di Apollo non si ripete per ognuno dei momenti narrativi. Se infatti, nelle
xilografie del 1497 e del 1522, Apollo era presentato nell’atto di uccidere Pitone, poi
discuteva con Cupido ed infine inseguiva Dafne, qui è rappresentato solo una volta.
Rusconi crea una scena principale, l’inseguimento di Dafne e la sua trasformazione,
intorno alla quale ruotano altri due avvenimenti, testimoniati dalla carcassa di Pitone e
dalla presenza di Cupido che tiene tra le sue mani l’arco ancora teso.
Rusconi è il primo a dare l’idea di una continuità temporale; eliminando la
rappresentazione simultanea, per la quale tutte le vicende sembrano accadere in uno
stesso momento, le storie si legano in un rapporto consequenziale evidente . 124
Da un punto di vista interpretativo, la xilografia aderisce a quanto detto da Ludovico
Dolce alla fine del secondo canto, il quale aveva dato una lettura in chiave naturalistica
del mito. L’autore paragona Pitone all’umidità che produce vapori che “levandosi in alto
a guisa di serpente, formano diverse nubi ”. La morte di Pitone per mano di Apollo 125
rimanda all’azione del sole che con il suo calore permette all’umidità di evaporare,
purificando l’aria. Nella xilografia di Rusconi, Pitone è fin troppo grande rispetto gli
Guthumuller, 1997, p. 273.124
Ludovico Dolce, Le Trasformazioni, II.125
!73
altri personaggi poiché rappresenta l’eccessiva umidità creatasi dopo il diluvio; le
nuvole incombenti sullo sfondo, cariche di vapore, potrebbero essere considerate un
ulteriore riferimento . Questa proposta allegorica-naturalistica è stata ipotizzata anche 126
da Leone Ebreo, filosofo e poeta portoghese, il quale scrisse i Dialoghi d’amore,
pubblicati a Roma nel 1535. In merito al mito di Apollo e Dafne, egli considera Apollo
in quanto sole che uccidendo Pitone, l’umidità, scalda l’aria facendola evaporare.
Aggiunge inoltre che Apollo amò Dafne poiché la ninfa, essendo figlia di un fiume,
rappresenta l’umidità naturale della terra che il sole attira a sé per esalarne i vapori, ma
al tempo stesso, l’umidità sfugge dal sole dal quale sarebbe annullata. Il calore del sole
permette però all’umidità di entrare nella terra, generando con l’aiuto delle acque
fluviali, la crescita delle piante e degli alberi . 127
Margiotta, Mattirolo, 1981, p. 165.126
Leone Ebreo, Dialoghi d’amore, a cura di Caramella S., Bari, 1929 p. 46.127
!74
Scheda n. 15
Titolo dell’opera: Apollo uccide il serpente
Autore: Lelio Orsi
Datazione: 1550-1560
Collocazione: Modena, Galleria Estense (proveniente dalla Rocca di Novellara)
Committenza:
Tipologia: dipinto (staccato e riportato su massello di gesso)
Tecnica: affresco
Soggetto Principale: Apollo ha appena ucciso il serpente Pitone
Soggetto Secondario:
Personaggi: Apollo; Pitone
Attributi: arco e frecce (Apollo); corpo da drago (Pitone)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
I m m a g i n i : h t t p : / / c a t a l o g o . f o n d a z i o n e z e r i . u n i b o . i t / s c h e d a . j s p ?
decorator=layout_S2&apply=true&tipo_scheda=OA&id=31124&titolo=Orsi+Lelio%0a
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!75
Bibliografia: Monducci E., Pirondini M., (a cura di) Lelio Orsi, Silvana Editoriale,
Milano 1987, pp. 94-95
Annotazioni redazionali: L’affresco rappresentante Apollo che uccide il serpente
Pitone fa parte di un ciclo di affreschi che, originariamente, decorava le volte e le pareti
della Rocca di Novellara. Per ordine del duca Francesco III, nel 1773, gli affreschi
furono staccati e portati a Modena; le opere furono recuperate nei depositi della Galleria
Estense grazie al lavoro di Giorgio Bonsanti, e furono rese visibili al pubblico durante
una mostra a Modena che ebbe luogo nel 1978.
Il tema trattato negli affreschi è dedicato alle storie inerenti il diluvio narrato da Ovidio
nel primo libro delle sue Metamorfosi. Oltre all’Apollo che uccide il serpente, che
chiude la serie, sono stati realizzati altri tre affreschi che narrano, per ordine di
narrazione, il mito di Giove che trasforma Licaone in Lupo, ed altri due dedicati a
Deucalione e Pirra.
La storia di Apollo e Pitone, infatti, è collocata subito dopo il grande diluvio scatenato
da Giove, il quale era profondamente adirato nei confronti del genere umano che si era
scoperto essere malvagio e vizioso. Gli unici superstiti alla catastrofe furono Deucalione
e Pirra, grazie ai quali gli uomini tornarono a nuova vita. Dalla terra rinacquero gli
animali, tra i quali il serpente Pitone, il quale però si rivelò essere una minaccia per
l’umanità. Apollo, per liberare il mondo rigenerato da questo male, lo uccise a colpi di
frecce. Nella rappresentazione di Orsi, Apollo in piedi, avvolto nel suo mantello, è
voltato verso l’enorme serpente, reso sotto forma di drago alato, il quale giace senza vita
alla sua destra. Il dio si porta una mano al viso, dando l’impressione che egli stia
riflettendo, compiaciuto, sulla sua eroica vittoria. In lontananza sono presenti due
piccole sagome non identificabili, che alludono alla figura di un uomo e di un bambino;
potrebbe trattarsi di Apollo ed Amore che s’incontrano dopo l’uccisione del serpente.
All’epoca del ritrovamento degli affreschi, il dipinto fu erroneamente scambiato da
Bonsanti come raffigurazione dell’uccisione del drago da parte di Cadmo, un mito
ugualmente presente nelle Metamorfosi, ma collocato nel sesto libro.
!76
Scheda n. 16
�
Titolo dell’opera: Python occis.
Autore: Bernard Salomon (1506 o 1508 - 1559)
Datazione: 1557
Collocazione: Bernard Salomon, La Metamorphose d’Ovide figurée, Jean de Tournes,
Lyon 1557
Committenza:
Tipologia:
Tecnica: incisione
Soggetto principale: Apollo e Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: arco e faretra (Apollo)
Contesto: paesaggio con lago sullo sfondo
!77
Precedenti:
Derivazioni: Gabriele Simeoni, Metamorfoseo d’Ovidio, figurato & abbreviato in
forma d’Epigrammi, Lione 1559
Immagini: http://ovid.lib.virginia.edu/vasal1557/0029_a8v.html
Bibliografia: Bodo Guthmuller, Mito, Poesia e Arte, Bulzoni Editore, Roma 1997 p.
213; Peter Sharratt, Bernard Salomon Illustrateur Lyonnais, Droz, Ginevra 2005, p. 30;
pp. 150-165
Annotazioni redazionali: Bernard Salomon fu un illustratore francese del XVI sec.,
famoso per aver composto nel 1557, La Metamorphose d’Ovide figurée, un libro
costituito da 178 incisioni atte a rappresentare i miti delle Metamorfosi. A Ciascuna
incisione è associato un titolo ed una strofa di otto versi, attribuiti a Barthélemy
Aneau ; una bellissima cornice, istoriata e in arabesco circonda ogni illustrazione. Il 128
libro fu nuovamente stampato in versione italiana da Gabriele Simeoni nel 1559 il quale
aggiunse qualche nuova incisione. Prima ancora di realizzare quest’opera, Salomon si
era già dedicato alle Metamorfosi, illustrando la traduzione dell’opera ovidiana di
Clément Marot, rimasta però incompiuta a causa della sua morte. Nel 1549, infatti, i
primi due libri delle Metamorfosi, gli unici realizzati da Marot, furono pubblicati
arricchiti da ventidue incisioni per mano di Salomon. Probabilmente questo primo
approccio con le Metamorfosi ispirerà la realizzazione dell’Ovide figurée, una
traduzione integrale in lingua francese del poema ovidiano, ricca di illustrazioni.
Nonostante è indubbio che Salomon si sia ispirato anche alle edizioni manoscritte
precedenti come ad esempio l’Ovidio Metamorphoseos vulgare di Giovanni Bonsignori
del 1497, che fu modello fondamentale per tutte le rappresentazioni iconografiche a
tema ovidiano, o ancora le Trasformazioni di Lodovico Dolce del 1553, l’opera che
sembra aver influenzato maggiormente l’illustratore francese fu una in particolare:
Grande Olympe, le xv. livres de la Metamorphose d’Ovide pubblicato dall’editore Janot
nel 1539 che contava 258 incisioni, frutto di mani differenti . 129
Sharrat P., Bernard Salomon illustrateur Lyonnais, Droz, Genève 2005, p. 154.128
Ibidem, p. 159.129
!78
Salomon illustra ciascun mito prendendo solo l’essenziale; talvolta in una sola incisione
sono presenti più tappe della trasformazione, andando così a giustapporre presente e
passato; questo procedimento iconografico era tipico della concezione spaziale del
Medioevo, dal momento in cui l’immagine sostituiva lo scritto . 130
L’incisione raffigurante Apollo e Pitone, presenta Pitone sotto forma di drago, che giace
ormai morto sulla riva di un lago; alla sua sinistra Apollo tiene nella mano destra il
grande arco mentre la sinistra appoggiata al fianco. Lo sguardo è rivolto verso l’alto e, e
la posa assunta dal dio suggerisce una sensazione di trionfo e fierezza.
I versi in ottava a rima che accompagnano l’immagine, si rivelano essere una
semplificazione di quanto detto da Ovidio a proposito del mito: Pitone è un mostro
orribile, formatosi dalla terra dopo il diluvio, ucciso da Apollo che così facendo ottiene
fama immortale.
Sharrat P., Bernard Salomon illustrateur Lyonnais, Droz, Genève 2005, p. 259.130
!79
Scheda n. 17
Titolo dell’opera: Serpente ucciso da Febo
Autore: Gabriele Simeoni
Datazione: 1559
Collocazione: La vita et metamorfoseo d'Ovidio figurato et abbreviato in forma
d'epigrammi da M. Gabriello Symeoni con altre stanze sopra gl'effetti della luna: il
ritratto d'una fontana d'overnia: et un'apologia generale nella fine del libro
dell'illustrissima signora duchessa di Valentinois a Lione, per Giovanni di Tornes,
Typographo Regio, libro I, 12
Committenza:
Tipologia: incisione
!80
Tecnica: xilografia
Soggetto principale: Apollo ha appena ucciso il serpente Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: arco, faretra (Apollo); corpo da drago e coda di serpente (Pitone)
Contesto:
Precedenti: Bernard Salomon, Mirrhe se veut pendre, La Metamorphose d’Ovide
figuree, libro X, Lyon 1557
Derivazioni: Virgil Solis, Myrrha sibi laqueo morte consciscere cupit, xilografia, 1563
Immagini: http://ovid.lib.virginia.edu/vasim1584/newhtml/0035.html
Bibliografia: Guthmuller B., Mito, poesia, arte. Saggi sulla tradizione ovidiana nel
Rinascimento, Bulzoni, Roma 1997, pp. 216-218
Annotazioni redazionali: Il poligrafo Gabriele Simeoni realizzò, nel 1559, una
traduzione italiana dell’opera di Salomon del 1557, mantenendo lo stesso apparato
xilografico. Lo schema della pagina seguiva quella dell’Ovide figurée, con la differenza
che Simeoni adottò un criterio di numerazione progressiva delle singole incisioni, dando
a ciascuna un numero posto in alto a destra. Un’altra differenza sta nel fatto che gli
epigrammi al di sotto dell’immagine, non si limitano ad una descrizione dell’azione
illustrata, bensì tentano di rivelare la verità celata dietro le favole.
Nel nostro caso non viene elaborato nessun altro significato, ma Simeoni si limita a
tradurre ciò che era stato precedentemente scritto nell’opera di Salomon, che a sua volta
si era ispirato ai versi ovidiani.
L’immagine presenta Apollo fiero, lo sguardo rivolto verso l’alto, che tiene con una
mano il grande arco fissato sul terreno, ed il dragone Pitone inerme alla sua sinistra,
ormai senza vita. L’illustrazione è circondata da una cornice, che non presenta
arabeschi, come nel caso di Salomon, quanto piuttosto elementi decorativi quali animali,
piante, uomini e costruzioni.
!81
Scheda n. 18
Titolo dell’opera: Apollo che scocca l’arco e il drago. Acquerello per il Terzo
intermezzo del 1589
Autore: Bernardo Buontalenti (1531-1608)
Datazione: 1589
Collocazione: Firenze, Biblioteca nazionale
Committenza:
Tipologia: disegno
Tecnica: acquarello
Soggetto principale: Apollo lancia una freccia contro il drago Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo; Pitone
Attributi: arco, freccia, faretra (Apollo); ali da drago, coda di serpente (Pitone)
Contesto:
Precedenti:
!82
Derivazioni: Combattimento Delfico. Prospetto di scena del Terzo Intermezzo del 1589
di Agostino Carracci
Immagini: http://www.saladelcembalo.org/festabar/Resources/fig14.jpeg
Bibliografia: Warburg A., I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589. I disegni di
Bernardo Buontalenti e il libro di Conti di Emilio de’Cavalieri (1895), in La rinascita
del Paganesimo antico, La nuova Italia, Firenze 1966, pp. 61-102
Annotazioni redazionali: Bernardo Buontalenti, disegnatore e macchinista, progettò i
costumi per l’opera teatrale “La Pellegrina”, scritta e diretta dal Dottor Girolamo
Bargagli in occasione delle nozze tra il Granduca Ferdinando I e Cristina di Lorena,
nipote di Caterina De’ Medici, all’epoca regina di Francia. Questi disegni preparatori
illustrano i sei intermezzi che si sarebbero alternati durante lo spettacolo, di contenuto
narrativo di sapore classico. Gli intermezzi s’ispirarono al tema della musica, intesa su
un doppio livello: quello universale, per il quale s’intende l’armonia divina che
coinvolge l’universo, e quella umana, composta dai singoli individui. Il combattimento
Pitico s’inseriva in questo contesto in quanto nell’antica Grecia, in occasione dei giochi
pitici che si svolgevano a Delfi, lo spettacolo d’apertura prevedeva una rappresentazione
teatrale della lotta tra Apollo e Pitone, durante la quale veniva invocato il sacro peana
dedicato ad Apollo, che fu intonato dal popolo delfico durante la battaglia per esortare il
dio alla vittoria . 131
Gli intermezzi furono commentati da Bastiano De’ Rossi, in un testo edito a Firenze nel
1585 intitolato “Descrizione del magnificentissimo apparato, e di’ meravigliosi
intermedi fatti per la commedia rappresentata in Firenze nelle felicissime nozze
dell’illustrissimi e eccellentissimi signori il signor Don Cesare D’Este, e la signora
Donna Virginia Medici”.
De’ Rossi, parlando del terzo intermezzo, riporta il madrigale d’Ottavio Rinuccini,
cantato dal coro:
Callimaco, Inni, Inno ad Apollo, vv. 91-98; 131
Strabone, Geografia, IX, 3, 12.
!83
Qui di carne si sfama
lo spaventoso serpe:in questo loco
vomita fiamma, e foco, e fischia, e rugge:
Qui l’erbe, e i fior distrugge:
Ma dov’è ‘l fero mostro?
Forse avrà Giove udito il pianto nostro.
Al grido d’aiuto del popolo delfico risponde Apollo, il quale arriva volando dal cielo,
descritto come “un’huomo armato d’arco, e saette, che gli soccorse, e per Apollo fu
figurato” . 132
Apollo fu infatti disegnato in volo, in alto rispetto al drago Pitone, contro il quale scocca
una delle sue frecce. Il mostro spalanca le fauci, sputando fuoco e fiamme e sta per
essere colpito dalla freccia che gli sarà fatale. L’abito disegnati per Apollo da
Buontalenti, i quali saranno gli stessi indossati in scena dal dio, era turchese e dorato, in
allusione al cielo ed ai raggi solari. Il modello di riferimento per la narrazione fu,
secondo quanto afferma De’ Rossi, l’Onomasticon di Giulio Polluce, il quale narrò la
storia di Apollo e Pitone alla maniera di Strabone . L’autore antico, infatti, racconta la 133
venuta di Apollo sulla terra di Delfi, durante i suoi viaggi per mari e monti, in aiuto ai
cittadini spaventati dalla minaccia incombente rappresentata da Pitone.
‘De Rossi, Descrizione. Intermedio Terzo, pp. 42-48.132
Strabone, Geografia, IX, 3, 12.133
!84
Scheda n. 19
�
Titolo dell’opera: Combattimento Delfico. Prospetto di scena del Terzo Intermezzo del
1589
Autore: Agostino Caracci (1557- 1602)
Datazione: 1589
Collocazione: Firenze, Biblioteca Nazionale
Committenza: Giovanni di Bardi (1534-1612)
Tipologia: Incisione
Tecnica: Acquaforte
Soggetto principale: Il drago Pitone è attaccato dall’alto dal dio Apollo
Soggetto secondario: Popolo di Delo assiste alla scena
Personaggi: Pitone, Apollo, Popolo di Delo
Attributi: aspetto di drago (Pitone); spada (Apollo); oggetti marini nelle mani o nelle
vesti (popolo di Delo)
Contesto: foresta
Precedenti: Bernardo Buontalenti, Apollo che scocca l’arco e Coppie delfiche.
Acquerelli per il Terzo Intermezzo del 1589. Firenze, Biblioteca Nazionale
�85
Derivazioni:
Immagini: http://www.saladelcembalo.org/festabar/images_firenze-mostruoso/
fig13_scene5.jpg
Bibliografia: Warburg A., I costumi teatrali per gli intermezzi del 1589. I disegni di
Bernardo Buontalenti e il libro di Conti di Emilio de’Cavalieri (1895), in La rinascita
del Paganesimo antico, La nuova Italia, Firenze 1966, pp. 61-102
Annotazioni redazionali: Nel 1589, in occasione dei festeggiamenti per celebrare il
matrimonio tra il Granduca Ferdinando I e Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’
Medici, regina di Francia, venne messa in scena “La Pellegrina”, del Dottor Girolamo
Bargagli, con intermezzi di Giovanni de’ Bardi. L’incisione di Agostino Caracci si
riferisce a questi intermezzi, e prende ispirazione dai disegni preparatori per i costumi
teatrali di Bernardo Buontalenti , disegnatore e macchinista. I sei intermezzi 134
attingevano al repertorio classico greco e rappresentavano, per ordine: l’Armonia delle
sfere, la gara fra Muse e Pieridi, il combattimento Pitico d’Apollo, la regione dei
Demoni, il Canto di Arione, la discesa di Apollo e Bacco insieme col ritmo e l’armonia.
Gli intermezzi possono essere divisi in due gruppi: il primo, composto dal I, IV e VI
intermezzo, vuole essere allegoria, in senso platonico, della musica del cosmos. Il
secondo gruppo, del quale fa parte il terzo intermezzo, soggetto dell’incisione del
Caracci, rappresenta scene di vita degli dei e degli uomini, in età mitica, volti a mostrare
gli effetti psichici della musica; se il primo gruppo di intermezzi ci parla,
metaforicamente, della musica cosmica, il secondo sposta l’attenzione sulla musica
realizzata dagli individui, la “musica humana”. Il combattimento tra Apollo e Pitone
rappresentava una festa musicale secondo l’uso degli antichi Greci, in onore del dio
solare Apollo, il quale veniva celebrato per aver ucciso il terribile drago, minaccia per il
popolo dei Delfi. L’intenzione fu quella di rappresentare i canti Pitici dei Giochi di
Delfo in onore di Apollo. Sappiamo infatti, tramite Callimaco e Strabone che fu in 135 136
vedi scheda n. 18134
Callimaco, Inni, Inno ad Apollo, vv. 91-98.135
Strabone, Geografia, IX, 3, 12.136
�86
occasione della lotta tra il dio ed il drago che ebbe origine il peana che,
tradizionalmente, si intona al dio Apollo.
Gli intermezzi sono stati commentati da Bastiano De’ Rossi, in un testo edito a Firenze
nel 1585, “Descrizione del magnificentissimo apparato, e di’ meravigliosi intermedi
fatti per la commedia rappresentata in Firenze nelle felicissime nozze dell’illustrissimi e
eccellentissimi signori il signor Don Cesare D’Este, e la signora Donna Virginia
Medici”ed in merito al terzo, De’ Rossi afferma che Giovanni de’ Bardi, per la
rappresentazione del combattimento pitico, fa uso del racconto di Giulio Polluce, nel IV
libro del “Onomasticon ” dove la battaglia pitica si svolgeva in cinque atti, in 137
rappresentanza con la musica. Per essere il più aderenti possibili alla pantomina antica
di Giulio Polluce, Apollo viene rappresentato in atto di scendere dal cielo, in soccorso al
popolo di Delfi, il quale lo guarda con ammirazione e speranza. Il coro delfico, che ha
una parte predominante nella rappresentazione, è raffigurato dal Caracci, mosso dalla
paura, in atto di pregare il dio. Il coro, composto da uomini e donne, disegna un semi
cerchio in gruppi da due persone raccolte intorno a Pitone, raffigurato come un
mostruoso drago che con le ali tese, sputa fiamme dalla bocca. Il dragone è fedelmente
rappresentato secondo il disegno del Buontalenti; lo stesso non può dirsi per le coppie
delfiche che fungevano da modello per la rappresentazione le quali nei disegni del
Buontalenti, si scambiano le loro impressioni attraverso duetti mimici, con gesta e
movimenti del corpo. Rimangono invariati invece dai disegni preparatori del
Buontalenti, i costumi del coro delfico, che rispondono ad una moda anticheggiante 138
secondo quanto dice lo stesso De’ Rossi.
Stando al commento di Bastiano De’ Rossi, il coro è riconoscibile come il popolo di
Delfi grazie ad alcuni attributi marini, come corallo e conchiglie, posti tra le mani, nelle
vesti o nei capelli delle figure, poiché secondo quanto scrive il Bardi, Delo fu edificata
da Delfo, figlio di Nettuno; in realtà quest’affermazione è un’interpretazione arbitraria
Giulio Polluce, Onomasticon, cap. X, segm. 84. 137
De’ Rossi, Descrizione, pp. 42-48.138
�87
del Bardi il quale non aveva ben chiara la relazione che corresse tra l’isola di Delo e
Delfo e voleva solo guadagnare un attributo in più per le sue figure . 139
Warburg, 1966, p. 93.139
�88
Scheda n. 20
Titolo dell’opera: Apollo uccide Pitone
Autore: Artista anonimo proveniente dalla scuola di Hendrick Goltzius
Datazione: 1589 ca.
Collocazione: Londra, British Museum
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica:
Soggetto principale: Apollo uccide Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: arco, frecce, faretra al fianco (Apollo); corpo di drago e coda di serpente
(Pitone)
Contesto: paesaggio campestre con città sullo sfondo
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://aste.catawiki.it/kavels/2827623-hendrick-goltzius-1558-1617
�89
Bibliografia: The illustrated Bartsch, Vol. 3, Netherlandish Artists: Hendrick Goltzius,
Abaris, New York 1982, p. 354; Alberton Vinco da Sesso L. (a cura di) Il Manierismo
olandese: Hendrick Goltzius e i suoi allievi, Minchio-Bassano 1990, p. 15-17
Annotazioni redazionali: L’incisione che vede rappresentato Apollo che uccide a colpi
di frecce il serpente Pitone è basato su un disegno di Hendrick Goltzius, effettuato da un
assistente anonimo. L’opera fa parte di una serie di cinquantadue tavole ispirate alle
Metamorfosi di Ovidio realizzate in tre serie: le prime venti durante il 1589, tra le quali
fa parte l’illustrazione presa in esame; altre venti nel 1590 corredate dai versi del poeta
Franco Estius ed ancora dodici pubblicate nel 1615 da Robert de Baudous, che
probabilmente ne fu anche l’incisore, recante i versi di G. Rijkius. Le ultime due serie
erano accompagnate da versi poetici. La maggior parte dei disegni, tra i quali fa parte
Apollo che uccide Pitone, sono basati su opere di Goltzius, il quale probabilmente si è
ispirato alle illustrazioni contenute nell’Ovide figurée di Bernard Salomon.
La scena mostra Apollo in atto di uccidere l’orrendo mostro Pitone, con corpo di drago e
coda di serpente, il quale spalanca le fauci verso il dio che girato leggermente verso di
lui, tiene forte l’arco con la mano sinistra mentre la destra scaglia una freccia contro il
suo muso. Sotto la scena è possibile leggere: 13/ Immensum certis stravit Pythone
sagittis, nec nieruit minimum Cytnthius arte deus. Latone matri monstrum Junonis ob
irans et terra insestum dum necat at mari. L’iscrizione latina si riferisce a Pitone come
un mostro mandato da Giunone a perseguitare Latona sulla terra. Apollo lo uccide allo
scopo di vendicare la madre per i torti subiti dal serpente, secondo quanto riportato da
Igino nelle sue favole . 140
Igino, Favole, CXL.140
�90
Scheda n. 21
!
Titolo dell’opera: Apollo uccide Pitone
Autore dell’opera: Anton Maria Viani (1508 ca. -1573) e assistenti
Datazione: 1594-1595
Collocazione: Mantova, Palazzo ducale, Galleria del Passerino
Committenza: Duca Ferdinando Gonzaga
Tipologia: dipinto
Tecnica: affresco
Soggetto principale: Apollo uccide Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi:
Attributi: arco, faretra (Apollo); corpo da drago (Pitone)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://lnx.societapalazzoducalemantova.it/2010/pdf/2015/REGGIA-2-
giugno-2015.pdf
Bibliografia: Franchini D., La scienza a Corte, Bulzoni editore, Roma 1979, pp.
152-160; Zanetti L., L’appartamento delle Metamorfosi, in La Reggia, giornale per la
�91
società per il palazzo ducale fondato da Luigi Pescasso, anno XXIV, n. 2 (92), Mantova
2015, pp. 12-13
Annotazioni redazionali: La galleria del Passerino, così chiamata poiché ospitava il
corpo imbalsamato di Passerino Bonaccolsi, fu ideata, all’interno della Reggia ducale di
Mantova, tra il 1594 e 1595 sino al 1612, dal pittore e architetto di corte Anton Maria
Viani su commissione di Vincenzo I Gonzaga, all’epoca non ancora duca di Mantova.
La galleria era atta ad ospitare una collezione scientifico-naturalistica su tema
metamorfico; inizialmente doveva trattarsi di un unico ambiente che doveva custodire la
biblioteca ducale; si realizzò invece un secondo progetto, secondo il quale vennero
create quattro stanze all’interno delle quali fu collocato un museo naturalistico, secondo
il volere del Duca Ferdinando II Gonzaga. Le volte delle stanze, ad esclusione della
prima, furono affrescate seguendo il tema iconografico legato alle Metamorfosi di
Ovidio , motivo d’illustrazione prediletto nel Rinascimento. Al di là della tendenza, 141
scegliere il celebre poema Ovidiano come fonte letteraria alla quale attingere per
realizzare il ciclo di affreschi non fu casuale. L’intento fu probabilmente quello di creare
una connessione tra il museo naturalistico, e la realtà mitica presente al di sopra,
illustrata all’interno delle volte; la collezione era così osservata da un punto di vista
scientifico e fantastico allo stesso tempo . 142
Il mito metamorfico non ha solo il ruolo di accompagnare la collezione naturalistica;
esso s’inscrive in un progetto che prevedeva che ogni stanza fosse connessa con una
stagione, un elemento primordiale (terra, acqua, aria, fuoco) e una fase alchemica.
L’itinerario svolto all’interno delle stanze alludeva ad un percorso ascensoriale della
materia, da piombo ad oro, metafora dell’elevazione dell’anima, la quale distaccandosi
dal corpo, raggiunge lo stadio divino . L’affresco rappresentante Apollo in atto di 143
uccidere Pitone, presente nella terza stanza, la stanza della terra, vede protagonista il
La presenza degli affreschi su tema “metamorfico” ha conferito alla galleria un altro nome: 141
l’appartamento delle Metamorfosi.
Franchini D., La scienza a corte, Bulzoni editore, Roma 1979, p. 152.142
Zanetti L., “L’appartamento delle Metamorfosi” in La Reggia, giornale per la società per il palazzo 143
ducale fondato da Luigi Pescasso, anno XXIV, n. 2 (92), Mantova 2015, p. 12.
�92
dio nudo che saetta il drago Pitone in atteggiamento sereno e fiero. In chiave alchemica,
l’uccisione del drago da parte del sole, è metafora dell’estrazione dello zolfo e
dell’acqua lunare. Il drago, infatti, è simbolo dell’argento vivo, agente della
trasmutazione alchemica e della materia, ad uno stadio in cui essa non è ancora stata del
tutto purificata . 144
Da un punto di vista stilistico, i modelli iconografici per gli affreschi, furono Crispijin
de Passe e Antonio Tempesta, seppure, per quanto riguarda il nostro affresco, non sono
evidenti particolari analogie con la tavoletta del Tempesta . 145
Ibidem .144
Franchini, 1979, p. 160.145
�93
Scheda n. 22
Titolo dell’opera: Python ab Apolline interficitur
Autore: Antonio Tempesta (1555-1630)
Datazione: 1606
Collocazione: Metamorphoseon sive transformationum ovidianarum libri quindecim,
aeneis formis ab Antonio Tempesta florentino incisi, et in pictorum, antiquitatisque
studiosorum gratiam nunc primum exquisitissimis sumptibus a Petro de Iode
antuerpiano in lucem editi, Anversa 1606, Libro I, Pl. 9
Committenza:
Tipologia: incisione
Tecnica: xilografia (97 x 115 cm)
Soggetto principale: Apollo scaglia una delle sue frecce contro il drago Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
�94
Attributi: arco, faretra, carro del sole (Apollo); corpo da drago, corda di serpente
(Pitone)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagine:
Bibliografia: The illustrated Bartsch, vol. 36, Antonio Tempesta: italian masters of the
sixteen century, Abaris book, New York 1983, p. 14; Cieri Via C, L’arte delle
Metamorfosi, decorazioni mitologiche del Cinquecento, Lithos, Roma 2003, p. 14
Annotazioni redazionali: L’incisione di Antonio Tempesta raffigurante Apollo in atto
di uccidere il drago Pitone è parte di uno dei più celebri lavori dell’incisore fiorentino, il
quale si cimentò nei primi anni del 1600, in un’opera che contava la bellezza di 150
xilografie atte ad illustrare le Metamorfosi di Ovidio. Questa raccolta di illustrazioni su
tematica ovidiana s’inscrive in una nuova tradizione letteraria-artistica, che aveva preso
avvio dall’Ovide figurée di Bernard Salomon, pubblicato nel 1557.
Antonio Tempesta si dedicò ad illustrare molti dei miti presenti nelle Metamorfosi,
corredate da un piccolo e sintetico testo in versi. Le immagini, nell’opera di Tempesta,
occupano gran parte della pagina, sostituendosi quasi del tutto alla narrazione. Durante
il periodo a cavallo tra il ‘500 ed il ‘600, l’illustrazione acquisì un ruolo predominante
rispetto alla parola; essa smette di essere supporto illustrativo della favola scritta,
divenendo essa stessa fonte evocativa del mito . 146
L’incisione presenta Apollo, vestito in armatura, il quale tende l’arco dopo aver appena
scagliato il colpo mortale contro il drago, il quale è colpito alla base del collo. Il mostro
spalanca le fauci a causa del dolore provato e la parte superiore del corpo si abbassa
bruscamente, segno che la il colpo inflitto è quello fatale. Sullo sfondo l’incisore ha
rappresentato il carro del sole guidato da tre cavalli, attributo del dio, sul quale il dio
Apollo gira intorno alla terra annunciando l’alba ed il tramonto.
Cieri Via C, L’arte delle Metamorfosi, decorazioni mitologiche del Cinquecento, Lithos, Roma 2003, 146
p. 14.
�95
Rispetto alla xilografia di Salomon, notiamo una diversa vivacità d’azione; se infatti
l’Apollo dell’Ovide figurée è in posizione statica, in piedi, dopo aver compiuto
l’impresa, ed il drago giace immobile accanto a lui, Tempesta sceglie di rappresentare il
momento culminante della scena, dedicando particolare cura alla resa del dolore di
Pitone causato della colpo inferto da Apollo.
�96
Scheda n. 23
Titolo dell’opera: Apollo uccide Pitone
Autore: Domenico Zanchieri, detto Il Domenichino (1581-1641)
Datazione: 1616-1618
Collocazione: Frascati, Villa Aldobrandini
Committenza: Cardinale Pietro Aldobrandini
Tipologia: dipinto
Tecnica: affresco
Soggetto principale: Apollo in volo scaglia una freccia contro il dragone Pitone
Soggetto secondario:
Personaggi: Apollo, Pitone
Attributi: freccia, arco (Apollo); ali da drago, coda di serpente (Pitone)
Contesto: paesaggio campestre
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini:
Bibliografia: Spear R., Domenichino, Yale University Press, New Haven and London
1982, pp.195-198
�97
Annotazioni redazionali: L’affresco che vede protagonisti Apollo ed il serpente Pitone
fa parte di un ciclo di decorazioni per un padiglione del giardino di Villa Aldobrandini
(anche chiamata Villa del Belvedere) a Frascati, che intende rappresentare scene tratte
dalla vita di Apollo. Alcuni di questi affreschi sono ancora presenti in situ, altri sono
stati staccati e sono ora conservati alla National Gallery di Londra.
Gli episodi raffigurati erano dieci in totale e si presentavano secondo la seguente
disposizione: proprio sopra la porta d’ingresso di trovava la Contesa di Marsia;
seguendo verso sinistra si incontravano Apollo uccide Pitone, Apollo uccide i due
Ciclopi, il Giudizio di Mida, Apollo e Dafne, e la Trasformazione di Ciparisso. Sul muro
opposto si trovavano gli altri affreschi, di cui Apollo protettore della testa di Orfeo,
Apollo e Nettuno, Mercurio ruba le mandrie di Admeto e Apollo uccide Coronide. La
scelta degli episodi sembra mettere in luce in dio del sole, non in qualità di signore delle
arti, bensì egli viene celebrato per le sue imprese “punitive” . 147
Il nostro affresco, ispirato al racconto descritto da Ovidio nelle Metamorfosi , non è 148
stato trasferito , dunque è ancora possibile ammirarlo nel luogo per il quale fu 149
concepito. Alla realizzazione dell’opera ha lavorato, oltre che Domenichino, anche uno
dei suoi assistenti, Giovan Battista Viola, la quale mano è individuabile nella scelta dei
colori e nella forma “morbida” delle montagne sullo sfondo. Per quanto riguarda le due
figure, Apollo e Pitone, entrambe sono attribuibili al maestro . Apollo è raffigurato in 150
volo che scaglia una delle sue frecce contro Pitone, ancora una volta presentato come un
dragone . 151
Spears, 1982, p. 197.147
Ibidem, 1982, p. 201.148
Gli unici tre affreschi che ancora è possibile trovare in situ sono Apollo uccide Pitone, la 149
Trasformazione di Ciparisso e Apollo protettore della testa di Orfeo. Tutti gli altri sono alla National Gallery di Londra.
Ibidem, p. 198.150
Studiando il mito a livello iconografico, oltre l’affresco di Domenichino, abbiamo un’unica 151
testimonianza figurativa che vede Apollo in volo in atto di uccidere il serpente: vedi scheda n. 18.
�98
Scheda n. 24
!
Titolo dell’opera: Apolo y la serpiente Pitòn
Autore: Pedro Paolo Rubens (1577-1640)
Datazione: 1636-1637
Collocazione: Madrid, Museo del Prado
Committenza: Re Filippo IV
Tipologia: tavola
Tecnica: olio du tela
Soggetto principale: Apollo scaglia frecce contro il drago Pitone
Soggetto secondario: Cupido scaglia una freccia contro Apollo
Personaggi: Apollo, Pitone, Cupido
Attributi: Apollo (arco, faretra, aureola dorata); Pitone (ali e coda di drago); Cupido
(faretra, arco, freccia, ali)
Contesto: paesaggio campestre
Precedenti:
�99
Derivazioni: Cornelius de Vos, Apolo y la serpiente Piton, 1636-38, Madrid, Museo del
Prado
Immagini: https://www.museodelprado.es/coleccion/galeria-on-line/galeria-on-line/
zoom/1/obra/apolo-y-la-serpiente-piton/oimg/0/
Bibliografia: Alpers S., The decoration of the Torre de la Parada in Corpus
Rubenianum Ludwig Burchard: an illustrated catalogue raisonné of the work of Peter
Paul Rubens based on the material assembled by the late Ludwig Burchard in Twenty-
seven parts, Arcada Press, Bruxelles 1971, p. 87; pp. 153-154
Annotazioni redazionali: Il dipinto di Apollo e Pitone realizzato da Rubens nel XVII
sec. è parte di un ciclo di lavori commissionati da Filippo IV in occasione dell’opera di
trasformazione per la Torre de la Parada, presso Madrid, che divenne a seguito di questi
interventi migliorativi, uno dei luoghi della corte spagnola di maggior bellezza artistica
ed architettonica. Pietro Paolo Rubens, uno degli artisti più prestigiosi all’epoca, si
occupò della realizzazione di ben 63 dipinti a tema mitologico, di cui 41 ispirati alle
Metamorfosi di Ovidio.
Il dipinto della Torre de la Parada, oggi conservato al Museo del Prado, vede Apollo con
ancora l’arco in mano, dopo aver ucciso a colpi di frecce il drago Pitone, che morente
giace alla sua destra. Il dio del sole è distratto dalla presenza di Cupido, il quale lo sta
per colpire con una delle sue frecce d’amore allo scopo di farlo impazzire d’amore per
la bella ninfa Dafne.
Nel XVI e XVII sec. il principale riferimento iconografico per illustrare i miti delle
Metamorfosi era “La Métamorphose d’Ovide figurée” di Bernard Salomon nell’edizione
di Lyons del 1557. Nel caso della rappresentazione della lotta tra Apollo e Pitone,
Salomon ci presenta Apollo alla sinistra, trionfante, per aver ucciso il temibile serpente
Pitone, il quale giace senza vita alla sua sinistra. Tuttavia Rubens sembra essere ispirato
dalla versione dell’Ovide figurée di Leipzig del 1582 e dall’incisione di Antonio
Tempesta. In entrambi questi due ultimi casi, Apollo, alla sinistra di Pitone, rivolge
ancora l’arco contro il drago, al quale è stato appena inflitto il colpo . Nella versione 152
Alpers S., 1971, p. 87.152
�100
di Rubens non è unica freccia ad uccidere il serpente, ma una serie di colpi: questa
scelta iconografica è coerente al racconto Ovidiano:
“Febo, il dio che porta l’arco dovette seppellirlo sotto mille frecce e svuotare quasi la faretra, prima che morisse in un lago di sangue velenoso uscito dalle nere ferite ”. 153
Un altro notevole cambiamento riportato dal pittore fiammingo è la presenza del dio
dell’amore, Cupido. In Salomon Cupido non è presente alla scena, mentre è raffigurato
nell’edizione dell’Ovide figurée nell’edizione di Lyon del 1556, posto alla sinistra di
Apollo. Nelle Metamorfosi di Ovidio, alla lotta contro il serpente, segue una discussione
che vede partecipi le due divinità poiché Apollo, inorgoglito per l’eroica impresa appena
intrapresa, schernisce l’altro per non essere esperto abbastanza nell’uso dell’arco.
Cupido reagisce all’offesa, scagliandogli contro una freccia che renderà il valoroso dio
del sole cieco d’amore per la ninfa Dafne, la quale non ricambiando i suoi sentimenti, si
farà trasformare in alloro per sfuggire ai tentativi di seduzione del dio.
L’inserimento di Cupido ha lo scopo di legare insieme la storia di Apollo e Pitone e
quella di Apollo e Dafne, appena successiva, cosicché sia possibile rendere visibile la
transizione subita da Apollo, da dio trionfante a uomo schiavo delle passioni amorose.
Salomon, nell’edizione del 1557 di Lyon dell’Ovide figurée ed in quella del 1582 di
Leipzig, dedica ad ogni azione una xilografia: non vi è sequenza narrativa, ma solo una
presentazione isolata dei singoli miti.
Rubens gioca sulla duplice natura del dio, eroe valoroso prima, sciocco irrazionale
dopo. Il carattere trionfante è reso ancora più forte dalla posa di Apollo, ispirata
direttamente da quella dell’Apollo del Belvedere . Rubens, esalta il dio vestendolo 154
della nobiltà dell’Apollo del Belvedere, simbolo della classicità antica, ma allo scopo di
rendere ancora più manifesto l’improvviso cambiamento del dio, piegato dal potere
dell’amore. Il dio, nonostante in posa, distratto dalla figura di Cupido, perde tutta la sua
grazia a causa dell’improvviso giramento della testa, al quale segue uno sbilanciamento
di tutto il corpo. Rubens riproduce la scena fedelmente alla narrazione Ovidiana,
Metamorfosi, I, vv. 434-447.153
Alpers, 1971, p. 153.154
�101
enfatizzando la comicità del poeta latino nel considerare l’uomo con tenerezza e
simpatia, poiché dotato di intelletto ma ugualmente vittima delle passioni istintive
naturali. Apollo, allegoria della civiltà e della ragione, annebbiato dal potere dei
sentimenti, cade vittima di se stesso in un cieco e folle inseguimento amoroso. Ovidio e
Rubens rivelano una medesima percezione della vita: nel pieno senso della parodia
come della tragedia.
�102
Scheda n. 25
!
Titolo dell’opera: Apollo e il serpente Pitone
Autore: Joachim Von Sandrart (1606-1688)
Datazione: 1650-1660 ca.
Collocazione: Firenze, Galleria degli Uffizi (depositi)
Committenza:
Tipologia: dipinto
Tecnica: olio su tela (80 x 109 cm)
Soggetto Principale: Apollo vittorioso dopo aver sconfitto il serpente Pitone
Soggetto Secondario: gente acclama Apollo
Personaggi: Apollo, Pitone, folla
Attributi: arco, manto rosso, raggi solari intorno alla testa (Apollo)
Contesto: scena all’aperto
Precedenti:
Derivazioni:
Immagini: http://www.vincentvangoghgallery.org/painting-SANDRART,%20Joachim
%20von-Apollo%20and%20the%20Serpent%20Python-30032.htm
Bibliografia: Iahn-Rusconi, La R. Galleria Pitti in Firenze, La Libreria dello Stato,
Roma 1937, p. 256; Gli Uffizi Catalogo Generale, Centro Di, Firenze 1979-1980, p.
�103
470; Michèle-Caroline Heck, Théorie et pratique de la peinture, Sandrart et la Teutsche
Academie, éditions de la Maison des sciences de l’homme, Parigi 2006, p. 263
Annotazioni redazionali: Il dipinto trovò collocazione nella pinacoteca del Palazzo
degli Uffizi di Firenze a partire dal XIX sec.; passò poi alla Galleria Palatina nel 1928
ed ora si ritrova nuovamente agli Uffizi.
Fu realizzato da Von Joachim Sandrart, artista tedesco nativo di Francoforte, il quale
passò diversi anni a Roma, dal 1627 al 1637. Il dipinto rappresenta Apollo al centro, il
quale avvolto in un nimbo di luce, tiene in mano l’arco e le frecce, e si lascia acclamare
dalla folla dopo aver ucciso il drago Pitone.
L’evento è ambientato di notte, o all’ora del tramonto, probabilmente perché in questo
modo l’artista poteva dar maggior valore alla luce emanata da dio del sole, Apollo, il
quale irradia l’oscurità, dando luce e colore all’ambiente circostante . Sandrart sceglie 155
di raffigurare Apollo come un salvatore, il quale secondo la fonte ovidiana , avrebbe 156
liberato gli uomini dal male rappresentato da Pitone. Nel corso del Medioevo, il mito è
stato considerato allegoricamente; da questo nuovo modo di intendere la battaglia di
Apollo e Pitone, il trionfo del dio ha coinciso con il trionfo della ragione e della civiltà.
In Fulgenzio, il primo mitografo a trattare le favole antiche in chiave allegorica, le
frecce con le quali Apollo trafigge Pitone sono paragonate ai raggi solari che penetrano
il regno dell’oscurità. In questo senso il dipinto l’Apollo di Sandrart può essere
considerato come portatore di verità, di luce e di chiarezza.
Per approfondimenti sulle tecniche pittoriche di Sandrart e la resa della luce vedi: Michèle-Caroline 155
Heck, Théorie et pratique de la peinture, Sandrart et la Teutsche Academie, éditions de la Maison des sciences de l’homme, Parigi 2006, p. 263.
Le Metamorfosi, Libro I, vv. 437-440: “immenso Pitone, serpente mai visto prima, che divenisti il 156
terrore dei popoli rinati.”.
�104
3. L’EVOLUZIONE ICONOGRAFICA DEL MITO
3.1. Apollo e Pitone in età antica: la contesa per l’oracolo di Delfi In età antica la versione di riferimento principale per le rappresentazioni
iconografiche del mito di Apollo e Pitone fu quella elaborata da Euripide, il quale
menzionò la storia all’interno della sua celebre tragedia, l’Ifigenia in Tauride . 157
Secondo il tragediografo la lotta tra i due si svolse poco dopo la nascita del dio Apollo,
quando egli fu portato dalla madre Latona presso il monte Parnaso, imbattendosi
nell’enorme serpente posto a guardia dell’oracolo da Gea, la madre-terra. Racconta
Euripide che Apollo scagliò le sue frecce direttamente dalle braccia della madre, e che
dopo aver ucciso il serpente prese possesso dell’oracolo di Delfi, appropriandosi del
tripode delfico, dal quale il dio dispensò le sue risposte profetiche alle genti della
Grecia.
Le illustrazioni di ben due lèkythos antichi datati nel V sec. a.C aderiscono a quanto
detto da Euripide, considerando che entrambi presentano Apollo bambino in braccio alla
madre, nell’atto di scoccare una delle sue frecce contro il serpente . Le testimonianze 158
artistiche successive, seppure non presentino Latona, presentano il dio in aspetto
infantile, a riprova del fatto che la lotta contro il serpente è stata considerata già in
origine, la prima eroica impresa compiuta dal dio; lo stesso Ovidio ne parla in qualità di
prima memorabile azione, e Pitone sarà il primo essere malvagio a cadere vittima delle
sue infallibili frecce . 159
Ad esclusione della rappresentazione muraria presente nella Casa dei Vettii a
Pompei , nella quale Apollo è presentato come un giovane adulto, tutte le 160
rappresentazioni del dio in lotta contro il serpente lo presentano come un bambino. Lo
Fontenrose, 1980, p. 16.157
Vedi schede 2 e 3.158
Le Metamorfosi, Libro I, vv. 441-442: “Febo, il dio che porta l'arco ma che fino ad allora si era 159
servito di quell'arma soltanto contro i cerbiatti e i caprioli che scappano, uccise quest'essere".
Vedi scheda n. 8.160
�105
dimostrano gli stateri provenienti da Crotone, coniati a partire dal V sec., nei quali è
frequentemente inciso il tripode delfico, poiché secondo la tradizione mitologica legata
alla città, fu lo stesso oracolo di Delfi ad ordinarne la fondazione; talvolta, come
dimostra lo statere presente in catalogo (scheda n. 6), oltre al tripode trova spazio anche
Apollo in lotta contro il serpente, il quale viene nuovamente presentato come un
bambino.
Tutte le rappresentazione del mito in epoca classica legano il mito di Apollo e
Pitone al santuario di Delfi. Il serpente, talvolta detentore dell’oracolo, talvolta
guardiano o semplice abitante del
posto, era figura intimamente
legata con la sacra sede oracolare;
la più antica versione, ed anche la
più originale, nell’Inno Omerico
all’Apollo Pizio, narra che il dio
era in viaggio per fondare una
propria sede profetica. Riferimenti al santuario sono presente anche nel dipinto murario
della Casa dei Vettii di Pompei, in quanto la presenza dell’omphalos, la pietra sacra che
segnava il luogo oracolare come centro del mondo , suggerisce che la battaglia si sia 161
svolta per contendersi Delfi.
Il legame tra Apollo e l’oracolo di Delfi emerge visivamente nell’arte antica,
attraverso un elemento, il tripode delfico. Come narra lo stesso Euripide, dopo
l’uccisione del serpente, Apollo prese il possesso del tripode sacro, il “trono veritiero
dispensando vaticini d’oracoli ai mortali dai penetrali” . 162
Ad eccezione dell'affresco presente a Pompei, non abbiamo testimonianza di altre
rappresentazioni iconografiche in età romana, probabilmente poiché Ovidio tratta il
mito di Apollo e Pitone piuttosto superficialmente. Il poeta, infatti, gli dedica pochi
versi nei quali si limita a dire che in onore del serpente, furono istituiti i giochi Pitici.
Euripide, vv. 1246-48: “O Febo, mettesti il piede sul divino oracolo ed ora siede sull’aureo tripode, sul 161
trono veritiero dispensando vaticini oracoli ai mortali dai penetrali, vicino alla fonte Castalia, occupando il centro della Terra”.
Euripide, Ifigenia in Tauride, vv. 1246-47.162
�106
Pitone, altro non è che un enorme serpente frutto della terra dopo il grande diluvio, ed
esso non ha alcun legame con il santuario di Delfi. La storia, in realtà, sembra
interessare ad Ovidio poiché permette lo sviluppo del mito di Apollo e Dafne,
decisamente più elaborato.
A partire dal XV secolo, quando le Metamorfosi di Ovidio prenderanno il
sopravvento in qualità di fonte letteraria dalla quale attingere per la scoperta del mito
antico, la favola di Apollo e Pitone smetterà di essere associata, a livello iconografico, al
santuario Delfico, che non è neanche menzionato dall’autore latino.Nelle Metamorfosi
Apollo uccide Pitone, dopo che quest’ultimo si rivelò essere una minaccia per le genti
rinate dopo il diluvio scatenato da Zeus per punire il genere umano della sua malvagità.
La domanda che sorge spontanea, prima di analizzare il mito da un punto di vista
iconografico coerentemente a quanto narra Ovidio, è perché le Metamorfosi abbiano
acquisito una così grande risonanza. L’opera si diffuse in molti manoscritti e stampe in
Italia, così come in Francia, Spagna, Inghilterra e Germania . È bene, tuttavia, 163
precisare che il poema non fu mai considerato come l’unica “enciclopedia” consultabile
della mitologia pagana, ma la sua struttura narrativa e la maniera attraverso la quale i
suoi contenuti furono trattati, permisero all’opera di essere considerata, non soltanto un
compendio di materiale antico, bensì un testo istruttivo di morale e saggezza . 164
Oltre ad un significato “altro”, deducibile in Ovidio, il quale con ironia e serietà
punisce le azioni malvagie attraverso la metamorfosi ad uno stadio evolutivo più basso,
la sua maniera di raccontare, di descrivere, è tanto completa e ricca da suscitare la
creatività di artisti e poeti moderni. L’azione principale di ogni mito è avvolta da
un’atmosfera, un paesaggio ben descritto e lo stato d’animo dei personaggi emerge
donando così un carattere, una personalità ben definita ad ognuno di loro; Ovidio crea
una vera e propria “scena”, che stimola l’immaginazione e conduce alla resa in
immagine artistica.
Guthmuller B., Mito e Metamorfosi nella letteratura italiana. Da Dante al Rinascimento, Carocci, 163
Roma 2009, p. 276.
Ibidem. 164
�107
3.2. Apollo e Pitone in Egitto: il serpente Apep e la barca del sole
La lèkythos conservata al Louvre, il vaso Haimonian, dal corpo allungato (scheda
n. 3), raffigurante un Apollo fanciullo, pronto a scoccare una freccia contro Pitone,
seduto su quello che potrebbe essere considerato l’omphalos, la pietra ovale presente nel
santuario di Delfi. è una raffigurazione unica nel suo genere, poiché per la prima ed
unica volta Pitone è presentato come serpente antropomorfo, portante alla nuca un
accessorio identificato come l’uraeus, accessorio egiziano destinato ai faraoni.
Secondo Fontenrose, l’inserimento di un elemento tipico della cultura egiziana,
totalmente estraneo a quella classica, è riconducibile alla stretta relazione che lega la
favola di Apollo e Pitone al mito egizio che vede protagonisti il dio solare Ra ed Apep,
un enorme serpente . 165
Secondo la leggenda Apep, il quale viveva celandosi tra le montagne ad ovest,
attaccò la barca del sole appartenente a Ra, appropriandosi così dell’orizzonte. Da
questo momento, ogni notte, secondo la credenza egizia, si svolgeva la lotta tra il dio Ra
ed Apep, il quale dopo una sanguinosa battaglia, veniva battuto da Ra ed il suo esercito
con l’ausilio di frecce o spada o lancia, o ancora grazie a magici incantesimi; il suo
corpo veniva fatto a pezzi per poi essere imprigionato sotto la terra . 166
Fontenrose, 1980, p. 177.165
Ibidem, p. 187.166
�108
La barca del sole emergeva vittoriosa ad est, lì dove Apep era stato sconfitto. La
battaglia si ripeteva ogni notte, dando così vita al mito egiziano associato all’alternarsi
del sole e della notte; ogni giorno, al tramonto, il serpente si rigenerava al fine di
attaccare Ra. Il mostro Apep era il signore dell’oscurità notturna, nonché
personificazione delle eclissi solari ed ancora dei temporali, poiché associati ai repentini
ed insistenti attacchi del serpente alla barca del sole.
Un’altra iconografia diffusa in età classica è quella che vede Latona in atto di
sfuggire da Pitone (scheda n. 5); secondo Igino, infatti, Pitone, che deteneva l’oracolo di
Delfi, ebbe una previsione: esso sarebbe stato spodestato da uno dei due figli di Latona,
nati dopo l’unione con Zeus. Talvolta è Era, furiosa contro il marito adultero, ad inviare,
sotto suo ordine, Pitone contro Latona per ucciderla. Secondo una leggenda egizia, la
dea Thueris, importante divinità e consorte di Set, fu inseguita da un serpente, dopo aver
abbandonato il marito Set per Horos. Latona è inoltre inserita da Erodoto in un altro
mito egizio, secondo il quale la donna ricevette il bambino Apollo, identificato con la
divinità egizia Horos a partire dal V sec. a. C. , da Isis, sua madre. Il neonato fu 167
nascosto dalla nutrice su un’isola fluttuante, poiché Set bramava di ucciderlo . 168
Secondo quanto racconta Igino, infatti, Latona per volere di Zeus, fu nascosta su
un’isola per sfuggire a Pitone, l’isola di Ortigia che fu sommersa dalle onde da
Poseidone.
La figura del serpente, associato alle forze del male e dell’oscurità, analogamente al
mito di Apollo e Pitone, è nemico delle divinità solari; gli esseri ctonici, dragoni o
serpenti, sono annientati dalle divinità solari.
L’uraeus sul capo di Pitone stabilisce e chiarisce questo legame tra leggenda greca
e leggenda egizia, tessendo un legame tra le due culture.
Fontenrose, 1980, p. 193.167
Ibidem, p. 190.168
�109
3.3. Tra gloria e fallimento: Apollo vittima di Amore
Punto di svolta per l’iconografia rinascimentale del mito di Apollo e Pitone è la
xilografia inserita nel volgarizzamento del Bonsignori, composto tra il 1375 ed il 1377
ed andato in stampa a Venezia nel 1497. A partire da questo momento, la lotta di Apollo
e Pitone fu spesso rappresentata in relazione alla storia di Apollo e Dafne.
Nel testo ovidiano, infatti, il mito di Apollo e Pitone è strettamente legato da un
punto di vista narrativo a quello di Apollo e Dafne: se Apollo non avesse compiuto
l’impresa e non avesse ucciso il terribile serpente, non si sarebbe insuperbito al punto di
vantarsi delle sue gesta eroiche di fronte ad Eros, schernendolo e suscitandone ira. Il dio
dell’amore infatti, non solo colpisce Apollo con le sue frecce per farlo innamorare della
ninfa Dafne, ma prepara per quest’ultima una freccia di piombo che la renderà restia ad
ogni tentativo di conquista del dio. L’amore di Apollo per Dafne non sarà mai
corrisposto; al senso di gloria che pervade il giovane Apollo dopo aver dato prova delle
sue infallibili doti da arciere, segue il senso del fallimento per l’incapacità di attirare a
sé la ninfa; Apollo decanta il suo
potere, le sue facoltà, la sua divina
natura, ma Dafne è sorda ad ogni
richiamo.
A pa r t i r e da l l a x i l og ra f i a d i
Bonsignori , modello indiscusso 169
tanto nella tradizione incisoria, quanto
in quella pittorica, Cupido diventerà
una presenza fissa nelle raffigurazioni del mito, assumendo il ruolo di collegamento tra
le due favole. Egli infatti è rappresentato in posizione centrale, in secondo piano rispetto
agli episodi cardine, in atto di discutere con Apollo, così come accade anche nella
pittura conservata al Seminario vescovile di Venezia, dove, sono presenti in lontananza
Apollo e Cupido, il quale, dall’alto, scaglia una freccia contro il dio del sole.
Vedi scheda n. 8.169
�110
L a r i p e t i z i o n e d e i
personaggi nella stessa
s c e n a r i c o r r e a n c h e
nell’incisione del Maestro
del Dado del 1520, il 170
quale realizzando una serie
di quattro illustrazioni,
sceglie di dedicare la
prima agli episodi di
Apollo e Pitone e Apollo e
Cupido. L’inseguimento tra Apollo e Dafne, al quale è
interamente dedicata l'incisione successiva, è solo alluso in
questa dalla presenza di Cupido, il quale compare due volte: discute con Apollo e subito
dopo, è nuovamente rappresentato
nell’atto di vendicarsi del torto
subìto. L’importanza data ad
Amore, è spiegabile considerando
l’intenzione dell’artista, il quale
vuole porre l’accento sulla
punizione al quale soccombe
Apollo che, presuntuoso, non
riconosce il potere della passione amorosa. Il dio, nonostante abbia dato prova di
infallibilità fisica, è completamente disarmato dalla forza dell’amore.
Con l’incisione di Rusconi del 1553, nonostante siano presenti sia Dafne che 171
Cupido, assistiamo ad una semplificazione dello schema iconografico sopra descritto:
Apollo è raffigurato una sola volta in atto di inseguire Dafne, la quale si sta già
trasformando in alloro, mentre la storia di Pitone è accennata attraverso l’inserimento, a
destra, dell’enorme drago morente.
Vedi scheda n. 10.170
Vedi scheda n. 14.171
�111
Con Rusconi si vanno eliminando i rapporti spazio-tempo: i personaggi, Apollo,
Cupido, Pitone e Dafne, rappresentano essi stessi i miti narrati. Non serve che la
narrazione si sviluppi direttamente, la loro presenza è portavoce delle favole di cui sono
protagonisti.
Un ulteriore soluzione iconografica per illustrare le due storie in relazione tra loro,
è presente nel dipinto del Sodoma , il quale sceglie come episodio principale la 172
discussione tra Apollo e Cupido, piuttosto che l’inseguimento di Dafne o l’uccisione di
Pitone. Il dialogo di Apollo e Cupido, escogitato da Ovidio per tessere un filo tra i due
celebri episodi, acquisisce in quest’opera conservata al Museo dell'arte di Worcester, un
ruolo fondamentale da un punto di vista iconografico. L’attenzione di Apollo è catturata
dal piccolo Cupido, il quale in volo sopra di lui, sta per colpirlo. Dafne è rappresentata
in secondo piano; la presenza della ninfa allude a ciò che accadrà a causa della freccia
d’amore scagliata contro Apollo, così come Pitone, di piccole dimensioni, arrotolato su
stesso ai piedi di Apollo, allude a ciò che è accaduto nell’immediato passato.
La stessa scelta di focalizzare
l’attenzione su Cupido, fu messa in
atto da Rubens . Diversamente dal 173
Sodoma, Rubens non sacrifica le
dimensioni di Pitone, raffigurato nel
suo aspetto da drago temibile alla
destra di Apollo, appena morto.
Cupido irrompe nella scena in modo
imprevedib i le , sorprendendo
Apollo, il quale si trova ancora in posa da arciere. Il piccolo dio alato punta una freccia
contro il dio, il quale sembra essere stato colto completamente alla sprovvista. Rubens
attua questa scelta quasi come volesse schernire il dio solare, non lasciandogli neanche
lo spazio di gioire per il trionfo sul mostro. I due episodi si accavallano, l’uno all’altro,
quasi come avvenissero contemporaneamente.
Vedi scheda n. 10.172
scheda n. 24173
�112
APPENDICE Le fonti letterarie nel mito di Apollo e Pitone
1. OMERO MINORE Inni Omerici, III, vv. 168-190; 115-121
Testo tratto da: Omero Minore, Un inno omerico e due idilli di Teocrito, a cura di Romagnoli E., Zanichelli, Bologna 1925, pp. 43, 41
vv. 168-190 Era, la Diva dagli occhi rotondi, lo prese; e lo accolse la Dragonessa da lei: la peste nutriva una peste. Ché molti mali recava degli uomini all’inclite stirpe: chi s’imbattesse in quella, giunto era il suo giorno fatale, prima che il Dio che lungi saetta scagliasse le frecce sovr’essa. E cadde qui, straziata d’orribili doglie, divincolandosi al suolo, soffiando un anelito greve. Surse un clamore infinito di gioia; ed il mostro pel bosco mosse, girò qua, là, spirò l’anima sanguinolenta, morì. Levò su lui Apolline Febo tal vanto: « Imputridisci or qui, sovressa la terra ferace: più viva non sarai, non sarai più funesto flagello degli uomini, cui nutre coi ricchi suoi frutti la terra, quando ad offrire qui verranno perfette ecatombi. Né potrà far che tu schivi la morte dogliosa Tifone, né la Chimera sua figlia, dal nome esacrato. La negra terra ed il fulgido Sole faran che tu quivi marcisca ». Così disse. E del mostro sugli occhi la tenebra corse. E dove cadde, quivi la orza divina del sole imputridir lo fece: onde or detto Pito è quel luogo, e Pizio detto fu dell’arco il Signore: ché quivi putrido rese il mostro la forza rovente del sole.
vv. 115-121 E presso scorre il fonte dall’acque bellissime, dove il figlio di Giove dall’arco d’argento trafisse la Dragonessa grande, gigante selvaggio prodigio, che tanti danni recava agli uomini all’agili greggi, e tanti a loro stessi: ché era un cruento flagello. A questa Era, la Diva dell’aureo trono, una volta Tifone, orrendo mostro crudele affidò, per nutrirlo
2. EURIPIDE, Ifigenia in Tauride, vv. 1239-1248 Testo tratto da: Euripide, Ifigenia in Tauride, a cura di Musso O., Torino 2001, pp. 161-162
Coro. Nobile il figlio di Latona, un dì negli aridi anfratti di Delo [generato], aureo chiomato, citarista valente, che dell’arco infallibile si rallegra [ ] lo porta dal giogo marino, lasciando le nobile contrade del parto, la madre alla vetta del Parnaso dalle acque torrenziali che celebra i riti bacchici. Laddove il rutilante serpente dal dorso di vari colori, Pitone nell’ombroso alloro ricco di fronde, mostro immane della Terra, avvolgeva l’oracolo Ctonio. Ancora, ancora infante, ancora sgambettante in braccio alla tua mamma, uccidesti, o Febo, mettesti il piede sul divino oracolo ed ora siede sull’aureo tripode, sul trono veritiero dispensando vaticini d’oracoli ai mortali dai penetrali, vicino alla fonte Castalia, occupando il centro della Terra.
3. APOLLONIO RODIO, Argonautiche, II, vv. 703 Testo tratto da: Apollonio Rodio, Le Argonautiche, a cura di Paduano G., Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1988, p. 319
�113
E in mezzo ad essi Orfeo, il figlio di Eagro, iniziò sulla cetra Bistonia un canto armonioso: come una volta il dio (Apollo), sotto il giogo pietroso del Parnaso, uccise con le sue frecce il mostruoso Pitone: era ancora un giovane imberbe, fiorente ancora di riccioli.
4. CALLIMACO, Inni, Inno ad Apollo, vv. 91-98 Testo tratto da: Callimaco, Inni, a cura di Lanzara V.G., Grandi Libri Garzanti, Milano 1984, p. 19 Mentre scendevi a Pito ti fu incontro la sacra bestia, orribile serpente : scagliando acute frecce una sull'altra tu l'uccidesti e il popolo acclamò :« Ié, Ié, Peone, fa partire il dardo ; ti generò tua madre da principio soccorritore», e sempre da quel tempo sei invocato così.
5. IGINO, Favole, 140 Testo tratto da: Igino, Miti, a cura di Guidorizzi G., Adelphi Edizioni, Milano 2000, p. 97
Pitone, figlio della Terra, era un serpente immenso che rendeva oracoli sul monte Parnaso prima di Apollo; a lui era stata preannunciata la morte per mano di un figlio di Latona. In quel tempo Giove giacque con Latona, figlia di Polo; quando Giunone lo venne a sapere, decretò che Latona partorisse in un luogo non toccato dal sole. Pitone fu informato che Latona era stata resa gravida da Giove e iniziò a seguirla per ucciderla. Ma per volontà di Giove il vento Aquilone rapì Latona e la condusse presso Nettuno, il quale l’accolse, ma, non volendo disobbedire a un decreto di Giunone, la portò nell’isola di Ortigia, che fece scomparire sotto le onde. Pitone non riuscì a trovarla e dovette tornarsene al Parnaso; allora Nettuno riportò alla luce la cima dell’isola di Ortigia, che in seguito fu detta Delo. Fu in quel luogo che Latona, abbracciata a un olivo, partorì Apollo e Diana, a cui Vulcano regalò le frecce. Quattro giorni dopo la nascita Apollo vendicò la madre: giunse sul Parnaso e uccise Pitone trafiggendolo con le sue frecce (da ciò deriva il nome Pizio), poi gettò le sue ossa in un tripode che collocò nel suo tempio e istituì in suo onore i giochi funebri che vengono detti Pitici.
6. PROPERZIO, Elegie, IV, 6, vv. 32-36 Testo tratto da: Properzio, Elegie, a cura di Fedeli P., Sansoni Editore, Firenze 1988, p. 207
(Febo) si presentò, invece, con l’identico volto con cui fissò il pelopeo Agamennone e spopolò l’accampamento dei Greci coi rogni insaziabili, o con lo stesso volto con cui sciolse per tutte le spire il serpente Pitone, delle lire imbelli terrore
7. STRABONE, Geografia, IX, 3, 12, Testo tratto da : Strabone, Géographie, a cura di Paganelli D., Les belles lettres, Parigi 1990, p. 129
C'était le temps où Apollon parcourrait la terre, cherchant à civiliser le genre humain par l'usage des fruits cultivés et des formes de vie plus douces. Parti d'Athènes pour se rendre à Delphes, il suivait la route qu'emprunte de nos jours la procession de la Pythiade organisée par les Athéniens. Arrivé à Panopée, il
�114
supprima Tityos, un homme violent et inique installé là. Puis, les Parnassiens entrèrent en relation avec lui et lui dénoncèrent un autre individu malfaisant du nom de Python, surnommé le Dragon. Pendant qu'il le perçait de flèches, les autres l'encourageaient aux cris de « Hié Paian », origine du péan qu'entonne traditionnellement une troupe au moment de s'engager dans une bataille rangée. Puis la baraque de Python fut incendiée aussi par les Delphiens à la façon du feu de joie qu'ils en font encore de nos jours, en souvenir de ce qui s'est passé cette fois-là. Or, peut-il y avoir quelque chose qui relève plus de la fable que cet Apollon tirant de l'arc, châtiant de Tityos et de Python, cheminant d'Athènes à Delphes et parcourant toute la terre ?
8. OVIDIO, Metamorfosi, I, vv 434-447; 454-460 Testo tratto da: Ovidio, Metamorfosi, a cura di Marzolla P.B., Einaudi, Torino 1994, pp. 25, 27
vv. 434-447 Certo essa non avrebbe voluto, eppure allora generò anche te, immenso Pitone, serpente mai visto prima, che divenisti il terrore dei popoli rinati: per tanto spazio ti distendevi calando dal monte! Febo, il dio che porta l’arco ma che fino ad allora si era servito di quell’arma soltanto contro i cerbiatti e i caprioli che scappano, uccise quest’essere, ma dovette seppellirlo sotto mille frecce e svuotare quasi la faretra, prima che morisse in un lago di sangue velenoso uscito dalle nere ferite. E perché il tempo non potesse cancellare la memoria della gloriosa impresa, istituì le solenni gare chiamate Pitiche, dal nome del serpente vinto.
vv. 454-460 Ancora tutto insuperbito per aver vinto il serpente, il dio di Delo aveva visto Cupido che piegava l’arco per agganciare la corda ai due estremi e gli aveva detto: «Che cosa vuoi fare, fanciullo smorfioso, con armi così grosse? Questa è roba che sta bene sulle spalle a me, a me che so assestare colpi infallibili alle belve, ai nemici, a me che poco fa con infinite frecce ho steso il gonfio serpente, il quale col suo ventre pestifero spianava il suolo per tante miglia».
9. SENECA, Medea, vv. 700 testo tratto da: Seneca, Medea, a cura di Faggi V., Barone C., Grandi Libri Garzanti, Milano 1979, p. 35
Alla malia della mia voce di precipiti Pitone, che osò scagliarsi sui divini gemelli Apollo e Diana
I sec d.C. SENECA, La follia di Ercole vv. 453-454 Testo tratto da: http://www.pietrolicausi.it/public/la_follia_di_ercole.pdf
Lico: Forse che Febo dovette temere mostri feroci o belve? Anfitrione: Fu il primo a intingere le frecce in un drago
10. STAZIO, La Tebaide, I, vv. 561 ; V, vv. 530-534 ; VI, vv. 8-10 Testo tratto da: Stazio, La Tebaide, a. cura di Bentivoglio C., Edizione elettronica tratta da Unione Topografico Editrice Torinese, Torino 1928, pp. 19-20, 108, 115
�115
I, vv. 561-568 Poich’ebbe Apollo il gran Pitone ucciso, orribil mostro de la Terra figlio, che co’ suoi tortuosi ampli volumi Delfo tenea ben sette volte cinta, e le piante seccava e i verdi campi col pestifero fiato e con le squamme, tutta vuotando in lui la sua faretra; mentr’ei stendeva nel Castalio rivo il lungo collo e la trisulca lingua, per rinnovar con l’onda il suo veleno, e dopo morto infin de la gran mole stesi gl’immensi avviticchiati giri, di Cirra ricoprì ben cento campi: pria di tornare infra i celesti numi volle espiar quaggiù l’uccisa fiera, e ne i poveri tetti ebbe l’asilo del re Crotopo.
V, vv. 530-534 il celeste Dragon da polo a polo: tale, o Febo, fu quel che 'l tuo Parnaso attorcigliando, fe' crollar più volte, finchè da cento e più piaghe trafitto portò una selva de' tuoi strali addosso.
VI, vv. 8-10 Focide poi del giovanetto Apollo il valor celebrò co' Pizi giuochi, in rimembranza del serpente ucciso.
11. PLUTARCO, Opere Morali, Eziologia Greca, 12 Testo tratto da: Plutarco, Oeuvres Morales, étiologies grecques, a cura di Boulogne J., Les Belles Lettres, Paris 2002, p. 190
12. à Delphes, on célèbre successivement trois périodes de huit ans, dont l'une s'appelle Septérion, l'autre Hérois et la troisième Charila. Sans aucun doute, le Septérion semble être le mime du combat du Dieu contre Python ainsi que de sa fuite et de son exil, après le combat, dans la vallée de Tempé. En effet, les uns prétendent qu'il a pris la fuite à cause du meurtre, parce qu'il désirait expier ; les autres qu'il poursuivrait Python blessé et qui cherchait à s'enfuir par le chemin qu'on appelle maintenant la Voie Sacrée, et qu'il manqua de peu ses derniers instants. En effet, il s'empara de lui alors qu'il venait de mourir des suites de sa blessure et de recevoir les honneurs funèbres de son fils, qui, à ce qu'on soutient, se nommait Aix. Le Septérion est donc une imitation fidèle de ces faits ou d'autre du meme genre.
12. PLUTARCO, Moralia, Sul tramonto degli Oracoli, 15 Testo tratto da: Plutarco, Corpus Plutarchi Moralium, L’eclissi degli Oracoli, a cura di Rescigno F., M. D’Auria Editore, Napoli 1995, p. 147
Ma quelli che più si allontanano dal vero sono i teologi di Delfi che stimano che qui un tempo si svolse una lotta tra il dio e un drago per il possesso dell’oracolo e che durante gli agoni lasciano blaterare di queste cose poeti e logografi nei teatri, come se, per l’appunto, coloro testimoniassero contro quanto si compie, poi, nei riti più santi [...] E la tenda che è levata ogni nove anni qui, presso il sagrafo, non è la grotta del drago maculato, ma, piuttosto, una copia dell’abitazione di un tiranno o di un signore. [...] E infatti è proprio ridicolo, amico, che Apollo, dopo aver ucciso la dragonessa, sia fuggito verso i confini della Grecia per il bisogno di purufucarsi e, poi, che vi abbia fatto alcune libazioni o quanto fanno gli uomini, se vogliono allontanare o calmare l’ira di alcuni demoni, che chiamano cattivi e vendicatori, di quanti, cioè, conservano memoria di taluni crimini non dimenticati e antichi
�116
13. PSEUDO-APOLLODORO, Biblioteca, I, 4, I Testo tratto da: Pseudo-Apollodoro, Biblioteca, a cura di Guidorizzi G., Adelphi, Milano 1995, p. 9
Apollo, dopo aver imparato l'arte profetica da Pan, figlio di Zeus e Ibris, giunse a Delfi, dove a quei tempi gli oracoli erano pronunciati da Temi. Poiché il serpente Pitone, custode dell'oracolo, gli impedisce di avvicinarsi al crepaccio, lo uccise e s'impadronì del santuario profetico
14. PAUSANIA, Periegesi della Grecia, II, 7, 7 ; X, 6, 5 Testo tratto da: Pausania, Guida alla Grecia, La Corinzia e L’Argolide, a cura di Musti D., Torelli M., Fondazione Lorenzo Valla, Arnoldo Mondatori Editore, Milano, 47 ; Pausania, Description of Greece, a cura di Jones W.H.S., Cambridge, MA, Harvard University Press ; William Heinemann LTD, London 1935, p. 401
II, 7, 7 I Sicionii istituirono il culto di Peitho per questo motivo: Apollo e Artemide, dopo l’uccisione di Pitone, vennero ad Egialea per compiere riti di purificazione
X, 6, 5 The most widespread tradition [for the naming of Pytho, Phokis] has it that the victim of Apollon’s arrows rotted here, and that this was the reason why the city received the name Pytho. For the men of those days used pythesthai for the verb 'to rot’ . . . The poets say that the victim of Apollon was a Drakon posted by Ge to be a guard for the oracle. It is also said that he was a violent son of Krios, a man with authority around Euboia. He pillaged the sanctuary of the god, and he also pillaged the houses of rich men. But when he was making a second expedition, the Delphians besought Apollon to keep from them the danger that threatened them. Phemonoe, the prophetess of that day, gave them an oracle verse:--`At close quarters a grievous arrow shall Apollon shoot at the spoiler of Parnassos; and of his blood-guilt the Kretans shall cleanse his hands’ but the renown shall never die.’ It seems that from the beginning the sanctuary at Delphoi has been plotted against by a vast number of men. Attacks were made against it by this Euboian pirate.
15. CLAUDIO ELIANO, La natura degli animali, XI, 2 Testo tratto da: Claudio Eliano, La natura degli animali, a cura di Maspero F., Biblioteca Universale Rizzoli, Milano 1998, p. 643
Anche gli Epiroti e tutti gli stranieri che vivono nel loro territorio celebrano una volta l'anno feste solenni e splendide in onore di Apollo. Vi è un bosco sacro a questo dio, circondato da un recinto, dentro il quale stanno dei grossi serpenti, animali, come è noto prediletti da tale divinità. Vi entra dentro solo una sacerdotessa vergine, la quale provvede al nutrimento dei serpenti. Gli Epiroti affermano che essi discendono da Pitone di Delfi.
16. NONNO DI PANOPOLI, Le Dionisiache, I, 4, vv. 316; II, 13, vv. 28 Testo tratto da: Nonno di Panopoli, Le Dionisiache, I, II, a cura di Maletta M., Adelphi Edizione, Milano 1997, p. 75
I, 4, 316
�117
Proprio allora, partendo di lì, Cadmo vide la terra sacra davanti i suoi occhi, dove il dio di Pito, scorgendo sui monti la scia tracciata dalle nove spire del drago di Cirra, ne aveva assopito il veleno letale
II, 13, 28 Apollo annientò Delfine e l’etere fu la sua dimora
17. FULGENTIUS, Mythologiarum Libri Tres, I, 17 Testo tratto da: Fulgentius, Fabii Planciadis Fulgentii Mitologiarum Libri Tres, in Opera, a cura di Helm R., Stutgardiae in aedibus B.G. Teubneri, Stuttgard 1970, p. 28
His tripum quoque Apollini adiciunt, quod sol et praeterita noverit et praesentia cernat et futura uisurus sit. Arcum uero huis sagittasque conscribunt, siue quod de circulo eius radii in modum sagittarum exiliant seu quod suorum radiorum manifestatione omnem dubietatis scindat caliginem, unde etiam Pithonem sagittis interemisse fertur; Pithos enim grece credulitas dicitur. Et quia omnis falsa credulitas sicut serpentes luce manifestante deprimitur, Phitonem eum interfecisse dicunt.
18. LATTANZIO PLACIDO, Narrationes Fabulatum Ovidianarum, I, 8 Testo tratto da: http://ovid.lib.virginia.edu/narrationes.html
Pentem, speciem ignotam moralibus. Hunc Apollo sagittis interemit, et, ne eius aboleret nomen, instituit ludos et certamina quaedam in his ludis ostendit, Unde etiam Apollo Pythius est appellatus ludique Pythii
19. GIOVANNI DI GARLANDIA, Integumenta Ovidii, v. 90 Testo tratto da: Giovanni di Garlandia, Integumenta Ovidii, poemetto inedito del XIII sec., a cura di Ghisalberti F., Casa Editrice Principato, Messina- Milano 1933 http://www.hs-augsburg.de/~harsch/Chronologia/Lspost13/IohannesGarlandia/ioh_intr.html
Sunt lapides lapidum qui pietate carent. Phebus Phitonem superat, sapiensque malignum, fallecemque virum sub ratione premit.
20. MITOGRAFO VATICANO, Scriptores rerum mythicarum latini tres Romae nuper reperti, I, 37, 113 Testo tratto da: Mythographi I, Scriptores rerum mythicarum latini tres Romae nuper reperti, edit ac scholiis illustravit G. H. Bode I/II, Georg Olms Verlagsbuchabdlung, Hildesheim 1968, p. 13; p. 36
37 Post Latonae, nuptias Juppiter quum etiam ejus sororem Asterien vitiare vellet, illa optavit a diis, ut in avem converteretur, versaque in coturnicem fuit. Et quum vellet mare transfretare quod est cuturnicum, afflata a Jove et in lapidem conversa, diu sub fluctibus latuit. Postea, supplicante Jovi Latone, levata superferri aquis coepit. Haec primo Neptuno et Doridi fuit consecrata. Postea quum Juno, Pythone immisso, gravidam Latonam persequeretur, (haec), terri omnibus expulsa, tandem
�118
aliquando applicans se litoribus, a sorore suscepta est, et illic Dianam primo, post Apollinem peperit; qui statim, occiso Pythone, ultus est matris injuriam
113 Pythium quoque eundem Apolinem vocant a Pythone, immensae molis serpente, quem Apollo, sagittarium ictibus sternens, nominis quoque spolia reportavit, ut Pythius vocaretur
21. MITOGRAFO VATICANO II, Scriptores rerum mythicarum latini tres Romae nuper reperti, 17, 19 Testo tratto da: Mytographi II, Scriptores rerum mythicarum latini tres Romae nuper reperti, edit ac scholiis illustravit G. H. Bode I/II, Georg Olms Verlagsbuchabdlung, Hildesheim 1968, p. 79; pp. 80-81
17 Haec primo Neptuno et Doridi fuit consecrate. Postea quum Juno gravidam a Jove Latonam, immisso Pythone, quem post factum cataclysmium specie ignota morta-libus terra edsdit, persequeretur, nullaque eam errantem regio reciperet, novissime venit in Lyciam. Et quum ex calore aestivo sitim sedare vellet, ab his qui juncum secus litus carpebant, phonibita est propius accedere. Quam ob rem irata petiit a diis, ut nunquam accolae stagno carerent. Auditis precibus, Juppiter agricolas in rana rum speciem vertit. Quum aute, Junone perseguente, conceptos Apollinem et Dianam parere non posset, terris omnibus expulsa, tandem aliquando Ortygia applicante se litoribus suscepta est, et illic Dianam primo, post Apollinem edidit, qui statim, occiso Pythone, ultus est matris injuriam
19 Pythius a Pythone, immensae molis serpente, quem interferisse dicitur
22. MITOGRAFO VATICANO III,Scriptores rerum mythicarum latini tres Romae nuper reperti, 8.1, 8.3 Testo tratto da: Mytographi III, Scriptores rerum mythicarum latini tres Romae nuper reperti, edit ac scholiis illustravit G. H. Bode I/II, Georg Olms Verlagsbuchabdlung, Hildesheim 1968, p. 200; p.201
8.1 Dicitur Pythius vel a Pythone serpente, quom secundum fabulam mox natus interfecit […] unde et Pythonem sagittis fingitur occidisse, quod omnis falsa credulitas, per tenebras orta, radiorum ejus fulgore destruatur
8.3 Postea quum Juno gravidam Pythone misso, Latonem persequeretur, terris omnibus expulse, tandem aliquando ab applicante se litoribus sorore suscepta est, et illis Dianam primo, post Apollinem peperit; qui statim occiso Pythone ultus est matris injuriam
23. GIOVANNI DEL VIRGILIO, Allegoriae Librorum Ovidii Metamorphoseos, I, 8 Testo tratto da: Giovanni del Virgilio Espositore delle Metamorfosi in “Il giornale Dantesco”, a cura di Ghisaberti F., XXXIV, 1931, nuova serie IV, p. 45
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Octava transmutatio est terre in Phitonem. Nam per Phitonem intelligo quamcumque fallaciam et quodcumque scelus mundanum. Per Phebum intelligo nomine sapientem, qui scit omnes fallacias mundanas interimere. Sed per hoc quod amor trasfixit Phebum intelligo quod homosapiens possit fallacias huius mundi interimere. Non tamen nimis spernit alios, quia alii punguntur stimulo lexerie et vulnerantur. U.d.e.: Horrida de terries surgit fallacia Phiton celesti sapiens quam ratione domat. Cum tamen elatas vires contemnit amoris magna reluctanti vulnera figit Amor
24. ARNOLFO D’ORLEANS, Allegoriae super Ovidii Metamorphosen, 8 Testo tratto da: Arnulfo D’Orleans: un culture di Ovidio nel secolo XII, a cura di Ghisalberti F., in “Memorie del Reale Istituto Lombardo di Scienze e Lettere”, vol. XXIV-XV della serie III, fascicolo IV, Milano 1932, p. 202
Terra in Phitonem serpentem queti Apollo sagittis suis occidit. Per Phitonem noxium terre humorem habemus queti sol sagittis id est radiis suis desiccat. Vel Phiton est falsa credulitas, quam Apollo id est sapiens ratione sua exterminate. Apollo enim exterminans interpretatur: exterminate enim et dividit tenebras par lucem. Sic et sapiens falsam serpentem fallacem. Sed inde rediens Apollo id est sapiens allquando superbit, et, quasi iustificans se, Cupidinem deum amoris negligit.
25. OVIDE MORALISÉ, I, vv. 2647- 2686 Testo tratto da: Ovide Moralisé, Poème du commencement du quatorzième siècle, a cura di De Boer C., Johannes Muller, Amsterdam 1915, p. 118, 119
Emprez le deluge Nasqui Phiton, qui, tant come il vesqui, Fist male persecucion à toute humaine estracion. Phiton fu serpens merveilleus, Fiers et felons et orgueilleus, Et si grans qu'il tenoit de place Plus que deus arpens n'ont d'espace. Phebus l'ocist a ses saietes, Qu'il y ot auques toutes tretes, N’onc adonques premierement N’avoit trait qu'a lui seulement ses saietes et ses quarriaux, Qu'a cers a dains on a chevriaux. Par Phiton, dont parle la fable, Serpent orible et redoutable, Qui metoit a perdicion Humaine generacion, Est li deables entendus, qui trop avoit ses las tendus Pout gens sorprende et atraper: Nulz ne li pooit eschaper, Que bon et mal comunement Ne fussent mis a dampnement En enfer, sans nulle alegance, Mes Phebus, dieus de sapience, Solaus et lumiere du monde, C'est Christus, ou tous biens habonde,
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Au dyable se combati Pour home, et si li abati Son orgueil, et de sa prison Nous traist, et mis a garison. Quant Phebus ot Phiton danté, Si ot corage et volonté D'establir uns jeus en memoire De cele honnorable victoire Qu'il avoit dou serpent eue, Qui bien doit estre amenteue: Dou non dou serpent nommé a Les jeus de Phiton “Phitea”. Là peussiez vailés trouver Chascun an, pour eulz esprouver A luite ou a cours ou a sault, Ou jeter la paleste en haut, Et eil qui avoit la victorie, En signe d’onnour et de gloire, Portoit coronne de nefflier, Qu’a ce temps n’iert point de lorier. Se Phebus coronne meist, D’orme ou de nefflier le feist Ou de quelque arbre qu’il avoit, Quar de lorier point de trouvoit. Quand Dieus ot danté le dyable Et destruit la mort perdurable, Si vault, pour les preuz esprouver, Uns jeus establir et trouver: Ce fu de courre et de luitier Et de saillir et de gietier Cil laite vignereusement Qui se combat proouseinen Contre les assaulz doo dyable, Et s’il se tient ferme et estable, Que pour nulle temptacion N’est menez a confusion Ne vaincus de son adversaire, S’il ne s’assent a nul mal faire N’a nulle ouvre qui Dieu displace. Bien court cil qui bien fuit et chace Ce qu’il doit fuir et chacier, Et qui ne se lesse enlacier Au las que li deables tent, N’a nulle riens dou mont n’entent Fors de courre a la droite mete: Ausi me samble il que cil jete Hautement et droit la palestre Qui en Dieu, le pere celestre, Jete toute s’entencion, Si vit en contemplacion, Et pense aux celestiaux biens, Si li chaut poi des terriens, Fors qu’il en ait sa soustenance Ne de riens n’i met s’esperance. Bons saillierres est, ce m’est vis,
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Qui puet saillir em paradis, pour vivre en vraie humilté.
26. GIOVANNI BOCCACCIO, Genealogia deorum genitilium, IV, VII Testo tratto da: http://www.bibliotecaitaliana.it/indice/visualizza_testo_html/bibit000673
Da Ceo, che nacque, et di Titan fu figlio.”
Vogliono medesimamente gli antichi costei essere stata amata et impregnata da Giove, et di lui haver partorito due figliuoli, cioè Apollo et Diana. Il che dicono di sorte haver malamente sopportato Giunone, che non solamente a lei vietasse tutta la terra per deporre il peso del ventre, ma ancho mandasse Phitone serpente di smisurata grandezza per metterla in fuga et impedirla; la quale temendo et fuggendo, né ritrovando loco che la ritenesse, avicinandosi all'Isola Ortigia da quella fu raccolta, et ivi partorì pri-ma Diana. La quale subito fece l'ufficio della comare verso la madre nel nascimento d'Apollo, che dietro lei nacque, et il raccolse; il quale poi amazzò con le saette Phitone, et incominciò dar oracoli a chi il richiedeva. Oltre ciò dicono per questo parto essersi can-giato il nome all'Isola, la quale prima essendo detta Ortigia, fu poi chiamata Delo. Appresso vogliono che, portando Latona per la Licia questi figliuoli ancho piccolini, et per lo caldo ardendo di sete, essersi accostata ad un certo lago per bere; onde, veduta da alcuni contadini, subito quelli con i piedi entrarono in quel lago et torbidarono tutta quella acqua. Di che Latona pregò che fossero mandati in ruina; là onde inconta-nente quei villani tramutati in Rane sempre habitarono quel laco. D'intorno a questi fig-menti Barlaam diceva che, cessando il Diluvio qual fu al tempo del Re Ogigi, per la troppo humidità della terra, alla cui la callidità era congiunta, essere esshalato così spessi nuvoli che appresso molti luoghi del mare Egeo et della Achaia in alcun modo né di giorno né di notte i raggi solari non erano veduti dagli habitanti. Finalmente facendosi quelli più rari, et spetialmente appresso l'isole, dove per ragione del mare meno havea potuto l'esshalatione della terra, avenne ch'una notte circa un'hora inanzi il giorno seguente dai circonstanti nell'Isola d'Ortigia prima fossero veduti i raggi lunari, et conseguentemente la mattina i solari. Là onde con grandissima allegrezza di tutti, come se havessero racquistato quelli che già istimavano perduti, fu detto appresso l'isola Ortigia Diana et Appollo esser nati; et per ciò fu mutato il nome dell'isola et di Ortigia fu detta Delo, che suona l'istesso che fa manifestatione, imperoché vi fu prima fat- ta la dimostratione del Sole et della Luna. Vollero ancho quelli che finsero essa isola esser Latona, nella cui fu fatta la dimostratione del Sole; et specialmente la pigliarono per femina affine di dar colore alla fittione, perché a lei era avenuto di haver partorito due figliuoli, de' quali il maschio chiamarono Apollo et la femina Diana. Volsero poi che Phitone, che perseguitava Latona accioché non potesse portorire, fossero le neb-bie oscure dei vapori che si levavano, le quali veramente ostavano che i raggi solari et lunari non potessero da mortali esser veduti. Né senza ragione le chiamarono serpente, per- cioché, mentre liggiermente qua et là fossero cacciate da ogni spirito, a guisa di serpe parevano serpire. Ma dissero questo Phitone essere stato mandato da Giunone percioché spesse fiate Giunone s'intende per la tera et per lo mare, da' quali quei vapori errano mandati fuori. Dicono ancho che Diana nacque prima perché, di notte assotigliati già i vapori, prima apparvero i raggi della Luna. Che poi ella fece l'ufficio della comare nel nascimento del fratello, credo ciò esser detto percioché, sì come le comari sono solite raccorre i figliuoli nascenti, così la Luna essendosi levata poco prima inanzi il Sole parve che con le corna sparse raccogliesse il Sol
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nascente. È stato poi finto che Apollo con le saette amazzasse Phitone, percioché, mostrando i solari raggi, tutti quei vapori della terra si dissolsero. Che ancho Apollo incominciasse dar oracoli egli s'è pigliato da quello che successe poi, cioè che in quell'isola (non so per illusione di cui) un dimonio sotto il titolo d'Apollo incominciò, et lungamente diede risposte delle cose ricercate.
27. GIOVANNI DEI BONSIGNORI, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, I, 26, 27 Testo tratto da: Giovanni dei Bonsignori, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, a cura di Ardissimo E., Commissione per i testi di lingua, Bologna 2001, pp. 120, 121; pp. 121, 125
26 Da poi che la terra ave generati li animali al servizio umano, si ingenerò uno serpente chiamato Piton, lo quale della nuova gente non era conosciuto e mettea grande paura alla gente per la sua grandezza. El quale Febo, cioè el Sole, occise con lo suo arco e con le sue frezze, le quali prima usavano a ferire li caprioli, li conigli e l’altre bestie salvatiche, ed acciò che di questo sempre fosse ricordo, ordenò giuochi, li quali se chiamano giuochi pitoni. “Allegoria ed ottava trasmutazione, della terra mutata in serpente Pitone. Segnata per G.” Ovidio pone questa sopradetta trasmutazione ad essemplo e ad edificazione nostra; onde dovemo per Pitone intendere ciascuno delitto e vizio mondano; per Febo se ‘ntende l’uomo savio, el quale sa e conosce onne fallo, con lu quale senno uccide e caccia dal mondo ogni cosa scelerata. Ma perché Ovidio dice che l’amore trafisse Febo, intendo che, non ostante che l’uomo sia molto savio, nondimeno pò cadere in fallo ed in peccato e perciò l’uomo savio non de’ in tutto spregiare altrui feriti dallo stimulo della lussuria, come narra il testo, dove fu ferito Febo da Cupido. El quale Febo ha più nomi cioè: Sole Febo, Delio, Delfico, Apollo e più altri, secundo che appresso el testo dichiara.
27 […] Essendo Febo superbito ed alzato gloriandose perché avea morto el serpente Pitone, andando per l’aire vidde Cupido, figliulo della dea Venere, el quale tendeva uno arco, a cui Febo disse: “O folle garsone, a che porti tu questa così crudele arme e forte, con ciò sia cosa che questa si confà alle braccia nostre, con le quali sapemo ferire le bestie e li nostri nemici, e una uccise novellamente Pitone serpente con esso e con infinite saette, lo quale teneva per lunghezza quanto che teneano, ove lavoravano, in uno dì nuove para de buovi” “Allegoria e nona trasmutazione de Danne convertita in lauro. Segnata per H.” […] Febo è posto per lo sole, el quale uccise con le saette Pitone serpente, nato d’umore de terra; le saette del sole sono li caldi ed acuti raggi, li quali consumano Pitone, che tanto è a dire in greco quanto che “corrotto umore”; perciò che se ‘l caldo del sole non sciucasse la sioperchia umidità, l’aire se corromperie per sì fatto modo che noi cibamo, saria tossicoso; e perciò dice che Febo uccise el serpente el quale corrompea de veneno el mondo. Appresso dice che Febo insuperbì e mostrava alterezza della vittoria aute de Pitone, e che rampognò Cupido per lo portare dell’arco; in queste parte dovemo notare che la virtù celestiale non po’ né dè essere senza amore, perciò che senza amore niuna cosa se po’ fa perfetta.
28. RAFFAELLO REGIO, Metamorphoseon Pub. Ovidii Nasonis libri XV, I
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Testo tratto da: Raffaello Regio, Metamorphoseon Pub. Ovidii Nasonis libri XV, Venezia 1493
Sed te quoque maxime Python tum genuit. Pythonem maximum serpete ex terra orum ce ab Apolline q fuisse interfectum narrat. E quo e Pythius Apollo fuit cognominatus e Pythia ludi ad perpetua rei memoria fuere institute: inquibus qui uiciffet a esculea corona ante q laurus effet coronabatur. Es taut apostroque ad serpentem. Tantum spatii de monte tenebas. Acclmatio est: que magnitude serpentis declaratur . Tenebas. Occupabas. Deus arcitenens Apollo qui cum arcue pharetra pingebat.
29. NICCOLÒ DEGLI AGOSTINI, Tutti li libri de Ovidio Metamorphoseo, in verso vulgar con le sue allegoriae in prosa et istoriato, I Testo tratto da: Niccolò degli Agostini, Tutti li libri de Ovidio Metamorphoseo, in verso vulgar con le sue allegoriae in prosa et istoriato, Venezia 1522
Dopoi che la terra hebbe generati li animali al feruitio humano genero tra li altri uno horibile serpe el quale fu chiamato Pythone questo dalla nova giete no era conosciuto et metitea grade paura a quella per la sua gradezza, lo quale Phito Phebo cioe il Sole uccise co le sue saette che prima soleano scotere le selvatiche fiere, et accio che di questo ne fusse sempre ricordata ordino gli giochi Puthoi, li quali furono i q sta forma, che qualuque gioviene uicessi l’altro alle braccia overo a correre overo co la rotai caretta era coronato co una frode de Schio, imperbo che anchora ne era il lauro, et il ditto Phebo circodava il capo di coloro che meritaveo le loro pdezze esser coroati. Allegoria delle cose dette: Ovidio pone questa figura in exempio et nostra contemplatione, onde dovemo per Pythone intendere ciascuno diletto et vitio mondano, et per Phebo se intende l’Homo savio et qual fa conoscere ogni fallo, con il quale fenno uccide et scaccia de lui ogni cosa scelerata, et perché Ovidio dice che l’amore accise Phebo si po intender che non obstante che l’homo fia molto favio po facilmente cadere in fallo et peccato, et per tanto non deve lo favio in tutto dispreggiar altrui, imperbo che anchora li saggi sono feriti dal stimulo della lusuria, si come dice il testo dove fu Phebo ferito da Cupido, elquale Phebo habba più nomi, cioè Sole, Delo, Delphico, Apollo e altri secondo come l’opera appresso dichiara.
30. LODOVICO DOLCE, Le Trasformazioni, II, in Venetia, Appresso Gabriel Giolito de’ Ferrari Testo tratto da: http://www.bibliotecaitaliana.it/p. 17
Cosi, poi che cessaro i venti e l’acque, e tornò il mondo a le bellezze prime, tra diversi animai quel serpe nacque, il qual tutte avanzò l’humana stime Ne alcun mai ne le grotte, o dentro l’acque, ne d’altri monti a le più incolte cime si trovò eguale: e si pentì Natura, d’haver d’un parto tal mai preso cura. Con la grandezza sua, col fiero aspetto porgeva a ch’il vedea tema e paura l’horrido serpe, che Pithon fu detto: ne mente hebbe giamai tanto sicura alcun mortal, ne così ardito petto, che ardisse riguardar la sua figura. Fuggian tutte de lui le genti accorte, proprio come si fugge da la morte. Ma guastando ogni dì turba infinita Pithone, e distruggendo ogni paese, Febo deliberò torlo di vita; e’ l suo fort’arco e le saette prese: sequai, sì come quello, a cui gradita era la caccia, havea de prima spese in damine e in capri, e solamente in tali fugaci fere, e timidi animali. E, perché tosto al fin l’empio vennisse e fossi di quel mal libero il mondo; di mille e più saette lo trafisse fin che della faretra apparse il fondo. Così convenne, che
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Pithon morisse per man d’Apollo, e giacque il serpe immodo. Onde restò gran spatio di terreno sparso tutto di sangue e veleno. E quindi Apollo, accio che rimanesse di si bel fatto le memoria tale, che secolo avenir non la spegnesse, ma vivesse fra noi chiara e immortale, feste e giuochi ordinò, ch’a lui dovesse celebrar d’anno in anno ogni mortale: sequali poi dal nome del serpente Pithia chiamò la liberata gente […] Febo lo vide (Amore) al suo bell’arco intento: Onde superbo del serpente ucciso, non fu a beffar ogni suo ufficio lento, con le parole accompagnando il riso. […] Quell’arco, dagli strali, e parimente quella faretra, che ti pende e lato, s’appartengono al mio braccio possente in mille audaci imprese esercitato, che pur dinanzi Pithon, l’empio serpente, di stratura si grande e smisurato, (il quale ucciso havea gente infinita) con le saette mie tolsi di vita.
31. VINCENZO CARTARI, Imagini colla sposizione de i dei degli antichi, III, Venezia Testo tratto da: http://www.bibliotecaitaliana.it/indice/elenco/letter/C
Da che presero occasione i poeti di fingere, che Apollo havesse ucciso con suoi strali il gran serpente Pithone nato dalla terra subito dopo che furono cessate le acque del diluvio, perché Pithone altro non vuole dire che putredine, la quale sovente nasce dalla terra per la troppa humidità, e farebbe di grandissimi mali, se non fosse consumata da i caldi raggi del Sole, che sono gli acuti strali di Apollo. La quale cosa fu mostrata parimente da chi è principio consacrò il Lupo è questo Dio: perché come il Lupo rapisce, e divora i greggi, così il Sole con i suoi raggi tira a se, e consuma le humide esalationi della Terra.
32. GABRIELE SIMEONI, La vita et Metamorfoseo d’Ovidio figurato et abbreviato in forma di epigrammi, I, 12 Testo tratto da: http://ovid.lib.virginia.edu/salomonsimeoni.html p. 24
Come nacquer di pietra i corpi nostri, cosi del caldo e naturale humore, formarsi a vil tratto mille nuovi monstri, tra quoi Python serpente fu il maggiore: ciò vidde Apollo, e da superni chiostri scefo, con l’aro gli trafisse il cuore. Così di Febo partori lo strale. Salute al mondo, a lui fama immortale.
33. GIOVANNI ANDREA DELL’ANGUILLARA, Le Metamorfosi d’Ovidio figurato et abbreviato in forma di epigrammi, I Testo tratto da: http://ww2.bibliotecaitaliana.it/xtf/view?docId=bibit000744/bibit000744.xml&chunk.id=d4852e138&toc.depth=1&toc.id=&brand=bibit
E non sol rinovò l’antiche sorti de gli animali à se stessa la terra, ma spaventosi mostri, immensi e forti, ch’infinito animal cacciar sotterra; ma più da te ne fur feriti, e morti, e n’hebbe tutto ‘l mondo maggior guerra, da te crudele Piton serpente ignoto che quasi il mondo ritornasti voto. Come una gran montagna era eminente, e nero d’un color, come d’inchiostro: una grossa colonna era ogni dente, e n’havea tre corone intorno al rostro: sembrava ogni occhio una fornace ardente ogni membro, che havea, tenea del mostro. Febo al mondo levò sì grave incarco, votando la faretra, oprando l’arco. L’arco, che solo in cervi, in caprij, e ‘n dame, dal biondo Dio fu ne le caccie usato, forò la pelle, e quelle dure squame, onde il mostro crudel tutto era armato. E così Febo quella ingorda fame spense, che ‘l mondo havria tutto ingoiato. Et ucciso che l’hebbe, si disperse, e come prima in terra si converse. E, perché ‘l tempo ingordo non s’ingegni tor la memoria di sì
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degna offesa; più giochi instituì celebri, e degni, per l’età giovenil nobil contesa. Chiamolli Pitij, e diè premij condegni al vincitor d’ogni proposta impresa, che per l’immense, e più lodate prove si coronava l’arbor di Giove.
34. GIUSEPPE OROLOGGI, Annotazioni a le Metamorfosi di Ovidio ridotte da Giovanni Andrea dell’Anguillara in ottava rima, Annotazioni del libro I Testo tratto da: http://digital.onb.ac.at/OnbViewer/viewer.faces?doc=ABO_%2BZ170541902
Pittone spaventevole serpente ammazzato dallo strale d’Apollo, è allegoricamente il soverchio umore rimaso sopra terra dopo l’inondazione dell’acqua, il quale corrompeva gli uomini, infermavagli, e gli occideva, che fu poi spento dai raggi del Sole, che sono le saette di Apollo e fu ridotta la terra in una fruttifera purità, che la rendeva sterile, poco atta a produrre frutti, che sostentano la vita nostra. Che dall’umido, percosso dai raggi del Sole, se ne ha l’esempio chiaro del Nilo fiume dell’Egitto, il quale inondando quel Paese, che di rado sente la benignità dell’acqua, che piovono, lo rende fertilissimo; onde quando ritornano le sue acque ai letti loro, perché entrano per sette foci nel mare, dicesi che quella umidità, che rimane sopra la terra riscaldata dai potenti raggi del Sole, produce diversi sorti di animali, come coccodrilli, ed altri, che talor vegonsi rimanere imperfetti. Acquistossi Apollo dopo aver spento il nocevole Pittone il nome di Pittio, e diedero ancora ad alcuni giuochi, che si facevano a gara nel correre, saltare, e far alla lotta, ed ai vincitori ne riportavano il segno della vittoria, corone di frondi e di Quercia, arbore allora grato a Febo, come quello che non era ancora acceso dall’amore di Dafne, né preso per suo il Lauro tanto bramato e degli imperadori, e dai Poeti, come insegna dei loro perpetui onori.
35. NATALE CONTI, Mythologiae, vive explicationum fabularum libri decem, Libro V, Cap. 2: De Pythiis Testo tratto da: Natale Conti Mythologiae, vive explicationum fabularum libri decem, Venezia, 1567, p. 428
Fuerunt e Pythia multis annis ante Isthmia instituta post Olympia tamen, e ea in honorem Apollinis agebantur, coeptaque funt eo tempore, quo Apollo latronem in Deplphis sagittis confixit, qui postea ensepultus ibi contabuit, quem tamen draconem quidam esse crediderunt, ve dictum est.Alij instituta dixerunt, quia cum artem vaticinandi fit à Pane doctus, qui seite Arcadibus leges dedit, mox ad vaticinium venit, ubi Nox, deinde Themis responsa dabat, Pythone praeside rune tripodis prophetici caeso ipse vaticinorum locum occupaverit. Cum coepti essent igitur celebrari Iudi Phythici, antiquissimum omnium fuit certamen, ut hymni in Apollinem cum tibiis ad citharam canerentur, & ab ipsis auloedis. atqui variis temporibus & haec ipsa certamina multam varietatem fortita funt: quia prius fuit institutum pancratium, five quinquertium, quoniam fama est prima pythiade, in qua certarunt Dei, vicisse Castorem stadio, Pollucem pugilatu, cursa Calaim, armatum Zetem, disco Peleum, Iusta Telamonem, Herculem pancratio, qui ramo lauri coronati funt ubi primum Pythia sunt ab Apolline instituta, ut quidam putarunt. alij tamen vocata suisse Pythia crediderunt à loco Pytho nominato; alij ab interrogatione, cum (parola greca incomprensibile) sit percunctari: in qua vicit Pythiade Achmaeas Parapotamius caeteros omnes pueros pugillatu, ea fuit prima in qua homines decertarunt, ut ait Pausanias. Altera deinde Pythiade Amphistyone, qui fuerunt his ludis praesecti ab Amphistyone Deucalionis filio nominati: vel (ut alij maluerunt) ab Amphictyone Heleni filio, qui hunc conuentum instituit, quod
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accidit quadragesima octava olympiade. omnem attem aulcedorum repudiarunt, qui nescio quid triste & insueaue auditu, miniméque icundi ominis canerent, nam elegi & funebres modi magis hisce tibiis conveniebant, quàm villum saethiaegenus, vel ludorum sestiuitas qui celebrabantur. Institutum fuit coronarium dumtaxar certamen ue submotis praemiis reliqueretur, cùm primum petunia effet praemium victorum. Addirus est estiam equotum cursus, qua Pythiade renuntiatus est victor Clistheries Sycyonoirum tytannus, aedemque certamina indicta funt Athletis, quae & in Olympia erant, laeta lege ut soli pieri sum longiore sum etiam repetito cursumane certarent.[…] Nam credebatur esse grata Apollini, quia fabulati sunt amatam suisse ab Apolline Ladonis filiam in illam arborem conuersam: sed tamen fuerunt nonnulli qui existimaverint quod muto antequam Apollo Dafhnen amaret, instituta sunt Pythia: & antequam laurea reperiretur, vel ex palma, vel ex aesculo coronae dabantur victoribus, ut ait Ovid. lib, I. Metamorph, in his: Instituit sacros celebri certamine ludos, Pythia perdomite serpentis nomine dictos. Hic iuvenum quicunque manu, pedibusve, rosdusVicerat: asculae capiebat froundus honorem, Nondum lauros erat. Nam primis Pythorum temporibus non erat adhue inuenta lauros, qua postea intienta & locus datus est fabulae & coronae victoribus Pythiorum ex illa confecta, apparet autem ex Ovidij carminibus non Amphictyones, neque filium Deucalionis, sed Apollinem istum prae leatitia victoriae eius certaminis, in quo Pythonem ceciderat. Pythicos ludos instituisse, arque eadem prope ludicta suisse in Pythicis, quae erant etiam in Olympicis. alij dixerunt neque palmam, neque aesculum neque laurum praemium suisse Pythiorum, sed poma quaedam Deo consecrata victoribus donari solita ut scripsit in libro de coronis ister Verum istud accidit quia & Iudicra, & praemia victorum, & tempora, quibus agebantur Pythia, saepius immutata sunt: nam cum nono quoque anni primum agerentur Pythia perducta sunt postea ad quinquennium, quia tot Nymphae dictae sunt Parnasides dona Apollini, cum feram trucidasset, obtulisse. at de Pythiis fatis, nunc de Nemeis dicamus.
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APPENDICE II Elenco delle immagini
1) Apollo bambino uccide Pitone dalle braccia della madre Latona, lèchytos attico a figure nere, 470 a.C., Parigi, Bibliothèque Nationale de France, Cabinet des Médailles
2) Pittore di Latona, Apollo bambino uccide Pitone dalle braccia della madre Latona, lèchythos attico a figure rosse, 470 a.C.,Berlino, Staatliche Museen
3) Apollo e Pitone, lèkythos attico a figure nere, 470 a.C., Parigi, Musée du Louvre 4) Latona fugge da Pitone con i figli in braccio, anfora a collo, IV sec. a.C. 5) Apollo e Pitone, Statere di Crotone, 420-390 a.C., Berlino, Staatliche Museen 6) La morte di Pitone, pittura murale, I sec. d.C., Pompei, Casa dei Vettii 7) M.s.français. 137, f. 79v, Parigi, Bibliothèque Nationale 8) La favola di Apollo e Pitone e Apollo e Dafne, xilografia, in Ovidio Methamorphoseos
vulgare, Venezia 1497 9) Giorgione (?) Il mito di Apollo e Dafne, olio su tela, 1510-1515, Venezia, Seminario
Patriarcale 10) Giovanni Antonio Bazzi detto Il Sodoma, Apollo e Dafne, olio su tela, 1511, Worcester,
Worcester Art Museum 11) Bernardo Daddi, detto Maestro del dado, Apollo uccide il serpente Pitone, incisione,
1520, Bologna, Pinacoteca Nazionale, Gabinetto disegni e stampe 12) Nicola Filotesio, detto Cola dell’Amatrice, Apollo uccide il serpente Pitone, affresco,
1543, Città di Castello, Palazzo Vitelli alla Cannoniera 13) Etienne Delaune, Apollon tuant le serpent Python, incisione, 1547-1548, Strasburgo,
Cabinet des estampes et des dessins 14) Giovanni Antonio Rusconi, La morte di Pitone ed Apollo e Dafne, xilografia, in Le
Trasformazioni di m. Lodovico Dolce, Venezia 1553, f. 66v 15) Lelio Orsi, Apollo uccide il serpente, affresco, 1550-1560, Modena, Galleria Estense 16) Bernard Salomon, Python occis, xilografia, in La Metamorphose d’Ovide figurée, Lione
1557 17) Gabriele Simeoni, Serpente ucciso da Febo, xilografia, in La vita et metamorfoseo
d’Ovidio figurato et abbreviato in forma d’epigrammi da m. Gabriello Simeoni con altre stanze sopra gl’effetti della luna: il ritratto di una fontana d’overnia et un’apologia generale nella fine del libro dell’illustrissima signora duchessa di Valentinois a Lione, per Giovanni di Tornes, Typographo Regio, Lione 1559
18) Bernardo Buontalenti, Apollo che scocca l’arco e il drago. Acquerello per il terzo intermezzo del 1589, acquarello, 1589, Firenze, Biblioteca Nazionale
19) Agostino Carracci, Combattimento delfico. Prospetto di scena del terzo intermezzo del 1589, incisione, 1589, Firenze, Biblioteca Nazionale
20) Artista anonimo proveniente dalla scuola di Hendrick Goltzius, Apollo uccide Pitone, incisione, 1589, Londra, British Museum
21) Anton Maria Viani e assistenti, Apollo uccide Pitone, affresco in lunetta, 1594-1612, Mantova, Palazzo ducale, Galleria del Passerino
22) Antonio Tempesta, Apollon killing Python, xilografia, in Metamorphoseon sive transformationum ovidianarum libri quindecim, aeneis formis ab Antonio Tempesta florentino incisi, et in pictorum, antiquitatisque studiosorum gratiam nunc primum exquisitissimis sumptibus a Petro de Iode antuerpiano in lucem editi, Anversa 1606
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23) Domenico Zanchieri detto Il Domenichino, Apollo uccide Pitone, affresco, 1616-1618, Frascati, Villa Aldobrandini
24) Pedro Pablo Rubens, Apolo y la serpiente Pitòn, olio su tela, 1636-1637, Madrid, Museo del Prado
25) Joachim Von Sandrart, Apollo e il serpente Pitone, olio su tela, 1650-1660, Firenze, Palazzo degli Uffizi
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