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LA ZECCA SENATORIALE DI ROMA E IL GROSSO D’ARGENTO UN BREVE EXCURSUS SENATUS POPULUSQUE ROMANUS : UN MESSAGGIO IDEALE TRAMITE LA PRATICA MONETARIA. di Adolfo Sissia [email protected] D escrivere in estrema sintesi un tema complesso come la produzione della moneta grossa a Roma durante il periodo senatoriale è compito difficile. Il rischio che si corre è quello di deludere: gli esperti della materia potrebbe- ro reputare banali le cose affermate e i lettori meno esperti potrebbero non accettare l’aver dato per scontate cose che in realtà non lo sono. Il proposito dell’articolo è di tracciare un percorso divulgativo attraverso un’esposizione generale dell’argomento, utilizzando i principali studi pubblicati a stampa e rivolgendo particolare interesse ad alcune questioni poco chiare che a nostro avviso sono tuttora in corso di studio. La tematica relativa alle monete coniate dal Senato Romano è stata affron- tata anche in passato e nell’insieme si è sempre rivelata insidiosa, generando vivaci dibattiti tra gli studiosi (Vettori 1738, Fioravanti 1738, Argelati 1750, Carli Rubbi 1751, Garampi 1776, Zanetti 1779, Vitale 1791, Cimagli 1846, Poey d’Avant 1860). Un contributo di grande interesse riguardo la monetazione grossa senatoriale fu elaborato da Capobianchi (1895-1896) e, in seguito, Serafini (1910-1928) curò un importante catalogo concernente le monete senatoriali collocate nel Medagliere Vaticano. L’argomento rimase a lungo in silenzio nella letteratura numismatica, a parte un compendio degli studi noti all’epoca pubblicato da Martinori (1930); il Corpus Nummorum Italicorum (1934) raggruppò in ordine catalogico le varie tipologie conosciute. Nel 1956 Grierson realizzò un saggio specifico, sostanzialmente incentrato sul periodo di emissione tra il 1253 e il 1282, che rappresentò una pietra miliare negli studi del genere. Successivamente, Muntoni (1972-1974) compilò un catalogo sulla monetazione pontificia, incluso il periodo senatoriale. Di notevole importanza lo studio di Stahl (2008), che si è occupato soprattutto delle seriazioni del XIV secolo, e quello di Carocci (2008), dedicato fondamentalmente al ruolo svolto da Papato e Comune nell’attività di zecca e all’interpretazione della presenza degli stemmi familiari. Travaini (2011) ha compendiato il tema nella scheda intitolata al Senato Romano all’interno di Le Zecche Italiane (2011) e il gruppo delle mo- nete senatoriali angioine è stato brillantemente trattato da Chimienti (2011); ultimamente il tema numismatica-araldica inerente i grossi senatoriali è stato argomentato in maniera efficace da Bultrini (2013). Fig. 1. Arnaldo da Brescia, fondatore della Repubblica Romana (da Wikipedia). Panorama Numismatico 07-08/2014 | 25 MONETE ITALIANE MEDIOEVALI E MODERNE

La zecca senatoriale di Roma e il grosso d'argento

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LA ZECCA SENATORIALE DI ROMA E IL GROSSO D’ARGENTOUN BREVE EXCURSUS

SENATUS POPULUSQUE ROMANUS: UN MESSAGGIO IDEALE TRAMITE LA PRATICA MONETARIA.

di Adolfo [email protected] in estrema sintesi un tema complesso come la produzione della

moneta grossa a Roma durante il periodo senatoriale è compito difficile. Il rischio che si corre è quello di deludere: gli esperti della materia potrebbe-ro reputare banali le cose affermate e i lettori meno esperti potrebbero non accettare l’aver dato per scontate cose che in realtà non lo sono. Il proposito dell’articolo è di tracciare un percorso divulgativo attraverso un’esposizione generale dell’argomento, utilizzando i principali studi pubblicati a stampa e rivolgendo particolare interesse ad alcune questioni poco chiare che a nostro avviso sono tuttora in corso di studio.

La tematica relativa alle monete coniate dal Senato Romano è stata affron-tata anche in passato e nell’insieme si è sempre rivelata insidiosa, generando vivaci dibattiti tra gli studiosi (Vettori 1738, Fioravanti 1738, Argelati 1750, Carli Rubbi 1751, Garampi 1776, Zanetti 1779, Vitale 1791, Cimagli 1846, Poey d’Avant 1860). Un contributo di grande interesse riguardo la monetazione grossa senatoriale fu elaborato da Capobianchi (1895-1896) e, in seguito, Serafini (1910-1928) curò un importante catalogo concernente le monete senatoriali collocate nel Medagliere Vaticano.

L’argomento rimase a lungo in silenzio nella letteratura numismatica, a parte un compendio degli studi noti all’epoca pubblicato da Martinori (1930); il Corpus Nummorum Italicorum (1934) raggruppò in ordine catalogico le varie tipologie conosciute. Nel 1956 Grierson realizzò un saggio specifico, sostanzialmente incentrato sul periodo di emissione tra il 1253 e il 1282, che rappresentò una pietra miliare negli studi del genere. Successivamente, Muntoni (1972-1974) compilò un catalogo sulla monetazione pontificia, incluso il periodo senatoriale. Di notevole importanza lo studio di Stahl (2008), che si è occupato soprattutto delle seriazioni del XIV secolo, e quello di Carocci (2008), dedicato fondamentalmente al ruolo svolto da Papato e Comune nell’attività di zecca e all’interpretazione della presenza degli stemmi familiari. Travaini (2011) ha compendiato il tema nella scheda intitolata al Senato Romano all’interno di Le Zecche Italiane (2011) e il gruppo delle mo-nete senatoriali angioine è stato brillantemente trattato da Chimienti (2011); ultimamente il tema numismatica-araldica inerente i grossi senatoriali è stato argomentato in maniera efficace da Bultrini (2013).

Fig. 1. Arnaldo da Brescia, fondatore della Repubblica Romana (da Wikipedia).

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La moneta “grossa” fu introdotta in Italia centrale in fasi diverse durante la prima metà del XIII secolo, affiancando i denari minuti nel sistema monetario dell’epoca in termini di valore teorico nelle molteplici lire correnti e proponendosi come base di una riforma monetaria che per molti aspetti si rivelò rivoluzionaria. Il grosso costituiva un multiplo del denaro e fu realizzato sostanzialmente per agevolare gli scambi; per la bontà dell’argento e per l’alto potere liberatorio si affermò in breve tempo, divenendo un apprezzato lasciapassare nei circuiti

commerciali internazionali. Parallelamente il denaro continuava a svolgere un ruolo primario prevalentemente nelle transazioni medio-piccole, dando origine, insieme al grosso, a un doppio sistema monetario utilizzato in conformità a esigenze di scambi diversi. Tuttavia, come si evince dai dati dei ritrovamenti e da alcuni documenti (cfr. Baldassarri 2010, pp. 445-448), già dalla metà del XIII secolo il grosso era utilizzato anche e soprattutto per i pagamenti “interni”.

La contemporanea presenza della Chiesa romana, del potere imperiale, del-l’emergente aristocrazia laica e della rinascita del mito trascorso nelle coscienze dei cittadini capitolini, produsse un quadro politico e socio-economico estrema-mente articolato, che condizionò largamente i processi storici di Roma generando significativi elementi di peculiarità nel panorama medievale italiano.

Il rigoroso programma pontificio di affermazione della propria supremazia politica nei confronti dei regimi signorili e popolari romani, orientati all’oppo-sto verso la più totale autonomia (pruritum dominandi) – che non si discostava di molto dalla plenitudo potestatis di Innocenzo III (1198-1216) – rappresentò per la storia medievale di Roma un sostanziale ostacolo che condizionò la vita sociale ed economica della città.

Siamo a conoscenza che, dalla metà del XII secolo e fino al 1230 circa, Roma si rivelò città a fortissima vocazione commerciale-mercantile, paragonabile ai principali centri dell’Europa mediterranea. Il relativo “ritardo” da parte di Roma nella produzione di moneta grossa nei confronti delle altre zecche coeve fu si-gnificativo e si potrebbe ipotizzare che tale contingenza fosse da attribuire, oltre alla continuità dell’utilizzo di oro coniato da zecche arabe e bizantine, anche al flusso di metallo pregiato in marche derivato in modo particolare da crediti e canoni presso i vescovati subalpini; vi era, inoltre, una grande massa di monete straniere e nazionali proveniente dall’incessante movimento di pellegrini che giungevano a Roma.

I diversi numerari, sommati in moneta di conto, erano presumibilmente riutilizzati per pagamenti effettivi in prezzi misti oppure erano fusi e trasformati in lingotti d’argento funzionali al commercio (argento romanesco). Il mancato adeguamento al nuovo “alto” standard di riferimento monetario da parte di Roma non rappresentò inizialmente un impedimento al buon esito delle transazioni commerciali transregionali e internazionali. Tuttavia, con la morte di Gregorio IX (1227-41), il papa che offrì maggiore “protezione” ai mercanti-banchieri romani in cambio d’ingenti prestiti di denaro, a causa di una rinnovata e con-dizionante politica da parte dei papi eletti successivamente, venne meno quella fiducia che aveva favorito fino allora i mercatores romani, specialmente nei loro traffici creditizi nell’ambiente della Curia pontificia; di conseguenza anche le attività mercantili subirono un deciso ridimensionamento.

Oltre a ciò, il ricambio sociale avvenuto con l’ascesa istituzionale dei ba-rones Urbis, che penalizzò pesantemente le dinamiche economiche dell’Urbe

Fig. 2. Sepolcro medievale. Il leone e il simbolo del popolo romano.

Fig. 3. Papa Gregorio IX, particolare del-l’affresco di Raffaello, Gregorio IX riceve le Decretali, Roma, Musei Vaticani, Stan-za della Segnatura (da Wikimedia Com-

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(Regimen monstruosum), e l’inserimento nel circuito romano delle finanze di banchieri senesi prima e fiorentini dopo, indusse Roma, pressata da necessità di ordine economico-strutturale, ad attuare una vigorosa manovra di politica monetaria attraverso l’emissione di moneta grossa.

A Roma le nuove emissioni, menzionate come romaninis grossis, romaninus vetus, romaninus rinforzatus o romanini de peso e romaninus parvus nella documentazione dell’epoca, iniziarono nel 1253, nei valori di grosso e mezzo grosso, “regnante” Brancaleone degli Andalò (1252-55, 1257-58). L’elezione del senatore ghibellino di origine bolognese, instauratore di un regime popolare e rigidissimus executor iustitiae, fu fermamente reclamata dai cittadini romani che tentarono così di porre rimedio ai frequenti tumulti che turbavano l’Urbe in quel periodo e, allo stesso tempo, di riacquisire un ordine socio-economico tale da far ritrovare prestigio e credibilità nei rapporti finanziari con le altre piazze commerciali. Concretamente la nuova politica monetaria da parte di Brancaleone si rivelò una strategia indovinata oltre che necessaria, venendo così a creare nel circuito degli scambi uno strumento più adeguato alle esigenze economiche del periodo.

L’adozione del tipo iconico per ambedue le facce della moneta, leone passante e Roma seduta in trono con globo e palma, comportava da parte della zecca capitolina una scelta ben precisa, orien-tata a diffondere, tramite la moneta, un vigoroso messaggio politico agli occhi dei contemporanei. Il leone era espressione simbolica del popolo libero di Roma, la figura femminile era la personifica-zione reale della città e le impronte epigrafiche S.P.Q.R. / ROMA CAPVT MVNDI esprimevano una collaudata formula con specifiche tradizioni storiche; quindi, in termini di auto rappresen-tazione, un lessico numismatico di grande forza simbolica, corredato da segni esteriori manife-stanti una forte concezione di potere istituzionale appartenente a un’autorità laica. Appare chiaro, nello stile della figura assisa in trono, un richiamo alla monetazione bizantina, come sono altresì palesi segni di origine imperiale.

Generalmente, in numismatica, la parte in cui è evidenziata l’autorità emittente è considerata come il dritto della moneta e in tale modo è valutata la faccia del grosso romano con la raffigurazione del leone e l’impronta epigrafica SENATVS nei principali cataloghi di riferimento. Tuttavia, se intraprendiamo un’analisi in paral-lelo tra sigilli comunali (cfr. Regesto Margarita Cornetana) e moneta, si evince che l’immagine improntata nei primi coincide con la figura femminile seduta in trono presente nei grossi, sottolineandone la rilevanza iconografica. È lecito chiedersi se la circostanza possa rappresentare spunto di riflessione per un’eventuale riesame delle distinzioni presenti nelle catalogazioni (si veda Travaini 2007b, p. 298). La differenziazione dritto e rovescio di una moneta è una convenzione attuale e i documenti d’epoca pronunciano sempre da una parte e dall’altra parte (Giuliani-Fabrizi 2014, p. 229).

Il primo grosso coniato dalla zecca di Roma ebbe un peso di 3,45 g circa con un titolo di 938 millesimi, ossia once undici e denari sei per libbra, per un totale di 3,24 g di fino al pezzo (Stahl 2008, p. 160); il suo valore teorico iniziale, in linea con i tipi di più ampio corso coevi, fu di dodici denari che costituivano un

Fig. 4. Grosso di Brancaleone (da mcsearch.info).

Fig. 5. Roma in trono, dal codice Liber Ystoriarum Romanorum.

Fig. 6. SENATVS POPVLVSQVE ROMANVS (da Wikipedia Commons).

Lupa capitolina, bronzo, XIII secolo, Roma, Musei Capitolini (da Wikipedia).

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soldo nell’unità di conto locale (a Roma, lira di provisini). A causa dello svilimento del denaro provisino, probabilmente determinato anche dal rincaro dell’argento, documentato agli inizi della seconda metà del XIII secolo, il valore del grosso fu presto sganciato dalla tariffa del soldo, passando quindi da dodici a sedici provisini e aumentò rapidamente in successione fino a raggiungere quello di quarantotto denari fra il 1342-59.

Le caratteristiche “generiche” valide per distinguere i diversi valori dei tipi sono rese evidenti dalle differenti raffigurazioni del leone nel “dritto” delle monete: passante a sinistra con testa di profilo nei grossi normali, passante a sinistra con testa di prospetto nei grossi rinforzati e passante a destra con testa di profilo nei mezzi grossi (in alcuni casi particolari nei tipi anonimi a sinistra: CNI, vol. XV, p. 104, nn. 36-39).

Alcuni elementi epigrafici-iconografici nelle impronte delle monete possono facilitare, anche se in linea di massima, l’individuazione di una determinata sequenza cronologica. La figura di Roma seduta in trono è incisa in stili diversi: nel periodo più antico (1253-1282 circa) regge il globo con la mano destra e la palma con la sinistra e il trono è a colonnine mentre nel secondo periodo (circa 1282-1363) av-viene il contrario e il trono è concepito da due leoni. Il quadro d’insieme delle lettere epigrafiche nel secondo periodo ha un carattere misto in stile onciale e semigotico e l’utilizzo di lettere capitali, specifico delle precedenti emissioni, si riduce. Nel primo periodo l’accuratezza del disegno, nel complesso della moneta, determina uno stile meticoloso nei particolari, mentre durante il secondo, la trascuratezza dell’incisione manifesta una semplificazione stilistica che si accentua sempre più con il passare del tempo. In questa ultima fase fa eccezione il grosso coniato da Guelfo de’ Pugliesi nel 1363, che offre una più accurata fattura nell’impronta della moneta che pro-babilmente testimonia, insieme a nuovi e rigorosi parametri politici di “recupero”, un tentativo di ridare impulso a un’autorità senatoriale oramai sfiancata.

Nell’insieme i grossi senatoriali possono essere raggruppati in tre categorie principali, a loro volta distribuite in numerosi gruppi (cfr. Grierson 1956): la prima annovera le emissioni anonime (CNI, vol. XV, pp. 103-104, nn. 25-39, pp. 107-109, nn. 56-74), ovvero grossi e mezzi grossi che non recano né il nome, né lo stemma di un senatore; la seconda comprende le emissioni di grossi e mezzi grossi a titolatura di Brancaleone degli Andalò (CNI, vol. XV, pp. 105-106, nn. 40-55) e di Carlo I d’Angiò (CNI, vol. XV, pp. 109-114, nn. 75-121); la terza riunisce le produzioni con impronta in esergo dei segni araldici (CNI, vol. XV, pp. 119-133, nn. 156-262) riguardanti alcune famiglie baronali.

La serie dei grossi senatoriali sarebbe stata interrotta per un periodo di breve durata con la produzione dei grossi cosiddetti “samperini” (CNI, vol. XV, pp. 115-118, nn. 128-155), monete anonime semi-papali, che ostentavano un primo tentativo di cambiamento politico da parte della Chiesa romana. Se questi sono genericamente datati tra il 1265 e il 1303, in realtà sembra attendibile che l’emissione sia avvenuta durante il pontificato di Bonifacio VIII (1294-1303), probabilmente progettata ed emessa per il Giubileo del 1300 (Travaini 2000, p. 122).

Per completezza d’informazione, riguardo a questo periodo vale la pena ricor-dare anche una particolare produzione di moneta “grossa” con testa barbuta di San Pietro al dritto e chiavi in palo al rovescio. In letteratura non vi è accordo preciso nell’assegnazione della zecca di provenienza: in particolare la moneta fu attribuita da Grierson (1956, nuovo tipo di denaro) all’officina romana durante il pontificato di Nicolò III (1277-1280), in base ad analisi stilistica e storica, con accostamento ai “provisini di santo” annotati nella lista di mercatura di Pegolotti (circa 1290). In realtà “di santo” potrebbe essere comparato a “di senato” (Travaini 2003, p. 119), per cui il riferimento al classico denaro provisino rimane a nostro avviso il ragguaglio

Fig. 7. Grosso anonimo, da mcsearch.info.

Fig. 8. Grosso rinforzato, da mcsearch.info.

Fig. 9. Mezzo grosso anonimo, da mcsearch.info.

Fig. 10. Samperino, da mcsearch.info.

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più appropriato e l’attribuzione del “grosso” con chiavi a Viterbo, come suggerisce il CNI (vol. XIV, p. 271, nn. 1-5), ragionevolmente attendibile. In ogni modo la questione resta aperta e da approfondire.

Oltre gli aspetti ponderali, maggiori rispetto ai nominali coevi delle altre zecche italiane ed europee, è particolarmente interessante notare la concomitante produ-zione di un divisionale del grosso nel sistema monetario senatoriale; probabilmente ciò era dovuto all’elevato valore che aveva il provisino, nonostante alcune flessioni d’intrinseco e peso avvenute in precedenza, durante il 1253, calcolabile in millesimi 307,2 (Finetti, Denari, p. 25), ossia once 3 e denari sedici e mezzo per libbra. In teoria, inizialmente il mezzo grosso avrebbe potuto agevolare le transazioni medie con un nominale dal valore meno elevato del grosso. Tuttavia è singolare che in alcuni casi (CNI, vol. XV, p. 119 nn.156-174, p. 121, nn. 175-183, p. 123, nn. 190-194) la produzione monetaria riguardasse esclusivamente la coniazione del mezzo grosso; è utile sottolineare che in questi esemplari il leone procede a sinistra come nella canonica iconografia riferita al grosso. Difficile, a nostro avviso, che nessun esemplare di multiplo della stessa tipologia non sia giunto fino a noi, mentre appare ragionevole ipotizzare che tale circostanza sia da imputare al valore teorico di ventiquattro/ventisei provisini che aveva raggiunto il romanino parvo agli inizi del XIV secolo; il mezzo grosso diveniva così il soldo con il quale si conteggiava rendendo probabilmente “superfluo” il conio del multiplo. Altresì, la grave crisi dell’argento avvenuta alla fine del XIII secolo (Finetti 1999, p. 74) potrebbe aver comportato una modificazione del tipo della moneta grossa con relativa riduzione del valore.

Oltre alla dibattuta questione “moneta pontificia o comunale”, che potrebbe essere risolta con un equo e mutevole divario che aumentava o diminuiva perio-dicamente fra le due entità (cfr. Carocci 2008), specialmente durante il periodo della “cattività avignonese”, persiste come oggetto di discussione quale sia la finalità dei segni araldici improntati nei grossi. Grierson (1956) proponeva di attribuire le insegne a funzionari governativi preposti alla zecca e appartenenti alle grandi famiglie di Roma da cui provenivano i senatori, mentre Carocci (2008) suggerisce di riconoscervi essenzialmente le armi araldiche riferite ai senatori in carica. Senza entrare in questa sede in un’analisi dei dettagli, a nostro avviso, le teorie sono diver-samente valide e sarà competenza degli appassionati, dopo avere letto le posizioni dei sopraccitati autori, quale indirizzo concettuale accogliere. Indiscutibilmente, la presenza di stemmi familiari nelle monete romane rappresentò una peculiarità del tutto eccezionale in un periodo in cui tale prerogativa era generalmente assente nell’iconografia monetale tranne che in alcune emissioni di sovrani meridionali (Carocci 2008, p. 161).

Per quanto concerne il segno del giglio improntato nel tipo rinforzato di Carlo (CNI, vol. XV, pp. 100-121) è opportuno segnalare che in molti esemplari le lettere nelle legende della moneta evidenziano caratteri epigrafici manifestamente estranei a quelli tradizionali precedenti (taglio più fine, le C e le E chiuse, A e T con trattini discendenti molto allungati, N sempre rette; Finetti 2000, p. 57). Le affinità stilistiche con il gros tournois di San Luigi e con il carlino di Napoli sono evidenti e ciò suggerisce che il personale addetto alle coniazioni potesse essere di origini francesi. Il giglio, emblema di Francia, potrebbe essere un riferimento diretto a quelle maestranze oppure a funzionari regis; non è da escludere un riferimento al partito guelfo (cfr. Chimienti 2011, pp. 513, 520-521). Non si può non sottolineare che il nome di Carlo è sempre presente nell’epigrafia delle monete.

Un altro tema degno di attenzione riguarda la creazione del grosso coniato da Carlo, cosiddetto rinfortiatus, durante il secondo senatorato (1268-78). Queste

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monete hanno un diametro fra venticinque e ventisette millimetri, pesano 4 g circa (peso teorico unitario di 4,15 g), un valore iniziale di ventuno-ventitré denari provisini, variabile in relazione a speculazioni nelle diverse aree di circolazione, e un contenuto argenteo di 944 millesimi. La presenza angioina per la storia di Roma rappresentò un carattere sostanzialmente di dominio soprattutto con Carlo I, il quale, pur rispondendo a un ampio programma elaborato dalla Curia romana, in concomitanza di una sede vacante di quasi tre anni dopo la morte di Clemente IV nel 1268, “abusò” del diritto di zecca per la realizzazione della sua monetazione “personale”; il rinforzato potrebbe costituire un tentativo di allineamento monetario sul piede dei grossi tornesi dal peso di 4,29 g circa e 958 millesimi di fino, valutati dodici denari tornesi. La massiccia presenza di grossi tornesi utilizzata nei pagamenti delle decime pontificie, le liste di mercatura e la frequenza dei ritrovamenti testimo-niano l’importanza che queste monete acquisirono nel centro Italia, al punto che definirla “moneta straniera” potrebbe essere improprio. Tecnicamente il rinforzato mutò il tradizionale rapporto di cambio con la moneta piccola che aveva raggiunto uno svilimento tale da rendere necessario incrementare peso e valore intrinseco del grosso che veniva così agganciato al fiorino d’oro in un preciso rapporto di 10 a 1 (Capobianchi 1895-96, p. 90).

Un dato appariscente nel contesto è determinato dalle “ispirazioni” che acco-munavano la monetazione di Roma e del Regno di Napoli, dove con nuova zecca durante il 1278 (Giuliani-Fabrizi 2014, p. 50) s’iniziò a coniare il carlino tipo saluto (3,34 g) e nel 1303 il carlino tipo gigliato (4,01 g) conformi rispettivamente al piede del romanino vetus da sedici denari e dei rinforzati da ventuno; circolarono a lungo in area laziale, come testimoniano fonti scritte del XIV secolo, e nel dritto del gigliato fu “imitata” la imago di Roma seduta anche se con contenuti ideali riferiti al potere imperiale (fig. 11).

Non è un caso, quindi, se gli Statuti della città (1358-1367) menzionavano il romanino con i nomi carlino e gigliato e se Martino V (1417-1431) coniò un tipo di moneta con identiche caratteristiche iconografiche (CNI, vol. XV, pp. 218-219, nn. 85-94), riconoscibile per la presenza di una frusta ad indicare lo zecchiere Domenico Gherardini (fig. 12). Il presupposto rapporto monetario descritto sopra, avvalorato da legami politici e vicendevoli scambi, non soltanto commerciali ma anche culturali, potrebbe in via ipotetica dare spiegazione agli in-tervalli delle sequenze senatoriali che si riscontrano tra un conio e l’altro dei grossi romani con stemmi familiari: saltuariamente e in determinati periodi la moneta grossa napoletana potrebbe avere colmato eventuali lacune nel circolante legale di Roma e non possiamo escludere un diretto coinvolgimento della zecca capitolina nella produzione di tali monete (Capobianchi 1895, p. 92). In un documento dell’Archivio di Stato di Napoli, datato 28 settembre 1344, si rileva che la Curia pontificia dette in appalto alla zecca napoletana la coniazione di 100.000 libbre di carlini in argento (Giuliani-Fabrizi 2014, p. 124). Non sappiamo a quali mercati fosse realmente destinato il numerario, ma nulla ci impedisce di credere che tale somma fosse utilizzata almeno in parte anche nell’Urbe. Medesima appassionante situazione di trasmissione culturale attraverso la monetazione si venne a creare ad esempio con Firenze e Venezia (cfr. Day 2011, pp. 237-261).

Altro argomento non ancora definitivamente risolto riguarda le assegnazioni di date precise (tab. 1) ai gruppi dei grossi araldici nei quali si possono individuare con “certezza” otto famiglie baronali romane (cfr. Grierson 1956, p. 154); in real-tà complessivamente i segni araldici sono di poco aiuto per una crono-tipologia dei grossi a priori. Grierson individuò le successioni delle serie in base all’analisi stilistica e tecnica delle monete mentre Stahl propone una cronologia in confor-

Fig. 11. Napoli Gigliato di Roberto d’Angiò, da mcserch.info.

Fig. 12. Gigliato Martino V, da Asta NAC 57, lotto 955.

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mità a dati metrologici, liste di mercatura e confronti con lo svilimento dei provisini in relazione al fiorino d’oro, che suggerirebbero in un quadro generale precisi raggruppamenti. C’è da dire che molti tipi sono così ricchi di varianti nelle interpunzioni, generalmente ritenute indicatrici di avvicendamento di zecchiere, da far ipotizzare un considerevole periodo di coniazione e ciò contrasta con la durata di ogni senatorato che “nor-malmente” era di sei mesi, anche se spesso interrotto da guerre civili. Uniche eccezioni sono ragionevolmente costituite dai grossi del tribuno Cola di Rienzo (N di Nicola tra le armi Orsini-Annibaldi; CNI, vol. XV, p. 131, nn. 147-256) coniati nel 1347, e del senatore forestiero Guelfo dei Pugliesi (CNI, vol. XV, p. 133, nn. 260-262) nel 1363; alle altre monete per il momento si può assegnare solamente una datazione approssimativa.

Al proposito del fenomeno della tesaurizzazione, non siamo stati capaci di trovare rinvenimenti registrati dalla bibliografia e la particolarità è confermata anche da Stahl (2008, p. 160) nel suo saggio. Se fosse comprovata la mancanza di ritrovamenti, teoricamente, e con riferimento in particolare alle emissioni della prima metà del Trecento, le ragioni potrebbero essere individuate, oltre che in una probabile sopravvalutazione delle monete che ne avrebbe reso più conveniente un veloce utilizzo come mezzo di scambio, anche nel tentativo da parte del pubblico di un riallineamento dei vecchi pezzi in argento sul piede del bolognino (Finetti 1999, p. 79). Infatti, vi è un’altissima percentuale di esemplari che evidenziano abbondanti tosature che testimoniano una riduzione di peso e valore; quindi, sarebbe stato più redditizio recuperare l’argento in eccedenza piuttosto che tesaurizzare il nominale. Tuttavia, c’è da rilevare un consistente elenco di romanini nelle collezioni pubbliche e private oppure in vendita nelle aste numismatiche che non sarebbe spiegato esclu-sivamente con la complicità di esemplari singoli provenienti da vecchie collezioni; probabilmente ritrovamenti regolari non inventariati o smembrati in tempi passati e il “sospetto” di recuperi clandestini incidono negativamente nel discorso.

Nonostante l’argomento principale dell’articolo sia prevalentemente indirizzato verso la moneta grossa d’argento, è pertinente fare una rapida annotazione delle emissioni in oro coniate a Roma durante il periodo in oggetto; il “ritorno all’oro” ha avuto un ruolo fondamentale nella storia economica medievale condizionando, a causa della difficoltà di mantenere in equilibrio il rapporto fra i nominali di oro e argento (Travaini 2007a, p. 55), le emissioni argentee nei vari sistemi monetari. I romanini d’oro duecenteschi (Travaini 2007b), la cui datazione è ancora incerta e dei quali nessun esemplare è sopravvissuto, sono noti esclusivamente nelle fonti scritte e furono coniati per brevissimo periodo; un altro tipo, conosciuto in pochi esemplari e convenzionalmente datato al 1305, ricalcava il modello del fiorino di Firenze ma fu presto abbandonato a vantaggio di un regolare utilizzo della reale moneta d’oro fiorentina durante la prima metà del XIV. La terza e più importante delle emissioni d’oro di Roma fu il ducato senatoriale, datato al 1350, che ricalcava il modello del ducato d’oro di Venezia.

Dopo il grosso coniato da Guelfo de’ Pugliesi nel 1363 le emissioni di monete argentee senatoriali con stemmi furono definitivamente sospese e sostituite dal bolognino (CNI, vol. XV, pp. 182-184, nn. 5-21), il grosso dal valore più esiguo allora corrente, coniato inizialmente tra il 1367 e il 1370 da Urbano V (1362-1370), rientrato a Roma da Avignone. Lo svilimento generale del picciolo negli anni Sessanta/Settanta del Trecento spinse le zecche a un tentativo di riallineamento della moneta grossa, seppure in valuta di bolognini, sul tradizionale valore di ven-tiquattro/trenta denari in nuova moneta piccola (Finetti 1999, p. 78).

Fig. 13. Romanino d’oro.

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MONETE ITALIANE MEDIOEVALI E MODERNE

Com’è noto, durante il pontificato di Bonifacio IX (1389-1404) decadde l’autonomia del comune capitolino, ridotta nel 1398 a una funzione puramente amministrativa e, in seguito, la riforma introdotta da Eugenio IV (1431-1447) proibì ogni allusione all’istituzione del Senato e sancì definitivamente la fine di un’era perdurata oltre due secoli.

Tab. 1. Proposte di datazione per i grossi senatoriali nella bibliografia

I serie

Monetazione anonima CNI XV: 1253 c. (I emissione), 1251-1265 c. e successivamente (II emissione). Grierson: 1255-1257 (1° gruppo, tipo con CAPVT e M particolare ), 1257-1270 (2° gruppo, tipo con CAP’ e M normale), post 1282 (solo con valore di mezzo grosso con peso più leggero). Muntoni: secolo XIII. Stahl: 1250-1260. Serafini: 1253.

Samperino anonimo (emissione semi-papale) CNI XV: 1265-1303 c. Muntoni: secolo XIII. Serafini: 1265-1303. Stahl: c. 1280-1300. CNI XV 1265-1303. Travaini: durante il 1294-1303 (pontificato di Bonifacio VIII).

II serie

Brancaleone d’Andalò Senatore CNI XV: 1253-56. Grierson: 1253-55, 1257-58. Muntoni: 1252-55, 1257-58. Serafini: 1253-1256. Stahl: 1252-58.

Carlo d’Angiò Senatore Chimienti: 1265 oppure 1268 (tipo con legenda VICARIVS), 1268-1274 (tipo con scudo angioino), 1274-1278 (grossi rinforzati); CNI XV: 1266-1270 (tipo con peso normale), 1270-1285 (grossi rinforza-ti). Grierson: 1270 - c. 1274 (1° gruppo, tipo con peso normale), 1274-1278 (2° gruppo, grossi rinforzati ), 1282 (3° gruppo, tipo con legenda VICARIVS ). Muntoni: 1263-1266 (tipo con peso normale e tipo con legenda VICARIVS), 1268-1278 e 1281-1284 (grossi rinforzati). Serafini: 1266 (tipo con legenda VICARIVS), 1266-1270 (tipo con scudo angioino); 1270-1285 (grossi rinforzati). Stahl: 1263-1266 (1° gruppo, tipo con peso normale), 1268-1278 (2° gruppo, grossi rinforzati), 1281-1284 (tipo con F).

III serie

con segni araldici

CNI XV: Caetani ?, Orsini-Colonna fine secolo XIII circa; Savelli, Savelli? senza data; Colonna-Orsini, Anibaldi-Savelli-incerto, Savelli-Anibaldi, Anibaldi-Stefaneschi, Caetani, Anibaldi-incerto, Orsini-Stefaneschi-incerto prima metà XIV secolo; Orsini- N-Anibaldi 1345?; Anibaldi prima metà XIV secolo; Guelfo dei Pugliesi dal 1363. Grierson: Caetani, Orsini-Colonna ultimo quarto del 200; Savelli, Savelli-Conti, Orsini-Colonna, Anibaldi- Stefaneschi, Papareschi se-condo quarto del 300; Cola di Rienzo 1347; Guelfo dei Pugliesi 1363. Muntoni: Caetani, Orsini-Colonna secolo XIII; Anibaldi-Stefaneschi, Annibaldi-ignoto, Caetani, Colonna-Orsini, Orsini-Stefaneschi-ignoto, Savelli, Savelli-Anibaldi, non identificato secolo XIV; Guelfo dei Pugliesi 1363; Serafini: Savelli (non identificato), Colonna-Orsini, Anibaldi-Savelli-incerto a destra, Savelli-Anibaldi, Anibaldi-Stefaneschi, Caetani, Anibaldi-incerto, Savelli, Orsini-Stefaneschi-incerto, Orsini-N-Anibaldi, Anibaldi? 1300-50; Guelfo dei Pugliesi 1363; Stahl: XIV secolo, Cola di Rienzo 1347; Guelfo dei Pugliesi 1363.

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MONETE ITALIANE MEDIOEVALI E MODERNE

Concludendo, in sostanza emerge con chiarezza che nella situazione d’in-sieme della discussione permangono “enigmi” da risolvere e che l’argomento numismatico richiede un rinnovato incremento di studio, che lasciamo di “buon grado” agli specialisti del settore che hanno i mezzi necessari per condurlo. Perfezionare gli elementi già in nostro possesso e allargare i campi d’indagine, attualmente assai ristretti, non saranno compiti agevoli; ma con l’intensificarsi delle ricerche archeologiche e di relativi rinvenimenti monetali, abbinati a potenziali materiali di confronto e ad analisi archeometriche del metallo – e magari anche con un poco di fortuna, aggiungiamo noi – auspichiamo che questioni irrisolte e problemi cronologici della zecca senatoriale di Roma e dei suoi grossi vengano presto più chiaramente definiti.

RingraziamentiVorrei esprimere la mia riconoscenza a tutti coloro che mi hanno aiutato

e incoraggiato durante lo svolgimento di questo contributo, in particolare Monica Baldassarri, Davide Fabrizi, Patrizia Di Monte e Bernardino Mirra. Un ringraziamento per l’inesauribile pazienza e soprattutto per l’amicizia che mi dedicano. Aggiungo che non necessariamente le persone da me citate deb-bano essere d’accordo con le considerazioni espresse in quest’articolo, di cui mi assumo piena responsabilità.

BibliografiaBaldassarri 2010 – Monica Baldassarri, Zecca e monete del Comune di Pisa. Dalle origi alla seconda Repubblica, XII secolo-1406, Felici Editori, Ghezzano (PI) 2010.Bultrini 2013 – Emiliano Bultrini, Monetazione ed araldica nell’ostentazione dell’aristocrazia romana medievale (secoli XIII-XIV), in «Rivista Italiana di Nu-mismatica e Scienze Affini», vol. CXIV, pp. 221-238.Capobianchi 1895-96 – Vincenzo Capobianchi, Appunti per servire all’ordinamento delle monete del Senato Romano dal 1184 al 1439, e degli stemmi primitivi del Comune di Roma, in «Archivio della Società Romana di Storia Patria», 18 (1895), 19 (1896), Roma 1895-1896.Carocci 2008 – Sandro Carocci, Pontificia o comunale? Note sulla monetazione romana (fine XII-metà XIV sec.), in Scritti per Isa. Raccolta di studi offerti a Isa Lori Sanfilippo, a cura di A. Mazzon, Nuovi Studi Storici, 76, Roma 2008, pp. 155-172. Carocci-Vendittelli 2010 – Sandro Carocci, Marco Vendittelli, Roma medievale, a cura di André Vauchez, Laterza, Bari 2010, pp. 71-116.Chimienti 2011 – Michele Chimienti, La monetazione angioina nell’Italia centrosettentrionale, in Atti del 3° Congresso nazionale di Numismatica (Bari, 12-13 novembre 2010), Bari 2011, pp. 499-531.CNI XV – Corpus Nummorum Italicorum, vol. XV, Roma, parte I, Roma 1934.Day 2011 – William R. Day, Antiquity, Rome and Florence: coinage and transmissions across time and space, in Rome across Time and Space. Cultural Transmission and the Exchange of the Ideas, c. 500-1400, a cura di Claudia Bolgia, Rosamond McKitterick, John Osborne, Cambridge 2011, pp. 237-262. Finetti 1999 – Angelo Finetti, Boni e mali piczoli: moneta piccola locale e forestiera in Italia centrale (XIII-XV secolo), in Moneta locale, moneta straniera: Italia ed Europa XI-XV secolo. Local coins, foreign coins: Italy and Europe 11th-15th centuries, a cura di Lucia Travaini, The Second Cambridge Numismatic Symposium, Società Numismatica Italiana, Collana di Numismatica e Scienze Affini, 2, Milano 1999, pp. 67-86.

Raffaele Negrini

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Finetti, Denari – Angelo Finetti, I denari provisini del Senato Romano. Dalle origini a Carlo d’Angiò, inedito.Giuliani-Fabrizi 2014 – Achille Giuliani, Davide Fabrizi, Le monete degli Angioini in Italia Meridionale. Indagine archivistica sulla politica monetaria e analisi critica dei materiali, Edizioni D’Andrea, Ariccia 2014.Grierson 1956 – Philip Grierson, I grossi senatoriali di Roma (1253-1361), in «Rivista Italiana di Numismatica», 58, pp. 36-69.Martinori 1930 – Edoardo Martinori, Annali della zecca di Roma-Serie del Senato Romano, Istituto Italiano di Numismatica, estratto dal vol. VI degli «Atti e Memorie», Roma 1930. Mirra 2009 – Bernardino Mirra, Bibliografia Numismatica Italiana, Pavia 2009.Muntoni 1972-74 – Francesco Muntoni, Le monete dei Papi e degli Stati Pontifici, Roma 1972-1974. Saccocci 1994 – Andrea Saccocci, Tra Bisanzio, Venezia e Friesach: alcune ipotesi sull’origine della moneta grossa in Italia, in «Quaderni Ticinesi di Numismatica e Antichità Classiche», XXIII (1994), Lugano 1994, pp. 313-341.Stahl 2008 – Alan M. Stahl, Rome during Avignon. The silver coinage of Rome in the fourteenth century, in I Ritrovamenti Monetali e i Processi Inflativi nel Mondo Antico e Medievale, a cura di Michele Asolati, Giovanni Gorini, Atti del IV Con-gresso Internazionale di Numismatica e di Storia Monetaria (Padova, 12-13 ottobre 2007), Padova 2008, pp. 151-169.Travaini 2000 – Lucia Travaini, Le monete del primo giubileo, in Anno 1300, il primo Giubileo. Bonifacio VIII e il suo tempo, a cura di Marina Righetti Tosti-Croce, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Venezia, marzo-luglio 2000), Milano 2000, pp. 121-132.Travaini 2003 – Lucia Travaini, Monete Mercanti e Matematica, Roma 2003. Travaini 2007a – Lucia Travaini, Monete e storia nell’Italia medievale, Roma 2007. Travaini 2007b – Lucia Travaini, Per Philip Grierson. I romanini d’oro nella seconda metà del Duecento, in «Rivista Italiana di Numismatica», 108, Milano 2007, pp. 295-304.Travaini 2011 – Le zecche italiane fino all’Unità, a cura di Lucia Travaini, Roma 2011.

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