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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO
Facoltà di Studi Umanistici
Corso di Laurea magistrale in Lettere moderne
LE EDIZIONI DELLE FANTASIE DI GIOVANNI BERCHET
Relatore:
Chiar.mo Prof. Alberto Valerio CADIOLI
Correlatore:
Chiar.mo Prof. Stefano GHIDINELLI
Tesi di Laurea di:
Jessica POMPILI
Matr. 803796
Anno Accademico 2014 - 2015
1
I
Giovanni Berchet e l’esperienza risorgimentale e romantica
ROMANTICISMO E RISORGIMENTO: LA LOMBARDIA DOPO IL CONGRESSO DI VIENNA
«Per entro i fitti popoli; / Lungo i deserti calli; / Sul monte
aspro di gieli; / Nelle inverdite valli; / Infra le nebbie assidue; /
Sotto gli azzurri cieli; / Dove che venga, l’Esule, / Sempre ha la
patria in cor» (F₁, p. 3)1. L’immagine dell’esule che delinea
Berchet all’inizio delle sue Fantasie non potrebbe esprimere
meglio quel binomio inscindibile che fu per l’Italia il
romanticismo insieme alla tormentata esperienza del
risorgimento.
Ma parlare di risorgimento e romanticismo, in particolare di
romanticismo italiano, significa fare riferimento a due concetti
che richiederebbero una riflessione che non può trovare spazio
in questa sede. Per quanto riguarda il termine 'risorgimento',
dunque, è da intendersi qui nella sua accezione più ampia e
generale. Quella, cioè, di lungo e complicato processo di
trasformazione politica, economica, sociale e culturale che portò
l’Italia, dalla sua storica condizione di frazionamento, all’unità
nazionale nel 1861.
1 Le citazioni tratte dalle prime edizioni delle Fantasie compariranno nel testo secondo queste modalità: F₁: Giovanni Berchet, Le Fantasie, Delaforest, Parigi, 1829. F₂: Giovanni Berchet, Le Fantasie, Taylor, Londra, 1829. F₃: Giovanni Berchet, Le Fantasie, Taylor, Londra, 1831. F₄: Giovanni Berchet, Le Fantasie ed I profughi di Parga, Resnati, Milano, 1848.
2
Allo stesso modo è difficile dare una definizione specifica di
romanticismo italiano, che ha visto negli anni il susseguirsi di
teorie radicalmente opposte2. Nel 1908 Gina Martegiani puntava
l’attenzione sulla continuità di pensiero tra la cultura italiana
del secondo ‘700 , e quella definita 'romantica' dai suoi stessi
protagonisti. Il suo saggio, dal titolo Il romanticismo italiano non
esiste3, si poneva proprio il fine di mostrare come l’Italia non
avesse mai conosciuto quella forte rottura con il passato che era
stata alla base della nascita del romanticismo europeo. Gli
intellettuali che si definivano 'romantici' negli anni attorno al
1816 si riconoscevano in realtà in quelle stesse idee civili e
letterarie degli illuministi milanesi del «Caffè». Ma la posizione
della Martegiani è espressione di una sola delle teorie a
proposito del romanticismo italiano, alla quale nel tempo si
sono contrapposte riflessioni volte, invece, a evidenziare i
caratteri tipicamente europei del nostro romanticismo.
Lasciando comunque da parte tali questioni, ciò che importa
qui non è partire da una definizione di romanticismo italiano,
quanto da quel legame fortissimo che la letteratura dell ’’800
ebbe con l’esperienza risorgimentale. Quanto, dunque, la
situazione politica dell’Italia, i tentativi di rivolta, il controllo
militare, le restrizioni, la censura, gli arresti avrebbero
influenzato il pensiero e la produzione letteraria che siamo soliti
chiamare 'romantica'.
2 Si veda a tal proposito Alberto Cadioli, Romanticismo italiano, Editrice Bibliografia, Milano, 1995. 3 Gina Martegiani, Il romanticismo italiano non esiste, Seeber, Firenze, 1908.
3
A proposito della nascita del romanticismo, scrive, appunto,
Giuliano Manacorda:
«Si può dunque parlare di un romanticismo italiano per distinguerlo
o contrapporlo ad uno tedesco o di qualunque altra nazione, proprio
perché il messaggio di libertà che il romanticismo portava dalle sue
origini doveva assumere presso ogni popolo quel significato che esso
poteva storicamente dargli. […] Né è un caso che questo nostro piccolo
Sturm und Drang abbia uno sfasamento di circa un venticinquennio
rispetto a quello tedesco, ché il ritardo non è se non la maturazione
delle basi sulle quali le teorie romantiche potevano conquistare anche il
nostro paese. Alla luminosa meteora dell’aulicismo napoleonico ben si
adattava il classicismo montiano, ma al rapido tramontare di essa e al
subentrare della tetra dominazione austriaca, nel crollo di una
semilibertà appena provata e di una grandezza appena intravista, la
ribellione alla troppo dura realtà diveniva il pensiero dominante, e la
teoria di chi aveva elevato a sistema l’abbattimento dei valori costituiti
poteva e doveva trovare cittadinanza anche da noi. […] Nelle sue origini
il romanticismo fu spirito di rivolta e, lungi dall’essere una teoria
meramente letteraria ma ergendosi a nuova e totale intuizione di vita,
portò l’insofferenza e la ribellione ovunque decrepite barriere si
opponessero all’umano pensare ed agire, e […] come scrisse il Pellico,
romantico venne a significare liberale, venne a significare cioè uomo
moderno aperto al futuro e disposto a lottare per attuarlo» 4.
Fu dunque il contesto storico dell’Italia dopo la
Restaurazione, secondo Manacorda, a generare gli stimoli adatti
perché il romanticismo trovasse posto anche da noi. Non è
quindi un caso che, mentre nel resto d’Italia il dibattito
4 Giuliano Manacorda, Vent’anni di pazienza, La Nuova Italia, Firenze, 1972, pp. 268-69.
4
intellettuale era quasi del tutto spento (fatta eccezione per
Firenze), la produzione romantica più viva trovava terreno
fertile per attecchire proprio in quel nord Italia che passava
drammaticamente dalla dominazione francese a quella austriaca.
Si chiedeva in una lettera del ’19 Silvio Pellico: «Del resto chi
diavolo sa qualche cosa in questa penisola, fuorché in Milano?
non intendo per sapere l’erudizione, ma il criterio filosofico, e la
chiave delle vicende umane»5.
Dopo il congresso di Vienna, comunque, l’Italia si presentava
sostanzialmente in questo modo: il Piemonte tornava al re di
Sardegna, Lombardia, Veneto e Valtellina andavano a formare il
Lombardo-Veneto direttamente controllato dall’Austria, il regno
delle Due Sicilie apparteneva ai Borbone e naturalmente si
ripristinavano i confini settecenteschi per lo Stato pontificio.
Nei salotti del nord, in un primo tempo, il ritorno degli
Austriaci era stato accolto positivamente, segnava del resto la
fine della deludente parentesi napoleonica. In uno scritto
pubblicato postumo negli «Atti del Reale Istituto Veneto», Luigi
Torelli, patriota e politico italiano, rivelò il pentimento persino
di Manzoni per gli elogi alla rivoluzione francese e a Bonaparte.
A suo dire, nel corso di una passeggiata durante un soggiorno
nella casa di campagna degli Arconati a Cassolnovo (PV),
Manzoni gli avrebbe confessato, alludendo al Cinque Maggio:
«Ebbene sappia che io mi sono pentito di aver scritto quella
5 Lettera indirizzata al fratello Luigi Pellico. Citazione tratta da Silvio Pellico, Lettere milanesi, a c. di Mario Scotti, Loescher-Chiantore, Torino, 1963, p. 171.
5
poesia. Perché ho la convinzione che Napoleone era un uomo di
cattivo cuore»6.
Un certo sollievo si era quindi diffuso sul finire della
dominazione francese, ma ben presto fu chiaro a tutti che le
speranze d’indipendenza, o almeno di una larga autonomia, che
si erano respirate con i tumulti antibonapartisti del 20 aprile
1814, non erano state che un incauto ottimismo.
La costituzione, che l’Austria sembrava voler concedere sotto
l’influenza inglese, non sarebbe mai arrivata; a fugare ogni
dubbio circa la nuova linea di governo arrivò invece il proclama
austriaco del 12 giugno dello stesso anno in cui il maresciallo di
Bellegarde metteva fine a qualsiasi rivendicazione territoriale:
«Popoli della Lombardia, del Mantovano, del Bresciano-
Bergamasco e Cremasco, un felice destino vi attende: le vostre
Province sono definitivamente aggregate all’Impero
dell’Austria»7.
Ecco quindi che tornarono a galla i malumori dell’aristocrazia
e dell’alta borghesia, sempre più tagliate fuori dalle dinamiche
decisionali. Marziano Brignoli, nel saggio La Lombardia tra
rivoluzione e restaurazione , individua in due momenti specifici la
rottura tra il ceto colto liberale lombardo e i rappresentanti del
governo austriaco.
6 Citazione tratta da Ezio Flori, Soggiorni e villeggiature manzoniane, Vallardi, Milano, 1934, pp. 226-27. 7 Citazione tratta da Marziano Brignoli, La Lombardia tra rivoluzione e restaurazione, in AA. VV., Giovita Scalvini un bresciano d'Europa. Atti del convegno di studi 28-30 novembre 1991, a c. di Bortolo Martinelli, Ateneo di scienze lettere e arti-Università Cattolica del Sacro Cuore, Stamperia fratelli Geroldi, Brescia, 1993, p. 25.
6
In primo luogo la chiusura delle scuole lancasteriane, le
scuole legate a quel sistema di insegnamento che prevedeva la
collaborazione degli scolari più progrediti con il loro maestro
nell'istruzione dei compagni. Questa forma di insegnamento,
nata in Inghilterra sul finire del ‘700, aveva attecchito in tutta
Italia, e in Lombardia era stata fortemente voluta da Federico
Confalonieri, con il sostegno di aristocratici come Pecchio,
Arrivabene, Porro e i fratelli Ugoni. Ma queste scuole, oltre che
luoghi di formazione, potevano anche essere centri di diffusione
di quelle idee liberali che impensierivano i funzionari statali. Sul
finire del 1820, quindi, fu dato ordine che tutti gli istituti
venissero chiusi.
Tuttavia una forte rottura con le autorità austriache era già
arrivata, secondo Brignoli, in seguito alle tante vicende di
censura che avevano colpito il «Conciliatore» e che lo avevano
portato alla chiusura definitiva il 17 ottobre 1819.
Il «Conciliatore» aveva visto la partecipazione di intellettuali
come Ludovico Di Breme, Pietro Borsieri, Giovanni Berchet,
Silvio Pellico, Gian Domenico Romagnosi, Giuseppe Pecchio,
Ermes Visconti e Federico Confalonieri. Nella sua breve vita,
circoscritta ad appena un anno, il «Conciliatore» era stata
un’esperienza importante, e può dunque essere considerato
«un’esemplare testimonianza dello sforzo dei più aperti gruppi
dell’aristocrazia illuminata e della borghesia intellettuale
7
milanese per affermare il proprio ruolo di classe dirigente» 8.
Non a caso, infatti, Pellico lo descrisse come un’impresa che
aveva tenuto accesa la scintilla del patriottismo e della verità. La
sua chiusura toglieva voce a un dibattito l iberale che fino ad
allora si era svolto alla luce del sole, e che finirà, quindi, per
incanalarsi con maggiore forza nelle società segrete. Di queste
quella ritenuta più pericolosa era certamente la Carboneria.
I MOTI DEL ’21: LE FUGHE E GLI ARRESTI
La Carboneria – nata nel regno di Napoli in senso anti-
napoleonico sul finire del ‘700 – aveva velocemente preso piede
in tutt’Italia ed era stata proibita in Lombardia con la
«Notificazione» del 20 agosto 1820 che attribuiva la pena di
morte non solo agli aderenti alla società, ma a tutti coloro che in
qualche modo vi fossero entrati in contatto senza farne denuncia
alla polizia.
A Milano la Carboneria era arrivata con Pietro Maroncelli, e
aveva visto la pronta adesione di Luigi Porro e Silvio Pellico (che
del Porro era segretario e precettore dei figli). Pellico a sua
volta aveva provato a coinvolgere il conte Giovanni Arrivabene,
ma senza successo. Nell’ottobre del 1820, però, la polizia
imperiale entrò in possesso di lettere e documenti sulle attività
della società segreta e il mese successivo cominciarono gli
arresti. Tra i primi ad essere fermati vi furono appunto il
8 A. Cadioli, Romanticismo italiano cit., p. 29.
8
Maroncelli e Pellico (inizialmente condannati a morte, la loro
pena sarebbe stata successivamente commutata nel carcere
duro; ottennero la grazia dieci anni dopo).
Di contro, si andavano intensificando i rapporti tra i patrioti
lombardi e il Piemonte. Ettore Perrone di San Martino, ufficiale
dell’esercito sabaudo molto vicino a Carlo Alberto, si era
incontrato nell’agosto del ‘20 a Vigevano con il conte Federico
Confalonieri, allo scopo di gettare le basi per un’alleanza
comune. Nel gennaio del ’21 Giuseppe Pecchio, altro importante
membro dell’aristocrazia lombarda, si sarebbe incontrato con lo
stesso Carlo Alberto. E nel marzo del medesimo anno in
Piemonte si accese quell’insurrezione che tanto avrebbe illuso e
deluso i patrioti italiani; preso dall’entusiasmo anche Manzoni
scrisse in pochi giorni la celebre ode Marzo 1821 che per ovvi
motivi non avrebbe visto la stampa se non dopo la sua
riscrittura nel 1848.
Carlo Alberto, infatti, dopo un primo supporto alle truppe
degli insorti guidate dal conte Santorre di Santarosa, tornò sui
suoi passi e le abbandonò al loro destino; l’esercito austriaco
inflisse loro una durissima sconfitta e il sogno rivoluzionario
svanì dopo appena due mesi. In Lombardia si mise in moto la
macchina della repressione austriaca che portò a una serie di
arresti a catena.
Nel dicembre del 1821 venne arrestato quello che era
ritenuto l’esponente più autorevole dei patrioti lombardi,
Federico Confalonieri, che condivise la sorte di Pellico e
9
Maroncelli, condannato al carcere duro nella fortezza dello
Spielberg (successivamente la pena gli fu commutata nella
deportazione in America, dalla quale riuscì a scappare per
tornare in Europa). L’interrogatorio di Federico Confalonieri
portò poi agli arresti di Giacinto Mompiani, Pietro Borsieri,
Francesco Arese, Giorgio Pallavicino, Gaetano Castillia e altri.
Chi non finì in carcere scelse la strada della fuga e dell’esil io,
mentre il Lombardo-Veneto si spegneva in una silenziosa
sottomissione che sarebbe durata almeno fino agli anni ‘40.
Sarà questo il contesto in cui continuerà ad esprimersi la
produzione letteraria del nostro romanticismo. In patria, chi non
scrive dal carcere (è il caso di Pellico che tra il 1831 e il 1832
compone Le mie prigioni , date alle stampe l’anno seguente), deve
faticosamente destreggiarsi tra i canali delle pubblicazioni
clandestine, come mostra una lettera di Vincenzo Gioberti:
«Ti mando col Leopardi e colla circolare del Vieusseux tre poesie di
un mio giovane amico. […] Le farai girare (colle debite cautele per non
danneggiarti), essendo utile che tali poesie vadano attorno. Non occorre
che io raccomandi al tuo buon senno di tacere assolutamen te intorno al
modo con cui ti sono pervenute. Sarà anzi bene che quanto all’autore,
per disviar le inchieste dei malevoli, le attribuisci al Berchet o al
Giannone o a qual altro tu vuoi de’ nostri illustri fuorusciti già noti per
versi di tal fatta»9.
Ma c’è anche chi si abbandona a una certa rassegnazione. O
almeno così aveva interpretato Berchet le nuove posizioni di 9 Lettera di Vincenzo Gioberti a Carlo Verga, datata Torino 1832. Citazione tratta da Vincenzo Gioberti, Epistolario, vol. I, a c. di Giovanni Gentile e Gustavo Balsamo-Crivelli, Vallecchi, Firenze, 1925, p. 106.
10
Manzoni, lamentandosi con la marchesa Costanza Arconati di
vedere una certa «malinconia insalubre» prendere piede tra i
rimasti del «crocchio supra-romantico della contrada del
Morone»10. Dice il poeta all’amica:
«Sa che quasi ho piacere ch’Ella non vada a Milano? Ella sa ch’io non
sono nè irreligioso per professione, nè nimico neppure di chi è divoto
più di me. Ma in casa Manzoni c’è uno spirito di proselitismo da qualche
tempo in qua, che si attacca agli altri, e conduce infino ad una
malinconia insalubre. Già Ella saprà la conversione di Ermes Visconti.
Quella smania di teologare mi è pur antipatica; e un gran teologare si fa
in Casa Manzoni. Chi è un poco debole di spirito finisce così negli
scrupoli; e Visconti mi si dice esserne già sulla via»11.
Solo in Europa, quindi, può continuare l’attività letteraria e
patriottica dei nostri romantici. Poco importa di che Europa si
tratti, come precisa Berchet: «Dove che venga, l’Esule, / Sempre
ha la patria in cor» (F₁, p. 3). Sono infatti molte le mete di chi
era costretto a fuggire dall’Italia.
La Svizzera era certo la destinazione più vicina e la più facile
da raggiungere. Qui per esempio si trasferì Giacomo Ciani,
banchiere e patriota lombardo che, intimo amico di Federico
Confalonieri, aveva preso parte a sua volta ai moti del ’ 21.
Fuggito in esilio, si era stabilito definitivamente a Lugano (dopo
10 Così Ermes Visconti aveva definito il gruppo di intellettuali che frequentavano la casa di Manzoni in una lettera a quest’ultimo datata [Milano], 25 novembre 1819. Citazione tratta da Ermes Visconti, Dalle lettere: un profilo, a c. di Sonia Casalini, Centro Nazionale Studi Manzoniani, Milano, 2004, p. 22. 11 Lettera datata Londra, 24 luglio 1827. Citazione tratta da Giovanni Berchet, Lettere alla marchesa Costanza Arconati (febbraio 1822-luglio 1833), vol. I, a c. di Robert Van Nuffel, Vittoriano, Roma, 1956, pp. 165-66.
11
una parentesi a Ginevra e Londra), e qui aveva intrapreso
l’attività di tipografo. Ma la Svizzera, troppo vicina all’Italia,
subiva molte pressioni dal governo austriaco e non era quindi
un posto considerato sicuro da tutti. Molti esuli preferivano
rifugiarsi sul suolo francese.
La Francia era la meta preferita dai nostri compatrioti anche
per una non trascurabile ragione climatica. Meno fredda dei
paesi del nord Europa, era certamente la destinazione più
accogliente e desiderabile tra tutte quelle possibili. La sua
capitale era un attivo centro culturale che teneva viva la
produzione letteraria, e qui gli esuli avevano modo di
frequentare personalità già note ai salotti lombardi, come
Claude Fauriel o Victor Cousin. In parte era anche possibile
riaprire quel dibattito liberale soffocato in patria. In Francia si
sposteranno, dunque, Santarosa, Camillo Ugoni, Arrivabene e
Scalvini, gli Arconati, lo stesso Berchet, e altri. Ma la maggior
parte dei trasferimenti degli esuli in Francia non erano duraturi;
pur bella, infatti, Parigi non era in realtà troppo sicura, a causa
delle sempre più frequenti estradizioni concesse all’Austria e dei
molti arresti. Proprio Santarosa, riconosciuto e fermato dalla
polizia, fu accusato di cospirare contro il governo francese e
scontò diversi mesi di carcere.
Se qualcuno, come Giuseppe Pecchio, scelse di riparare in
Spagna e in Portogallo, l’unica meta a sembrare realmente sicura
era invece l’Inghilterra. Qui, presto o tardi, confluirono molti
esuli tra cui il conte Pecchio, Porro, Santarosa e naturalmente
12
Berchet, Arrivabene e Scalvini. A Londra i rischi di arresto erano
bassissimi ma il prezzo da pagare era quello di un ambiente
intellettuale molto chiuso e di un clima estremamente insalubre.
In parte aveva avuto successo presso i circoli liberali il Foscolo
(prima che il suo tenore di vita e le speculazioni lo portassero
alla rovina), ma diversa sorte toccò per esempio a Berchet, che
non riuscì mai a inserirsi nella società letteraria londinese, e
anzi nel ‘27 gli venne impedito l’accesso al club che frequentava
a causa della sua modesta condizione economica.
Ma è soprattutto al clima che si adattavano male gli esuli.
Così l’Arrivabene ricordava il suo soggiorno a Londra:
«L’impressione che Londra mi fece, fu sommamente triste. Il cielo di
dicembre non è lieto neppure in Italia, ma mio Dio, che differenza! In
Londra cielo perpetuamente nebuloso, nebbia color di arancio, fitta
tanto, che talvolta nelle vie giova sospendere il corso delle carrozze e
nelle case accendere il lume a mezzogiorno»12.
Scalvini, che era sempre stato di salute estremamente
cagionevole e soffriva di fegato e di polmoni, patì moltissimo
quel clima. Di Londra diceva: «Anche i più forti devono risentirsi
di questo clima: un’ora non è mai simile all’altra: o piove, o
nevica, o fa vento, e tali sono finora stati tutti questi giorni di
Marzo»13. Nel ’24, infatti, la sua salute peggiorò; gli salvò la vita
la pronta risoluzione dell’amico Arrivabene nel trasferirsi con
12 Giovanni Arrivabene, Memorie della mia vita, Barbèra, Firenze, 1880, p. 122. 13 Lettera di Giovita Scalvini alla madre, datata Londra, 19 marzo 1824. Citazione tratta da Marco Pecoraro, Lettere dall’esilio e frammenti inediti dello Scalvini nelle carte della polizia austriaca, in AA. VV., Studi in onore di Raffaele Spongano, Boni Editore, Bologna, 1980, pp. 346-47.
13
lui nell’amena isola di Wight, a sud dell’Inghilterra, dove lo
Scalvini si rimise in forze.
Londra quindi, sebbene sicura, non si adattava alla vita degli
esuli italiani, molti dei quali accettarono di buon grado
l’ospitalità che attorno agli anni ’30 i generosi marchesi Arconati
poterono offrire nei loro possedimenti a Gaasbeek. In Belgio,
infatti, finalmente al sicuro e ristorati da un clima più mite,
trascorsero gli ultimi anni del loro esilio diversi patrioti, prima
che l’amnistia del ’38, concessa da Ferdinando I d’Austria il
giorno della sua incoronazione a Milano, rendesse finalmente
possibile il rientro in Italia per tutti i proscritti del Lombardo -
Veneto.
Nonostante le tante difficoltà incontrate in Europa,
comunque, non venne mai meno negli esuli il desiderio di
scrivere dell’Italia, delle speranze di indipendenza, o anche solo
dell’esperienza stessa dell’esilio. In questo clima Giannone darà
alle stampe, in Francia, L'esule14, che sarà poi ristampato nel
1868 e dedicato a Garibaldi. Intanto Scalvini componeva un
poemetto dallo stesso titolo (cambiato successivamente, forse
proprio per questo motivo, in Il fuoruscito15), pubblicato
postumo nel 1860 a cura di Tommaseo. Risale all’esilio parigino
anche De la révolution piémontaise16 di Santarosa, mentre Ciani,
14 Pietro Giannone, L' esule, Delaforest, Parigi, 1835. 15 Giovita Scalvini, Scritti, a c. di Niccolò Tommaseo, Le Monnier, Firenze, 1860. Si veda anche Giovita Scalvini, Il fuoruscito, testo critico dall’autografo a c. di Robert Van Nuffel, Commissione per i testi di lingua, Bologna, 1961. 16 Santorre di Santarosa, De la révolution piémontaise, chez les Marchands de nouveautés, Paris, 1821.
14
nel Canton Ticino, si associava con lo stampatore Giuseppe
Ruggia per dare alle stampe le opere dei patrioti italiani,
contribuendo in questo modo a tenere viva la causa.
Scrivere è anche un modo per esorcizzare la paura di
rimanere bloccati per sempre in quella irreversibile condizione
di stallo in cui sembrava esser caduta la patria. Scrive Camillo
Ugoni in una lettera del ’36: «Ma dove cercheremo noi, non
conforto, ma qualche tregua al pensiero di tante disgrazie?
Sempre nelle lettere e nello studio»17. Fino ad allora, infatti,
concrete iniziative di rovesciare gli equilibri politici non ve
n’erano state, e sono quindi più che comprensibili le parole di
uno sconsolato Scalvini: «Forse, noi marciremo tutti nell ’esiglio,
secondo la caritatevole espressione di Metternich» 18.
È da questo sentimento che nasceranno anche Le Fantasie di
Berchet, composte nell’esilio londinese tra la primavera del
1827 e i primi mesi del 1828 .
GIOVANNI BERCHET
All’epoca della repressione austriaca e dell’arresto di
Confalonieri, Giovanni Berchet era già parecchio conosciuto e
apprezzato nell’ambiente intellettuale milanese, nonostante le
modeste condizioni sociali dalle quali proveniva.
17 Lettera indirizzata a Giovita Scalvini, datata Saint-Leu, 25 novembre 1836. Citazione tratta da Robert Van Nuffel, Lettere di Camillo Ugoni a Giovita Scalvini, in «Convivium», 1957, p. 728. 18 Lettera indirizzata a Giovanni Arrivabene. Citazione tratta da Guido Bustico, Giovita Scalvini, in AA. VV., I cospiratori bresciani del ‘21 nel primo centenario dei loro processi, miscellanea di studi a c. dell’Ateneo di Brescia, Scuola Tip. Editrice Istituto Figli di Maria Imm., Brescia, 1924, pp. 52-53.
15
Il poeta, infatti, era nato a Milano, il 23 dicembre del 1783 , da
Caterina Silvestri e Federico Berchet. Il padre, di origini
svizzero-francesi (gli avi erano di Nantua), era niente più che un
commerciante di tessuti, proprietario di un negozio di
'pannilana'. Berchet nacque quindi in un contesto molto diverso
da quello degli intellettuali aristocratici con i quali sarebbe
entrato in contatto nel corso della sua vita.
Fin da giovane, comunque, dimostrò notevole interesse per le
lettere, tanto che la famiglia scelse di supportare questa sua
propensione allo studio dapprima con le lezioni private
impartitegli dall’abate Pietro Mazzucchelli (futuro prefetto della
Biblioteca Ambrosiana), e in seguito iscrivendolo alle scuole
Arcimbolde (al tempo ancora sotto la direzione dei Barnabiti). Il
padre era inoltre convinto dell’importanza che i figli
imparassero le lingue moderne, anche in virtù di un futuro come
commercianti. Giovanni imparò quindi il francese, l’inglese e il
tedesco, ma ciò che più suscitava il suo interesse era il fervido
panorama letterario milanese di quegli anni. I nomi a cui
guardava il poeta erano naturalmente quelli di Giuseppe Parini
(morto nel 1799), Vincenzo Monti, considerato il più illustre
poeta di allora, e Ugo Foscolo, che affascinava le nuove
generazioni per le sue opere e il suo temperamento.
È sotto queste influenze, quindi, che Berchet mosse i suoi
primi passi. Tra le opere iniziali figura un 'bigliettino' di scuse
16
indirizzato al padre dal titolo Versi infantili al padre 19 ma ben
più conosciuto è invece l’inno Per le nozze di Alberigo Rovida e di
Cristina Forni20, pubblicato attorno al 1807 nella stamperia di
Giovanni Giuseppe Destefanis. Il poeta omaggiò la coppia con un
inno che invocava Giunone ad assistere benevola alle nozze in
questione. Pur senza mostrare particolare originalità, Berchet
diede prova di sapersi muovere in perfetta sintonia con i moduli
della poesia di stampo settecentesco, mettendo ben in pratica gli
insegnamenti acquisiti e attingendo liberamente a un repertorio
ben consolidato. Ma ciò che risulta interessante dall’analisi
dell’opera è l’emergere di un motivo morale di denuncia della
corruzione del tempo (certamente di stampo pariniano). Un
aspetto importante specialmente se visto alla luce del ruolo
etico-civile che Berchet attribuirà alla poesia nelle ri flessioni
critiche sulle pagine del «Conciliatore», e che farà da linea guida
a tutta la sua produzione successiva.
Sempre di questo periodo sono l’ode All’ulcera21 e le ottave
fatte con Giuseppe Taverna22, studioso di letteratura inglese e
traduttore di Shakespeare. Ma la prima vera occasione di
Berchet di affacciarsi al panorama letterario di allora avvenne
con la traduzione in endecasillabi sciolti del Bardo23 di Thomas
Gray, nel 1807. Ancora una volta non è solo l’intento estetico a
19 Si veda Giovanni Berchet, Opere. Poesie, vol. I, a c. di Egidio Bellorini, Laterza, Bari, 1911, p. 409. 20 Ivi, p. 410. 21 Mai pubblicata interamente dagli editori delle raccolte berchettiane perché giudicata eccessivamente volgare. 22 Si veda G. Berchet, Opere. Poesie, vol. I, a c. di E. Bellorini cit., p. 415. 23 Giovanni Berchet, Il bardo di T. Gray, s.n., Milano, 1807.
17
guidare il poeta nel portare a termine l’opera. Il componimento
si apre, non a caso, con l’invettiva contro Odoardo I che,
conquistato il Galles, aveva fatto trucidare tutti i bardi. Di loro
dice Berchet: «non avendo altra professione che quella di
mantener vivo col canto l’onore insieme e l’ardor nazionale,
erano da lui creduti sommamente nocivi alle sue mire di regno e
d’oppressione»24. È evidente, dunque, il significato politico
attribuito al testo, lo stesso significato che dovette attirare
l’attenzione di Ugo Foscolo. Infatti , in una recensione apparsa
sul «Giornale della Società di Incoraggiamento» nel 1808,
Foscolo, pur criticando la scrittura di Berchet («Ci duole di non
poterle dar lode di armonia e di splendore»25; «Non pare nutrito
sempre di buone letture»26), elogiò il poeta per il «gusto, di cui
ci ha dato saggio […] nella scelta di questo componimento»27,
ringraziandolo «per l’ottimo intento di addomesticare gl’italiani
con questo esemplare di lirica sublime»28.
Un intento di natura morale e civile continua dunque a
emergere nella produzione di Berchet, cominciando anche a
manifestare le prime concrete difficoltà nel legarsi alle ragioni
della forma poetica. È lo stesso Berchet ad ammetterlo nella
premessa alla traduzione del Bardo. Qui il poeta spiega di aver
voluto tradurre il testo a tutti i costi, ritenendo assolutamente
24 G. Berchet, Il bardo cit., citazione tratta da G. Berchet, Opere. Poesie, vol. I, a c. di E. Bellorini cit., p. 305. 25 Ugo Foscolo, Edizione nazionale delle opere. Scritti letterari e politici, vol. VI, a c. di Giovanni Gambarin, Le Monnier, Firenze, 1972, p. 713. 26 Ivi, p. 715. 27 Ivi, p. 714. 28 Ivi, p. 713.
18
necessario far conoscere al pubblico italiano un’opera di tale
valore. L’importanza attribuita a questa traduzione doveva
quindi, a detta del poeta, andare a scusare le molte cadute di
stile dovute alle difficoltà di portare a termine l’impresa. È già
evidente il ruolo di primaria importanza che Berchet attribuisce
all’intento etico, più che estetico, della poesia.
La traduzione del Bardo, e in particolar modo le parole di
Foscolo a riguardo, contribuirono tantissimo a conferire
autorevolezza al nome di Berchet che da allora cominciò sempre
più a frequentare figure di spicco, come il pittore Giuseppe
Bossi, Carlo Porta e Felice Bellotti, oltre che Foscolo stesso.
Ulteriore conferma delle capacità del poeta furono, tra il 1808
e il 1809, due componimenti di discreto valore, la satira I
funerali29 e il poemetto Amore30. Nella prima opera il poeta
riproponeva il motivo pariniano della decadenza dei valori, ma
senza alcun tipo di distacco ironico. Mentre nel se condo si
rappresentava il topos che opponeva alla pace e alla rettitudine
della campagna la dissolutezza del viver cittadino. Si tratta in
generale di due opere fortemente inserite nella tradizione
neoclassica che lasciano emergere tutta l’importanza delle
letture di Foscolo e Parini e dove Berchet mostra una decisa
padronanza di una poesia alta e letteraria, pur nella piena
imitazione di modelli consolidati.
29 Giovanni Berchet, I funerali, Cairo e Compagno, Milano, 1808. 30 Giovanni Berchet, Amore, Cairo e Compagno, Milano, 1809.
19
Fu un periodo molto produttivo, questo, per il poeta, che
tuttavia, non potendo vivere di rendita, si divideva
costantemente tra l’impegno letterario e il lavoro come
commerciante nell’azienda di famiglia. Questa occupazione,
però, lo rendeva troppo distante dagli intellettuali frequentati e
da qui la necessità di liberarsene il prima possibile. Iniziò così a
collaborare come traduttore per l’editore Destefanis, lavorando
alla sua collana di romanzi moderni. La maggior parte di queste
traduzioni uscirono non firmate, difficile dunque risalire ai testi
curati dal poeta, fatta eccezione per il Vicario di Wakefield31 di
Goldsmith, che gli è espressamente attribuito sullo «Spettatore»
del 30 novembre 1815 («Il sig. Giovanni Berchet, milanese, autor
de’ Funerali, dell’Amore, delle versioni del Bardo e del Vicario di
Wakefield»32). Ma la tradizione critica è solita attribuire a
Berchet anche le traduzioni del Visionario di Schiller e del
Télémaque di Fénelon.
Nell’agosto del 1810, ottenuto il posto di secondo commesso
dell’ufficio di amministrazione nella cancelleria del Senato del
Regno Italico, Berchet poté fina lmente lasciare l’azienda del
padre. Questa nuova condizione gli permetteva, inoltre, di
dedicarsi con maggiore attenzione all’attività culturale e di
frequentare con più assiduità gli ambienti intellettuali e gli
amici della società aristocratica e alto borghese.
31 Si veda Giovanni Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di Francesco Cusani, Pirotta e comp., Milano, 1863, p. 339. 32 Citazione tratta da G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 57.
20
Anche il teatro cominciò a rientrare più spesso tra le attività
del poeta, e proprio a seguito di uno degli spettacoli visti
Berchet scrisse la Lettera sul dramma «Demetrio e Polibio»,
cantato nel Teatro Carcano33, un intervento critico sulla messa in
scena, il 6 luglio 1813 , di Demetrio e Polibio di Gioacchino
Rossini.
Gli anni che seguirono furono quelli che videro la fine del
Regno Italico, e mentre tra l’aristocrazia lombarda si
alimentavano speranze di cambiamento, Berchet perdeva
naturalmente il proprio posto di commesso. Così il 24 giugno del
1814 inviò un’istanza al nuovo governo austriaco nella quale
chiedeva una nuova occupazione, che gli venne effettivamente
assegnata. Nel settembre dello stesso anno venne chiamato a
svolgere mansioni di traduttore in vari uffici del nuovo governo,
e, grazie alla raccomandazione del classicista Giuseppe
Londonio, gli vennero affidate anche le traduzioni di alcuni testi
scolastici.
Nel frattempo il suo nome era sempre più affermato nel
contesto letterario italiano. Ne è la prova la sua apparizione
sulle pagine dello «Spettatore». Giornale ispirato allo
«Spectateur» francese, lo «Spettatore» era nato nel 1814 a
Milano per iniziativa del celebre editore Antonio Fortunato
Stella, e aveva riscosso un grandissimo successo, non solamente
nel nord Italia. Come noto, Leopardi era tra i col laboratori e Di
33 Si veda Giovanni Berchet, Opere. Scritti critici e letterari, vol. II, a c. di Egidio Bellorini, Laterza, Bari, 1912, p. 1.
21
Breme lo definì «il giornale italiano letterario più diffuso al dì
d’oggi e il più ricercato»34. Non è quindi evento da poco
l’apparizione su questo giornale, nel 1816, di alcuni versi di un
poemetto di Berchet sul lago di Como, Il Lario35, introdotti da
una nota biografica dove l’autore era definito «giovane poeta di
altissime speranze»36. Il Lario metteva perfettamente in luce
un’abilità tecnica ormai pienamente raggiunta dal poeta. Berchet
era certamente riuscito a ritagliarsi un posto di valore nel
panorama della cultura milanese del primo ‘800, e la sua poesia
poteva definirsi di stampo neoclassico.
Alla produzione neoclassica di Berchet va aggiunta, inoltre,
l’epistola A Felice Bellotti. In morte di Giuseppe Bossi 37. Il 9
dicembre del 1815 era scomparsa, infatti, una delle figure più
celebri della Milano del tempo. Giuseppe Bossi, oltre che poeta
dialettale stimato e legato a Carlo Porta, era un affermato
pittore, citato anche da Stendhal in Roma, Napoli, Firenze38.
Berchet scelse di ricordarlo con un componimento in stile
neoclassico che riscosse un notevole successo, ma in verità in
questa fase lo stile poetico di Berchet cominciò ad entrare in
crisi. E non poteva essere altrimenti, del resto, visto
l’approssimarsi della stagione romantica e l’accendersi dei
dibattiti culturali che cominciavano ad opporre gli strenui
difensori della tradizione a chi si interessava alle novità
34 Ludovico Di Breme, Lettere, a c. di Piero Camporesi, Einaudi, Torino, 1966, p. 288. 35 Si veda G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 57. 36 Ibidem. 37 Giovanni Berchet, A Felice Bellotti, Stella, Milano, 1816. 38 Stendhal, Rome, Naples et Florence, Delaunay, Paris, 1817.
22
d’oltralpe. Anche la poetica di Berchet subì dunque qualche
scossone. Tra il 1815 e il 1816 il poeta cominciò, infatti, la
stesura del carme I Visconti39, ma i risultati non furono
soddisfacenti. Lo stesso Giuseppe Bossi, prima della sua morte,
non aveva espresso un giudizio particolarmente positivo sul
testo, individuandone le molte debolezze. Berchet tornò più
volte a mettere mano a un testo che risentiva evidentemente del
richiamo del passato, della poesia notturna, del fascino per
l’orrido di fine ‘700, e dell’influenza foscoliana in un contesto
letterario che ormai stava cambiando e suggestionando il poeta
stesso. Nessun rimaneggiamento portò a un risultato
soddisfacente e infatti l’opera rimase inedita fino alla raccolta di
Francesco Cusani nel 1863.
Ad ogni modo, I Visconti mettono nuovamente in luce il
sempre crescente interesse di Berchet per una poesia impegnata
sul piano etico e civile. La vicenda rappresentata riguardava,
infatti, il personaggio di Petrarca che, ospite a Milano di
Giovanni Visconti, in seguito a una lunga visione delle
scelleratezze dei futuri signori di Milano, sceglieva di fuggire e
abbandonare per sempre la città. Seppur implicito, è evidente il
riferimento polemico alla situazione politica, sempre più critica,
del nord Italia, che infatti, da lì a qualche anno, avrebbe vissuto
la pesante stagione degli arresti e degli esilii.
Ma intanto, come si è detto, il panorama culturale milanese
stava cambiando. Era l’ottobre del 1815 quando nacque il
39 Si veda G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 388.
23
progetto della «Biblioteca italiana». Berchet non ne faceva parte,
ma vi parteciparono intellettuali importanti come Monti,
Borsieri, Pellico e Di Breme.
La «Biblioteca italiana», con l’intento dichiarato di aprirsi a
un pubblico ampio e non solamente letterario, e di uscire dalla
cultura esclusivamente italiana per aprirsi alla modernità,
preannunciava già quella che sarebbe stata l’esperienza del
«Conciliatore». Ma dentro il desiderio di rinnovamento culturale
che si respirava in questo progetto, era ormai chiara l’esigenza
di un altro tipo di rinnovamento, un cambiamento civile e
politico che voleva l’Italia al pari con le altre nazioni non solo
per cultura, ma come stato di diritto, indipendente e unitario. Il
rinnovamento culturale e quello politico erano, quindi, sempre
più strettamente intrecciati.
La «Biblioteca italiana» divenne celebre soprattutto per aver
ospitato sulle sue pagine l’articolo che avrebbe, di fatto, aperto
all’esperienza romantica in Italia, ovvero l’intervento di Madame
de Staël, Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni 40.
Le parole di Madame de Staël sulla rivista invitavano gli
italiani a prestare maggior attenzione all’Europa e a tradurre,
specie dal mondo anglosassone, non tanto per dimenticare la
propria tradizione o rinnegarla, ma per non chiudersi alla
40 Madame de Staël, Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, in «Biblioteca italiana. Ossia giornale di letteratura scienze ed arti», Antonio Fortunato Stella, Milano, Tomo I, Anno primo, gennaio febbraio e marzo 1816, Terza edizione.
24
modernità e quindi «mostrare qualche novità a’ loro cittadini, i
quali per lo più stanno contenti all’antica mitologia»41.
L’articolo ebbe un seguito inaspettato e animò un aspro
confronto tra chi si trovava d’accordo con le indicazioni della
scrittrice, e chi invece si poneva a difesa della tradizione e
dell’italianità. Questo confronto, che avrebbe ben presto trovato
due espressioni specifiche per le fazioni contrapposte,
'classicisti' e 'romantici', non poteva che vedere Berchet
militante tra le file dei secondi. Il poeta, del resto, aveva
mostrato il suo interesse per la letteratura straniera già con le
traduzioni fatte negli anni precedenti, e frequentando gli
ambienti più vicini alle idee di rinnovamento aveva maturato
una sua personale opinione alla quale avrebbe dato voce con la
Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo 42.
La Lettera semiseria uscì nel 1816, a Milano, pubblicata da
Giovanni Bernardoni. Il titolo intero era: Sul «Cacciatore feroce»
e sulla «Eleonora» di Goffredo Augusto Bürger. Lettera semiseria
di Grisostomo al suo figliuolo. Si tratta probabilmente del picco
più alto della carriera letteraria dell’autore che con questo testo
si mostrava ormai scopertamente militante nella polemica
contro i classicisti. L’opera fu vista come un importante punto
segnato a favore del dibattito romantico e il poeta ricevette gli
elogi di numerose figure di spicco di allora. Tra queste, Di Breme
41 Madame de Staël, Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, in «Biblioteca italiana. Ossia giornale di letteratura scienze ed arti», gennaio febbraio e marzo 1816, p. 16. 42 Giovanni Berchet, Sul 'Cacciatore feroce' e sulla 'Eleonora' di Goffredo Augusto Burger. Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, Bernardoni, Milano, 1816.
25
si mostrò felice di invitarlo al pranzo organizzato in onore di
Lord Byron in visita a Milano.
Come si evince dal titolo esteso, il testo prendeva le mosse da
un pretesto, la richiesta da parte del figlio del vecchio
Grisostomo di avere la traduzione in italiano di due ballate del
poeta tedesco Bürger. Berchet partiva dunque dalla nota
questione sull’importanza del tradurre affrontandone però un
aspetto più specifico: la scelta di rendere in prosa o in poesia un
testo straniero. Nel rispondere a tale quesito, Berchet affermava
che il vero scopo di una traduzione sta nell’essere il più
possibile fedele al testo originale. Il traduttore deve quindi
«darci a conoscere il testo» e non «regalarcene egli uno del
suo»43. Questo era sempre stato il modo con cui Berchet si era
accostato al tradurre fin dai suoi passi iniziali, e ben prima delle
polemiche romantiche di allora. Ma questa analisi dava anche al
poeta l’occasione di fare un ulteriore passo avanti, introducendo
un secondo spunto di riflessione: la differenza tra il linguaggio
della poesia e quello della prosa. Se scopo del tradurre è la
fedeltà al testo, allora la prosa può assolvere meglio a questo
compito. La lingua della prosa, infatti, per la sua capacità di
mantenersi sempre viva e in continuo movimento meglio si
adatta a operazioni di questo tipo. La lingua della poesia è
invece una lingua «alla quale non si può chiudere il Vocabolario,
43 Citazione tratta da G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 209.
26
se prima non le si fanno le esequie»44; statica e chiusa nel
passato della propria tradizione, si adatta con difficoltà alle
novità.
Si tratta evidentemente di una riflessione molto importante,
tanto più nell’ottica di quella vera e propria crisi che vivrà la
poesia italiana nel corso dell’’800, incapace di vivere un vero
rinnovamento, trattenuta dall’impegno civile da una parte e
dalla fedeltà alla tradizione dall’altra. Un rinnovamento che,
infatti, non vedrà fondamentalmente altro interprete che
Giacomo Leopardi.
Un altro importante nodo della Lettera semiseria andava a
toccare, invece, la questione riguardante il pubblico destinatario
della produzione poetica. Nella nota distinzione tra 'parigini',
'ottentotti' e 'popolo', Berchet, escludendo i primi due perché
troppo raffinati o al contrario troppo grossolani, specifica in che
cosa consiste il suo pubblico: «comprende tutti gli altri individui
leggenti ed ascoltanti, non eccettuati quelli che avendo anche
studiato ed esperimentato quant’altri, pur tuttavia ritengono
attitudine alle emozioni. A questi tutti io do nome di popolo»45.
Ma ancora una volta la riflessione letteraria di Berchet si
intreccia alla sua visione politica. Per Berchet, l’ampio pubblico
destinatario della poesia non è solo la classe protagonista del
dibattito culturale, ma anche quella protagonista dei
cambiamenti politici in atto: il ceto medio. Una classe sociale che
44 G. Berchet, Lettera semiseria cit., citazione tratta da G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 210. 45 Ivi, p. 216.
27
è rappresentativa dell’intera nazione non essendo né una parte
ampia ma passiva, né una parte minima e isolata. Si tratta invece
di «mille e mille famiglie» che «pensano, leggono, scrivono,
piangono, fremono, e sentono le passioni tutte, senza pure avere
un nome ne’ teatri»46.
È a questa classe che deve guardare il poeta, «da questa deve
farsi intendere, a questa deve studiar di piacere» 47. In questo
senso, per Berchet, la sola vera poesia è quella 'popolare', quella
cioè che sa interpretare i bisogni e i gusti del suo pubblico, e sa
rispondervi in modo adeguato. Proprio per questo, tornando
nuovamente al tema del tradurre, Berchet chiarifica che è
sbagliato importare modelli stranieri che non possono essere
apprezzati in un paese dai gusti molto differenti. Le capacità del
poeta si devono invece vedere nell’abilità di adattare alla
sensibilità italiana qualcosa di nuovo e originale che viene da
fuori.
Nella riflessione di Berchet, dunque, il pubblico assume un
ruolo primario. L’importante è «piacere al popolo vostro»48,
specifica nella Lettera semiseria. Ma non si tratta, naturalmente,
di un piacere vuoto e fine a se stesso. Il pubblico va soddisfatto
nutrendolo «di pensieri e non di vento»49. E a tal fine Berchet
giustifica la ricerca di mezzi originali e innovativi: la poesia «ha
46 G. Berchet, Lettera semiseria cit., citazione tratta da G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 216. 47 Ivi, p. 217. 48 Ivi, p. 225. 49 Ivi, p. 225.
28
diritto anche ella di adoperare mezzi modificati in infinito» 50, di
provare forme nuove e di uscire dai ristretti confini della
propria tradizione, prendendo esempio da altri (la letteratura
tedesca in primis, per questo la scelta del riferimento a Bürger).
La pubblicazione della Lettera semiseria contribuì ad
accrescere la celebrità di Berchet, ed è proprio in questo
periodo che alla cerchia dei suoi conoscenti si aggiunse
Alessandro Manzoni. L’amicizia con quest’ultimo durò per tutta
la vita. «Discutevano spesso tra loro, talvolta con vivacità,
sempre con reciproco affetto»51, così Giuseppe Massari
raccontava il rapporto di stima reciproca tra i due letterati.
Frequentando la casa di Manzoni, Berchet entrò a far parte
stabilmente di quel circolo di intellettuali che animavano le
serate in via del Morone, stringendo amicizia con Ermes
Visconti, Giovanni Torti e Giovan Battista De Cristoforis. Furono
certamente anni bellissimi per il poeta, per l’impegno culturale
che lo vedeva protagonista ma anche per le sincere amicizie e le
piacevoli consuetudini della sua vita di allora. Qualche anno più
tardi, ricordando le serate in casa Manzoni, Cristoforo Fabris
avrebbe dato un’immagine eloquente del clima accogliente dei
cenacoli letterari in via del Morone:
«D’inverno la conversazione si faceva in un semicerchio intorno al
camino, e don Alessandro non concedeva ad alcuno le molle per attizzar
il foco: aveva una passioncella per tenerlo sempre bene avviato, e lo 50 G. Berchet, Lettera semiseria cit., citazione tratta da G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 227. 51 Giuseppe Massari, Giovanni Berchet. Ricordi dall’esilio, in «Fanfulla della domenica», 1880, n. 39.
29
governava con una sua teoria, che cioè le legna dovevano essere fra loro
vicine più che fosse possibile, senza toccarsi mai»52.
Ed è certamente a queste serate che guarderà con profondo
dolore Berchet negli anni desolati dell’esilio londinese.
All’affiatato gruppo di via del Morone si sarebbe legato più
avanti anche un altro importante gruppo di romantici costituito
da Ludovico Di Breme, Pietro Borsieri e Silvio Pellico. Dal
confronto e dalla collaborazione tra questi intellettuali sarebbe
nata l’esperienza del «Conciliatore».
L’idea del nuovo giornale si inseriva pienamente nel solco
della precedente esperienza della «Biblioteca italiana» e ancor
più nella tradizione milanese del «Caffè». L’intento, espresso già
nel titolo, era quella di conciliare tutti gli amanti del vero e di
rivolgersi ad un pubblico allargato che desiderava contenuti
moderni:
«Rispettiamo moltissimo que’ gravi libri scientifici che sono capiti
da’ soli dotti, ma il nostro desiderio si è che le scienze si smascherino
qualche volta della loro gravità e si facciano conoscere ed amare anche
da chi ha la disgrazia di non essere nato per divenir dottore. E questa
disgrazia l’hanno, oltre il maggior numero degli uomini, anche tutte le
figliuole d’Eva che non sono una piccola parte del genere umano, e che
pure, senza lordarsi della polvere delle biblioteche e senza cessare
d’essere piacevoli, vorrebbero talora imparare qualche cosa di sodo ne’
libri»53.
52 Cristoforo Fabris, Memorie manzoniane, Cogliati, Torino, 1901, p. 11. 53 AA. VV., Il «Conciliatore», foglio scientifico-letterario, vol. I, a c. di Vittore Branca, Le Monnier, Firenze, 1953, p. 150.
30
Non siamo affatto lontano dalle idee espresse del tutto
autonomamente da Berchet nella Lettera semiseria di Grisostomo
al suo figliuolo , e infatti il poeta, riconoscendosi nella natura del
progetto, collaborò con passione al «Conciliatore» con
diciannove articoli firmati con lo pseudonimo di Grisostomo, ed
ulteriori articoli senza firma, rimanendo fedele al progetto fino
alla sua inevitabile chiusura il 17 ottobre 1819.
Gli interventi di Berchet sul «Conciliatore» furono occasione
per ribadire la sua idea di poesia. Una poesia volta a
interpretare i desideri del proprio pubblico e che per questo non
poteva sottrarsi a un impegno etico e civile. Nel numero del 24
dicembre 1818, a proposito di un discorso di Guglielmo Roscoe,
Berchet scriveva:
«Chi considera l ’attuale nostra civiltà […] vedrà esser dover suo il
contribuire quel tanto che egli può al miglioramento della coltura
pubblica, ed il combattere sempre più la tristezza di quei pochi che
vorrebbero far della sapienza un monopolio e tener nella ignoranza il
prossimo, onde non trovar contrasti a’ lor maligni disegni»54.
E ancora, rifiutando l’idea che la poesia debba tenersi lontana
dalla vita vera, in un articolo sulla Storia della poesia e
dell’eloquenza di Friedrich Bouterwek, Berchet precisava:
«Il poeta allora solamente ottiene il fine più sublime e più vero
dell’arte quando tien conto del carattere della sua nazione e del suo
54 Giovanni Berchet, Intorno all’'Origine delle lettere' del Roscoe, in «Conciliatore», dicembre 1818, citazione tratta da G. Berchet, Opere. Scritti critici e letterari, vol. II, a c. di E. Bellorini cit., p. 119.
31
secolo, e non ributta sdegnosamente come inopportuno ai suoi
intendimenti poetici»55.
Ma, pur lucidamente concepite, le teorie poetiche di Berchet
trovavano forti difficoltà nel tradursi in pratica. Ne sono
esempio le novelle in versi Il cavaliere bruno56 e Il castello di
Monforte57, composte attorno al 1819 e rimaste incompiute e
inedite fino alla raccolta di Cusani. Il cavaliere bruno è una
novella in versi ambientata in epoca medievale a Marsilia. Nelle
prime strofe una giovane donna prega Dio perché accolga la
madre morta in paradiso. Successivamente la ragazza viene,
però, turbata dalla dichiarazione d’amore rivolta a lei da un
giovane cavaliere. Il testo è lasciato incompleto dopo 52 ottave
del primo canto. Il motivo risiede forse nella difficoltà di
Berchet nel trovare effettivamente uno stile che abbandoni le
forme classiche per abbracciare la nuova idea di poesia. Il
risultato sembra essere invece un insieme di stili differenti per
nulla equilibrati tra loro, dove echi petrarcheschi e tassiani si
vanno a sovrapporre a richiami foscoliani e stilnovistici. Dunque
il passaggio dallo stile neoclassico a quello romantico si r ivelò,
per Berchet, più complicato del previsto.
Le stesse difficoltà si riproposero anche con Il castello di
Monforte. Qui il protagonista, un giovane spagnolo in
pellegrinaggio verso la Terrasanta, riceve ospitalità per qualche
55 Giovanni Berchet, Sulla 'Storia della poesia e dell’eloquenza' del Bouterweck, in «Conciliatore», citazione tratta da G. Berchet, Opere. Scritti critici e letterari, vol. II, a c. di E. Bellorini cit., p. 96. 56 Si veda G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 403. 57 Ivi, p. 417.
32
giorno presso il castello di Monforte, in Piemonte, riprendendo
poi il proprio cammino verso Gerusalemme. Una volta visitati i
luoghi santi, il giovane sente nostalgia del castello e delle
amicizie strette in occasione del suo soggiorno, e decide quindi
di tornarvi, ma al suo arrivo non trova che rovine, testimonianza
di una guerra che ha distrutto ogni cosa. Rispetto al Cavaliere
bruno, questa poesia dà l’occasione a Berchet di realizzare
un’intensa e romantica rappresentazione della solitudine e della
malinconia del protagonista. Ma anche questo testo non dovette
raggiungere il livello desiderato dal poeta, e infatti resterà
incompleto dopo 332 versi.
Le cause dell’interruzione di queste due opere si possono
forse comprendere meglio dall’analisi delle scelte successive del
poeta. Tra il 1819 e il 1820 , infatti, Berchet scelse di tornare a
una poesia a tema contemporaneo con I Profughi di Parga58.
Impressionato, come tutta l’opinione pubblica di allora, da un
fatto di cronaca molto grave (la cessione della piccola città di
Parga all’Impero ottomano da parte dell’Inghilterra), Berchet
compose un’opera che per la prima volta andava a soddisfare la
sua nuova poetica. Il merito della riuscita di questo lavoro sta
probabilmente nella scelta del soggetto contemporaneo, e non
più storico come per i tentativi precedenti. L’argomento storico,
infatti, almeno nella forma che vi aveva dato il poeta con Il
cavaliere bruno e Il castello di Monforte , sembrava non riuscire a
conciliarsi con la necessità di una poesia nuova e interprete dei
58 Giovanni Berchet, I profughi di Parga, Firmin Didot, Parigi, 1823.
33
propri tempi. La decisione di ricorrere alla cronaca aiuta invece
Berchet a questo scopo. È evidente infatti il valore civile e la
polemica di natura politica insita nei Profughi di Parga , tanto
che lo stesso Manzoni parlando di un’eventuale pubblicazione
ammette che sarebbe stata piuttosto pericolosa in Italia:
«Berchet a achevé son poème lyrique sur Parga. Je doute que
nous puissions le voir imprimé, parce que les règlemens de la
censure s’opposent à la pubblication de tout ce qui pourrait
déplaire à un gouvernement de ceux qu’on nomme amis, et il
n’est pas sûr que l’impression en pays étranger soit sans
inconvéniens pour l’auteur. Si ce poème doit rester enseveli,
c’est bien dommage»59.
Dal punto di vista formale Berchet cerca di colmare in questa
romanza la distanza tra poesia e pubblico, ricorrendo a uno stile
e a un linguaggio che rompe con la tradizione e si fa più
'popolare'. Il risultato è certamente più riuscito rispetto ai
tentativi precedenti anche se in verità l’opera, pur avendo parti
di grande valore, non riesce sempre a raggiungere un livello
davvero significativo. Ad ogni modo tra la stesura e la
pubblicazione dell’opera trascorse diverso tempo durante il
quale il poeta aveva intrapreso la strada dell’esilio.
Negli anni ’20, infatti, pur lavorando come traduttore presso
il governo austriaco, Berchet era entrato a far parte dei
carbonari federati, dove del resto figuravano già molti amici del
59 Lettera a Claude Fauriel, datata Milano, 29 gennaio 1821. Citazione tratta da Alessandro Manzoni, Carteggio, a c. di Giovanni Sforza e Giuseppe Gallavresi, Hoepli, Milano, 1912, p. 512.
34
«Conciliatore», ed aveva parte attiva nei progetti di
insurrezione.
Circa il suo diretto coinvolgimento nelle questioni politiche si
sa che Berchet la sera del 20 marzo 1821 si trovava al Teatro alla
Scala per sollecitare Carlo Castiglia a recuperare fondi per il
partito liberale milanese. In un’altra occasione aveva, invece,
ricevuto mille lire in consegna dal conte Arrivabene per i cavalli
dell’ufficialità sarda.
Con il precipitare degli eventi però, il 13 dicembre 1821,
anche Berchet fu costretto a fuggire da Milano. Cusani60 racconta
che quello stesso giorno il poeta si trovava a casa della figlia del
consigliere Marliani, una delle donne più vicine ai federati,
proprio nel momento in cui la stessa venne avvertita da un
ufficiale di polizia che Confalonieri stava per essere arrestato.
Senza perder tempo Berchet tornò a casa, salutò il padre e
intraprese la fuga. L’amico Descamps, un commerciante francese
residente a Milano, si offrì di condurlo a Como e di lì in Svizzera.
Nel frattempo la sorella si era premurata di nascondere le carte
del fratello e quindi la polizia, giunta poco dopo nella dimora,
non trovò nulla. Le carte vennero poi bruciate dai parenti, anche
per timore che altri potessero venirne danneggiati. In questo
modo però andarono perduti non solo documenti dal contenuto
politico, ma anche letterario. Pare si perse, ad esempio, la
tragedia Rosmunda.
60 Si veda G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. XIII.
35
Bellorini61 dà una ricostruzione in parte diversa della
perquisizione fatta nella casa di Berchet. Ad ogni modo entro
poco tempo il poeta aveva già lasciato anche la Svizzera e si era
stabilito a Parigi.
È proprio nella capitale francese che Berchet conobbe
Giuseppe Arconati, del quale divenne ottimo amico. E qui,
naturalmente, avvenne anche l’incontro con sua moglie,
Costanza Trotti Bentivoglio Arconati. La sua permanenza in
Francia fu però veramente breve. Saputo della richiesta di
estradizione avanzata al governo francese, Berchet lasciò, dopo
appena qualche mese, Parigi e si trasferì a Londra, dove conobbe
l’amico Giovita Scalvini.
L’esilio londinese durò fino al 1829 e fu per Berchet
un’esperienza terribile, sulla quale è importante soffermarsi
perché è in questo contesto che maturerà l’idea delle Fantasie.
La permanenza di Berchet in Inghilterra fu tutt’altro che
facile. A rendere questa esperienza tale contribuirono molteplici
fattori, tra cui naturalmente le precarie condizioni economiche.
Berchet non disponeva di molto, ed era spesso costretto ad
accettare la benevolenza degli amici. Costanza Arconati non
mancò mai di assicurarsi che il marito concedesse generose
somme al poeta nelle circostanze più difficili, ma Berchet
soffriva nel dipendere dagli altri e desiderava provvedere da
solo al proprio sostentamento. Provò quindi a inserirsi
61 Egidio Bellorini, La fuga da Milano e l’esilio di Giovanni Berchet, in «Archivio Storico Lombardo. Giornale della Società Storica Lombarda», 1910, p. 426.
36
nell’ambiente giornalistico londinese prendendo contatti con
diverse testate. Tuttavia, a frenarlo dall’intraprendere
seriamente questa strada, vi era la necessità di rimanere fedele
ai propri principi. Lavorare per giornali di pessima fama, che
pure lo avrebbero pagato considerevolmente, gli era del tutto
impossibile, come spiega più volte nelle lettere all’amica
Costanza62:
«Per iscrivere in giornali pagati dal ministero ho già qualche
lusinghiera offerta. Ma morrò di fame, prima di far cosa che ripugni alla
mia coscienza».
«Mi si vorrebbe far scrivere nel Quarterly Review, giornale che paga
moltissimo gli scrittori perché pagato esso dal ministero; ma io non
voglio smentire il mio carattere a rischio di far piuttosto il
pescivendolo».
«Si figuri che anch’egli [Foscolo] mi vuol persuadere a scrivere nel
Quartely, giornale, com’ella sa, screditatissimo. Mi duole davvero, il non
poter trovare ancora da occuparmi e guadagnare qualch e cosa; ma santo
Dio! Cose contro la coscienza non le posso, non le so fare».
«Ella vede che ho volontà d’occuparmi; mi manca solo di trovare la
via di far fruttare le occupazioni mie in questo paese discretamente
egoista; ma spero di riuscirvi senza far torto alla coscienza mia, il che
più di tutto mi preme, quantunque Foscolo mi derida per ciò».
62 Lettere datate 1822 ad eccezione dell’ultima che non riporta l’anno. Citazioni tratte da Giovanni Berchet, Lettere alla marchesa Costanza Arconati (agosto 1833-maggio 1851), vol. II, a c. di Robert Van Nuffel, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma, 1962, pp. 254-55.
37
Fallì quindi l’inserimento nella società intellettuale inglese. Si
conoscono, in verità, un paio di articoli riconducibili a Berchet 63,
ma il sogno di poter vivere di una professione letteraria svanì
definitivamente e il poeta non poté far altro che accettare il
lavoro da impiegato offertogli da Ambrogio Obicini, un
commerciante milanese residente a Londra. L’Obicini non aveva
mai esitato ad aiutare i suoi compatrioti in Inghilterra, come
ricorda anche il conte Arrivabene nelle sue Memorie: «Valido
appoggio fu pure per me e per tutti gli emigrati una persona fino
allora a me ignota: il banchiere milanese signor Obicini» 64.
Tuttavia il conte ricordava male la professione del suo
benefattore che non era, appunto, banchiere, ma commerciante
con sede a Coleman Street.
Naturalmente il lavoro da impiegato non poteva rendere
felice Berchet che soffriva inoltre di una salute precaria, messa
costantemente a rischio dal clima rigido. In queste circostanze il
poeta cominciò sempre più ad isolarsi dal mondo, prendendo le
distanze anche dai tanti esuli di passaggio a Londra. Diceva a tal
proposito: «Non pratico con chi non istimo; e non m’importa
ch’uno sia nato in Italia, se non è meritevole ch’io lo consideri
per compatriota»65. Berchet, insomma, non riuscì mai a
ricostruire in Inghilterra quel sereno cenacolo di frequentazioni
63 Si veda a tal proposito Ugo Foscolo, Edizione nazionale delle opere. Saggi e discorsi critici, vol. X, a c. di Cesare Foligno, Le Monnier, Firenze, 1953, p. XV e Ugo Foscolo, Edizione nazionale delle opere. Scritti vari di critica storica e letteraria, vol. XII, a c. di Uberto Limentani, Le Monnier, Firenze, 1978, p. CLI. 64 G. Arrivabene, Memorie della mia vita cit., p. 126. 65 Londra, 9 febbraio 1827. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 149.
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che gli era stato tanto caro in patria. Vedeva con regolarità
Arrivabene, Scalvini e pochi altri. Ma badava bene di tenersi
lontano da chi non riteneva degno della sua amicizia, primo fra
tutti Foscolo66:
«Ieri ho pranzato da Foscolo, il quale m’accolse molto cordialmente
(in apparenza) e con tante offerte di giovarmi; sicchè io mi trovo
imbrogliato davvero, perch’Ella sa i miei principii, e com’essi non mi
permettono di far gran lega con lui. Tuttavolta, mi bisogna usar molta
prudenza per non inimicarmelo; farò come gli antichi che sacrificavano
anche agli Dei infernali, affinchè non nuocessero».
«Io non posso che lodarmi delle esibizioni cortesi che Foscolo mi fa;
ma il carattere suo e la nomina che s’è fatta a Londra m’obbliga a non
fare con lui gran comunella. Ci vuol prudenza molta in questo paese, ove
la riputazione d’uomo onesto e di carattere va innanzi a quello d’uomo
d’ingegno. Io non voglio inimicizie con Foscolo ma né troppa amicizia
posso fare con lui».
In generale l’esperienza londinese di Berchet finì per ridursi
alla solitudine della propria casa, e al rapporto epistolare con
Costanza Arconati, unico supporto nei momenti di difficoltà.
Persino l’amicizia con Manzoni risentì di questa delicata fase
della vita del poeta. Di tutta la parentesi londinese non si
conosce che una sola lettera indirizzata all’amico (ma rivolta in
verità anche a Grossi67). Con l’Arconati il poeta lamenta una
sorta di abbandono di Manzoni nei suoi confronti, specie in
66 La prima lettera è priva di data, la seconda è datata 17 agosto 1822. Citazioni tratte da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. II, cit., p. 255. 67 Si veda Egidio Bellorini, L’amicizia di Giovanni Berchet per Alessandro Manzoni, in «Giornale storico della letteratura italiana», 1912.
39
occasione della pubblicazione dei Promessi Sposi: «Non l’ho con
lei», scrive all’amica, «l’ho col Manzoni, per non avermi mandato
il romanzo, dopo tante promesse»68. Del resto l’allontanamento
tra i due si era fatto via via non solo fisico ma anche ideologico.
Pur apprezzando I Promessi Sposi , Berchet vedeva in questa
letteratura una rinuncia alla lotta risorgimentale che invece, dal
suo punto di vista, era necessaria e inevitabile: «Le prime cento
pagine del III volume degli Sposi mi hanno seccato un poco; il
resto mi è piaciuto assai. […] Il rimprovero che forse io farei a
Manzoni sarebbe tutt’altro che letterario. Considerato come
letteratura, il suo romanzo è, torno a dirlo, una gran bella
cosa»69. Nonostante questo, comunque, non cessò mai la grande
stima che Berchet aveva per Manzoni. A lui farà riferimento
anche nella lettera Agli amici in Italia in apertura delle Fantasie.
Ma sarà solo al rientro dall’esilio che i rapporti tra i due
riusciranno a tornare quelli di un tempo.
Non fu, comunque, soltanto la difficile condizione personale a
impensierire il poeta negli anni di Londra. Come la maggior
parte degli esuli anche Berchet sentiva su di sé tutta la
delusione e il disappunto per il fallimento dei tentativi
insurrezionali per i quali si era impegnato in prima persona.
Ecco quindi che la sua poesia si era caricata di quei toni di
rabbia e rancore che lo avrebbero reso «il poeta dell’odio allo
68 Lettera datata Londra, 3 agosto 1827. Berchet fa qui riferimento alla 'ventisettana'. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 167. 69 Ivi, p. 170. Lettera datata Londra, 11 settembre 1827.
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straniero»70. In questo modo avevano preso forma le romanze
Clarina, Il romito del Cenisio , Rimorso, Matilde, Il trovatore e
Giulia, delle quali il grande merito fu soprattutto l’aver saputo
interpretare i sentimenti dell’epoca. Lo stile ancora una volta
cerca di allontanarsi dai canoni della tradizione, e nel tentativo
di farsi più popolare (obiettivo raggiunto sempre con molte
difficoltà e contraddizioni) si avvicina alle forme del
melodramma. Ed è anche per questo motivo che queste romanze
ebbero al tempo così larga circolazione. De Sanctis, delle poesie
di Berchet, ricordava che «di nascosto correvano manoscritte e
se le strappavano di mano l’un l’altro»71. Mazzoni72 cita a tal
proposito l’almanacco Alle donne italiane che portava i
personaggi di Berchet come reali modelli di comportamento ai
propri lettori, e suggeriva alle patriote di seguire l’esempio di
Clarina rammentando le parole che lei aveva rivolto al suo
amante.
Ma la poesia di Berchet in questa fase non è solo poesia
d’odio, è anche, evidentemente, poesia di dolore. Alle aspre
invettive (si legge in Clarina contro Carlo Alberto: «Non v’ha
clima sì lontano, / Ove il tedio, lo squallor, / La bestemmia d’un
fuggente / Non t’annunzi traditor»73) si mescolarono via via e in
modo sempre più frequente versi di desolazione e malinconia.
Berchet si faceva più attento alla sofferenza, come emerge anche
70 Si veda Giovanni Berchet, Liriche, a c. di Attilio Momigliano, Vallecchi, Firenze, 1926, p. 97. 71 Francesco De Sanctis, Mazzini e la scuola democratica, Einaudi, Torino, 1951, p. 103. 72 Si veda Guido Mazzoni, Storia letteraria d’Italia. L’Ottocento, Vallardi, Milano, 1960, p. 582. 73 Giovanni Berchet, Clarina, citazione tratta da G. Berchet, Opere edite ed inedite, a c. di F. Cusani cit., p. 100.
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dalle lettere: «Quando l’uomo è infelice, non mi balzano agli
occhi che le di lui virtù»74. E sarà proprio questa capacità di
rappresentare la sofferenza a rendere grande il poeta ben oltre
la parentesi del risorgimento.
Le Fantasie , invece, si collocano sul finire dell’esilio
londinese. Il poeta a partire dal ’27 appare sempre più provato,
come mostrano numerose lettere. Alle difficoltà economiche si
erano aggiunti, infatti, altri dispiaceri: la malattia del padre e
l’esclusione dal club frequentato da tempo. E Berchet non fa
mistero con la marchesa Costanza di sentirsi fragile e in
difficoltà:
«L’età del povero mio padre, e la sua salute guasta da una malattia
l’anno scorso, mi facevano aspettare quando che sia questo colpo;
nondimeno le confesso che mi è sensibile oltre misura. […] Tutto il
dolore dell’esilio lo sento ora; almeno avessi potuto vederlo, povero
vecchio! Mi scusi non so continuare»75.
«Ella mi domanda minuto conto della mia vita; che posso io mai
dirle? Se non le spiace, le racconterò anche un’inezia per se stessa, ma
che nella situazione mia accresce ancor più la mala vita ch’io vivo qui in
Londra. Di tutte le abitudini mie, la meno disagradevole, se non
divertente, quella almeno che mi confortava un tantino l’animo, era
l’andare talvolta la sera al Club. Sono quattro anni ch’io vi era ammesso,
e tra la libreria, i giornali, il fuoco, e la separazione d’ogni sorta di
volgarità, mi vi trovava tranquillamente bene, quantunque Peppino
sappia che non vi fossero allegrie. Anche questo poco conforto mi è ora
tolto. Le lettere d’invito sono per tre mesi, e si rinnovano; a quest’ora
74 Londra, 20 gennaio 1824. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 60. 75 Ivi, p. 147. Lettera datata Londra, 16 gennaio 1827.
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ne avevo già avuto un sedici; scaduto il mio termine cerco altr o invito
secondo il solito e me lo si rifiuta. Da prima credei che senza accorgermi
avessi commesso qualche fallo, e credei dover mio far domandare se ciò
era. No; sono rifiutato, perché occupato, impiegato in Casa di
Commercio. Eppure io non aveva fatto mistero di questo con chi mi
propose da principio. Dopo quattro anni, lo confesso, che ciò mi rende
come perduto. Non è tanto per la mortificazione del perché, dacchè il
povero vi si debbe pur sottoporre; e mi basta esser convinto io che la
povertà non è delitto. Ma è perchè proprio non so che mi sostituire a
quella abitudine. Chiunque mi dirà che posso andarmene a casa, a
leggere a canto al mio fuoco. Ma dopo di aver passato 10 o 12 ore nelle
catacombe di Coleman Street, se di là mi porto a casa direttament e la
mia malinconia, davvero ho paura del mio temperamento talvolta
cadente ad una certa prostrazione d’animo, di cui fo ogni sforzo per non
dar segni ad anima vivente. Eppure che ho a fare? Non mi resta altro
partito che ritirarmi a casa o passeggiare su e giù per le strade, dacchè
qui non vi sono nè Gabinetti di Lettura, nè le cento risorse di Parigi. […]
Le prometto, cara Amica, che non passerò mai dinnanzi la bottega di un
cordaio. […] Sono così solo; e talvolta mi piglia un tale scadimento
d’animo che aborro fino i libri. Già vedo che oramai diventerò di peso
agli altri ed a me stesso»76.
Il cambiamento troppo brusco dai salotti milanesi e francesi
alla società londinese aveva condotto il poeta a una forte
depressione con disturbi psicologici e fisici che ancora una volta
Costanza ascolta con pazienza:
«Sono molti giorni che davvero non ho buona salute, senza pur poter
dire d’essere malato. Soffro come una specie di convulsioni nervose che
m’irritano assai»77.
76 Londra, 2 marzo 1827. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 151. 77 Ivi, p. 133. Lettera datata Londra, 21 luglio 1826.
43
«Oggi sto bene; ma questi dieci giorni addietro avrei venduta la mia
salute, come Esaù la primogenitura, per una scodella di lenti. E’ curioso
questo esser tanto travagliato dalla bile; fisicamente intendo, perchè
moralmente è più noja che bile»78.
«Ho bisogno ch’Ella mi scriva qualche lettera allegra. […] Non so se
sia effetto della primavera, o minaccia d’un qualche malore; ma sono
talvolta si malinconico che l’aprire una lettera a me diretta mi angustia
per tema di trovarci una disgrazia»79.
«Anche questo ritorno dell’inverno dopo alcuni dì sereni e caldi, mi
fa male. Ma è destino che gli uomini dieno sempre la colpa de’ loro mali
a cagioni che ne sono innocenti. Tutto il male mio deriva da me. Ne’
panni miei centomila individui sarebbero felici; ed io nol sono. E
perchè? Perchè di tutte le persone rifugiate il più goffo sono io. Mi lagno
della solitudine, e sono d’una difficoltà schizzinosa nel mischiarmi ad
altri, quasi che fossero ancora i tempi in cui l’imbarazzo non fosse che
della scelta. Anzi ogni dì più sento ripugnanza a dipartirmi dalla
solitudine, che ogni dì più mi pesa. Forse n’è colpa anche l’esser troppo
diversi gli amici perduti dagli amici che potrei farmi, e fors’anche una
cresciuta fierezza di carattere dalla quale mi dovrebbe pure scadere. E
forse, e più che forse, ch’io sono irragionevole talvolta. E lo sono ora di
certo, annojandola con queste digressioni, quando la brevità della di Lei
lettera dovrebbe intimare anche a me d’esser breve. Mi scusi se mi
lascio andare. […] Mi considero come della famiglia davvero, e questa è
illusione unica che mi rimane, e mi conforta, sotto mille forme, mille
volte il dì. Vi sto attaccato, come il naufrago alla tavola di salvazione» 80.
78 Londra, 12 gennaio 1827. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 146. 79 Ivi, p. 156. Lettera datata Londra, 27 marzo 1827. 80 Ivi, p. 157. Lettera datata Londra, 17 aprile 1827.
44
«Farò di tutto perché l’avvilimento d’animo non pigli più piede in
me»81.
«Ho determinato assolutamente di venire a vederli, perché ho
proprio bisogno di rimettermi all’abbattimento in cui da un pezzo sento
prostrato il mio cuore. Ma temo non possa essere così presto; […]
Intanto sia Ella tranquilla, la scongiuro, sul conto mio. […] Farò di tutto
per vincere questi primi giorni della malinconia; lo deggio a chi mi vuol
tanto bene»82.
Berchet è dunque solo, lontano dagli affetti e dalle
consuetudini di casa e assolutamente incapace di inserirsi nella
società londinese. È in queste condizioni che maturerà una
romanza nuova, molto lontana dalle precedenti e in qualche
modo isolata nella produzione del poeta. Le Fantasie è l’opera
dell’esilio che più risente della nostalgia del passato tanto da
ruotare interamente attorno al tema della perdita. Perdita degli
amici, a cui appunto è dedicata la lettera introduttiva, e perdita
della virtù da parte del popolo italiano, sopito in un remissivo
torpore da cui va risvegliato con gli esempi gloriosi della storia.
La romanza si compone di cinque sezioni, corrispondenti alle
cinque visioni (fantasie appunto) di un esule italiano a cui
appaiono a turno le immagini della lotta dei Lombardi contro
Federico Barbarossa, e le immagini di viltà e disonore dell’Italia
contemporanea. Alla prima fantasia corrisponde il noto
giuramento dei Lombardi a combattere uniti l’imperatore; alla
seconda la rinuncia alla lotta da parte dei contemporanei; alla
terza la sconfitta di Federico a Legnano; alla quarta la pace di
81 Londra, 1° maggio 1827. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 158. 82 Ivi, p. 162. Lettera datata Londra, 19 giugno 1827.
45
Costanza e alla quinta nuovamente l’ immagine della viltà
dell’Italia ottocentesca.
Le Fantasie rappresentano certamente lo sforzo maggiore di
raggiungere quella forma poetica che Berchet ricercava già dai
primi anni ‘20 . Nelle Fantasie l’impegno etico-civile, e ancor più
quello dichiaratamente politico, si legano a una poesia
effettivamente nuova. Pur con diverse incertezze delle quali,
come si vedrà, lo stesso poeta era perfettamente consapevole, Le
Fantasie si discostano dal patetismo delle romanze precedenti,
senza però allontanare il pubb lico 'popolare' voluto dall’autore,
toccando talvolta livelli significativi di intensità lirica.
Ma Le Fantasie , al di là del loro valore letterario, sono da
guardare soprattutto come un deciso, e forse disperato, gesto
patriottico. Un richiamo a chi come il poeta aveva creduto e
lavorato all’indipendenza della patria, un invito a non lasciarsi
andare allo sconforto e alla resa. A questo obbiettivo Berchet
non ha difficoltà a sacrificare l’intento estetico dell’opera che va
quindi giudicata, come indicato da lui stesso nelle parole
introduttive, principalmente come «una buona azione» (F₁, p.
37).
46
II
La prima edizione delle Fantasie
LA STESURA DELLE FANTASIE
La stesura delle Fantasie inizia tra la primavera e l’estate del
1827. Il primo accenno alla romanza si trova, infatti, in una
lettera del 17 luglio dello stesso anno, nella quale il poeta
confessa all’amica Costanza Arconati di essere intento
all’elaborazione di un nuovo testo poetico che gli porta via più
tempo del previsto:
«Una mia romanza che manderei volentieri laggiù non è finita; e mi
viene più lunga ch’io non vorrei, per cui non so quando sarà terminata.
Se sapessero quanto qui mi costi il far versi, i miei amici me ne
distorrebbero con comandamento»83.
Si allude certamente alle Fantasie dal momento che la
precedente romanza, Giulia, circolava già nel settembre 182684.
La stesura delle Fantasie risale dunque ai mesi precedenti il
luglio 1827. E a quanto dichiarato dal poeta nella lettera
all’amica, a caratterizzare questa fase creativa c’è soprattutto
una sorta di difficoltà che il poeta avverte nello scrivere, un vero
e proprio disagio che lo turba significativamente. Nella lettera
del 17 luglio Berchet non entra nello specifico delle sue
preoccupazioni, ma le cause di questa insofferenza emergeranno
anche in altre occasioni. In primo luogo, a rallentare la stesura
83 Londra, 17 luglio 1827. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 164. 84 Ivi, p. 137. «Gli manderò subito che lo saprò fisso in qualche luogo l’ultima Romanza sulla Coscrizione», si legge in una lettera datata Londra, 1° settembre 1826.
47
dell’opera ci sono certamente le concrete circostanze in cui si
trova a scrivere il poeta. Berchet non è un intellettuale a tempo
pieno, non ha risorse economiche che gli permettono di
dedicarsi interamente alla scrittura e, come si è visto, non è in
grado di vivere della sua arte. L’intera giornata è dedicata al
lavoro presso Obicini e «dopo di aver passato 10 o 12 ore nelle
catacombe di Coleman Street»85 il tempo per un serio lavoro
letterario risulta inevitabilmente insufficiente. L’impegno
richiesto dall’attività di impiegato porta quindi Berchet a
dubitare di aver ancora capacità all’altezza della sua fama:
«Una volta io credeva di poter procacciarmi la vita col mettere a
contributo quel poco ingegno che ho. Anche questa credenza non l’ho
più. Ogni volta ch’io mi metto per fare qualche cosa, è lo stesso come
ordinare al capo che dolga, allo stomaco che si rivolti. Ch’io non fossi
atto a nulla più altro, che a scriver lettere da Obicini? Ho anche questa
paura. Se la cosa è tale, varrà meglio non mutare il presente, e lasciar
che duri fin che può»86.
Ma la riflessione circa la fase di stesura assume
un’importanza maggiore alla luce di ciò che si legge nella lettera
introduttiva alle Fantasie. In questa occasione il poeta si lascia
andare ad alcune considerazioni che, se da una parte sono
riconducibili ad una semplice modestia, caratteristica
abbastanza tipica di Berchet, dall’altra rivelano il vero motivo
delle difficoltà riscontrate. Argomentando a proposito della
possibilità di aggiungere note storiche ai versi, infatti, il poeta
85 Si veda nota n. 76. 86 Londra, 3 agosto 1828. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 188.
48
introduce il complicato discorso riguardante la
rappresentazione del vero in poesia. Nel confronto tra sé e
Manzoni (definito «un certo tale tra voi», «maliardo
benedettissimo»), Berchet individua due elementi indispensabili
alla riuscita di un’impresa simile: l’«abbondanza di tempo» e, in
particolar modo, l’«ingegno». Non è dunque immediata una
scrittura che punta all’intreccio della materia storica con la
finzione letteraria, è principalmente una questione di abilità:
«D’altronde, per avere coraggio di metter fuori de’ discorsi storici in
occasione di pochi versi, è mestieri far que’ discorsi come li sa fare un
certo tale tra voi, entrando in materia ricco di letture, d’idee, di acume
critico, di veduta ampia, e di nuove e franche considerazioni; per modo
da non sapersi se doverlo più ammirare per la tanta bellezza delle sue
poesie, o per la tanta sagacità delle sue note. [...] Ma per riuscire al
quale e al quanto a cui riesce quel certo tale, maliardo benedettissimo,
sono, almen che sia, requisiti indispensabili, abbondanza di tempo e
trascendenza d’ingegno: due cose queste delle quali io patisco un
pochetto, e più che un pochetto, di penuria. Non dirò delle due quale più
manchi» (F₁, p. 11).
È nella scelta della materia, dunque, che va individuato il
motivo di una così complicata elaborazione. Ma la scelta del vero
storico in questa romanza era stata, in qualche modo, una scelta
obbligata. Come si è visto Le Fantasie nascono in un contesto
diverso da quello delle prime romanze dell’esilio. Gli eventi del
’21 sono ormai molto lontani e nuovi concreti progetti di rivalsa
da parte dell’Italia non ve ne sono. Berchet guarda a una patria
silenziosa e spenta, non è più tempo di versi di invettiva e
49
dolore disperato, occorre una poesia che sia in grado di
risvegliare dal torpore attraverso gli esempi del passato. Questa
scelta necessita però di una complicata riflessione stilistica che
rischia di non trovare un punto di arrivo. Come spiega il poeta:
«Il tipo del bello l’ho in capo talvolta; ma quando si tratta
d’imitarlo coi fatti, dalle dalle, non mi riesce. Insomma non ho
saputo far meglio» (F₁, p.38).
Dunque, partendo dall’ammissione della proprie difficoltà di
scrittura, Berchet trasforma la lettera introduttiva alle Fantasie
in un’ampia riflessione teorica su un tema che da molti anni era
al centro dei dibattiti intellettuali dell’epoca, il rapporto
storia/invenzione. L’intera romanza, a detta del poeta, si fonda
sull’«incastro» in un «tutto d’invenzione» di quei «minuti
particolari» riferiti alla storia medievale della nostra penisola
(F₁, p. 14). Ma per Berchet il rapporto tra le due componenti, il
vero e l’invenzione, deve sempre pendere a favore
dell’immaginazione. La funzione della poesia non è, e non deve
mai essere, informativa:
«Gli accidenti ch’io narro tocca al lettore di pigliarseli o come
veramente somministrati dalla storia, o come consentanei ad essa, e
bene o male inventati. A me nella qualità di poeta, supponendo per
ipotesi ch’io il fossi, a me non importa, e non deve tampoco importare,
che ad un modo piuttosto che all’altro il lettore si attenga.
L’incumbenza mia, secondo l’obbligo che me ne impone l’arte, non è di
rappresentargli un fatto storico, quale precisamente fu; ma è solo di
suscitare in lui qualche cosa di simile all’impressione, al sentimento,
50
all’affetto che susciterebbe in lui la presenza reale di quel fatto» (F₁, p.
18).
Scopo dunque delle Fantasie non è informare circa la storia
dei comuni medievali. Quello resta il compito della storiografia,
che del resto vive nell’’800 una fase di crescente successo presso
il largo pubblico, grazie al fiorire di numerose opere di
divulgazione destinate a un’ampia cerchia di lettori. Una novità
che incontra tutto il favore di Berchet, come confessa
nell’introduzione alle Fantasie: «questa moda mi va a genio
molto» (F₁, p. 13). Tuttavia è sua opinione che ci sia una
nettissima differenza di intenti a separare la figura del poeta da
quella dello storico. Al poeta è richiesto qualcosa di più della
trasmissione del sapere, al poeta è richiesto di raggiungere gli
animi, di suscitare sentimenti. E proprio allo scopo di smuovere
le coscienze che Berchet ha deciso di intraprendere la scrittura
della sua opera. Ma attribuire al poeta il compito di smuovere le
coscienze, e legare questo compito alla lotta risorgimentale
significa ammettere l’intento di militanza letteraria insito nella
stesura delle Fantasie. Ecco quindi che la difficoltà riscontrata
dal poeta nel dare forma alla propria creazione non sta solo
nella necessità di intrecciare storia e invenzione, ma nel trovare
la soluzione migliore per un intento politico e civile. È in questo
senso che si devono leggere Le Fantasie:
«Voi vi sarete accorti ch’io mi sono messo sur una strada la quale
non è giusto giusto quella indicata dall’estetica come conducente diritto
allo scopo ultimo che l’arte poetica si prefigge per unico, sur una strada
51
dove spesso fo sagrificio della pura intenzione estetica ad un’altra
intenzione, dei doveri di poeta ai doveri di cittadino. Nel conflitto di
queste due sorta di doveri, è da ravvisarsi un’angustia per l’uomo che
ne sente l’importanza di entrambe; e nella prevalenza in lui della
devozione civile sulla devozione estetica, è da riconoscersi, se non
m’inganno, qualche cosa d’onesto, la sottomessione dell’amor proprio
all’amore della patria. […] Forse anche voi dovreste, nel giudicare i miei
versi, procedere con qualche riferimento a quelle considera zioni. Per
male allora che andasse la causa mia dinanzi a voi, questo almeno
sareste tratti a dover dire: ha fatto un cattivo poema, ma una buona
azione» (F₁, pp. 36-37).
Ed è proprio privilegiando l’intento militante a quello
strettamente estetico che Berchet si concede tutte quelle
imprecisioni, debolezze e mancanze che riassume in
un’approfondita autocritica all’interno della lettera introduttiva:
«V’è nondimeno in questi cinque sogni qualche cosa di troppo
misurato, di troppo ragionevole. […] Dunque poca verisimiglianza ne’
cinque sogni. In essi anche una certa mancanza, diciamo così,
d’intonazione poetica, […] un non so che inesprimibile di grave che non
sa trascinarti fuori della realtà della vita più che tanto, un ideale che è
bensì poetico, ma lo si sente cercato con intendimento prosaico. La
forma poi di questo componimento, visione o sogno, fantasie che lo si
chiami, è una forma di poema che ha tanto di barba, una forma usata e
riusata fino alla nausea» (F₁, p. 39).
Ad ogni modo, nonostante le tante difficoltà riscontrate in
fase di scrittura, alla data del 3 ottobre 1828 Le Fantasie sono
52
concluse. L’opera è terminata e Berchet comincia quindi a
pensare alla pubblicazione.
DISAVVENTURE EDITORIALI
I rapporti di Berchet con gli stampatori non erano mai stati
troppo felici. Negli anni, infatti, il poeta si era dovuto districare
da tutta una serie di spiacevoli inconvenienti editoriali che
puntualmente si verificavano al momento della pubblicazione
delle sue opere87. Alla lunga il poeta stesso finì per ridere della
sua costante sfortuna, scrivendo in una lettera all’amica
Costanza: «Davvero, sono come Arlecchino colle sue trentatre
disgrazie!»88. Ma molte di queste seccature non erano, in verità,
che inconvenienti piuttosto comuni in un contesto editoriale
ancora di antico regime. Abbastanza inevitabile per gli scrittori
dell’’800 era, ad esempio , incorrere in edizioni contraffatte,
rimaneggiate e pubblicate senza il consenso dell’autore.
Comunissime erano anche le edizioni pubblicate con falsa
indicazione dell’anno o del luogo di stampa89 per le motivazioni
più disparate, dalla necessità di aggirare la censura alla
semplice pirateria. A tal proposito Li Gotti osserva che già la
scelta di mantenere l’anonimato per le sue prime traduzioni gli
87 A tal proposito si veda anche Ettore Li Gotti, Le disavventure editoriali d’un poeta, in «Giornale storico della letteratura italiana», 1933. 88 Londra, 5 luglio 1822. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. II, cit., p. 255. 89 Si veda anche Marino Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa. Falsi, inventati o supposti, Sansoni Antiquariato, Firenze, 1951.
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causò qualche danno. Secondo Alberto Spaini90, infatti, l’editore
Silvestri, approfittando di ciò, nel 1830 diede alle stampe una
pessima traduzione del Wilhelm Meister di Goethe (peraltro, con
il titolo errato di Alfredo) attribuendola al poeta e riportando
quindi il suo nome sul frontespizio.
Come si è detto, incorrere nella pirateria era problema assai
comune al tempo, tuttavia Berchet ebbe molto da fare anche nel
gestire i ritardi di pubblicazioni commissionate, invece, ad amici
fidati. A tal proposito particolarmente complesso fu il percorso
che portò alla stampa dei Profughi di Parga91. Scritti prima
dell’esilio, tra il 1819 e il 1820, i versi non vennero pubblicati
subito al termine della stesura, probabilmente per difficoltà
legate alla censura, come si evince da una lettera di Manzoni92.
Giunto, però, a Parigi nel ’21, il poeta decise di rivolgersi
all’amico Claude Fauriel per la pubblicazione. Sui proventi di
questa stampa Berchet contava molto, necessitando di risorse
con le quali abbandonare in fretta la Francia e stabilirsi nella più
sicura Londra. Per questo aveva urgenza che la commissione
affidata all’amico venisse portata a termine il prima possibile, e
di questo si lamentava appunto nelle lettere con l’Arconati:
«Io non ho ancora stabilito nulla riguardo al partire o al restare.
Certo che in Inghilterra credo che potrei provvedere meglio a’ disegni
miei, dacchè qui non vedo costrutto in nulla, e i dì passano senza
concretare alcunchè. Ma mi spaventa l’avventurarmi senza un appoggio
90 Circa questa vicenda si veda Alberto Spaini, Goethe e Berchet, in «La Voce», n. 5, 1913, p. 1004 e Lavinia Mazzucchetti, Goethe e Berchet, in «La Voce», n. 13, 1913, p. 1046. 91 Si veda nota n. 58. 92 Si veda nota n. 59.
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preventivo in un paese ove tutto è carissimo. D’altronde se prima non
sono stampati gl’infami, sciaguratissimi, odiosissimi miei versi, di qui
non posso partire. E chi sà quando lo saranno! Maledetta flemma di F…
Pur sono in ballo, e mi bisogna ballare» 93.
Contrariamente ai desideri del poeta, invece, la stampa della
romanza prese sempre più tempo, e a Berchet non restava che
lamentarsene impotente: «Fauriel mi scrive che sta per
istampare i miei infamissimi, sciaguratissimi versi; ma e chi sa
quando? e chi sa quando? e via via così sempre, e intanto non
v’ha inezia che non mi irriti, e mi faccia perder pazienza, e non
mi rattristi»94.
Alla fine il poeta si risolse comunque a partire per
l’Inghilterra, nonostante il progetto di pubblicazione non fosse
ancora concluso. Per la sistemazione a Londra contò, infatti, su
un prestito fattogli dagli Arconati, ma la stampa della sua opera
continuava comunque a stargli a cuore, specie perché sperava
potesse far parlare di lui nella società intellettuale inglese, dove
si apprestava ad entrare:
«Quel maledetto Fauriel non mi ha mai scritto se i miei versi sieno o
nella Senna o sotto i torchj. Questa lentezza mi fa danno davvero» 95.
«Quel ritardo di Fauriel mi fa gran danno: non perchè i miei versi
possano darmi essi profitto, ma perchè, miserabili come pur sono,
93 Parigi, 19 marzo 1822. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 9. 94 Ivi, p. 14. Lettera datata Amsterdam, 27 aprile 1822. 95 Ivi, p. 18. Lettera datata Londra, 29 maggio 1822.
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potrebbero servirmi d’introduzione qui più che un semplice biglietto di
visita»96.
Alla fine anche questa possibilità svanì, e il poeta, rassegnato,
scrive all’amica di desiderare unicamente la conclusione di
questa infinita vicenda:
«Il fatto che i versi non sono ancora stampati, che Fauriel sempre
m’ha fatto penare invano, e che per quattrocento franchi cederei a
chiunque il profitto di quella inezia con quella gioia stessa con cui Esaù
vendeva per un piatto di lenti la sua primogenitura, e scommetterei di
far miglior negozio assai di Esaù, quantunque io sia al buio affatto di
quanto va manipolando Fauriel per questa sciaguratissima stampa, a cui
m’annoia il pensare, tanto è andata per le lunghe» 97.
Ma sarebbe ingiusto accusare di inefficienza Fauriel che fu
per anni «traduttore benevolo dei nostri romantici e l’agente
editoriale a Parigi della letteratura italiana»98, soprattutto
perché nel periodo in questione stava affrontando la malattia, e
in seguito la morte, della compagna, Mad.me de Condorcet.
Berchet comunque non si diede per vinto e tentò di interessare
al progetto anche Victor Cousin99. Alla fine I profughi di Parga
videro la luce nel maggio del 1823, circa tre anni dopo la loro
conclusione. Per la stampa Fauriel si era accordato con uno dei
più prestigiosi tipografi del tempo, Firmin Didot, stampatore
parigino erede della celebre famiglia Didot che si era distinta
96 Lettera datata 27 giugno 1822. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. II, cit., p. 255. 97 Ivi. Lettera datata 5 luglio 1822. 98 Alberto Cento, Fauriel agente dei romantici italiani. Ovvero le disavventure editoriali di due poeti, in «Giornale storico della letteratura italiana», 1957, p. 346. 99 Si veda E. Li Gotti, Le disavventure editoriali d’un poeta cit., p. 76.
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nell’arte della stampa lungo tutto il ‘700 a partire dal suo
capostipite François Didot. Nel 1811 Firmin Didot era stato
nominato stampatore dell'Istituto di Francia, e nel ‘14
stampatore del re, e le sue edizioni di pregio erano celebri in
tutta Europa. In contrasto con la sua grande fama, però, Didot
non si rivelò uno stampatore affidabile, ed è forse anche per
questo che, anni dopo, Berchet non tornerà a rivolgersi a lui per
la stampa delle Fantasie. Come emerge dalla corrispondenza tra
il poeta e Fauriel, infatti, nonostante le sollecitazioni fatte, il
tipografo non prestò la dovuta attenzione ai tempi della
pubblicazione, lasciando i due intellettuali ad aspettare
rassegnati:
«Le retard de mr. Didot il faut bien l'avaler bon gré, mal gré. Du
moins que les exemplaires puissent arriver a Londres avant que tout le
mond soit parti pour la campagne. ce qui arrivera sur la moitiè et la fin
de Juillet. Je dois en donner six copies a une autre dame amie de mr.
evans, ainsi au moins 3 douzaines il me faudra en avoir. Quant a mon
nom,n'ayez aucune peur a le mettre tout entier en tete de cet
opuscle»100.
Ad ogni modo, una volta stabilitosi a Londra, Berchet fece
tesoro dell’esperienza fatta. Per i componimenti successivi,
infatti, il poeta non si sognò neppure di intraprendere la ricerca
di uno stampatore e, allo scopo di risparmiarsi nuove seccature,
scelse per i suoi versi una strategia di diffusione semplice e poco
dispendiosa. Le romanze composte negli anni dell’esilio
100 Londra, 24 giugno 1822. Citazione tratta da R. Van Nuffel, Lettere di Berchet a Claude Fauriel, in «Giornale storico della letteratura italiana», 1958, p. 102.
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londinese vennero, infatti, copiate negli album dei compatrioti
di passaggio a Londra o allegate (in forma manoscritta o
stampate in foglietti volanti) alle lettere destinate agli amici più
fidati, molti dei quali si incaricavano anche di farle penetrare
clandestinamente in Italia diffondendole poi per vie segrete.
Di Clarina e del Romito del Cenisio , ad esempio, si parlerebbe
in una lettera del primo agosto 1823. L’autore, inviando i versi ai
coniugi Arconati, chiede appunto un aiuto per farli arrivare in
Italia. In quei giorni, infatti, Costanza si apprestava a recarsi a
Lugano, e qui non sarebbe stato difficile per lei assoldare
qualche contrabbandiere che portasse le opere in territorio
italiano. Il confine con la Svizzera era, già nel corso del ‘700 , il
passaggio più utilizzato per il traffico di quei libri soggetti a
censura che non avrebbero mai superato i controlli doganali.
Questi volumi venivano affidati a giovani abituati a percorsi
alternativi rispetto alle vie principali, strade di montagna e
sentieri, spesso impervi e pericolosi, che eludevano i fermi della
polizia. Anche le opere di Berchet, naturalmente, non potevano
circolare in altro modo, essendo il poeta un autore ricercato sul
quale gravava la pena capitale, ed essendo le opere stesse di
contenuto sovversivo. Così scriveva dunque Berchet nella
lettera: «Una copia delle Romanze Clarina, ecc. non si potrebbe
buttarla a Lugano in mano di qualche galuppo? Non fo per altro
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la menoma istanza per questo, troppo premendomi di non
comprometterla nel menomo che»101.
Di Matilde si parla invece in una lettera del 13 settembre
1825: «Si ricorda di quella picciola tiritera regalata a
Marietta102? N’ho mandata jeri un’altra più lunga, in Italia. Avrei
gusto che le capitasse in mano. Ad ogni modo l’avrà quando a
Bruxelles»103. In questo caso Berchet non specifica le modalità
con cui aveva mandato il manoscritto in Italia, ma Matilde era
già stata copiata anche nell’album di un’importante patriota
italiana, Teresa Kramer-Berra104, il 19 marzo 1825.
Al Trovatore, secondo Li Gotti e Van Nuffel, si fa accenno in
una lettera del 30 luglio 1824 . In questo caso il poeta pensava di
inviare il testo in forma manoscritta a Maria Arconati,
scegliendo poi di tornare sui suoi passi a causa del co ntenuto:
«A Marietta aveva promesso un non so chè, ed ho vergogna di non
aver finora attenuta la parola. Ma come pensare a poesia in questa
inondazione di prosa che mi affoga? Le manderei quasi in cambio
un’altra brevissima romanza fatta in questi ultimi d ì; ma quantunque
non politica, ed innocente come l’acqua, pure non mi pare conveniente
per una fanciullina che non deve saper pure che v’abbia al mondo la
parola amore. Dica dunque a Marietta che non mi voglia male, e che mi
compatisca del mio ozio, tutt’altro che beato»105.
101 Londra, 8 agosto 1823. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 46. 102 Maria Arconati, sorella minore della marchesa. 103 Londra, 13 settembre 1825. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 105. 104 Si vedano pp. 105-106. 105 Lettera datata Londra, 30 luglio 1824. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 78.
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Giulia, come si è visto106, risale ai mesi precedenti il
settembre 1826, e viene indirizzata a Peppino: «Se avrò tempo
copierò stasera quella romanza, altrimenti sarà l’ordinario
venturo»107.
Un autografo di Giulia è inoltre contenuto in una lettera al
marchese Antonio (Togno) Trotti, fratello di Costanza.
In tutto questo la marchesa Arconati aveva naturalmente un
ruolo di primaria importanza. Costanza si occupava, infatti, di
copiare personalmente, quando possibile , i versi del poeta e di
diffonderli nei salotti liberali. Certamente di suo pugno si
conoscono il Rimorso e Giulia108.
Ma questa tipologia di trasmissione si rivelò un danno non da
poco per il poeta. Così sciolte le poesie circolavano trasmesse di
bocca in bocca, copiate e ricopiate, con inevitabili storpiature e
distorsioni della forma originale. Non solo, approfittando della
confusione ci fu persino chi si attribuì la loro paternità. In una
lettera del 7 novembre 1826 Berchet, tra il divertito e lo
sconcertato, scrive alla marchesa:
«Ho ricevuto una lunghissima lettera e carissima davvero del buon
Togno. […] Fra i minuti particolari mi raccontò anche che Dandolo109
ebbe la stolidità di stampare in un suo libro come cosa sua quella mia
romanzaccia il Trovatore . Mi ha fatto ridere davvero; e se la cosa ei
106 Si veda nota n. 84. 107 Londra, 19 settembre 1826. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., pp. 139-40. 108 Si veda E. Li Gotti, Le disavventure editoriali d’un poeta cit., p. 78. 109 Tullio Dandolo.
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crede che valga la pena d’essere rubata, io volentieri gliela cedo. Ma è
proprio un ragazzaccio»110.
A raccogliere queste romanze in un’unica pubblicazione ci
pensarono, negli anni successivi, diverse edizioni. Uscirono
infatti numerose raccolte dal titolo Poesie, nessuna delle quali
probabilmente è da ritenersi di volontà autoriale. Si tratterebbe,
invece, di contraffazioni italiane o delle stamperie svizzere (in
particolare della tipografia di Giuseppe Ruggia a Lugano e forse
anche della Tipografia Elvetica di Capolago)111. Del resto, visto
l’ampio consenso riscontrato da questi testi, non è difficile
immaginare che gli stampatori avessero approfittato della
110 Londra, 7 novembre 1826. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 140. 111 Dal 1826 in poi uscirono diverse edizioni di Poesie di Giovanni Berchet con false indicazioni tipografiche (sul frontespizio di alcune di queste figurava l’epigrafe «Adieu, my native land, adieu!»; in qualche altro caso compariva invece la litografia di una lampada ad olio accompagnata dal motto alere flammam). Una prima edizione di queste raccolte non dà l’indicazione dello stampatore, ma solo il luogo e l’anno: Londra, 1824. Il frontespizio cita: Poesie di Giovanni Berchet. E il volume contiene tutte le romanze dell’esilio, compresa Giulia. Difficile poter considerare autentica questa edizione dal momento che, come si è visto, la stesura di Giulia si colloca attorno al ’26. Una seconda edizione è invece datata Londra, 1826 e il frontespizio riporta: Poesie di Giovanni Berchet. Seconda edizione riveduta dall’autore coll’aggiunta di altre nuove romanze. Il contenuto è identico a quello della prima edizione ma Giulia compare con l’indicazione dell’anno 1829. Lascia, inoltre, qualche dubbio il nome italianizzato del tipografo: Riccardo Taylor (Richard Taylor). Del 1829 si conoscono diverse edizioni. Una risulta stampata a Milano e porta sul frontespizio la precisazione A spese dell’editore. Svariate altre, invece, riportano nel frontespizio l’indicazione: Londra, nella stamperia di R. Taylor. Tra queste Marino Parenti (si veda Marino Parenti, Rarità bibliografiche dell’Ottocento. Materiali e pretesti per una storia della tipografia italiana nel secolo decimonono, vol. IV, Sansoni Antiquariato, Firenze, 1958, pp. 197-201) ha individuato alcuni esemplari in carta azzurra che sarebbero frutto di una contraffazione italiana (queste edizioni, tra l’altro, contengono Le Fantasie ma senza alcuna prefazione iniziale). Altri esemplari, invece, sempre secondo Parenti apparterrebbero all’edizione originale che porta il titolo per esteso: Poesie di Giovanni Berchet. Terza edizione riveduta dall’autore coll’aggiunta di altre nuove romanze e delle Fantasie. Tuttavia pare davvero difficile ipotizzare si tratti di una raccolta voluta dall’autore visto che la versione delle Fantasie proposta non è preceduta dall’introduzione originale ma da una completamente differente e non autoriale, come si vedrà più avanti. Infine, ulteriori esemplari portano nuovamente l’indicazione della stamperia londinese di Taylor e la data 1830 o anni successivi. Anche in questo caso non si tratta di edizioni curate dall’autore che, del resto, negli anni ’30 non si trovava più a Londra.
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circolazione manoscritta per mettere sul mercato delle ed izioni
utili alla causa risorgimentale, oltre che di sicuro successo.
Ad ogni modo l’esperienza deludente della trasmissione
manoscritta non si sarebbe ripetuta con Le Fantasie . Terminata
l’opera, infatti, alla data del 3 ottobre 1828 , Berchet si adoperò
immediatamente per la ricerca di un editore. Evidentemente il
poeta riponeva troppe speranze nel messaggio di riscatto
morale e civile contenuto nella romanza per rischiare di vederlo
corrotto da refusi e storpiature. Scrive in una lettera all’amica
Costanza:
«Ho scritto a Scalvini per sentir quanto mi costerebbe lo stampare a
Parigi quell’ultima cosuccia ora finita. Sono stufo di mandar manoscritti
in Italia dove mi stroppiano, guastano, spropositano tutto. Vorrei che
fosse stampata dentro l’anno»112.
Giovita Scalvini si trovava appunto in Francia all’epoca della
lettera. I due intellettuali erano amici da diverso tempo e
Berchet riponeva grande fiducia nella sua disponibilità e nelle
sue competenze da affidargli interamente la riuscita della
pubblicazione. Ma Giovita non sarà il solo ad avere un ruolo
fondamentale nella pubblicazione delle Fantasie. Anche la
marchesa si occuperà personalmente della revisione e della
pubblicazione dell’opera.
112 Londra, 3 ottobre 1828. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 191.
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Allo scopo di ricostruire meglio la storia editoriale che ha
portato alla stampa di questa romanza, si è scelto quindi di fare
accenno alle vicende biografiche di entrambi.
GIOVITA SCALVINI
Nobile, ma di stirpe decaduta, Giovita Scalvini era nato a
Botticino in provincia di Brescia, dove la sua famiglia aveva
diversi possedimenti, quasi tutti in rovina.
Come gran parte della nobiltà bresciana, anche Scalvini prese
parte alle iniziative di rivolta degli anni ’20 che gli costarono
l’arresto prima e l’esilio poi. Ma la storia dell’esilio di Scalvini si
intreccia inevitabilmente con quella della sua amicizia con il
conte Giovanni Arrivabene.
I due si erano conosciuti a Brescia, tra il 1813 e il 1814 . Il
conte apparteneva a un’antica e influente casata di Mantova e
ricorda così, nelle sue Memorie, il loro primo incontro:
«Sul finire del 1813 io mi ritirai a Brescia ove mi trattenni sino nella
primavera del 1814. Furono giorni cari ed istruttivi per me. Passavo le
intiere serate con Camillo Ugoni e con Scalvini, che conobbi allora. Si
leggevano libri seri, si discutevano interessanti questioni. […] Lo
Scalvini debole di corpo, era altrettanto forte di mente; di delicato e fine
gusto e giudice competentissimo in fatto di lettere e di belle arti» 113.
Pur molto diversi di carattere – fragile ed estremamente
sensibile Scalvini, freddo e risoluto Arrivabene – tra i due
113 G. Arrivabene, Memorie della mia vita cit., pp. 20-21.
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nacque un’amicizia che durò per tutta la vita. Più volte il conte si
prese cura dell’amico nei momenti di difficoltà: «Non
preoccuparti troppo dell’avvenire», scriveva nel ‘17, «un asilo,
un sostegno lo troverai sempre nella casa mia»114. E Scalvini
negli anni gli fu sempre grato e affezionatissimo; confessa al
conte in una lettera: «Non mi resta di consolante che la tua
amicizia e la certezza che il tempo non l’arresta»115.
Decisa la fuga dall’Italia, infatti, il conte portò con sé l’amico
per tutta l’Europa, e continuò a provvedere a lui
economicamente, almeno fino a quando la polizia pose sotto
sequestro anche i suoi averi, mettendolo in grave difficoltà. Ma
Arrivabene provava anche un certo senso di colpa nei confronti
di Scalvini per essere stato, anche se involontariamente, la causa
dei suoi guai. Nel maggio del 1821 , infatti, la polizia austriaca
aveva arrestato il conte dopo la scoperta dei suoi contatti, come
si è visto, con Pellico e la Carboneria. Vennero, quindi,
perquisite le sue abitazioni; documenti realmente
compromettenti non furono rinvenuti, ma il conte scontò
comunque otto mesi di prigione. Tra le carte trovate nella sua
abitazione saltò fuori anche una lettera di Scalvini che ne causò
l’arresto il 29 maggio 1821.
Il contenuto della lettera, ritenuto pericoloso e sovversivo,
era più semplicemente riconducibile a un motto di scherno, ma
bastò a far scattare l’arresto:
114 Citazione tratta da Edmondo Clerici, Giovita Scalvini, Milano, Editrice Milanese, 1912, p. 7. 115 Ivi, p. 24.
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«Domani Mompiani ed io andremo dalla Calderara; niun tedesco,
niun ministro, niuna spia. Monti ha scritto un inno per lo imperatore
ch’è sotto i torchi. Bada bene, è sotto i torchi l’inno, non l’imperatore
per nostra sventura. Siamo tali piante noi, che di null’altro ci nutriamo
che di liberalismo»116.
Ma al di là delle poche prove concretamente rinvenute dagli
ufficiali austriaci, e dell’assoluzione ottenuta da entrambi,
Giovita Scalvini e il conte Arrivabene appartenevano realmente
a quella fitta rete di cospiratori lombardi che contava i più alti
nomi della nobiltà e della borghesia di Brescia, Mantova, Milano,
Como e Bergamo. I rapporti tra membri delle società segrete
delle diverse città erano necessari allo scopo di lavorare per
l’obiettivo comune e questo rendeva le sorti degli uni
irrimediabilmente legate a quelle degli altri. Così, dopo il
fallimento dell’insurrezione del ’21 e la pioggia di arresti e
interrogatori, fu chiaro a entrambi che solo la via dell’esilio li
avrebbe tutelati davvero da ulteriori fermi. A preparare la fuga
ci pensò, appunto, il conte:
«La sera entro in un caffè. Eravi Luigi Guerrieri. “Oh Arrivabene! io
andava appunto in traccia di te; vedi che cosa mi manda mio fratello?”
Leggo la lettera; essa conteneva la nuova dell’arresto di Mompiani e
di…Borsieri. A quella lettura mi monta il sangue al capo, mi batte
violentemente il cuore, e dico a me stesso: “Domani tu sarai lungi di
qui” […] L’amico mio Mazzucchelli giudicò prudente non entrare in
Brescia colla mia carrozza. La lasciammo quindi e con l’altra vettura
andammo a Brescia, dritti a casa di Scalvini. Questi vedendoci arrivare
116 Citazione tratta da Cesare Cantù, Il conciliatore e i carbonari, Treves, Milano, 1878, p. 226.
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improvvisi, agitati, indovinò tosto quale era il motivo che ci aveva
condotti da lui. Fummo immantinente d’accordo che non v’era da
esitare, che bisognava uscire dell’Italia, e quanto prima, tanto
meglio»117.
Scalvini, che dell’esilio vedeva lucidamente tutte le difficoltà,
si arrese alla consapevolezza che non ci fossero alternative.
Partirono quindi alla volta della Svizzera. Qui soggiornarono per
poco tempo, trasferendosi poi a Parigi e infine a Lo ndra, dove
ritrovarono il Santarosa e Foscolo. Foscolo era stato amico di
Scalvini già in patria, ma il bresciano non aveva mai avuto
un’alta opinione di lui, e anzi ne avrebbe dato un ritratto
pessimo nelle memorie pubblicate postume dal Tommaseo: «Era
un uomo di fantasia e d’ingegno, ma di nessuna virtù
d’animo»118.
Ed è sempre a Londra che Scalvini ebbe modo di conoscere
Giovanni Berchet, con il quale sarebbe nata un’amicizia forte e
duratura.
Nel settembre del 1826, pero , essendo il governo francese
divenuto meno severo con i proscritti italiani, Arrivabene e
Scalvini tornarono a Parigi. Nello stesso periodo anche la
famiglia Arconati si trovava in Francia, e aveva stretto attorno a
sé un salotto letterario molto frequentato. Ricorda Arrivabene:
«Sul finire dell’autunno si rientrò in Parigi, dove trovammo giunta la
famiglia Arconati, e mercè la bontà sua il soggiorno di quella grande
città non fu più una solitudine per me. Essa da quel momento divenne la
117 G. Arrivabene, Memorie della mia vita cit., pp. 83 e 87. 118 Citazione tratta da G. Scalvini, Scritti, a c. di N. Tommaseo cit., pp. 150-51.
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mia famiglia adottiva; la mia sventura veniva così temperata. In casa
Arconati frequentavano poche, ma notabili persone; vi si passavano
serate deliziose»119.
Scalvini ebbe quindi occasione di conoscere Costanza. In
seguito sia gli Arconati che lo stesso Arrivabene si spostarono
altrove in Europa. Scalvini sarebbe rimasto invece a Parigi dove,
in ristrettezze economiche, si impegnò duramente in diverse
occupazioni. Iniziò un periodo difficile ma produttivo per
l’intellettuale bresciano che, oltre a impartire lezioni private,
collaborò all’allestimento di diverse riviste e antologie. Fu molto
attivo presso tipografi e librai, ed è quindi per questo che
Berchet affiderà a lui il compito di cercare un editore per la
romanza appena terminata, Le Fantasie. Sempre a Parigi Scalvini
scrisse la sua opera più importante, il saggio Dei Promessi Sposi
di Alessandro Manzoni120, stampato a Lugano da Giuseppe
Ruggia.
La parentesi francese dell’esilio di Scalvini si concluse nel ’33,
con il felice ricongiungimento ai suoi amici in Belgio, presso gli
Arconati.
Tornò a Brescia nel ’39, grazie all’amnistia, ma, ormai molto
provato nel fisico, trascorse i suoi ultimi anni combattendo i
frequenti attacchi di tisi che lo portarono alla morte nel gennaio
119 G. Arrivabene, Memorie della mia vita cit., p. 160. 120 Giovita Scalvini, Dei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Giuseppe Ruggia e comp., Lugano, 1831.
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1843. Avvicinandosi la fine e ripensando all’esilio, scriveva nelle
sue memorie:
«Non sono molti anni ch’io passava la sera nella compagnia di
Pecchio, di Foscolo, e di Santarosa: e tutti e tre sono morti. Dov’è quel
popolo di persone che dalla mia infanzia sino alla virilità sono state la
cura, l’amore, il desiderio della mia vita? [… ] È morto mio fratello; sono
morti i miei maestri, i miei condiscepoli, i miei amici, tutti in
giovanezza. […] Presto non potrò più dire: l’anno scorso, come oggi,
faceva, stava… Vi è qualcosa di assai triste in ciò. Tardando a morire,
saranno venuti meno quelli che allora mi avrebbero pianto»121.
LA MARCHESA COSTANZA ARCONATI
Figlia del marchese Lorenzo Trotti Bentivoglio e della nobile
austriaca Marie von Schaffgotschen, Costanza era nata a Vienna,
e in Austria aveva trascorso la sua fanciullezza. Trasferitasi con
la famiglia a Milano, sposò nel 1819 il cugino, il marchese
Giuseppe (Peppino) Arconati Visconti, orfano ed unico erede di
un vastissimo patrimonio con possedimenti a Milano, Torino,
Roma e in Sardegna. La loro casa nel milanese era divenuta in
poco tempo uno dei piu importanti punti di riferimento per gli
intellettuali e i patrioti lombardi, ma i moti del ’21 e il processo
a carico di Federico Confalonieri avrebbero portato anche gli
Arconati sulla strada dell’esilio. Contro il marito Giuseppe,
infatti, gravavano pesanti capi d’accusa a seguito delle
confessioni fatte sotto interrogatorio dal carbonaro Carlo
121 Citazione tratta da G. Scalvini, Scritti, a c. di N. Tommaseo cit., pp. 155-56 e 197.
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Castiglia: si sapeva di forti somme versate dall’Arconati alla
cassa dei federati e di un suo viaggio a Torino per convincere
Carlo Alberto a invadere la Lombardia, recando con sé una
lettera del San Marzano. Il marchese non volle rischiare di
condividere la sorte di Confalonieri e fuggì in Francia prima di
essere arrestato.
L’esilio dei marchesi Arconati fu comunque molto diverso da
quello della maggior parte degli esuli italiani. Nel Belgio la
famiglia aveva ereditato da tempo vastissimi possedimenti, tra
cui l’imponente castello di Gaasbeek. Questo permetteva loro di
muoversi agevolmente per l’Europa senza cambiare il tenore di
vita a cui erano abituati. Inoltre Costanza non era coinvolta in
alcun processo ed era libera di recarsi, come spesso faceva, in
Italia, frequentando i salotti più importanti e riportando le
notizie della situazione italiana.
Prima tappa dell’esilio degli Arconati fu Parigi, nel ’21.
L’Hôtel Hollande, dove avevano preso alloggio, divenne sub ito il
punto di riferimento per gli intellettuali presenti nella capitale.
Qui la marchesa ebbe modo di conoscere Giovanni Berchet, che
aveva già incontrato precedentemente a Milano a casa di
Manzoni. Ricorda a tal proposito il poeta:
«In Parigi venne fortunatissimo, il momento in cui ruppe per la
prima volta quella sbarra che pareva separarci nella conversazione in
casa Manzoni. Quante volte, ritornando sul passato, accuso di stolta la
mia timida ritrosia ad accostarmi a quel benedetto tavolino che
separava noi uomini dalla gentilezza feminea. Chi sa forse, Ella allora mi
69
credeva un orso! Voglia il cielo che il giudizio ch’Ella fa ora di me sia più
vicino alla realtà»122.
Dopo l’incontro Parigino, invece, Costanza diventerà una
figura fondamentale nella vita di Giovanni Berchet. Prima amore
non corrisposto, poi tenera amica, infine insostituibile
confidente, la marchesa si legò a lui per tutta la vita, come
testimonia l’intenso rapporto epistolare che i due intrattennero
dal 1822 (anno dell’incontro a Parigi) al 1851 (anno della morte
del poeta). Donna colta e interessata alle lettere, Costanza ebbe
più volte parte attiva nella stesura e pubblicazione delle opere
del poeta e di molti altri intellettuali che le sottoponevano i loro
scritti per averne impressioni e correzioni, affidandole spesso
anche la ricerca del tipografo. Nel ’28, ad esempio, trovandosi a
Parigi, la marchesa ricevette le bozze delle Fantasie del Berchet
(ancora a Londra) e insieme a Giovita Scalvini si occupò della
revisione e pubblicazione dell’opera.
Lasciata la capitale francese, i marchesi Arconati si
trasferirono definitivamente in Belgio nei loro possedimenti a
Gaasbeek e il castello divenne per molto tempo rifugio sicuro di
numerosi esuli italiani. Del resto la generosità degli Arconati era
ben conosciuta. I coniugi si rendevano spesso disponibili a
offrire rifugio ad amici e conoscenti, e a soccorrerli
economicamente ovunque si trovassero. Una solidarietà 123 che
122 Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. VII. 123 A tal proposito si veda anche Giuseppina Bertoni, Tradizione di generosità e d’amor patrio nella famiglia di Costanza Arconati, in AA. VV., Studi sul Berchet. Pubblicati per il primo centenario della morte, a c. del Liceo Ginnasio Giovanni Berchet di Milano, Tipografia Grafica Milano, Milano, 1951.
70
peccava, però, di poca prudenza. Toccò ai genitori di Costanza
raccomandare loro circospezione nell’aiutare persone ricercate,
dal momento che il governo austriaco mandava agenti e spie in
giro per l’Europa. Non solo, la loro disponibilità peccò spesso
anche di eccessiva buona fede, come testimoniano gli
avvertimenti dati a Costanza dagli amici più stretti per evitare
che la marchesa si lasciasse impietosire da semplici
approfittatori.
Come tutti gli esuli anche i coniugi Arconati tornarono in
patria dopo l’amnistia del ’38 e parteciparono entrambi
attivamente all’unificazione dell’Italia. Giuseppe fu nominato
senatore nel 1865.
LA STAMPA DELLA PRIMA EDIZIONE
Per la pubblicazione delle Fantasie, Berchet si affidò dunque
a due amici fidati, incaricandoli della ricerca di un tipografo
parigino. A questo proposito va detto che il poeta sembra non
pensare neppure a una pubblicazione inglese. Infatti, nonostante
l’Inghilterra fosse certamente la dest inazione più tranquilla per
gli esuli italiani, non era possibile considerarsi del tutto al
sicuro neppure sul territorio britannico. Più volte il parlamento
inglese era tornato, nel corso della prima metà dell’’800, a
discutere degli stranieri presenti sul proprio territorio e a
rimettere mano all’Alien-Bill, una legge approvata negli anni ’90
del ‘700 . La norma prevedeva che tutti gli stranieri che
71
sbarcavano sull’isola dovessero farsi riconoscere, dichiarando le
loro generalità al capitano della nave prima di metter piede sul
suolo britannico. Non gli era inoltre concessa la detenzione di
armi, e in seguito si aggiunse l’obbligo di ottenere un permesso
di soggiorno. Naturalmente per gli esuli in fuga dalla polizia
austriaca, come anche Berchet, era necessario evitare il più
possibile di fornire generalità e domicilio. Su questa legge il
parlamento tornò più volte, tra proposte di abolizione e rimesse
in vigore con ulteriori disposizioni. Quindi, volendo mantenere
una condotta il più possibile accorta, Berchet cercava di evitare
le pubblicazioni londinesi, come aveva spiegato anche all’amico
Fauriel a proposito dei Profughi di Parga: «Il me semble que
toutes mes letters vous auront assez fait voir la firme intention
dans laquelle je suis de faire imprimer mes vers à Paris et non à
Londres. […] Mais de l’imprimer à Londres avant que à Paris ce
ne serait pas prudent»124.
Possibile che anche per Le Fantasie, dunque, il poeta volesse
evitare problemi proprio nel paese che lo ospitava da parecchi
anni. Del resto una pubblicazione inglese sarebbe stata piuttosto
problematica e dispendiosa. Berchet non aveva grande
familiarità con l’ambiente editoriale londinese , inoltre stampare
gli esemplari a Londra avrebbe comportato il loro invio in
Francia ad amici e conoscenti che potessero farli penetrare in
Italia. È soprattutto questo, infatti, lo scopo del poeta. Come
124 Lettera datata Londra, 3 giugno 1822. Citazione tratta da Alberto Cento, Fauriel agente dei
romantici italiani ovvero le disavventure editoriali di due poeti, in «Giornale storico della
letteratura italiana», 1957, pp. 347-48.
72
specificato nella lettera introduttiva, l’eventuali tà che
un’edizione inglese possa far conoscere quest’opera anche al di
fuori dell’Italia non interessa in alcun modo Berchet:
«Per poco ch’io ve l’asserisca, lo crederete ben subito, o diletissimi,
che nel comporre i versi che oggi vi dedico, voi, voi soli , io sempre
aveva dinanzi alla mente, come lettori a cui soddisfare, s’io lo potessi.
Ora che gli ho ricopiati, li rileggo pensando a voi; nè parmi che per voi
abbiano bisogno di schiarimenti. Se mi tocca di pubblicarli in terra
straniera, non è per questo ch’io mi figuri che stranieri li vogliano
leggere. […] Io non ho mira che l’Italia» (F₁, p. 7).
Come si è visto, Giovita Scalvini, nel periodo in questione, era
particolarmente attivo nell’ambiente editoriale parigino, ed è
quindi lui ad occuparsi della ricerca di uno stampatore per Le
Fantasie. Ma in verità anche la marchesa era solita svolgere
compiti di questo tipo. Nel ’34, ad esempio, sarà proprio lei, in
mancanza di altri volontari, a rendersi disponibile per la ricerca
di un editore per la traduzione del Faust di Goethe dello stesso
Scalvini125.
Ad ogni modo, alla fine la scelta del bresciano ricadde su
François Pihan-Delaforest126, piccolo ma affidabile tipografo
parigino che aveva iniziato la propria carriera come libraio nel
125 Irene Perini, Scalvini, Goethe, Faust, in Giovita Scalvini, Traduzione del Faust di Goethe, edizione critica a c. di Beniamino Mirisola, Morcelliana, Brescia, 2012, p. 7. 126 François Pihan-Delaforest (1782-18..). Per distinguere le proprie edizioni da quelle del suo più celebre omonimo Ange-Augustin-Thomas Pihan-Delaforest (1791-1842; stampatore del Delfino di Francia e della Corte di Cassazione, con attività in rue des Noyers n. 37), sul frontespizio delle opere impresse da François compariva sempre la formula 'Pihan-Delaforest (Morinval)'; questa formula comparirà, infatti, anche sul frontespizio delle Fantasie. Circa i due tipografi si vedano anche le voci corrispondenti nel database della Bibliothèque Nationale de France (data.bnf.fr).
73
1824, rilevando l’attivita di E tienne-Marseille Giraud in rue des
Filles-Saint-Thomas n. 7. In seguito, dopo molti anni di
collaborazione con il tipografo Jean-Marie-Anthelme Boucher,
aveva rilevato la sua officina a Parigi, in rue des Bons -Enfans n.
34, e aveva dato inizio anche alla sua attività tipografica.
Per i tipi di Delaforest, oltre che Le Fantasie, uscirono anche
altre opere di patrioti italiani. Pietro Giannone, ad esempio,
diede alle stampe L’esule127 nel 1829, mentre nel 1836 Terenzio
Mamiani della Rovere pubblicava le sue Nuove Poesie128. Lo
stesso Tommaseo si affido a Delaforest, stampando tra il ’35 e il
’36 sia Dell’Italia129 che le Confessioni130.
Scelto l’editore, Berchet mandò il manoscritto a Parigi,
chiedendo, come si è visto nella lettera del 3 ottobre 1828 , che
l’edizione venisse fatta entro l’anno. Ma nel corso della ricerca
dello stampatore il poeta maturò l’idea di aggiungere ai versi
una prefazione introduttiva. Proprio in questa prefazione
Berchet spiega, infatti, che sottoponendo l’opera conclusa al
giudizio di qualche amico (possibile si trattasse dello stesso
Scalvini, uno dei pochi ad aver letto la romanza prima della sua
pubblicazione), gli era stata suggerita l’idea di corredare il testo
di note storiche. Questa proposta venne rifiutata dal poeta per
una serie di motivazioni delle quali si dà conto proprio
127 Si vedano pp. 13-14. 128 Terenzio Mamiani della Rovere, Nuove poesie, Delaforest, Parigi, 1836. 129 Niccolò Tommaseo, Dell'Italia. Libri cinque, Delaforest, [Parigi], s.d.. 130 Niccolò Tommaseo, Confessioni, Delaforest, [Parigi], s.d..
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nell’introduzione. Tuttavia il poeta si convinse della necessità di
una lettera introduttiva. Si legge nella prefazione:
«Nell’atto di mandare allo stampatore la presente romanza, mi sento
suggerita da taluno la convenienza di farle precedere almeno qualche
parola di prefazione; ov’io m’ostini a non volerla provvedere di note,
come a tal altro pareva bisognasse. […] Pigliale come vuoi, poco su poco
giù, note o prefazione m’hanno faccia di pedanteria nel caso mio. […] A
sbrigarmi in qualche modo da una siffatta perplessità, ho afferrato come
buon ripiego un suggerimento dell’animo mio, quello di rivolgermi a
voi, dilettissimi, e d’indirizzarvi, come fo, questa mia lettera tutta
confidenziale. Scritta come vien viene, come se riassumessi per un
momento ancora una di quelle tante chiacchierate con voi a cuor largo»
(F₁, pp. 5-6).
Ecco, quindi, che alla data del 30 dicembre dello stesso anno
Berchet scrisse all’Arconati, avvisandola di voler spedire
all’amico Giovita la prefazione ormai conclusa, perché fosse
mandata in stampa: «Se vede Scalvini, lo saluti, e gli dica che se
non trovo occasione, manderò al più tardi martedì prossimo
quel certo che per mezzo della Posta»131. Ma, come spiegato in
una lettera successiva, Berchet non spedì la prefazione a
Scalvini, ma alla contessa stessa, allo scopo di risparmiare
all’amico il costo della tassa postale. La marchesa, tuttavia, non
avendo dato cenno di aver ricevuto il plico, generò la
preoccupazione del poeta che il pacco fosse andato perduto. Le
modalità con cui lo aveva spedito, inoltre, non facevano che
131 Lettera datata Londra, 30 dicembre 1828. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 199.
75
aumentare la sua preoccupazione. La lettera era stata, infatti,
affidata frettolosamente a un ciabattino perché la portasse
all’ufficio postale. A Berchet venne quindi il timore che l’uomo
potesse aver intascato i soldi e dato fuoco alla lettera. La
distruzione della stessa si sarebbe rivelata un danno
irreparabile dal momento che il poeta l’aveva scritta di getto e
non ne conservava nessuna copia:
«Lunedì sera, 5C.te ho messo alla Posta una lettera voluminosa
diretta a Lei pel solo fine di risparmiare a Scalvini il porto della
inclusavi per lui. Aveva pregato Scalvini di farmi dare un cenno da Lei
della ricevuta del plicco. Mancandomi questo cenno, mi nasce il dubbio
che il plicco sia andato smarrito; perché stretto dal tempo, ed ingannato
da chi mi aveva promessa un’occasione particolare, non potei mandare
ad impostar la lettera al l’ufficio generale, e la diedi ad uno de’ minuti
ufficj, ad un ciabattino a cui i dieci scellini pagati d’affiancatura
potevano essere tentativo per metter al fuoco la lettera ed in tasca i
denari. Non sarebbe gran male la perdita di quel plicco per se ste ssa;
ma siccome io non saprei come più rimediarvi essendo uno scritto, fatto
a tamburo battente, di cui non ho più traccia raccapezzabile, così
almeno mi premerebbe di sapere se o no Scalvini l’abbia ricevuto. Forse
la prima sua lettera mi toglierà da questa incertezza; e forse se andò
alle fiamme, il ciabattino ebbe più giudizio di me. […] Torno a
domandarle mille perdoni della sfacciataggine di diriggere a Lei la
lettera per Scalvini, ove sia giunta; ma Ella è ricca e Scalvini non l’è» 132.
Che la prefazione fosse stata scritta «a tamburo battente», è
confermato anche dalla data che riporta: Piccadilly, 5 gennaio
132 Londra, 13 gennaio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., pp. 200-01.
76
1829. Come risulta dalla lettera appena citata, dunque, la
prefazione alle Fantasie venne terminata lo stesso lunedì nel
quale fu inviata a Scalvini.
Il plico, ad ogni modo, non era affatto andato perduto. La
marchesa confortò di questo il poeta che infatti il 15 gennaio le
scrisse per ringraziarla e per rinnovarle la richiesta di prendersi
cura dell’edizione:
«Perdoni se nell’ultima mia l’ho seccata riguardo al plicco ch’io
credeva smarrito. S’Ella anche si prende cura a far che l’edizione
dell’inezia mia riesca bene, possa dire ai miei versi…ma non voglio dir
nulla perch’Ella non creda ch'io parli per complimento; cosa della quale
nel momento attuale sono lontano più che mai. Favorisca di dare a
Scalvini il mezzo foglio qui unito»133.
Il mezzo foglio a cui allude il poeta poteva, forse, contenere
ulteriori indicazioni per la pubblicazione. Ad ogni modo, come si
è detto, Berchet riponeva piena fiducia in Scalvini e
nell’Arconati e a loro non aveva solo affidato il compito di
seguire la stampa dell’edizione, ma anche l’eventuale revisione
del testo. La marchesa era solita, infatti, prestare aiuti di questo
tipo agli amici intellettuali. In una lettera del luglio 1829134,
infatti, si parla della sua trascrizione, ed eventuale revisione, di
una traduzione di Arrivabene degli Elementi di economia
133 Londra, 15 gennaio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 202. 134 Ivi, p. 218. Lettera datata Londra, 7 luglio 1829.
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politica135 di Mill. Per non parlare del supporto dato a diversi
letterati negli anni sereni di Gaasbeek:
«Su tutti, con somma compiacenza, vigilava Costanza. Infaticabile,
essa credeva di aver diritto al primo posto nel cuore di tutti quelli i
quali formavano il suo gruppo, cioè il suo piccolo regno: e così, fino ad
un certo punto, accadeva. Ella, avendo il dono di suscit are facilmente le
amicizie, specialmente negli uomini, vivrà per gli amici stessi, li aiuterà
in quanto potrà, e, nello stesso tempo, con affettuosa tirannia, disporrà
di loro un po’ a suo talento»136.
Berchet aveva dunque dato disposizione che gli amici
intervenissero, se necessario, a correggere la sua opera. Una
disposizione che la marchesa dovette prendere molto
seriamente visto che scelse di intervenire sulle Fantasie
all’insaputa dell’autore. Da una lettera di Berchet si evince,
infatti, che l’Arconati aveva deliberatamente cassato alcune
parti senza chiedere prima il parere del poeta. La notizia, a
quest’ultimo, arrivò solo a cose fatte e senza neppure la
precisazione di quali passaggi fossero. Non è quindi facile capire
cosa avesse voluto tagliare la marchesa, anche se pare
abbastanza evidente si trattasse di un paio di frasi contenute
nella prefazione. Come si legge nella lettera citata qui di seguito,
135 James Mill, Elementi di economia politica, traduzione di Giovanni Arrivabene, Giuseppe Ruggia e comp., Lugano, 1830. 136 Zelmira Arici, G. Berchet e Costanza Arconati Visconti. Anni di esilio e di attesa (1821-1838), in AA. VV., Studi sul Berchet cit., p. 188.
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infatti, nella discussione tra Berchet e Costanza non si parla di
versi, ma di «frasi»:
«È curioso il destino che tutte le lettere dell’ottimo Scalvini vadano
perdute per me. Una me ne scrisse egli per mezzo di Pecchio; e Pecchio
la perdette. Una me ne scriveva ora ed egli stesso la perde. E a
proposito. Ha fatto Ella benissimo a levare le due frasi, ciò non era che
conforme alle piene facoltà da me date a Scalvini, e non posso che
ringraziarla. Non era bisogno che me ne avvertisse; ma avendolo voluto
fare, pareva naturale che anche m’indicasse le frasi riprovate dal di Lei
Santo Offizio. Quel non dirmelo, c’est me mettre un peu trop à ma place ,
voglio dire nel cantuccio dove sta il manico della scopa. Ho fantasticato
invano quali frasi potessero mai essere. Un tantino di condiscendenza
verso il nemico de’ misterj non avrebbe fatto male. Del resto questo
lamentarmene è piuttosto per cogliere il primo lampo di buon umore,
dopo tutti questi bruttissimi giorni; che non altro. L’ho sempre detto
che v’è una tinta d’amabilissimo dispotismo in lei»137.
Le motivazioni dell’intervento non vengono spiegate in
nessuna lettera. Si può forse ipotizzare, data la natura molto
accorta della marchesa, che Berchet fosse stato troppo aspro in
alcuni passaggi polemici rivolti alla patria e agli amici rimasti in
Italia. Ma si tratta solo di supposizioni. Ciò che risulta piuttosto
chiaro è, invece, il fastidio che questo episodio dovette
provocare nel poeta. Al di là della gentilezza che mostra nella
sua risposta, infatti, l’insofferenza di Berchet per essere stato
137 Londra, 30 gennaio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 204.
79
messo da parte «nel cantuccio dove sta il manico della scopa» è
abbastanza palese.
Neppure all’Arconati, comunque, fece piacere il «dispotismo»
rimproveratogli dall’amico e dovette a tal proposito strapazzare
il poeta nella lettera seguente. Berchet scelse comunque di non
alimentare nuovamente la discussione e di considerare
archiviata la questione:
«L’inopportuna ed improvocata asprezza della di Lei lettera del 2
corrente sarà stata, ne sono certo, riconosciuta anche da Lei stessa
pochi minuti dopo averla scritta. Credo ch’ella considererà come prova
d’amicizia il lasciare io cadere quella lettera come non avvenuta» 138.
Nonostante queste difficoltà, comunque, la prima edizione
delle Fantasie lasciò soddisfatto il poeta, risultando un’edizione
elegante e ben fatta. Quanto al numero di copie stampate,
invece, è interessante la scelta di Berchet di limitare la stampa a
cento esemplari. Non vi è in questa pubblicazione alcun intento
di lucro, lo spirito che continua ad accompagnare Le Fantasie è
anche nella pubblicazione unicamente votato al riscatto morale
e civile della patria. Al poeta non interessava un ritorno
economico, come era accaduto ad esempio per i Profughi di
Parga. Il lavoro presso Obicini gli permetteva di vivere
dignitosamente e di perseguire con questa pubblicazione un
intento puramente ideologico. Difatti , nonostante Delaforest
avesse richiesto la sottoscrizione per tutte le cento copie, il
138 Londra, 6 febbraio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 205.
80
poeta scelse di non cercare associati e di pagare unicamente di
tasca propria l’intera pubblicazione. La sua unica
preoccupazione era che le copie venissero sparpagliate il più
possibile tra amici e conoscenti in Italia. Si legge in una lettera
del 17 febbraio 1829:
«Ha fatto eccellentemente bene nel disporre a nome mio di quelli
esemplari e la ringrazio. Solamente mi permetta di sperare ch’Ella non
abbia dimenticato Cousin139 e Sismondi140. A quest’ultimo l’esemplare
potrebbe esser mandato per mezzo di Bossi141, mandandone uno anche a
Bossi; dico così, onde non far pagare a Sismondi il porto. Se vi sono altri
a cui sia bene donarlo, la prego, di farlo. All’autore per esempio d i Clara
Gazul142, ch’io stimo molto, ed a chiunque insomma ella crede. Mi
premono quelli da mandarsi a Firenze secondo scrissi a Scalvini. A
Milano poi, quanti più si può; dacchè quelli che Ella farà pervenire ai
nostri amici, e che principalmente mi premono , non cadranno per
questo in mano che vogliano dar pubblicità alla cosa. Posto che deggio
comperare dallo Stampatore i cento esemplari, e che di rivenderli io non
ho voglia veruna nè qui nè altrove; sparpagliamoli più che si può. Non
so se il vecchio Tracy143 si ricordi di me; (io ebbi il piacere di visitarlo a
Parigi); ma se anche a lui quell’inezia potesse essere grata, non lasci di
donargliela in mio nome. Insomma faccia lei; e non parliamone altro» 144.
Ancora una volta sono dunque Scalvini e l’Arconati ad
occuparsi di diffondere il più possibile le copie dell’edizione,
139 Victor Cousin. 140 Simonde de Sismondi. 141 Il marchese Benigno Bossi. 142 Prosper Mérimée, autore del dramma teatrale Le Théâtre de Clara Gazul (1825). 143 Antoine-Louis-Claude Destutt de Tracy, filosofo francese. 144 Londra, 17 febbraio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. II, cit., pp. 253-54.
81
sotto le indicazioni del poeta. Si legge in un’altra lettera, sempre
indirizzata alla marchesa: «A Pucci145 mandi i miei saluti e se
può le Fantasie»146.
L’opera ebbe un notevole successo in Italia. In molti
mandarono i propri entusiastici complimenti all’autore e le
copie della prima edizione si esaurirono molto velocemente.
Visto il notevole interesse di pubblico, sempre nel 1829, lo
stampatore Giuseppe Ruggia decise di ridare alle stampe Le
Fantasie presso la sua tipografia di Lugano, senza però il
consenso dell’autore.
145 Giuseppe Pucci. 146 Bonn, 1° gennaio 1830. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 226.
82
III
La seconda edizione delle Fantasie
IL CANTON TICINO E IL RISORGIMENTO ITALIANO
L’età napoleonica portò numerosi sconvolgimenti anche in
territorio elvetico. Alla Confederazione Svizzera dei tredici
cantoni nata in epoca medievale veniva infatti a sostituirsi, per
volere della Francia, uno stato unitario che aboliva la
precedente organizzazione federale. Il 12 aprile del 1798 si
costituiva, dunque, la Repubblica Elvetica. Si trattava di un
regime politico, formalmente indipendente, ma di fatto imposto
e controllato da Napoleone, per nulla gradito alla popolazione
locale. Diversi problemi si ebbero soprattutto nel far accettare
ai cittadini svizzeri la nuova organizzazione dei vecchi cantoni
in otto prefetture. Organizzazione che fu, peraltro, impossibile
da mantenere nel tempo. Questi cantoni vissero, infatti, anni e
anni di tormentate fusioni e separazioni , praticamente fino al
definitivo scioglimento della Repubblica Elvetica.
Quanto al Canton Ticino, esso nacque proprio nel 1798,
dall’unione, per decisione napoleonica, dei due differenti
cantoni di Lugano e Bellinzona. Questa regione andò poi a
prendere il nome dal fiume più importante del suo territorio, il
Ticino.
Benché il Canton Ticino appartenesse di fatto alla Svizzera, la
Francia ne gestiva naturalmente gli affari, tanto che per un
breve periodo i distretti meridionali di Muggio e Mendrisio
83
vennero annessi alla Repubblica Cisalpina. La capitale del
cantone divenne inizialmente Bellinzona, salvo poi stabilire una
rotazione di sei anni tra le città di Bellinzona, Lugano e Locarno.
Questa alternanza durò fino al 1878, quando Bellinzona divenne
la capitale unica e permanente.
Ad ogni modo, la fine del regime napoleonico e la
restaurazione cambiarono nuovamente il volto della
Confederazione Svizzera che, liberatasi dal controllo francese,
vide crescere su di sé l’influenza dell’Impero austriaco.
Il Ticino si dotò di due organi politici: un Gran Consiglio, con
poteri legislativi, e un Consiglio di Stato, con potere esecutivo.
In verità quest’ultimo ebbe sempre notevoli difficoltà a
garantire un ordinamento democratico, trovando spesso al suo
interno personalità di spicco con ambizioni di potere. Il caso più
eclatante fu certamente quello di Giovanni Battista Quadri che,
pur senza arrivare a un vero e proprio colpo di stato, portò
avanti una politica autoritaria tanto che gli anni del suo governo
sono anche noti come la fase del 'regime del Quadri' (1815-
1830).
Ma sebbene la federazione elvetica fosse, di fatto, filo-
austriaca, il Canton Ticino non rimase affatto estraneo alle
vicende del risorgimento italiano. Al contrario, vi era in questa
parte della Svizzera un sentimento così marcato di appartenenza
alla cultura italiana, specialmente lombarda, che il Ticino fu
diretto protagonista delle vicende che portarono all’unità
d’Italia. E non sarebbe potuto essere diversamente, visto i
84
legami di vicinanza, amicizia, e parentela che da secoli univano
gli abitati dei due diversi territori.
Il Canton Ticino fu quindi, negli anni della lotta
risorgimentale, una terra 'amica' per gli esuli in fuga dal
Lombardo-Veneto. Soprattutto dopo il fallimento dei moti del
’21, la Svizzera italiana fu un appoggio fondamentale per chi
scappava dalla polizia per mettersi in salvo in Europa. Ma fu
preziosa anche per chi cercava una nicchia più o meno protetta
dove riorganizzare i progetti di insurrezione e continuare con la
propaganda liberale.
Il forte supporto che diedero questi territori ai patrioti
italiani rimase costante fino agli anni ’40. Com’è noto, dopo la
fine disastrosa della campagna del 1848, il Canton Ticino diede
asilo politico a migliaia di fuggiaschi milanesi, la maggior parte
dei quali sarebbero tornati in patria dopo la concessione
dell’amnistia da parte dell’Austria. Ma ci fu anche chi scelse di
rimanere in Svizzera. Carlo Cattaneo, ad esempio, che a Milano
aveva presieduto al comitato di guerra durante le cinque
giornate, al rientro degli austriaci nella città aveva trovato
rifugio a Castagnola, e lì scelse di rimanere fino alla morte.
Nell’agosto del 1848, a Lugano, riparò per qualche tempo anche
Giuseppe Mazzini.
Ma le vicende politiche che legarono il Canton T icino all’Italia
nel periodo del risorgimento si intrecciano anche con un’altra
storia, quella delle tipografie del cantone che per anni portarono
avanti una durissima battaglia contro i governi in difesa della
85
libertà di stampa e di espressione, e in generale del pensiero
liberale, utilizzando le loro risorse per schierarsi contro ogni
forma di repressione anche fuori dai confini nazionali.
TIPOGRAFIE TICINESI E TRADIZIONE LIBERALE
Se è indubbio che il supporto delle tipografie del Canton
Ticino fu indispensabile negli anni cruciali dell’Unità d’Italia, è
pur vero che queste stamperie potevano vantare una lunga
tradizione di battaglie liberali condotte già dalla seconda metà
del ‘700 , a partire dalla fondazione di una delle più note officine
tipografie di queste zone, la Tipografia Agnelli di Lugano.
Era il dicembre del 1745 quando i fratelli Federico, Antonio e
Giambattista Agnelli, appartenenti a una famiglia di stampatori e
librai milanesi attiva da oltre un secolo, avviarono le pratiche
per aprire un’officina a Lugano, chiedendo inoltre il privilegio di
essere per vent’anni gli unici tipografi dei baliaggi svizzeri
ultramontani (ovvero di quel territorio che avrebbe poi preso il
nome di Canton Ticino). I motivi che portarono gli Agnelli ad
aprire a Lugano una succursale della loro attività milanese
erano di natura soprattutto economica. A Milano, come in molte
altre città italiane, l’editoria era sempre più sofferente, e pagava
la sua incapacità di adattarsi ai gusti di un pubblico nuovo e in
crescita. Ma un altro problema non indifferente rallentava gli
affari di chi lavorava in questo settore. La censura costituiva,
infatti, un problema notevole. Ottenere l’autorizzazione alla
86
stampa era lungo e faticoso e prevedeva la doppia approvazione
delle autorità civili e di quelle ecclesiastiche. Inoltre la
complessa situazione politica del nord Italia rendeva difficile e
macchinoso il commercio librario. La Svizzera, dove era
permesso di stampare «qualunque libro, purché non fosse
contra la Suprema Superiorità Elvetica»147, risultava dunque
molto più vantaggiosa.
L’attività dei fratelli Agnelli iniziò ufficialmente nell’estate
del 1746, ma a gestire la tipografia fu soprattutto Giambattista
Agnelli che ne sarebbe divenuto la colonna portante. Già da
subito, inoltre, prese il via il progetto di una gazzetta, le «Nuove
di diverse corti e paesi d’Europa» (meglio conosciuta come
«Gazzetta di Lugano»). L’idea era quella di fornire un giornale
attento non solo alla cronaca locale ma anche, e soprattutto, alla
realtà internazionale, dando conto delle novità in ambito
politico e dei cambiamenti negli equilibri di potere in Europa.
Nei primi due anni la tipografia, pur nel contesto di
un’informazione di qualità, mantenne una condotta
assolutamente prudente. Ma già a fine anni ’50 la gazzetta prese
la strada di un giornalismo più impegnato, facendosi notare per
le sue pubblicazioni fortemente antigesuite. I governi
cominciarono così a fare pressioni sulla stamperia che però,
lontana dal farsi intimorire, continuò a dare sempre più spazio
alle idee liberali che giungevano dagli altri paesi.
147 Citazione tratta da Fabrizio Mena, Stamperie ai margini d’Italia. Editori e librai nella Svizzera italiana 1746-1848, Edizioni Casagrande, Bellinzona, 2003, p. 21.
87
Il 3 aprile del 1788 , la stamperia subì uno scossone. Venne a
mancare, infatti, Giambattista Agnelli e la sua scomparsa portò
ad un’aspra contesa interna alla famiglia a causa del testamento
che destinava al nipote, Giambattista junior (figlio di Federico),
«tutto il negozio di stamperia, libri, carta, mobili, attrezzi,
crediti, ragioni, ed azioni, ed ogni altra cosa esistente nel
predetto negozio di Lugano niente eccettuato»148. La tipografia
passò quindi sotto la guida del nipote di Agnelli, mentre la
direzione delle «Nuove» venne affidata all’abate Giuseppe
Vanelli, che collaborava con la stamperia già da diverso tempo.
L’impegno dei due si concentrò soprattutto sulla gazzetta,
specie in occasione dei fatti sempre più eclatanti che
interessavano la Francia. Le «Nuove» cominciarono a dare
larghissimo spazio, infatti, alle notizie della Rivoluzione
francese, suscitando la disapprovazione dei governi europei. La
gazzetta era difficilmente attaccabile dal momento che i curatori
si guardavano bene dall’esprimere palesemente i propri giudizi
sui fatti. Si preferiva mantenere una condotta molto più
ambigua, dando voce ai documenti ufficiali (citati tra virgolette)
o agli articoli della stampa estera. Tuttavia la scelta dei brani,
specie quelli più crudi degli anni del Terrore, diede al giornale la
fama di rivista sovversiva. Il governo austriaco si impegnò
fortemente a impedirne la circolazione nei propri territori ma,
pur osteggiate e sequestrate in diverse occasioni, le «Nuove»
erano di fatto diventate il foglio più letto di tutta l’alta Italia.
148 Citazione tratta da F. Mena, Stamperie ai margini d’Italia cit., p. 74.
88
La fine della tipografia Agnelli arrivò il 29 aprile del 1799 . Nel
frattempo l’assetto politico dell’Europa era molto cambiato.
Come si è visto, la Francia napoleonica aveva esteso il proprio
controllo anche alla Svizzera, dando origine alla Repubblica
Elvetica. In questo periodo la stamperia Agnelli continuò a
dimostrarsi filofrancese, contribuendo con il proprio giornale
alla mitizzazione di Napoleone come difensore della libertà e
della giustizia, schierandosi duramente contro i contadini delle
periferie che sovente insorgevano contro gli invasori. Nel ’99,
però, il Ticino visse una sommossa più violenta delle precedenti,
la 'controrivoluzione' di Lugano, durante la quale la stamperia,
accusata di essere dalla parte dei nemici, venne brutalmente
saccheggiata dalla folla scalmanata. Negli scontri, Giambattista
Agnelli riuscì a fuggire, rimase invece ucciso Giuseppe Vanelli,
giustiziato come giacobino e traditore sotto l’Albero della
Libertà.
Dalle ceneri della tipografia Agnelli nacque la tipografia
Rossi. Pietro Rossi era stato uno dei principali responsabili del
sollevamento del ’99; un libello anonimo sui fatti di quell’anno
lo definiva «il più favorito amico degli austriaci», «il prezzolato
dell’Inghilterra»149. Rossi si legò a due soci, Pietro Casnati e il
tipografo e libraio milanese Luigi Veladini. La stamperia
condusse la propria attività manifestando un’evidente militanza
antinapoleonica e antifrancese che costò la soppressione del suo
149 Citazioni tratte da F. Mena, Stamperie ai margini d’Italia cit., p. 109.
89
giornale, il «Telegrafo delle Alpi», e l’allontanamento dal
cantone di Pietro Rossi.
Alla tipografia si aggiunse nel 1801 Francesco Veladini,
fratello cadetto di Luigi che rilevò la stamperia a suo nome nel
1805.
Sotto la rinnovata ragione sociale di Tipografia Veladini prese
a uscire un nuovo periodico, in sostituzione del «Telegrafo».
Nell’intenzione di Veladini doveva chiamarsi «Gazzetta
Svizzera», ma gli venne concessa l’autorizzazione solo per un
nome più modesto, «Corriere del Ceresio». Questo giornale,
anche per la delicatissima situazione politica di quegli anni (il
sempre più evidente indebolimento della Francia napoleonica,
l’avanzata austriaca e l’instabile governo del cantone) mantenne
una condotta estremamente prudente, e nonostante ciò subì
comunque intimidazioni e pressioni da parte del governo. Della
scarsa autonomia del giornale si accorsero anche i lettori,
sempre meno interessati a rinnovarne l’abbonamento. Il
periodico finì così per virare su notizie più strettamente legate
alla Confederazione: decreti ufficiali e cronaca locale.
La svolta arrivò nel 1814. La caduta di Napoleone divenne
ufficiale e ne gioì tutto il Canton Ticino. Così, Veladini chiese
l’autorizzazione a ridare al suo giornale il glorioso nome del
periodico degli Agnelli, «Gazzetta di Lugano», e la richiesta fu
accolta. La direzione del giornale venne affidata a Giuseppe
Vanelli (nipote dell’abate ucciso nel 1799). La rivista, e in
generale la tipografia, visto l’ottimismo che si respirava a
90
seguito della ritirata francese, tornò allo spirito liberale che
aveva contraddistinto le esperienze precedenti. Il governo
austriaco, però, non tardò a mostrare al Canton Ticino che la
libertà di stampa e di opinione sarebbero rimaste un’utopia, e
che la caduta di Napoleone aveva significato niente più che un
diverso equilibrio di poteri in Europa. La tipografia tornò quindi
a doversi difendere da minacce e sequestri. Alla «Gazzetta di
Lugano» fu impedita la distribuzione nel Lombardo-Veneto e
certo non aiutò, nel 1818, la nomina a governatore di Milano di
Giulio Strassoldo, determinatissimo a combattere la stampa
sovversiva con ogni mezzo.
Dal 1820, inoltre, i rapporti con l’Austria peggiorarono
seriamente. Il giornale aveva dato, infatti, ampiamente s pazio
alle notizie circa la rivoluzione di Spagna, e ancora di più a
quelle sull’insurrezione di Napoli, facendo scopertamente
stampa di propaganda, dando spazio agli articoli delle testate
più accanite ed esaltando la libertà. È a questo punto che Vienna,
scavalcato il governo ticinese ritenuto inaffidabile, fece in modo
di sopprimere definitivamente la gazzetta. Morto il giornale,
veniva a mancare una fonte d’informazione importante per tutto
il Lombardo-Veneto, tanto che alla notizia della soppressione in
molti accorsero, soprattutto da Como, per assicurarsi gli ultimi
numeri della rivista. Il cantone restava, tra l’altro, sprovvisto del
suo principale mezzo per le comunicazioni ufficiali ai cittadini
italiani che avevano affari nel Ticino.
91
In tutto questo Giuseppe Vanelli, in seguito a problemi
giudiziari (pare fosse stato coinvolto in una lite, ma l’episodio
non è chiaro), era scappato in Piemonte, e aveva lasciato la
direzione della rivista, prima della soppressione, a Pietro Peri e
al giurista Antonio Albrizzi. Proprio in una lettera a questi due,
Vanelli parlò eccitato di grandi novità dal Piemonte, alludendo
certamente all’imminente sollevazione del ‘21, nella quale
sperava con tutto il cuore, e che avrebbe raccolto ben presto
anche l’entusiasmo di tutto il Canton Ticino. Scrive Martinola:
«Scoppiata poi nel marzo del ’21 la rivoluzione anche in Piemonte, il
Governo ticinese conobbe momenti di autentica paura nel timore che la
rivoluzione, guadagnando la Lombardia e lambendo il Ticino, animasse
a passare ai fatti quei liberali luganesi che, avendo dovuto subire una
Costituzione non voluta, avevano dato ripetuti segni di volersene
liberare tanto che fin dal novembre dell’anno prima, rinnovandosi i
poteri cantonali, avevano tentato, benché poi soccombenti, di rovesciare
il Governo con chi lo guidava e liberalizzare il paese come promettevano
di fare con scritte elettrizzanti, quali Costituzione o Morte, apparse nei
caffè e sulle cantonate. Non erano dunque sospetti gratuiti e paure
esagerate, come parve poi alla Confederazione, se a cose passate risultò
svelato un preciso piano rivoluzionario che prevedeva di impadronirsi
dell’arsenale, armare i braccianti che lavoravano allo stradale del S.
Bernardino e, liberato il paese dal regime austriacante, appoggiare la
rivoluzione nell’alta Italia alla quale, si legge scritto, il Ticino si sarebbe
92
aggregato. Ma col fallimento della rivoluzione piemontese il piano
rientrò»150.
A seguito della soppressione del giornale, Veladini andò
incontro a serissimi problemi economici che lo costrinsero a
chiedere aiuto al governo e ad impegnarsi in una condotta
assolutamente irreprensibile, come effettivamente sarà da
questo momento in poi. La tipografia Veladini durò fino al 1925.
Giuseppe Vanelli, invece, tornato nel Ticino, avviò un
progetto tutto suo. Il 7 gennaio del 1823 , infatti, mandò avanti le
pratiche per l’apertura di una nuova tipografia, questa volta
sotto la ragione sociale Ditta Giuseppe Vanelli &Comp..
La tipografia aveva come soci fondatori oltre a Vanelli, Pietro
Peri, Antonio Airoldi e Giuseppe Ruggia. Si trattava di quattro
figure piuttosto attive e conosciute nel Canton Ticino.
Pietro Peri, giornalista e letterato, apparteneva alla piccola
nobiltà luganese ed aveva già collaborato con Vanelli nella
precedente tipografia. Antonio Airoldi veniva, invece, dalla
borghesia mercantile ed era un convinto liberale che all’epoca
della fondazione della ditta tipografica aveva già avuto i suoi
guai con il governo austriaco. Martinola lo descrive come un
«'fanatico' nel libro nero dell’Austria che ancora nel ’32 gli
negava l’ingresso in Lombardia»151.
Giuseppe Ruggia, invece, nato a Lugano il 22 giugno 1782 , era
l’unico che proveniva, in verità, da un ambiente molto diverso
150 Giuseppe Martinola, Un editore luganese del risorgimento. Giuseppe Ruggia, Fondazione Ticino Nostro, Lugano, 1985, p. 20. 151 Ivi, p. 17.
93
da quello editoriale. Aveva ereditato dal padre la professione di
farmacista, e in poco tempo era diventato un chimico conosciu to
ed apprezzato. Esperto di veleni, veniva spesso assunto come
perito nelle cause di veneficio. Quella più importante vide come
protagonista, nel 1827, nientemeno che il landamano Giovanni
Battista Quadri, vittima di un intrigo ordito ai suoi danni. Gli
erano stati offerti, infatti, da parte di un’ignara popolana, tre
volatili imbottiti di arsenico. Ne derivò un clamoroso processo
nel quale Ruggia ebbe il compito di ispezionare la prova del
delitto.
Ad ogni modo, Giuseppe Vanelli, non ebbe il tempo di vede re
molto della sua nuova attività. Affetto da idropisia, morì nel
marzo del 1824, appena un anno dopo l’apertura dell’officina. La
società continuò con la medesima ragione sociale fino al ’27 e
nel frattempo le azioni di Vanelli vennero rilevate da Frances co
Romagnoli, noto liberale che, insieme al fratello, aveva preso
parte ai moti del ’21 ed era stato condannato a vent’anni di
carcere. Romagnoli, fuggito in tempo, aveva trovato riparo a
Roveredo e in seguito si era trasferito a Lugano. Nella tipografia
di Vanelli, e poi in quella di Ruggia, ebbe sostanzialmente
mansioni amministrative, ma dovette guardarsi più volte dal
governo austriaco che ne chiedeva costantemente
l’allontanamento dal Canton Ticino. Ad ogni modo, restò a
Lugano fino al 1830, quando accetto di passare alla Tipografia
Elvetica di Capolago della quale divenne direttore nel 1847.
94
La sua guida diede una svolta politica alla stamperia,
trasformandola in un punto di riferimento fondamentale per i
rivoluzionari italiani. Fra coloro che facevano capo alla
tipografia vi erano, tra gli altri, Cesare Balbo, Francesco
Guerrazzi, Vincenzo Gioberti, Francesco Dall'Ongaro, Giuseppe
La Farina, Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari, Carlo Rusconi e
Niccolò Tommaseo. I loro testi venivano stampati e introdotti
clandestinamente in Italia soprattutto ad opera di Luigi
Dottesio, patriota di idee mazziniane, che proprio per questo
motivo venne arrestato il 12 gennaio 1851 e impiccato a Venezia
l’11 ottobre dello stesso anno. La sua morte si andò ad
aggiungere alle schiaccianti pressioni politiche e alle difficoltà
finanziarie che determinarono la chiusura della tipografia nel
marzo del 1853. Ma i tempi ormai erano maturi e da lì a un
decennio l’Italia avrebbe trovato davvero la strada per
quell’indipendenza nella quale avevano tanto creduto, e per la
quale si erano tanto spesi, anche i patrioti della Svizzera
italiana.
LA MILITANZA POLITICA E CULTURALE DI GIUSEPPE RUGGIA
La tipografia di Giuseppe Vanelli si sciolse ufficialmente il 14
maggio 1827, quando Giuseppe Ruggia chiese ai soci di poterla
rilevare a suo nome. Veniva così a costituirsi, il 13 giugno dello
stesso anno, una nuova attività sotto la ragione sociale Ditta
Giuseppe Ruggia e Comp..
95
La società era composta, come prima, da Giuseppe Ruggia,
Pietro Peri e Antonio Airoldi, ai quali si era aggiunto, però, un
nuovo membro, Giacomo Ciani, esule lombardo che, come si e
detto, aveva preso parte ai moti del ’21 trovando poi rifugio nel
Canton Ticino. Francesco Romagnoli, invece, non più socio,
rimase nella tipografia come dipendente solo per i primi anni,
per poi passare, come si è visto, all’Elvetica di Capolago. Il
marchese Giuseppe Arconati provvide di suo a due torchi e
continuò, nei momenti di difficoltà, a sostenere generosamente
l’attività.
La sede della tipografia cambiò tre volte. Da via Canova n. 105
si sposto , infatti, nel settembre del 1829, nella contrada di Verla
al n. 186 e infine, nel ’33, nella Villa Farina, proprieta della
famiglia Ciani. Giuseppe Ruggia, invece, abitò sempre in via
Canova.
A un anno di distanza dall’apertura della tipografia vennero
aperte anche una cartoleria e una libreria. La cartoleria forniva
tutto l’occorrente per la corrispondenza (carta, penna, calamaio
etc…), mentre la libreria si dedicava, almeno inizialmente, a libri
scolastici, storici o letterari. Non passò molto, comunque, che la
tipografia prese la piega più marcatamente liberale che era nel
suo destino. Inoltre si avviò il progetto di un giornale, il
«Corriere Svizzero», che sarebbe divenuto il diretto concorrent e
della «Gazzetta» di Veladini.
Il «Corriere Svizzero» vide la luce per la prima volta
nell’aprile del 1823. Vi lavorava un numeroso gruppo di
96
intellettuali liberali: Stefano Franscini (esponente di spicco del
Partito Liberale Radicale ticinese), Giacomo Luvini-Perseghini e
Bernardo Vanoni (intellettuali e politici di Lugano), l’avvocato
Giovanni Battista Riva («ricco liberale e fanatico esaltato» 152) e
talvolta anche l’avvocato Giovanni Battista Monti (Consigliere di
Stato). Consulente, correttore di bozze e traduttore era invece il
profugo vicentino Vincenzo Pagani, ma non di rado Ruggia si
avvaleva anche del supporto dei due esuli piemontesi Carlo
Modesto Massa e Francesco Bonardi (il quale, sempre in
contatto con Parigi, favoriva il contrabbando delle opere
stampate in Francia).
La linea editoriale del giornale è facilmente intuibile:
«Pur attenendosi a una linea controllata, nella dosatura, nel taglio
delle notizie, nella scelta delle gazzette dalle quali attingeva, il Corriere
lasciava trasparire a un lettore perspicace da quale parte stava, di quali
fermenti brulicassero le sue colonne. Seguiva con trasparente simpatia
la causa spagnola, biografava volentieri i capi del libe ralismo, salutava
la liberazione della Bolivia, esaltava la costituzione liberale largita da
don Pedro al Portogallo, dava sempre più spazio agli accesi dibattiti
della Camera francese sotto i due Borboni della Restaurazione» 153.
Con il ’29 e l’aumento delle pressioni da parte delle autorità,
il giornale si fece ancor più agguerrito, tanto che si arrivò a
concludere l’esperienza del «Corriere» per iniziarne una nuova,
e più dichiaratamente battagliera, con «L’Osservatore del
Ceresio».
152 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 25. 153 Ivi, p. 26.
97
«L’Osservatore», nato il 2 gennaio 1830, aggiunse nel ’33 il
sottotitolo di Giornale politico, di scienze, arti e commercio e nel
’34 quello di Giornale repubblicano federale . Negli anni il
periodico si schierò duramente contro ogni restrizione della
libertà di stampa, ed ebbe sempre un’attenzione particolare per
la causa italiana. Della rivoluzione del ’31 negli Stati della
Chiesa, scriveva: «Gli Italiani soccombono un’altra volta,
soccombono senza gloria, soccombono col crudele
presentimento di riportar biasimo e taccia di fiacchezza e
vigliaccheria»154. Le pubblicazioni durarono fino al dicembre del
1834.
Altro giornale uscito dalla tipografia di Giuseppe Ruggia fu il
«Repubblicano della Svizzera italiana», che vide la luce il 20
gennaio del 1835. Fino al ’42 fu stampato dalla tipografia Ruggia,
in seguito dalla Tipografia della Svizzera Italiana, cessando
definitivamente nel ‘79.
Il giornale portava in epigrafe la massima: «Tre cose siano
poste a salvare la Repubblica: la costituzione delle leggi, la virtù
dei magistrati, le accuse dei vizj»155. E il manifesto di lancio
chiariva che il periodico era destinato a tutto il Canton Ticino e
ai «buoni vicini delle italiane vallate della Rezia» 156. Anche
questo giornale, dunque, confermava la linea seguita dai
precedenti, dando notizia della cronaca del Ticino ma sempre
154 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 149. 155 Ivi, p. 193. 156 Ibidem.
98
guardando con attenzione all’Italia. A proposito di questo, scrive
Martinola:
«Il giornale […] ospitò corrispondenze sulle operazioni poliziesche
in Lombardia e nello Stato pontificio, denunciò ripetutamente lo
spionaggio austriaco nel Ticino, confutò le ricorrenti proteste del
Governo di Milano, difese, quand’era necessario, i profughi colpiti: nel
luglio del ’35, per esempio, difendeva Francesco Antonio Piazzoli,
nell’ottobre insorgeva contro il negato permesso di soggiorno al
principe di Belgioioso che ogni anno soleva passare un mese a Lugano,
nel febbraio del ’37 difese strenuamente il dott. Carlo Rezia di Porlezza,
benemerito verso i poveri infermi, di cui Milano chiedeva
imperiosamente l’espulsione: e così di seguito»157.
Ad ogni modo non fu solo l’attività tipografica legata ai
giornali a regalare la fama di pericoloso sovversivo a Giuseppe
Ruggia. Le scelte editoriali fatte dalla tipografia negli anni
mostrano chiaramente per quale motivo l’attività dello
stampatore non potesse che impensierire le autorità. Oltre alla
stampa di libri scientifici di chimica e di botanica (legati
soprattutto ad interessi personali di Ruggia), la tipografia si
occupò naturalmente anche di letteratura e saggistica, dando
per lo più spazio ad autori importanti ma anche, all’occorrenza,
a opere di modesto valore (libretti di vario intrattenimento e
romanzi brevi tradotti dall’inglese o dal tedesco). Nei titoli e
negli autori pubblicati, però, è sempre evidente il fortissimo
intento di militanza politica e culturale di Giuseppe Ruggia. Nel
1827, ad esempio, uscirono dalla tipografia di Lugano alcune 157 G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., pp. 194-95.
99
ristampe delle tragedie di Giovanni Battista Niccolini, come noto
inneggianti alla libertà e all’indipendenza italiana. Nel periodo
tra il ’28 e il ’32 , invece, la tipografia si impegnò in traduzioni di
saggi politici (provenienti dalla Francia e dall’Italia) che
diffondevano le dottrine del liberalismo o del socialismo
cosiddetto utopistico.
Tra gli autori pubblicati ricorrono naturalmente numerosi
patrioti ed esuli italiani. Nel ’29, ad esempio, dopo essersi
rivolto a Giuseppe Ruggia su consiglio di Vieusseux, il livornese
Enrico Mayer poté stampare a Lugano il suo volumetto dal titolo
Il pianto d’Italia e il Nome di Patria , opera in versi nella quale
l’autore compiangeva l’Italia in ginocchio, elogiando i nomi
illustri dei compatrioti condannati a morire in carcere o sotto
cieli stranieri.
Altro autore pubblicato da Ruggia fu il pesarese Terenzio
Mamiani, politico legato a Cavour, arrestato nel giugno d el ’31
per aver cercato di dar vita ai moti insurrezionali in Romagna e
in Toscana. Mamiani aveva affidato nel ’30 un manoscritto a suo
cugino perché fosse mandato a Lugano, e qui il volume era
uscito a stampa col titolo Rime volgari di Arnaldo . Nel corso del
processo a suo carico gli venne chiesto perché avesse fatto
stampare proprio a Lugano le sue poesie. Mamiani rispose che
«essendo sparse di pensieri liberali non si sarebbero potute fare
imprimere negli Stati Pontifici»158. Confermando, quindi, la
preoccupazione degli inquirenti che numerosi volumi proibiti
158 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 102.
100
venissero stampati nel Ticino e fatti entrare di contrabbando
non solo nel Lombardo-Veneto ma in tutta Italia.
Celebre patriota italiano in contatto con Lugano era anche
Tullio Dandolo, padre dei noti sovversivi Emilio ed Enrico
Dandolo, protagonisti delle cinque giornate di Milano. Tullio
Dandolo non era ricercato dalla polizia ma avendo nascosto
nella sua tenuta diversi insorti dei moti del ’21, era tenuto sotto
stretta sorveglianza dalle autorità austriache, tanto da decidere
di affidare a Ruggia, e non alle tipografie di Varese, la stampa di
un volumetto tutto sommato innocuo, Una state a Varese e suoi
dintorni. Lettere ad Erminia (che uscì nel ’25 a Lugano, per
giunta in forma anonima).
Attorno al ’24 Giuseppe Ruggia ebbe modo di conoscere un
altro noto patriota italiano, grande amico di Berchet e a sua
volta disperso in esilio, Camillo Ugoni. Il bresciano trovò subito
una grande intesa con il tipografo luganese, lavorando per lui
alla traduzione degli scritti inglesi di Foscolo su Petrarca 159 e poi
a quella delle prose critiche di Goethe su Manzoni 160. Entrambe
uscirono in forma anonima dal momento che l’autore non volle
azzardarsi a far comparire sul frontespizio neppure le sue
iniziali, come avrebbe invece preferito lo stampatore.
Giuseppe Pecchio, invece, entrò in contatto con Giuseppe
Ruggia, forse per tramite di Ciani, attorno al 1824, e fu l’inizio di
159 Ugo Foscolo, Saggi sopra il Petrarca, [traduzione di Camillo Ugoni], Vanelli e comp., Lugano, 1824. 160 Johann Wolfgang Goethe, Interesse di Goethe per Manzoni, [traduzione di Camillo Ugoni], Ruggia e comp., Lugano, 1827.
101
una lunga e felice collaborazione. Pecchio, tra l’altro, non chiese
mai alcun compenso all’editore al quale mandava i propri
manoscritti sempre in regalo. Ruggia diede alle stampe dieci sue
opere, ed ebbero tutte un notevole successo. Si trattava
naturalmente di pubblicazioni dal contenuto fortemente inviso
al governo. Nel 1826, ad esempio, usciva il saggio Un’elezione di
membri del Parlamento in Inghilterra 161, volume scritto, a detta
dell’autore, per mostrare all’Italia cosa fosse la libertà. Ancor
più compromettente era certamente, nel ’27, L’anno mille
ottocento ventisei dell’Inghilterra162, che dava libero sfogo
all’odio anti austriaco in più di un passo. L’Austria era definita
«un corpo opaco che non dà né riceve luce»163. Scriveva Pecchio:
«Che importa al ben essere del genere umano, ai progressi, al
perfezionamento della mente umana la lunga vita di quegli imperi che
non hanno conferito alcun bene alla società? Che desiderio, che dolori
lascerebbe dietro di sé l’Austria, per esempio, se scomparisse fra i
governi europei? Essa, in oggi più che mai, si è fatta il dragone de gli orti
esperidi, che non permette che si colgano i pomi d’oro, e con lo stolido
intento d’arrestare la marcia dell’Europa, sacrifica due nazioni,
l’italiana e l’ungarese, nate per brillare sul teatro del mondo»164.
Sempre di Pecchio (ma in forma anonima), con il falso luogo
di Filadelfia, e la falsa indicazione tipografica 'per Androfilo
161 Giuseppe Pecchio, Un'elezione di membri del Parlamento in Inghilterra, Vanelli e comp., Lugano, 1826. 162 Giuseppe Pecchio, L'anno mille ottocento ventisei dell'Inghilterra, Vanelli e comp., Lugano, 1827. 163 G. Pecchio, L’anno mille ottocento venti sei cit., citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 81. 164 Ibidem.
102
Filoteo', usciva nel ‘30 un’altra opera dal contenuto fortemente
sovversivo. Riprendendo lo spirito del ’21, si invitavano tutti gli
italiani a tenersi pronti a insorgere contro l’Austria e a cacciarla
via per sempre. L’appello all’intera nazione era insito nel titolo,
fortemente provocatorio: Catechismo italiano ad uso delle scuole,
dei caffè, delle botteghe, taverne, bettole e bettolini ed anche del
casino dei nobili e semminarj. Con approvazione e licenza del
senso comune165.
Altro celebre esule italiano legato a Ruggia fu il conte
Giovanni Arrivabene. La presentazione tra i due avvenne
probabilmente per tramite dei coniugi Arconati che di Ruggia
erano intimi amici e si recavano spesso a trovarlo, non
mancando di sostenere la tipografia nei momenti di difficoltà.
Persino nel quieto isolamento di Gaasbeek i legami tra i coniugi
e Lugano non si interruppero mai. Gli Arconati, infatti, sentivano
regolarmente l’amico Ruggia, affidando a lui anche la loro
corrispondenza per gli amici e i parenti di Milano, confidando
nei suoi mezzi per farla arrivare di contrabbando a destinazione.
Ruggia raccoglieva anche le lettere che la madre di Costanza,
Antonietta, gli inviava, perché arrivassero in Belgio.
Per Ruggia, Arrivabene mise a disposizione le sue conoscenze
di economia e sociologia, dando anche conto delle novità
apprese negli anni di Londra, passati a contatto con personalità
come James Mill. Per questo motivo il conte può essere
165 [Giuseppe Pecchio], Catechismo italiano ad uso delle scuole, dei caffè, delle botteghe, taverne, bettole e bettolini ed anche del casino dei nobili e semminarj. Con approvazione e licenza del senso comune, [Ruggia e comp.], Filadelfia, 1830.
103
considerato uno dei pionieri, in Italia, del liberismo della scuola
britannica.
Nel ’33, battendo sul tempo l’Elvetica di Capolago, la
tipografia Ruggia diede alle stampe le Addizioni di Maroncelli in
un’edizione delle Mie prigioni di Pellico166. E nello stesso anno
fece uscire anche una ristampa dei Ragionamenti167 di Cesare
Cantù con l’aggiunta di un capitolo dedicato all’Innominato. Il
testo, un accurato commento ai Promessi Sposi di Alessandro
Manzoni, lasciava trasparire la fortissima insofferenza per il
dominio austriaco nel Lombardo-Veneto, tanto che l’inquisitore
Zaiotti, a proposito dell’opera, osservò: «Cantù fa due passi
verso la gloria, tre verso la galera»168.
Attorno al 1829, inoltre, parte di quel gruppo di esuli che era
solito intrattenere rapporti con la tipografia di Lugano, propose
a Giuseppe Ruggia il progetto di una rivista (mai realizzata) che
avrebbe avuto il nome di «Rivista Italiana»169. Il progetto era
stato ideato da Giacomo Ciani che aveva poi coinvolto, in qual ità
di collaboratori, Giuseppe Pecchio, Giovanni Arrivabene, Camillo
Ugoni e Giuseppe Arconati. Direttore della rivista sarebbe stato
Pellegrino Rossi e vicedirettore Giovita Scalvini (che in quel
periodo si trovava a Parigi). Inoltre Victor Cousin, interp ellato
di persona da Scalvini, diede la sua disponibilità a scrivere
166 Silvio Pellico, Le mie prigioni colle addizioni di Piero Maroncelli, Ruggia e comp., Lugano, 1833. 167 Cesare Cantù, Sulla storia lombarda del secolo XVII. Ragionamenti per commento ai Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, Ruggia e comp., Lugano, 1833. 168 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 190. 169 Si veda a tal proposito Laura Sala Quaranta, «Rivista italiana». Storia di una rivista risorgimentale mai pubblicata, in «Bollettino storico della Svizzera italiana», volume LXXIII, 1961.
104
l’articolo di lancio. Come si è detto, il progetto non andò a buon
fine, anche se uscirono comunque per i tipi di Ruggia alcuni
articoli preparati per la rivista (come il saggio di Giovit a Scalvini
sui Promessi Sposi170).
Ma il più celebre dei rivoluzionari con il quale entrò in
contatto Giuseppe Ruggia fu certamente Giuseppe Mazzini. I
rapporti tra i due cominciarono attorno al ’32 e durarono nel
tempo. Oltre a proposte di edizioni, co-edizioni e riviste (per lo
più rimaste irrealizzate), tra i due ci fu soprattutto unità
d’intenti. Mazzini si fidava ciecamente di Ruggia tanto da
contare su di lui per far entrare di contrabbando in Italia
opuscoli di propaganda o materiali di altro genere. A ttorno al
’33, ad esempio, aveva consigliato al carbonaro Gaspare Rosales
di servirsi di Ruggia per far giungere a destinazione un
messaggio scritto con inchiostro simpatico sui margini «di un
libro innocuo, di un giornale servile»171.
Del resto Giuseppe Ruggia non era noto solo per la
produzione di stampa propagandistica, ma anche per praticare
regolarmente il contrabbando approfittando di una linea di
confine molto estesa e difficilmente controllabile. Lo praticava
per vari canali, sfruttando i boschi, le strade montane o le vie
d’acque. E poteva, naturalmente, contare anche su diversi
complici: dalla parte di Locarno, ad esempio, il rifugiato
piemontese Pietro Olivero, e dalla parte di Ponte Tresa i fratelli
170 Si veda p. 66. 171 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 176.
105
Giovanni, Giuseppe e Antonio Stoppani. Il contrabbando era di
vario genere. Naturalmente, come si è visto, il tipografo si
premurava soprattutto di far entrare in Italia le proprie
edizioni, o quelle in generale utili alla causa, camuffate spesso
con copertine e frontespizi falsi. Ma si occupava anche di
trasmettere la corrispondenza degli amici esuli (secondo alcuni
aneddoti, nascosta nei pesci sventrati e poi ricuciti). In qualche
caso pare avesse fatto entrare in Italia anche delle armi,
utilizzando dei tronchi d’albero svuotati, affidati ai corsi
d’acqua.
Ad ogni modo, la condotta del tutto spregiudicata di Giuseppe
Ruggia non passò inosservata agli occhi delle autorità del
Canton Ticino che, regolarmente incalzate dal governo austriaco,
cercarono di mettere più di una volta un freno alla
sfacciataggine del tipografo luganese. Una significativa
occasione di scontro avvenne, nel 1826, con la pubblicazione di
alcune poesie inedite di Carlo Porta, Raccolta di poesie inedite in
dialetto milanese coll’aggiunta della Prineide e di alcune altre
anonime172. L’edizione era stata realizzata probabilmente grazie
all’aiuto di Teresa Kramer Berra, cugina di Pietro Peri. Figlia di
un celebre avvocato milanese e moglie dell’industriale Carlo
Kramer (grande amico di Tommaso Grossi), Teresa Kramer
Berra era una convinta rivoluzionaria che si era adoperata per i
moti del ’21, trasferendosi poi in Europa. Doveva esser stata lei
172 Carlo Porta, Raccolta di poesie inedite in dialetto milanese coll'aggiunta della Prineide e di alcune altre anonime, s.n., Italia [Lugano], 1826.
106
a consegnare le poesie inedite (ricevute forse da Grossi) al
cugino perché venisse allestita l’edizione (come si evince da una
sua lettera a quest’ultimo, intercettata dalla polizia austriaca:
«Come andò l’affare delle poesie? Non ne so più nulla»173).
Questa edizione, a detta del governatore della Lombardia
Strassoldo, conteneva poesie offensive verso il buon costume e
ingiuriose verso l’Austria, e si chiedeva al governo del Cantone
di intervenire in qualche modo nel contenere la condotta delle
tipografia di Ruggia. Strassoldo trovò dalla sua parte Giovan
Battista Quadri che nel medesimo anno ammetteva fossero state
stampate anche «altre dispregevoli operette di simile
materia»174, alludendo certamente ad alcune opere di Pecchio, e
forse anche alle raccolte poetiche di Berchet, stampate da
Ruggia, con il falso luogo di stampa di Londra, proprio in questo
periodo.
Ad ogni modo Quadri riteneva che l’Austria dovesse esser
messa nelle condizioni di fidarsi del Canton Ticino che fino ad
ora si era mostrato uno stato di dubbia fama per il diritto d’asilo
concesso a numerosissimi esuli del Lombardo-Veneto, e per una
stampa ostinatamente liberale al limite del sovversivo. Così,
deciso a voler mantenere ottimi rapporti con Milano, provò in
tutti i modi a far approvare misure di censura preventiva sulla
stampa e intraprese una vera e propria guerra contro la
tipografia di Ruggia. La stamperia venne regolarmente
173 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 51. 174 Ivi, p. 52.
107
perquisita, multata e minacciata, tanto che il tipografo intentò
una causa per dimostrare di essere costantemente vittima di
soprusi. Il processo finì in un nulla di fatto, e i tentativi di
mettere un freno alla stampa da parte di Quadri continuarono.
La tipografia Ruggia, comunque, non rimase inerte. Il 19 giugno
del 1827, proprio mentre veniva richiesto al parlamento di
decidere a favore della censura preventiva, la stamperia
produsse in tutta fretta svariati esemplari di un opuscolo,
Osservazioni sul progetto di legge sottoposto al gran consiglio ,
che venne poi distribuito ai deputati che si apprestavano a
votare. La «Gazzetta Ticinese» di Veladini, invece, si asteneva
dal prendere posizioni scomode, vantandosi, anzi, di andare «in
cerca di fatti e non di opinioni»175.
Con la tipografia di Veladini tornò a scontrarsi più volte
Giuseppe Ruggia, dando, con le sue parole, un chiaro profilo del
suo modo di intendere l’attività tipografica:
«Limitatevi, Signor Veladini, a pubblicare Taccuini, Calendari,
Breviarj, annuarj, catechismi ecc. È questa la vostra missione […]. È
questo il vostro esercizio d’un arte libera che non sapeste nemmeno
difendere quando fu in pericolo di essere annientata» 176.
«Se la nostra tipografia non conta trentasei anni di esistenza come la
vostra, ha l’onore di dirvi che, indipendente da ogni estranea influenza,
ha nei suoi quindici anni percorso una carriera onorevole; e che
dedicata unicamente al progresso della civiltà , ha essa solo dato a luce
in uno o due anni più opere degne della pubblica stima che non ne
175 Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 63. 176 Ibidem.
108
stampaste voi in trentasei; e potremmo anche dirvi che quando la
tipografia nostra si è adoperata a difendere e a sostenere la libertà
repubblicana, altrettanto voi, più lombardi che svizzeri, vi siete
adoperati in senso contrario»177.
Attorno al 1837, però, la tipografia cominciò ad entrare
seriamente in crisi. La situazione economica della società
permise alla stamperia di tirare avanti solo per pochi anni.
Giuseppe Ruggia morì il 29 luglio 1839, lasciando tutto al
fratello Pietro; nel suo testamento si firmò «farmacista e
tipografo». Pietro mandò avanti la stamperia fino al 1842,
quando la società si sciolse definitivamente per essere rilevata,
nel ’51, da Giacomo Ciani, mutando la ragione sociale in
Tipografia della Svizzera Italiana.
Giuseppe Ruggia fu insomma uno dei principali punti di
riferimento per i patrioti italiani negli anni del risorgimento.
Qualche anno prima della morte del tipografo, Filippo Ugoni,
parlando di lui in una lettera a Sismondi, lasciava trasparire
tutta la stima, e allo stesso tempo l’affetto, che aveva suscitato
in molti lo stampatore luganese, dando un ritratto chiaro della
fama che si era costruito nel tempo Giuseppe Ruggia:
«L'amico Ruggia merita tutto dagli affezionati alla causa nostra. La
sua stamperia in Lugano è una batteria formidabile contro i nostri
nemici. […] Davvero, […] egli s'è meritato lo Spielberg le mille volte; e
spesso gli oscuranti di questo cantone e gli oscuranti ssimi di Milano lo
177 Sul «Repubblicano» del 18 giugno 1836. Citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 65.
109
hanno fatto soffrire molto anche nella borsa; egli protegge qui i liberali
d'Italia non solo come stampatore, ma in ogni modo che può» 178.
LA SECONDA EDIZIONE DELLE FANTASIE
Sul finire degli anni ‘20, il nome di Giovanni Berchet non
suonava certo nuovo a Lugano, specie tra le persone legate
all’attività di Giuseppe Ruggia. Noto per aver preso parte ai moti
del ’21 che ne avevano causato l’esilio, la sua produzione poetica
londinese, imbevuta di spirito risorgimentale, non era certo
passata inosservata da quelle parti. Qui, del resto, circolavano
figure vicinissime al poeta. Come si è visto, Giovanni Arrivabene
e Giovita Scalvini avevano avuto modo di lavorare in diverse
occasioni con la tipografia di Giuseppe Ruggia. E i coniugi
Arconati, amici di lunga data, nonché finanziatori dello
stampatore, si tenevano costantemente in contatto con lui,
concedendosi numerose visite a Lugano. Altro amico comune di
Berchet e Ruggia era naturalmente Giacomo Ciani, socio della
ditta tipografica, che regolarmente portava a Lugano le novità
editoriali nelle quali si imbatteva durante i frequenti soggiorni a
Parigi (dove aveva modo di rivedere, o di avere notizie, degli
amici dispersi in esilio). E, in verità, altra figura che legava
Giovanni Berchet alla tipografia di Ruggia era anche l’amica del
poeta, Teresa Kramer Berra, cugina di Pietro Peri (socio di lunga
data della stamperia). Come si è detto, in un album della patriota
178 Citazione tratta da Giuseppe Calamari, Lettere di Camillo e Filippo Ugoni al Sismondi, in «Rassegna storica del Risorgimento», 1938, p. 662.
110
risulta anche copiata la poesia Matilde, alla data del 19 marzo
1825.
Non è difficile immaginare che proprio per queste vie il
tipografo luganese ebbe modo di trovarsi tra le mani le romanze
di Giovanni Berchet, quelle composte tra il 1824 e il 1826 . Del
resto queste poesie per entrare di contrabbando in Italia
dovettero per forza passare per la Svizzera. Talvolta era stato lo
stesso poeta a chiedere che fossero così introdotte in Italia, e
probabilmente in uno dei suoi viaggi a Lugano, Costanza
Arconati, o qualche altro amico, si affidò proprio all’esperienza
del 'contrabbandiere' Ruggia per raggiungere lo scopo.
Fatto sta che, venuto in possesso di un materiale più che
prezioso, senza troppi indugi Ruggia pensò di trarne un’edizione
a stampa. Edizione che dovette avere, tra l’altro, notevolissimo
successo visto che vi seguirono numerose ristampe, tra il 1826 e
il 1832, e qualcuna anche negli anni seguenti . Di queste edizioni
il poeta, chiuso nella solitudine di Londra, non seppe
probabilmente nulla per molto tempo visto che ancora nel
maggio del ’29 , a proposito dello stampatore, confessava alla
marchesa: «Ruggia io non so chi sia»179.
Ma la necessità di chiedere il permesso di Berchet per
l’edizione a stampa non dovette neppure sfiorare la mente di
Ruggia che era solito agire in modo molto pragmatico, senza
andar troppo per il sottile, quando si trattava di metter fuori
179 Lettera datata Londra, 26 maggio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 213.
111
delle edizioni utili alla causa. Un racconto di Angelo Somazzi,
noto liberale che aveva collaborato all’«Osservatore del
Ceresio», risulta efficace per chiarire il modus operandi del
tipografo:
«In quello stesso anno 1830 circolavano di celato per le mani dei
giovani studenti in Lombardia le poesie manoscritte di Giovanni
Berchet. Io le lessi e ne tenni copia, come di un modello del genere
romantico nuovo in Italia. […] Io affidai a Pietro Peri il mio manoscritto,
ed egli, invaghito di quelle romanze, le diede poi, a mia insaputa, al
tipografo Ruggia, che le pubblicò coi suoi tipi, e ne fece grande spaccio,
essendo ricercatissime»180.
Ad ogni modo, nel 1829 dovette giungere a Lugano anche
qualche copia dell’edizione parigina delle Fantasie, uscite per i
tipi di Delaforest. E non è difficile immaginare che a portare
l’opera possa esser stato Giacomo Ciani nel corso di qualche
visita a Parigi. La romanza conquistò, naturalmente, Giuseppe
Ruggia che in essa vide un valido supporto alla propaganda
liberale. Tra l’altro, l’edizione parigina delle Fantasie, come si è
visto, era stata prodotta in un numero modesto di esemplari. Il
tipografo dovette, quindi, intuire che ve ne sarebbe stata
richiesta.
Nello stesso anno, dunque, dalla tipografia di Ruggia uscì
quella che sul frontespizio era definita una 'seconda edizione'
delle Fantasie, con consueta falsa indicazione: Londra, nella
stamperia di R. Taylor, Shoe-Lane, 1829.
180 Citazione tratta da F. Mena, Stamperie ai margini d’Italia cit., p. 291.
112
La tipografia Taylor era nata nel 1803 a Londra, in Fleet
Street e successivamente si era trasferita in Shoe Lane. L’aveva
fondata lo stampatore e naturalista Richard Taylor, in società
con il fratello, e la loro attività durò fino al 1852. Il nome di
Taylor ricorre costantemente nelle edizioni contraffatte di
Giuseppe Ruggia, e infatti anche le sue edizioni delle Poesie di
Berchet riportavano sul frontespizio il nome di questo
stampatore. Difficile dire se il poeta entrò mai nella tipografia di
Taylor. Forse stampò davvero qualche foglio presso Taylor, e
forse proprio per questo il nome del tipografo londinese fu
utilizzato da Ruggia per le sue contraffazioni. Ma come si è visto,
Berchet non riteneva sicuro stampare in Inghilterra e
probabilmente a Londra fece imprimere solo qualche foglio
volante (come Clarina, ad esempio, stampata su un foglio che
riportava in fondo le iniziali dell’autore: G.B.). Tuttavia questi
fogli, privi di indicazioni tipografiche, non permettono di capire
se Berchet entrò mai davvero in contatto con lo stampatore
Richard Taylor.
Ad ogni modo, nel rifare nuovamente l’edizione delle
Fantasie, Giuseppe Ruggia introdusse un cambiamento non da
poco. La lettera introduttiva dell’opera, che portava il titolo Agli
amici in Italia , risulta infatti rimossa. Al suo posto il tipografo
preferì inserire un ampio cappello introduttivo di venti pagine
dal titolo Ragguagli storici .
La notizia di questa edizione dovette arrivare, per vie
traverse, a Berchet, il quale risentito per non esser stato
113
interpellato circa il cambiamento, chiese spiegazioni al
tipografo. La risposta dello stampatore, indirizzata a Berchet,
passò per le mani della contessa Arconati che cedette alla
curiosità di leggerla. Qui probabilmente Ruggia diede conto
delle sue scelte, o comunicò al poeta il contenuto della nuova
introduzione. Ad ogni modo, Berchet non si mostrò per nulla
disposto a lasciar correre il piccolo equivoco venuto a crearsi,
spiegando all’amica di ritenersi profondamente offeso:
«Ella mi domanda se ha fatto male ad aprire la lettera del Ruggia. Se
in ciò v’è cosa che dovesse spiacermi è questa sua domanda. Ho io
segreti per Lei? Ne ho più forse io per me stesso che non per Lei. Anzi le
dico schiettamente che mi ha rallegrato come una prova di buona
amicizia anch’essa questo di lei aprire le mie lettere. Le apra pur tutte
mi farà sempre ugual piacere. Questa poi villana del Rugg ia non
meritava i due scellini di porto ed è per risparmiare altri due che la
prego di leggere, sigillare, e mandar subito alla posta il mezzo foglio
d’altra parte. Credo c’Ella approverà la lettera che scrivo al Ruggia
serbandomi ignaro di quella ch’egli scrisse a me. Certe insolenze non
bisogna poi sopportarle come asinelli. Parmi d’avere menagé le
convenienze riguardo a Ciani ed all’Autore della prosa; ma il Ruggia
ch’io non so chi sia, perché risparmiarlo? D’altronde la lettera vada a
chi tocca. La spedisca subito; e mi dica se ho fatto bene»181.
Nella lettera emerge anche il nome di Giacomo Ciani. Come si
è detto, fu probabilmente lui a suggerire l’edizione a Giuseppe
Ruggia; Berchet si premurò quindi di evitare che la questione
andasse a intaccare i buoni rapporti con l’amico. Ma dalla lettera 181 Lettera datata Londra, 26 maggio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 213.
114
si evince anche che il poeta era del tutto all’oscuro circa l’autore
di questa nuova introduzione. Non conoscendo chi vi avesse
messo mano, dunque, Berchet scelse di muoversi con estrema
cautela. Anzi, nella lettera indirizzata allo stampatore mise in
chiaro di non essere in collera né per l’introduzione di per sé
(che, tra l’altro, dichiarava di non aver letto), né per il suo
autore (al quale diceva di dover, probabilmente, ammirazione).
Lo aveva, invece, infastidito, la leggerezza con cui si era unito in
un’edizione a suo nome, ciò che suo non era affatto. Anzi, la più
grande preoccupazione del poeta stava proprio nel temere che il
tipografo si fosse spinto fino al punto di dichiarare per autoriale
il testo nuovo. Scrive il poeta:
«Sr. Ruggia, Mi viene detto che nel ristampare le mie Fantasie , Ella si
sia fatto lecito, non solamente di sopprimere la prosa mia, ma ben anche
di sostituirne un’altra. Che la prosa mia non le piacesse è l’ultima delle
mie angustie. Ch’Ella l’abbia o no stampata è l’ultimo de’ miei pensieri.
Ma che Ella, trattandosi di un Autore tuttavia vivente, n’abbia falsata
l’intenzione, e scambiato lo scopo del Libretto, col mischiare al mio ciò
che non è mio, questo non so che in verun paese civilizz ato uno
stampatore lo possa fare di suo arbitrio, senza taccia d’inurbano, per
non dir peggio; né io potrei lasciare di lagnarmene, senza taccia di
passivamente balordo. Per poco ch’Ella avesse consultato l’ottimo Ciani,
od almeno che sia l’abic della buona creanza, avrebbe sentito che le
incumbeva rigoroso il dovere di chiedere prima licenza a me della
sostituzione da lei voluta. Mi affretto a portarle queste lagnanze prima
che mi capiti sott’occhio la prosa da lei sostituita; giacché ignaro affatto
come ne sono, non sento pesarmi sull’animo il timore di parer di fare
115
menomo torto all’autore di essa, a cui probabilmente dovrò la mia
ammirazione. Voglio credere ch’Ella, Sr. Ruggia, non avrà spinta la
soperchieria fino al segno di non dichiarare nell’Ediz.e da Lei fatta,
come la prosa da lei inseritavi non era lavoro mio. S’Ella non l’avesse
dichiarato in termini espliciti e precisi, vi ponga rimedio subito in modo
che pienamente mi soddisfaccia: altrimenti sarò costretto io a far
conoscere, per via de’ Giornali o come crederò meglio, la deviazione da
lei commessa dalle comuni regole della decenza e dell’onestà, e a dar
quindi a questo di lei atto il nome che più propriamente gli si compete.
Posso perdonarle un’inciviltà ma non posso nè deggio sofferire un
sopruso. In considerazione del buon amico Ciani aspetto fino al ritorno
del Corriere una di Lei risposta, prima di far nulla. Vorrei poterle
serbare parte di quella stima e di que’ riguardi che Le dovrei negare
affatto, ove alla scortesia Ella avesse aggiunto il fallo di porre il nome
mio a un lavoro d’altri, o di lasciar correre subdolamente come mio ciò
che non mi appartiene»182.
Come si è detto, Berchet allegò questa lettera alla
corrispondenza per Costanza, fiducioso che l’amica la
recapitasse a Giuseppe Ruggia. La lettera, invece, non arrivò mai
a destinazione. La marchesa, anzi, rimase tanto infastidita dalle
dure parole rivolte a un caro amico di famiglia, e a un difensore
della causa risorgimentale, che non pensò neppure di
trasmettere la lettera a Lugano. Al contrario riservò una
notevole strigliata al poeta. Ne derivò un battibecco che te nne
182 Lettera datata Londra, 26 maggio 1829. Citazione tratta da E. Li Gotti, Le disavventure editoriali d’un poeta cit., pp. 80-81.
116
occupati gli amici per diverso tempo. Scrive il poeta il 2 giugno
del 1829:
«Carissima Amica, Di quella mia lettera un tantino duretta Ella, me lo
lasci dire D.na Costanza Gentilis.a, Ella non ha capito niente. E come
d’ordinario avviene che chi male intende, peggio risponda, Ella mi ha
fatto dono d’una strapazzata, quando in buona coscienza Ella mi doveva
tutt’altro. Ma non mettiamo più il dito su questo tasto, e per carità non
facciam liti»183.
La piccola crisi con l’amica Costanza venne dunque a
risolversi. Tuttavia il poeta non poté esimersi dal tornare a
chiedere che una sua risposta al tipografo venisse recapitata.
Scrisse quindi una seconda lettera, dai toni più gentili chiedendo
all’amica di fare nuovamente da tramite:
«Non vado menomamente in collera perch’Ella non abbia spedita la
lettera al Ruggia. Ad onta di quello ch’Ella mi dice, avrei le mie buone
ragioni per lasciarla correre quella lettera. Tutta volta se Ella ama
meglio, bruci l’altra, e spedisca la qui unita ma o l’una o l’altra vada di
certo, per due forti ragioni, l’una ch’io voglio ignorare quella goffa
lettera villanissima scrittami da lui; e l’altra, perché non mi voglio dar
l’incomodo di pensar più oltre a questa corbelleria. Avrei mandato io di
qui oggi la lettera al Ruggia se non avessi temuto ch’Ella interpretasse
questo, come un trovarmi io seccato dalle osservazioni ch’Ella mi fece.
No davvero, non è per nulla così. Ad Arrivabene, più premuroso di non
183 Lettera datata Londra, 2 giugno 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 214.
117
offendere i conoscenti che di difendere gli amici, parrà duro il mio
contegno col Ruggia; e però non ne parli con lui, e faccia ella» 184.
Come si è visto, anche il conte Giovanni Arrivabene era
accorso a prendere le difese del tipografo, suscitando l’amarezza
di Berchet nel sentirsi messo da parte come «amico», a
vantaggio di un «conoscente».
La delusione di Berchet si riversò anche su Giacomo Ciani.
Inizialmente, il poeta si era trattenuto da prendere decisioni
drastiche in merito all’accaduto («far conoscere, per via de’
Giornali o come crederò meglio»), per rispetto all’amico, socio
della tipografia. Tuttavia non aveva saputo trattenersi dal
rimproverare a Ciani una certa mancanza di lealtà nei suoi
confronti. È del 21 ottobre 1829, infatti, una lettera dove l’amico
torna sull’argomento, respingendo le accuse del poeta di essers i
schierato dalla parte di Ruggia:
«Perché io ti ho rimandata la lettera del Ruggia, tu vuoi tirarne la
conseguenza che essa fu scritta di mio consentimento? Io non intendo
questa tua maniera di ragionare. Mi sembra, ch’egli era più naturale il
supporre, che io, avendo impedito al Ruggia di dirmi le sue ragioni, per
le quali si chiamava da te offeso o maltrattato, non poteva accettare la
tua commissione di rimandargli la lettera»185.
Insomma, pur fortemente contrariato dalla condotta di
Ruggia, Berchet dovette rassegnarsi, suo malgrado, a non poter
alzare troppo la voce con una persona che godeva di
184 Lettera datata Londra, 5 giugno 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 216. 185 Lettera datata Bellinzona, 21 ottobre 1829. Citazione tratta da Jacques Boulenger, Berchet et Costanza Arconati, in «Il Risorgimento italiano», 1913, p. 692.
118
grandissimo rispetto e fortissima amicizia presso molti esuli.
Anzi, forse il poeta a Londra, lontano dagli ambienti intellettuali
degli amici rimasti in Francia e in Svizzera, non aveva compreso
a pieno l’influenza di Giuseppe Ruggia, figurandosi di aver a che
fare con un tipografo di poco conto.
Ad ogni modo la principale preoccupazione di Berchet, quella
cioè di veder spacciata per sua un’introduzione scritta da altri,
si risolse con la firma 'Gli Editori' al termine dei Ragguagli
storici. Si continuava a lasciare all’oscuro, però, circa la mano
dietro al testo. E tuttavia ciò che più stupisce della condotta di
Berchet in questa vicenda è il suo assoluto disinteresse verso la
ristampa stessa. L’autore non pare minimamente interessato alla
maggiore diffusione che l’edizione di Ruggia avrebbe dato alla
sua opera. Al contrario, il poeta non accettò mai questa seconda
edizione, tanto che in una lettera del ’29 all’Arconati tornava a
precisare: «Ov’Ella scrivesse a Scalvini, lo spinga a non lasc iar
fuggire occasione di mandare in Italia, dove che sia ed a chi sia,
le poche copie che gli rimangono delle Fantasie, onde
contrapporle alla falsificazione di Lugano»186.
L’ACCOGLIENZA DELLE FANTASIE IN ITALIA E LA RECENSIONE DI MAZZINI
Uscite nei primi mesi del 1829, già a metà anno le Fantasie
presero a circolare in Italia riscuotendo un notevole successo.
186 Lettera datata Londra, 26 maggio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 213-14.
119
Chi ebbe modo di leggere l’edizione parigina, e quindi
soprattutto amici e conoscenti ai quali Berchet si era premurato
di farla arrivare, non mancò di complimentarsi con il poeta per
la lettera introduttiva Agli amici in Italia . Il gradimento
dell’amica Costanza fu naturalmente il più caro a Berchet:
«Quelle poche parole da lei dette su quella mia prefazione,
m’hanno fatto gusto. È orgoglio, od amicizia? Lo spieghi lei»187.
Ma sinceri complimenti erano giunti all’autore anche da
Giuseppe Pecchio. Scriveva il poeta a Costanza:
«È curiosa la sorte di quella mia povera Lettera agli Amici, da chi
buttata nel fango, da chi levata alle stel le. In questo momento ricevo da
Pecchio (e da lui non l’avrei mai aspettata) una lode sperticata per
quella lettera, e mi raccomanda di sparpagliarla molto in Italia come
cosa ottima in tutti i sensi, e da farmi onore. Che razza di giudizi diversi
sono quelli degli uomini! Ma non mi è mai caduto in pensiero di
contentarli tutti; e in questa occasione meno che in altra» 188.
Le Fantasie ricevettero le lodi anche di Giuseppe Mazzini.
Sull’«Indicatore livornese» del 29 giugno 1829 uscì, infatti, una
sua recensione che dava un giudizio estremamente positivo
sull’opera. Di Berchet, Mazzini era sempre stato un appassionato
lettore, tanto da trascriverne accuratamente i versi nei suoi
quaderni. In un suo manoscritto autografo189 che porta il titolo
di Poesie varie raccolte e trascritte da Giuseppe Mazzini figurano,
187 Lettera datata Londra, 30 gennaio 1829. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 205. 188 Ivi, p. 213. Lettera datata Londra, 26 maggio 1829. 189 Conservato presso il Museo del Risorgimento di Genova (Cart. 1, n. 197) e pubblicato in Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti editi ed inediti. Zibaldone Giovanile, vol. II, a c. di Arturo Codignola, Cooperativa Tipografico-Editrice Paolo Galeati, Imola, 1967, pp. 71-207.
120
ad esempio, I Profughi di Parga e alcune romanze. Ma
l’apprezzamento di Mazzini alle Fantasie di Berchet era
principalmente di natura politica. Mazzini faceva, in verità,
anche qualche considerazione di tipo letterario, ma non era
certo la poesia di per sé ad interessarlo, quanto il messaggio
patriotico contenuto in essa:
«Io raccomando con tutta l’anima a’ miei lettori la Romanza. […] Ira,
ed orgoglio son le due muse, che la dettarono: l’orgoglio delle antiche
memorie, e l’ira del moderno torpore. […] L’idea, che è la stessa del
Sogno di Byron, è poetica al sommo grado, e i contrasti profondi, e
impensati danno al componimento una vita tutta propria, tutta energica,
tutta lirica, ch’è il vero carattere della Romanza. […] Ora, noterò io le
molte bellezze poetiche che adornano la Romanza, e i pochi difetti, che
la fanno men bella? Il lettore non lo attenda da me, e mi terrei l’ultimo
tra la razza dei giornalisti flagellati da Vittorio Alfieri s’io potessi
freddamente, e coi canoni delle scuole tormentare ogni strofa di un
lavoro, com’è questo delle Fantasie . A me pare, anche letterariamente
parlando, che l’autore abbia sentita l’altezza delle missione, che i tempi
danno al poeta, ed abbia mostrato d’intendere più ch’altri la essenza, e
la forma del Romanticismo. […]Rinunzio a’ predatori di sillabe l’alto
incarico di spiluccare alcune locuzioni meno poetiche, poche costruzioni
intralciate, e quattro, o cinque vocaboli, che sanno d’affettato o
d’improprio»190.
L’intero articolo di Mazzini, dunque, tesse le lodi delle
Fantasie per quel sentimento di rivalsa che sono state in grado
di risvegliare negli italiani, tanto che il futuro fondatore della
190 Giuseppe Mazzini, Scritti letterari editi ed inediti. Letteratura, vol. I, Cooperativa Tipografico-Editrice Paolo Galeati, Imola, 1906, pp. 158-59.
121
Giovine Italia afferma con certezza: «No; questi esempli non
andranno perduti. […] Noi porremo altri nomi appresso agli
antichi, altre glorie a fianco delle glorie passate» 191.
Nella sua recensione Mazzini non fa mai a lcun riferimento
diretto alla lettera Agli amici in Italia , ma è certamente la prima
edizione delle Fantasie che ebbe occasione di leggere. Proprio in
quell’introduzione, infatti, Berchet si chiedeva se la critica gli
avrebbe riconosciuto di aver fatto «un cattivo poema, ma una
buona azione» (F₁, p. 37). E Mazzini non ha dubbi circa la
risposta da dare in merito: «Non esito ad affermare, ch’egli ha
fatta ad un colpo una buona Romanza, e un’ottima azione»192.
Le Fantasie ebbero dunque un notevole successo in Italia. Ma
se numerosi elogi vennero dagli intellettuali legati al poeta, è
pur vero che i versi della romanza corsero anche al di fuori dei
salotti liberali e dei circoli aristocratici (e questo anche grazie
alle numerose copie della romanza diffuse in Ita lia dalla
tipografia di Giuseppe Ruggia). Scrive Galletti: «Se ne
moltiplicavano furtivamente le copie; se ne sussurravano i versi
nelle vie più remote alle orecchie degli amici fidati; anche le
giovinette li mandavano a memoria e gli adolescenti li
ascoltavano, impallidendo, dalle labbra delle loro madri» 193.
Berchet si confermava, insomma, poeta 'popolare'. E il valore
letterario delle sue opere continuava a rimanere strettamente
191 G. Mazzini, Scritti letterari editi ed inediti. Letteratura, vol. I, cit., p. 160. 192 Ivi, p. 159. 193 Alfredo Galletti, Giovanni Berchet. Nel centenario della morte, in AA. VV., Studi sul Berchet cit., pp. 24-25.
122
legato all’impegno civile riversato in esse. Dei limiti poetici delle
Fantasie, l’autore si era detto ben consapevole nella lettera
introduttiva, confessando di vedere nella propria opera «una
certa mancanza, diciamo così, d’intonazione poetica» oltre che
una forma «usata e riusata fino alla nausea» (F₁, p. 39). Ma
proprio come aveva avvertito lo stesso Berchet, un giudizio
esclusivamente letterario sulle Fantasie non era certo possibile
darlo. Berchet era agli occhi del suo pubblico il 'cantore della
patria', in grado di arrivare alle coscienze, facendo di più «che
non tutte le congiure della Giovane Italia»194. E in funzione di
questo era giudicato dai suoi contemporanei. Ad eccezione dei
funzionari di polizia, naturalmente. A loro qualche giudizio
letterario era capitato di darlo. In un rapporto relativo al
sequestro di alcune poesie di Berchet, infatti, si sentenziava
severamente: «libello privo di merito letterario, perché scritto
in versi cattivi, senza sali e senza talento»195.
194 Enrico Montazio sulla «Frusta repubblicana» del 4 febbraio 1849. Citazione tratta da Giuseppe Giusti, Epistolario. Lettere aggiunte e appendici, vol. IV, a c. di Ferdinando Martini, Le Monnier, Firenze, 1932, p. 282. 195 Citazione tratta da E. Bellorini, La fuga da Milano e l’esilio di Giovanni Berchet cit., pp. 430-31.
123
IV
Confronto tra prima e seconda edizione, e le edizioni
successive
PRIMA E SECONDA EDIZIONE DELLE FANATASIE A CONFRONTO
Uscita per i tipi di Delaforest, la prima edizione delle Fantasie
si presentava come un’edizione elegante e raffinata196, stampata
in 12°.
Si trattava di un volumetto di 102 pagine con copertina
editoriale riportante, nel mezzo di una cornice di fili chiari e
scuri, il titolo dell’opera: LE FANTASIE, | Romanza | DI GIOVANNI
BERCHET. Al recto della pagina successiva vi era l’occhietto: LE
FANTASIE. | mentre al verso della stessa pagina, al centro, era
riportata l’indicazione: DAI TORCHJ DI PIHAN-DELAFOREST
(MORINVAL), | RUE DES BONS-ENFANS, N°. 34. Seguiva quindi il
frontespizio: LE FANTASIE, | ROMANZA | DI GIOVANNI BERCHET.|
(piccolo fregio) | PARIGI, | PRESSO DELAFOREST, LIBRAJO, | RUE DES
FILLES-SAINT-THOMAS, N°. 7. | – | 1829 |.
Dalla pagina 5 alla 45 c’era la lettera AGLI AMICI MIEI | In
Italia.|, con data Piccadilly, 5 gennaio 1829. Alla pagina 47 c ’era,
invece, un nuovo occhietto: LE FANTASIE. | e dalla pagina 49
196 Gli esemplari della prima edizione delle Fantasie consultati per questo studio risultano tutti in carta velina. La carta velina era una carta particolarmente pregiata che non presentava traccia di filigrana, filoni o vergelle, diffusasi soprattutto in area francese tra ‘700 e ‘800. Naturalmente si trattava di una carta piuttosto costosa, per questo motivo è possibile che non tutti i cento esemplari della prima edizione delle Fantasie siano stati effettivamente stampati su questa carta. Forse solo una parte era in carta velina (magari gli esemplari destinati a figure di spicco o agli amici più cari), e il resto in carta comune. Ad ogni modo non è possibile dirlo con certezza dal momento che di questa edizione se ne sono conservati pochissimi esemplari.
124
iniziava finalmente la romanza, preceduta ancora dal titolo: LE
FANTASIE. | (piccolo fregio).
Il fregio nominato (raffigurante una sorta di fiorellino
stilizzato) oltre che nel frontespizio era presente anche in
apertura e in chiusura di poesia. Mentre i numeri delle pagine
figuravano incorniciati da due piccole frecce, disposte in
direzione opposta (sia il fregio che le frecce si trovano anche in
altre edizioni di Delaforest, come nel poema di Giannone,
L’esule197).
Sulla quarta di copertina, invece, al centro di una cornice,
compariva un’incisione raffigurante un’arpa. Mentre in basso, al
di fuori del riquadro, si trovava nuovamente la scritta:
IMPRIMERIE PIHAN DELAFOREST (MORINVAL).
Questa edizione parigina risulta particolarmente rara198. Il
censimento per questo studio ne ha individuati quattro
esemplari199 e il confronto tra questi non ha evidenziato nessuna
lezione differente. L’esemplare conservato a Torino presenta ,
invece, una nota manoscritta sull’occhietto: Ritrovato nella
197 Si vedano pp. 13-14. 198 Si veda a tal proposito M. Parenti, Rarità bibliografiche dell’Ottocento, vol. IV, cit., pp. 194-96. 199 Gli esemplari consultati sono conservati presso: Biblioteca Nazionale Braidense di Milano (F₁MiB): esemplare singolo, con copertina originale. SEGNATURA: SALA.FOSC.05.0112. Biblioteca Comunale Centrale di Milano (F₁Mi): esemplare in raccolta miscellanea. SEGNATURA: SG.H.1053. Biblioteca Civica Centrale di Torino (F₁To): esemplare singolo. SEGNATURA: BTC.408.E.53. Biblioteca di Casa Carducci a Bologna (F₁Bo): esemplare singolo. SEGNATURA: 2.A.159. Un altro esemplare, non consultato, è conservato a Parigi, presso la Bibliothèque Nationale de France.
125
Contrada dei Panierai alli 10 7bre 1839200. La Contrada dei
Panierai era una strada di Torino (oggi via Palazzo di Citta )
chiamata con questo nome per le numerose botteghe dei cestai lì
presenti. La scritta potrebbe forse riferirsi al sequestro
dell’edizione da parte degli ufficiali di polizia. Cosa che, del
resto, accadeva spesso con le edizioni di Berchet, come si e visto
anche a proposito delle raccolte di poesie201. L’esemplare
conservato a Bologna apparteneva, invece, a Giosue Carducci, e
gli fu donato dall’amico Alberto Bacchi della Lega , noto studioso
e bibliografo202.
Diversa nel contenuto, ma molto simile nell’aspetto, era
invece la seconda edizione delle Fantasie, quella allestita da
Giuseppe Ruggia. Questa edizione si presentava come un piccolo
opuscolo di 80 pagine, in 16°, stampato su carta comune203. La
copertina ricalcava in modo evidente quella parigina, con una
cornice di fili sottili e spessi al centro della quale si trovava il
200 L’esemplare contiene anche una correzione manoscritta di non facile interpretazione. Il v. 545 «Giù al ponte v’è gridi; – lo passa qualcuno:» pare essere stato corretto in «Giù al ponte v’è gridi; – il passa qualcuno:». La variante, che non sembra avere di per sé particolare significato, non è comunque autoriale, dal momento che il verso resta immutato nell’edizione Resnati (1848), ampiamente rivista da Berchet. 201 Si vedano pp. 121-22. 202 Sul contropiatto anteriore del volume si trova infatti un appunto manoscritto (non autografo di Carducci, ma probabilmente del genero Giulio Gnaccarini): dono di A. Bacchi Lega febbr. 1901. Carducci aveva amato molto i versi di Berchet, e delle Fantasie aveva scritto: «Versi benedetti; anche oggi ripetendoli mi bisogna balzare in piedi e ruggirli, come la prima volta che gl’intesi. E gli intesi da una voce di donna, dalla voce di mia madre! Era il lunedì di Pasqua del 1847; e un superbo sole di primavera rideva nel cielo turchinissimo; e cinque paranzelle filavano su ’l mare lontano, rapide agili e bianche come ninfe antiche, e sui colli tra il folto verde smeraldino delle biade e degli alberi parevano meno annoiate sin le vecchie torri ruinose del medio evo; e da per tutto era un subisso di fiori: fiori nelle piante, fiori tra l’erba, fiori per cielo e per terra, del più bel giallo del più largo rosso, del più amabile incarnatino. Come son belli i fior dei peschi a primavera! E pure, dopo sentiti codesti versi non vidi più nulla; o, meglio, vidi tutto nero: avevo una voglia feroce di ammazzare tedeschi». Citazione tratta da Giosuè Carducci, Opere. Bozzetti e scherme, vol. III, Zanichelli, Bologna, 1889, pp. 178-81. 203 La filigrana è AM.
126
titolo: LE FANTASIE, | Romanza | DI GIOVANNI BERCHET. Dopo la
pagina di guardia seguiva l’occhietto: LE FANTASIE, |ROMANZA. E
poi il frontespizio: LE FANTASIE, | ROMANZA | DI | GIOVANNI BERCHET, |
PRECEDUTA DA | RAGGUAGLI STORICI. | SECONDA EDIZIONE. | (xilografia)
| LONDRA | NELLA STAMPERIA DI R . TAYLOR, SHOE-LANE | 1829.
A precedere la romanza, dalla pagina 5 alla 24, c ’erano i
RAGGUAGLI | STORICI. | , firmati GLI EDITORI. Prima dell’inizio del
testo si trovava nuovamente l’occhietto: LE FANTASIE, | Romanza.
| e finalmente a pagina 27 iniziava la poesia, preceduta dal
titolo: LE FANTASIE. | (piccolo fregio). Il fregio, identico a quello di
Delaforest, si ripeteva anche in chiusura di volume.
Come si e visto, sul frontespizio compariva una xilografia. Si
trattava di una piccola incisione raffigurante una mano nell’atto
di versare dell’olio in una lucerna, accompagnata dal motto alere
flammam. La xilografia della lampada e il motto latino sono
spesso presenti nelle edizioni ruggiane (solitamente quelle
stampate con la falsa indicazione di Londra-tipografia Taylor,
forse anche per riconoscerle meglio). La xilografia compariva
inoltre sulla quarta di copertina, al centro di una cornice.
Sempre sulla quarta di copertina ma in basso e al di fuori del
riquadro era riportata l’indicazione: NELLA STAMPERIA DI R .
TAYLOR, SHOE-LANE.
E evidente, dunque, che gli sforzi di Giuseppe Ruggia,
nell’allestire questa edizione, si concentrarono soprattutto nel
ridare al lettore un’edizione che fisicamente fosse quasi del
tutto identica a quella di Delaforest, imitandone la copertina e
127
riproponendo all’interno del volume la stessa disposizione di
titoli, occhietti e fregi, prestando attenzione anche alle parti del
testo in maiuscoletto volute dall’autore. Tuttavia, per le difficili
condizioni in cui la tipografia di Lugano si trovava a lavorare,
molto spesso costretta a stampare di fretta e nella clandestinita
notturna, le edizioni ruggiane non vantavano certo fama di
correttezza ed eleganza, risultando quasi sempre trasandate e
piene di refusi. Di questo, scrive Martinola:
«In questa luce dunque la tipografia va valutata, rivestendo
rilevanza quasi trascurabile la qualita tecnica delle sue edizioni: non
esemplari per rigore e invece anche trasandate, come inevitabilmente
doveva accadere a una stamperia costretta a lavorare in condizioni
disagevoli, talvolta impossibili, col solo supremo fine di servire la causa
italiana per la quale era sorta e non per offrire esemplari editoriali alla
fame dei bibliofili»204.
Naturalmente meno propensi a scusare la trascuratezza delle
edizioni ruggiane erano gli autori delle stesse che sovente se ne
lamentavano. Nonostante gli ottimi rapporti di amicizia e
collaborazione con lo stampatore luganese, ad esempio,
Giuseppe Mazzini, che amava le belle edizioni, mal sopportava
che Ruggia stampasse «su pessima carta, con vecchi
caratteri»205. E anche Terenzio Mamiani, a proposito della
pubblicazione nel 1829 delle sue Rime volgari di Arnaldo206,
annotava nel Giornale della mia vita: «Questa sera ho riscosso
204 G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 267. 205 Giuseppe Mazzini citato in G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 166. 206 Terenzio Mamiani, Rime volgari di Arnaldo, s.n., s.l., 1829.
128
dalla posta le mie Poesie stampate a Lugano. L’edizione e brutta
di infiniti errori»207.
Nonostante gli sforzi, dunque, l’edizione di Ruggia non
eguaglio la prima in raffinatezza ma certamente la supero in
tiratura. Per l’editore luganese era infatti importante garantirsi
un’ampia diffusione, considerata la militanza politica e culturale
che caratterizzava il suo lavoro. L’edizione ruggiana delle
Fantasie e dunque meno rara di quella parigina. Questo studio
ne ha esaminati otto esemplari208, per la maggior parte rilegati
all’interno di raccolte miscellanee. L’esemplare conservato a
Torino mantiene, invece, la copertina originale, come si e detto
del tutto identica a quella della prima edizione.
Il confronto di questa edizione con la prima ha evidenziato
numerose differenze. In qualche caso si tratta banalmente di
errori di stampa dovuti a incidenti verificatisi in fase di
produzione (caratteri spostati, saltati o rovesciati) o a qualche
207 Terenzio Mamiani, Giornale della mia vita, citazione tratta da G. Martinola, Un editore luganese del risorgimento cit., p. 102. 208 Gli esemplari consultati sono conservati presso: Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (F₂BgM): esemplare in raccolta miscellanea. SEGNATURA: SALA.34.GALL.B.2.10(5).
Biblioteca Comunale Centrale di Milano (due volumi): F₂Mi1: esemplare in raccolta miscellanea. SEGNATURA: SG.D.386.
F₂Mi2: esemplare singolo. SEGNATURA: SG.F.4.-1.
Biblioteca Nazionale Braidense (F₂MiB): esemplare in raccolta miscellanea. SEGNATURA: SALA.FOSC.05.0100/02.
Biblioteca Norberto Bobbio dell’Università degli studi di Torino (due volumi): F₂ToB1: esemplare in raccolta miscellanea. SEGNATURA: A*50.L.07/2.
F₂ToB2: esemplare singolo, con copertina originale. SEGNATURA: A*49.H.04.
Biblioteca Nazionale Centrale di Roma (F₂Rm): esemplare in raccolta miscellanea. SEGNATURA: 203.8.A.18.2.
Harvard Library di Cambridge (F₂H): esemplare singolo, copia digitalizzata accessibile dal catalogo Hollis.
129
svista (i due punti sostituiti dal punto fermo). Ma sulle forme
interessate si e prontamente intervenuti, infatti gli errori non
ricorrono in tutti gli esemplari. E vero quindi che l’edizione
ruggiana risulta in parte trasandata, ma sarebbe esagerato
parlare di un’edizione «brutta di infiniti errori». Qui di seguito
sono riportati, accanto alle lezioni corrette, i refusi di stampa e
i testimoni interessati.
F₁Mi
v. 344 Non dispetti chi un’altra seguì.
F₂BgM
Nondispetti (...) seg uì.
F₁Mi
v. 379 Questo dì ch’io volea, l’ho veduto:
F₂Mi1 ; F₂MiB ; F₂H
veduto.
F₁Mi
v. 492 Non da fastosa insegna,
F₂Mi1 ; F₂MiB
inse gna,
F₁Mi
v. 556 Oh, bello! Sul campo venir di que’
prodi,
F₂MiB
pr o
F₁Mi
v. 594 Tornata ov’ella nacque
F₂BgM ; F₂Mi1 ; F₂ToB2
ornata
Altri due errori sono presenti nell’edizione, dovuti
probabilmente a uno sbaglio in fase di composizione. Questi
errori tuttavia non sono stati corretti e compaiono, infatti, in
tutti i testimoni. Si tratta di errori ortografico-grammaticali,
riguardanti gli accenti e la punteggiatura in chiusura di verso.
Qui sono poste a confronto le lezioni della prima edizione e
quelle scorrette della seconda.
T
130
F₁Mi
v. 133 Ebben! che importami,
F₂Mi2
importami;
v. 728 Cacciar dinanzi a sè, se,
Nel primo caso, ai vv. 133-136 («Ebben! che importami, / Se
omai l’Italia / Nome tra i popoli / Non serba più?»), l’errore e
evidente dal fatto che l’introduzione del punto e virgola al posto
della semplice virgola va a spezzare in modo netto il periodo,
separandone le due frasi («che importami; / Se omai l’Italia /
Nome tra i popoli / Non serba più?»). Al v. 728, invece, si perde
l’accento del pronome riflessivo «sé». Le lezioni scorrette furono
tuttavia ripristinate nelle successive raccolte di poesie
berchettiane (comprendenti anche Le Fantasie) uscite dalla
tipografia di Lugano.
Un altro errore e presente anche al v. 400, dove l’edizione
ruggiana inserisce un punto fermo a chiusura della prima ottava
della quinta parte. La lezione non solo figura in tutti gli
esemplari analizzati, ma non venne mai corretta neppure nelle
successive raccolte di poesie uscite dalla stamperia. Possibile
che l’errore, non facilmente individuabile, sia sempre sfuggito, a
differenza di quelli precedentemente visti. O forse, piu
semplicemente, chi in tipografia si occupo di allestire l’edizione
(Ruggia stesso o gli uomini di lettere attivi nella sua officina,
Pietro Peri, ad esempio, o Giacomo Ciani), non si rese conto di
aver inserito un errore, correggendo il verso sul modello delle
altre ottave della romanza. La prima ottava di ogni parte si
conclude, infatti, sempre con un punto fermo, e le ottave sono
131
naturalmente simili tra loro per la ricorrenza della formula
iniziale («Era sopito l’Esule / Era la notte oscura»), ad eccezione
dell’incipit della poesia. In questo caso, pero , il punto fermo e
evidentemente un errore perche va a inserirsi nel mezzo della
lunga descrizione del paesaggio sognato dall’esule
addormentato.
F₁Mi
v. 393 Era sopito l’Esule;
Era la notte oscura.
Il sogno erano agnelle
Vaganti alla pastura;
Campi che leni salgono
Su per colline belle;
Lontano a dritta ripidi
Monti, e altri monti ancor;
Dinanzi una cerulea
Laguna, un prorompente
Fiume che da quell’onde
Svolve la sua corrente.
Sovra tant’acque, a specchio,
una città risponde;
guglie a cui grigio i secoli
composero il color;
Ed irte di pinacoli
Case, che su lor grevi
Denno sentir dei lenti
Verni seder le nevi;
E finestrette povere,
A cui ne’ dì tepenti
La casalinga vergine
Infiora il davanzal.
F₂Mi2
Era sopito l’Esule;
Era la notte oscura.
Il sogno erano agnelle
Vaganti alla pastura;
Campi che leni salgono
Su per colline belle;
Lontano a dritta ripidi
Monti, e altri monti ancor.
Dinanzi una cerulea
Laguna, un prorompente
Fiume che da quell’onde
Svolve la sua corrente.
Sovra tant’acque, a specchio,
una città risponde;
guglie a cui grigio i secoli
composero il color;
Ed irte di pinacoli
Case, che su lor grevi
Denno sentir dei lenti
Verni seder le nevi;
E finestrette povere,
A cui ne’ dì tepenti
La casalinga vergine
Infiora il davanzal.
132
L’errore figura corretto solo nelle edizioni ruggiane
posteriori al 1848, ovvero in quelle successive all’edizione
Resnati alla quale probabilmente fecero riferimento.
Tuttavia l’edizione luganese non inserì solamente errori. Al
contrario alcuni interventi di Ruggia andarono a migliorare il
testo.
F₁Mi
v. 226 Nel padiglion deserto.
F₂Mi2
deserto,
v. 309 Si, Colui che par lento agli afflitti, Sì,
v. 555 Là chiede ogni voce: Guerrieri, che
fù?–
fu?–
Come si vede, al v. 309 l’edizione luganese corregge «Si» in
«Sì» e al v. 555 «fù» in «fu». Anche ai vv. 225-228 («Preda dei
primi a irrompere / Nel padiglion deserto. / Ecco ostentar pel
campo / L’aurea collana e il serto:») si inserisce un
miglioramento, introducendo la virgola al posto del punto fermo
che nella prima edizione divideva in due la frase separando
l’«aurea collana e il serto» dal sostantivo a loro collegato,
«preda». A riprova della bonta di questi interventi, le lezioni
saranno poi accolte dal poeta nell’edizione Resnati.
Gli interventi al testo delle Fantasie, dunque, non risultano
particolarmente numerosi, tuttavia la prima e la seconda
edizione appaiono comunque progetti diversi. A fare la
differenza e senza dubbio, come si e visto nei capitoli
precedenti, la sostituzione dell’ampia lettera introduttiva di
Berchet dal titolo Agli amici in Italia , con il testo Ragguagli
133
storici a firma 'Gli Editori', inserito da Ruggia. Una sostituzione
che, al di la dello sdegno suscitato nel poeta, ando a mutare, di
fatto, la natura stessa dell’opera a causa del contenuto delle due
differenti introduzioni. Pur non essendoci testimonianze
esplicite circa le ragioni di questa scelta, l’operazione portata
avanti da Giuseppe Ruggia appare, in verita , piuttosto chiara.
Nelle intenzioni dello stampatore, infatti, c’era l’idea di
destinare l’opera a un pubblico ben diverso dal lettore 'ideale'
dichiarato da Berchet proprio nella lettera introduttiva. Per il
poeta, il destinatario dell’opera era infatti un gruppo di lettori
ben specifico, e a questo gruppo appartenevano prima di tutto
gli «amici in Italia» (come eloquentemente dichiarato nel titolo
introduttivo). Si trattava di quegli intellettuali che Berchet
aveva conosciuto e frequentato per tanti anni a Milano e con i
quali i rapporti si erano bruscamente interrotti a seguito degli
eventi del ’21 e della fuga del poeta dall’Italia. E infatti con il
loro ricordo in mente, quasi a voler fingere quelle antiche
conversazioni letterarie ormai perdute, che il poeta ammette di
aver composto la romanza:
«Nel comporre i versi che oggi vi dedico, voi, voi soli, io sempre
aveva dinanzi alla mente, come lettori a cui soddisfare , s’io lo potessi.
Ora che gli ho ricopiati, li rileggo pensando a voi; ne parmi che per voi
abbiano bisogno di schiarimenti» (F₁, p. 7).
Berchet confessava di provare una nostalgia infinita per i
tempi in cui era solito trovarsi in compagnia dei suoi amici,
tanto piu che la solitudine dell’esilio si era fatta piu dolorosa.
134
Per questo motivo, nell’opera, c’era in qualche modo anche la
volonta dello scrittore di tornare a dare sue notizie, a far sentire
la propria voce a chi ormai lo stava dimenticando. Scrive il poeta
in una lettera alla marchesa Costanza Arconati: «Avrei la
tentazione d’affidarle qualche lettera per amici; ma pensando
che nessuno risponde, e meglio accomodarmi al loro silenzio»209.
La polizia austriaca, infatti, non riservava un trattamento
leggero ai proscritti del Lombardo-Veneto, impedendo loro
qualunque contatto con i cari rimasti in patria. La posta spedita
in Italia era sequestrata alla dogana e agli esuli veniva mandata
in risposta una lettera dal contenuto standard dove si informava
che le persone cercate non desideravano avere rapporti con
cittadini al di fuori della legge, e li invitavano invece a
costituirsi. Gli unici contatti possibili con chi era rimasto in
Italia erano attraverso le vie clandestine, ma questo non era
sempre possibile. Scrive, dunque, il poeta nell’introduzione alle
Fantasie:
«Ho afferrato come buon ripiego un suggerimento dell’animo mio,
quello di rivolgermi a voi, dilettissimi, e d’indirizzarvi, come fo, questa
mia lettera tutta confidenziale. Scritta come vien viene, come se
riassumessi per un momento ancora una di quelle tante chiacchierate
con voi a cuor largo, senza rigore di proposito, senza intento letterario,
delle quali componevasi la nostra conversazione (perdita questa del le
piu amare che m’abbia costato l’esilio), la lettera […] mi presta luogo a
dire quel poco che pur si vuole ch’io dica e, quello che val meglio per
209 Lettera datata Londra, 1° agosto 1823. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. I, cit., p. 45.
135
me, mi procaccia il gusto di chiamarvi ancora 'i miei cari'. Forse anche a
voi non dispiacera di ricevere impunemente per questa via un solenne
saluto dall’amico vostro lontano, da colui del quale sarebbe delitto per
voi l’avere contezza altrimenti; frutto anche questo delle vostre belle
polizie, che vi strozzano in petto perfino le affezioni private» (F₁, pp. 6-7).
E ancora agli amici, e alla nostalgia per loro, si fa riferimento
in chiusura della lettera:
«Amici miei, e detto che l’amore induce a taciturnita : bisogna per
altro dire che metta anche talvolta una parlantina da rimbambiti. Così
ora avvenne di me. Ma e colpa anche vostra, perche non m’avete mai
interrotto il discorso. Ed era pur vostro costume l’interrompermelo una
volta ad ogni istante: questa corda non tocchiamola. L’illusione che mi
sono creata d’essere e parlare con voi mi riuscì tanto consolante, che
l’averla tirata in lungo a bella posta e astuzia perdonabilissima; e voi,
ne son certo, me la perdonerete di buona voglia. Pervenuto al punto in
cui m’e mestieri congedarla questa illusione, scioglierla, sperderla tutta,
e far fine e dirvi addio, sento che nella parola 'addio' v’e qualche cosa
che non m’e dilettevole, e tutt’ad un tratto mi trovo essere divenuto
taciturno davvero. Addio, amici miei; la memoria di me non perisca nel
cuor vostro» (F₁, pp. 44-45).
Ma non e solo questo ristretto circolo di lettori quello
prescelto come destinatario della romanza. Agli amici in Italia si
uniscono, infatti, tutte «le persone nelle quali e supponibile una
discreta coltura» (F₁, p. 8), pur non legate al poeta da «amicizia
personale» e tuttavia ugualmente interessate a dare «uno
sguardo» alla sua opera.
136
Il profilo del pubblico al quale vuole rivolgersi la romanza va
comunque a delinearsi in modo piu chiaro anche attraverso un
altro discorso, quello relativo all’inserimento nel testo di note
esplicative circa gli episodi storici citati. Come si e visto,
Berchet decide di non corredare il testo di note e tra le
motivazioni della scelta c’e anche la sicurezza di rivolgersi a un
pubblico per il quale sarebbero superflue. Note al testo non sono
necessarie, dunque, perche il destinatario immaginato da
Berchet e un lettore sufficientemente colto da non necessitare di
ragguagli sulle vicende storiche riguardanti l’eta comunale e la
sollevazione delle citta lombarde contro il Barbarossa:
«In Italia, cari miei, come volete ch’io pensi che, col tanto boriare
che vi si fa d’onore nazionale, s’ignori poi l’epoca piu bella, piu gloriosa
della storia italiana, la confederazione de’ lombardi in Pontida, la
battaglia di Legnano, la pace di Costanza? Questi fatti il dichiararli io a
voi, piu che superfluo, sarebbe ridicolo. E uno scortese complimento
parrebbe anche se mi mettessi a spiegarli a que’ pochi che, senza
onorarmi d’amicizia personale, volessero pure onorarmi d’uno sguardo
gettato sul mio libretto. 'Costui', direbbero, 'o misura dalla propria la
parvita dell’intendimento altrui, o ci guarda dall’alto in basso come
tanti scolaretti, a’ quali tutto debba riuscir nuovo '» (F₁, pp. 7-8).
Non solo, Berchet sottolinea che e unicamente questo lettore
'ideale' la figura alla quale intende rivolgersi con la propria
opera: «Che se vi ha costaggiu taluno […] a cui non sia stata
rotta la sonnolenza incuriosita neppure dal gran rumore fatto
pel lungo e pel traverso dell’Europa dalla bell’opera del signor
137
Sismondi210 sulle repubbliche italiane, tanto peggio per lui!»
(F₁, p. 8).
Questa precisazione da parte di Berchet non fa che
accentuare la differenza tra Le Fantasie e il resto della sua
produzione poetica. Lo scopo di quest’opera era, infatti,
risvegliare lo spirito risorgimentale ormai sopito. E per farlo
all’autore serviva rivolgersi a quella classe sociale nella quale il
sentimento risorgimentale era nato, la stessa che se ne era poi
resa interprete: il ceto aristocratico e alto borghese. E a loro che
occorreva ricordare la virtu italiana, e a loro che serviva
chiedere di tornare a lavorare per l’indipendenza. Per questo
motivo con Le Fantasie il poeta non puntava piu ad un
allargamento di pubblico e ad intercettare quell’ampia cerchia di
lettori piccolo e medio borghesi, come si era affermato nei tanti
dibattiti sulle pagine del «Conciliatore». La poetica dell’autore
restava naturalmente immutata, ma il contesto del tutto
particolare in cui si andavano a collocare le Fantasie richiedeva
evidentemente un pubblico differente. Non c’e dunque alcun
intento pedagogico nelle Fantasie, il poeta non e interessato a
colmare le lacune altrui:
«E che ci ho a fare io? Ov’anche principiassi dal dirgli: 'Sono fatti che
avvennero dagli anni di Cristo 1167 fino agli anni di Cristo 1183', gia
non ne verrei a capo di nulla: oppure ad agevolargli la lettura di due
210 L’opera a cui allude Berchet è la Storia delle repubbliche italiane di Simonde de Sismondi, uscita tra il 1807 e il 1818 in sedici volumi. A tal proposito si veda Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, Histoire des républiques italiennes du Moyen Âge, chez Henri Gessner, Zurich, 1807-1818 e la sua traduzione in italiano Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi, Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, [traduzione di Stefano Ticozzi], [Giusti], [Milano], 1817-1819.
138
fogli di versi, mi bisognerebbe lavorar per lui un volume di prosa.
Mancherebbe anche questa! Imporre a me il gastigo della pigrizia
altrui!» (F₁, p. 10).
Anche in occasione delle osservazioni circa la forma della
romanza, il poeta si mostra sicuro di rivolgersi ad un lettore
competente per il quale queste osservazioni sono, in verita ,
superflue: «Il suggerire io queste osservazioni a voi, dilettissimi,
gli e davvero un portar patate in Irlanda» (F₁, p. 29).
E esattamente da questa idea di destinatario, pero , che
prende le distanze Giuseppe Ruggia. Nelle intenzioni del
tipografo per la seconda edizione non c’era affatto la ristretta
cerchia aristocratica e alto borghese alla quale si rivolgeva
Berchet. Ne e prova anche la tiratura dell’edizione di Lugano, di
gran lunga superiore alle cento copie stampate a Parigi per
amici e conoscenti.
Il destinatario pensato da Ruggia e , invece, proprio quel largo
pubblico di impiegati, artigiani e piccoli commercianti che
avevano cantato per le strade i versi di Clarina e che avrebbero
certamente apprezzato allo stesso modo quelli delle Fantasie, se
opportunamente introdotti. Del resto, nozioni storiche
dettagliate, in particolare in riferimento all’eta medievale, non
erano certo appannaggio di tutti e opere divulgative di questo
tipo cominciavano appena a circolare in Italia. Ecco dunque
l’inserimento da parte di Ruggia di diciannove pagine di
Ragguagli storici particolarmente dettagliati che, appoggiandosi
all’opera di Sismondi citata da Berchet, puntavano a fornire le
139
conoscenze minime indispensabili per comprendere la romanza.
Si legge nei Ragguagli:
«Chi legge la storia delle Repubbliche Italiane al medioevo, per poco
non si crede trasportato a’ tempi meravigliosi della Grecia libera. Così
splendidi esempj di valore ne’ combattimenti, di fermezza nelle
risoluzioni, di longanimita nei piu disperati patimenti, quella secura
fiducia dell’uno contro i dieci, meriterebbono bene che tanto si
conoscessero, se ne scrivesse, se ne parlasse, quanto d’ordinario non si
conoscono, non se ne parla, non se ne scrive. Se non che le tenebre e la
ruggine, che sembrano coprir que’ tempi; la fatica delle ricerche per la
complicazione dell’argomento storico; e piu la direzion primitiva delle
scuole (ora vien ponendosi giu di moda), che ne volgeva esclusivamente
ai temi eroici greci e romani, furon cagione, noi crediamo, della nostra
indifferenza per un’epoca a noi piu vicina, per la storia di famiglia,
direm così , di noi italiani d’oggigiorno» (F₂, p. 1).
Inoltre la prefazione ruggiana non precludeva la lettura a chi
invece fosse perfettamente a conoscenza della materia trattata.
Da qui i chiarimenti finali:
«Vogliano i discreti condonare all’interesse dell’argomento, la
loquacita di questi ragguagli. Qual si e poi conoscitore de’ nostri annali,
se non trovasse a revocar, leggendo, la memoria di questa
luminosissima delle epoche italiane, quel compiacimento che provammo
noi stessi ritraendola; queste linee sieno a lui per non iscritte. Che noi
crederemo tuttavia di non aver sciupata al tutto l’opera nostra, quando
pur fossero di qualche opportunita a pochissimi tra i molti o i pochi, che
leggeranno questa poesia: piu lieti ancora, se mai saran seme che, anche
ad un solo, fruttifichi il desiderio di conoscere per lungo e per largo la
storia (che pur da ogni italiano dovrebb’essere conosciuta) delle
140
Repubbliche Italiane del medio evo del signor Sismondi, dalla quale
abbiamo, nella maggior parte, compilati questi ragguagli» (F₂, pp. 23-24).
I Ragguagli andavano a toccare tutti gli aspetti principali
della vicenda intercorsa tra i comuni lombardi e il Barbarossa,
in particolar modo quelli rappresentati da Berchet nella
romanza: le varie discese dell’imperatore in Italia, la
costituzione della Lega, la battaglia di Legnano, il volo delle
colombe sul carroccio (aneddoto legato alla tradizione volgare),
la fuga dell’imperatore e naturalmente la pace di Costanza.
All’ampio excursus storico si andavano ad aggiungere,
inoltre, alcune indicazioni di lettura. Chi compilo
quest’introduzione (probabilmente sempre Peri o Ciani) scelse,
infatti, di fornire al lettore anche una sorta di chiave di
interpretazione del testo. Mostrando nuovamente di volersi
rivolgere ad un pubblico ampio e meno competente rispetto a
quello immaginato da Berchet, l’edizione di Ruggia riformulava
in modo semplice e diretto le articolate considerazioni critiche
esposte dal poeta nell’introduzione originale. Si legge nei
Ragguagli:
«Dalla magnifica tela che abbiamo disvolta, ne’ due punti saglienti
della congiura di Pontida e della giornata di Legnano, prese il Berchet
subbietto a’ suoi dipinti storico-poetici. Nel che fare, non s’appiglio allo
spediente d’infarcire la storia colla favola, per darne poi cio che non
fosse bene ne l’una ne l’altra; ma con pennello forte e creatore
procaccio di sbozzare alcuni tratti storici animati e viventi, sponendo in
iscena personaggi che furono, secondo la natura lor vera: altri di pura
141
creazione cavandone dalla fantasia, foggiati dietro le ragioni de’ tempi,
li destino a rappresentare individualmente una data epoca, una data
localita : ad essere i simboli viventi delle qualita moral i e politiche
dell’eta loro. La storia dira se quel lombardo che muore, sia
un’espressione fedele delle attitudini morali del secolo duodecimo;
come gli Italiani d’oggigiorno potranno vedere, se l’altro italiano, che
vien dopo a riscontro, renda immagine dello spirito e dei caratteri del
secolo presente» (F₂, pp. 22-23).
Ad ogni modo, al di la dell’evidente differenza di pubblico
immaginata da Ruggia per questa edizione, resta da interrogarsi
se non ci fossero anche altre motivazioni tali da giustificare la
sostituzione della lettera Agli amici in Italia .
Certamente l’edizione ruggiana, privata dell ’introduzione
originale, risulta meno 'aggressiva' di quella parigina. Infatti,
delle severe bacchettate di Berchet ai compatrioti inerti («Un
tempo nelle vene de’ nostri antenati non iscorreva poi tutto
latte»; «Le soperchierie tedesche non erano in Italia ingozzate
poi tutte come ciambelle calde»; «Che i lombardi, invece di
esercitarsi a cantare 'amen', invece d’addestrarsi ad inarcar le
schiene…», F₁ pp. 8-9) non restava praticamente nulla.
L’introduzione di Ruggia sceglieva invece di muoversi con
estrema cautela su questo terreno, dando spazio solo ad una
pacata osservazione: «Gl’Italiani di allora eran piu inchini alle
forti opere, che non alle speculazioni politiche: gli Italiani
presenti son piu tratti alle idee, che all’oprare» (F₂, p. 22).
Possibile che la tipografia non desiderasse esporsi a troppi
rischi con questa pubblicazione, scegliendo quindi di dare alle
142
stampe la poesia (gia sufficientemente pericolosa di per se ), ma
di eliminare l’introduzione originale dove, tra l’altro, ci si
augurava esplicitamente di poter dare ai tedeschi «un rifrusto,
una ceffata solenne, proprio di quelle gustose che spicciano a un
tratto gl’imbrogli» (F₁, p. 9). Tuttavia la condotta, come si e
visto, costantemente spregiudicata della stamperia di Lugano
non lascia molto spazio a questa ipotesi .
Cio che appare evidente e invece una certa coerenza della
struttura di questa edizione con le altre prodotte dalla
stamperia, in particolare in riferimento agli scritti peritestuali.
Era abbastanza frequente, infatti, che le edizioni di Giuseppe
Ruggia uscissero accompagnate da una prefazione editoriale
(spesso dal titolo Avvertimento), solitamente firmate 'Gli Editori'
(o, al contrario, dal titolo Gli Editori, ma senza firma). Qui la
tipografia era solita ritagliarsi uno spazio dove rivolgersi al
proprio lettore e costruire un rapporto di fiducia con lui. Le
prefazioni, infatti, oltre a dare notizie sull’opera e sull’autore,
spiegavano le ragioni per le quali gli editori avevano deciso di
dare alle stampe tale volume e in che modo lo stesso avrebbe
arricchito il bagaglio culturale del loro pubblico.
Le prefazioni avevano anche lo scopo di soccorrere il lettore
per le opere ritenute di difficile comprensione delle quali,
appunto, si suggeriva una chiave interpretativa. Come era
avvenuto con i Ragguagli storici delle Fantasie, ad esempio,
anche nell’Avvertimento alle Poesie inedite di Ugo Foscolo del
143
1831 gli editori si rivolgevano direttamente al lettore,
orientandolo:
«Pregati da un suo parente di farle pubblicare colle nostre stampe,
noi vi aderimmo tanto piu volentieri. […] Ti paranno svenevoli e
disarmoniche; ma se ti piacera , o cortese lettore, di considerarle
attentamente, vedrai rifulgere in esse que’ puri germi che […]
fruttarono all’Italia un Genio»211.
Anche per l’Orazione sopra la predestinazione212 dell’abate
milanese Eugenio Piantanida, la prefazione accompagnava il
lettore nella comprensione di un discorso, altrimenti,
difficilmente decodificabile. Mentre per la riedizione della Storia
d’Italia213 di Carlo Botta, gli editori si dicevano certi che non
fosse necessaria la presentazione al loro pubblico ne dell’autore,
ne dell’opera in questione, vista la fama consolidata di entrambi.
La scelta di inserire prefazioni editoriali nelle proprie opere
continuo anche dopo la chiusura della Tipografia Ruggia e il
conseguente passaggio alla Tipografia della Svizzera Italiana,
guidata da Ciani. Anzi, nell’introduzione ai Dettati politici,
filosofici, statistici di Melchiorre Gioia si garantiva il
proseguimento della precedente linea editoriale: «Fin dall’anno
1839, la Tipografia Ruggia e C., della quale noi siamo successori,
pubblico le Opere Minori, di Melchiorre Gioia. […] Per soddisfare
211 Ugo Foscolo, Poesie inedite tratte da un manoscritto originale, Giuseppe Ruggia e comp., Lugano, 1831, pp. 5-6. 212 Eugenio Piantanida, Orazione sopra la predestinazione, Ruggia e comp., Lugano, 1829. 213 Carlo Botta, Storia d’Italia, Ruggia e comp., Lugano, 1834.
144
alle frequenti ricerche che ci venivano fatte, siamo lieti di
offrirvele unite nei 2 volumi che seguono»214.
La sostituzione della lettera Agli amici in Italia con i
Ragguagli storici andava a collocarsi, dunque, nel modus
operandi tipico della tipografia. E tra l’altro, ben prima della
pubblicazione delle Fantasie, Ruggia aveva scelto di sopprimere
deliberatamente anche un’altra introduzione berchettiana,
quella dei Profughi di Parga . L’Avertissement de l’auteur
presente nell’edizione di Firmin Didot del ‘23, infatti, non
compare mai nelle varie raccolte di Poesie pubblicate a Lugano
con la falsa indicazione di Londra-Tipografia Taylor.
LE EDIZIONI SUCCESSIVE AL ‘29 E L’EDIZIONE RESNATI
Alla seconda edizione delle Fantasie del 1829 ne seguì
un’altra, nel 1831. Evidentemente la pubblicazione precedente
aveva riscosso un tale successo che qualche tipografo decise di
darla ancora alle stampe. La romanza passo , dunque,
nuovamente sotto i torchi e nel ’31 vide la luce quella che sul
frontespizio era annunciata come la 'terza edizione' delle
Fantasie.
Difficile fare considerazioni approfondite su questa edizione
dal momento che non se n’e conservato quasi nessun
esemplare215.
214 Prefazione a Melchiorre Gioia, Dettati politici, filosofici, statistici. Tratti dalle opere minori, Tipografia della Svizzera Italiana, Lugano, 1850, p. III. 215 L’unico esemplare individuato è conservato presso la Biblioteca di storia moderna e contemporanea di Roma (F₃Rm): esemplare in raccolta miscellanea (SEGNATURA: MISC.RIS.A.208/7/2).
145
Tuttavia una prima osservazione che si puo fare a tal
proposito e che l’edizione in questione, certamente non
autoriale, potrebbe non essere della tipografia di Ruggia. La
veste grafica e infatti abbastanza simile a quella dell’edizione
del ’29, eppure manca sul frontespizio la xilografia della
lampada ad olio, generalmente presente nelle pubblicazioni
ruggiane delle opere di Berchet. Altro aspetto insolito riguarda
la tiratura, solitamente sempre molto alta, delle edizioni
ruggiane. Di questa edizione, invece, come si e detto, non si e
conservato quasi nessun esemplare. Possibile quindi si trattasse
di un’edizione contraffatta di qualche altra tipografia svizzera o
italiana (questo spiegherebbe l’assenza della xilografia sul
frontespizio). Probabilmente la stamperia in questione ne
produsse solo pochi esemplari, ma la mancanza di testimoni
potrebbe essere imputabile anche a un possibile sequestro
dell’edizione (con conseguente distruzione).
Ad ogni modo, dall’aspetto Le Fantasie del ’31 sembrerebbero
riconducibili alla Tipografia Elvetica di Capolago (nata nel
1830). Non si tratterebbe dunque di un’edizione di Giuseppe
Ruggia, e cio troverebbe conferma anche nel fatto che alcune
lezioni scorrette presenti nell’edizione luganese del ’29 sono poi
state corrette nelle raccolte di poesie di Berchet degli anni ’30
stampate da Ruggia, mentre in questa edizione sono rimaste
immutate.
In ogni caso, si tratta di un’edizione molto simile a quella del
1829, per contenuto e impostazione editoriale. Dall’osservazione
146
dell’unico testimone trovato, infatti, risultano solo poche e
irrilevanti differenze tra le due pubblicazioni.
Il frontespizio citava: LE FANTASIE | ROMANZA | DI | GIOVANNI
BERCHET | PRECEDUTA | DA RAGGUAGLI STORICI | – | TERZA EDIZIONE | – |
LONDRA | NELLA STAMPERIA TAYLOR | MDCCCXXXI. | e alla pagina 3
iniziava la prefazione: RAGGUAGLI | STORICI.
L’introduzione occupava le pagine dalla 3 alla 29 ed era
firmata 'Gli Editori'. L’occhietto, nella pagina precedente l’inizio
della romanza, specificava: LE FANTASIE | ROMANZA e alla pagina 33
cominciava la poesia: LE FANTASIE | (piccolo fregio). La romanza
terminava a pagina 66. Il piccolo fregio, differente rispetto a
quello dell’edizione ruggiana del 1829, era ripetuto anche a fine
volume.
Dal punto di vista del contenuto, come si e detto, l’edizione
risulta del tutto identica alla seconda edizione di Ruggia. Per
quanto riguarda i Ragguagli storici sono presenti solo
pochissimi ritocchi di tipo ortografico e grammaticale (alla
forma «in una unica», F₂ p. 12, si preferisce, ad esempio, «in
un’unica», F₃ p. 12). Mentre, per quanto riguarda la romanza, il
testo ricalca abbastanza fedelmente quello dell’edizione
ruggiana del ’29. L’edizione, tra l’altro, pare essere stata allestita
senza particolare attenzione dal momento che delle Fantasie del
1829 riprende anche gli errori (v. 133 «importami;», v. 379
«veduto.», v. 400 «ancor.», v. 728 «se,»). E tuttavia fa propri
anche i miglioramenti al testo inseriti da Ruggia (v. 226
«deserto,», v. 309 «Sì,», v. 555 «fu?»). Non c’e dubbio, dunque,
147
che il testo di riferimento sia stato quello di un esemplare
luganese. Ad ogni modo, anche questa edizione conferma il
grande interesse per Le Fantasie di Berchet. Negli anni
successivi al ’29, del resto, il successo delle Fantasie presso il
largo pubblico porto alla loro ristampa in numerose raccolte di
poesie, solitamente con la falsa indicazione Londra-Tipografia
Taylor.
L’opera di Berchet ebbe in questo modo ampia diffusione,
specie nel nord e centro Italia. In queste raccolte (che
generalmente contenevano oltre alle Fantasie anche I profughi di
Parga e le poesie dell’esilio), la romanza figurava preceduta dai
Ragguagli storici; in alcuni casi, invece, era priva di
introduzione.
Dal 1840 Le Fantasie presero a circolare anche in altre
edizioni. In quell’anno la Stamperia Italiana Mompalao e comp.
di Malta, ad esempio, scelse di darle alle stampe in un volume
dal titolo Poesie di Giovanni Berchet piemontese . Nella raccolta
Le Fantasie comparivano a pagina 83; prima dell’inizio della
romanza, tra due fregi, si trovava l’indicazione: VEDETE AL FINE LE
NOTIZIE STORICHE.
In questa raccolta, infatti, i ragguagli ruggiani erano stati
spostati al termine della poesia. A pagina 119 si trovava
l’occhietto: Le fantasie. | – | NOTIZIE STORICHE | – | e alla pagina
successiva una citazione tratta da un’orazione di Ugo Foscolo216,
216 Si tratta di Ugo Foscolo, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, Stamperia reale, Milano, 1809.
148
citata anche da Ruggia all’interno della sua prefazione. A pagina
121 cominciavano invece i ragguagli veri e propri: LE FANTASIE. |
(piccolo fregio) | NOTIZIE COMPILATE DALLA STORIA DELLE
REPUBBLICHE ITALIANE AL MEDIO EVO , DEL SIGNOR SISMONDO DE
SISMONDI. | (piccolo fregio). Il testo dei ragguagli era fedelmente
ripreso dall’edizione di Ruggia, e al termine si specificava: «Gli
editori (segnati nell’edizione impressa in Londra, 1830, per A.
Taylor)»217.
Nel 1841, inoltre, uscì a Parigi dall’editore Baudry la raccolta
Rime scelte di L. Carrer, J. Vittorelli, G. Berchet, G. Perticari e G.
Marchetti218. In apertura di volume l’editore precisava le
intenzioni della pubblicazione:
«Come una scintilla puo suscitare vasto incendio anche dove pareva
non fosse esca, così talvolta accade nella mente umana il destarsi per
lievi cause un genio a se stesso sconosciuto, e grandeggiare. […]
Vengono in seguito nel presente volume I profughi di Parga e le
Romanze di Berchet da Milano, che possiam chiamare, quanto allo
intento di svegliare, di nutrire amor di patria e d’odio contro gli
oppressori il Be ranger dell’Italia, con maggior impeto pero di verso e di
sdegno. Men fortunato egli del vate francese va da vent’anni esulando in
terre straniere, e pare gli sia tocco dell’amaro retaggio di tanti poeti
italiani cui la carita del suol natio fu seme che frutto esiglio. Il Berchet
217 Come si è visto questa introduzione compariva già nell’edizione delle Fantasie del 1829. Evidentemente la stamperia Mompalao e comp. utilizzò invece come testo di riferimento un’edizione delle Poesie del 1830. Quanto all’indicazione «A. Taylor», invece, si tratterebbe solo di un refuso di stampa. Il riferimento corretto è R. Taylor. 218 AA. VV., Rime scelte di L. Carrer, J. Vittorelli, G. Berchet, G. Perticari e G. Marchetti, Baudry, Parigi, 1841. Il volume consultato per questo studio è conservato presso la Biblioteca Comunale Centrale di Milano (F₄₁Baudry): SEGNATURA: DSIC.B.20.-5.
149
nel permetterci la ristampa delle sue rime fu grazioso di rivedere
l’esemplare che ci serve di testo, e del doppio dono gli mostriam qui
vivissima riconoscenza»219.
Nonostante Berchet si trovasse effettivamente a Parigi
attorno al 1841, non e facile affermare con certezza che il poeta
mise nuovamente mano alle Fantasie per questa edizione. Il
testo della romanza dato alle stampe in questa raccolta (privo
della lettera introduttiva) presenta, infatti, delle varianti che
non ritornano nell’edizione Resnati del 1848 (e in nessun’altra
edizione); e presenta altresì le stesse varianti dell’edizione di
Ruggia del 1829. Dunque la sensazione e che Baudry abbia
utilizzato come testo di riferimento per questa raccolta
un’edizione di poesie di Berchet contraffatta (probabilmente
qualche edizione svizzera), e che su questo testo,
eventualmente, sia intervenuto il poeta. Ad ogni modo delle
varianti introdotte (non molte, e per lo piu di natura ortografica
e grammaticale) il poeta si dimentico ben presto, e non le inserì
affatto nell’edizione delle Fantasie ed I profughi di Parga del ’48.
Di seguito sono riportate le varianti piu significative presenti
nell’edizione Baudry.
F₁Mi F₄₁Baudry
v. 46 Come d’un’alta speme; v. 120 Vitale ancora il sol. v. 181 Onde le cupide v. 297 Dove son le tre nunzie de’ santi, v. 311 Nel suo giorno ei solleva gli oppressi , v. 349 Se un rettor, se un de’ consoli falla, v. 367 È il dolor che n’ha fatto concordi:
spene; Sol. Donde le cupide Santi, Ei Consoli Il dolore n’ha fatto concordi:
219 AA. VV., Rime scelte di L. Carrer, J. Vittorelli, G. Berchet, G. Perticari e G. Marchetti cit., pp. 1-4.
150
Altre varianti sono relative alla punteggiatura e agli accenti.
Si inseriscono, infatti, dieresi, accenti e accenti circonflessi, ma in
modo piuttosto casuale e senza un intervento sistematico come
sara per l’edizione Resnati.
In ogni caso, la variante che merita piu attenzione e «spene»,
l’unica ad essere recuperata anche nell’edizione del ‘48. Forse il
poeta, se davvero intervenne sul testo, scelse di sostituire
«speme» al v. 46 con il piu raro «spene», per necessita di rima,
richiamando così il verso 43.
F₁Mi F₄₁Baudry
v. 41 Dato ha il cappuccio agli omeri, Indosso ha il lucco antico, Cinto è di cuoio, e viene Grave, ma in atto amico; Trasfuso agli occhi ha il giubilo Come d’un’alta speme; La sua parola è folgore: Dirla oggimai chi può?
Dato ha il cappuccio agli omeri, Indosso ha il lucco antico, Cinto è di cuoio, e viene Grave, ma in atto amico; Trasfuso agli occhi ha il giubilo Come d’un’alta spene; La sua parola è folgore: Dirla oggimai chi può?
Nel resto della romanza, invece, non essendoci ulteriori
necessita di rima, resta la lezione «speme» (v. 370, «un fior mai
dalla speme promesso!»).
I pochi esemplari rimasti dell’edizione parigina di Delaforest
portano tutti «speme», ma forse gia in quel caso si tratto di un
errore e il manoscritto (che non possediamo) portava la lezione
«spene» mal interpretata in tipografia.
Nella sua produzione precedente e successiva alle Fantasie,
Berchet mostra sempre di preferire la lezione «speme» (Amore v.
39, «Della speme vivrò, che a me pietosa»; I profughi di Parga v.
66, «Le travaglia la speme nel cor.»; Clarina v. 16, «Della speme; –
e Dio ‘l creò:»; Matilde v. 34, «Chi speme non ha .»; Vecchie
151
romanze spagnuole. L’infanta schernitrice v. 7, «Ponsi, a speme di
compagni,»;). Tuttavia il poeta aveva gia usato la forma «spene»
in passato, e anche in questo caso per necessita di rima. Nella
traduzione del vicario di Wakefield220 del 1810 si legge:
v. 199 M’era caro saperlo fedele; ma superba godea di sue pene, e gioiva in udir sue querele L’infelice, perduta ogni spene, del mio lungo disprezzo affannato, ruppe alfine le dure catene:
Ma stabilire con sicurezza che la variante «spene» sia stata
inserita dall’autore nell’edizione di Baudry non e possibile.
«Spene», infatti, circolava gia prima del ’41 in un’edizione
contraffatta di poesie221 del poeta, stampata nel 1832. L’edizione
del ’32 non e certamente autoriale; la variante fu probabilmente
causata da un errore di stampa. In alternativa potrebbe esser
stata introdotta dal tipografo, accortosi della possibilita di
migliorare i versi con una rima.
Il testo dato alle stampe da Baudry potrebbe essere di questa
edizione del ’32, o di un’edizione derivata da quest’ultima. In tal
caso la variante non sarebbe stata inserita dall’autore, ma
trovata nel testo fornito da Baudry e accettata.
La variante «spene» ricorre naturalmente anche nelle edizioni
precedenti al 1848 che fecero riferimento alla Raccolta delle
poesie del ’32. Ad esempio nella raccolta uscita a Bastia nel 1847,
la quarta edizione della Raccolta delle poesie di Giovanni Berchet ,
220 Si veda p. 19. 221 Giovanni Berchet, Raccolta delle poesie. Terza edizione, s.n., Londra, 1832 (da non confondere con Giovanni Berchet, Poesie. Terza edizione riveduta dall’autore coll’aggiunta di altre nuove romanze, Taylor, Londra, 1832, che invece porta «speme»).
152
edita dalla tipografia di Cesare Fabiani, che riportava Le
Fantasie precedute dai Ragguagli storici (firmati 'Gli Editori').
Nella prefazione all’intera edizione si legge:
«Un’edizione a buon mercato delle Poesie di Berchet mancava. Noi
abbiamo creduto che non mai piu che adesso essa fosse divenuta
necessaria. Se infatti i patriottici CARMI di questo nostro novello
TIRTEO, valsero gia a conservare nel petto ai forti la sacra fiamma del
patrio amore 'alere flammam' valere oggi possono e denno a farla e piu
ardente e piu viva, or che per ogni dove divampa, sì che invano abbiano
a valere per rattenerla e comprimerla i nemici esterni, e gli interni,
soffogatori . Ne credasi, noi, questi poetici illustri componimenti oggi
riprodurre in odio di re Carlo Alberto. In odio no; ma ben perche
apprenda coi nobili fatti intrapresi necessario essere alla sua gloria
cancellare i vituperj del passato: ed affinche i vecchi biasimi gli sian di
stimolo a nobilissima emenda»222.
In ogni caso fu soprattutto il 1848 e gli importanti eventi di
quell’anno a rinnovare l’interesse per la poesia berchettiana e a
giustificare le numerose edizioni di poesie che si susseguirono
l’una dopo l’altra in tutta Italia.
Nel ‘48, infatti, scoppiarono una serie di moti in tutta la
penisola tali da riaccendere seriamente le speranze
d’indipendenza e d’unita nazionale. A dare inizio a questa fase di
rivoluzioni, che avrebbe preso piede anche in Europa, fu la
rivoluzione siciliana del 12 gennaio che diede inizio al processo
di sgretolamento del regno dei Borbone nelle Due Sicilie. Al
222 Giovanni Berchet, Raccolta delle poesie, Cesare Fabiani, Bastia, 1847, p. 3.
153
centro, invece, estromesso il papa Pio IX dal potere temporale, si
vide la nascita della Repubblica Romana.
Anche il Lombardo-Veneto visse un’intensa stagione di
rivolte, culminata con le cinque giornate di Milano e la prima
guerra d’indipendenza, che duro dal 23 marzo 1848 al 22 agosto
1849 e termino con il ritorno degli Austriaci nel nord Italia.
Nel 1848 Giovanni Berchet si trovava a Milano. Conclusasi
intorno al ’30 l’infelice parentesi londinese, il poeta aveva
passato gli anni seguenti in giro per l’Europa, facendo
interessanti esperienze culturali (a Bonn frequento per diverso
tempo dei corsi universitari, ebbe poi occasione di conoscere
Niebuhr, Schlegel e Naumann; a Edimburgo fece la conoscenza
del filologo Pillans, del filosofo Hamiltonn e di lord Jeffrey,
fondatore della «Edinburgh Review»)223. Per molto tempo era
stato anche ospite degli Arconati a Gaasbeek dove, in perfetta
tranquillita , aveva lavorato alle traduzioni delle Vecchie
romanze spagnuole224, tanto incoraggiate dalla marchesa
Costanza e a lei dedicate.
Nel 1838 l’Austria concesse l’amnistia a tutti i proscritti
lombardi e molti amici di Berchet, tra cui gli stessi Arconati,
fecero dunque rientro in Italia. Il poeta, invece, continuo a
girare l’Europa per diverso tempo finche , accolta dal Piemonte
la sua richiesta di rientro, torno in patria il 15 novembre 1846.
Una volta tornato Berchet prese subito parte ai dibattiti
223 Si veda Alberto Cadioli, Introduzione a Berchet, Laterza, Bari, 1991, pp. 135 e 145. 224 Giovanni Berchet, Vecchie romanze spagnuole, Hauman, Cattoir e Compagni, Bruxelles, 1837.
154
sull’unita d’Italia mostrando, in realta , quanto fossero cambiate
negli ultimi anni le sue idee politiche. Non passo molto infatti
che, con vivo sdegno, i militanti mazziniani presero a chiamarlo
'traditore', disprezzando l’eclatante passo indietro compiuto dal
poeta nei confronti della casata sabauda. Berchet, infatti, nei
lunghi anni dell’esilio, ma anche nei tanti confronti avuti con
esuli e patrioti italiani, si era sempre piu convinto
dell’impossibilita di veder andare a buon fine i tentativi
d’indipendenza portati avanti dai repubblicani. Pur a
malincuore, Berchet non credeva piu nelle sollevazioni che negli
ultimi anni avevano avuto il solo risultato di «compromettere
piu persone, e far piu esosi i governi presso la moltitudine»225.
La nuova idea di Berchet era dunque che l’unita , per essere
raggiunta veramente, dovesse passare prima dal Regno di Carlo
Alberto, e dunque dall’annessione del la Lombardia al Piemonte.
Scrive Berchet in una lettera ad Antonio Panizzi:
«L’unità assoluta dell’Italia verra col tempo; che in politica come in
natura nulla si fa di un tratto, d’un solo sbalzo. Intanto qui, nella vallata
del Po, da Alpi ad Alpi, noi vogliamo uno Stato (e dì pure un Regno)
costituzionale, forte, compatto, di un dodici milioni almeno di abitanti, il
quale ci salvi adesso e in futuro da qualunque irruzione straniera, sia
ch’ella venga da Germania, sia ch’ella venga da Francia»226.
Un drastico cambiamento, insomma, quello di Berchet, che al
realismo politico e al perseguimento di obbiettivi concreti
225 Lettera datata Wiesbaden, 31 agosto [1833]. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. II, cit., p. 16. 226 Lettera datata Milano, 26 aprile [1848]. Citazione tratta da Luigi Fagan, Lettere ad Antonio Panizzi di uomini illustri e di amici italiani (1823-1870), Barbera, Firenze, 1882, pp. 154-55.
155
sacrificava volentieri i vecchi rancori del passato («Ma
periscano tutte le private simpatie, periscano tutt’i rancori
privati in faccia alla salute della patria. Tanto piu splendida sara
la nostra liberta , se avvalorata da sagrifici individuali»227),
rimproverando di non fare lo stesso a Mazzini che per le sue
«private utopie»228 stava rallentando la salvezza collettiva.
Naturalmente tutti questi cambiamenti nella vita di Berchet
ebbero significative ripercussioni sulla sua attivita poetica.
Negli anni ’30 e ’40, infatti, la sua produzione letteraria si fece
sporadica. Dopo le Romanze spagnuole sono ben pochi i lavori a
cui l’autore scelse di dedicarsi: L’amore illecito (il rifacimento di
un canto popolare), l’Elegia rabbiosa nel 1837, una poesia
scherzosa229 indirizzata all’amica Costanza nel 1838 e, nel ’42, i
versi liberi A Giuseppe Gando230. Ma in nessuna di queste opere e
piu riconoscibile «il poeta dell’odio allo straniero». Al contrario,
le aspre invettive che avevano caratterizzato le opere precedenti
lasciano il posto alla speranza. Nei versi A Giuseppe Gando si
legge: «Dille per nome mio che cuor non perda; / dille che la
sventura / quaggiú immortal non dura»231.
La possibilita di lavorare davvero alla tanto sognata
indipendenza, con un impegno politico in prima persona , finì
per minare le fondamenta stesse della produzione letteraria di
227 Giovanni Berchet, Ai lombardi, allocuzione politica del 14 maggio 1848. Citazione tratta da G. Berchet, Opere. Scritti critici e letterari, vol. II, a c. di E. Bellorini cit., p. 231. 228 Lettera datata Milano, 11 maggio 1848. Citazione tratta da L. Fagan, Lettere ad Antonio Panizzi cit., p. 159. 229 Si veda G. Berchet, Opere. Poesie, vol. I, a c. di E. Bellorini cit., p. 417. 230 Ivi, p. 418. 231 Ibidem.
156
Berchet. Non era piu tempo per una poesia sofferente e
disperata, e neppure per una poesia impregnata di desiderio di
rivalsa. Berchet aveva l’occasione di lavorare concretamente per
quella patria che, molto prima di essere argomento letterario,
era un desiderio, un bisogno reale. In risposta a Giuseppe
Massari che chiedeva le ragioni del suo silenzio, il poeta aveva
precisato: «Sono stato il poeta del dolore, dell’ira e della fede, e
mi basta. Oggi voglio servire la mia patria diversamente»232.
Del resto, la poesia di Berchet non era mai stata, ne avrebbe
mai potuto essere fine a se stessa: «Non posso, non voglio, non
debbo fare come Monti che avea la Musa pronta a cantare di
tutti e di tutto»233. Scriveva Massari:
«Il senso della realta non lo abbandonava mai: il carattere
soggiogava la fantasia. 'Io', soleva spesso dire, 'non ho scritto di critica
letteraria, non ho dettato componimenti poetici per il gusto di scrivere,
di mostrare che sono poeta: ho scritto sempre con un determinato
scopo, e quando uno scopo pratico non mi si parava dinanzi agli occhi
della mente, ho preferito tacere. Invece di scrivere ho letto '»234.
E a tal proposito e emblematico come nel 1848 Berchet
rifiuto di scrivere dei versi commemorativi per i caduti delle
232 Giovanni Berchet in una testimonianza di Giuseppe Massari. Citazione tratta da Ettore Li Gotti, G. Berchet. La letteratura e la politica del risorgimento nazionale, La Nuova Italia, Firenze, 1933, p. 473. 233 Ibidem. 234 Giuseppe Massari, Giovanni Berchet. Ricordi dell’esilio, in «Fanfulla della Domenica», 26 settembre 1880, p. 1.
157
cinque giornate di Milano235, ma fu attivissimo sul fronte politico
lavorando alla sollevazione (poi fallita) che avrebbe dovuto
liberare Milano dagli Austriaci.
Il ’48 fu dunque un anno importante tanto per Berchet che
per l’intera nazione, ecco quindi spiegato il ritrovato interesse
di tipografi e librai per le raccolte di poesie dell’autore. A Bastia,
dalla tipografia di Cesare Fabiani, uscì , proprio nel ’48, la quinta
edizione della Raccolta delle poesie di Giovanni Berchet, anche in
questo caso contenente Le Fantasie precedute dai Ragguagli
storici. A Venezia, invece, dalla Tipografia Repubblicana di
Teresa Gattei usciva nello stesso anno la Raccolta completa delle
poesie di Giovanni Berchet scritte fino ad ora . Anche qui Le
Fantasie comparivano precedute dai ragguagli storici (firmati
'Gli Editori'). A pagina 1, infatti, l’introduzione ruggiana era
preceduta dall’occhietto: LA LEGA LOMBARDA | FANTASIE | (PICCOLO
FREGIO) | RAGGUAGLI STORICI mentre a pagina 19 iniziava la
romanza: LA LEGA LOMBARDA | FANTASIE.
Sempre precedute dall’introduzione ruggiana, Le Fantasie
comparivano anche nel volume di Poesie raccolte da Pietro Zen
edite dalla tipografia Sicca di Padova. L’edizione, tra l’altro, in
235 Berchet fu invitato a scrivere dei versi commemorativi per la rivoluzione milanese del ’48 da Gabrio Casati. Il poeta tuttavia rifiutò, come si legge in una lettera del 3 aprile 1848 indirizzata a Casati: «Amico onorevolissimo, sono davvero dolentissimo di non essere in istato di secondarvi nel desiderio vostro. La mia salute mi ha distolto da un pezzo dal far versi; e per di più sono travagliato adesso da tante commozioni che non so più come potrei trovare la pacatezza di pensare a cosa degna di tanta solennità. Milano la riveggo dopo 27 anni, e in che tempi! Vogliatemi, ve ne scongiuro, scusarmi e non augurare male di me per questo primo rifiuto che pesa anche a me moltissimo». Citazione tratta da Emilio Sioli Legnani, Il 'Saluto a Milano il 6 Aprile 1848' non è del Berchet in AA. VV., Studi sul Berchet cit., pp. 421-27.
158
apertura di volume criticava aspramente alcune edizioni di
poesie berchettiane uscite a Venezia:
«Nel presente volumetto il Collettore si attenne strettamente a dare
in luce le sole Poesie dell’illustre Berchet, senza frammischiarvi, come
altri di recente fece in Venezia (e certo con dispiacere di lu i, che grande
per se sdegna vestirsi delle altrui penne), l’Ode di Bazzoni per la
creduta morte di Silvio Pellico, Luna romita aerea; ed il Componimento
poetico per la rivolta di Napoli , d’autore diverso. Le Illustrazioni
storiche poi premesse alle Fantasie, le quali hanno una immediata
relazione con queste, e ne chiariscono il concetto, compariscono
stampate per la prima volta in queste Province»236.
Sempre nel ’48, nella Raccolta di poesie liriche relative ai
presenti successi d’Italia pubblicata a Macerata dalla tipografia
Spada, Le Fantasie comparivano prive di introduzione; così come
nella raccolta Poesie liberali di Berchet, Borghi e Giusti 237 uscita
nello stesso anno a Palermo dalla stamperia di Francesco Lao.
Le poesie di Berchet riscossero un certo successo anche a
Napoli. Una raccolta di Poesie di Berchet uscì presso Tramater e
un’altra dalla Stamperia costituzionale238. In entrambi i casi Le
Fantasie erano precedute dai Ragguagli storici .
236 Giovanni Berchet, Poesie raccolte da Pietro Zen, Sicca, Padova, 1848, p. 3; non è chiaro di quale edizione veneziana si parli. Ad ogni modo è da escludere si tratti della raccolta edita da Teresa Gattei, dal momento che non conteneva i componimenti qui citati. 237 L’edizione era dedicata a Pietro Riso, barone di Colobria e comandante generale della guardia nazionale. Si legge in apertura di volume: «La Sicilia deve anche a Voi la sua rigenerazione. Rinunziando agli agi ed alle delizie, di cui potete godere per lo splendore della vostra fortuna, avete manifestato alla patria di che tempra sia l’affetto che sentite per Essa […]. È per questo che ci animiamo a dedicarvi una scelta delle poesie di Berchet, Borghi e Giusti scrittori altissimi e della libertà caldissimi». 238 L’edizione riproduceva anche la prefazione dell’edizione di Poesie uscita a Bastia nel 1847.
159
Il proliferare di così numerose edizioni delle sue opere, porto
probabilmente il poeta a scegliere di affidare allo stampatore
Resnati di Milano un’edizione curata personalmente. La
differenza tra questa edizione e le altre diffusesi in tutta Italia e
evidente gia a partire dal contenuto. Di tutte le romanze, infatti,
Berchet scelse di ridare alle stampe unicamente Le Fantasie e I
profughi di Parga . Restavano escluse da questa pubblicazione,
invece, tutte le romanze dell’esilio. Una scelta non da poco
considerando che un’edizione delle romanze del periodo
londinese curata dall’autore continuava a mancare, e
componimenti come Clarina, Il romito del Cenisio etc.
circolavano unicamente nelle edizioni allestite da Giuseppe
Ruggia, o da altri stampatori che a Ruggia avevano fatto
riferimento. Ma la scelta del poeta e in verita abbastanza
comprensibile. Se il messaggio contenuto nei Profughi di Parga e
nelle Fantasie era ancora attuale nel 1848, certo non lo era piu
quello delle romanze dell’esilio. Specialmente considerata la
nuova posizione di Berchet, ora militante nelle file dei
sostenitori di Carlo Alberto. Se infatti il poeta non aveva
rinnegato il versi terribili scritti contro il sovrano, tanto piu che
amici e nemici glieli rammentavano in continuazione, Berchet si
era detto altresì disposto ad accantonare il passato in nome del
bene comune: «E Carlo Alberto che noi vogliamo a Re dell’Italia
superiore; e se son io che predico per questo, tu che sai quello
che io mi sia, puoi ben credere che la necessita imperiosa e
160
l’amor disinteressato della mia patria me lo consigliano, e non
altro»239.
E dunque, in nome del bene comune, le romanze dell’esilio
dovevano essere in qualche modo accantonate. Le Fantasie e I
profughi di Parga , invece, non solo vennero ripubblicate, ma il
poeta approfitto per rivedere il testo apportandovi numerose
modifiche, per lo piu formali. Naturalmente in questa edizione,
per la prima volta, Le Fantasie comparivano introdotte
dall’originale lettera Agli amici in Italia , anch’essa ritoccata.
L’edizione Resnati si presentava come un volumetto non
troppo elegante ma ben curato, stampato in 16°. Contava 141
pagine, e la copertina riportava, al centro di una cornice ricca di
numerosi decori: LE FANTASIE | ED | I PROFUGHI DI PARGA | ROMANZE |
DI | GIOVANNI BERCHET | MILANO | Presso Giovanni Resnati Libraio |
MDCCCXLVIII. Sulla seconda di copertina si elencavano, invece, le
altre opere presenti nella libreria di Resnati e il prezzo
corrispondente. L’elenco continuava in ordine alfabetico anche
sulla terza di copertina. Mentre sulla quarta di copertina,
sempre al centro di una ricca cornice, si trovava una xilografia
raffigurante un’arpa (che, pur diversa, richiamava quella di
Delaforest).
Il frontespizio citava: LE | FANTASIE | ED | I PROFUGHI DI PARGA |
ROMANZE | DI | GIOVANNI BERCHET | IN MILANO | Presso Giovanni
239 Lettera datata Milano, 26 aprile [1848]. Citazione tratta da L. Fagan, Lettere ad Antonio Panizzi cit., p. 155.
161
Resnati Libraio | MDCCCXLVII |, mentre al verso della pagina era
presente l’indicazione: Tip. Ronchetti e Ferreri.
Alla pagina seguente si trovava l’occhietto: ROMANZE | DI |
GIOVANNI BERCHET| mentre al verso della stessa pagina c’era
un’importante precisazione di Resnati: «Questa edizione venne
eseguita dall’Editore con grazioso permesso del chiarissimo
Autore, il quale non intende percio di pregiudicare ai suoi diritti
di proprieta che le Leggi gli garantiscono».
Seguiva l’occhietto della romanza: LE FANTASIE | ROMANZA |
mentre dalla pagina 3 iniziava la lettera introduttiva, preceduta
dal titolo : AGLI AMICI MIEI | IN ITALIA | (piccolo fregio),
contrassegnato da un asterisco che precisava: «Prefazione
dell’Autore posta innanzi alla edizione del Libraio Delaforest.
Parigi, 1829, in 12».
Dalla pagina 3 alla 47 c’era dunque l’introduzione, mentre a
pagina 49 iniziava la romanza preceduta dal titolo: LE FANTASIE |
(piccolo fregio). Lo stesso piccolo fregio era anche in chiusura di
poesia, e il testo si concludeva a pagina 102. Seguiva l’occhietto
dei Profughi di Parga e i versi privi dello scritto introduttivo del
’23.
Per l’impaginazione delle Fantasie, Resnati mise
un’attenzione particolare nel riprodurre il testo come
nell’edizione originale. Se la lettera Agli amici in Italia ha infatti
numerazione casuale, le ottave delle Fantasie, invece, sono
disposte nel volume esattamente come nell’edizione di
Delaforest.
162
Anche per questa edizione la tiratura non doveva essere
particolarmente alta, e infatti oggi risulta piuttosto rara240.
Come si e detto, nel ridare alle stampe le sue opere Berchet
introdusse diverse modifiche. Alcune andavano semplicemente a
correggere gli errori dell’edizione di Delaforest, ma per la
maggior parte si trattava di piccoli ma numerosissimi interventi
in ambito ortografico e grammaticale241. Il poeta ritocca, ad
esempio, la punteggiatura, soprattutto quella in chiusura di
verso. Ma mostra attenzione in particolar modo per gli accenti (Int. p.
13, «vivi» → Int. p. 12, «vì vi»; Int. p. 38, «dalle dalle» → Int. p. 39, «da lle
da lle»; v. 59, «sorta» → «sórta»; v. 113, «sopito» → «sopìto», che tuttavia
resta «sopito» nelle ottave successive; v.138, «pampini» → «pàmpini»; v.
354, «pudica» → «pudìca»; v. 375, «volto» → «vólto»; v. 429, «seguito» →
«séguito»; v. 742, «albore» → «albóre»). Inoltre viene inserito
graficamente l’accento grave della vocale tonica i all’interno delle
parole terminanti in -ia o in –ie.
240 Gli esemplari consultati per questo studio sono conservati presso: Biblioteca Comunale Centrale di Milano (F₄Mi): esemplare singolo. SEGNATURA: SG.F.4.-3.
Biblioteca Nazionale Braidense di Milano (F₄MiB): esemplare singolo, con copertina originale (privo della terza e quarta di copertina). SEGNATURA: SALA.FOSC.05.0114.
Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano (F₄MiA): esemplare singolo con copertina originale. SEGNATURA: S.C#.G.II.67. 241 Nel 1843, qualche anno prima della stampa delle Fantasie ed I profughi di Parga, era uscita a Milano, presso Branca (e anche presso Bianchi di Giacomo), la Lessigrafia italiana di Giovanni Gherardini. L’opera conteneva un confronto tra la forma di scrittura di alcune parole voluta dalla Crusca e quella proposta dall’autore. Queste indicazioni non sembrano esser state adottate in modo sistematico nelle edizioni di Resnati; né tutte le indicazioni date da Gherardini sono accolte dal poeta. Ma è possibile che l’interesse generato da questa lessigrafia spinse Berchet ad una maggiore attenzione di tipo ortografico-grammaticale nel testo delle Fantasie dato alle stampe nel ’48.
163
F₁Mi F₄Mi Lettera Agli amici in Italia p. 5 pedanteria p. 8 soperchierie p. 10 villania p. 11 ipocrisia p. 25 anomalie p. 30 soperchieria p. 31 apologia p. 31 diavolerie p. 33 gofferia p. 35 tirannia p. 35 simpatia p. 43 angherie
p. 4 pedanterì a p. 7 soperchierì e p. 9 villanì a p. 10 ipocrisì a p. 25 anomalì e p. 30 soperchierì a p. 32 apologì a p. 32 diavolerì e p. 34 gofferì a p. 35 tirannì a p. 36 simpatì a p. 45 angherì e
Romanza:
v. 18 obblia v. 236 venia v. 265 languia v. 324 uscia v. 615 reddia
obblìa venìa languìa uscìa reddìa
Mentre per le forme contratte si sceglie di inserire l’accento
circonflesso.
F₁Mi Romanza:
v. 87 fer v. 164 concepìr v. 209 giuràr v. 244 riposar v. 298 uscìr v. 300 salìr v. 456 dier v. 695 ver
F₄Mi
fêr concepîr giurâr riposâr uscîr salîr diêr vêr
Altro aspetto che sembra interessare il poeta riguarda il segno
grafico della dieresi, che viene sistematicamente inserito la dove la
struttura metrica lo richiede.
164
F₁Mi Romanza:
v. 184 Trionfator! v. 222 Col trionfal concento v. 252 Cercando impazienti v. 290 Si stringe al cor; l’aita, v. 315 Saldi, eretti, riarsi di voglie, v. 588 D’italiana aurora. v. 602 Ei genial lo spira; v. 622 A circuirgli il passo, v. 662 Dell’inquieto esiglio?
F₄Mi
Trïonfator trïonfal impazïenti aïta rïarsi italïana genïal circuïrgli inquïeto
In due casi Berchet sceglie di abolire l’apocope (Int. p. 9, «saldo ne’
petti» → Int. p. 8, «nei petti»; Int. p. 15, «ne’ boschi» → Int. p. 14, «nei
boschi»), ma viceversa preferisce «amor» ad «amore» (Int. p. 37,
«all’amore della patria» → Int. p. 38, «all’amor della patria») e «Signor»
a «Signore» (v. 559, «Nei dì del Signore,» → «Nei dì del Signor,»). Altri
interventi riguardano invece le maiuscole. A tal proposito e curiosa la
scelta del poeta circa il titolo di imperatore in una frase che, tuttavia, ne
ridicolizzava il valore. Nell’introduzione a p. 9 della prima edizione si
legge infatti: «Federigo Hohenstaufen, soprannominato il Barbarossa e
facente il mestiere d’imperatore». Nell’edizione Resnati a p. 7 si trova
invece «Imperatore». In altri contesti, invece, la scelta della maiuscola e
piu comprensibile (Int. p. 20, «obbedientissimi a’ governi» → Int. p. 19,
«obbedientissimi a’ Governi»). Caricato di maggiore importanza, va
maiuscolo anche l’aggettivo «italo» (v. 195, «Nenie per l’italo / Defunto
onor;» → «Nenie per l’Italo / Defunto onor;»), e anche «lombarda»
accanto a Lega (Int. p. 22, «gran promotore della Lega lombarda» → Int.
p. 22, «gran promotore della Lega Lombarda», ma a p. 24 e ancora
«Lega lombarda»). Al v. 628 la maiuscola va invece a personificare il
sole («…e la salita / Del sol piena sospira,» → «…e la salita / Del Sol piena
165
sospira,»), come anche al v. 641 («Eccolo, il sol!...» → «Eccolo, il Sol!...»)
conferendo maggior grandezza all’immagine del sorgere dell’alba che
tra l’altro coincide con la felicita rinata (e presto delusa) nel cuore
dell’esule.
Altri ritocchi sono ad esempio l’abbreviazione «Sr.» alla quale si
preferisce la forma estesa «signor» (Int. p. 8, «Sr. Sismondi» → Int. p. 7,
«signor Sismondi»). Mentre in alcune parole e eliminato il
raddoppiamento (Int. p. 29, «profferite» → Int. p. 29, «proferite»; v. 445,
«gottiche» → «gotiche») che viceversa e introdotto in altre occasioni
(Int. p. 18, «difinirla» → Int. p. 17, «diffinirla»). Berchet modifica inoltre
la forma di alcune parole (Int. p. 24, «malgrado» → Int. p. 24, «mal
grado»; Int. p. 29, «volentieri» → Int. p. 30 «volontieri»; Int. p. 43,
«mettevansi» → Int. p. 44, «metteansi»). Aggiunge, inoltre,
l’articolo indeterminativo «un» all ’interno di una frase
dell’introduzione (Int. p. 31, «non e posta tenue per uomo che…»
→ Int. p. 31, «non e posta tenue per un uomo che…»).
Come si e detto questa edizione accoglie definitivamente la
variante «spene» al v. 46. Sembra invece solo un refuso «pieghi»
al posto di «prieghi» al v. 179 («Sul labbro scocchino / Le oblique
arguzie, / I prieghi e il calido / Ghigno d’amor,»).
Non compaiono, dunque, modifiche sostanziali all’opera;
Berchet non reinserì neppure quella parte di testo che la
marchesa Costanza aveva cassato nell’edizione parigina del
1829242. L’autore confermo , quindi, con soddisfazione i versi
242 Si vedano pp. 77-79.
166
scritti vent’anni prima, mettendo fine con questa edizione alla
propria esperienza di poeta.
L’edizione Resnati ebbe il grande merito di ridare al le
stampe, dopo anni e anni, la vera introduzione alle Fantasie. La
lettera Agli amici in Italia , ormai dimenticata, torno quindi alla
luce e comincio ad apparire anche nelle raccolte successive al
1848. Tuttavia, almeno per un certo periodo, ai Ragguagli storici
proprio non si volle rinunciare. Ne e l’esempio una Raccolta
completa delle poesie di Berchet , uscita nello stesso anno con la
falsa indicazione di Londra. Qui, infatti, Le Fantasie vennero
fatte precedere dalla lettera Agli amici in Italia insieme ai
Ragguagli di Ruggia; entrambe le prefazioni, pero , erano
accompagnate da una nota a pie di pagina che ne specificava la
provenienza. Nel caso della lettera si legge, infatti: «Prefazione
dell’autore posta innanzi all’edizione di Parigi 1829» 243. Mentre
in calce ai Ragguagli si specificava: «Benche questi ragguagli
non escano dalla penna dell’illustre autore, tuttavolta crediamo
opportuno di riprodurli, sembrandoci necessarii a spiegare piu
diffusamente un fatto luminoso della storia italiana»244. E
qualche pagina piu avanti un’ulteriore nota ribadiva:
«Rammenteremo al lettore che questi ragguagli furono
pubblicati nel 1832, edizione di Londra»245.
A questo proposito e interessante osservare che, in generale,
solo pochi tipografi sentirono la necessita di specificare che la
243 Giovanni Berchet, Raccolta completa delle poesie, s.n., Londra, 1848, p. 7. 244 Ivi, p. 31. 245 Ivi, p. 41. Ma come si è visto, i Ragguagli comparivano già nell’edizione del 1829.
167
paternita dei Ragguagli non apparteneva effettivamente a loro.
La maggior parte degli stampatori, invece, riproponendo il testo
esattamente come lo aveva stampato Ruggia (un testo che, tra
l’altro, si rivolgeva al lettore in prima persona), e riportando
sotto anche la firma 'Gli Editori', davano a intendere di esserne
gli artefici.
Ad ogni modo Giovanni Berchet, fallite le sollevazioni
milanesi, riparo a Torino dove fu eletto deputato il 10 ottobre
1848. Continuo dunque il suo impegno politico, che finì per
assorbire tutte le sue energie. «E veramente per me una vita di
sagrificj, e n’ho fin sopra la testa. Non ho tempo di far nulla
nulla, neppure un passeggio la domenica»246, scriveva all’amica
Costanza. Ma con l’aggravarsi delle sue condizioni di salute,
Berchet scelse di lasciare la politica trasferendosi per un breve
periodo a Firenze e successivamente soggiornando in localita di
mare o lago per ristabilire la propria salute (trascorse, infatti,
lunghi periodi a Pallanza, Baveno, Nizza e Vichy). Tornato a
Torino morì il 23 dicembre del 1851, nel giorno del suo
sessantottesimo compleanno. Fu seppellito nel cimitero di
Torino, dove si sarebbe dovuto erigere un monumento in suo
onore, e Giovanni Prati ne onoro la memoria con un inno, In
morte di Giovanni Berchet247. Nel cenno introduttivo all’inno
Prati celebro il poeta come il cantore della patria, augurandosi
246 Lettera datata Torino, 14 dicembre [1848]. Citazione tratta da G. Berchet, Lettere alla marchesa, vol. II, cit., p. 224. 247 Giovanni Prati, In morte di Giovanni Berchet, Tipografia sociale degli artisti A. Pons e C., Torino, 1851.
168
che i suoi versi non cadessero mai nell’oblio nei cuori dei
posteri e che servissero, invece, a tenere sempre viva la fiamma
dell’«ira legittima» contro ogni forma di vessazione:
«E voi, Italiani, rileggete oggi piu che mai i canti di Giovanni Berchet;
e ritemprandovi nell’ira legittima contro ogni domestica e forastiera
oppressione, rifatevi degni degli antichi padri che furono i sacerdoti, i
poeti e i guerrieri di Dio e della patria, e che vi hanno lasciato nelle
mani un’eredita di gloria troppo bella perche gli estranei non ve
l’abbiano a invidiare, e troppo sacra perche voi non la dobbiate
coll’ingegno, coll’onore e col sangue difendere»248.
Un auspicio quello di Prati che si avvero almeno per tutto
l’’800. La fama dei versi di Berchet sopravvisse alla sua morte e
questo avvenne anche per Le Fantasie, tra le poesie piu celebri
del poeta, assunte come vero e proprio simbolo dell’orgoglio
patriottico e per questo ristampate in numerosissime edizioni
negli anni piu caldi della lotta risorgimentale.
LE FANTASIE NELLE EDIZIONI SUCCESSIVE ALLA MORTE DELL’AUTORE
Nel periodo precedente al 1861 le raccolte poetiche di
Berchet continuarono a circolare per lo piu in edizioni realizzate
alla macchia, prive di indicazioni tipografiche e soggette a
censure o sequestri. E ovviamente tutto cio si ripercuoteva sulla
correttezza del contenuto. Molte di queste pubblicazioni
248 G. Prati, In morte di Giovanni Berchet. Citazione tratta da G. Berchet, Opere edite e inedite a c. di F. Cusani cit., p. XXV.
169
comprendevano, infatti, anche componimenti erroneamente
attribuiti a Berchet, testi scorretti o contaminati.
Ad ogni modo sono numerose le edizioni che si susseguirono
dal 1851 in poi. A Bastia, nel 1859, senza l’indicazione
dell’editore (ma potrebbe essere lo stesso Cesare Fabiani che nel
’47 e ’48 aveva dato alle stampe la Raccolta delle poesie di
Giovanni Berchet249), uscì l’edizione delle Poesie complete di
Giovanni Berchet e d'altri autori italiani con aggiuntovi un cenno
storico. Al centro del frontespizio figurava la litografia della
lampada a olio con il motto alere flammam (come nelle edizioni
di Ruggia), mentre nella prefazione l’editore dedicava il volume
alla «Generosa Gioventu Italiana» che con i l suo impegno
patriottico si era resa «l’ammirazione dell’Europa, speranza e
palladio di liberta »250. Le Fantasie erano introdotte da un Cenno
storico, ovvero dai ragguagli ruggiani, privi di firma.
Un’altra edizione in circolazione nel ‘59 erano le Poesie di
Giovanni Berchet con aggiunte , stampate a Firenze dalla
tipografia di Eusebio Forti. L’edizione era introdotta dalla stessa
prefazione251 posta in apertura alla Raccolta di poesie edita dalla
stamperia di Cesare Fabiani nel 1847. Le Fantasie comparivano
invece precedute dai ragguagli di Ruggia, qui rinominati
Ragguagli storici intorno alle Fantasie e firmati 'Gli Antichi
Editori'.
249 Si vedano pp. 151-57. 250 Prefazione a Giovanni Berchet, Poesie complete, s.n., Bastia, 1859, p. 5. 251 Si veda p. 152.
170
Un’edizione di Poesie di Giovanni Berchet del 1860 con
indicazione Londra, ma senza ulteriori dati tipografici, portava
invece, in apertura delle Fantasie, sia la lettera che i ragguagli,
con una nota a pie di pagina per entrambe le prefazioni che ne
specificava la differenza, nelle stesse modalita gia viste252 in una
precedente edizione del 1848, sempre con l’indicazione di
Londra. Si trattava, ad ogni modo, dell’ultima edizione di poesie
berchettiane precedenti all’unita d’Italia. Dal 1861, finalmente
sottratta ai vincoli della censura253, la poesia di Berchet era
libera di diffondersi con maggiore forza e vigore. A Milano, ad
esempio, proprio nell’anno dell’unita , uscì dalla tipografia
Guigoni la raccolta Poesie di Giovani Berchet, ristampata anche
nel ’68 e nel ’77. Le Fantasie comparivano prive di qualsiasi
introduzione, mentre nella prefazione all’edizione Carlo Te ol i
celebrava il poeta con queste parole:
«I poeti furono i primi guerrieri della nostra indipendenza. Quando
non solo le leggi, ma la noncuranza e il silenzio codardo dei piu
vietavano e soffocavano la parola, il poeta […] scendeva in piazza, e co’
suoi carmi consigliava il racquisto della dignita e della potenza . […]
Questi versi, monumento della nostra insofferenza del servaggio, non
morranno; e se mai avvenga che, racquistata tutta la nostra terra,
252 Si veda p. 166. 253 È proprio per tutelarsi dalla censura che probabilmente il tipografo Antonio Spargella scelse di non includere Le Fantasie nella sua antologia destinata alle scuole. Si trattava di Cento sonetti, trenta canzoni e scelta raccolta di poesie italiane di Foscolo, Berchet, Manzoni ed altri ad uso delle scuole, con note, pubblicata a Vigevano nel 1851. Qui, infatti, le uniche poesie dell’autore inserite erano I profughi di Parga e Il Trovatore.
171
un’empia mollezza torni a serpeggiare ne’ nostri animi e li corrompa ed
inchini di nuovo a servire, questi versi varranno a destarci»254.
Ormai lontani gli anni tristi in cui Berchet aveva composto le
sue opere, e raggiunta finalmente l’unita d’Italia, la poesia
dell’autore perdeva dunque il suo spirito militante
trasformandosi in un elogio al diritto della liberta e in un
monito alla sua salvaguardia.
Sempre nel 1861 circolava anche un’altra raccolta, Poesie di
Giovanni Berchet255 che riportava sul frontespizio l’orgogliosa
indicazione Italia-1861. Le Fantasie erano nuovamente
precedute da entrambe le prefazioni, accompagnate dalle note
descritte per le edizioni londinesi del 1848 e 1860 256. Ma la
lettera Agli amici e i Ragguagli figurano insieme anche
nell’edizione napoletana di Giuseppe Marghieri, sempre del
1861.
Proprio allo scopo di mettere ordine nel caos delle tante
edizioni scorrette in circolazione, Francesco Cusani decise di
curare nel 1863 la prima significativa raccolta delle opere di
Giovanni Berchet. L’edizione, che uscì a Milano per Pirotta e
comp., comprendeva l’intera produzione dell’autore (o almeno
tutto cio che il curatore era riuscito a reperire; mancavano,
infatti, i Versi infantili al padre , quelli per Giuseppe Gando e
diversi altri), includendo sia gli scritti di prosa che di poesia.
254 Prefazione a Giovanni Berchet, Poesie, Guigoni, Milano, 1861, pp. 3-6. 255 Secondo Marino Parenti si tratterebbe di un’edizione Pagnoni, pubblicata a Milano. Si veda M. Parenti, Dizionario dei luoghi di stampa cit., p 232. 256 Si vedano pp. 166 e 170.
172
Inoltre, si dava al pubblico anche il materiale del tutto inedito
che era stato messo a disposizione di Cusani dai coniugi
Arconati. La raccolta, quindi, dopo un saggio biografico
introduttivo si divideva in due parti: Poesie e prose edite e Poesie
e lettere inedite .
In verita , pur nello sforzo di dare alle stampe un’edizione di
riferimento per la produzione berchettiana, Cusani cadde in un
errore significativo. Inserì , infatti, tra i componimenti inediti,
anche il Saluto a Milano il 6 Aprile 1848 , attribuito invece da
Emilio Sioli Legnani257 a un certo Odoardo Castellano, soldato
napoletano autore di un volumetto di poesie Canti italiani , nel
quale figurava appunto anche il Saluto a Milano. Ad ogni modo
l’intento di ordinare la produzione del poeta era certamente
lodevole258. A tal proposito scrive Cusani in apertura di volume:
«Resta ch’io dica brevemente del perche ho intrapresa questa
edizione, e come la condussi. Dal 1823 al 1859 le romanze furono
257 Si veda a tal proposito G. Berchet, Opere edite e inedite a c. di F. Cusani cit., p. 446 e Emilio Sioli Legnani, Il 'Saluto a Milano il 6 Aprile 1848' non è del Berchet in AA. VV., Studi sul Berchet cit., pp. 421-27. 258 In realtà, altra scelta non del tutto corretta di Francesco Cusani riguardava la xilografia inserita nel frontespizio dell’edizione. Si trattava di un’incisione raffigurante la stessa lampada a olio, accompagnata dal motto alere flammam, che compariva nelle edizioni londinesi delle poesie (ripetuta, come si è visto, anche nella raccolta di Bastia). Scrive Cusani nella prefazione al suo volume: «La costanza in tener viva ne’ propri concittadini la fiamma dell’amor di patria venne adombrata da Berchet coll’emblema che adottò d’una lucerna di forma antica, entro la quale una mano misteriosa versa l’olio col motto alere flammam» (G. Berchet, Opere edite e inedite a c. di F. Cusani cit., p. XVIII). E in effetti, per molto tempo si continuò ad attribuire questo stemma al poeta, immaginando che Berchet lo avesse in qualche modo assunto a simbolo della propria poesia. Ma ciò è piuttosto improbabile. Berchet non utilizzò questo simbolo in nessuna delle pubblicazioni precedenti all’esilio né in quelle successive al suo ritorno in patria. Il simbolo non compariva nell’edizione dei Profughi di Parga né in quella parigina delle Fantasie. La litografia pare dunque trovarsi solo nelle edizioni delle Poesie e delle Fantasie che portano indicazione di stampa Londra-Taylor. Ma come si è visto probabilmente tutte queste edizioni furono opera delle tipografie del Canton Ticino. Simbolo e motto, dunque, che pure potevano rappresentare benissimo la poesia di Berchet e per questo trarre in inganno, non sarebbero invece da attribuire a una precisa volontà d’autore.
173
stampate e ristampate tante volte che mal se ne potrebbero contare le
edizioni; pero eseguite quasi tutte alla macchia e per speculazione sono
scorrette o mutilate; perfino alla bella introduzione delle Fantasie si
sostituirono certi Ragguagli Storici male abboracciati dal Sismondi; ne
alcuno penso di riprodurre gli scritti anteriori al 1823, probabilmente
per l’unica ragione che gli speculatori o non li conoscevano o non
sapevano trovarne copia. Invece vi univano a capriccio altri versi
erroneamente attribuiti al Berchet. Visto che dopo quattr’anni che v’ha
liberta di stampa nessuno occupavasi di raccogliere le opere sparse di
questo egregio scrittore, io me ne diedi pensiero»259.
Per Le Fantasie , dunque, Cusani si preoccupava di restituire
una versione fedele alla volonta dell’autore, dichiarando di
rifarsi alla prima edizione. In una nota alla pagina iniziale della
romanza e , infatti, precisato: «Dall’edizione di Parigi, Delaforest
1829». Tuttavia non e del tutto chiaro quale fosse realmente
l’edizione di riferimento per Francesco Cusani. Il testo, che in
molti casi sembra effettivamente seguire la prima edizione, in
altri casi accoglie invece le lezioni presenti in quella milanese di
Resnati. La sensazione e che forse il curatore si sia avvalso di
entrambi i testi scegliendo di volta in volta (probabilmente in
modo arbitrario) la lezione migliore, e tuttavia con una certa
propensione a seguire l’edizione Resnati. Compare, ad esempio,
la lezione «spene», presente nell’edizione Resnati. Al contrario si
segue l’edizione parigina per «imperatore», «governi», « italo» e
«sol» (che nell’edizione Resnati portano tutti la maiuscola). Ma
l’oscillazione tra le due edizioni di riferimento si fa piu evidente
259 Prefazione a G. Berchet, Opere edite e inedite a c. di F. Cusani, pp. XXVII-III.
174
per quanto riguarda gli aspetti interpuntivi e ortografic i del
testo, in particolare in riferimento agli accenti. Nel testo si
legge, ad esempio, «fer» ma anche «concepîr», «giuràr», «uscîr»,
«salir», «diêr» etc. Anche la dieresi e accettata solo in alcuni
casi. Si trova, infatti, «Trionfator», «trionfal», «aita», «riarsi»,
«circuirgli» ma allo stesso tempo «impazïenti», «italïana»,
«genïal», «inquïeto». Il risultato e dunque un testo piuttosto
eterogeneo.
In qualche caso, inoltre, Cusani interviene sul testo
personalmente, per lo piu a proposito della punteggiatura e
della forma della parola. Ad esempio, scartando la lezione
«difinirla» (Delaforest) e «diffinirla» (Resnati), inserisce
«definirla». Mentre potrebbe essere solo un errore la scelta di
«surta» al posto di «sorta» (Delaforest) e «sórta» (Resnati).
Tra l’altro, l’edizione di Cusani porta un significativo refuso
di stampa. Al v. 14, si trova infatti « ignari» invece di «ignavi».
Insomma, anche se l’edizione delle Opere edite e inedite di
Cusani aveva il grande merito di aver raccolto e ordinato per la
prima volta tutta la produzione di Berchet, almeno per Le
Fantasie il testo riprodotto non era del tutto privo di
scorrettezze e contaminazioni. Tuttavia l’edizione ripristinava
quantomeno in modo definitivo l’introduzione originale. A parte
rare eccezioni (ad esempio la raccolta di Poesie stampata da
Oreste Ferrario a Milano nel 1878, che conteneva sia i Ragguagli
che la lettera, con le stesse note dell’edizione Londra-1848,
175
Londra-1860 e Italia-1861260), i Ragguagli storici smisero, infatti,
di comparire nelle edizioni successive a quella di Cusani.
Se il testo della prefazione si stabilizzava, non si puo dire lo
stesso, invece, di quello della romanza, che continuava a
risultare piuttosto contaminato. Nel 1864, ad esempio, la
tipografia di Francesco Manini pubblico a Milano l’edizione
Prose e poesie di Giovanni Berchet, dove si celebrava l’autore
come «apostolo della nazione» e «maestro di virtu civile»261. Si
legge nella prefazione: «Le poesie del Berchet, non saranno
forse mai modello ad una scuola. Nate dalle sofferenze della
patria, restano nella storia come un monumento isolato
dell’arte»262. Molto probabilmente Manini non si appoggio ne
all’edizione Resnati ne a quella di Cusani dal momento che ne
ignoro molti cambiamenti, tra cui la lezione «spene».
Sempre nel capoluogo lombardo, nel 1883, uscì la raccolta
Ballate e romanze di Sonzogno che ebbe numerosissime
ristampe sia nell’’800 (1891 e 1898) sia nel ‘900 (1901, 1905 e
1910). La raccolta comprendeva Le Fantasie , I profughi di Parga ,
le romanze del periodo londinese e le Vecchie romanze spanuole .
Comparivano, inoltre, l’ode All’armi! All’armi! scritta in
occasione delle rivoluzioni di Bologna e Modena del 1830 e
L’invito all’Italia nel 1848 (ovvero i versi che nell’edizione di
Cusani prendevano il titolo di Saluto a Milano e che, come si e
260 Si vedano pp. 166, 170, 171. 261 Prefazione a Giovanni Berchet, Prose e poesie, Tipografia di Francesco Manini, Milano, 1864, p. 8. 262 Ibidem.
176
visto, non appartenevano al poeta). Il testo sia della romanza sia
della lettera Agli amici , fatta eccezione per qualche differenza,
sembra riprodurre abbastanza fedelmente l’edizione Resnati.
A Venezia, invece, nel 1884 uscì dallo stabilimento tipografico
dei fratelli Visentini, una nuova raccolta comprensiva di tutta la
produzione edita e inedita del poeta milanese: Poesie e prose di
Giovanni Berchet. Si trattava, in verita , della semplice ristampa
dell’edizione del ’63 curata da Cusani (come specificato al verso
del frontespizio: Dall’edizione fatta da Francesco Cusani |
Milano, Pirotta 1863). Il contenuto e infatti perfettamente
identico, e impaginato nello stesso modo; in calce alle prefazioni
e alle note di Cusani e sempre specificato il suo nome.
L’edizione era un omaggio di Federico Berchet alle nozze
delle nipoti, Angelina e Leopoldina, figlie di Guglielmo
Berchet263. La copertina portava, infatti, al centro di un’elegante
cornice: AUSPICATISSIME NOZZE | CUCCHETTI-BERCHET | ALLEGRI-
BERCHET. Nel mezzo della pagina seguente si trovava invece la
dedica: ALLE | MIE CARE NIPOTI | ANGELINA E LEOPOLDINA | NEL FAUSTO
GIORNO | DEL LORO MATRIMONIO | AFFINCHE | NELLE NUOVE FAMIGLIE |
LE TRADIZIONI AVITE | EDUCHINO I FIGLI | FEDERICO BERCHET. Il volume
conteneva lo stesso ritratto del poeta inserito nella raccolta di
Cusani; non figurava invece la litografia della lampada. Al centro
del frontespizio, trattandosi di un omaggio celebrativo, era
specificato: EDIZIONE FUORI DI COMMERCIO.
263 Guglielmo Berchet (Venezia 1833 – Mestre 1913), nipote di Giovanni Berchet, fu intellettuale, storico e politico, ed ebbe parte attiva nella lotta risorgimentale.
177
Questa raccolta, rifacendosi in modo del tutto fedele al testo
di Cusani, ne riproduceva naturalmente le scelte e gli errori264.
Fedele invece all’edizione Resnati era la raccolta Le romanze
di Edoardo Perino uscita a Roma nel 1892.
Con questa pubblicazione si concludevano le edizioni
ottocentesche contenenti Le Fantasie . Ma naturalmente nuove
edizioni sarebbero uscite nel corso del ‘900 presso i principali
editori; Berchet entrava a poco a poco nel canone della nostra
letteratura.
La prima raccolta poetica novecentesca dell’autore, ovvero Le
poesie di Giovanni Berchet , uscì a Firenze, nel 1906, da Sansoni, a
cura di Giovanni Targioni-Tozzetti (con ristampe nel 1907 e
1922). Scrive il curatore nella prefazione:
«Se oggi la gioventu nostra, leggendo le facili strofe di Giovanni
Berchet, non potra provare tutto quello che i padri provarono quando, o
nelle veglie operose, o nelle adunanze politiche, o nelle carceri, o per le
lunghe ed aspre vie dell’esilio, primamente conobbero o ripeterono i
canti del profugo lombardo; pure, riandando colla memoria i fortunosi
casi del nostro riscatto, dovra , rileggendo le Fantasie e i Profughi di
Parga e gli altri canti, sentire qualcuno dei nobili fremiti che agitarono i
martiri del Risorgimento, e pensando quanto sia costata l’unita della
patria fara certo proposito, con forte e tenace volere, di renderla quale
264 In un esemplare di questa edizione la lezione scorretta «ignari», ereditata da Cusani, è corretta a penna. Si tratta dell’esemplare conservato presso l’Archivio del Risorgimento-Civiche Raccolte Storiche di Milano: Giovanni Berchet, Poesie e prose, Stabilimento tipografico dei fratelli Visentini, Venezia, 1884 (SEGNATURA: MPP.383).
178
la sognarono e la vollero quelli che, in cinquant’anni, sacrificarono alla
nobile idea, vita ed averi»265.
Ad ogni modo, l’intento della raccolta era quello ambizioso di
ordinare gli scritti del poeta, completando il lavoro fatto da
Cusani:
«E strano che in tanta fioritura di raccolte e di antologie, non si sia
pensato di riunire i versi di Giovanni Berchet, del quale, se sono ben
note Le Fantasie, I profughi di Parga , e sei Romanze, sono altrettanto
mal conosciute gran parte delle rime e traduzioni. Sul frontespizio delle
molte ristampe delle su citate operette, e apparsa piu volte la scritta:
Poesie complete , pure solo il Cusani nel 1863 ha raccolto quasi tutti i
versi originali di colui che ben fu detto il Tirteo italiano; ma l’accennato
volume non ebbe gran diffusione, prova ne sia che un erede di Lui,
Federico Berchet, ha potuto, ventun’anni dopo, ristampandone solo la
copertina e il frontespizio, pubblicare per nozze la medesima edizione
milanese, figurando che fosse una ristampa veneziana . Accolsi dunque
con vivo piacere l’invito fattomi dall’on. Ditta G. C. Sansoni di ordinare
tutte le poesie del Berchet»266.
Il volume e introdotto da una ricca (ma non esaustiva)
bibliografia del poeta. Targioni-Tozzetti non cita pero ,
nell’elenco delle opere consultate, la prima edizione parigina
delle Fantasie, limitandosi a dare conto solo dell’edizione
Resnati e delle tante raccolte di Poesie nelle quali compariva
265 Prefazione a Giovanni Berchet, Le poesie, a c. di Giovanni Targioni-Tozzetti, Sansoni, Firenze, 1906, pp. V-VI. 266 Ivi, pp. III-IV. In verità non si tratta effettivamente di tutti i versi del poeta. Mancano anche qui, come nell’edizione di Cusani, i Versi infantili al padre, quelli per Giuseppe Gando e altri.
179
anche la romanza267. Ma sostanzialmente il curatore sembra
riprodurre il testo di Cusani, preferendogli talvolta le lezioni
presenti nell’edizione Resnati. La romanza e introdotta dalla
prefazione dell’autore ma porta un titolo leggermente
modificato (senza apparenti motivi): Ai miei amici, in Italia!
La piu nota pubblicazione novecentesca della produzione del
poeta e , comunque, la voluminosa raccolta di Opere di Giovanni
Berchet uscita a Bari nella collezione «Scrittori d’Italia» di
Giuseppe Laterza & Figli. Si trattava di due volumi pubblicati nel
1911 e 1912 (Poesie e Scritti critici e letterari) a cura di Egidio
Bellorini. L’intento era evidentemente dare alle stampe
un’edizione il piu possibile completa delle opere dell’autore
edite e inedite, pubblicando, a differenza dell’edizione Sansoni,
anche gli scritti di prosa. Per quanto riguarda Le Fantasie ,
Bellorini precisava:
«Mi limitero a dar notizia delle sole edizioni piu importanti, che
servirono di base alla presente ristampa dei versi del Berchet,
omettendo pur di accennare alle innumerevoli ristampe […] che furono
fatte dal 1830 fino al 1870 circa, in Italia e fuori; ristampe per lo piu
scorrettissime, ma che valgono ad attestare la grandissima popolarita di
questi versi»268.
L’intento era certamente ottimo, ma anche Bellorini finì per
farsi ingannare dalle contraffazioni luganesi delle Fantasie, non
267 Si dava conto, inoltre, di un’altra raccolta: Giovanni Berchet, Le Fantasie ed I profughi di Parga, Ronchetti e Ferreri, Milano, 1848. Di questa edizione, però, non si è trovata nessuna traccia. Salvo non si tratti di un semplice errore; la tipografia Ronchetti e Ferreri aveva infatti stampato per Resnati l’edizione del ‘48. 268 Nota bibliografica a Giovanni Berchet, Opere. Poesie, vol. I, a c. di E. Bellorini cit., pp. 421-22.
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facendo distinzioni tra le edizioni conformi al volere dell’autore
e le altre non autoriali. Nell’elenco fatto dal curatore circa le
edizioni consultate figurano, infatti, l’edizione Delaforest, quella
Resnati ma anche quella di Ruggia269. Anche in questo caso,
dunque, il testo non si rifa a nessuna edizione nello specifico,
attingendo liberamente e arbitrariamente da queste tre.
Tuttavia il testo risulta piu omogeneo di quello di Cusani,
cercando almeno uniformita ortografica (si sceglie di non
riportare nessun accento non distintivo e neppure le dieresi;
l’unico segno ortografico a conservarsi e l’accento circonflesso
per le forme contratte).
L’edizione di Bellorini (ma solo il primo volume, Poesie) ebbe
una seconda edizione nel 1941, che almeno per Le Fantasie non
inserì nessun cambiamento (fatta eccezione per qualche segno
d’interpunzione).
Attorno al ’25 invece uscì a Firenze270, nella collana delle
edizioni della «Voce», la raccolta Prose critiche e poesie di
Giovanni Berchet, introdotte da un saggio di Gino Saviotti. Qui
269 Nella bibliografia Bellorini cita: «Le Fantasie, romanza di G. B. preceduta da Ragguagli storici. Seconda edizione (Londra, nella stamperia di B. Taylor, 1829)». Si tratta naturalmente di un refuso di stampa, il riferimento corretto è «R. Taylor», come riportato anche nelle successive ristampe dell’edizione di Bellorini. Il secondo volume dell’edizione, tra l’altro, ebbe anche qualche problema in corso d’opera. Benedetto Croce si lamentò con Laterza della scarsa cura usata in fase di produzione e di errori presenti nelle bozze di stampa, in una lettera del 23 gennaio 1912: «Carissimo amico, purtroppo non si tratta soltanto di uno sbaglio accaduto pel Berchet […]. Sentite a me: create un reparto di correttori, e fatelo rigorosamente disciplinare e sorvegliare». Ma ancora nel luglio dello stesso anno l’edizione non aveva visto la luce (lettera del 1° luglio 1912): «Se vede Nicolini La prego di fargli la solita raccomandazione, perché si va ricadendo nel torpore che inceppa tutto. Baretti e Berchet non si riesce a metterli fuori e l’altro giorno ebbi a telegrafare a Fausto che non si poteva andare avanti in tipografia per mancanza di caratteri». Citazioni tratte da Benedetto Croce-Giovanni Laterza, Carteggio (1911-1920), vol. II, a c. di Antonella Pompilio, Laterza, Bari, 2005, pp. 111 e 187. 270 Stampata a Pistoia, dalla ditta A. Pacinotti e comp..
181
compariva qualche brano estratto dalle Fantasie, corredato di
note critiche. Mancava, invece, la lettera introduttiva.
Altra importante edizione delle opere di Berchet uscì nel
1926 per Vallecchi, a Firenze, a cura di Attilio Momigliano:
Liriche. Nell’edizione non si dava conto della bibliografia di
riferimento, tutto l’interesse del curatore era infatti rivolto a
dare alle stampe la prima edizione commentata delle opere di
Giovanni Berchet271. Per quanto riguarda le Fantasie, infatti, non
si tratta d’altro che della fedele riproduzione del testo
dell’edizione curata da Bellorini per Laterza (quella del 1911).
La romanza era introdotta dalla lettera Agli amici in Italia per la
quale, tra l’altro, Momigliano non riservava un giudizio troppo
felice:
«Questa lettera, che ha pensieri notevoli, e prolissa, e piu spesso
goffa che efficace. Ma non puo sfuggire a nessuno l’interesse che offrono
queste pagine come quadro della coscienza e della schiavitu
contemporanea, e come testimonianza dell’energica tempra morale del
Berchet»272.
Un’altra edizione commentata delle Fantasie uscì , nel 1927, a
Milano, nelle Poesie scelte. Originali e tradotte curate da Natale
Caccia per Signorelli (l’edizione ebbe ristampe nel ’36 e ‘48). Qui
pero Le Fantasie figuravano prive della loro lettera introduttiva.
Nella prefazione al volume Caccia celebrava il poeta, in 271 Si legge nella prefazione: «Non abbiamo ancora un commento delle Romanze e delle Fantasie. Durante la stampa di questo libro esce la raccolta di G. De Robertis, Poeti lirici dei secoli XVIII e XIX, con l’interpretazione (Firenze, Le Monnier), che contiene le Fantasie con note precise. Ma i miei intenti sono del tutto diversi». Citazione tratta da Giovanni Berchet, Liriche, a c. di Attilio Momigliano cit., p. 5. 272 Ivi, p. 92.
182
particolare in riferimento alle Fantasie, riconoscendogli «il
pregio e il vanto di averne [della patria] cantata la storia con
una commozione lirica e traverso la meraviglia di una visione
epica, che non era stata d’altri prima di lui, e dopo di lui sara
solo del Carducci»273. Sempre nel ’27, a qualche anno dall’ultima
ristampa delle Poesie curate da Targioni-Tozzetti, Sansoni a
Firenze metteva sul mercato una nuova edizione dedicata a
Berchet: Romanze e fantasie , a cura di Liborio Azzolina. Le
Fantasie erano precedute dalla lettera Agli amici .
Nel 1931 anche Treves, a Milano, diede alle stampe una
raccolta dedicata al poeta: Le più belle pagine di Giovanni
Berchet, scelte da Alfredo Galletti , uscita nella collana «Le piu
belle pagine degli scrittori italiani scelte da scrittori viventi»,
diretta da Ugo Ojetti. Ma Le Fantasie , ancora una volta, venivano
private del loro scritto introduttivo.
Per Vallardi, invece, Gerolamo Lazzeri curo l’edizione
commentata delle Poesie. Seguite dalla lettera semiseria di
Grisostomo al suo figliuolo , uscita a Milano nel 1936.
Nell’introduzione al volume si legge:
«A piu di un secolo di distanza dai dì che sbocciarono e corsero
rapidi dall’un capo all’altro della Penisola, ripetuti di labbro in labbro,
mandati a memoria da giovani o da vecchi, da quanti avevan nel cuore la
religione del Risorgimento Nazionale, i canti del Berchet sono ancora
vivi, e da noi, tardi nepoti, non posson esser letti senza un fremito di
commozione. […] Chi dice: – Il Berchet, se avesse coltivato, sviluppato,
273 Prefazione a Giovanni Berchet, Poesie scelte. Originali e tradotte, a c. di Natale Caccia, Signorelli, Milano, 1927, p. 21.
183
educato le qualita epiche del suo ingegno, o quelle elegiache, avrebbe
potuto essere o questo o quello –, insegue chimere. Il Berchet non
poteva essere diverso da quello che fu»274.
La bibliografia citata per questa edizione mostra in modo
abbastanza chiaro come nel ‘900 si smetta a poco a poco di fare
riferimento alle prime edizioni delle opere di Berchet, per rifarsi
solamente alle piu recenti raccolte poetiche. Si legge in apertura
di volume:
«La presente edizione e stata condotta sul raffronto delle seguenti
stampe delle opere del Berchet: Opere edite e inedite , pubblicate da
Francesco Cusani (Milano, Pirotta e C., 1863); Le poesie originali e
tradotte a cura di G. Targioni-Tozzetti (Firenze, Sansoni, 1907); Opere: I,
Poesie , a cura di Egidio Bellorini (Bari, Laterza, 1911), tenendo
particolarmente presente quest’ultima. […] Ci siamo valsi,
naturalmente, anche dell’opera de’ precedenti commentatori e tra
questi in modo particolare del buon volume delle Liriche del B., scelte e
commentate da Attilio Momigliano (Firenze, Vallecchi, 1926)» 275.
Nel 1937 anche l’editore Giuseppe Carabba di Lanciano diede
alle stampe un’edizione delle opere del poeta: Romanze e
fantasie, a cura di Luigi de Filippo. Le Fantasie comparivano
precedute dalla lettera Agli amici.
L’ultima edizione commentata delle opere di Giovanni
Berchet e , invece, quella Bur curata da Alberto Cadioli nel 1992,
Lettera semiseria. Poesie. Qui, tuttavia, Le Fantasie sono
riprodotte sulla base di una delle raccolte di Poesie allestite con 274 Prefazione a Giovanni Berchet, Poesie. Seguite dalla lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, a c. di Gerolamo Lazzeri, Vallardi, Milano, 1936, pp. 1-8. 275 Ivi, p. 9.
184
falsa indicazione Londra-Stamperia di R. Taylor276, e portano
dunque lezioni differenti sia dall’edizione parigina di Delaforest
che da quella milanese di Resnati.
Negli ultimi decenni, invece, Le Fantasie , come in generale
tutta la poesia dell’autore, cedono il passo alla «valorizzazione
della Lettera semiseria (per la quale lo scrittore e ancora
ricordato nelle aule scolastiche)»277. I versi invece, penalizzati
da quel legame fortissimo che avevano avuto con un contesto
storico ormai svanito, appaiono per lo piu dimenticati. Nel vano
tentativo di confrontare il poeta con altri autori della nostra
letteratura, cercando per lui una collocazione tra i «grandi» o i
«minori», si tralascia quasi sempre la considerazione piu
importante. Quanto, cioe , la poesia di Berchet incarni l’essenza
stessa del romanticismo italiano nei suoi aspetti piu innovativi
quanto in quelli piu contraddittori. Di questo sono ancora
testimonianza i pur pochi brani delle Fantasie che qualche volta
tornano a comparire nelle antologie della poesia italiana278.
L’impegno e l’amore di Giovanni Berchet per l’Italia finì per
consegnare alla storia l’immagine di Berchet patriota, prima che
poeta. A scapito del suo importante contributo, nella scrittura
saggistica come in quella poetica, per una lingua e una
letteratura 'moderna', ben in anticipo sui tempi. Un prezzo che
forse Berchet avrebbe comunque pagato volentieri, anche in
276 Si veda la prefazione a Giovanni Berchet, Lettera semiseria. Poesie, a c. di Alberto Cadioli, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1992, pp. 52-53. 277 Ivi, p. 6. 278 Ne è un esempio AA. VV., Il Settecento. L’Ottocento, a c. di Giovanna Gronda e Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano, 1993.
187
Edizioni delle Fantasie*
G. B., Le Fantasie, Delaforest, Parigi, 1829.
G. B., Le Fantasie, Taylor, Londra, 1829.
G. B., Le Fantasie, Taylor, Londra, 1831.
G. B., Poesie, Stamperia Italiana, Malta, 1840.
AA. VV., Rime scelte di L. Carrer, J. Vittorelli, G. Berchet, G. Perticari e G. Marchetti, Baudry, Parigi, 1841.
G. B., Raccolta delle poesie, Fabiani, Bastia, 1847 (1848).
G. B., Poesie raccolte da Pietro Zen, Sicca, Padova, 1848.
AA. VV., Poesie liberali di Berchet, Borghi e Giusti, Lao, Palermo, 1848.
G. B., Poesie, Tramater, Napoli, 1848.
G. B., Raccolta delle poesie, Stamperia costituzionale, Napoli, 1848.
G. B., Le Fantasie ed I profughi di Parga, Resnati, Milano, 1848.
AA. VV., Raccolta di poesie liriche relative ai presenti successi d’Italia, Spada, Macerata, 1848.
G. B., Poesie, Gattei, Venezia, 1848.
AA. VV., Poesie complete di Giovanni Berchet e d'altri autori italiani con aggiuntovi un cenno storico, s.n., Bastia, 1859.
G. B., Poesie con aggiunte, Forti, Firenze, 1859.
G. B., Poesie, Guigoni, Milano, 1861 (1868 ; 1867).
G. B., Poesie, Marghieri, Napoli, 1861.
G. B., Opere edite ed inedite, a c. di Francesco Cusani, Pirotta e comp., Milano, 1863.
G. B., Prose e poesie, Manini, Milano, 1864.
G. B., Poesie, Ferrario, Milano, 1878.
G. B., Ballate e romanze, Sonzogno, Milano, 1883 (1891 ; 1898 ; 1901 ; 1905 ; 1910).
G. B., Poesie e prose, Fratelli Visentini, Venezia, 1884.
G. B., Le romanze, Perino, Roma, 1892.
G. B., Le poesie, a c. di Giovanni Targioni-Tozzetti, Sansoni, Firenze, 1906 (1907 ; 1922).
G. B., Opere. Poesie, vol. I, a c. di Egidio Bellorini, Laterza, Bari, 1911 (1941).
188
G. B., Opere. Scritti critici e letterari, vol. II, a c. di Egidio Bellorini, Laterza, Bari, 1912.
G. B., Prose critiche e poesie, Edizioni «La Voce», Firenze, [1925].
G. B., Liriche, a c. di Attilio Momigliano, Vallecchi, Firenze, 1926.
G. B., Poesie scelte. Originali e tradotte, a c. di Natale Caccia, Signorelli, Milano, 1927.
G. B., Romanze e fantasie, a c. di Liborio Azzolina, Sansoni, 1927.
G. B., Le più belle pagine, a c. di Alfredo Galletti, Treves, Milano, 1931.
G. B., Poesie. Seguite dalla lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, a c. di Gerolamo Lazzeri, Vallardi, Milano, 1936.
G. B., Romanze e fantasie, Carabba, Lanciano, 1937.
G. B., Lettera semiseria. Poesie, a c. di Alberto Cadioli, Biblioteca Universale Rizzoli, Milano, 1992.
AA. VV., Il Settecento. L’Ottocento, a c. di Giovanna Gronda e Maurizio Cucchi, Garzanti, Milano, 1993.
* Si è omesso di citare le numerosissime raccolte di poesie di Giovanni Berchet uscite prive di indicazioni tipografiche o con l’indicazione Londra-Tipografia Taylor.
Bibliografia citata
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Niccolò Tommaseo, Confessioni, Delaforest, [Parigi], s.d..
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Giovanni Berchet, I funerali, Cairo e Compagno, Milano, 1808.
Giovanni Berchet, Amore, Cairo e Compagno, Milano, 1809.
Ugo Foscolo, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, Stamperia reale, Milano, 1809.
Giovanni Berchet, A Felice Bellotti, Stella, Milano, 1816.
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Giuseppe Pecchio, L'anno mille ottocento ventisei dell'Inghilterra, Vanelli e comp., Lugano, 1827.
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Giovita Scalvini, Traduzione del Faust di Goethe, edizione critica a c. di Beniamino Mirisola, Morcelliana, Brescia, 2012.
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I. Giovanni Berchet e l’esperienza risorgimentale e
romantica Romanticismo e risorgimento: la Lombardia dopo il congresso di Vienna I moti del ’21: le fughe e gli arresti Giovanni Berchet
II. La prima edizione delle Fantasie La stesura delle Fantasie Disavventure editoriali Giovita Scalvini La marchesa Costanza Arconati La stampa della prima edizione
III. La seconda edizione delle Fantasie Il Canton Ticino e il risorgimento italiano Tipografie ticinesi e tradizione liberale La militanza politica e culturale di Giuseppe Ruggia La seconda edizione delle Fantasie L’accoglienza delle Fantasie in Italia e la recensione di Mazzini
IV. Confronto tra prima e seconda edizione, e le edizioni successive Prima e seconda edizione delle Fantasie a confronto Le edizioni successive al ‘29 e l’edizione Resnati Le Fantasie nelle edizioni successive alla morte dell’autore Bibliografia
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14
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