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Rivista elettronica del Centro di Documentazione Europea dell’Università Kore di Enna www.koreuropa.eu LA RESPONSABILITÀ DEL GIUDICE PER VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA Federico Losurdo Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università Carlo Bo di Urbino 1. La responsabilità civile del giudice in chiave comparata La responsabilità civile dei magistrati è sottoposta nei più importanti Stati democratici a un regime giuridico differenziato rispetto a quella dei privati ed anche a quella degli altri funzionari pubblici. Negli ordinamenti di common law (Regno Unito ma anche Stati Uniti, Canada) è fortemente radicato il principio dell’immunità assoluta del magistrato per gli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, quale presidio dell’indipendenza della magistratura nel suo complesso (la quale è, tuttavia, soggetta a forti meccanismi di “accountability” interna, ovvero di responsabilità disciplinare). Negli ordinamenti europei continentali è generalmente prevista l’esclusione della responsabilità diretta nei confronti della parte danneggiata, alla quale è consentito soltanto di agire contro lo Stato, che ha una limitata possibilità di rivalsa nei confronti del giudice. In Francia, ad esempio, la responsabilità civile viene fatta valere contro lo Stato il quale risarcisce le vittime anche per i danni causati da comportamenti personali dei magistrati. Allo stesso modo in Germania è la stessa Legge fondamentale tedesca a sancire la responsabilità dello Stato (Federazione o Land) in caso di violazione dei doveri della funzione da parte di un pubblico funzionario (art. 34). Costituisce una parziale eccezione in questo quadro la Spagna, nella quale, invece, la responsabilità dello Stato che risponde dei danni provocati dal giudice con dolo o colpa grave, salvo il diritto di rivalsa concorre con la responsabilità civile diretta del magistrato.

La responsabilità del giudice per violazione del diritto dell'Unione europea

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LA RESPONSABILITÀ DEL GIUDICE PER

VIOLAZIONE DEL DIRITTO DELL’UNIONE

EUROPEA

Federico Losurdo

Assegnista di ricerca in Diritto costituzionale presso l’Università Carlo Bo di Urbino

1. La responsabilità civile del giudice in chiave comparata

La responsabilità civile dei magistrati è sottoposta nei più importanti Stati democratici a

un regime giuridico differenziato rispetto a quella dei privati ed anche a quella degli altri

funzionari pubblici.

Negli ordinamenti di common law (Regno Unito ma anche Stati Uniti, Canada) è

fortemente radicato il principio dell’immunità assoluta del magistrato per gli atti compiuti

nell’esercizio delle sue funzioni, quale presidio dell’indipendenza della magistratura nel suo

complesso (la quale è, tuttavia, soggetta a forti meccanismi di “accountability” interna,

ovvero di responsabilità disciplinare).

Negli ordinamenti europei continentali è generalmente prevista l’esclusione della

responsabilità diretta nei confronti della parte danneggiata, alla quale è consentito soltanto di

agire contro lo Stato, che ha una limitata possibilità di rivalsa nei confronti del giudice. In

Francia, ad esempio, la responsabilità civile viene fatta valere contro lo Stato il quale

risarcisce le vittime anche per i danni causati da comportamenti personali dei magistrati. Allo

stesso modo in Germania è la stessa Legge fondamentale tedesca a sancire la responsabilità

dello Stato (Federazione o Land) in caso di violazione dei doveri della funzione da parte di un

pubblico funzionario (art. 34).

Costituisce una parziale eccezione in questo quadro la Spagna, nella quale, invece, la

responsabilità dello Stato – che risponde dei danni provocati dal giudice con dolo o colpa

grave, salvo il diritto di rivalsa – concorre con la responsabilità civile diretta del magistrato.

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Peraltro, chi vuole citare in giudizio direttamente quest’ultimo deve passare per il filtro di un

apposito tribunale.

L’attuale disciplina italiana (contenuta nella legge 117 del 1988) è stata giudicata

incompatibile con il diritto dell’Unione europea dalla Corte di Giustizia. Ciò non tanto perché

tale normativa, in linea, peraltro, con la disciplina dei principali modelli continentali, esclude

la responsabilità diretta del giudice, quanto per la previsione della cosiddetta “clausola di

salvaguardia interpretativa”.

Il saggio ricostruisce i capisaldi della disciplina italiana vigente sulla responsabilità

civile del magistrato (paragrafo 2) e li confronta con il diritto europeo e la giurisprudenza

comunitaria (paragrafi 3, 4), al fine di valutare l’adeguatezza delle diverse soluzioni

legislative, congegnate negli ultimi anni, rispetto all’ordinamento sovranazionale (paragrafo

5).

2. La responsabilità civile del giudice nell’ordinamento italiano

2.1. Il modello originario e la sua reinterpretazione costituzionale

Nel periodo statutario e in quello fascista la disciplina della responsabilità civile del

magistrato era profondamente influenzata dalla dogmatica di ispirazione tedesca allora

dominante1.

Per un verso, era esclusa la responsabilità civile dello Stato, poiché l’esercizio della

funzione giurisdizionale, in quanto manifestazione del potere sovrano, non poteva

determinarne la responsabilità. Per altro verso, si riconosceva la responsabilità del magistrato

solo nei casi di dolo, poiché il giudice, attuando nel giudizio non la sua volontà (né quella

1 Si vedano le ottime ricostruzioni storiche dell’istituto di GIULIANI, PICARDI, La responsabilità del giudice,

Milano, 1995, spec. 87 ss. e di BIONDI., La responsabilità del magistrato. Saggio di diritto costituzionale,

Milano, 2006, spec. 159 ss.

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dell’Amministrazione), ma quella della legge, non compiva, nel giudicare, un’attività in cui

potesse ravvisarsi un suo comportamento colposo nei confronti delle parti2.

Il codice di procedura civile del 1940 (artt. 55, 56 e 74) regolava la responsabilità civile

del magistrato in sostanziale continuità con quanto previsto nello Stato liberale. L’art. 55

ribadiva la tassatività delle ipotesi di responsabilità: “dolo, frode o concussione” e “diniego di

giustizia”. A garanzia dell’indipendenza del magistrato si stabiliva, inoltre, un controllo

preventivo (un filtro) sulle domande giudiziali.

Il confronto con il nuovo ‘spirito’ della Costituzione repubblicana portava a dubitare

della legittimità costituzionale della disciplina previgente per il contrasto con il principio

d’eguaglianza formale, in relazione al diverso trattamento tra i funzionari pubblici (art. 28

cost.)3. La Corte costituzionale, piuttosto che dichiarare l’incostituzionalità sic et simpliciter

della disciplina di ispirazione fascista, ha, invece, preferito reinterpretarne il senso, nell’ottica

della definizione di un punto d’equilibrio tra principio di responsabilità e principio

d’indipendenza4.

A giudizio della Consulta, l’art. 28 (sancendo che “i funzionari e dipendenti dello Stato

e degli enti pubblici sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di

diritto”) fissa un principio valevole per tutti coloro che svolgono attività statale, compresi i

magistrati. Infatti, “l’indipendenza della magistratura e del giudice ovviamente non pongono

l’una al di là dello Stato, quasi legibus soluta, né l’altro fuori dall’organizzazione statale5.

Si tratta di un principio generale che nondimeno non esclude (anzi per certi versi

impone) una disciplina differenziata a seconda delle categorie e situazioni. In quest’ottica, “la

singolarità della funzione giurisdizionale, la natura del provvedimenti giudiziali, la stessa

2 Secondo un’autorevole dottrina perfino nei casi di dolo si poteva dubitare della convenienza di fare domanda,

perché “se la decisione può essere impugnata, è questa la via per eliminare il danno subito dalla parte”

(CARNELUTTI, Sistema di diritto processuale civile, Vol. I, Padova, 1936, 671-672).

3 Si vedano ad esempio i contributi di ESPOSITO, La responsabilità dei funzionari e dipendenti pubblici secondo

la Costituzione (1951), ora in La Costituzione italiana. Saggi, Padova, 1954, 104 ss.; SANDULLI, Atti del giudice

e responsabilità civile, in Dir. soc., 1974, 481 ss., ora in Scritti Giuridici, Vol. II, Diritto costituzionale, Napoli,

1990, 512 ss.; ZAGREBELSKY, La responsabilità del magistrato nell’attuale ordinamento. Prospettive di riforma,

in Giur. cost., 1982, I, 790 ss.

4 Corte cost., sentenza n. 2 del 1968, in Giur. Cost., 1968, 288 ss.

5 Corte cost., sentenza n. 2, cit.

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posizione super partes del magistrato” giustificano condizioni e limiti alla responsabilità civile

del magistrato, escludendone però una negazione totale “che violerebbe apertamente quel

principio”6. Per quanto concerne la responsabilità dello Stato, nonostante “l’apparente

silenzio” delle disposizioni codicistiche, in virtù dell’art. 28 della Costituzione, “là dove è

responsabile il funzionario o dipendente, lo sarà negli stessi limiti lo Stato”7.

2.2. Un bilanciamento incompiuto tra principio di responsabilità e principio d’indipendenza

Per quanto possa apparire improprio discorrere di ‘tradimento’ del mandato

referendario8, è, tuttavia, indubbio che la legge n. 117 del 1988 – anche in ragione della ormai

più che ventennale prassi (dis)applicativa – ha finito per contraddire il nucleo portante

dell’esito del referendum: l’istanza per un ampliamento delle possibilità delle parti private di

ottenere un risarcimento dei danni provocati dall’attività giurisdizionale dei magistrati9.

La nuova legge esclude quasi ogni rapporto diretto tra magistrato e parte del processo.

Fatta salva l’ipotesi di responsabilità diretta del magistrato per l’ipotesi di danni derivanti da

fatti costituenti reato (art. 13), la domanda risarcitoria va, infatti, rivolta allo Stato, il quale, in

limiti molto stringenti, potrà rivalersi sul magistrato (art. 7).

Questa impostazione normativa è stata considerata legittima dalla Corte costituzionale,

perché risponde all’esigenza di rendere il giudice “immune da condizionamenti e libero da

prevenzioni, timori ed influenze che possano indurlo a decidere diversamente da quanto a lui

6 Sentenza n. 2, cit.

7 Sentenza n. 2, cit.

8 Con la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha ammesso il referendum abrogativo, (la n. 26 del 1987 )

si sottolineava la possibilità di “scelte plurime” del legislatore, anche se “non illimitate”, in quanto la peculiarità

delle funzioni giudiziarie suggerisce “condizioni e limiti alla responsabilità dei magistrati”.

9 Si tratta di un giudizio ampiamente condiviso in dottrina. Cfr. D’ALOIA, La responsabilità del giudice alla luce

della giurisprudenza comunitaria, in PACE, BARTOLE, ROMBOLI (a cura di), Problemi attuali della giustizia in

Italia, Napoli, 2009; PACE, Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE

del 24 novembre 2011 sulla responsabilità dello Stato-giudice, in www.rivistaaic.it, n. 1, 2012; ZANON, La

responsabilità dei giudici, in Annuario AIC 2004, Separazione dei poteri e funzione giurisdizionale, Padova,

217 ss.; DAL CANTO, La responsabilità del magistrato nell’ordinamento italiano. La progressiva trasformazione

di un modello: dalla responsabilità del magistrato burocrate a quella del magistrato professionista, in

www.rivistaaic.it.

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dettano scienza e coscienza”10. Inoltre, l’azione diretta contro lo Stato garantirebbe l’interesse

primario del cittadino ad una più rapida ed ampia riparazione risarcitoria11.

In analogia con la previgente disciplina, la legge introduce un giudizio di previa

ammissibilità della domanda di risarcimento, al fine di evitare l’instaurazione e il

proseguimento di un’azione palesemente infondata o intimidatoria (art. 5). Questa opzione

legislativa, dichiarata quasi costituzionalmente obbligata dalla Corte costituzionale12, si è

prestata nella prassi a numerosi abusi. Il giudizio di ammissibilità si è, infatti, spesso

trasformato in un giudizio sul merito della domanda, finendo per paralizzare anticipatamente

buona parte delle azioni risarcitorie intentate13.

La principale innovazione consiste nell’aver previsto che il magistrato possa rispondere

oltre che nei casi di “dolo” e di “diniego di giustizia” (come già nel disegno degli artt. 55, 74

c.p.c.) anche nei casi di “colpa grave”. L’innovazione va, peraltro, valutata nel contesto

complessivo della legge che contorna questa ipotesi di significative restrizioni.

Per un verso, si tipizzano le fattispecie di colpa grave “determinata da negligenza

inescusabile” rilevanti per legittimare un’azione di responsabilità verso lo Stato-giudice

(art. 2, comma 3)14. Per altro verso, si è introdotta la cosiddetta “clausola di salvaguardia” in

base alla quale, “nell’esercizio delle funzioni giudiziarie, non può dar luogo a responsabilità

l’attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove”

(comma 2).

La distinzione tra la fattispecie della responsabilità per “colpa grave” e la fattispecie

della “interpretazione di norme di diritto” è resa particolarmente spinosa dalla giurisprudenza

italiana che ha fissato una netta separazione tra l’ambito della violazione di legge e l’ambito

10 Corte cost. sentenza n. 18 del 1989.

11 Corte cost. sentenza n. 34 del 1997.

12 Sentenza, n. 18 cit., al punto 10 del cons. in diritto.

13 BIONDI, La responsabilità del magistrato, cit., 192-194.

14 “Costituiscono colpa grave: a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile; b) e c)

l’affermazione (o negazione), determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è

incontrastabilmente esclusa (o confermata) dagli atti del procedimento; d) l’emissione di provvedimento

concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione”.

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dell’interpretazione della legge, con la conseguenza che la prima può ravvisarsi solo al di

fuori dell’ambito di svolgimento della seconda o di ogni sua pur minima manifestazione15.

Si sono così ‘estremizzati’ i casi di “grave violazione di legge determinata da negligenza

inescusabile”, fino a renderli praticamente ‘inconcepibili’16. Per aversi responsabilità è

necessario che la decisione del giudice si profili come incomprensibile, tanto che si è parlato

provocatoriamente di “decisioni giudiziarie folli, che chiamano in causa la psichiatria

piuttosto che la tecnica legale”17.

In un leading case della Corte di Cassazione, si legge che la formula qualificatoria della

“colpa grave” (appunto quella “determinata da negligenza inescusabile”):

“Postula una totale mancanza di attenzione nell’uso degli strumenti normativi, una

trascuratezza così marcata da non potere trovare alcuna plausibile giustificazione […] (essa si

esprime) nella violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma, ovvero …

nell’adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore, nella

manipolazione arbitraria del testo normativo, nello sconfinamento nel diritto libero”18.

L’intreccio ‘perverso’ tra tassatività dei casi di colpa grave e clausola di salvaguardia

interpretativa segna uno dei principali nodi critici, tutt’ora irrisolti, dell’attuale disciplina. Più

in generale è difficile nascondere l’impressione che l’attuale modello di responsabilità civile

del giudice rappresenti un bilanciamento incompiuto tra principio di indipendenza e principio

di responsabilità, nella misura in cui le giuste istanze poste a salvaguardia dell’autonomia

della magistratura sacrificano in maniera eccessiva le istanze in favore di un effettiva tutela

del privato per i danni subiti da attività giurisdizionale.

15 PACE, Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di Giustizia dell’UE, cit., 7.

16 D’ALOIA, La responsabilità del giudice alla luce della giurisprudenza comunitaria, cit. 5-8.

17 ROPPO, Responsabilità dello Stato per fatto della giurisdizione e diritto europeo: una case story in attesa del

finale, in Riv. dir. priv., n. 2, 2006, 366 ss.

18 Cass. 18 marzo 2008, n. 7272.

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3. La responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione

È noto che la “Comunità di diritto” (una declinazione del concetto di Stato di diritto)

basa la sua legalità su una Costituzione scritta (i Trattati) e sul primato del diritto

dell’Unione19. Tra gli istituti posti a presidio del primato riveste carattere altamente

emblematico quello della “responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione”;

un istituto che rappresenta una garanzia preventiva del primato e, al contempo, una sanzione

successiva al suo mancato rispetto20.

Le premesse teoriche di questo istituto sono state poste fin dalla celebre sentenza Van

Gend & Loos, nella quale si sottolineava che il Trattato CEE, istituendo un ordinamento

giuridico proprio, i cui soggetti sono sia gli Stati membri che i cittadini, impone obblighi e

conferisce diritti azionabili ai singoli. Diritti che sorgono non solo quando il Trattato

espressamente li menziona, ma anche in relazione agli obblighi che il Trattato impone agli

Stati membri e alle istituzioni comunitarie21.

L’effettività dei diritti scaturenti dalle norme comunitarie sarebbe, già sul piano

simbolico, gravemente inficiata, qualora ai relativi titolari non fosse riconosciuta la possibilità

di ottenere un risarcimento dei danni causati dalla violazione del diritto dell’Unione da parte

di uno Stato membro22. Ciò anche in omaggio al “principio di leale collaborazione”, in forza

19 Neppure l’invocazione “dei diritti fondamentali, per come formulati nella Costituzione di uno Stato membro,

oppure dei principi costituzionali nazionali può sminuire la validità di un atto comunitario o la sua validità nel

territorio dello Stato” (Sentenza 17 dicembre 1970, C-11/70, Internationale Handelsgesellschaft). Più

recentemente: sentenza 11 gennaio 2000, C-285/98, Kreil.

20 Cfr. BIFULCO, Responsabilità dello Stato per violazione del diritto dell’Unione europea, in Digesto delle

discipline pubblicistiche, Torino, 2010; FERRARO, La responsabilità risarcitoria degli Stati membri per

violazione del diritto comunitario, Milano, 2008; DE MARA, Recenti sviluppi della giurisprudenza comunitaria

in materia di responsabilità degli Stati membri per violazione del diritto comunitario, in Rivista italiana diritto

pubblico comunitario, 2004, 879 ss.; HARLOW, Francovich and the problem of the disobedient State, in

European law journal, n. 3, 1996, 199 ss.; MAGRASSI, Il principio della responsabilità risarcitoria dello Stato-

giudice tra ordinamento comunitario, interno e convenzionale, in Dir. pubbl. comp. eur., n. 1, 2004, 490 ss.;

SCODITTI, Violazione del diritto comunitario derivante da provvedimento giurisdizionale: illecito dello Stato e

non del giudice, in Foro it., 2006, IV, 420 ss. Più in generale si veda POLITI, Il principio di responsabilità, in

MANGIAMELI (a cura di), L’ordinamento europeo, Vol. II – L’esercizio delle competenze, Milano, 2006, 297.

21 Corte giust. sentenza 5 febbraio 1963, C-26/62, Van Gend & Loos.

22 In quest’ottica: “il principio della responsabilità dello Stato per danni causati ai singoli da violazioni del

diritto comunitario ad esso imputabili è inerente al sistema del Trattato”. Cfr. tra le tante Corte giust., sentenze:

19 novembre 1991, C-6/90 e C-9/90, Francovich, punto 33; 5 marzo 1996, C-46/93 e C-48/93, Brasserie du

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del quale gli Stati membri sono tenuti, tra l’altro, ad eliminare gli effetti negativi di una

violazione del diritto dell’Unione.

La Corte di giustizia ha tratto il principio ‘non scritto’ della responsabilità

extracontrattuale degli Stati membri dal principio ‘positivo’ della responsabilità

extracontrattuale delle istituzioni comunitarie (art. 340 TFUE)23, giacché “la tutela dei diritti

attribuiti ai singoli dal diritto comunitario non può variare in funzione della natura, nazionale

o comunitaria, dell’organo che ha cagionato il danno”24.

Le condizioni della responsabilità di uno Stato membro corrispondono, pertanto, a

quelle enunciate dalla Corte di Giustizia in ordine alla responsabilità della Comunità e si

condensano in tre elementi: a) la norma giuridica violata deve essere preordinata a conferire

diritti ai singoli; b) si deve trattare di violazione sufficientemente caratterizzata; c) deve

sussistere un nesso causale diretto tra la violazione dell’obbligo incombente allo Stato e il

danno subito dal soggetto.

Spetta alle norme del diritto nazionale individuare il giudice competente e la procedura

applicabile per il risarcimento del danno, fermo restando che le condizioni stabilite dalla

normativa nazionale non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami

analoghi di natura interna (principio di equivalenza), né essere tali da rendere praticamente

impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento (principio di effettività).

Pêcheur et Factorame, punto 20; 8 ottobre 1996, C-178/94, Dillenkofer, punto 25; 4 luglio 2000, C-426/97,

Haim.

23 Secondo questa disposizione: “In materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve risarcire,

conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o

dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni”.

24 Sentenza Brasserie du Pêcheur et Factorame, cit. punto 42.

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4. La responsabilità delle giurisdizioni di ultima istanza per “errata

interpretazione”

Con la pronuncia sul caso Köbler la giurisprudenza comunitaria compie un rilevante

salto qualitativo. All’ipotesi della responsabilità del potere legislativo e del potere esecutivo

per mancata o errata recezione del diritto dell’Unione la Corte di Giustizia aggiunge l’ipotesi

della responsabilità del potere giudiziario – rappresentato da un organo giurisdizionale di

ultima istanza – per l’errata interpretazione del diritto dell’Unione25.

L’applicazione entro l’ordinamento europeo del principio di diritto internazionale per il

quale è lo Stato, nella sua unità, che risponde delle violazioni degli impegni internazionali

(cui si è assoggettato tramite trattato) comporta, infatti, un’analoga responsabilità dello Stato

membro per violazione del diritto dell’Unione, a prescindere dalla pubblica autorità che ha

commesso tale violazione26.

Le condizioni della responsabilità sono essenzialmente quelle già enucleate in

riferimento alla responsabilità dello Stato per atti legislativi, ma la consapevolezza “della

specificità della funzione giurisdizionale” induce la Corte a delimitare con particolare rigore il

perimetro della violazione “sufficientemente caratterizzata”, nel tentativo di individuare un

punto d’equilibrio tra il principio generale della certezza del diritto – in qualche modo messo

in discussione dalla concessione di un ulteriore grado di giudizio – e il principio del primato.

La responsabilità dello Stato può, infatti, sussistere “solo nel caso eccezionale in cui il

giudice abbia violato in maniera manifesta il diritto vigente”27. A tal fine rilevano diversi

criteri: “il grado di chiarezza e di precisione della norma violata; il carattere intenzionale della

violazione; la scusabilità dell’errore di diritto; la posizione adottata eventualmente da

25 Sentenza 30 settembre 2003, C-224/01, Köbler. Cfr. BREUER, State liability for judicial wrongs and

Community law: the case of Gerhard Köbler v Austria, in European Law Review, 2004, 243 ss.

26 “Se nell’ordinamento giuridico internazionale lo Stato la cui responsabilità sorgerebbe in caso di violazione di

un impegno internazionale viene considerato nella sua unità, senza che rilevi la circostanza che la violazione da

cui ha avuto origine il danno sia imputabile al potere legislativo, giudiziario o esecutivo, tale principio deve

valere a maggior ragione nell’ordinamento giuridico comunitario” (sentenza Brasserie du Pêcheur,

cit. punto 34). Cfr., inoltre, la sentenza Haim, cit, punto 30 e la sentenza 25 novembre 2010, C-429/09, Fuß,

punto 48.

27 Sentenza Köbler, cit., punto 53.

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un’istituzione comunitaria”. Una violazione del diritto comunitario è sufficientemente

caratterizzata, inoltre, anche quando l’organo giurisdizionale di ultima istanza non osservi

l’obbligo di rinvio pregiudiziale e “in ogni caso, allorché la decisione è intervenuta ignorando

manifestamente la giurisprudenza della Corte di Giustizia”28.

La progressiva erosione del principio della cosa giudicata in rapporto alla primazia del

diritto comunitario segnala uno dei punti di massima emersione del conflitto tra ordinamenti

nazionali e ordinamento europeo29.

Nell’impostazione della Corte di Giustizia, tuttavia, il riconoscimento del principio della

responsabilità dello Stato per la decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado non

entra necessariamente in conflitto con il principio del giudicato, in quanto “il ricorrente in

un’azione per responsabilità contro lo Stato ottiene, in caso di successo, la condanna di

quest’ultimo a risarcire il danno subito, ma non necessariamente […] la revisione della

decisione giurisdizionale che ha causato il danno”30.

28 Sentenza Köbler, cit., punti 55-56. Si è giustamente osservato come l’ispirazione di fondo di questa pronuncia

derivi dalla volontà di “ribadire la primazia del diritto comunitario e la sua effettività, anche a fronte dell’operato

degli organi giurisdizionali di ultima istanza, specie laddove questi ignorino o non riconoscano il monopolio

interpretativo spettante alla Corte europea” (M.P. IADICICCO, Integrazione europea e ruolo del giudice nazionale,

in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2011, n. 2, 393 ss.).

29 Particolarmente emblematico è il caso Lucchini: sentenza 18 luglio 2007, C-119-2005. Nel caso in questione

di fronte al contrasto tra una sentenza nazionale passata in giudicato (e perciò definitiva) e una decisione della

Commissione, a sua volta definitiva perché non impugnata (in sede comunitaria), la Corte dispone che prevalga

la decisione della Commissione e il giudicato formatosi sia da considerarsi tamquam non esset (analoga

fattispecie nella sentenza 3 settembre 2009, C-2/08, Fallimento Olimpiclub Srl). Con la sentenza 20 ottobre

2011, C-396/09, Interedil srl., si è statuito, inoltre, che i giudici nazionali devono disattendere le pronunce dei

giudici superiori (nella specie si trattava, addirittura, di una decisione della Cassazione sul regolamento di

giurisdizione) che siano in contrasto con il diritto dell’Unione.

30 Sentenza Köbler cit., punto 39. A sua volta, la Corte europea dei diritti dell’Uomo ha affermato l’applicabilità

dell’art. 41 (relativo alla possibilità di accordare un’equa soddisfazione alla parte lesa) anche alle violazioni

risultanti dal contenuto di una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado passato in giudicato

(sentenza 21 marzo 2000, n. 34553/97, Dulaurans c. Francia).

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5. L’adeguamento dell’ordinamento italiano a quello sovranazionale

Con la sentenza Traghetti del Mediterraneo si è palesato in maniera diretta lo

scostamento tra le soluzioni adottate dalla legge italiana (n. 117 del 1988) e il paradigma

comunitario31.

Secondo la Corte di Giustizia ad urtare contro il diritto dell’Unione sono sia il precetto

secondo il quale il danno risarcibile provocato da un giudice non possa derivare da

“interpretazioni di norme di diritto o da valutazioni di fatti e di prove” (art. 2, comma 2); sia il

precetto secondo il quale, per la concretizzazione della responsabilità, sono richiesti requisiti

più rigorosi (dolo o colpa grave) di quelli derivanti da una “manifesta violazione del diritto

dell’Unione” (art. 2, comma 3)32.

A fronte di una prassi giurisprudenziale interna che aveva portato, attraverso la clausola

di salvaguardia interpretativa, ad una sostanziale esclusione (o elusione) generalizzata della

responsabilità del giudice, la Corte di Giustizia sottolinea, all’opposto, che “l’interpretazione

delle norme di diritto rientra nell’essenza vera e propria dell’attività giurisdizionale, poiché il

giudice, posto di fronte a tesi divergenti o antinomiche, dovrà normalmente interpretare le

norme giuridiche pertinenti nazionali e/o comunitarie, al fine di decidere la controversia che

gli è sottoposta”33.

In assenza di un intervento del legislatore italiano per adeguare l’ordinamento interno a

quello europeo, la Commissione iniziava una procedura d’infrazione conclusasi, in una prima

31 Sentenza 13 giugno 2006, C-173/03, Traghetti del Mediterraneo. La complessa vicenda concerne una causa

instaurata dalla TDM innanzi al Tribunale di Genova per ottenere la condanna della Repubblica italiana al

risarcimento dei danni che tale impresa aveva subito a causa degli errori d’interpretazione commessi dalla Corte

Suprema di Cassazione e a causa della violazione del suo obbligo di rinvio pregiudiziale. In sostanza si chiedeva

se i principi sanciti con la sentenza Köbler fossero compatibili con la legge italiana 117/1988.

32 Cfr. AA.VV., Constitutional Implications of the Traghetti Judgment. Italian and European Perspectives,

CYGAN e SPADACCINI (a cura di), Brescia, 2010; LAZARI, Là où est la responsabilité, là est le pouvoir. Il nuovo

ruolo del Giudice nel paradigma comunitario dopo la sentenza Traghetti, su

http://www.reei.org/index.php/revista/num15/notas.

33 Sentenza Traghetti del Mediterraneo, cit., punto 34.

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fase, con la sentenza della Corte di Giustizia del novembre 2011 che ha certificato

l’inadempimento della Repubblica italiana al diritto dell’Unione34.

Nel contesto politico-costituzionale italiano – caratterizzato da una endemica

contrapposizione tra una parte della magistratura e una parte del potere politico – si è subito

tentato di strumentalizzare la ‘condanna’, introducendo, in maniera surrettizia, la

responsabilità diretta del giudice35.

Invero, dalla giurisprudenza comunitaria non si trae alcun obbligo per lo Stato italiano

di prevedere una responsabilità diretta. Fin dalla sentenza Köbler, anzi, si era precisato che “il

principio di responsabilità di cui trattasi riguarda non la responsabilità personale del giudice,

ma quella dello Stato”36. In base alla giurisprudenza costituzionale, inoltre, la responsabilità

diretta sarebbe una forma di responsabilità non compatibile con il principio d’indipendenza,

poiché un giudice troppo preoccupato dalle conseguenze personali della sua sentenza non è un

giudice indipendente, nella misura in cui può essere indotto a dare ragione alla parte più forte,

rischio tanto maggiore quanto più economicamente rilevanti sono gli interessi dedotti in

giudizio37.

In conseguenza della perdurante inerzia del legislatore italiano, la Commissione ha

deciso recentemente (26 settembre 2013) di riavviare la procedura d’infrazione, mettendo in

mora il nostro Paese (che questa volta rischia di dover anche pagare una cospicua sanzione

pecuniaria, art. 260 TFUE).

34 Sentenza, 24 novembre 2011, C-379/10, Commissione c. Repubblica italiana. La Corte di Giustizia mentre

ritiene la clausola di salvaguardia radicalmente contraria al diritto dell’Unione e, pertanto, illegittima e

immediatamente disapplicabile, esprime, invece, un giudizio meno netto in ordine alla limitazione della

responsabilità ai casi di “colpa grave”, a patto che questa nozione sia interpretata dalla giurisprudenza italiana in

termini tali da corrispondere al requisito della “violazione manifesta del diritto vigente”.

35 Ci si riferisce all’emendamento Pini alla legge comunitaria 2011, approvato solo dalla Camera dei Deputati il

2 febbraio 2012.

36 Cosicché, proseguiva la Corte, “non sembra che la possibilità che sussista, a talune condizioni, la

responsabilità dello Stato per decisioni giurisdizionali incompatibili con il diritto comunitario comporti rischi

particolari di rimettere in discussione l’indipendenza di un organo giurisdizionale di ultimo grado” (sentenza

Köbler, cit., punto 42).

37 Cfr. LUCIANI, Funzioni e responsabilità della giurisdizione. Una vicenda italiana (e non solo), in

www.rivistaaic.it, n. 3, 2012, 18-20; SILVESTRI, Giustizia e giudici nel sistema costituzionale, Torino, 1997, 219.

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Come ultimo baluardo a difesa della legge vigente si è sostenuto che gli innovativi

principi comunitari valgano solamente all’interno dell’ordinamento dell’Unione, con la

paradossale conseguenza che solo con riferimento al diritto nazionale varrebbe ancora la

clausola di salvaguardia38. Una simile impostazione è palesemente improponibile sotto il

profilo della ragionevolezza-razionalità (art. 3 cost.). La questione della responsabilità è,

infatti, unitaria, perché concerne tutte le norme giuridiche che il giudice è chiamato ad

applicare e sarebbe ingiustificabile che il regime dell’azione di responsabilità muti in ragione

del dato estrinseco della fonte da applicare39.

In definitiva, abbandonata l’ipotesi di introdurre la responsabilità diretta del giudice,

istituto che, come abbiamo visto, non esiste in quasi nessun altro Stato membro, l’unica

soluzione ragionevole per adeguare l’ordinamento interno a quello sovranazionale consiste,

per un verso, nel riallineamento della nozione di “colpa grave” alla nozione di “manifesta

violazione del diritto” e, per altro verso, nell’abrogazione (o comunque sostanziale modifica)

della clausola di salvaguardia interpretativa.

6. Riflessioni conclusive sulla libertà interpretativa del giudice

Dal confronto tra ordinamento interno e sovranazionale ne esce, insomma,

ridimensionato il mito dell’assoluta libertà interpretativa del giudice. Si tratta dell’idea

secondo la quale il dato positivo, la disposizione scritta, sia solo uno (e per certi versi il meno

rilevante) dei molteplici elementi che il giudice deve prendere in considerazione per pervenire

alla soluzione giusta, equilibrata, ragionevole del caso concreto40.

38 È l’ipotesi contenuta da ultimo nell’art. 23 del disegno di legge europea 2013 bis presentato dal Governo il 28

novembre 2013. La disposizione in oggetto, senza novellare la legge sulla responsabilità civile, stabilisce

l’obbligo per lo Stato di risarcire il danno conseguente alla violazione grave e manifesta del diritto dell’Unione

europea da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado.

39 LUCIANI, Funzioni e responsabilità della giurisdizione, cit. 21.

40 Si vedano almeno ZAGREBELSKY, La legge e la sua giustizia, Bologna, 2008; G. PALOMBELLA, Dopo la

certezza. Il diritto in equilibrio tra giustizia e democrazia, Bari, 2006. Per una ragionata critica di questa dottrina

cfr CANTARO, Introduzione. Giustizia e diritto nella scienza giuridica europea, in Id. (a cura di), Giustizia e

diritto nella scienza giuridica contemporanea, Torino, 2011, 1 ss.

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Un’idea che ha reso sempre più inafferrabili i confini tra la creazione del diritto da parte

del legislatore e la ‘creazione’ del diritto da parte del giudice41. Un’idea che ha giustificato

l’irresponsabilità del giudice per attività d’interpretazione, quale che ne fosse il grado di

creatività, essendo l’unico limite quello di non sconfinare nel “diritto libero”.

Che l’interpretazione, in qualunque campo si esplichi, abbia una qualche natura creativa

è cosa che oggi neppure il più convinto positivista potrebbe negare. La scienza giuridica

contemporanea ha meritoriamente evidenziato l’impossibilità teorica e pratica di immaginare

il diritto positivo scritto come sistema giuridico completo, privo di lacune, autoreferenziale42.

Questo margine di scelta personale del giudice, che non può essere eliminato neppure

dalla codificazione più esauriente, deve essere contemperato con il dovere dello stesso di non

smarrire il profondo legame dell’interpretazione con il testo scritto.

A differenza del comune operatore del diritto, che si muove in piena autonomia, chi

esercita una funzione pubblica, come il magistrato, è soggetto a limiti intrinseci più stringenti.

Al rigore e all’obbiettività che dovrebbero caratterizzare ogni operatore si aggiungono nel

magistrato l’etica professionale, la responsabilità giuridica (civile e disciplinare) e ciò “per la

semplice ragione che le sue interpretazioni implicano sempre delle conseguenze

giuridicamente rilevanti […], per cui il valore primario che si impone al giudice, ancor più

che allo studioso, è la certezza (ancorché dinamica) del diritto”43.

A divergere è anche il diverso senso dell’espressione “creare diritto”. Il monopolio della

creazione del diritto in capo al legislatore non risponde solo ad un valore specificamente

41 Fino al punto che la giurisprudenza di legittimità ha reputato la figura “dell’eccesso di potere giurisdizionale

per invasione della sfera di attribuzioni riservata al legislatore” di rilievo meramente teorico. In tanto sarebbe

possibile postulare che il giudice applichi “non la norma esistente, ma una norma da lui creata”, in quanto si

possa distinguere “un’attività di formale produzione normativa, inammissibilmente esercitata dal giudice, da

un’attività interpretativa che non ha una funzione meramente euristica, ma si sostanzia in opera creativa della

volontà di legge nel caso concreto” (tra le tante cfr Cass. Sez. Un., 30 dicembre 2004, n. 24175).

42 Cfr. VIOLA, ZACCARIA, Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto, Roma-Bari,

2009.

43 PACE, Le ricadute sull’ordinamento italiano della sentenza della Corte di Giustizia, cit. 7. Sul principio di

certezza si veda CASTORINA, Certezza del diritto e ordinamento europeo: riflessioni intorno ad un principio

comune, in Rivista it. dir. pubbl. comunit., n. 6, 1998, 1177 ss.

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giuridico: appunto la legalità, la certezza, bensì soprattutto ad un valore di natura politica: la

democrazia.

Nel caso del legislatore creare diritto significa, infatti, produrre norme efficaci erga

omnes che hanno a fondamento (bene o male) una più o meno estesa legittimazione popolare.

Nel caso del giudice creare diritto significa, invece, interpretare e, al limite, integrare la

legislazione (scegliendo una norma entro la cornice della disposizione), al fine di decidere il

caso concreto con una decisione tendenzialmente efficace solo inter partes44.

44 Per questa distinzione si veda ANZON, La responsabilità del giudice come rimedio contro interpretazioni

“troppo creative”. Osservazioni critiche, 253 ss. Sia permesso il rinvio al nostro La ‘tecnica del bilanciamento’

alla prova della “sua giustizia”, in CANTARO (a cura di), Giustizia e diritto, cit., 222 ss.