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l’Architettura tra segno e disegno l’Architettura tra segno e disegno Franco Purini, Superficie verde, 2014, particolare a cura di Enrico Ansaloni Andrea Dragoni «L’insegnamento dell’architettura, nei casi migliori vale quale paradigma autentico della più nobile tra- smissione di saperi. Nel nome di un’arte del compor- re che costruisce il progetto ed esso costruendo si definisce come strumento di un agire umano dei più necessari e gloriosi. Tecnica per Aldo Rossi, scienza, oggi, per Antonio Monestiroli, linguaggio problemati- co e dimidiato delle arti figurative frequentemente al- le prese non tanto e non solo con un ricambio delle tendenze che lascia inalterate le procedure tecniche, appunto, che determinano l’esistenza dell’edificio, ma pure con una costante, insoddisfatta necessità di definirsi e ridefinirsi come disciplina autonoma stabi- lita iuxta propria principia». Dalla Prefazione di Gianni Contessi Enrico Ansaloni (Modena 1977) si laurea in Architettura alla Facoltà Valle Giulia dell’Università La Sapienza di Roma nel 2004. Consegue il Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana SSD ICAR 14 presso la Facoltà di Architettura dell’Università Mediterra- nea di Reggio Calabria nel 2009. Dal 2005 al 2012 collabora all’attività accademica del Professor Franco Purini sia al Laboratorio di Sintesi Finale tenuto a Roma sia al Corso di Architettura e Composizione Ar- chitettonica IV dell’intercorso di Laurea Edile/Architettura della Fa- coltà di Ingegneria dell’Università di Perugia assieme al Prof. Arch. Roberto De Rubertis. Dal 2012 nella stessa Facoltà è Professore a contratto del modulo Progettazione Architettonica. Tra le pubblica- zioni più significative i volumi: Giuseppe Vaccaro - Asilo a Piacenza 1953-1962, Ilios 2010 e S[P]Et-City - Setting-up spectacular archtec- ture, Librìa 2012, quest’ultimo frutto della tesi di dottorato. Dal 2007 svolge la libera professione, il docente nelle scuole secondarie ed è impiegato presso l’area patrimonio di ASPI. Si diletta nella curatela di mostre, da cui nasce il presente volume. Andrea Dragoni (Perugia 1969) si è laureato con Paolo Zermani presso la Facoltà di Architettura di Firenze. È stato professore a con- tratto presso Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Mila- no (2005-2011) e la Facoltà di Ingegneria di Perugia, dal 2012 insegna presso l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” a Perugia. Proget- ta e realizza opere in Italia e all’estero per istituzioni pubbliche e pri- vate. Tra i premi internazionali più significativi si ricordano: l’Iconic Award 2014 (Best of Best), il Premio “IQU” IX edizione, la selezione nel Barbara Cappochin 2011 e nel Dedalo Minosse VIII edizione. Nell’AR+D Emerging Architecture Awards 2012 riceve l’Highly Com- mended, mentre negli Emirates Glass LEAF award 2013 è finalista nella categoria “Best public buildings”. Suoi lavori sono stati pubbli- cati nelle più importanti riviste internazionali e oggetto di monogra- fie come Il profilo del cielo, edito da Skira nella collana di architettu- ra. Tra le mostre più recenti partecipa a Emerging architecture, presso il Royal Istitute of British Architects a Londra, 2012. 00,00

L'architettura tra segno e disegno

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Franco Purini, Superficie verde, 2014, particolare

a cura diEnrico Ansaloni Andrea Dragoni

«L’insegnamento dell’architettura, nei casi migliorivale quale paradigma autentico della più nobile tra-smissione di saperi. Nel nome di un’arte del compor-re che costruisce il progetto ed esso costruendo sidefinisce come strumento di un agire umano dei piùnecessari e gloriosi. Tecnica per Aldo Rossi, scienza,oggi, per Antonio Monestiroli, linguaggio problemati-co e dimidiato delle arti figurative frequentemente al-le prese non tanto e non solo con un ricambio delletendenze che lascia inalterate le procedure tecniche,appunto, che determinano l’esistenza dell’edificio,ma pure con una costante, insoddisfatta necessità didefinirsi e ridefinirsi come disciplina autonoma stabi-lita iuxta propria principia».

Dalla Prefazione di Gianni Contessi

Enrico Ansaloni (Modena 1977) si laurea in Architettura alla FacoltàValle Giulia dell’Università La Sapienza di Roma nel 2004. Consegueil Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica e Urbana SSDICAR 14 presso la Facoltà di Architettura dell’Università Mediterra-nea di Reggio Calabria nel 2009. Dal 2005 al 2012 collabora all’attivitàaccademica del Professor Franco Purini sia al Laboratorio di SintesiFinale tenuto a Roma sia al Corso di Architettura e Composizione Ar-chitettonica IV dell’intercorso di Laurea Edile/Architettura della Fa-coltà di Ingegneria dell’Università di Perugia assieme al Prof. Arch.Roberto De Rubertis. Dal 2012 nella stessa Facoltà è Professore acontratto del modulo Progettazione Architettonica. Tra le pubblica-zioni più significative i volumi: Giuseppe Vaccaro - Asilo a Piacenza1953-1962, Ilios 2010 e S[P]Et-City - Setting-up spectacular archtec-ture, Librìa 2012, quest’ultimo frutto della tesi di dottorato. Dal 2007svolge la libera professione, il docente nelle scuole secondarie ed èimpiegato presso l’area patrimonio di ASPI. Si diletta nella curateladi mostre, da cui nasce il presente volume.

Andrea Dragoni (Perugia 1969) si è laureato con Paolo Zermanipresso la Facoltà di Architettura di Firenze. È stato professore a con-tratto presso Facoltà di Architettura e Società del Politecnico di Mila-no (2005-2011) e la Facoltà di Ingegneria di Perugia, dal 2012 insegnapresso l’Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” a Perugia. Proget-ta e realizza opere in Italia e all’estero per istituzioni pubbliche e pri-vate. Tra i premi internazionali più significativi si ricordano: l’IconicAward 2014 (Best of Best), il Premio “IQU” IX edizione, la selezionenel Barbara Cappochin 2011 e nel Dedalo Minosse VIII edizione.Nell’AR+D Emerging Architecture Awards 2012 riceve l’Highly Com-mended, mentre negli Emirates Glass LEAF award 2013 è finalistanella categoria “Best public buildings”. Suoi lavori sono stati pubbli-cati nelle più importanti riviste internazionali e oggetto di monogra-fie come Il profilo del cielo, edito da Skira nella collana di architettu-ra. Tra le mostre più recenti partecipa a Emerging architecture,presso il Royal Istitute of British Architects a Londra, 2012.

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l’Architetturatra segno e disegno

l’Architetturatra segno e disegno

a cura diEnrico Ansaloni Andrea Dragoni

© 2015, Futura soc. coop.

Tutti i diritti riservati

Via S. Penna, 89 - Perugia

Tel. 0755280146 - Fax 0755280148

www.futuralibri.com – [email protected]

ISBN 88-97720-89-7

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo

effettuata, compresa la copia fotostatica, non autorizzata.

INDICE

Prefazione 8

Elogio del magistero, Gianni Contessi

I Introduzione

Il dualismo tra disegno e architettura, Enrico Ansaloni 12

L’enigma del disegno, Andrea Dragoni 16

II Segno, tra scrittura e disegno

Vuoto e Architettura, Andrea Antonucci 20

L’architettura e il disegno, Giovanni Argentati 22

Il disegno è pensiero, Viviana Cirillo 24

Autonomia ed eteronomia del disegno in architettura, Enrica Corvino 26

Un linguaggio della mente, Aurora Del Sette 28

Il disegno e la traccia _La traccia del disegno, Giada Domenici 30

Il disegno e l’architettura: il codice di un Tempio Labirinto, Francesca Ferrara 32

Architettura è ancora Disegno, Giulio Galli 34

Sostanza di cose disegnate, Antonello Leggiero 36

Alcune riflessioni tra architettura e disegno di architettura, Giorgios Papaevangeliu 38

Spartiti architettonici, Alberto Saccà 40

Il disegno fra ricerca e comunicazione, Pietro Zampetti 42

III Immaginare l’Architettura - 15 disegni di Franco Purini 45

IV Contributi

Luoghi e percorsi di civiltà, sul disegno di Franco Purini, Maurizio Coccia 79

La sola logica, Roberto De Rubertis 80

Quindici finestre spalancate sul mondo delle idee, Paolo Belardi 81

Post-fazione

Promemoria per Trevi sul disegno di architettura, Franco Purini 83

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ampio, ricorrano ad argomentazioni e a riferimenti extra-disciplinari im-ponenti, trattandosi talvolta di veri e propri saccheggi da altre campi dellescienze umane, in evidente contraddizione con la pretesa autonomia teo-retica e culturale della disciplina. Il fatto è che solo teoreticamente l’archi-tettura riesce ad essere veramente autonoma e pure tecnicamente. Diffi-cilmente riesce ad esserlo dal punto di vista storiografico e ancor meno daquello critico. E non crediamo che sia un’eresia affermarlo.

Al di là di parole e concetti, ovvero di parole che illustrano concetti (già, ilpensiero è linguaggio) tutti strumenti ineludibili di qualsiasi trasmissionedi saperi, se non si vuole revocare in dubbio l’appartenenza dell’architettu-ra al novero delle arti del disegno di memoria vasariana. Il quale GiorgioVasari ne: “il fine della introduzzione” delle Vite (edizione del 1550) ci ricor-da che:

«professioni et arti ingegnose si vede [che] derivano dal disegno, il quale è capo ne-cessario di tutte, e non l’avendo non si ha nulla. Perché se bene tutti segreti et i modisono buoni, quello è ottimo, per lo quale ogni cosa perduta si ritrova, et ogni difficilcosa per esso diventa facile, come potrete vedere nel leggere le vite degli artefici; iquali dalla natura e dallo studio aiutati, hanno fatto cose sopra umane per il mezzosolo del disegno...».

E poiché è bello confrontarsi con la sopravvivenza di forme espressive e co-municative ritenute obsolete o in via di obsolescenza (Henri Focillon ne gioi-rebbe) e posto inoltre che non sempre ciò che è reale è pure razionale, èmotivo di soddisfazione il poter parlare qui di una sopravvivenza istituziona-lizzata. Non solo perché essa ha trovato ricetto nella Facoltà (o Dipartimen-to) di Architettura dell’Università di Roma, ma anche perché essa ha presoforma grazie al magistero esercitato da Franco Purini, forse reso più inten-so dopo il rientro dal settennato trascorso all’Istituto Universitario di Archi-tettura di Venezia, dove certamente ha lasciato una notevole impronta.

Gli è che forse a Roma ragioni e funzioni del disegno, in assenza di inqua-dramenti politecnici, hanno trovato un terreno più adatto, come è dimo-strato anche dai termini del dibattito animato, alla fine del anni Ottanta,dalla rivista XY dimensioni del disegno, promossa e sagacemente direttada Roberto De Rubertis e di cui lo stesso Purini fu sponda e interlocutore.Essendo inoltre che De Rubertis intese il periodico non solo come stru-mento militante di dibattito, ma anche come veicolo di una più ampia ana-lisi dell’intero territorio della rappresentazione. Ne fa fede il fatto che il co-mitato scientifico annoverasse il nome di Decio Gioseffi.Giovani e meno giovani cultori dell’architettura, molto attenti all’attualitàpiù flagrante e probabilmente affascinati dai prodotti reclamizzati da roto-calchi o altre forme di comunicazione, forse avranno rinunciato volentieriall’attivazione di quel pensiero della mano che oggi il mezzo informaticoha contribuito a destituire di fondamento, sebbene non abbia ancora potu-to sopprimere completamente la tradizione del disegno che, di un’archi-

Con molta convinzione e quasi con entusiasmo, il rettore di un ateneo ita-liano, non degli ultimi, meno di un anno fa ebbe a dichiarare che l’epocadelle università dei maestri era finita.Qualcuno rimase sgomento, pur nella consapevolezza dei tempi e dei luo-ghi. Come tutto ciò si era reso possibile? Chi aveva aperto la strada al-l’aziendalizzazione degli istituti superiori e alla trasformazione dello studioe della formazione nella pratica di un disinvolto “gratta e vinci” fondatosull’introduzione dei cosiddetti crediti? E pensare che, molto tempo fa,quell’illuso di Sir Ernst Gombrich aveva dichiarato che compito dell’Uni-versità è la trasmissione di tradizioni.In questi mesi circola in Italia (si fa per dire) la riedizione di un classicodella storia della critica d’arte, che rievoca fra l’altro le glorie della Scuoladi storia dell’arte dell’università di Vienna, quel La storia dell’arte nelleesperienze e nei ricordi di un suo cultore che dobbiamo a Julius VonSchlosser, maestro della nobile ma non pacificata Scuola, la cui opera, nel1936 venne ospitata nelle edizioni Laterza, auspice attento Benedetto Cro-ce, e da allora mai più riproposta. Di maestro in allievo, si sono inanellatii passaggi di generazione in generazione che sostanziano la forma dellascuola e che due guerre mondiali, la dittatura hitleriana e l’occupazionealleata, non sono riuscite ad alterare eccessivamente. L’idea stessa di ma-gistero veniva così confermata nella sua essenza e nelle sue dinamicheche, oggi, l’università italiana, da decenni in preda a ministri e ministerinon si sa se più stolti o demagogici e sia pure a fronte di comportamentinon sempre commendevoli della classe docente, sicuramente da censu-rare, ha inteso liquidare trasformando antiche università in aziende buro-cratizzate simili alle scuole medie. Del resto il ministero è lo stesso.Per loro natura, resistono i conservatori di musica e le facoltà (i diparti-menti) di architettura, dove addestramento e formazione concorrono, uniti,alla costruzione dell’identità culturale di allievi consapevoli e bastante-mente motivati. La specificità disciplinare della scelta fatta impedendo lagenericità o la svogliatezza della frequentazione. Si aggiunga, in fine, ilsenso da subito vagamente affiliativo della iscrizione ai ruoli quasi eccle-siale e si comprenderanno talune cadenze e pratiche di un’affiliazione de-stinata a conferire la competenza del mestiere.

L’insegnamento dell’architettura, nei casi migliori vale quale paradigmaautentico della più nobile trasmissione di saperi. Nel nome di un’arte delcomporre che costruisce il progetto ed esso costruendo si definisce comestrumento di un agire umano dei più necessari e gloriosi. Tecnica per AldoRossi, scienza, oggi, per Antonio Monestiroli, linguaggio problematico e di-midiato delle arti figurative frequentemente alle prese non tanto e non so-lo con un ricambio delle tendenze che lascia inalterate le procedure tecni-che, appunto, che determinano l’esistenza dell’edificio, ma pure con unacostante, insoddisfatta necessità di definirsi e ridefinirsi come disciplinaautonoma stabilita iuxta propria principia.Accade tuttavia che descrizioni o, se si preferisce, narrazioni disciplinariattualmente in circolazione, vuoi di tipo monografico, vuoi di genere più

Elogio del magisteroGianni Contessi

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tettura intesa come aspetto prestigioso e non esornativo della culturaumanistica, è elemento fondativo e, forse ancora per poco non sopprimi-bile. Ma le cronache di questi mesi denunciano l’ormai raggiunta incapa-cità di tanti scolari e studenti di scrivere in corsivo.È dunque motivo di conforto, adesso il poter minimamente corroborarel’iniziativa presa da Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni, di segnalare l’esi-stenza di una “scuola romana” – e parliamo ovviamente, di architettura –cui associare una non distratta ed anzi programmatica coltivazione del di-segno o, meglio ancora, dell’arte del disegno. Del resto disegno e rilievoerano stati individuati da subito – era il 1920 – da Gustavo Giovannoni qualepassaggio ineludibile nell’iter didattico della neonata prima Facoltà uni-versitaria di architettura italiana, istituita notoriamente nella stessa Roma.Ingegnere di formazione, discreto disegnatore “scientifico”, Giovannonimanifesterà una costante cognizione umanistica degli studi di architetturanella loro più ampia e completa accezione, donde il paradigma dell’archi-tetto integrale.Della pur nobile tradizione dell’Ecole des beaux-arts ed anche di quelladelle storiche accademie di belle arti italiane, era parte l’addestramentoalla pratica manuale ma il loro programma di studi non trasmetteva troppisaperi tecnici e scientifici. Dalle accademie non uscivano moderni archi-tetti, ma ancora nelle prime decadi del novecento “professori di disegnoarchitettonico”. Uno degli ultimi, insigni esemplari ne fu Carlo Scarpa, conle conseguenze che ognuno conosce.Nulla di più lontano dagli estetismi d’accademia dell’opera disegnata diFranco Purini. L’artista romano è riuscito miracolosamente a fare convive-re nel suo quotidiano, inesausto e sempre rinnovato esercizio grafico, con-segnato a mirabili tavole e a taccuini preziosi, dati normalmente inconci-liabili. Nel senso che le invenzioni grafiche e pittoriche di Purini fondono,come raramente accade nei fogli degli architetti contemporanei, le ragionidella ricerca disciplinare su tutto ciò che pertiene alla sfera della compo-sizione e che possiamo inquadrare nell’ambito degli studi grammaticali,sintattici e tipologici.Ciò che a noi pare quasi miracoloso è che la descrizione di concetti e cir-costanze di natura progettuale (comunque progettuale), in Purini riesca ariscattare la descrittività positiva del racconto disciplinare trasformandola(ove non si tratti di pura, solidale adiacenza) in invenzione espressiva cuinon è estranea la dimensione di una visionarietà controllata. In questo ri-siede il pur abusato (da noi stessi) sigillo piranesiano che fa di Franco Pu-rini – di cui è nota la vocazione didattica – un maestro di razionalità libe-rata e di metodo capriccioso. E adesso si coniughino l’ampio orizzonte cul-turale del maestro romano non definibile altrimenti che modernamenteumanistico, l’assenza di faziosità, la chiarezza degli enunciati e la fascina-zione delle immagini (si tace qui dell’opera progettata e costruita assiemealla compagna e sapiente collega Laura Thermes) e si comprenderanno leragioni dell’esistenza di una scuola romana di architettura in un transitoche si spera perdurante e tale da conferire alle giovani generazioni il via-tico di una formazione finalmente e non pedantescamente accademica.

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Le immagini che accompagnano i testi, salvo diversa indicazione, sono opera degli stessi autori.

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La pubblicazione di cui questo testo tenta di spiegarne la ragione d’essere,si attesta come la chiusura di un ciclo d’iniziative che hanno avuto per og-getto l’architettura e le modalità attraverso le quali essa si genera, si svi-luppa e si esprime. La mostra Immaginare l’architettura. 15 disegni diFranco Purini fra 20 progetti di linguaggio1 nata da un’idea di Andrea Dra-goni e Maurizio Coccia che si è tenuta nella primavera del 2014 a Trevi (Pg)col fine di restituire centralità alla disciplina architettonica puntando pre-valentemente sulla sua componente immaginifica, rappresenta il passodecisivo verso la realizzazione del presente volume.Per dare forza all’aspetto creativo molto spesso tradito nella prassi attua-le, i disegni di Franco Purini in quell’occasione sono stati accompagnati,grazie alla felice intuizione di Paolo Belardi, da selezionati progetti d’archi-tettura sotto forma di plastici realizzati durante l’ultima esperienza acca-demica del Maestro romano e che in parte erano a loro volta stati presen-tati alla mostra Tra Tipo e Modelli allestita nel 2013 a Roma2.L’esposizione di Trevi rispetto al precedente romano aveva quale scopo nonsolo la celebrazione della componente ideativa propria del disegno qualeprincipale campo di ricerca di Franco Purini da più di quattro decadi3, masoprattutto l’obiettivo di riaffermare un’innata propensione all’intuizioneconoscitiva che va al di là della pura e semplice abilità nel pensare un uni-verso figurativo ben strutturato e che riesce costantemente a imporsi qua-le idea in grado di scavalcare l’effimero e ribadire la matrice compositivadel progetto mediante un instancabile lavoro d’indagine. Gli stessi ventimodelli scaturiti dalla mostra e che ne hanno rappresentato un solidocontraltare, hanno dimostrato la valenza indagatrice del disegno in archi-tettura prefigurando edifici o brani di città dalla forte carica utopica, capacidi esaltare il contesto in cui erano stati pensati. Quale appendice alle giornate conclusive della rassegna trevana, con loscopo di lasciare una testimonianza dell’evento, è stato realizzato un cor-tometraggio nel quale il Maestro romano, mescolandosi a una platea di al-lievi, si confrontava sulle tematiche del disegno, dell’architettura e dell’ar-te in generale, lasciando ancora una volta emergere riflessioni colte e sug-gerimenti interpretativi frutto di una profonda conoscenza della materia4.Il volume in oggetto svolge quindi una doppia funzione: da un lato si attestaa chiusura della riflessione fotografando gli splendidi disegni di FrancoPurini provenienti da diverse collezioni assieme alle composizioni astrattedi una parte della nuova generazione di architetti emergenti provenientitutti dalla “sua scuola” e operanti sul territorio europeo; dall’altro, cercainvece di attivare possibili spunti critici grazie all’apporto dei partecipantistessi e di contributi del calibro di Gianni Contessi, Maurizio Coccia, Ro-berto De Rubertis e Paolo Belardi.

Alla luce di quanto emerso dalla panoramica fin qui delineata, nel pensie-ro di chi scrive, l’aspetto cruciale da porre in evidenza è il conflittuale rap-porto tra l’architettura e il disegno stesso, non soltanto dal punto di vistadel presunto valore aggiunto del progetto realizzato rispetto al progetto ri-masto solo sulla carta, bensì sulla vocazione intrinsecamente positiva chesta alla base del primo rispetto al secondo. È infatti innegabile affermareche da sempre, l’architettura rappresenta per eccellenza lo spirito positivo

dell’ambito creativo: fin dalla capanna primitiva ogni costruzione ha lo sco-po di proteggere l’uomo dalla forza bruta della natura e quindi nasce sem-pre, al di là della declinazione che assume, contenendo in nuce tutta lepossibili aspettative di felicità. È la materializzazione di un sentimento fa-vorevole e genuino per sua stessa definizione, secondo la poetica defini-zione di Eduardo Persico è appunto «sostanza di cose sperate»5. Con questo non mi sento di annoverare tutto ciò che è stato costruito come“buona” architettura; l’esempio calzante che veniva proposto proprio daFranco Purini durante le sue apparizioni pubbliche – lezioni agli studenti oconferenze varie – è la differenza tra le sensazioni suscitate da due opereispirate alla tragedia della seconda guerra mondiale e ai suoi caduti: da unlato il Monumento alle Fosse Ardeatine del “gruppo” Fiorentino6, dall’altroil Museo Ebraico di Daniel Libeskind. Sebbene riferiti entrambi a fatti tra-gici, il primo attraverso l’asola di luce che lo stacca dal terreno fa svanirela pesantezza del massivo volume di chiusura, quasi a simboleggiare unadefinitiva liberazione dalle oppressioni verso una tanto agognata quantomeritata vita eterna; il secondo al contrario gestisce gli effetti di luce inmaniera radicalmente opposta: le fenditure suggeriscono e rimandano al-la violenza subita dal popolo ebraico attraverso i tagli irregolari nelle pa-reti, aumentando il senso di disagio del visitatore. Mi pare evidente e con-divisibile che l’architettura non possa permettersi di incarnare questi sen-timenti. Le altre arti per contro possono farsi portatrici di valori e sentimenti nega-tivi: dalla scultura alla pittura, dal cinema alla letteratura, dalla musica fi-no al disegno c’è una vasta casistica in tal senso. Attenzione con ciò nonvoglio affermare che tutte le altre arti non possiedano o tentino di espri-mere sentimenti positivi, ma credo che abbiano il diritto di estrinsecaresensazioni di malessere, anche violente come succede in pittura nel famo-so Urlo di Edward Munch o ancora nei Trittici di Francis Bacon. Sono al-tresì famose al grande pubblico le provocatorie installazioni di MaurizioCattelan, oltre che le terrificanti scene del film Shining di Stanley Kubrik ole pellicole del “maestro del brivido” Alfred Hitchcock, Psycho su tutte. Daultimo proprio recentemente in campo musicale si riscontra un utilizzo delrap quale strumento comunicativo di rappresaglia religiosa di stampo fon-damentalista.A questo punto del ragionamento mi permetto di introdurre una forzatura:ricadendo le arti comunque nel nostro mondo “fisico” si potrebbero pren-dere per validi i due principali assiomi scientifici «a ogni azione corrispon-de una reazione uguale e contraria» e «nulla si crea nulla si distrugge, tut-to si trasforma»7. Ribadito che l’opera architettonica nasce sempre conuno spirito totalmente positivo, la matrice distruttiva che rappresenta ilsuo contraltare e che necessariamente caratterizza ogni aspetto della vita,deve risiedere per contro in una o più delle pratiche artistiche sopra elen-cate. E il momento che assorbe le energie negative strettamente legato al-la pratica architettonica non può non risiedere nella componente applica-tiva del disegno; tracciare segni sul foglio – di solito bianco – ricorda da vi-cino l’impronta della vanga o il solco dell’aratro sul terreno al fine di dis-sodarlo o ancor meglio lo sbancamento operato tramite scavatore che conil suo atto prepotente e feroce prepara in modo invasivo il campo al getto

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Il dualismo tra disegno e architetturaEnrico Ansaloni

delle fondazioni8: è violenza pura. La base quindi che conserva gelosamen-te i segni di questa pratica di fuoriuscita di energie negative, molto spessoinconscia, è il medium che gestisce l’effetto contestuale di liberazione perl’autore e di auto-incameramento della brutalità nel supporto stesso9. Chesi trasforma nel sacrario in cui tutti gli aspetti negativi vengono custoditi econservati, preservando la futura costruzione come un amuleto su carta,una pergamena del lato oscuro dell’architettura. Al contempo l’atto di purificazione, il traghettatore di esperienza, il baco daseta dell’architettura che consente la trasformazione della crisalide in far-falla è contenuta nell’aspetto profetico del disegno: è proprio con esso chesi manifesta quell’essenza “di cose sperate” intuita da Persico. Ed è il mo-tivo per cui molti progetti rimasti solo sulla carta quali ad esempio la Con-vention Hall di Mies Van Der Rohe, il Fun Palace di Cedric Price o il Padi-glione Internazionale per l’Esposizione di Osaka di Maurizio Sacripantigrazie alla loro forte carica evocativa rappresentano tutt’ora quale modelloper l’intera storia dell’architettura.Per questo motivo, secondo l’interpretazione di Franco Purini ogni disegnocontiene una sorta di custode, “un anticorpo che rende difficile al lettorel’interpretazione del quadro” e che spostandone progressivamente l’atten-zione occulta e camuffa strategicamente la chiave di lettura. Questa sen-tinella dal mio punto di vista può essere intesa come il difensore segretodel codice della negatività e del male che ogni atto creativo intrinsecamen-te racchiude e di cui velatamente si fa portatore sano. È lasciato a noi ilcompito di verificarne l’esistenza e confermare che la composizione di cuisi erge a vigile guardiano, ne preservi il valore assoluto. Ed è ciò che mi fadefinire l’architettura come quell’equilibrio armonioso ma incostante tra lavita e la sua realizzazione.

1 La mostra Immaginare l’architettura. 15 disegni di franco purini fra 20 progetti di linguag-gio a cura del sottoscritto e di Andrea Dragoni, si è svolta tra il 15 marzo e il 30 aprile 2014nel quadro degli eventi organizzati nell’antica e prestigiosa cornice di Palazzo Lucarini aTrevi (Pg), sotto il preciso coordinamento generale Maurizio Coccia. Tale esposizione, così

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come la precedente in ordine temporale descritta nella nota successiva, ha avuto il meritodi mostrare il lavoro di Franco Purini secondo la declinazione di quelli che sono stati suoiallievi sia durante l’ultimo periodo romano a Valle Giulia (2001-2012) sia nel biennio 2010-2011 e 2011-2012 durante il corso di Architettura e Composizione architettonica IV tenutoalla presso la Facoltà di Ingegneria assieme al Professor Roberto De Rubertis. Lo sforzodi chi scrive assieme a Matteo Clemente e Marco Filippucci è portarne avanti l’eredità: uncompito gravoso quasi impossibile svolto con grande rispetto e stima nei confronti delMaestro.2 Questo evento che ha avuto luogo nella storica sede di Fontanella Borghese a Roma dal23 Aprile al 12 Maggio 2013 è stato curato da Sara Petrolati e Patrizia Pescarolo insiemeal sottoscritto ed è stato accompagnato da un piccolo catalogo edito da Librìa dal titolo Tratipo e modelli - Abschlussforlesung per Franco Purini. Il volume ha raccolto il commiatoufficiale di Franco Purini dalle lezioni da parte dei suoi assistenti al Corso di Laboratoriodi sintesi finale presso la Facoltà di Architettura di Valle Giulia a Roma.3 I disegni erano provocatoriamente riassunti in soli quindici exempla ficta molti dei qualia colori. Mi preme ricordare che l’esposizione presentava sei quadri di una collezione pri-vata che per opportunità e concomitanza dell’uscita di questo volume col catalogo dellamostra La Serie e il Paradigma - Franco Purini e l’Arte del Disegno presso i Moderni allaTriennale di Milano dal 15 al 18 Gennaio 2015 sono stati sostituiti da altri della collezionedell’autore altrettanto significativi.4 Il presente volume esce contestualmente alla presentazione del cortometraggio Slitta-menti e depistaggi realizzato da Riccardo Dogana su un’idea di Maurizio Coccia responsa-bile del coordinamento generale.5 E. Persico, Profezia dell’Architettura, Torino, 1935. 6 «Nel settembre del 1946, alla fine di un concorso suddiviso in due fasi, vengono dichiarativincitori ex aequo i gruppi contraddistinti dai motti Risorgere (Nello Aprile, Cino Calcapri-na, Aldo Cardelli, Mario Fiorentino con Francesco Coccia) e U.G.A. (Giuseppe Perugini conUga de Plaisant e Mirko Basaldella). L’incarico congiunto ai due gruppi, anziché ampliarei conflitti tra le varie correnti interne, porterà alla definizione di un progetto d’inedita lim-pidezza iconografica e iconologica». Fonte: http://www.archidiap.com/opera/monumento-ai-martiri-delle-fosse-ardeatine/7 Si tratta del primo principio della termodinamica, anche definito come “legge di conser-vazione dell’energia” e del terzo principio della dinamica, presentato da Newton nel 1687nell’opera Philosophiae Naturalis Principia Mathematica.8 Il tema che è stato trattato più volte da Franco Purini nel corso delle sue lezioni durantei vari Anni Accademici, viene da me ripreso sotto una nuova chiave interpretativa.9 È interessante riscontrare come, in molti artisti su tutti Michelangelo, il tema della faticafisica e mentale nella realizzazione delle proprie opere venga magistralmente celato perfare emergere la perfezione dell’arte e ne permanga traccia solo in alcune righe messe sucarta. Famoso è il verso contenente la dichiarazione all’amico Bartolomeo Ammannati:«Nelle opere mie caco sangue» in R. Clements, Michelangelo. Le idee sull’arte Trad. It. diE. Battisti, Milano, 1964, p. 378.

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Inter-stellar, 2014 inchiostro su cartoncino, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma.

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Un’opera d’arte ci dovrebbe far capire, sempre,che non siamo riusciti a vedere quello che vediamo

Paul Valéry

Se si osserva la babele di nuovi maestri e oracoli virtuali che scalpitanoper narrare buone novelle architettoniche, il disegno tra alti e bassi e nel-le sue più contemporanee declinazioni, è ancora strumento di pensieroprivilegiato per indagare la forma e lo spazio. Nella fattispecie le ultimegenerazioni di progettisti che hanno vissuto il clima della “scuola roma-na”, forse più di altre, hanno fatto propria la necessità di utilizzare con de-cisione il disegno come mezzo attraverso il quale pensare per figure e se-gni, investigando le criptiche tematiche proprie della composizione archi-tettonica con una ricchezza di risultati che hanno scardinato con decisio-ne quell’equivoco ben radicato che ha sempre considerato il disegno co-me mero strumento.Del disegno mi ha sempre affascinato il mistero che rende la sua praticauna sorta di rito dal valore arcaico e per certi versi indicibile, la sua istin-tiva necessità e fisicità colpisce sempre chi, come me, lo vive visceral-mente con gli strumenti in mano nel suo farsi, piuttosto che con i pensieriche cercano di inquadrarlo nella sua dimensione più teorica. Quando conEnrico Ansaloni selezionammo dei disegni di Franco Purini per la mostra“Immaginare l’architettura”1 ho passato in rassegna in modo serrato tuttala produzione di disegni degli ultimi venti anni circa del Maestro romano,ricordo che alla fine della visione (colpito dalla sontuosa qualità e quan-tità delle opere) mi tornò in mente un pensiero dello stesso Purini che ra-gionava intorno alla inafferrabilità del disegno: egli affermava con un can-dore disarmante che pur disegnando molto e scrivendo parecchio sul te-ma, non sapeva “che cosa esso sia e che cosa significhi praticarlo”2. Percerti versi è quella sorta di dimenticanza creativa che si prova di fronte adun nuovo tema di progetto da sviluppare; nonostante una profonda espe-rienza, si è colti da una sensazione di apparente vuoto, di inerzia, è il dub-bio ad alimentare la nostra dimensione interiore, interrogandoci su cosasia quello che stiamo pensando, per poi rispondere unicamente attraver-so il nostro vissuto.In questo enigma del disegno piace perdersi con cognizione di causa in-dagandone la sua dimensione mentale, personalmente in un lavoro di ri-cerca come quello di Franco Purini e per certi altri versi in quello di Co-stantino Dardi, mi ha sempre colpito la sua capacità di essere solido eprofondo, con disegni in forma di sculture/architetture a due dimensioni,che analogamente a quelli di August Rodin, fanno proprio un metodo d’in-dagine dotato di un suo chiaro punto di vista interiore messo in atto conuna raffinata risolutezza. Analogamente a ciò che indagano questi elabo-rati si presentano con il senso esatto del definito, i tratti e i segni sono fat-ti di una sostanza irreversibile che non muterà nel tempo, quello che met-tono in campo, e che mi pare rappresenti davvero la forza principale dafar propria, è la capacità di non essere più semplice segno, è forma- pen-siero che genera un messaggio non mutevole, destinato a durare e riflet-tere, esattamente come dovrebbero essere delle architetture o meglio

Studio per TuaTao, 2009pastelli su carta, cm 47 x 85, collezione dell’autore, Perugia

L’enigma del disegnoAndrea Dragoni

delle sculture. La costruzione paziente di questi pensieri-forma richiedeun suo tempo, o meglio una sua lentezza, le figurazioni si costruiscono at-traverso la ritualità di gesti e segni che, uscendo dal vicolo cieco dellarappresentazione, definiscono un nuovo senso ai segni che non è mai finea se stesso: esso cerca di dare sempre una precisa visione del mondo erimanda contemporaneamente a complesse dinamiche psicologiche edesistenziali.Il disegno in questa direzione diventa altro, assume una ferma dimensionementale che gioca di contrasto con la tensione al consumo frenetico deimessaggi visivi omologati e copia/incolla cui siamo abituati, prendendo ledistanze dal contesto diffuso a livello globale, troppo affollato di sollecita-zioni, troppo convulso dal punto di vista temporale e spaziale.Il metodo dei disegni di Purini e della “sua scuola”, fa proprio un rituale diripetizione quasi ossessiva di segni che con il loro farsi quasi automaticoe combinatorio è costruzione paziente non solo di superficie ma di unacondizione temporale e mentale, di una molteplicità di letture che permet-tono al segno di superare la sua dimensione puramente formale, non tan-to per rappresentare in qualcosa, quanto piuttosto, per manifestarla nellasua verità. Tale gestualità poi evoca ed implica inevitabilmente una condi-zione di lentezza che ritengo possa essere anche strategica; gestualisprezzature che implicano un processo d’attesa dalla quale emergerà ma-gicamente la forma immaginata, in un esercizio ai limiti della mania mache è garanzia di un chiaro punto di vista di chi sta disegnando.È nella inevitabilità dell’esercizio del disegno che sta il suo enigma, oggi lasua necessità deve essere ricordata non solo perché l’avvento del digitaleha permesso nuove direzioni di ricerca per certi versi più glamour e fasci-nose, ma perché si sta lentamente perdendo quella capacità di misurarequella immagine scritta nel cervello evocata da Baudelaire che è formanon più segno, ma è anche l’enigma di volere indagare l’attesa di qualcosache deve accadere, di qualcosa che si deve venire a conoscere.Ritorna l’enigma di Henry James3 più volte citato da Aldo Rossi, la cui so-luzione è in quella cifra nel tappeto che è sotto gli occhi di tutti ma chenessuno vede, disegnare è amare ancora l’architettura perché significa in-dagare con coinvolgimento mentale e fisico l’impossibilità di rimettere inordine l’immaginario e il reale.

1 Immaginare l’architettura, 15 disegni di Franco Purini tra 20 progetti di linguaggio (a curadi Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni), Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi, 15 marzo-10maggio 2014.Nella mostra sono stati esposti i seguenti disegni di Franco Purini: Il muro rosso, 1995; Af-follamento primario, 1995; Il cretto indifferente,1996; Città discontinua, 1996; Composizionebrasiliana, 1996; La città probabile, 1996; Testa n. 2, 2002; Testa n. 4, 2002; Testa n. 6, 2002;Testa n. 9, 2002; Il luogo del centro, 2011; Recinto attivo, 2011; Eurosky, 2014; Superficieverde, 2014; Superficie viola, 2014.2 Franco Purini, Una Lezione sul Disegno, Roma, Gangemi, 1996, p. 31.3 Henry James, La figura nel tappeto, Palermo, Sellerio, 2002.

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Lo spazio è un corpo immaginario, così come il tempo è un movimento fittizio.

Paul Valéry

La relazione tra ciascun individuo e l’architettura che lo circonda non sibasa su un rapporto passivo: ogni organismo percipiente è in grado diorientarsi fra gli avvenimenti, che appaiono simultaneamente o successi-vamente, grazie alle capacità di valutare gli intervalli, le distanze e di co-stituire in tal modo gli schemi entro i quali ordinare ciò che apparirebbealtrimenti caotico, e costruire il mondo percepito.Questi schemi sono conosciuti sotto forma di “spazio” e “tempo”, elementinecessari per valutare tutto il resto, e tutto ciò che è architettura è impre-scindibile da essi: questa condizione implica un atteggiamento attivo versole circostanze. Spazio e tempo non sono qualcosa di implicito negli avve-nimenti ma, al contrario, qualcosa che si costruisce reagendo su quelli;l’intuizione dello spazio non è una semplice lettura delle proprietà deglioggetti, ma un’azione esercitata su di essi. Esercitare un’operazione sugliavvenimenti significa, prima di tutto, fare lo sforzo di interiorizzarli, cioè ditrasformare il dato sensoriale in valutazione mentale del dato stesso, col-legando i fenomeni fra loro secondo il particolare valore che l’organismoattribuisce a ciascuno di essi nel proprio sistema di rapporti con le cose eassegnando loro, per conseguenza, un luogo e un tempo entro cui consi-derarli nel mondo della propria esperienza.Lo spazio ed il tempo sono quindi operazioni mentali, ma qualsiasi opera-zione mentale, in architettura, non può compiersi che grazie all’introduzio-ne di un elemento nuovo: il “segno”, che permette di rappresentarla, sa-pendo che non si può pensare senza “disegnare” mentalmente.Qualsiasi operazione dell’intelletto consiste in una figurazione, non impor-ta di che natura: il termine figurazione, dal latino “fingere”, plasmare, nonsi applica solo alle attività cosiddette figurative. Esso è impiegato nellastoria con molti significati, ma tutti possono essere riportati essenzial-mente alla descrizione di rapporti fra avvenimenti, dunque alla descrizionedi fatti mentali, mediante altri avvenimenti: «un oggetto è un sistema diimmagini percettive dotato di una configurazione spaziale costante, attra-verso i successivi spostamenti e che, perciò, si presta a essere isolato nel-la catena dei fenomeni che si svolgono nel tempo» (J. Piaget).Piaget ha dimostrato che lo spazio nasce come esperienza di un rapportodi continuità fra i fenomeni che ci circondano. La trasposizione segnica, ri-sultato di una elaborazione mentale, ci permette in architettura di proget-tare, organizzare modificare lo spazio come se fosse una infinita massavuota pronta ad essere modellata. Il disegno è lo strumento indispensabileper trascrivere le forme che la precognizione produce: è una sorta di anti-

cipazione della realtà, per renderla evidente prima che essa si manifestinella sua consistenza sotto forma di materia, prima che il prodotto gene-rato possa essere tastato, facendo vedere ciò che ancora non esiste.Il vuoto, cioè lo spazio allo stadio originario, non è né vicino né lontano daun determinato oggetto, né interno né esterno a quello, perché è unica-mente nella nostra testa, e vi è come struttura di rapporti infralogici chenoi stessi costituiamo fra determinati fenomeni. I segni architettonici sonola descrizione di questi rapporti. Lo spazio architettonico è l’esperienzadella continuità fra quei fenomeni proposta da quei segni e dalla loro con-catenazione.L’architettura, a differenza di altre arti, agisce con un mezzo codificatoretridimensionale che include l’uomo: la pittura agisce su due dimensioni,anche se può suggerirne tre o quattro; la scultura agisce su tre dimensio-ni, ma l’uomo ne resta all’esterno, separato, guarda dal di fuori le tre di-mensioni. L’architettura invece è come una grande scultura scavata nel cuiinterno l’uomo penetra e cammina. Quando si costruisce una casa, l’archi-tetto presenta la prospettiva di una sua veduta esterna e magari un’altrainterna, poi sottopone piante, facciate e sezioni, cioè rappresenta il volumearchitettonico scomponendolo nei piani che lo racchiudono e lo dividono:pareti esterne ed interne, piani verticali e orizzontali. Dall’uso di questo metodo rappresentativo, riportato nei libri tecnici di sto-ria dell’architettura, deriva in larga misura la nostra “ineducazione spazia-le”. La pianta di un edificio non è infatti che un’astratta proiezione sul pianoorizzontale di tutte le sue mura, una realtà che nessuno vede se non sullacarta, la cui ultima giustificazione dipende dalla necessità di misurare le di-stanze tra i vari elementi della costruzione. «Le facciate e gli spaccati, in-terni ed esterne, servono a misurare le altezze: ma l’architettura non derivada una somma di larghezze, lunghezze e altezze degli elementi costruttiviche racchiudono lo spazio, ma proprio dal vuoto, dallo spazio racchiuso,dallo spazio interno in cui gli uomini camminano e vivono» (B. Zevi). Da tali considerazioni si può affermare che l’architettura è fatta per l’uo-mo, in funzione del quale lo spazio vuoto viene plasmato, ed è anche fattaper durare in funzione del tempo che agisce su di essa inesorabilmente:l’architettura è il vuoto che si configura in seguito all’incontro tra l’uomo ela natura. Il dinamismo dell’uno converge con la staticità dell’altra, e in se-guito a questa unione si dimensiona lo spazio: l’uomo si relaziona sempreallo spazio in cui vive, secondo un’azione che pone a confronto un mondopensato con un mondo concreto, già esistente. È il vuoto che si evolve nel tempo, ma resta pur sempre elemento fonda-mentale, indissolubile, senza il quale non potrebbe esserci lo spazio com-plementare – cioè l’architettura – sin dal momento della intuizione diun’idea progettuale.

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Vuoto e ArchitetturaAndrea Antonucci

Post-mortem, 2005inchiostro su carta, cm 50 x 50, collezione dell’autore, Roma

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L’architettura è sempre stata legata alla pratica del disegno.Il disegno è lo strumento attraverso il quale l’architetto può studiare l’og-getto architettonico, analizzandone le parti costituenti e organizzando l’im-magine tridimensionale in piani di proiezione.Essendo il compito dell’architetto quello di intervenire, con il suo progetto,sulla realtà, andando così a modificarla, l’indagine approfondita del manu-fatto architettonico diviene indispensabile per giungere ad una soluzioneappropriata al contesto ambientale e sociale in cui l’opera verrà inserita.Attraverso il disegno, il progettista può conoscere l’architettura che staprogettando in ogni sua singola parte e da ogni punto di vista, sia esternoche interno, sezionandola e scomponendola, essendo in grado, con il se-gno grafico, di rendere visibili anche quelle componenti che, una volta rea-lizzata, non saranno più individuabili, ma che, in fase progettuale, è neces-sario rappresentare per comprendere completamente la struttura dellafutura costruzione.Il disegno d’architettura è prima di tutto uno strumento di rappresentazio-ne e quindi di comunicazione, fondamentale per la progettazione architet-tonica, poiché permette di raffigurare una realtà che ancora non esiste;per cui quello che viene disegnato costituisce una vera e propria previsionedel futuro, una simulazione di come il mondo fisico verrà trasformato in-troducendo in esso una nuova entità.Con il disegno, che diviene una sorta di manifesto in nuce del progetto,l’architetto esprime una propria idea, e quindi, la rappresentazione di unedificio o di un qualunque altro manufatto architettonico su di un piano bi-dimensionale costituisce la prima apparizione dell’architettura nel mondoreale, nonostante la sua natura ancora “virtuale”.Inoltre il ruolo della rappresentazione è imprescindibile per il progettista,poiché è grazie ad essa che egli comunica le sue intenzioni progettuali allealtre maestranze coinvolte nel processo edilizio.Il progetto presentato su carta viene organizzato in diversi elaborati grafici,il cui contenuto e le cui scale metriche sono studiate a seconda del desti-natario del messaggio, al fine di illustrargli il tipo di contributo che devegarantire nella fabbrica.L’avvento del disegno computerizzato come nuova tecnica di rappresenta-zione ha reso possibile un’indagine ancora più approfondita degli oggettiarchitettonici, in quanto la realtà virtuale consente all’architetto di studiarein maniera più completa ciò che sta progettando ed essere in grado, ora,con i programmi di disegno quali Archicad, Autocad, 3D studio max, Mayae molti altri, di compiere operazioni di suddivisione di piani e volumi in ma-niera più agevole e rapida rispetto al disegno a mano, soprattutto nel casodi architetture dalle forme particolarmente complesse, la cui presenza èsempre maggiore in età contemporanea.Infatti è proprio con l’introduzione del disegno digitale che si è reso possi-bile plasmare configurazioni estremamente articolate, inaugurando così

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Palinsesto, 2009inchiostro e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (dimensioni foglio cm 50 x 70), collezione dell’autore, Roma

L’architettura e il disegnoGiovanni Argentati

un nuovo periodo per l’architettura e spingendo la sperimentazione versonuovi orizzonti, impensabili nell’era del disegno a mano.La rappresentazione digitale ha però un secondo lato della medaglia, inquanto, se costituisce indubbiamente uno straordinario strumento di ana-lisi e di comunicazione del progetto di architettura, al tempo stesso, a que-sta miglior qualità dell’immagine, raggiungibile con i softwares grafici,non è automatico che corrisponda quello che poi verrà realizzato.Ciò che viene rappresentato, a volte, non è quello che si vede nella realtà.Il disegno digitale permette di raffigurare cose che prima, con il disegno amano, non era possibile o comunque richiedeva più tempo, ma moltospesso la rappresentazione dell’architettura rimane solo un bel quadro,non realizzata o solo in parte o addirittura irrealizzabile, in quanto sembrache, in questo periodo storico, vi sia la tendenza a concentrarsi prevalen-temente sull’immagine di un’architettura, con attenzioni particolari nelrappresentare anche dettagli del tutto irrilevanti, come si può notare in va-rie illustrazioni renderizzate in cui sono riprodotti oggetti che, seppur con-tribuiscono a simulare una vitalità dell’ambiente raffigurato (es. oggetti daufficio, persone, piante, ecc...) non servono assolutamente alla compren-sione del manufatto, trascurando poi la sua realizzazione.Il disegno d’architettura però non è soltanto lo strumento con cui l’archi-tetto rappresenta e quindi comunica una sua idea; non è unicamente unasorta di pratica conoscitiva del mondo, bensì costituisce un fatto compiutoin sé, un momento autonomo di comunicazione, critica o creativa, che nonnecessariamente conduce al cantiere.Nel processo di rappresentazione del progetto, nel suo contrapporsi allafisicità dell’architettura costruita, vi è un flusso intangibile di immaginazio-ne e pensiero sotteso al processo medesimo; i disegni, in alcuni casi, sonouna presenza in sé, un impulso poetico.Essendo in una dimensione, per così dire, virtuale, il disegno possiedeinoltre un grado di libertà infinitamente maggiore rispetto all’opera edifi-cata, che è invece vincolata dalle leggi della realtà fisica.Proprio per questa sua condizione di sconfinata libertà, nell’atto del dise-gnare l’architetto si può lasciare andare alle più inaspettate e sorpren-denti visioni architettoniche, nelle quali vengono rappresentati scenarimetafisici, onirici, che possono anche non avere alcuna corrispondenzaformale con ciò che sarà poi il progetto di un’architettura; essi sono sem-plicemente immagini scaturite da un puro atto di fantasia, una sorta di la-voro mentale.L’architettura è un’arte inscindibile dalla prassi del disegno, in quanto è lostrumento attraverso il quale essa compare nel mondo, viene resa cono-scibile e quindi realizzabile; ma il segno grafico, al di là della materia edella forma, è anche un’opera compiuta, indipendentemente dall’edificato,risultato di un impulso creativo che può indubbiamente contribuire alla ri-cerca della sintesi che costituirà il progetto d’architettura.

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«Il disegno stimola l’immaginazione e ci permette di riflettere sulle idee,un buon segno che siamo davvero vivi» così termina un articolo MichaelGraves (architetto e designer statunitense).Il disegno nelle sue varie espressioni è necessario sia all’elaborazione chealla rappresentazione del processo progettuale, riflettere sul senso del di-segnare senza un obiettivo ben preciso, senza un fine che non è la rappre-sentazione di un progetto da realizzare, ma una scrittura quotidiana, unascrittura che è ricerca autonoma, un’attività legata allo scorrere del tem-po: il tempo del pensiero. Sapendo che attraverso questo tempo, le parolespese produrranno idee di architettura.Scarpa utilizzava il disegno come pensiero, nei suoi disegni dava spazio ariflessioni e ragionamenti, si poteva assistere in diretta al suo pensiero chesi imprimeva sulla carta.Il disegno è lo strumento attraverso cui il pensiero si trasforma in segnovisibile, espressione di un’idea che trova forma nella realtà costruita. Larappresentazione grafica, sia come visualizzazione di un pensiero, sia co-me registrazione di ciò che esiste, rende attraverso un’immagine bidimen-sionale, una realtà tridimensionale che si specifica in un modello graficoche ne descrive le caratteristiche e i rapporti.La figurazione architettonica attraverso linee, campiture, tracciati e colori, as-sume connotazioni diverse dando luogo a rappresentazioni ora caratterizzateda una valenza simbolica, ora rese attraverso figurazioni mimetiche del reale.Il disegno costituisce lo strumento attraverso cui è interpretata la realtà, èoggetto di interpretazione ove la lettura dei segni e dei codici grafici adot-tati diventa fondamentale ai fini della comprensione dell’idea sottesa allarappresentazione.È un’espressione d’arte sia che si tratti di disegno architettonico o artistico.Il disegno architettonico è un linguaggio capace di comunicare un eventoconcreto a un interlocutore attraverso modelli geometrici di grande effet-to, comunica notevole realismo e concretezza: chi osserva un’architettura,trasformazione da disegno bidimensionale a realtà tridimensionale, quasimai percepisce l’idea del progettista.Il disegno artistico, è espressione di personalità, pensiero, sensazioni chesi traduce in segni, tratti, che lasciano libera immaginazione, interpreta-zione a chi la osserva: è una comunicazione non verbale.I due tipi di disegno fanno parte dello stesso processo creativo che lega emette in relazione la mente con gli occhi e le mani. Nella creazione di ogni rappresentazione grafica, vi è un sentimento di gio-ia tra l’interazione tra mente e mano.Anche se con elementi comuni, come la composizione, la creazione, tuttele arti, ognuna ha suo modo, trasmettono emozioni.

La differenza tra il disegno artistico e quello architettonico consiste nelladiversa realtà di realizzazione, l’artistico è realizzato nel vuoto, su un fo-glio bianco che lascia spazio all’immaginario, il disegno architettonico ini-zialmente è tracciato su un foglio bianco, ma in seguito trasformandosi inarchitettura si basa su spazi già esistenti con segni già tracciati, ben de-lineati.L’architettura si definisce attraverso configurazioni spaziali specifiche, lospazio nasce dalla semplice articolazione di un sistema di muri che lo de-limitano. Il muro è un limite attraverso il quale mediare le relazioni degliindividui che abitano lo spazio urbano, le possibili configurazioni cheemergono da questi esercizi indagano le possibilità di questa mediazionetra interno ed esterno. Definiscono possibilità combinatorie.La ricerca costante di un progettista, dovrebbe essere svolta sempre attra-verso il disegno, quest’ultimo, produce riflessioni astratte che agisconosul nostro immaginario e che quindi non hanno nulla a che fare con la re-altà dello spazio ma anticipano possibili direzioni, creano le condizioni perpensare l’arte, l’architettura.Nella percezione dell’architettura bisogna forse fare un distinguo: esistonopercezioni forti, percezioni immediate che si esprimono agli occhi del frui-tore come eventi semplici e ineluttabili (la presenza di un muro, la presen-za di un volume, la presenza di una decorazione), e ci sono percezioni in-dirette, come la simmetria tra gli ambienti, l’equilibrio tra gli spazi, la pro-porzionalità tra le parti, e così via, che costruiscono una sensazione di pia-cevolezza e di appagamento nella percezione del luogo.L’arte è comunicazione che fa uso della percezione: in particolare, la co-municazione artistica fa uso della percezione “immaginata”, cioè costrui-sce mondi immaginari pur sulla base di percezioni “reali”. Affermare chela comunicazione artistica “fa uso delle percezioni” significa affermare chealle percezioni viene assegnato un significato comunicativo, non che c’èqualcosa di esterno e “naturale” che viene usato per comunicare. L’operad’arte è un fenomeno spaziotemporale che può essere percepito e per-mette la comunicazione tra l’artista e il fruitore dell’arte. Realizzandol’opera, l’artista immette un’informazione; guardando l’opera, il fruitorepuò comprendere l’azione artistica e l’informazione prodotta. Azione e in-formazione sono incorporate insieme nell’opera d’arte e quindi sono com-prensibili attraverso la percezione dell’opera stessa. Ogni tipo di disegno permette di vivere un momento magico: LA CREAZIO-NE che avviene per mezzo di un foglio bianco e matita, sia che parliamo diarte sia che parliamo di architettura.Oggi spesso si sente dire che il ritorno al disegno è un ritorno al passato,niente di più sbagliato, pensare attraverso le immagini è pensare il futuro.

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Il disegno è pensieroViviana Cirillo

Curva cubica, 2009inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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«Il fondatore attacca un vomere di bronzo all’aratro, aggioga un bue e unavacca, poi guidandoli personalmente, traccia un solco profondo attorno al-la linea di confine, seguito da uomini che hanno il compito di rovesciareall’interno le zolle sollevate dall’aratro, per impedire che alcuna si riversial di fuori»1. Così Plutarco, nella Vita di Romolo racconta la fondazione diRoma, o meglio, del recinto che fino alla riforma di Claudio segnerà il con-fine sacro della città. L’atto della fondazione, nella sua innaturale scelta di isolare un territoriodalla natura, necessita di includere una spiegazione, e una giustificazione.Il solco sacro rappresenta tutto questo. Non è un gesto progettuale, ma ri-tuale, e definisce, nella sua violenza rivolta verso il suolo, uno spazio invio-labile, che allo stesso tempo difende la città e ne custodisce i fantasmi.Il termine sacer, in latino, è voce media: vuol dire sia “sacro” che “esecra-bile”, ed è proprio in questo modo che si conforma il pomerio, come spaziosacro a difesa della città e come spazio esecrabile dove si confinano i fan-tasmi. È il luogo delimitato dall’aratro di bronzo, eppure ha un suo spes-sore, ed una forma. Il gesto, monodimensionale, della linea, acquistaspessore e significato attraverso la sua imitazione nello spazio, ossia at-traverso il gesto di rivoltare all’interno del pomerio le zolle sollevate dalvomere. La città è fondata.Il progetto, nella sua natura duale, sacra e pratica, è quindi basato su duegesti, uno primigenio, il tirare una linea, e l’altro geometrico, il ripetere lalinea per definire spessori e geometrie. Eppure è il primo gesto, fatto dauna persona sola, quello che definisce il rapporto profondo con il foglio, ocon il suolo: la linea ha una lunghezza, si interrompe, si articola, senzatuttavia perdere la sua necessarietà. Come il solco dell’aratro che nella fondazione delle città delimita il pome-rio, il primo segno che si traccia sul foglio marca un limite, orienta lo spa-zio e lo misura, imprimendo sulla carta la prima mossa, la più determi-nante, di un gioco di rimandi, fatto di decisioni, esitazioni e ripensamenti.Il primo segno è gravido di possibilità da esplorare, è il territorio dell’atte-sa, contenitore in potenza di ogni evoluzione possibile: arcaico e sublimi-nale, ha già in sé le caratteristiche per essere elaborato in infinite geome-trie, in infinite matematiche, in infiniti significati, dando vita ad uno spaziocomplesso e mutevole, un labirinto di tracce e di indizi.Il disegno è quindi l’esito di una serie finita di scelte: ogni tratto che si ag-giunge, diminuendo o aumentando il numero di variabili che intervengononella composizione, contribuisce a determinare il risultato finale, che è solouna delle possibili configurazioni a cui l’autore sarebbe potuto giungere.Nel suo essere prefigurazione di un’idea architettonica potenziale, il dise-gno è al contempo mezzo espressivo dell’autore e tramite comunicativodell’idea. Autonomia figurativa ed eteronomia si scontrano nel campo gra-

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Autonomia ed eteronomia del disegno in architetturaEnrica Corvino

Risonanze, 2009inchiostro su carta, cm 40 x 40 (dimensioni foglio cm 50 x 70), collezione dell’autore, Roma

fico, in quel limbo tra la concretizzazione in un progetto e l‘esistenza au-tonoma del fatto artistico in quanto tale. Benedetto Croce, nel suo Breviario di estetica, afferma che «[…] l’arte è vi-sione o intuizione. L’artista produce un’immagine o fantasma; e colui chegusta l’arte volge l’occhio al punto che l’artista gli ha additato, guarda perlo spiraglio che colui gli ha aperto e riproduce in sé quell’immagine»2. Il di-segno, nel suo essere esperienza architettonica ed espressione artisticaautonoma, suscita quindi un moto di interesse e coinvolgimento dovuto nonsolo dall’esito formale del disegnare, ma anche dalla capacità chiarificatri-ce del disegno stesso, dal suo essere rivelatore di un mondo altro da sé. Disegnando non si creano solo dei nuovi spazi in potenza, ma si esplica an-che un processo di analisi delle cose attuando, attraverso la loro scompo-sizione e ricomposizione, un montaggio “critico” delle parti, che permettedi giungere ad un esito formale complesso e originale. Un’operazione qua-si cinematografica, come descritta da Francesco Casetti nel saggio L’im-magine del montaggio: «per avere un’intelligenza delle cose, quali essesiano, non basta descriverne i contorni, ma bisogna coglierne il disegnointerno, smontandole nelle loro diverse componenti e ricostruendole subi-to dopo secondo uno “schema” o un “diagramma” che ce ne restituisca lastruttura complessiva e la dinamica portante»3.Il segno, lo spazio e il tempo costituiscono le variabili attive dell’azionecreativa, ma non necessariamente l’esito compositivo dell’opera deve ve-dere la sua concretizzazione in un progetto architettonico: svincolandosidal rapporto eteronomo con l’architettura il disegno può ristabilire la suanatura autonoma, la sua capacità di dettar legge a se stesso. La peculia-rità del disegno è quella di coniugare indagine conoscitiva, esplorazionedel segno e dello spazio ed enunciazione di principi compositivi: misuran-do lo spazio fisico del foglio, il disegno intercetta e rende tangibile lo spazioimmaginato della mente.Il disegno non è solo osservazione e contemplazione, è continua irrequie-tezza, è esplorazione dell’io in cui la geometrizzazione diventa il criterioper interpretarne e restituirne la complessità. È Dio che, nella celebre miniatura della Bibbia Moralizzata di Vienna, com-pie il gesto primigenio: con un compasso conforma il caos, lo soggioga egli da significato. Così il segno solca il foglio, ne determina i limiti, racchiu-de la complessità e gli da forma.

1 Plutarco, Vite parallele, capitolo XI.2 Croce Benedetto, Breviario di estetica: quattro lezioni, Bari, Laterza, 1913.3 Casetti Francesco, L’immagine del montaggio, in Sergei M. Ejzenštejn “Teoria generaledel montaggio”, a cura di Pietro Montani, Venezia, Marsilio Editori, 2004.

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Il disegno è una forma di comunicazione non verbale, che può essere finea se stesso, come riflessione intima e personale, oppure può essere stu-dio, ricerca e preparazione di un’opera, quindi in grado di comunicareun’idea in modo conciso. È sinonimo d’immagine, rappresentazione e fi-gurazione, ma anche d’intenzione, idea, proposta e progetto.L’elemento generatore del disegno è la linea, è la traiettoria di un attocreativo. Mediante un semplice gesto, la mano umana esprime ciò che lamente elabora, compone una rappresentazione grafica, traduce un pen-siero creativo in un’intenzione concreta di progetto. È possibile realizzare un disegno usando solo una linea, o un solo tipo dilinea, o vari tipi di linee. Può avere differenti direzioni, spessori, può essereretta, spezzata, curva, mista, può interrompersi e ricominciare, o alternar-si con altre linee più o meno lunghe e di diversa energia, spessore e colore.È in grado di dar vita ad un repertorio infinito di combinazioni, è un ele-mento che mediante variazioni d’intensità determina forme e crea su-perfici.Una serie di linee scandite ritmicamente dividono modularmente lo spa-zio; una serie di linee affiancate consente d’immaginare una superficie;l’intersezione di un insieme di linee genera una griglia, che determina unprimo assetto alla superficie, la quale può divenire un gioco di pieni e divuoti, tale schematismo può essere alterato mediante l’utilizzo dell’om-breggiatura che conferisce consistenza agli elementi.Il valore espressivo della linea risiede nella sua direzione e nella sua in-tensità.Direzioni, altezze, dimensioni e ritmi sono in continuo mutamento, dipen-dono dalla necessità dell’arricchimento del disegno, dall’intenzione del-l’autore, in quanto l’architettura può nascere soltanto se i segni divengonosimboli.La linea è il materiale da costruzione delle opere, elemento primario, ele-mento senza il quale un’opera non può assolutamente nascere, elementosenza il quale questo inizio non è possibile.Architettura, pittura e scultura sono legate dal disegno, ogni immagine èil risultato complesso di segni e l’alfabeto con le quali si esprimo è quellodelle forme e dei colori.Disegno-architettura, meglio ancora architettura-disegno hanno un rap-porto inscindibile, l’architettura non può esistere senza di esso. È il disegnoche rende visibile quello che “probabilmente” verrà costruito, che mostratutta l’evoluzione di un progetto, dall’idea embrionale all’opera completa.La funzione svolta dal disegno per l’architettura è fondamentale, rappre-

sentazione a carattere artistico e tecnico, l’equivoco consiste nel conside-rare il disegno dell’architettura solo uno strumento.L’architetto, non diversamente dagli artisti, nella fase iniziale del suo pro-cesso progettuale, disegnando, vede accumulare una serie di schizzi checostituiscono la testimonianza del lavoro creativo svolto. I disegni di progetto sono fantasie, visioni. La mente, supportata dalla ca-pacità rappresentativa è in grado di andare oltre le possibilità offerte dallatecnologia costruttiva, non a caso molti disegni di progetti architettonici,superando con la fantasia, le effettive capacità costruttive del tempo in cuisono stati realizzati, rimangono per sempre solo disegni.Pur contenendo aspetti tecnici, il disegno non è solo un mezzo, ma costi-tuisce lo “sguardo dell’architetto”. Detiene un ruolo fondamentale, inquanto consiste nella rappresentazione grafica dell’azione che si vuole in-traprendere.Disegnare vuol dire mostrare qualcosa, mettere in risalto alcune caratte-ristiche dell’oggetto rappresentato, o l’oggetto di per se.Il disegno è uno strumento necessario per la comprensione di un opera,basta pensare al ruolo che hanno le piante e le sezioni, veri e propri luoghidell’architettura, che esprimono ciò che nessuna fotografia è in grado dirappresentare.Il disegno è comunicazione, mostra informazioni relative alle scelte pro-gettuali ed indica i modi attraverso i quali si è pervenuti a esse.In architettura si deve disegnare, le opere non si possono semplicementecostruire, non si possono fare prove, sarebbe troppo costoso. I progetti ri-mangono e anche quando non vengono realizzati si trasformano in memo-ria, possono sempre essere visti, letti, utilizzati e studiati, tutti concorronoad un evoluzione dell’architettura e perché no, con il passare del tempoanche opere d’arte.Tale disciplina, soprattutto nel campo architettonico, ha recentemente su-bito trasformazioni radicali, in seguito alla diffusione dell’informatica e deldigitale. Oggi è cambiato il modo di progettare, il disegno è assistito dalcomputer, però, l’intenzione, l’idea, la proposta si materializzano sempregrazie alla sinergia della mano con la mente.Il computer, nella rappresentazione architettonica deve supportare l’attivi-tà progettuale, il disegno mediante l’elaboratore ci da la possibilità di ot-tenere risultati migliori e veloci rispetto al disegno manuale. Il computersi può usare come uno strumento, quando le parti di un progetto hanno giàuna forma e da ultimo ci permette di pensare a spazi infiniti ed a una con-tinuità infinita delle superfici.

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Un linguaggio della menteAurora Del Sette

Linee guida, 2009inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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Considerazioni sull’arte, nei miei ritratti. Se qualcuno non ricono-sce quanto essi siano veri, consideri che il mio compito non è

quello di rendere i tratti esteriori (ciò che si ottiene anche con unafotografia), ma di penetrare nell’intimo. Io ritraggo anche i recon-diti moti del cuore. Scrivo parole sulla fronte e attorno agli angoli

della bocca. I miei volti umani sono più veri dei reali. […] risalendoalla preistoria del visibile

Paul Klee, Diari

Alcuni chiarimenti sul metodo. Lo scritto proposto è sviluppato se-condo la logica della continua messa in questione, è quindi atetico,ma la mancanza di una tesi finale apre alla possibilità continua di unpensiero che pensa, indugiando in un processo necessario, senzatrincerarsi nella certezza e facendo del dubbio l’atto stesso di talepensiero pensante.Allora potremmo chiederci cosa è il disegno?Per quanto anticipato la domanda rimarrà tale e le riflessioni di segui-to avranno il solo scopo di attivare il pensiero e costituire spunti di ri-flessione.Il disegno, effettuando una breve ricerca analitica etimologica e stori-ca, è prevalentemente indicato come il lasciare segni, segni che indi-cano ed identificano, e il sistema di segni conforma delle rappresen-tazioni.Configurando in tal modo il disegno, appare evidente la consonanza eanalogia esistente tra il disegno e la scrittura, nello specifico la calli-grafia, che incide una superficie, un supporto, con segni significanti eautoriali. Tale significato non è naturale o innato, è dato da un accordoche rende possibile la condivisione e la trasmissione all’interno di unsistema linguistico. La scrittura quindi è un linguaggio e rende possi-bile un linguaggio, senza voler definire gerarchicamente e ontologica-mente la preminenza dell’uno sull’altro e lontano da ogni fono-logo-centrismo. La scrittura indica le cose attraverso il nome, le parole cheorganizzate nella sintassi costituiscono il linguaggio. Il disegno a suavolta, nell’essere segno che indica, identifica un mondo e costituisceun linguaggio, sostanzia un linguaggio che rende possibile la comuni-cazione all’interno di un universo condiviso della rappresentazione.Ma questa rappresentazione cosa rappresenta?La rappresentazione che è veicolata dal disegno può essere astrattao concreta, reale o immaginaria, naturalistica o di finzione, e l’elencodelle coppie oppositive potrebbe essere più esteso. Appare interes-sante osservare che la rappresentazione che un disegno sostanzianon è fine a se stessa, o meglio alla forma che tale rappresentazioneassume, ma a quanto di celato vi è, a quella esperienza spaziale chenasce su un supporto e che rimanda a spazialità altre che non vengo-

no determinate sul supporto stesso, a quella esperienza temporaleche non termina nel disegno rappresentato ma in una temporalitàatemporale. Una narrazione spazio-temporale incompleta in un viag-gio senza fine. Dietro e oltre il rappresentato nel e del disegno vi è unmondo che forse non è mai stato e forse non sarà mai, un orizzontesenza orizzonte, una forma impossibile, una definizione non data. Unesempio per chiarire quanto sin qui detto (o non detto): nei disegnicosì lucidi e chiari del Palladio vi è coagulato l’universo di riflessionidello stesso autore che pur riecheggiando nel disegno, non si esauri-scono in esso. Tali disegni hanno alimentato un mondo di fantasie al-tre che da questi forse prendevano le mosse, a volte distaccandoseneprofondamente.Nessun disegno in tal senso si avvicina a un progetto compiuto cheprevede un futuro formalizzandolo in una composizione attuale. Neldisegno resta quindi un fondo, che forse ne è il fondamento, di inspie-gabilità che apre alla immaginazione, alla memoria di un passato maistato, alla rammemorazione diacronica e sincronica al tempo stesso,ad una speranza senza sperato che toglie il fiato in un vortice alche-mico e magico.Allora cosa è per un architetto o per un artista il disegno inteso comequesta inesauribile fonte immaginifica e primigenia?Non è un atto che si concretizza, ma un processo sempre aperto. Nellasciar tracce, nel dar forma ad uno spazio, nel configurare forme chenominano ed indicano un mondo, allo stesso tempo lo sottraggono, inquel rapporto che vi è tra la mano e per estensione il corpo che disegnae che rende assolutamente identitario ed autoriale il gesto, e il disegnoche da quella mano si distacca per sempre una volta assunta la propriacorporeità sul supporto. Una rappresentazione che nell’atto stesso dioggettivazione che è nel segno, nella traccia, nel nome scritto del lin-guaggio, irrompe con una carica che non è più ascrivibile al logos comediscorso compiuto o al concetto stabilizzato e alla forma disponibile mauna eco di rimandi e risonanze che vive di vita propria al di là, oltre e aldi fuori dell’autore e costantemente sottratta al fruitore.Forse è questa la verità del disegno e del disegnare, se di verità è giu-sto parlare.Forse è questo ciò che distanzia una rappresentazione bella da unaformalmente corretta.Forse è questo lo scarto tra il disegno e il progetto in architettura maanche tra il disegno e lo schizzo che del progetto è l’archetipo.Forse è questo il momento nel quale la rappresentazione è una scenasenza scena, un viaggio senza meta, un mondo senza concetti e figure,che veicola la possibilità senza tracciarne un orizzonte prestabilito malasciando ad una assenza presente o presentata la possibilità di unpossibile immaginato, mai dato, e carico di utopia.

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Il disegno e la traccia _ La traccia del disegno Tra rappresentazione e immaginazione Giada Domenici

Di-segno, 2009inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

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Ragionando intorno al disegno e all’architettura, si nota una sostanzialedifferenza: carta e inchiostro contro materiali da costruzione di ogni tipo;pochi centimetri in due dimensioni contro metri in tre dimensioni; rappre-sentazione dello spazio contro vero spazio; uomini che disegnano a unascrivania contro uomini, sotto il sole, che stringono barre di ferro tra loroo manovrano macchine elevatrici o posizionano mattoni; uomini che guar-dano fogli di carta contro uomini che vivono le proprie vite al suo interno,compreso guardare fogli di carta. Non si assomigliano affatto il disegno e l’architettura, in niente.Si potrebbe pensare che il disegno sia semplicemente rappresentazionedell’architettura, necessario per stabilire in precedenza le linee guida cheoccorrono alla realizzazione ed eliminare l’improvvisazione, ma da archi-tetto posso dire che è vero solo in parte. Il disegno, per come si è evolutal’architettura, è un passo decisivo del suo processo creativo, oltre che dicarattere direzionale informativo. Poiché l’architettura è un’arte che nonpuò essere espressa di getto, a causa delle risorse lavorative e l’organiz-zazione che necessita la sua realizzazione, si avvale di molte discipline asupporto, di cui il disegno è solo una di queste. Il disegno è un segno visivo fisso, che si elabora per indurre il fruitore aun’attività cognitiva, che permetterà di ricevere un’informazione, adeguataallo scopo che il segno ha. I segni sono convenzioni più o meno prestabili-te: quanto più si uniformano a un codice universale, tanto più sono leggi-bili. L’architettura spontanea è edilizia abusiva, senza grafici approvati, at-tualmente, non si può costruire per legge, l’architettura oggi deve essereesclusivamente progettata. Personalmente ho individuato e uso tre tipi di disegno dell’architettura cheho così denominato: il disegno segreto; il disegno cifrato; il disegno pratico.Il disegno segreto è quello che precede il progetto: è tutta quella produzio-ne che consiste nella ricerca formale pura e che va di pari passo con la ri-cerca funzionale e strutturale. Generalmente si uniforma a una scritturapersonale e libera, perché l’uso che se ne fa è individuale. Ogni architettoche affronta la progettazione si ritrova ad elaborare: schizzi; visioni; feed-back; schemi; immagini astratte; grafici che simulano atmosfere, sia rea-listiche che emozionali; morfemi; veri e propri linguaggi criptici. Il disegnosegreto costituisce l’indice dello stato di ricerca, è la voce del progetto em-brionale, direziona ma non ha ancora una forma definita. La libertàespressiva, con la quale ci si approccia a questo tipo di disegno, è quellache spesso viene considerata di valore, anche dal punto di vista artistico fi-gurativo, in relazione ad alcuni architetti con un elevato talento nel dise-gno, a prescindere dalle rispettive capacità progettuali o dai risultati archi-tettonici a cui questa forma di disegno porta.

Il disegno cifrato è in sostanza il disegno tecnico specifico, in cui si darappresentazione, convenzionata alle normative vigenti, dell’opera pro-gettata. Questo tipo di disegno è proprio del linguaggio confacente la geo-metria descrittiva, che permette di essere, sia elaborabile, che leggibile,da tutti i tecnici ma cifrato, perché difficilmente creabile e decifrabile, dachi non ha competenze tecniche. L’utilizzo dei mezzi informatici ha velo-cizzato la stesura e la diffusione di questa tipologia di disegno dell’archi-tettura, lasciando venir meno il carattere calligrafico dell’architetto, dan-do maggior spazio di concentrazione a chi ne usufruisce, per la lettura,senza che vengano meno i contenuti informativi, che sono lo scopo prin-cipale di questo tipo di disegno. Il disegno pratico è quello che viene elaborato per essere accessibile a tut-ti. È un linguaggio ibrido: prende connotati, semplificati, di disegno cifratoe segreto, e li argomenta in modo che differisca in base all’interlocutore,in relazione al tipo di approvazione che si ricerca. Questa tipologia si fondasui concetti di immediatezza, originalità, semplicità e bellezza e ha fini co-municativi per lo più commerciali e pubblicitari.Ricapitolando: il disegno segreto risponde alla domanda: l’architettura inprogetto “cos’è?”; il disegno cifrato risponde alla domanda: “come è fat-ta?”; il disegno pratico risponde al: “come sarà?”. Rispondere a queste do-mande è come un raffreddamento, un passaggio di stato dalle idee allaconcretezza, dal vapore all’acqua, il disegno è lo stato liquido dell’architet-tura che è ghiaccio.L’architettura è un luogo che si raggiunge attraverso il disegno, come fos-se l’uscita dal Tempio delle Mille Porte, della Storia Infinita. Inizialmentesi avanza per scelte consequenziali, talvolta casuali, talvolta ragionate, tal-volta espressive, talvolta costruite da immagini esistenti, di memorie per-sonali o collettive o di altre opere, finché non si raggiunge un punto, in cuile scelte non saranno più né di personalità, né di moralità, né di storia, madi volontà. Quando si determina una reale volontà, che non è il semplicedesiderio ma più una profonda necessità, allora si stabilisce la regola, ilcodice di uscita dal tempio del disegnare, che permette di dare totale for-ma al progetto. L’architettura è un qualcosa che possiede forza di gravitàe modificherà permanentemente il luogo originario e il nostro modo di vi-verlo. La sua realizzazione sarà sempre dovuta a un’esigenza collettiva,ma il processo creativo dell’architettura, inizia quasi per gioco, muovendo-si sulla scacchiera del disegnare. Progettare, dunque, significa entrare inun Tempio Labirinto, da cui si potrà uscire, non solo per necessità dellapropria volontà, ma anche di quella degli altri, che sono la prima e l’ultimaporta, infatti, la responsabilità e il bene verso noi stessi e la comunità, èciò che spinge noi architetti ad affrontarlo.

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Il disegno e l’architettura: il codice di un Tempio LabirintoFrancesca Ferrara

La chiave del tempio, 2014penna su carta, cm 40 x 40, (dimensioni foglio cm 50 x 70) collezione dell’autore, Roma

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L’Architettura è ancora Disegno? Lo sarà sempre, quantunque non sia daescludere che la trasformazione del mezzo, da manuale ad informatico, po-trebbe, come oggi evidente, continuare a celare il pensiero del suo Autoremeglio svelato dal segno manuale che, di quel pensiero, è efficace sintesi.Il disegno in architettura, quando si manifesta istintivamente per mano delsuo creatore, è annotazione dell’idea, narrazione del concept, trasposizio-ne visiva eseguita con strumenti semplici: la matita, la biro. Essenziali mafortemente espressivi perché capaci di evidenziare con la forza del segno,della traccia, del movimento, la forza e l’anima dell’idea. Senza sovrastrut-ture, in modo scarno, primitivo. Nei livelli più alti un’opera d’arte che vivedi luce propria e la cui concretizzazione in materia può diventare un fattodel tutto secondario.Di fronte alla sincope che ci affligge, intesa come perdita di coscienzatransitoria, sembra non esserci più spazio per questa narrazione e il fret-toloso percorso della progettazione, sempre più condizionato dal tempo, èsurrogato da imitazioni generate da un uso inadeguato delle nuove tecno-logie, capaci, invece, di ben rappresentare un’architettura integrata con al-tre discipline. È nella possibilità di integrare che risiede il vantaggio funzionale dellostrumento tecnologico. Questo, agendo su un livello altro, permette di ap-profondire sinergicamente i molteplici ambiti di analisi e sviluppo del pro-getto, che nel disegno con grande difficoltà possono essere visti ed affron-tati contemporaneamente.In quest’ottica lo spazio della progettazione merita di essere ampliato, nonlimitandosi alle sole dimensioni cartesiane, ma estendendosi a nuovi cam-pi di variabili imprescindibili per la compiuta definizione del modello mul-tidimensionale dell’organismo edilizio.La rappresentazione parallela e contemporanea in ambiti diversificati fun-

zionalmente stratificati assume carattere transdisciplinare, diventandostrumento proprio dell’analisi tecnica e funzionale, espressione di un cre-scente numero di relazioni che cede alla necessità di condensare, in mo-delli virtuali di rapida esecuzione, una grande quantità di informazioni pro-venienti da campi diversi. Il costruendum viene messo a nudo. Si concre-tizza la possibilità di visualizzare e chiarire l’impalcato strutturale e di ve-rificare nei dettagli eventuali interferenze. In fieri, si giunge ad un organi-smo compiuto in tutte le sue funzioni. In questo percorso lo strumento tecnologico, necessariamente digitale,non si sovrappone ne confligge con il disegno manuale che resta lo stru-mento naturale per la rappresentazione dell’idea.È per questo che il disegno manuale resta il più efficace mezzo nella co-municazione dell’architettura, con una cifra ben superiore all’infograficadigitale.Il disegno manuale gioca la sua forza nel calore di una rappresentazioneessenziale che a volte sconfina nell’enigmaticità premeditata del significa-to non concluso, dunque lasciato aperto a diverse ipotesi e successivi con-tributi. Da una interpretazione diversa e imprevista, spesso si genera una nuovavisione di cui ciascuno può farsi portavoce. Rotazioni, simmetrie inaspettate, inversione nei rapporti tra vuoti e pieni,alterazioni della profondità spaziale: sono solo alcuni degli aspetti chepossono essere fonte di equivoci percettivi e generare nuove individuali in-terpretazioni suggerite da diverse concezioni dello spazio architettonico.Ecco allora che il disegno stesso, inteso come atto creativo, diventa – a suavolta – spunto per nuove idee, dove queste non nascono solo dall’intendi-mento del vero messaggio racchiuso nel lavoro dall’Autore ma, in più, dauna sostanziale incomprensione.

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Architettura è ancora DisegnoGiulio Galli

Più e meno, 2014penna su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Perugia

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L’universo dell’architettura è un universo disegnato prima ancora che co-struito.Del resto, la storia dell’architettura non è solo storia del costruito: essaaccoglie in sé anche quei progetti e quei disegni che non sono mai uscitidai confini dell’immagine.Ciò significa che il progetto di architettura, che si esprime nel disegno, nonproduce solo gli elaborati grafici che saranno trasmessi al cantiere in vistadell’edificazione, così come il disegno di rilievo non è solo una pratica co-noscitiva preliminare in vista della progettazione o del restauro o dellasemplice catalogazione e descrizione di un’opera: il disegno di architettu-ra non si configura solo come elemento puramente strumentale, ma con-tiene una valenza intrinsecamente teorica che definisce non tanto come sideve fare, o è fatta, un’architettura, quanto cosa essa è.Nel disegno, l’architettura affrancata dalla costruzione e da ogni altro vin-colo contingente, ritrova la possibilità di esercitare la propria auto-nomiasituandosi al limite fra pratica professionale e riflessione immaginifica.Il disegno è sguardo sull’architettura, pensiero sull’architettura, traspa-renza dell’architettura, di cui prefigura una nuova immagine.Ma esso è anche sguardo sul mondo, pensiero sul mondo, trasparenzadel mondo, di cui restituisce un commento visivo, ipotizzandone una nuo-va forma.Nel disegno, architettura e mondo si coagulano.Fra indagine critica sul presente e intenzionalità progettuale, fra sguardicarichi di nostalgia o spostamenti verso il futuro, il disegno di architetturasi declina in diverse espressioni.Al di là del volto eretico ed utopico, i progetti degli architetti rivoluzionaridel Settecento, istituiscono veri e propri laboratori sperimentali in cui l’ar-chitettura si fonda come scienza codificata.L’immaginario piranesiano delle Carceri o del Campo Marzio, rivela la ri-flessione tragica sull’esistenza lacerata dell’uomo in un’incipiente moder-nità, in cui l’ordine classico, dissolto, non riesce più a riformularsi.

Le illustrazioni di Bruno Taut per il libro Alpine Architektur, immaginanoun mondo trasformatosi attraverso una palingenesi che ne riscrive la geo-grafia.La gigantesca colonna dorica che Adolf Loos progetta per il Concorsodella Chicago Tribune, parla di un oggetto ironicamente spaesato nellacittà.I disegni della Grossstadt di Ludwig Hilberseimer, il progetto del TotalTheater di Walter Gropius, la stessa città futurista di Antonio Sant’Elia, al-ludono ad un universo che fattosi macchina, non vive più ma funziona.I progetti dei grattacieli di El Lissitzky, così come quelli di altre architetturedi Kostantin Melnikov o di Ivan Leonidov, al di là della loro stessa dimen-sione metaforica o simbolica, rivelano le possibilità di manipolazione di unlinguaggio che attraverso la sua stessa carica visionaria, riesce a scoprirenuovi approdi.I disegni di Aldo Rossi sospendono l’architettura tra storia, tipologia, mor-fologia urbana e memorie autobiografiche.Gli elementi iconici di Franco Purini sono continuamente sottoposti a in-cessanti processi di metamorfosi fra identità e variazione, tra similitudinee differenza, tra l’uno e il suo contrario.Talvolta proprio alcuni progetti non costruiti, assumendo il tono di rifles-sioni teoriche persistenti nel tempo, continuano a vivere in altri progetti,diventando altre architetture: è il caso dei grattacieli che Mies Van der Ro-he progetta per Berlino agli esordi della sua carriera e che diventano ilSeagram Building di New York, e nella stessa misura, il Plan Obus per Al-geri di Le Corbusier redatto prima della seconda guerra mondiale e in par-te realizzato, nel periodo post bellico, in forma di macroframmento, nel-l’Unité d’habitation di Marsiglia.Così, fluttuando tra il possibile ed il reale, fra apparenti evasioni e meditateimmaginazioni, il disegno concede esistenza all’architettura, che si fa, co-me direbbe Edoardo Persico, sostanza di cose sperate.Ma anche sostanza di cose disegnate.

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Sostanza di cose disegnateAntonello Leggiero

Parete con ritmo, 2014inchiostro su carta, cm 40 x 40, collezione dell’autore, Roma

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In questo breve testo intendo cogliere l’occasione di mettere a punto alcu-ne riflessioni sull’architettura e il disegno di architettura. Nonostante l’ar-gomento presenti una considerevole complessità dovuta alle riflessioni egli apporti di molti autori, i termini in gioco si possono ridurre a pochi ele-menti e categorie che ne sintetizzano le caratteristiche invariabili. Il nostro modo di essere nel mondo attraverso una vita fisica e una spiri-tuale ci pone continuamente alla ricerca di soddisfare i rispettivi bisogni.L’architettura e il disegno di architettura, entrambe opera dell’uomo, si in-seriscono completamente all’interno del processo di relazioni che hanno ache fare con le necessità umane. Il riconoscere che coesistono nell’essereumano due realtà fa conseguire che anche le sue opere portano con sé, inquantità e qualità differenti, componenti che si riferiscono all’una oppureall’altra parte. In questa ottica, un ciclo continuo che procede dalla menteumana verso l’esterno e viceversa, permea l’attività e i prodotti dell’uomodi parti necessarie alla vita fisica e a quella spirituale. L’architettura, opera umana presente ovunque esiste l’uomo dalla nottedei tempi, ha il fine di assolvere ai bisogni materiali dell’uomo ed eventual-mente offrire anche la possibilità di una attività relativa ai bisogni interioridegli abitanti. Nella complessità costruttiva dell’edificio convergono le esi-genze di avere, da una parte una salda opera di fronte all’azione incessan-te della natura insieme a una razionale disposizione funzionale, dall’altral’immagine di un edificio in empatia con la nostra sensibilità e soprattuttola capacità di innescare nell’uomo che la abita, se il manufatto è ancheopera d’arte, una attività spirituale. La natura dell’uomo insieme alla sua attitudine al movimento e allo starenello spazio, interpretandone le qualità, determinano due condizioni fon-damentali intorno alle quali viene organizzata ogni architettura, le qualicorrispondono a due modi di percepire lo spazio e di fruirlo. Mentre dalmovimento, in cui si percorrono in lungo gli assi visivi, viene attivata prin-cipalmente l’attività percettiva riferita ai sensi dove lo spazio tridimensio-nale è selezionato in continui frammenti legati dal tempo, al contrario, dal-lo stare in un luogo individuato come polo, viene privilegiata l’attività con-templativa in cui l’immaginazione elabora astratte immagini adimensiona-li e dotate di unità. Al tempo dello spazio fisico si contrappone l’atempora-lità dello spazio astratto, alla frammentazione della percezione si avversal’unità del pensiero. L’uomo con la sua mente è immerso tra opposti chedeve decifrare e a cui deve dare senso. In questo quadro l’architettura gioca un ruolo fondamentale per favorire edorganizzare l’attività percettiva legata ai bisogni necessari alla vita fisica ea quella contemplativa riferita ai bisogni interiori. Modificando lo spazionaturale indistinto l’architettura comunica con valori spaziali universal-mente riconosciuti in cui sono attori principali il limite e il varco. Essi sta-

biliscono la condizione irriducibile dell’architettura, in cui si ha l’esistenzadi un limite più o meno penetrabile e di un varco per accedere in uno spa-zio artificiale che è altro da quello esterno naturale. La gerarchia del limite in architettura è direttamente proporzionale allapossibilità di fruire fisicamente lo spazio fisico, il quale è strettamente ne-cessario alla vita dell’uomo e ai suoi bisogni. Alla riduzione dello spazio fi-sico a disposizione del corpo umano corrisponde un incremento dello spa-zio adimensionale necessario alla vita del pensiero dell’uomo. Vengono atrovarsi in campo così due condizioni soggettive e interne all’uomo, il mo-vimento e la stasi, e due condizioni oggettive e materiali della realtà ester-na, il limite e il varco. Il compito dell’architetto è quello di organizzare inmaniera opportuna le quantità e le qualità di queste componenti, in modotale da rendere la vita fisica dell’uomo più funzionale e confortevole e poidare la possibilità all’abitante di alimentare la sua vita spirituale.Interposto tra uomo e architettura, il disegno ha il suo raggio d’azione traspazio percettivo e spazio astratto. Tra questi due punti focali, rappresentale immagini frutto della conoscenza sensibile ed altre che scaturiscono daoperazioni della nostra mente. A partire da questa, in un percorso ciclicoin entrata ed in uscita, il disegno da una parte trascrive in frammenti gra-fici la realtà visibile all’occhio, dall’altra geometriche astrazioni imprimonosul foglio come impronte le immagini concettuali del nostro pensiero. Pro-spettive, assonometrie, piante e sezioni hanno instaurato nel tempo unasinergia feconda tra percezione visiva ed elaborazione mentale in un in-cessante movimento tra la rappresentazione bidimensionale e tridimen-sionale e non senza reciproche contaminazioni.Se è indiscutibile che recepiamo frammenti della realtà e solo in un secon-do momento li riuniamo in unità nella mente, rimane il dubbio se nel di-segno è opportuno rappresentare un frammento della nostra immagina-zione che a posteriori verrà ricomposto in unità da chi si troverà ad osser-varlo, oppure il disegno deve raffigurare un’unità, un a priori del nostropensiero astratto, che poi l’osservatore decostruirà in infiniti frammenti. Una ultima riflessione deve essere fatta per sottolineare come il disegnoha il ruolo di fare nascere e rendere evidente all’uomo il suo pensiero. In-fatti, se si dovesse sottrarre il momento del disegno tra l’immaginazionedell’uomo e la realizzazione dell’architettura, il momento costruttivo delmanufatto verrebbe a essere mancante della parte astratta e riflessiva, la-sciando ampio spazio a quella intuitiva e sensibile. Invece il disegno, po-nendosi in maniera “analogica” come un “simulacro” nei confronti dellafutura realizzazione, funge da catalizzatore del pensiero dell’architetto e inun certo senso partecipa a farlo nascere e renderlo evidente. Si può affer-mare che il disegno esercita l’arte maieutica nei confronti dell’architettoper far nascere il suo pensiero.

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Alcune riflessioni tra architettura e disegno di architetturaGiorgios Papaevangeliu

Il disegno e l’architettura, 2014china su cartoncino, cm 20 x 20, collezione dell’autore, Roma

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Il seguente morfema, intitolato “Spartito architettonico II”, può essereconsiderato come un esercizio di scrittura ibrida tra musica ed architettu-ra. Si presenta come l’esito formale di un processo finalizzato alla trascri-zione geometrica di una scrittura musicale. A seguito di un’attenta indagine sulle relazioni tra elementi melodici e rit-mici in musica, si è cercato di mantenere anche nel disegno un simile si-stema di rapporti. La transdisciplinarità (il convergere di logiche esterne all’interno di una di-sciplina) è per la ricerca e l’innovazione uno strumento indispensabile cheapre ad importanti ed impreviste soluzioni ed incentiva la fase creativa deldisegno e della pura composizione architettonica.Nonostante ci sia una differenza sostanziale tra musica ed architettura,che vede la prima organizzarsi secondo una logica progressiva ed istanta-nea del materiale e la seconda costruirsi in un tempo compositivo differito,bisogna superare tali contraddizioni per poter trarre dalle potenziali ana-logie interessanti conclusioni.In questo contesto di analisi, l’interesse risiede nel passaggio dalla gram-matica alla sintassi (il modo in cui il singolo elemento, la nota o l’elementocostruttivo, si relaziona coralmente alla totalità della struttura) e nel pro-cesso creativo con cui un sistema di operazioni e metodologie elementaripuò diventare la base per la scrittura di un linguaggio articolato.La musica e l’architettura sono forme di espressione paragonabili al lin-guaggio verbale, quindi alla scrittura, in quanto composte da un vocabola-rio, da una grammatica e da una sintassi che da forma al discorso. Questeregole determinano una grande libertà creativa nell’espressione della for-ma compiuta e una pressoché infinita possibilità di combinazioni tra lecomponenti. La similarità tra musica e architettura consiste nella logica con la quale glielementi sono associati tra di loro. Queste relazioni sensibili diventanodense di significato esclusivamente all’interno di uno specifico contestocompositivo: una nota o un volume non hanno in sé alcun significato maassociati ad altri elementi possono generare dissonanze o assonanze,equilibri o tensioni. Ecco allora che concetti come pausa, vuoto, intervallo,distanza, misura, peso, tonalità, struttura e ancora divisione, interruzione,ripetizione, variazione, frammentazione, scansione, inversione, errore, sim-metria, tensione, risoluzione … diventano alcuni tra i fondamenti della com-posizione sia musicale che architettonica.Possiamo considerare la composizione (riferendoci alla progettazione ar-chitettonica e all’improvvisazione o alla scrittura musicale) come l’esito diuna successione di azioni finalizzate all’organizzazione e alla manipolazio-ne del materiale. Questo insieme di scelte sono momenti fondamentali dirazionalità e creatività che inducono l’artista-compositore a selezionare lasoluzione adeguata all’interno di una vasta gamma di opzioni. La progres-sione logica della composizione genera di conseguenza una «inevitabilità

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Spartiti architettoniciAlberto Saccà

Spartiti architettonici, 2014inchiostro su carta, cm 42 x 42, (dimensioni foglio cm 100 x 70) collezione dell’autore, Roma

che ne lega gli elementi in un insieme di relazioni sensibilmente obbligate,anche se non in modo assoluto»1.Il risultato è dunque un insieme olistico coerente in cui tutto è disposto se-condo un meccanismo di consequenzialità inscindibile che genera la ten-sione equilibrata della totalità. Oltre alla linearità del discorso, intesa co-me successione ordinata di elementi, bisogna esaminare l’insieme dellerelazioni e delle forze/tensioni da esse generate, considerandole da unpunto di vista globale. In entrambe le discipline l’attività dell’esecutore(musicista o architetto) è finalizzata a calibrare la disposizione delle com-ponenti a seconda di uno specifico equilibrio di parallelismi (assonanze) econtrapposizioni (dissonanze) adeguati all’unicità di una particolare opera. Un’architettura può considerarsi compiuta quando le varie parti, oltre auna valenza formale individuale, sono composte in tal modo da essere ri-condotte ad un’unità organica conclusa e inevitabile, come se non ci fos-sero possibilità alternative.Per garantire questa totalità alla composizione, l’architetto fa spesso ricor-so ad uno schema modulare che assicura un’omogeneità e un’armoniacompiuta al progetto. Il risultato è una percepibile coerenza dell’insieme euna proporzione generale delle forze. Se in architettura il tracciato modu-lare può essere considerato come un riferimento ausiliare di cui si serve ilprogettista-compositore per assicurare unità all’insieme, in musica questoconcetto può risultare ancora più fondamentale. Nel Jazz, ad esempio, il“reticolo di proporzioni” è determinato, oltre che dal ritmo, dal tema e dallaconseguente griglia armonica degli accordi di riferimento. Il tema, suonatoper esteso solo all’inizio e alla fine del brano, costituisce infatti l’intelaiaturadel brano e il punto di riferimento per le improvvisazioni, rimanendo comesubstrato per assicurare la sincronia tra i musicisti durante l’esecuzione.Il risultato del disegno a cui questo testo fa riferimento non ha una valenzaformale in sé ma è testimone di un processo mentale ibrido, ovvero tran-sdisciplinare. La finalità, dunque, è quella di sviluppare la formulazione diuno strumento che aiuti ad individuare relazioni profonde di pesi e forze al-l’interno di un sistema formale. In questo senso la transdisciplinarità puòcostituire uno strumento importante per acquisire l’attitudine a razionaliz-zare un meccanismo creativo attraverso lo studio di rapporti fenomeniciappartenenti ad ambiti esterni all’architettura (nel nostro caso la musica)e per accrescerne la poeticità.Queste caratteristiche sono fondamentali per tutte le fasi dell’attività pro-fessionale di un architetto, dall’organizzazione funzionale di un progetto fi-no al disegno di un dettaglio e condizionano il momento più intimo del pro-cesso architettonico, ovvero il passaggio dalla razionalità dell’intento allacreatività della proposta.

1 Franco Purini, Comporre l’Architettura, Laterza, Roma, 2000, p. 72.

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Il disegno è un sistema di notazione che ritrae, descrive o inventa la forma. Ilprogetto di architettura si avvale di diversi tipi di disegno. Quello di invenzioneè un momento propedeutico al progetto in l’autore dà forma al proprio im-maginario e costruisce il proprio linguaggio. L’iter progettuale si serve dischizzi, schemi, disegni tecnici, prospettive per la messa a punto dell’oggettoarchitettonico e per la comunicazione con gli altri soggetti coinvolti nel pro-cesso edilizio. Gli strumenti del disegno mutano con l’evolversi della tecnicae degli scopi e l’architetto contemporaneo ha una vasta scelta di mezzi ana-logici e digitali di cui servirsi, alternandoli o ibridandoli. Il disegno esprime ilpensiero sull’architettura e ne rende possibile l’invenzione, ma allo stessotempo è necessario alla comunicazione sia fra i tecnici sia con il pubblico. At-tualmente alcune contingenze culturali accentuano questa dialettica gene-rando una crisi nel rapporto fra composizione e comunicazione. I mezzi di co-municazione di massa costituiscono il paradigma fondamentale della culturacontemporanea1. L’immagine mediatica è pensata per essere apprezzata dalvasto pubblico cui i media informatici si rivolgono. I media sono guidati da lo-giche commerciali e spesso le immagini sono elaborate e diffuse a fini pub-blicitari. Le immagini di architettura non sono estranee a questo processo,perché il mercato rappresenta la forma di potere privilegiata con cui l’archi-tetto è chiamato a confrontarsi. L’immagine di architettura si rivolge a unpubblico di consumatori. Si sviluppano tecniche, stili e linguaggi grafici fina-lizzati a comunicare il progetto in modo accattivante a un pubblico distratto eincolto2. La rappresentazione del progetto viene affidata a operatori esterni,che descrivono il progetto senza esprimerne il senso profondo. Rappresen-tare l’architettura smette di essere un discorso critico su di essa e il disegnodi essere un manufatto artistico, per dissolversi nell’estetica diffusa dellacontemporaneità3. Tuttavia il disegno, «vera vista dell’architetto»4 rimane ilmomento generativo dell’architettura. Immaginare l’architettura significacondurre una ricerca che prende forma sul foglio o sullo schermo. Il disegnoè il luogo dell’esperienza progettuale e non esiste pensiero architettonico aldi fuori di esso5. Esiste un’altra ragione per cui gli architetti contemporaneisono chiamati a ribadire il ruolo centrale del disegno nella pratica progettua-le. Il paradigma mediatico implica il superamento dei confini interculturaliverso una reale e compiuta globalizzazione. Ne consegue un eclettismo distili e linguaggi provenienti da ogni parte del mondo, in cui l’individuo è chia-mato a scegliere consapevolmente il proprio repertorio lessicale e sintattico.Per non disperdere le proprie risorse creative in mode effimere ed entusia-smi momentanei, l’architetto contemporaneo ha pertanto il compito di pro-gettare il proprio linguaggio. Il progetto di linguaggio si concretizza nel dise-gno di invenzione, composizione meta-progettuale finalizzata a verificarestrategie e rapporti formali e a conservarne il ricordo nel repertorio lessicaleprivato del suo autore. La contraddizione del disegno architettonico contem-poraneo è nel suo ruolo di codice genetico del progetto, necessario per sal-vaguardare l’identità dei linguaggi, messo in crisi dalla richiesta di immaginipronte a una fruizione superficiale e distratta. Rinunciare alla diffusione me-diatica significherebbe rendere la ricerca un’esperienza privata e autorefe-renziale, inadatta alla cultura contemporanea in cui la circolazione delle ideee il confronto culturale sono garantiti più dalla circolazione delle immaginiche dalla costruzione degli edifici. D’altra parte adattarsi supinamente alle

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Il disegno fra ricerca e comunicazionePietro Zampetti

Spazio ritmico, 2009inchiostro su carta, cm 30 x 30, collezione dell’autore, Roma

logiche della comunicazione priva il disegno del suo ruolo cardine nella di-sciplina e ne consegue un appiattimento dei linguaggi a livello globale. Inte-resse dell’architetto contemporaneo è riaffermare l’inscindibilità fra progettoe disegno, inteso come momento di ricerca compositiva prima che comuni-cativa, stimolando il dialogo culturale. Il disegno architettonico destinato alladiffusione massmediatica dovrebbe offrirsi sinteticamente a un livello di let-tura immediato, in cui sia espresso il significato generale, grazie a un altogrado di iconicità, in luogo della vistosità muta, destinata a colpire un occhiodistratto e disinteressato, comune a molte immagini di architettura contem-poranea. A un secondo livello di lettura il disegno dovrebbe consentire di ri-conoscere il ragionamento che lo ha prodotto. Un disegno di architettura nondeve provocare nell’osservatore uno stupore momentaneo e effimero ma unacrisi, porlo nella condizione di esprimere un giudizio critico sul disegno stes-so e sul contenuto di pensiero che esprime. Il disegno deve infine possedereun’autonomia nello studio del segno e della composizione, contrapponendosialle mode che li vorrebbero omologati in stili riconoscibili e ripetitivi6. Forme,colori, qualità del tratto dipendono dalla sensibilità dell’autore e da ciò chequesti intende esprimere. Tale caratteristica è importante sia per il disegnoanalogico che per quello digitale. Quest’ultimo corre maggiormente il rischiodi perdere la propria autorialità in una serie di scelte automatiche dettatedall’uso del software e pertanto dovrebbe essere oggetto di uno studio parti-colarmente attento dal punto di vista del linguaggio grafico7. È possibile rico-noscere una qualità artistica al disegno digitale solo se il segno risulta da unascelta consapevole del suo autore8. Contro la produzione eccessiva e freneti-ca, richiesta dal mercato, l’architetto contemporaneo ha quindi il compito diritrovare la lentezza della riflessione e del ragionamento, la coerenza e laprofondità del contenuto, la qualità artistica del disegno autografo9, per vei-colare il disegno nella realtà globale e informatica del futuro.

1 Tale problema è stato indagato dal professore Franco Purini nel corso del suo seminario“Gli strumenti del progetto” tenuto all’interno del dottorato in “Architettura – Teorie e pro-getto” presso la Facoltà di Architettura della Sapienza Università di Roma, dipartimentoDiap, nell’ottobre 2014.2 Per una descrizione del ruolo pubblicitario e merceologico dell’immagine architettonicasi rimanda a Franco Purini, Le nuove immagini architettoniche tra superficie e istantanei-tà, in «Metamorfosi» n° 12, 1989 e a Vittorio Gregotti, Il disegno come strumento di pro-getto, Christian Martinotti Edizioni, Milano 2014, p. 24.3 Un’analisi di simili processi verificatisi nel campo dell’arte si trova in Yves Michaud, L’arteallo stato gassoso, Edizioni Idea, Roma 2007 (L’art á l’état gazeux, Éditions Stock, 2003).4 Franco Purini, Comporre l’architettura, Editori Laterza, Roma 2006, p. 99.5 Franco Cervellini e Renato Partenope (a cura di), Franco Purini, Una lezione sul disegno,Gangemi editore, Roma 2007, pp. 32, 33.6 Un esempio di questa tendenza a omologare i linguaggi grafici a quelli più diffusi dalla mo-da è stato offerto di recente da un blog di architettura, in cui è stato pubblicato un articoloche individua sommariamente i sette stili di “visualizzazione architettonica” più in voga. Li-dija Grozdanic in «Architizer», 29 settembre 2014, <http://architizer.com/blog/7-most-com-mon-architectural-visualization-styles> (20 dicembre 2014)7 Vittorio Gregotti, op. cit., pp. 29, 30.8 Tale problema è stato indagato dal professore Franco Purini nel corso del convegno “Laserie e il paradigma. Franco Purini e l’arte del disegno presso i moderni” tenutosi pressoil Politecnico di Milano il 19 gennaio 2015.9 Sulla contrapposizione fra questi opposti approcci alla composizione si veda il saggio di Re-nato Partenope, «Il disegno e l’Artificio», in Renato Partenope, La casa è la città, Iiriti editore,Reggio Calabria 2009.

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Forme nuove per il popolo, 1980china e pennarelli su carta, cm 50 x70, collezione dell’artista, Roma

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Al principio di tutto, 1985 china e pennarelli su carta, cm 50 x70, collezione dell’artista, Roma

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La capanna primitiva 4, 1985china, pennarelli e pastelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x70), collezione dell’artista, Roma

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La capanna primitiva 6, 1985china, pennarelli e pastelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x70), collezione dell’artista, Roma

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Testa N°2, 2002china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x 72,8), collezione dell’artista, Roma

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Testa N°4, 2002china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x 72,8), collezione dell’artista, Roma

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Testa N°6, 2002china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x 72,8), collezione dell’artista, Roma

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Testa N°9, 2002china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 51 x72,8), collezione dell’artista, Roma

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Il luogo del centro, 2011china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x 70), collezione dell’artista, Roma

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Recinto attivo, 2011china e pennarelli su carta, cm 30 x 30 (foglio cm 50 x 70), collezione dell’artista, Roma

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Forme in movimento, 2013china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x 70), collezione dell’artista, Roma

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Intersezioni vettoriali, 2013china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x 70), collezione privata, Roma

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Superficie Viola, 2014china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x 70), collezione privata, Roma

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Superficie Verde, 2014 china e pennarelli su carta, cm 40 x 40 (foglio cm 50 x70), collezione privata, Perugia

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Eurosky, 2014china e pennarelli su carta, cm 54 x 87, collezione dell’artista, Roma

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Veniamo a Franco Purini. I disegni pubblicati, anche se abbracciano un pe-riodo limitato, sono la limpida testimonianza di una poetica militante. Nonperché inquadrano un’ideologia. Al contrario. Sanciscono la radicale presadi posizione contro l’idealismo. In opposizione alle teorie del “capriccio”.Avverso le mitologie della fantasia liberata. Dell’immaginazione autarchi-ca. Dell’esplosione demoniaca del genio. Dell’arbitrio.Mi spiego meglio. Se prendiamo i disegni colorati, notiamo innanzitutto lasapiente calibratura cromatica. È un formalismo, però, che potrebbe in-gannare. Che cosa voglio dire? Non che Purini insegua esiti narrativi. Nep-pure che ambisca alla semplice astrazione iconografica. È sotto l’epider-mide decorativa, infatti, che dobbiamo cercare. Là dove risiede la vocazio-ne illusionistica di quei fogli. Che si tratti di quelli recenti o di vent’anni ad-dietro non cambia.Andiamo oltre. Vediamo i lavori a inchiostro. E troviamo una caratteristicain comune con quelli di cui abbiamo parlato sopra. Infatti, seppur privi diaspirazioni alla costruibilità (salvo, naturalmente, Eurosky del 2014), c’è inloro un’evidente tensione alla regolarizzazione dello spazio. O, quanto me-no, alla ricerca concreta della sua misurabilità.Quest’attitudine mi riporta all’Umanesimo. Verso la ragione laica di un’an-sia per la conoscenza, che dai grandi personaggi di allora giunge a noi. Aquel loro bisogno di accertamento scientifico della realtà che, fortunata-mente, ancora resiste.Ecco, per me, Franco Purini – nell’enciclopedica portata della sua ricerca– incarna l’attualizzazione dell’ingegno rinascimentale. La sua versatilitànon è eclettismo. Anzi. È la coerenza che nasce dalla fiducia nella ragionecome strumento di analisi universale. È la vittoria della razionalità. Del-l’unico strumento oggettivo a disposizione per esaminare la collocazionedell’uomo nella vastità del mondo.I disegni di Purini hanno un forte impianto plastico e tridimensionale. I vo-lumi sono sbalzati dallo sfondo in virtù di un uso esperto del chiaroscuro.E, abbiamo detto, dall’articolazione prospettica delle composizioni. Ma nonbasta. La mia tesi è la seguente. È la sua formazione di (grande) architettoa redimere questi lavori dalla semplice apparenza pittorica. In quei dise-gni, infatti, la rappresentazione non dipende dall’impressione di un’imma-gine. Non inseguono il sogno romantico dell’emozione estatica. Essi sonoil prodotto della combinazione di memoria e prefigurazione di rapportispaziali. Si riferiscono a oggetti ed esperienze motorie. Luoghi e percorsi.Mondo e presenza umana.C’è, qui, il codice etico dell’architettura contemporanea. Il senso della re-sponsabilità morale e sociale che Purini – non a caso grande didatta – ma-ieuticamente riesce a trasmettere. In forme di sorvegliato dinamismo. Enitido accordo cromatico. Dove però la cantabilità dei motivi è la cassa dirisonanza per l’impegno civico dell’autore.Deontologia figurata.

La riflessione teorica sul disegno risale a ben prima del Medioevo. Tutta-via, è solo dal XIV secolo che esiste una tradizione scritta in proposito. Mail suo statuto, nei secoli, non è sostanzialmente cambiato. Almeno nellacultura visiva occidentale. Anche oggi, infatti, nonostante la diffusione deldigitale, il disegno ha un ruolo fondamentale nelle pratiche artistiche.Per riassumerne grossolanamente le funzioni: 1) elaborazione primaria di un’idea; 2) definizione progettuale; 3) trasmissione e diffusione didattica; 4) repertorio formale; e, infine, 5) invenzione iconografica autonoma.È una generalizzazione. Lo so. Alla quale sfuggono, ovviamente, conside-razioni più raffinate. Come le differenze fra le discipline. E quelle fra glistrumenti d’uso. O il discrimine stilistico. E il dibattito sulla paternità, au-tenticità, singolarità, eccetera dell’opera. E altro ancora.Comunque, è rilevante e storicamente invariato – indipendentemente dagliambiti applicativi – il carattere conoscitivo e comunicativo del disegno. Ilsuo essere un dispositivo relazionale. Un ponte tra l’interiorità dell’artistae la realtà esterna.Il primo aspetto riguarda la capacità di formare immagini (un dono divino,per i trattatisti del Rinascimento). Il secondo, invece, è la formulazione diun codice espressivo che, per avere un significato, deve essere condiviso.Il disegno, quindi, non è solo l’interfaccia sensoriale della facoltà ideativa.È anche il risultato della stratificazione secolare di convenzioni visive. Cioèuno dei meccanismi di coordinamento sociale. Perché la possibilità com-piuta di un’esperienza estetica è data solo dall’esistenza di consuetudiniriconosciute, comuni agli artisti e al pubblico. E non parlo solo dell’arte.Vale per il disegno tecnico così come nelle dinamiche interpersonali. Pri-ma le abitudini si radicano. Poi sono interiorizzate. Infine diventano norma.E in un rapporto costi/benefici il mantenimento delle regole è più “vantag-gioso” del loro incessante aggiornamento.Queste considerazioni mi portano a riflettere sul disegno in architettura.Ciò che mi ha sempre interessato è l’intrinseco dualismo di tecnica e stile.L’apparente coesistenza di finalità strumentali e di pura seduzione visiva.Però, essendo io uno strenuo oppositore del concetto di autonomia esteti-ca, non credo all’arte-per-l’arte. Anche quando non è rivolto alla progetta-zione, secondo me, il disegno architettonico ha una forte impronta funzio-nale. Solo per fare quale esempio tra i maestri, c’è il perfezionamento in-ventivo di Wright, Le Corbusier, ecc. Ovvero la competenza teorematica deidisegni di Sant’Elia e dei costruttivisti russi. O, più semplicemente, la ve-rifica informale di cognizioni tecnologiche e strutturali.In ultimo vorrei ricordare che il disegno, come ogni gesto creativo, non sinutre solo di talento e ispirazione. Richiede anche applicazione, tirocinio,esercizio costante.

Luoghi e percorsi di civiltà, sul disegno di Franco PuriniMaurizio Coccia

Questo incontro, organizzato a Trevi da Enrico Ansaloni e Andrea Dragoni,è un coraggioso e generoso gesto d’amore di Franco Purini nei confrontidel disegno, obiettivo e al tempo stesso strumento del suo agire nell’archi-tettura. L’organizzazione dell’evento è opera della scuola romana del disegno, del-la “sua” scuola romana, che ha avuto l’iniziativa di raccogliere, in una giu-stapposizione difficile, disegni come lezioni e disegni come esercizi appli-cativi, in un confronto che spesso si tenta di evitare. L’arte non s’insegna né s’impara, al più si copia, si dice di solito, ed è tantovero che rare sono le occasioni in cui un maestro si presta a mettere a nu-do il mestiere svelando il proprio armamentario maieutico e testimonian-do con profonda umiltà quanto è disposto a dare ai suoi allievi, senza nullatogliere alla loro originalità espressiva. È un lavoro impegnativo che solle-cita ovvie considerazioni su quanto sia arduo fare oggetto d’insegnamentole più riposte forme del proprio pensiero visivo, nonché i modi in cui espri-merle.Porre poi a confronto diretto opere e imitazioni, ovvero modelli autentici eopere di genere, foss’anche solo per studiarne i metodi d’approccio, le fon-ti d’ispirazione e la ricchezza di varianti esecutive, significa esibire impu-dicamente esiti che talora scaturiscono da esperimenti di allievi ingenui einesperti. Per questo il coraggio di esporsi è indispensabile e così la gene-rosità di donare se stessi all’insegnamento. La sfida è saper indurre gli al-lievi a generare opere che non siano solo autoreferenziali, ma che sianoanche assoggettabili al dialogo con le diverse e forse opposte concezioniproposte dai maestri. Ne emergono esiti di impensabile efficacia. Accanto a confronti in cui l’im-pronta del maestro origina procedimenti imitativi in parte inevitabili, masempre fecondi e stimolanti, emergono altri esiti che sperimentano lin-guaggi che paiono solo marginalmente indirizzati, ma in realtà forieri didifferenti ricerche morfologiche, di altri orientamenti geometrici e di poe-tiche imprevedibili, che senza quell’impulso mai sarebbero state rivelate.La ragione per cui questo accade così frequentemente, nel dialogo didat-tico istituito da Franco Purini con i suoi allievi, dipende dalla disponibilitàillimitata dei suoi disegni ad esprimere la presenza nella realtà di ordina-menti differenti e spesso contrastanti. Ordinamenti generati da matricimorfologiche opposte che attingono al tempo stesso agli universi del rigo-re e a quelli della libertà espressiva. Matrici che accostano le serialità piùripetibili all’anomalia e all’eccezione, secondo ritmi che è facile trovare sianella natura che nell’architettura e che sembrano appartenere ad un lin-guaggio universale.Misurarsi con questo linguaggio è l’avventura che la scuola di Franco Pu-rini propone, come esercizio di quell’unica logica che regola allo stessomodo le forme tracciate sulla superficie e le forme generate nello spazio.

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Affacciandosi dalle quindici finestre aperte sulle candide pareti di PalazzoLucarini da Maurizio Coccia (con la curatela di Enrico Ansaloni e AndreaDragoni) e spalancate da Franco Purini sul mondo delle idee, sembrava diripercorrere idealmente il divenire dell’atto inventivo. Una sorta di paesag-gio mentale in cui disegno e progetto, pur rimanendo entità distinte, si ali-mentavano a vicenda, dando luogo a un intreccio di significati che rimar-cavano la non neutralità dell’uno rispetto all’altro. Non a caso, tanto daipennini dei rapidograph quanto dai feltrini dei pennarelli e dalle mine deipastelli, prendevano forma decorazioni bidimensionali e configurazioni tri-dimensionali levigate dal flusso della storia, eppure sempre e comunquesorprendenti: virtuosismi grafici dal tratto preciso, ma dal senso misterio-so, che, al pari della zucca magica di Cenerentola, si trasformavano d’in-canto in un vivido monolite, che sembrava ritratto dalla propensione visio-naria di Stanley Kubrik, o in un algido grattacielo, che sembrava coronatodalla vena scenografica di Alexander Vesnin. Questo, d’altra parte, è dasempre, e rimane tuttora, il grande potere del disegno: condensare in po-chi decimetri quadrati non solo molte informazioni, ma anche e forse so-prattutto infinite suggestioni. Né erano da meno i disegni e i modelli delle tesi di laurea ispirate da FrancoPurini. Anche se non stento a immaginare che qualche professionista loca-le, annebbiato dalle ingenti incombenze burocratiche imposte dalla profes-sione militante, si sia limitato ad apprezzarne le qualità estetiche e abbiaavanzato riserve sullo scarto tra disegno e costruzione; magari spingendosia rappresentare le agiatezze dello studio rispetto alle asperità del cantiere.Un luogo comune tanto diffuso quanto infondato, che peraltro mostra lacorda del proprio essere se solo si ripercorrono, anche sommariamente, letappe salienti della storia dell’architettura. Da sempre, infatti, disegnareequivale a costruire, perché il disegno incarna una forma-pensiero irrinun-ciabile, senza la cui capacità medianica di pre-visione l’opera architettonicanon può avere luogo se non in modo scomposto. Viene in mente un celebredisegno di Carlo Aymonino, in cui un grumo di schizzi sono composti intor-no a un’epigrafe, progettare è fatica, da cui grondano gocce di sangue voltea ricordare che il disegno comporta anche uno sforzo fisico non trascura-bile. Ma più ancora viene in mente la laconica rampogna di Aldo Rossiquando, concludendo una memorabile premessa a un elegante catalogo didisegni di Gian Carlo Leoncilli Massi (nato e vissuto da queste parti), rimar-ca laconicamente che «il margine tra disegno e architettura costruita, tral’ideazione e la pietra è sempre stato un confine poco chiaro». Al pari dellalabilità dei confini insegnamento/professione e arte/mestiere. Così comeenunciato profeticamente da Franco Purini nella Lezione sul disegno tenu-ta nella Facoltà di Architettura di Ascoli Piceno più di venti anni fa e così co-me rivendicato lucidamente da Giorgio Bonomi in occasione del colloquioAccanto all’arte svoltosi nel Teatro Clitunno la scorsa primavera.

Quindici finestre spalancate sul mondo delle ideePaolo Belardi

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Il disegno di architettura sta all’edificio costruito come lo spartito all’ese-cuzione musicale, la sceneggiatura a un film, la scrittura coreografica a unballetto. Anche se questi paragoni sono approssimativi, e forse inesatti,essi chiariscono comunque la necessità nei vari linguaggi di dispositivipreparatori in grado di definire non solo gli obiettivi e i caratteri di un’ope-ra, ma prima di tutto la sua la sua forma e la sua immagine, seppure em-brionali e progressive. Il disegno di architettura produce dunque una si-mulazione del risultato dell’azione progettuale favorita dall’essere il dise-gno stesso capace di fornire una rappresentazione analogica del futuroedificio. Essa serve all’architetto per esprimere i fondamenti concettuali eformali di ciò che si vuole costruire. Successivamente è utile per verificareil risultato del proprio impegno progettuale e infine per comunicarlo alcommittente e ai futuri utenti dell’edificio. Inoltre il disegno di architetturaconsente di ricostruire fase per fase la definizione della genesi del manu-fatto, sempre complessa e laboriosa. In breve il disegno è pensiero,espressione riconoscibile e finalizzata di questo pensiero e la sua memo-ria. Questa triplice essenza rivela il limite di quelle concezioni del disegnodi architettura che lo considerano solo come uno strumento, seppure so-fisticato. Esso è infatti molto più di un ausilio grafico all’esercizio compo-sitivo e costruttivo, ma ciò che consente al comporre e al costruire di esi-stere e di compiersi nell’opera architettonica. Ma c’è dell’altro. Oltre ai suoi aspetti specifici il disegno di architettura haanche un valore autonomo come opera d’arte. Ovviamente non tutti i dise-gni di architettura lo sono, ma solo quelli nei quali l’autore ha saputo crea-re un rapporto organico tra l’idea architettonica e il modo con il quale essasi è fatta forma. In questo senso il disegno di architettura come opera d’ar-te è sempre utopico, rivelando aspetti prima sconosciuti della realtà i qua-li, una volta rivelati, possono modificarla rendendola più avanzata e più li-bera. È anche innovativo perché reinventa ogni volta la sua struttura, cheanticipa su un piano parallelo quella dell’opera che ha determinato e rap-presentato. È totale in quanto riflette l’infinità del cosmo, di cui ogni archi-tettura è un’interpretazione e una trasformazione. È misterioso perchétraduce nel suo linguaggio, come in una poesia del segno, la trasforma-zione della realtà in un enigma che è tanto oscuro e resistente quanto èlimpido e luminoso nella sua formulazione. Se è vero ciò che è stato dettonelle prime righe di queste note il disegno di architettura si colloca nellostesso tempo prima e dopo l’edificio da cui è nato. Interviene prima perchéil disegno è l’idea; continua la sua azione dopo perché il disegno contieneanche ciò che accadrà all’edificio nel corso della sua vita.

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Promemoria per Trevi sul disegno di architettura Franco Purini

Stampato nel mese di marzo 2015 da Futura soc. coop. di Perugia