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La prima ultima ora, Storia di un apprendista insegnante e della sua frontiera

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CLAUDIO ANTONIO BOSCO

La prima ultima ora Storia di un apprendista insegnante e della sua frontiera

C o p y r ig h t 2 0 0 5 S en ec a E d iz io n i. D es ig n c o p er t in a 2 0 0 5 O n ix I n f o r m a t ic a - h t t p : / / w w w . o n ix . it T u t t i i d ir it t i r is er v a t i. È v iet a t a o g n i r ip r o d u z io n e, a n c h e p a r z ia l e. L e r ic h ies t e p er l ’ u t il iz z o d el l a p r es en t e o p er a o d i p a r t e d i es s a in u n c o n t es t o c h e n o n s ia l a l et t u r a p r iv a t a d ev o n o es s er e in v ia t e a : S en ec a E d iz io n i U f f ic io d ir it t o d ’ a u t o r e S t r a d a d el D r o s s o , 2 2 1 0 1 35 T o r in o . I S B N : 88-D A A S S E G N A R E S t a m p a t o in I t a l ia . h t t p : / / w w w . s en ec a ed iz io n i. c o m

N O T E D E L L ’ E D I T O R E I l present e rom anz o è opera d i pu ra f ant asia. O g ni rif erim ent o a nom i d i persona, lu og h i, av v enim ent i,

ind iriz z i e-m ail, sit i w eb , nu m eri t elef onici, f at t i st orici, siano essi realm ent e esist it i od esist ent i, è d a consid erarsi pu ram ent e casu a-le.

A mia moglie,

c h e n ei p r imi v en t ’ an n i d el lib er o f r u llar e d ’ ali d el n os t r o s ogn o u man o

h a ap er t o c on d olc e imp et o u n v ar c o n ella r et e d ’ ar gen t o c h e mi c h iu d ev a

all’ alt ez z a

C AP I T O L O P R I M O

D all’ om b ra d el port ico q u alcu no scru t av a l’ av anz are d el po-st ino.

Il rettilineo d’asfalto spartiva per lungo tratto la campagna che cominciava a tingersi dei colori dell’autunno.

Come ogni struttura del cascinale degli avi, anche l’acciottolato parlava dell’inesorabile scorrere del tempo. Molte pietre, infatti, apparivano smosse; in alcuni punti erano addirittura mancanti.

Su di esse la pressione del piede, attraverso la suola delle scar-pette da tennis, si faceva massaggio benefico e accendeva ricordi.

D a bambino, calzando galosce sempre troppo grandi, spesso aveva giocato a stare in bilico sulla loro convessità , con piccoli mo-vimenti del piede d’appoggio.

Caricare il peso del corpo ora sulla gamba destra, ora sulla sini-stra. Provare e riprovare.

O gni pietra, un pianetino. La sensazione fanciullesca di cadere nel vuoto dall’orlo dei

mondi ritornava alla mente risalendo piano dal pozzo dei ricordi. L’acciottolato rustico non mostrava alcun disegno particolare. Lentamente riapparivano invece, nella memoria, pezzi della

carta nautica dei fantastici viaggi interplanetari di un tempo. V agando con lo sguardo sulle pareti scrostate a macchie, dai

contorni vagamente geografici, gli veniva spontaneo assomigliare il gran pòrtego* alla navata laterale di un tempio incompiuto.

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La possente travatura in legno dell’Altopiano era la carena del-l’arca abbandonata che aveva accolto generazioni di uomini e donne, insieme a cose e animali.

D urante l’adolescenza, gli era parso che i possenti pilastri della facciata fossero sorretti dall’edera e dal melograno, nella palpitante oscurità delle notti estive.

O ra, nudi e soli, esprimevano una stupita inutilità . N el ‘ 6 4 , la vasta tè z a* semivuota era risuonata dell’ultimo mug-

gito dei bianchi buoi dalle corna serpentine di b arb a* Augusto. R icordava di averli guidati avanti, orgoglioso, nei campi dietro

casa, a tirare il vecchio carro cigolante colmo di fieno, con in mano il bastone di noce intagliato per lui dal nonno durante i filò dell’ultimo inverno.

L’arrivo del primo trattore li aveva fatti sparire un mattino di febbraio, mentre in aula vergava d’inchiostro la sua prima letterina a N ano Lumino sul P igna a righe con la Liguria in copertina, al te-pore della stufa di terracotta che induceva ad appisolarsi sul banco di scuola nero Abissinia.

Suoni e rumori sembravano imprigionati nel legname di soste-gno al vasto tegolato e nelle crepe dei muri, tra i mattoni smangiati in superficie dal succedersi di più di cinq uecento stagioni o sfarinati dal becchettì o dei passeri e i sassi di fiume q uasi spogli di malta giallastra.

L’invocante miagolio dei micini rintanati tra paglia e fieno, e il tranq uillo chiocciare delle gallinelle madri sotto la grè a* ; il garrire delle rondini sfreccianti a primavera dentro e fuori dal grande ripa-ro e i vellutati voli notturni dei pipistrelli; il tubare cupo delle tortore e il ritmo chioccolante delle q uaglie del b arb a Gino.

Gli pareva di rivedere persino il ruzzare a corna abbassate delle caprette di zia V eronica.

Il silenzio spesso e profumato in cui cadeva la campagna nei meriggi prima dell’avvento dei motori si associava di nuovo al ro-

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dì o impercettibile dei cav al ieri* del b arb a Piero, così candidi nel letto di foglie verde smeraldo.

A lungo li aveva contemplati, ogni volta, al ritorno dall’avventura della spoliazione del gelso, dopo la vertigine dell’ascesa ai rami più alti e il gioco col fratello e i cuginetti a chi resisteva più a lungo nello spenzolarsi da q uelli più bassi.

Q uant’erano dolci, le bianche mòre*! Staccare le foglie dai rami, facendo scorrere intorno ad essi la

mano semiaperta, riempiva il palmo di frescura. U n lavorare spensierato, a colmare per primo il sacco di j uta:

un bottino frusciante e leggero, di cui menar vanto col nonno. Ma ecco, sopra ogni rumore, emergere il rauco abbaiare di

Z ort, uno splendido box er. U nico ricordo tangibile era l’istantanea in bianco e nero, di pic-

colo formato, che conservava nel cassetto del comodino. Appariva legato, come sempre, alla catenella terminante in alto

in un anello di ferro scorrevole per sei metri buoni di filo di ferro, tra lo stipite del muro perimetrale e il primo pilastro del portico.

E ra il figlio di una cagna lasciata nella có rte* da un soldato tede-sco in ritirata.

D iventato vecchio alla catena, era rimasto agile e possente. Cristiano, tra i cinq ue e i sei anni, lo aveva cavalcato più volte,

lui solo, suscitando l’invidia dei bambini del vicinato. U n pomeriggio di fine settembre, mentre pascolava, fan-ciullo,

le mucche del padre, era stato attaccato dalla B is a* , giovane vacca di razza s v ite* , troppo irreq uieta per resistere a lungo in una stalla. M à ta* riconosciuta della stalla, l’aveva imbufalita il suo tentativo di porre fine col bastone alle pericolose cornate che stava infliggendo alla mite R ometta.

All’invocazione disperata del suo nome, con due strattoni il ca-ne aveva spezzato la catena e coperto a volo i sessanta metri di distanza.

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L’agile figura era saettata addosso alla giovenca un attimo pri-ma che q uesta incornasse a terra il bambino caduto accanto al filare dell’uva bianca mé ricana*, dopo una breve q uanto inutile fuga.

L’impatto con la cassa toracica del bovino era risuonato come un mazzuolo su di un grosso tamburo.

R imbalzato al suolo, il cane era passato all’attacco più duro az-zannando la vacca alle mammelle. La B is a , con uno scarto di dolore, aveva immediatamente desistito: scalciando l’aria come un torello imbizzarrito, si era allontanata verso la cav eà gna*.

T ra lacrime di spavento e di riconoscenza Cristiano aveva ab-bracciato la testa dell’amico fedele, mentre il padre, accorso nel frattempo con la forca in mano, ricacciava nella stalla a colpi di manico l’animale, destinandolo anticipatamente al macello.

D ue mesi dopo, avvelenato di notte da ladri che avevano mes-so a sacco il pollaio, Z ort era morto, col muso all’immagine di Sant’Antonio.

Il papà lo aveva seppellito prima che i bambini si levassero dal letto, aiutato dallo zio Attilio.

L’immagine del Santo col B ambino, sul lato orientale del porti-co, a tre metri d’altezza, nella sua nicchia color celeste cielo, era ancora lì , l’espressione dei visi e l’inginocchiatoio danneggiati dall’umidità .

Gli avevano raccontato che era opera di un frescante popolano: forse per sciogliere un voto, tra il ‘ 2 4 e il ‘ 2 6 , q uesti era passato nel-la zona, di casolare in casolare, dipingendo di giorno e dormendo nei fienili, la notte.

Arrivato di buon mattino, aveva chiesto come ricompensa un pasto caldo e una scodella di vino nero alle q uattro del pomeriggio. T re giorni dopo, finito il lavoro, se n’era andato prima di cena, rac-comandandosi alle donne per una preghiera.

V ecchie carrette rose dai tarli e mucchi dorati di granturco, sca-le a pioli con gli staggi consumati dall’uso e scaloni per la raccolta

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dei frutti da pergole e piante, avevano condiviso lo spazio con for-coni, roncole e corteà s s e* , manà re* e mes s ù re* di varia grandezza, coà ri* sbrecciati e prì e* levigate, piante* e martelli.

O gni oggetto aveva riposato a lungo al suo posto prima di es-sere sostituito, i manici lisciati dall’uso di mani callose di uomini, donne e bambini.

Sentinelle mute, falci e rastrelli, erano rimasti appesi a varia al-tezza con ciòi d el S ignòre* alla lunga parete di mezzo e ai pilastri, sopra cassapanche di tavola grezza dal coperchio fissato con strisce di cuoio nero e con vecchi pezzi di gomme di bicicletta.

Sotto la volta monumentale il fumo acre dei toscani dei vecchi seduti su sgangherate seggiole impagliate si era mescolato all’odore dello stallatico, del fieno secco e della paglia.

I profumi del rosmarino a siepe sotto le finestre dell’abitativo e dell’acq ua piovana, precipite con melodia secolare dai coppi lunghi e disuguali sui sassi lavati del canaletto di scolo, per q uante stagioni avevano disputato col sentore lievemente dolciastro della camomil-la fatta seccare in mannelli appesi alle stanghe?

L’afrore del mosto in fermento evocato dai due tini in attesa accanto all’ingresso della stalla ricordava a sua volta le danze a piedi nudi di bimbi e ragazze di un tempo, sulla poltiglia brulicante e o-dorosa dell’uva nera, ad ottobre.

Il cremore di tartaro delle botti, vuote ancora per poco, dalla buia cantina in terra battuta parlava dell’abbondanza del passato.

Il suo particolarissimo odore tornava a mescolarsi con q uello pastoso della carne di maiale appesa alle stanghe: grasse teorie di salami e s oprè s s e*, scortate da corone di lugà neghe stillanti.

La fragranza del pane fresco giunse in q uell’istante con l’auto furgonata di O ttorino, il panettiere.

Appeso di fretta all’inferriata del portello il sacchetto di co- tone a q uadretti bianchi e blu, l’uomo ripartì con la furia usuale, senza accorgersi di essere osservato.

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Cristiano si mosse dal portico e ritirò il sacchetto che profuma-va di pane appena uscito dal forno.

T ornato sull’acciottolato, ne trasse una mantovana dorata e croccante.

All’origine del grato odore stava, per lui, il grano trebbiato in có rte* fino a q uindici anni prima dalla grande Marshall dei T u rch i* , prezioso frutto della terra e della laboriosa confusione dei lavoranti.

Steso a strato per tutta la lunghezza del granaio, d’estate l’aveva solcato lentamente a piedi nudi due volte al giorno, ché prendesse aria.

Il nonno e i suoi fratelli, con le mogli e i figli che erano arrivati, insieme a zia V irginia vedova a vent’anni e sempre lieta, a b arb a Pie-ro, mad è go* per scelta, si diceva, e di poche parole, avevano convissuto in q uella casa, prima e dopo la morte dell’ultimo pa-triarca, Giuseppe. Per anni.

Con scarso affetto reciproco i q uattro maschi avevano man- giato con le loro famiglie nei rispettivi settori della lunga cu- cina dalle lunghe travi annerite. Le donne, invece, erano presto divenute solidali, allevando una

prole copiosa e facendo insieme la l ì s s ia*; lavorando insieme nei campi e dimenticando fatica, caldo e freddo col cantare Ros ario* , prima del f il ò * della sera.

Anche nel secolo precedente erano vissute sotto lo stesso tetto q uattro famiglie. D iramando dall’unico ceppo, di lì erano usciti i B ranch etti* , gli O mé ti* , i Rè b i* e chissà q uante famiglie nei secoli precedenti avevano trovato rifugio tra le pareti di q uello che era stato il primo cas ó n* della terra un tempo chiamata L a V egra*.

E sse si erano poi disperse in varie località del V eneto e fuori regione. T utte da lì , dalla cas a v è cia* , erano partite, diceva sempre il nonno.

D i certo, prima della partenza per il Piemonte di q uattro degli otto figli viventi di nonno D omenico, q uelle mura avevano accolto

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più di trenta persone. L’ultimo nato, di nome B ino, suo zio, era del ‘ 3 8 .

Il grande rustico di V ia delle Motte era il più antico del circon-dario.

U na carta veneziana del 1 5 6 7 , visibile ancor oggi al museo civi-co del capoluogo, indica il casolare come unico della vasta campagna a nord-ovest di Castello.

Il paese, R osalta, sarebbe sorto due secoli dopo. Per oltre q uattrocento anni, vecchi e giovani avevano lavorato

a mezzadria o, chissà , forse anche ‘ al terzo’, lembi di terra veneta tutt’intorno per conto di nobili veneziani: i Michieli, i Morosini, i T ron, i D ona’ D alle R ose.

Scortati dal fattore, passando in carrozza per l’omaggio rituale, i padroni avevano ricevuto ogni anno l’inchino profondo delle donne e lo scappellarsi riverente dei maschi, secondo q uanto im-poneva l’uso e la regu l a l ignea della gente dei campi: riv erire i s ió ri, no tantà re preti,’ v ocati e d otó ri*.

N ella cascina dei Milani detti B ranch i* l’intimità famigliare ave-va sempre avuto ben pochi spazi da riempire.

Al matrimonio dei giovani maschi subentrati ai padri nella pro-prietà della poca terra a coltivo, una dopo l’altra le vecchie coppie avevano seguito senza rimpianti le giovani.

N elle stalle annesse alle case costruite a poche decine di metri dalla vecchia dimora, con gesti lenti e sempre uguali i vecchi aveva-no rifatto la lettiera di strame o paglia alle mucche e ai vitelli, guardando i maiali mettere peso d’inverno, raccontando ai nipotini vecchie storie, la sera, e aspettando la morte.

La nonna gli aveva raccontato che il primo libro era entrato nella grande vecchia casa nella primavera del 1 9 1 4 , il giorno del suo matrimonio con D omenico: la cognata V eronica le aveva donato le M as s ime eterne, q uelle con le preghiere al beato Giuseppe protettore

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dei moribondi e alle Sante Anime, con le orazioni q uotidiane, l’ A ngel u s e le Lauretane in latino.

D opo un anno appena e con un figlio in v iaj o* , all’entrata in guerra dell’Italia D omenico era dovuto partire per il fronte.

N el ‘ 1 7 , sull’Isonzo, aveva affrontato la sorte per tre lunghi mesi, fidando nella protezione di Sant’Antonio e stringendo il pic-colo crocifisso di legno lasciatogli dal padre.

In attesa dell’ennesimo assalto, ordinato per le nove di un tie-pido mattino di maggio, col plotone ricostituito q uattro volte intorno a lui e ad un certo U ngarè ti d e L ix à nd ria* ( “el s criv é a poes ie s u tòch é ti d e carta, poarè to” ) * , improvvisamente aveva deciso che in q uel mattatoio, lui, non sarebbe morto.

D isteso il polso destro su una pietra grigia, che vento e acq ua parevano aver levigato proprio per lui, se l’era fratturato colpendo-lo rabbiosamente col calcio del vecchio 9 1 .

T ornato a casa in congedo illimitato, aveva generato altri tredici figli, lavorando come una bestia per mantenere la famiglia e arro-tondando i magri guadagni con q ualche lavoro di carpenteria.

A volte gli capitava di eccedere col nero cl intó n* delle sue viti, nei giorni feriali, e col vino traditore dell’osteria del borgo, la do-menica pomeriggio.

D elle creature che la moglie gli aveva messo sulle braccia, tre erano morte per debolezza costituzionale. I piani agricoli del fasci-smo non sopperivano alle carenze alimentari della povera gente del V eneto e le bocche erano sempre troppe in rapporto alla q uantità di polenta che il mestolo rigirava nel paiolo di rame.

Lui non se l’era sentita di trasferirsi nel Lazio, come la sorella Ada e il cognato N icola, per contribuire alle bonifiche avviate dal regime.

La morte di Arduino, q uindicenne dalle membra lunghe e ma-gre, l’aveva ferito più della guerra: era il suo primogenito e il medico non aveva capito in tempo il suo male.

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D ieci anni dopo aveva riposto la sua fiducia nel q uartogenito, Angelo.

Q uel maschio che cresceva tarchiato, dotato di forza taurina e carattere eq uilibrato, spesso impegnava il tempo libero ad ascoltare i suoi insegnamenti e q uelli dei vecchi del vicinato. Avrebbe accet-tato meglio degli altri di sostentare la madre in vecchiaia, accogliendo di buon grado in casa i fratelli che fossero rimasti da sposare.

E fu q uello che infatti capitò , anni dopo, al secondo dei rima-stigli. Chiamato alle armi nel ‘ 4 1 e caduto prigioniero a Padova dopo l’8 Settembre, Attilio era tornato dal lager tod es co* che pesava q uarantacinq ue chili con i vestiti, i capelli diventati candidi, da neri che erano, a causa del terribile bombardamento finale degli Alleati.

La guerra per lui aveva operato come una triste incubatrice di vecchiaia: entrato diciottenne, ne era uscito moralmente troppo provato per coltivare il sogno di mettere su casa.

Angelo sarebbe stato q uindi il bastone della vecchiaia, doveva aver pensato il nonno. A lui avrebbe lasciato i campetti acq uistati dagli eredi del conte, consapevole che q uel figlio sarebbe stato l’ultimo dei B ranch i a lavorarli a tempo pieno, e non per molte sta-gioni.

E migrato nel ‘ 4 9 sulle verdi colline del Monferrato con Attilio, B ino e la sorellina Gemma, Angelo aveva lavorato per q uattro anni da mezzadro, riscuotendo insieme ai fratelli la stima dei piemontesi per la formidabile resistenza alla fatica e la rettitudine dimostrata.

Il q uinto anno, senza particolari raccomandazioni, aveva otte-nuto un posto come avventizio nei lavori di costruzione dell’ippodromo Stupinigi di Mirafiori.

Prima di trovare occupazione stabile presso una nota azienda di finissaggio stoffe e tessuti di Chieri, aveva lavorato persino alla posa dei cubetti di porfido sull’erta della chiesa di San Giorgio, e-

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retta al sommo del colle a proteggere la città dagli attacchi del dra-go malefico.

Gemma s’era poi sposata con un bravo contadino che, come lei, veniva dalla M arca* , zio R ico, andando a vivere in una grande cascina ai piedi delle colline di Andezeno, insieme alle nuove fami-glie di due cognati.

Attilio, tornato dopo q ualche anno a vivere con i vecchi, era diventato un apprezzato muratore.

N el gennaio del ‘ 5 7 era tornato in V eneto pure lui: conside- rata la situazione di relativa sicurezza economica che si lasciava

alle spalle, il richiamo della terra lavorata dagli avi doveva essere stato irresistibile, pensava Cristiano.

D ue giorni prima della C and elòra* aveva sposato la sua F loria-na , dopo due anni di fidanzamento per corrispondenza e nel dicembre dello stesso anno aveva sorriso per la prima volta al suo primogenito.

D ue anni dopo aveva sorriso al secondo figlio, E nrico. Altri tre maschietti sarebbero arrivati più tardi, a intervalli di tre

anni, e ogni volta q ualcuno, a R osalta, avrebbe commentato: i pu tè i no f a cares tì a*.

La stanza a pos tè rno* di fronte al granaio aveva accolto il suo letto matrimoniale.

L’avrebbe lasciata nel ‘ 6 5 , per la nuova casa costruita con gran-di sacrifici a pochi metri di distanza dalla stalla vecchia.

Alla divisione della proprietà , dopo la morte del b arb a Gino, aveva acq uistato le parti dei cugini, con la lunga có rte che i temporali estivi trasformavano regolarmente in luminoso specchio d’acq ua domestico.

N el ‘ 6 6 , i q uattro campi di proprietà e gli altri pochi in affitto non permettevano già più di sbarcare il lunario: con troppa fre-q uenza la sventura e le malattie si portavano via i vitellini dalla stalla prima che producessero guadagno.

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Aveva così dovuto accettare un posto da guardiano notturno in una grande fabbrica tessile dei dintorni, aperta da poco. U nico sor-vegliante, per sei notti su sette.

La giornata lavorativa s’era fatta terribilmente lunga e d’estate, q uando si moltiplicano i lavori agricoli, dormiva q uando poteva, a intervalli di due, tre ore al massimo.

In compenso, i due figli maggiori ottenevano a scuola buoni ri-sultati.

Cristiano, in q uarta elementare, aveva vinto il terzo premio in un concorso mandamentale, con un componimento intitolato “ I l mio paes e ” : ricevuto il premio dalle mani del Ministro in persona, il suo ragazzo era stato addirittura inq uadrato dalla telecamera della R AI.

E due giorni dopo, all’uscita di scuola, q uello stesso premio a-veva procurato al suo primogenito un’inattesa gragnuola di calci e pugni da parte di un gruppetto di compagni invidiosi e urlanti: lo avevano riconosciuto in televisione!

R annicchiato nella cunetta morbida d’erba novella che stava sull’altro lato della strada, di fronte al cancello, il premiato aveva cercato di resistere ai colpi, sperando che la pestata finisse presto.

D opo alcuni istanti, per fortuna, il figlio numero due, occh i-d i-gh iaccio , era piombato a salvamento come un falco, saltando come un pugile tra picchiatori più alti di lui e colpendo a pugni serrati bocche, nasi e costole; senza pietà , senza emozione apparente, con la solita, temuta, incredibile velocità .

N el ‘ 7 1 , dopo la conferma delle medie, aveva iscritto Cristiano alla sezione classica del locale liceo scientifico ‘ T . V ecellio’, primo rampollo della stirpe Milani d é a s òca v è cia* a intraprendere studi u-manistici.

Cinq ue anni più tardi q uel figlio avrebbe conseguito la maturità brillando nella prova di latino.

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Sul nero Moschito scoppiettante, R ino il postino, come un’ape ormai stanca, entrava ed usciva da V ia delle Motte, in corrispon-denza dei cavini tracciati in parallelo ai decumani degli antichi coloni di R oma.

E ra in servizio da q uasi trent’anni. N ei giorni di bel tempo por-tava volentieri i suoi baffi sorridenti e brizzolati q uasi sulla porta di casa, senza scendere dal sellino, a scambiare due parole con la gen-te, allungando di un’oretta buona i tempi del suo giro.

Giunto all’altezza del civico 2 7 , passò oltre senza fermarsi. Cristiano rimase a guardare per q ualche istante la cassetta delle

lettere. La riparava dal sole e dalla pioggia la piccola tettoia del portello

d’ingresso in muratura, intonacato al grezzo con sabbia e cemento da zio Attilio in grigia continuità con la recinzione.

Color ocra, verniciata più volte, aveva gli angoli arrotondati. Pezzi di cavetto elettrico arancione la tenevano fissata

all’inferriata della finestrella ricavata in uno dei due muretti laterali. N ella semioscurità del suo interno, attaccato q ua e là dalla rug-

gine, gli pareva si fosse addensata l’attesa durata. Cristiano era uno studente esterno di teologia di ventitré anni. N on vivendo in un Land della Germania, nel suo piccolo si

sentiva una rarità : in q uegli anni, i laici che studiavano la sacra scienza nella sua regione si potevano contare sulle dita.

La passione per la teologia gli era sorta dentro a q uindici anni, indirettamente, leggendo S eppel l itemi con i miei s tiv al i.

Agosto era un ricordo. Settembre era trascorso, giorno dopo giorno, foriero di speran-

za.

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Q uel venerdì , però , q ualcosa gli diceva che la domanda inoltra-ta dodici mesi prima e rinnovata all’inizio dell’estate, sarebbe stata finalmente accolta.

F are l’insegnante di religione nelle scuole superiori era un’avventura per la q uale si sentiva pronto, chiamato.

Praticare la difficile arte del comunicare sapienza doveva na-scondere soddisfazioni segrete che voleva cominciare a raccogliere.

Cinq ue anni prima aveva intrapreso con entusiasmo gli studi aderendo a un percorso di ricerca vocazionale avviato in diocesi.

Conseguito a giugno il baccellierato, aveva deciso di approfon-dire lo studio della filosofia all’università .

Staccando lo sguardo dalla cassetta delle lettere ripensò al lun-go silenzio da parte della Curia.

O ttenere una risposta formale, anche negativa, non gli sembra-va davvero una pretesa esagerata.

“Carta che non arriva, porta ancora aperta” si disse, avviandosi verso casa.

“Argomento pietosamente consolatorio?” si domandò poco dopo, sedendo davanti al piatto di minestra che nonna Maria aveva preparato con le patate e tutto l’amore dei suoi ottantaq uattro anni.

N ella stanza, la solita trasmissione televisiva di mezzogiorno occupava lo spazio lasciato libero dal silenzio dei commensali.

Pensieri venati di pessimismo tentarono di farsi strada dentro di lui. Li cacciò , cercando di immaginare volti di studenti scono-sciuti che, inconsapevolmente, attendevano un inse-

gnamento come q uello che lui si sentiva in grado di offrire. Q uegli allievi già esistevano, da q ualche parte, e presto le loro

strade avrebbero incrociato la sua. N e era convinto. L’incarico tanto atteso gli avrebbe permesso di sostenere auto-

nomamente le spese universitarie. Conseguire una laurea sarebbe stata una prova di tenacia.

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Alieno dalla goliardica presunzione ravvisata nei freddi androni del Liviano, ove talvolta si era recato da uditore consapevole dei limiti ascrivibili alle sue origini popolane, a giorni si sarebbe iscritto all’università del B o.

Intraviste le vette illuminate dalla luce mattinale del pensiero teologico, stava per avventurarsi sui sentieri della riflessione se-

rotina della filosofia. La vecchia passione per i libri dilagava ancora, calda e stimo-

lante al punto che l’interesse giovanile per le singole rappresentanti della nuova generazione restava del tutto in secondo piano.

Colpivano di tanto in tanto la sua attenzione le brunette, non alte, ben fatte, vivaci o un po’ selvagge di carattere, ma la disposi-zione all’amicizia disinteressata con le ragazze lo distingueva dalla generalità dei suoi coetanei.

A sentire zio Giorgio, poteva essere un atteggiamento di difesa: di recente il parente l’aveva stuzzicato al riguardo, col tono di voce di chi augura all’amico di provare un’esperienza irrinunciabile.

- U n giorno anche tu getterai lo sguardo alla mitica mela... “Le forti emozioni non vanno d’accordo con un esercizio me-

todico della razionalità … e poi non era una mela, q uella dell’E den” pensò , sbucciandone una rosseggiante e un po’ farinosa.

E sse avrebbero disturbato l’appassionata ricerca della verità che aveva tenuto occupata la sua mente nell’ultimo q uinq uennio.

Il giorno dopo riprese in mano le C onf es s ioni di Sant’Agostino. Gli piaceva arrivare sino a una coppia di pioppi che svettano

ancor oggi solitari sul verde e giallo della campagna, camminando per un po’ verso ovest.

Più a sud, da oltre venti secoli, la V ia Postumia attraversa il 1 2 ° meridiano latitudine est.

A oriente, la grande s ié s a* di robinie allineate lungo il ros tó n*, colmo d’acq ua presa a monte dal Musón dei Sassi.

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D a bambino, con la retina ricavata da una calza di ny lon di zia Linda e un pezzetto di filo di ferro legato ad un bastone di legno, vi aveva pescato spinarelli lucenti, badando a non cadere nell’acq ua scintillante e pericolosa.

I due alberi si ergevano lungo un fosso in secca che spartiva in modo disuguale il vasto prato di un lontano parente.

Amava starsene seduto sull’orlo, con la schiena appoggiata ad uno dei due fusti, il braccio sinistro poggiato sul ginocchio flesso a mo’ di leggio e l’altra gamba ciondoloni.

L’aria profumava d’uva matura e il tepore del sole modellava le forme dei sassi, del fosso, delle cortecce, dando risalto speciale ai fili d’erba.

Alzando gli occhi dalla pagina ingiallita, per un istante gli parve di rivedere l’ondeggiare del maggese pronto per il primo sfalcio.

Poi, alle folate tornanti del vento, dune e paesaggi sognati dell’ A f rica procons u l aris si sovrapposero ai filari di vite e al fogliame dei gelsi che cominciava a trascolorare.

Ad un tratto, dalle diverse, note direzioni giunse il suono delle campane del mezzodì .

R imase assorto nella lettura ancora un po’, finché l’ultimo rin-tocco udibile lo raggiunse insieme al suo nome, gridato dalla madre con q uell’urlo tipicamente contadino che non teme di lanciare lon-tano la voce.

Saltando fossi e varcando chinato filari di vite, giunse a casa di corsa pensando al pranzo.

Il padre aveva appena riattaccato la cornetta del telefono. U n monsignore di curia. U n incontro, nel suo ufficio, lunedì .

U na decina di ore. Con tutta probabilità , un incarico annuale. U n fremito gli attraversò la schiena. Si mise a tavola, commentando la notizia ai genitori con un

pizzico di spavalderia - Cosa vi dicevo? Stavolta ho staccato il biglietto giusto!

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- Allora diventi… un professore? - chiese la madre, versando nel piatto una densa minestra di fagioli e bì goli.

- Professor Milani! Se tutto va bene... - rispose, divertito dall’orgoglio materno.

Prima che E nrico arrivasse dal lavoro, aveva già divorato il suo pranzo e salito a balzi le scale.

La data della prima domanda e q uella della seconda erano se-gnate in un minuscolo taccuino dalla copertina blu notte che teneva in camera, nel cassetto del comodino, insieme alla foto di Z ort.

Aggiunse la data della risposta e una nota: "...nel tornare v iene con giu b il o portand o i s u oi cov oni".

D ecise poi di gustare q uel tempo di sospensione con tutta la calma di cui era capace.

V oleva che restasse un bel ricordo. L’aurora del lunedì venne a diradare i sogni notturni di Cristia-

no più presto del solito. D alla finestra giunse il muggito di una bestia affamata. Il padre

aveva aperto la porta della stalla. R asata la barba con cura, scese in cucina. D opo q ualche minuto, anche E nrico sedette davanti alla sco-

della di caffelatte fumante. F ecero colazione in silenzio. Accompagnando il fratello al garage, Cristiano gli si rivolse in

tono scherzoso: - O ggi probabilmente sarà l’ultimo giorno che dovrai mantene-

re tuo fratello maggiore. E nrico accese il motore dell’azzurra 1 3 1 Mirafiori 1 6 0 0 bialbe-

ro. Il rumore gli parve allegro. - Mi sa che lavorerai sempre meno di un operaio come me e

guadagnerai di più . In bocca al lupo! - rispose, innestando la retro-marcia con un mezzo sorriso.

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N on era stato facile in famiglia, pensò Cristiano, accettare l’ombrosità del carattere del fratello, brusco nei rapporti q uotidiani tanto da sembrare scontroso.

E nrico non aveva voluto saperne di continuare gli studi intra-presi di ragioneria, anche se sarebbe stato in grado di portarli a termine con successo.

R ipeteva che si sarebbe sposato presto: un lavoro, una casa, una famiglia. Il suo programma di vita. Semplice e concreto.

Che q ualcosa di velleitario vi fosse davvero nelle aspirazioni in-tellettuali imbevute di volontà di affermazione personale che popolavano i suoi sogni di giovane studente di teologia?

La madre era fuori per pane. Meglio partire per il capoluogo in anticipo.

U scendo con l’auto dal cortile, abbassato il finestrino, augurò buona giornata al padre che risciacq uava il contenitore della mungi-trice automatica accanto all’angolo esterno della stalla.

Angelo rispose con un cenno del capo. Arrivato mezz’ora dopo in vista di Porta Santi Q uaranta, provò

una sensazione di vuoto allo stomaco. Parcheggiata l’auto all’angolo tra via V escovado e Piazza del

D uomo, si concesse un cappuccino e un cornetto al bar. Ad attirarlo era stato l’intenso odore di caffè espresso che sta-

zionava sotto le volte a vela del portico cinq uecentesco, esaltato dall’aria frizzante del mattino.

“R umori e suoni del centro storico di una città di provincia...” : l’innaturale rumore di fondo delle auto in movimento, il tubare dei colombi sui cornicioni di antichi palazzi, i passi veloci delle donne sul porfido della piazza e sui marciapiedi, il rombo sordo di una moto di grossa cilindrata nel cortiletto nascosto da un portone in ferro battuto, fusi insieme, parevano destare lo stupore delle caria-

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tidi del palazzo podestarile e l’apparente noncuranza dei santi nelle nicchie di facciata della cattedrale.

“In città , un campagnolo come me si sente stranamente più ef-ficiente” pensò , avviandosi con calma alla meta.

O ra lo investiva la radiosità di un sole che sembrava raccogliere applausi urbani a scena aperta dalla venustà delle facciate dei palaz-zi circostanti.

E ra il giorno di San F rancesco del 1 9 8 0 . V arcò il portale dagli stipiti in marmo bianco chiaro pensando

che era la prima volta. Sostò un istante nel cortile interno, godendosi il gioco di luce

ed ombra della scalinata in pietra grigia che sale a rampa unica al piano nobile dell’episcopio.

Salì poi al primo piano degli uffici della Curia. A destra, dopo l’ascensore, lesse una targa a caratteri severamente neri su fondo bianco avorio: ‘ don A.C. - vicario episcopale per la Catechesi’.

In portineria gli avevano indicato l’ufficio del direttore dell’U f-ficio Scuola.

E videntemente le due competenze erano nelle mani della stessa persona.

L’attesa fu breve. D alla porta a vetri opachi, lasciata socchiusa, venne un «Avanti!» di cortesia che gli sembrò incoraggiante.

E ra un uomo che aveva passato la cinq uantina, alto e dinocco-lato, che accoglieva e licenziava con un largo sorriso cordiale e uno sguardo penetrante. Il volto era pallido, l’espressione severa. V esti-va un clergy man grigio a righine scure, dal taglio molto elegante.

Si sporse sul tavolo tendendo la mano, col movimento un po’ contratto di chi soffre di mal di schiena.

Attaccò il discorso con distacco, con una certa aria di fretta, menzionando il curricolo di studi di Cristiano giusto per arrivare al sodo.

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D opo q ualche minuto, reprimendo il moto di gioia entusia-stica che sentiva salire dalle viscere, Cristiano aderì alla proposta di un incarico annuale al liceo di Castello.

La sezione in cui aveva freq uentato il classico era annessa allo scientifico, ma dislocata in una piccola villa veneta in campagna, con tanto di parco per le ricreazioni.

Gli unici contatti tra gli studenti delle due sedi, ricordò , erano possibili in occasione delle rare assemblee d’istituto.

Il preside era cambiato da un paio d’anni. Seduta stante, si sentì investito del nuovo ruolo nella scuola che

mai avrebbe osato immaginare gli sarebbe stata asse- gnata al primo incarico. Le raccomandazioni che seguirono, con l’invito ad usare la

B ibbia come libro di testo, non ebbero eco nella sua mente. Il prete se ne accorse. Gli occhi del giovane, per un attimo, e-

rano corsi fuori a celebrare un piccolo anticipo di trionfo, attraverso lo spiraglio delle tende che coprivano una grande fine-stra.

Il monsignore passò nell’ufficio accanto, a far battere a mac-china la nomina da consegnare a mano alla scuola. Cristiano notò che zoppicava leggermente dalla gamba destra.

R imasto solo, scostò una tenda e gettò lo sguardo sulla vietta che si apriva frontalmente.

U n arco leggero, in pietra resa scura dallo smog, stava all’ingresso della stradina medievale sottostante, in forte contrasto con lo stile degli edifici laterali restaurati di recente.

La stanza era arredata in modo essenziale. Sul piano in formica azzurrina di una scrivania in metallo, dal

lato della finestra, stava un crocifisso di legno nero, sopra un piedi-stallo semisferico.

U n breviario chiuso, con nastrini segnalibro di seta multico-

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lore perfettamente sovrapposti, e pochi fogli in ordine sparso giacevano sul lato opposto.

Al centro, un tagliacarte d’argento, un tempera matite color a-vorio di forma ovale e una basilica del Santo di Padova in miniatura entro una semisfera di vetro iridescente.

Sul lungo ripiano di un mobile in alluminio ad ante scorrevoli color grigio perla erano schierati classificatori dalla copertina ver-dognola. Alla parete erano appesi i ritratti fotografici del papa e del vescovo.

R ifletté per q ualche istante sul modo sbrigativo con cui la cosa s’era risolta.

“Certamente la necessità di sostituire in fretta q ualcuno” , commentò tra sé .

U n attimo di realismo, per poi rituffarsi subito nell’ebbrezza degli atteggiamenti nuovi con cui avrebbe potuto presentarsi a casa, in paese, a scuola.

N on sarebbe stato più uno sq uattrinato divoratore di libri. Sapersi mantenere da studente universitario a ventitré anni

suonati gli avrebbe fatto guadagnare q uella considerazione che è così importante per un giovane di umili origini dedito allo studio. In campagna, chi semina per troppo tempo finisce per essere giudi-cato incapace di raccolto.

Monsignore rientrò nell’ufficio e accennò all’insegnante che aveva lasciato il posto vacante solo per dire che era un religioso. Poi salutò Cristiano con un’ultima raccomandazione:

- Il vescovo s’attende che tu ottenga la stima del preside, dei colleghi e degli alunni. Insegnerai una materia delicata e molto im-portante per le famiglie. E , per q uanto possibile, vedi di collaborare col collega dell’annessa sezione classica, don Alfonso. È lì da q uat-tro anni, ormai. Porta il mio saluto a lui, al tuo parroco e all’arciprete di Castello.

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Il tu con cui il prete gli si era rivolto scaturiva certo dalla note-vole differenza d’età , ma suonava come una forma d’incoraggiamento ad affrontare con tranq uillità il nuovo compito.

Il prete gli stava ora di fronte come se aspettasse q ualcosa. Il giovane non trovò di meglio che pregarlo di portare il suo

ringraziamento a Sua E ccellenza il vescovo, per la fiducia. Sul volto dell’ecclesiastico passò , per un attimo, un’espressione

di stizza mista a sorpresa. In una diocesi tanto grande, il vescovo avrebbe mai trovato il

tempo d’interessarsi alla scelta di un nuovo insegnante di religione? Con la sua nomina in mano, Cristiano salutò il prete che lo

scrutava incuriosito e guadagnò rapido l’uscita. Il bisogno di comunicare la notizia ai famigliari lo fece dirigere

alla cabina telefonica più vicina. R ispose la madre: - B enó n*. A mezzogiorno è pronta la pasta al sugo. Guida con

prudenza. Con le ali ai piedi si tuffò in una libreria del centro, a riempirsi

gli occhi di titoli e copertine.

C A P I T O L O S E C O N DO Il tempo del ritorno, alla velocità di crociera impostata dalla

soddisfazione interiore, fluiva con la levità della sabbia nella clessi-dra.

La strada che corre parallelamente all’antica V ia Postumia si immergeva a tratti nei colori autunnali del fogliame dei platani e dei cespugli cresciuti disordinatamente ai lati.

E ntrò in cucina che i famigliari avevano già mangiato il primo. Si mise baldanzosamente a tavola e cominciò a raccontare.

Angelo ascoltava il figlio con rilassata attenzione, sprofondato nella vecchia poltrona rivestita di velluto verde.

Il solito giretto pomeridiano di contemplazione della campagna era rinviato a domani.

U na leggera piega della bocca rivelava un moderato compiaci-mento.

Il giovane pensò che di lì a poco si sarebbe sentito ricordare che q uel lavoro comportava considerevoli responsabilità .

Alcuni istanti e la previsione fu confermata. Insegnare religione non sarebbe stato facile, aggiunse il padre:

dell’ "O ra" ( così titolavano i giornali proprio q uella settimana) , a-veva parlato persino la televisione.

Portata strumentalmente in primo piano da q uanti in Italia a-vrebbero voluto estrometterla in maniera definitiva dalle scuole statali, essa era in realtà solo un aspetto particolare del confronto

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ben più vasto in atto tra le forze interessate al futuro della forma-zione delle nuove generazioni.

Sinistra storica, moderati e destre avevano schierato nomi im-portanti di accademici e studiosi. Comunisti e radicali sembravano voler dar fuoco alle polveri, evocando la fine del regime concorda-tario.

- N on sarà facile, ma mi sento preparato. Mercoledì vado ad i-scrivermi a F ilosofia. T ra q uattro anni, se tutto va bene, sarò dottore. D a q uesto mese, finalmente, potrò versare in casa la mia q uota - concluse Cristiano.

La madre si mise all’acq uaio. Cristiano, godendo della soddisfa-zione che aveva letto negli occhi dei suoi vecchi, uscì a fare q uattro passi sul tratturo dietro casa.

V enti minuti dopo, compiuto il solito giro breve ( andata fino ai due pioppi gemelli in fondo alla campagna e ritorno verso la strada sul cavino parallelo, trecento metri più a sud, sbucando sotto le nogà re* della cascina in cui era vissuta per decenni q uella santa don-na di zia V eronica, sorella del nonno) , si fermò q ualche istante al capitello della Madonna del R osario.

Q uanta dolcezza e consolazione aveva distribuito q uel volto di giovane madre circondato da dodici stelle.

Consacrato un anno dopo la nascita di suo padre, il sacello a-veva accolto la venerata immagine una domenica di ottobre, raccontava la cronistoria parrocchiale, portata a spalle in processio-ne dal popolo partendo dalla chiesa del paese.

Mormorata un’ A v e ‘ di gusto’, come diceva sua nonna, rientrò . Il suo primo pomeriggio da lavoratore della scuola si riempì di

materiali utili da consultare. Scartabellando dispense, libri e ritagli di giornale, si soffermò

su un articolo dedicato alle ricadute filosofiche del teorema di Gö -del sul problema della verità .

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D edicò più di mezz’ora alle confutazioni della teoria di Monod sull’origine della vita formulate dal N obel Ily a Prigogine e alle noti-zie sulla neonata scienza del caos.

Calavano le prime ombre sulla pianura veneta. E ssa pare rispondere ogni sera al tenero abbraccio del maesto-

so anfiteatro che va dal Montello alle D olomiti V icentine. Alle cinq ue e trenta avvertì il bisogno d’uscire e si mise in mac-

china. D ietro alle nere guglie occidentali il tramonto dava spettacolo,

con splendide eruzioni di cremisi che si perdevano nel turchese. Giunse presto alla piccola chiesa del paese vicino, resto di un

convento di Z occolanti della fine del Q uattrocento. L’umile facciata rifletteva l’ultima luce del crepuscolo. Sullo sfondo, oltre la linea dei cipressi del camposanto, l’onda

blu notte che saliva, lunga, dall’orizzonte orientale sommergeva lentamente uomini e cose.

Per un istante il cuore provò malinconia. Spinse leggermente il portone d’ingresso ed entrò . La chiesa era buia. La lampada ad olio accanto all’altare mag-

giore, nello spazio appena intuibile del presbiterio, rosseggiava tenue, pulsando irregolarmente.

Giunto in prossimità delle balaustre, prima di sedersi su una panca rosa dal tempo si fermò in piedi per q ualche minuto.

L’odore di legno vecchio e cera fusa, lo spazio pregno di anti-che e recenti preghiere popolari, la densità del silenzio da cui si sentiva avvolto aiutarono presto le sue facoltà a convergere in un punto interiore, mentre si spegnevano gli echi della giornata.

D opo una decina di minuti q ualcuno accese alle sue spalle una luce che lo riportò al presente dell’orologio.

E ra il parroco del luogo. Percorsa rapidamente la corsia laterale opposta, q uesti salutò

con un gesto del capo e scomparve in sacrestia, lasciandosi dietro

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q uella scia invisibile di solitudine consacrata che gli sembrava d’aver imparato a riconoscere servendo da chierichetto all’altare.

U scito di chiesa, si fermò all’osteria della sua borgata. V i si recava di tanto in tanto, per non perdere il contatto con

paesani che solo in q uel locale gli era possibile incontrare. O ffrì del frizzantino ai due avventori presenti e accettò la lunga

sigaretta straniera con filtro offertagli da Armando, suo coetaneo, che parlava strascicando un po’ le sillabe.

Suo compagno di classe alle elementari, faceva l’ambulante di mercerie e aveva l’aria del giovane che sa valutare costi e opportu-nità . N on avrebbe mai conosciuto i voli mentali indotti dalla lettura dei grandi pensatori del passato, ma in q uel momento li univa la cortina di fumo e il ricordo dei momenti di fanciullezza trascorsi sui banchi con il foro per il calamaio, ai tempi in cui erano ignari della strada che ciascuno avrebbe intrapreso da grande.

Stringendo le palpebre, con un sorriso un po’ teatrale e l’aria di colui che apre uno sq uarcio di futuro, profetizzò che «a mé cl as s e* » si sarebbe ora visto in giro ancor più raramente.

Alle 6 : 3 0 del mattino successivo suonò la sveglia: era il giorno

del suo battesimo dell’aula. La scelta della polo dalla tinta adatta, combinata con la giacca

meno usata, la pulizia degli occhiali, inseparabile protesi che gli in-corniciava il naso dall’età di q uattro anni, il colpo di spazzola ai riccioli castano chiari, non più tanto folti; un’occhiata allo specchio, a scorgere eventuali tracce di sangue coagulato dopo la rasatura. Sorrise a se stesso compiaciuto.

Scese poi in cucina per la colazione. Alle 7 : 3 0 accese il motore dell’auto. La madre lo salutò con un

po’ di trepidazione. In una decina di minuti giunse in vista della cinta delle mura

cittadine, immergendosi in un traffico che gli sembrava in perfetta

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sintonia con la voglia d’aggredire la giornata che si sentiva nei mu-scoli e nelle vene.

T agliò a destra per una viuzza a senso unico che immette diret-tamente nel parcheggio centrale.

La segnaletica orizzontale, tracciata di recente, contrastava bru-talmente con la severa verticalità delle cortine e dei bastioni medioevali, la muscosità del verde delle rive, le trasparenze dell’acq ua delle fosse: larghe linee giallo canarino delimitavano l’area del gran piazzale lastricato in porfido e i relativi posti mac-china.

La statua del fondatore della cittadella, anche q uel mattino, sogguardava accigliata la serie di vecchi edifici terminanti in basso con q uattro seq uenze di portici.

Posteggiata l’auto, superò d’impeto il ponte di Porta T revisana: la prospettiva disegnata dalla successione delle facciate dei palazzi cinq uecenteschi sul corso centrale non gli era mai parsa tanto ele-gante.

Persino la facciata ottocentesca del Liceo scientifico ‘ T iziano V ecellio’ sembrava meno austera.

U na piccola folla di studenti in attesa vociava rumorosamente sotto il portico e in mezzo alla strada.

Suonò il campanello. D opo q ualche istante, comparve un bi-dello. Mutata divisa, non avrebbe sfigurato davvero in un manifesto d’epoca che recasse titolo "Il carabiniere".

Cristiano si identificò come nuovo insegnante. Il sorriso bonario dell’addetto all’accoglienza mattutina e

l’impressione di ordine che i vecchi ambienti scolastici trasmettono fin dal gradino d’entrata si fusero in uno, mentre cercava di ricor-dare le sensazioni che q uell’ambiente gli aveva trasmesso le rare volte che vi si era recato a portare o a ritirare documenti.

Il preside era occupato. Si presentò in segreteria.

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U na signora ancor giovane lo accolse con un sorriso sincero. Si sapeva del suo arrivo e l’orario settimanale era già sul tavolo.

- Il professor Milani? B en tornato. È stato nostro studente al Classico, mi hanno detto... Alle 8 : 1 0 l’aspettano in Q uinta A. E cco i suoi registri. L’elenco degli alunni lo troverà nel registro di classe. Per l’appello, s’intende...

La segretaria guardò il giovane con aria materna. - È al suo primo incarico, vero? - Si nota molto, signora...? - chiese Cristiano, tendendo la ma-

no. - Lisanna. V edrà : si troverà bene. Adesso è meglio che vada. Il

preside V allerini non ammette deroghe, in fatto di puntualità . Potrà passare dal suo ufficio al termine delle lezioni.

U scito dall’ufficio, si fermò a guardare la copertina celeste di uno dei dieci fascicoletti. A caratteri neri arrotondati era scritto:

"Liceo scientifico T . V ecellio - R egistro del Professor ...". L’appellativo faceva il suo effetto. Suonò la campanella. Q ualche istante dopo gli scalini che da-

vano sul ballatoio del secondo piano vibrarono per il rapido salire di decine di giovani piedi.

Giunse in cima e, appoggiandosi alla parete, lasciò passare la torma sopraggiungente.

E ra il piano delle Q uarte e delle Q uinte. La voce del nuovo arrivo era girata. D ue minuti dopo, infatti,

uno studente un po’ più alto di lui, erompendo da un’aula, lo af-frontò con fare esagitato, parandoglisi contro a meno di un metro di distanza e sfoderando una bestemmia che fu udita distintamente dagli astanti:

- Ci ha pensato bene, prima d’accettare l’incarico di sostituire fra Paolo? – proseguì il giovane, con forzata concitazione.

Cristiano collegò il nome pronunciato con aria di sfida a un fra-te che aveva sentito nominare da uno studente incontrato mesi

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prima nella sala d’attesa del medico di famiglia e che gli era stato menzionato dal vicario.

D opo q ualche anno d’insegnamento nella scuola, doveva aver ricevuto una nuova obbedienza.

La bestemmia, invece di turbarlo, lo incuriosì . "Che studente sarà mai q uesto? B estemmie al liceo… " pensò

tra sé . F issato negli occhi il portatore della penosa ambasciata: - Scusa - replicò , come nulla fosse stato - dove sta la Q uinta A? Il ragazzone, dopo un attimo di sorpresa, rientrò in classe

scornato, portando ridicolmente i pugni chiusi sopra la testa e bo-fonchiando parole miste a suoni inarticolati.

Grandi etichette di plastica ingiallita sopra le porte indicavano le diverse classi. T rovata la sua, decise di far pesare la sua prima entrata in aula da insegnante.

" F ortu na au d aces ad iu v at , dicevano gli antichi...". Il professor Cristiano Milani, suonata la seconda campanella,

indugiò sull’uscio giusto il tempo per guardare ed essere guardato in faccia dagli studenti che aspettavano in piedi.

Alle 8 : 0 6 entrò in silenzio, salì sulla pedana, e si fermò dietro alla cattedra.

Il movimento gli riuscì naturale, al punto che se ne stupì : era passato di colpo dall’altra parte. Intuì d’un lampo che la sua giovi-nezza, o ciò che di essa gli restava da conoscere, da q uel gesto in poi sarebbe risuonata della tipica vibrazione da responsabilità as-sunta.

Si rivolse al gruppo con un sorriso accogliente: - Seduti! - B uon giorno, signori! - continuò , dopo aver dato uno sguardo

intorno. - Sono Cristiano Milani e, come il mio nome tende ad indicare,

sono il vostro nuovo insegnante di religione. O gnuno di voi è una

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persona adulta e come tale va trattato. E sigerò , q uindi, che ci si comporti come tali. Passiamo all’appello.

All’appello seguirono le presentazioni. - D a oggi sono uno dei vostri insegnanti: q ualche anno di età in

più e un certo numero d’esami di teologia possono preparare espe-rienze come q uelle che, spero, vivremo insieme per un’ora la settimana nei rispettivi ruoli di docente e discenti.

L’ultima parola la giocò ad effetto. I volti degli studenti s’erano fatti attenti: studiare le prime mosse di un giovanissimo docente era pur sempre una curiosità da soddisfare. I sorrisetti irriverenti col compagno di banco per il momento erano rinviati.

A liberare il campo da ogni rischio di sottovalutazione, conti-nuò :

- So leggere il greco antico e il latino, amo la teologia e studierò filosofia dal mese prossimo all’U niversità di Padova. L’anno pros-simo sarò collega di q ualcuno di voi, probabilmente. Che cosa v’aspettate dall’ora di religione per q uest’ultimo anno di scuola su-periore?

Il vantaggio era palpabile. B astava gestirlo con saggezza. O ccorreva valutare rapidamente la forza di pressione psicologi-

ca della parte femminile, numericamente prevalente, e rivolgersi subito ad una studentessa, per saggiare il terreno.

V olgendosi alla più vicina tra q uelle sedute in prima fila, la salu-tò chinando lievemente la fronte.

- Mi può dire, signorina...? - Chiara - completò cortesemente l’interpellata, abbozzando un

sorriso di sufficienza. Lunghi capelli lisci, neri come gli occhi, in-corniciavano l’ovale di un viso dai lineamenti sottili.

- Mi può dire, signorina Chiara, chi è stato il vostro ultimo in-segnante di religione e q uali argomenti sono stati toccati in Q uarta?

- Il suo predecessore è un frate di nome Paolo, che si sta spe-cializzando in neuropsichiatria. D urante le sue ore riusciva sempre

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ad ottenere l’attenzione, nonostante spesso le nostre intenzioni fos-sero altre. Gli argomenti trattati erano per lo più di carattere ...

- ... sessuologico...- completò Guglielmo, il giovane che aveva provveduto alle prime presentazioni, fuori dell’aula.

- Può spiegarsi meglio? Il dialogo era avviato e proseguì con liberi inserimenti da parte

dei compagni. T ratteggiata in modo da far venire a galla la notevole dose di noia stivata nei meandri della memoria, la ricostruzione degli ultimi due anni di religione in classe occupò lo spazio di un q uarto d’ora abbondante.

Spezzoni di cronistoria e valutazioni piuttosto critiche facevano intuire che sarebbe stato arduo riq ualificare l’ora di religione nella mente di studenti giunti all’ultimo anno di scuola.

Col passare dei minuti Cristiano si accorse che il comando della nave, per il momento, gli era stato tacitamente concesso. L’atten-zione di tutti si poteva leggere negli sguardi che commentavano gli interventi stimolati dall’estemporanea intervista condotta dal nuovo insegnante.

Al primo impatto egli dimostrava di possedere eloq uio spiglia-to, voce gradevole e un’inaspettata attitudine all’ascolto.

Ad un certo punto, Chiara formulò la domanda che Cristiano s’attendeva:

- E Lei che cosa propone di fare? - V oi, che cosa vi aspettate? Seguì q uel silenzio che i giovani sanno fare q uando hanno da-

vanti un interlocutore che regge, per carisma o per arte, all’urto di un gruppo consolidato.

N on protetto dal potere di dissuasione del voto sul registro, Cristiano aveva scelto di differire il momento in cui avrebbe mo-strato le armi di cui disponeva.

- A prescindere dal taglio particolare col q uale nel passato può essere stato affrontato il tema della sessualità , informo la classe che

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le prime dieci lezioni saranno dedicate all’analisi teologico-biblica del Cantico dei Cantici, che troviamo inserito, più o meno appro-priatamente, tra i libri sapienziali della B ibbia. Proporrò alcune attualizzazioni di tipo antropologico ed etico. Chi l’ha letto o ne ha sentito parlare?

U na ragazzina bionda, minuta, occhi chiari, in fondo alla classe, prese la parola:

- Che cosa le fa pensare che noi accetteremo di leggere in classe la B ibbia?

“Ci siamo...” pensò Cristiano. Controllando bene il respiro, si dispose a convincere: - Come hai detto che ti chiami? - N adia Candiani - rispose la ragazza, in atteggiamento d’attesa. - Credi che interesserebbe a te e ai tuoi compagni scoprire co-

me uno degli autori della B ibbia concepiva una delle due esperienze più coinvolgenti della vita umana, l’amore di coppia?

La controdomanda gli aveva restituito il vantaggio: la risposta avrebbe comportato un impegno.

I maschi della classe si astenevano dall’interagire: chi per timi-dezza, chi per l’impossibilità di reggere al confronto di maturità sul tema con le compagne, chi, come Guglielmo, per la tentazione fru-strata di fare la solita battutina scema.

- Credo che occorrerà badare al come costruire la nostra lezio-ne - riprese, da alleato, Cristiano - Per tutti noi, credo, l’esperienza dell’amore di coppia, già incominciata o solo sognata, o q uella futu-ra di maternità o paternità , non sono riducibili a pura istintività di tipo animale. A maggior ragione potrebbe essere interessante sco-prire come nel mondo biblico, con notevoli differenze rispetto all’esperienza dell’ è ros greco o ellenistico, la centralità di q uesto tema attinga suggestioni e bellezza proprio dall’innesto nella trama dei rapporti tra D io e l’uomo. Q ualcuno, forse in maniera riduttiva - introdusse dottamente Cristiano -, ha definito il Cantico dei Can-

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tici il libro erotico della B ibbia. Per altezza di poesia e acutezza d’intuizione, q uest’opera si colloca tra le più importanti del genio artistico umano in materia. Come sia possibile considerarla parola di D io è cosa che vedremo insieme, naturalmente.

- La proposta potrebbe anche essere interessante. N adia, portato indietro il ciuffo che le cadeva sugli occhi con

un leggero movimento della mano, non riusciva a tacere. - E se decidessi di non partecipare alla lezione... che so... per

incapacità di reggere il catechismo? Io non sono credente, o alme-no non mi pare d’esserlo più . Sicuramente non sono praticante.

- Ma potresti decidere di fidanzarti o, come si dice oggi, di met-terti insieme a q ualcuno. Le parole della Sulammita potrebbero venire utili... - osò dire Cristiano.

- Già deciso, già deciso... - confermò Guglielmo a voce bassa, lanciando un’occhiata furbesca alla compagna.

N adia lo fulminò con uno sguardo. Cristiano proseguì indisturbato la sua dichiarazione d’intenti e,

a pochi istanti dal segnale della campanella, concluse: - Al di là di ogni discorso possibile, abbiamo circa venticinq ue

ore di vita da vivere insieme. C onv ers are , se ben ricordo, significa vivere insieme. Potremmo ignorarci a vicenda o sopportarci pieto-samente. O ppure fare di q uesto tempo un’opportunità preziosa per l’approfondimento delle ragioni che rendono la vita umana degna d’essere vissuta.

E guardando un punto imprecisato sul piano della cattedra: - Signori, q uesta era la mia prima ora d’insegnamento. R ingra-

zio per l’attenzio... -. Suonò la campanella. - ...ne e per l’accoglienza. È stato un piacere. B uon giorno! -

disse, guardando Guglielmo con cordialità .

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Q uesti ricambiò , tra il perplesso e il pentito. La bestemmia era dimenticata. Salutato educatamente dai più vicini, Cristiano uscì dall’aula, stringendo forte la maniglia della ventiq uattrore.

L’avventura era iniziata. R iempì un’ora buca con un veloce passaggio in banca, ad aprire

il suo primo conto corrente, e con una capatina al bar di fronte. Poi, due ore in Prima e Seconda A, trascorse riversando sui giova-nissimi allievi l’entusiasmo dell’insegnante alle prime armi.

Sui tetti ora rimbalzavano i tocchi festosi del mezzogiorno, provenienti dal campanile q uattrocentesco, perno del mirabile meccanismo architettonico costituito dalle mura con i loro trenta-due rilievi turriti.

O ccorreva andare all’incontro col preside. Il suo primo contat-to, da lavoratore, con un superiore.

Prima di bussare alla porta gli balenò nella mente q ualcosa a cui non aveva mai pensato: si vide coi capelli bianchi e le spalle un po’ curve, dopo trentacinq ue anni d’insegnamento, uscire di scena con una vecchia borsa di cuoio in mano, in un giorno q ualsiasi, senza alcuna festa d’addio.

“In fin dei conti, q uesta non è l’America...” pensò . Q uanto poteva contare un insegnante fresco di nomina, per un

preside come il prof. V allerini, nel pieno dell’età e con fama d’intransigente, il q uale, rimossa dentro di sé ogni traccia dell’insegnante di Lettere d’un tempo, impersonava l’autorità scola-stica centrale con cipiglio da ministeriale?

Avrebbe cominciato a scoprirlo l’attimo successivo. L’ “avanti!” gridato con voce un po’ stridula suggeriva che la

prima regola da osservare da parte di ogni nuovo elemento del corpo docente era q uella di non creare problemi alla presidenza.

L’atteggiamento della persona imponeva la distanza. - B uongiorno, signor preside.

C L A U D I O A N T O N I O B O S C O

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Sono Cristiano Milani, insegnante di religione. Alla mia prima esperienza d’insegnamento.

- B uongiorno - rispose il capo d’istituto dall’ampia poltrona in finta pelle, sq uadrando il giovane con occhio indagatore.

D urante la ricreazione la bidella Giovanna, sferruzzando tran-q uillamente nel sottoscala del primo piano, aveva accennato al carattere aggressivo del dirigente e all’uso di informatori scelti tra gli elementi del personale ausiliario affetti dal complesso del subor-dinato a vita.

- So che in segreteria le hanno consegnato l’orario. Certamente svolgerà il suo lavoro con la consapevolezza del ruolo che le è stato affidato in un liceo come il nostro.

Sq uillò il telefono. - Mi scusi, devo licenziarla. Le auguro di rendersi utile ai nostri

studenti - concluse tendendo la mano - ...e mi raccomando la pun-tualità !

L’insofferenza istintiva nei confronti delle più noiose manife-stazioni dell’autorità si manifestò improvvisamente a Cristiano come componente sin prima sconosciuta del suo temperamento.

- Porto sempre l’orologio - gli venne spontaneo rispondere - Arrivederla, signor preside!

Girandosi verso la porta ebbe il tempo di leggere l’effetto della sua reazione sul viso del superiore.

“Mai farò il preside” commentò tra sé divertito, chiudendo la porta alle sue spalle.

C A P I T O L O T E RZ O Iniziava la seconda settimana di scuola e alle 8 : 0 9 del mattino la

lezione non era ancora cominciata. “Il ritardo sarà anche dovuto al traffico e ai mezzi pubblici... I

minuti di lezione così diventano q uaranta...” pensò tra sé Cristiano, preparando le parole adatte ad accogliere i ritardatari della 5 B .

Q ualche istante dopo arrivarono in sei, recando regolare giustificazione. - Signori, buongiorno! N el caso il ritardo si ripetesse, sarò co-

stretto a chiedere di anticipare la partenza da casa - disse con voce monotona, in tono formale.

Alle orecchie dei ragazzi q uelle parole suonarono come una provocazione.

- Professore, siamo maggiorenni e potremmo chiedere l’esone-ro dalle sue ore. Il ritardo non dipende dalla nostra volontà .

Chi parlava, il volto seminascosto dalla testa bionda di una compagna, pareva lo facesse come se la faccenda non lo riguardas-se direttamente, q uasi con noncuranza. La sfida era nell’aria.

- Lei è Z anon, vero? Il professore cercò conferma del nome sul registro. - Giorgio - precisò il ragazzo, scostandosi un poco per farsi ve-

dere. - Senta, Giorgio. Anche a scuola la responsabilità è perso-

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nale, come personale è il giudizio di presentazione all’esame di maturità che il docente è tenuto a formulare. Anche q uello dell’insegnante di religione.

L’avvertimento era stato lanciato. La partecipazione al dialogo educativo forse si sarebbe fatta attendere. La puntualità era co-munq ue un elemento irrinunciabile.

N on era difficile intuire che le consuetudini in classe erano sta-te altre.

Gli anni precedenti - Cristiano non poteva ancora saperlo - la ‘ pausa’ di religione era servita per attardarsi in corridoio, guardarsi allo specchietto da trucco, scambiare coi compagni dei banchi vici-ni q uattro chiacchiere aspettando l’ora successiva o per giocare una partitina a carte in fondo all’aula.

Come poteva l’ultimo arrivato pretendere di modificare le co-se? In nome di che, poi?

In aula non ci furono altre reazioni e a Cristiano la cosa sembrò finire lì .

La sollecitazione alla puntualità in 5 B durante la ricreazione era

passata velocemente di bocca in bocca, tra panini e brioches divo-rati famelicamente.

- Ci penso io! Seduto sul q uinto gradino della scala antincendio, X avier, lon-

gilineo e chioma di riccioli neri a sfiorare le spalle, era il leader riconosciuto delle Q uinte.

Per i lineamenti sottili, la singolare magrezza, il portamento di-stinto e la bendina nera appena nascosta da un ricciolone ribelle era riconoscibile tra molti, nel rumoreggiare della piccola folla stipata all’inverosimile nei 9 0 mq . del cortiletto chiuso della scuola.

- Che intendi dire? - fece Guglielmo. - N ella vostra aula il nostro prof non ritornerà prima di merco-

ledì . C’è tempo...

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U n lieve ghigno ironico accompagnò le parole del giovane, prendendo il posto del solito indefinibile accenno di sorriso. La ricreazione del mercoledì successivo venne a soddisfare la

curiosità dei ragazzi di 5 A. - Che avete combinato? - chiese Guglielmo smaniando dalla

curiosità . - X avier ha tentato una mossa psicologica. N on collabora-zione

di classe, resistenza passiva, indifferenza programmata... N iente! - rispose gesticolando visibilmente Simonetta.

Il corridoio rimbombava del chiasso di decine di voci. R accogliendo nell’elastico verde fosforescente i capelli biondo

chiaro, la ragazza mise involontariamente in evidenza la curva del seno sotto la maglietta firmata.

- N on farti venire male agli occhi! - impose la ragazza, arros-sendo un poco.

- X avier non se ne darà a male di certo! - replicò maliziosamen-te Guglielmo.

- E q uindi, se ben capisco, non avete fatto meglio di noi! - con-cluse impaziente il ragazzo, aspettando spiegazioni.

- La cosa incredibile - riprese Simonetta - è che il prof ha sfida-to i maschi. Secondo lui, i maschietti della nostra classe non sembrano valere granché , agonisticamente parlando. T roppe siga-rette e poche tute da ginnastica il martedì . H a citato il giudizio del prof di Ginnastica al consiglio di classe. Poi ha chiesto a bruciape-lo: ‘ Chi guida tra voi?’. X avier ha elencato i nomi di q uelli che hanno già la patente. Sai come ha replicato, q uello?

L’attenzione di Guglielmo era totale. - «U na sfida regolare, a mezzanotte, partendo dal centro stori-

co, doppio giro intorno alle mura, arrivo nel parcheggio del ristorante da B onvesin». N on a piedi, ovviamente! Se arriva primo

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lui, con la sua 1 2 7 a doppia alimentazione, si collabora a regime per tutto l’anno. E ha concluso: «Chi non ci sta?».

Lo sguardo di Guglielmo da incredulo s’era fatto sbalordito. La bocca gli si era aperta involontariamente, in un’espressione che lo rendeva assolutamente buffo:

- Chiudi la bocca, se non vuoi che q ualcuno pensi storto e Mar-tina s’ingelosisca.

La ragazza fuggì via come un passero attardatosi per un i- stante di troppo alla pozzanghera d’acq ua. "Cos’ha detto q uello?" si ripeté Guglielmo, fissando il muro

verdognolo a tinta lavabile. Immaginò se stesso sulla scena della gara: con la felpa gialla in mano, a mo’ di bandiera, dava il "V IA" all’incredibile disfida.

Proprio in q uell’attimo partì il suono ringhioso e metallico della campanella di fine ricreazione.

"Che ci sia capitato un matto?" pensò . Si riprese subito, pensando che X avier e compagni disponeva-

no di mezzi di cilindrata superiore. "E se la 1 2 7 è T O P e q uello ci sa fare, che succederà ?".

La prospettiva di un’attenzione dovuta alla lezione del prof di religione per la prima volta in più di q uattro anni gli s’imponeva come possibile. T anto bastava ad metterlo in agitazione. D oveva farsi spiegare subito la cosa da X avier.

Q uesti gli venne incontrò X avier dai bagni. - H o sentito Simonetta... - È proprio come ha detto lei. N on preoccuparti: la Lancia di

papà non teme confronti. Ci siamo informati: la 1 2 7 del prof è normale. E poi c’è l’Alfa di Luigino.

A Cristiano mancavano i soldi, non il cuore saldo. Q uella sera, però , il pensiero della gara notturna gli chiudeva la

bocca dello stomaco.

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Al volante talvolta aveva sfiorato il confine della temerarietà , ma non era un irresponsabile. La preoccupazione che, nella foga, q ualcuno provocasse un incidente o che q ualche volante incrocias-se dalle parti del ‘ circuito’, fu tacitata solo dalla fede nell’intervento degli Angeli Custodi.

N onna Maria gliela aveva inoculata da bambino e riteneva di aver beneficiato già q ualche altra volta dei segni della loro invisibile presenza.

Come q uella volta che, q uattordicenne, stava per offrirsi di ac-compagnare il papà , stanchissimo q uella sera, a fare la notte di guardia in fabbrica.

L’aveva fatto altre tre o q uattro volte, con un certo orgoglio, dormendo su una brandina da campo nell’ufficio della sorveglianza.

U n «N o!» perentorio, avvertito dentro di sé , l’aveva trattenuto, q uella sera di gennaio, ed era andato a dormire un po’ preoccupato.

Aveva preso sonno verso le ventidue e trenta. Mezz’ora dopo era stato svegliato dalla voce ansiosa della

mamma: papà aveva avuto un brutto incidente. N ella notte di luna piena un autista ubriaco che scendeva da Montebelluna a fari spenti e a tutta velocità aveva investito in pieno la fiancata della robustis-sima F iat 1 1 0 0 bianca vecchio modello, catapultandola contro un platano a q uasi due metri di altezza.

Prima di svenire per l’impossibilità di respirare liberamente, Angelo aveva raccomandato a D io l’anima e la famiglia.

Il giorno dopo, nel cortile dell’officina del meccanico di fiducia, Cristiano aveva potuto riscontrare come lo spazio che avrebbe do-vuto occupare il suo corpo nell’abitacolo sarebbe bastato ad una sogliola.

Sarebbero morti entrambi, orribilmente schiacciati l’uno contro l’altro, visto che la portiera del guidatore aveva retto.

Premettendo una giaculatoria, prima di recarsi alla sfida aveva concluso tra sé : "O rmai non posso più tirarmi indietro...".

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Q uanto c’era in lui di temerario lo doveva al sangue materno: le avventure alpinistiche giovanili di due zii e la carriera pugilistica interrotta per eccesso di aggressività di un terzo parente stretto sta-vano a indicarlo.

Il coraggio gli proveniva dalla linfa paterna: tre anni prima s’era trovato ad affrontare, a colpi di dialettica e di sguardi decisi, i ‘ neri’ su H onda e K aw asak i del centro città , giunti all’improvviso, rom-bando, in spedizione punitiva contro i ‘ rossi’ del centro giovanile di periferia dove aveva prestato servizio volontario per due estati con-secutive.

La faccenda s’era conclusa con un bicchiere rotto, due bottoni della camicia saltati e una bicchierata finale pagata dagli otto am-mazzasette in giubbotto e pantaloni di cuoio, in onore del coraggioso ‘ cattolico’ che, da solo, dietro il bancone del bar, aveva preso le difese degli atterriti preadolescenti impossibilitati a fuggire dalle finestre protette da sbarre.

N el medesimo periodo s’era cercato delle grane per solidarietà con la gente del suo paese, infastidita dall’annunciato insediamento di una conceria in un’area del territorio del comune limitrofo desti-nata ad accogliere capannoni artigianali.

L’industria sarebbe sorta nelle vicinanze dell’asilo parrocchiale, che sorgeva sul confine.

Alberto, suo lontano parente, già coinvolto in una faccenda con la giustizia in q uanto giovanissimo aderente di Autonomia ope-raia, aveva ricevuto l’invito a presentarsi nella caserma dei carabinieri per controfirmare l’invito a comparire per difendersi dall’accusa di diffamazione.

D urante una manifestazione che aveva l’intento di far recedere la giunta dalla concessione edilizia alla società in q uestione, era sta-to fotografato, come altri tre manifestanti, alla guida del trattore messo a disposizione dal padre di Cri-stiano. Sul mezzo campeg-

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giava un cartellone di tono non diverso dalle decine di altri che e-rano sfilati per le vie del centro.

Il ragazzone bruno, dall’aria perennemente pacifica, gli si era presentato alq uanto abbattuto: sedici anni erano davvero pochi per reggere a due procedimenti nel giro di tre mesi.

Cristiano lo aveva rassicurato: q ualcosa avrebbe fatto. In fin dei conti si sentiva responsabile, avendo partecipato fattivamente all’organizzazione della protesta.

Il giorno dopo s’era recato dal maresciallo Luparelli, un umbro-toscano che risiedeva da parecchi anni nel suo paese e aveva chie-sto che fosse sostituito il nome di Alberto con il suo. Il cognome rimaneva uguale.

Il carabiniere lo aveva guardato un po’ sorpreso e l’aveva avvi-sato: le cose si sarebbero potute chiudere con forte svantaggio per lui. Cristiano, intrepidamente, aveva confermato la sua decisione.

D ue mesi dopo, insieme agli altri, aveva ricevuto dal tribunale l’avviso di comparizione, con l’indicazione di farsi accompagnare da un avvocato. Se impossibilitato a difen-dersi, il tribunale avreb-be provveduto a nominare un avvocato d’ufficio. Il capo d’accusa: diffamazione a mezzo cartelloni.

Q uello che ormai lo riguardava riportava la caricatura di un improbabile fuorilegge del vecchio W est.

Il sindaco si era sentito offeso da alcuni epiteti che, allegorica-mente, intendevano criticare aspramente la decisione assunta.

F u sollecitata l’intercessione del parroco presso l’offeso. E d era venuto pure il severo giudizio del suo confessore, con la raccomandazione di pregare la V ergine del B uon Consiglio in future occasioni. V arcando per la prima la soglia di un tribunale, una tachicardia

mai provata prima gli aveva reso difficile il respiro. E rano usciti q uasi subito, per fortuna, per il ritiro della q uerela,

barattato con scuse firmate e una ritrattazione comparsa poi sui

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giornali locali in un testo sapientemente trasformato dall’avvocato dell’accusa.

All’osteria, il vecchio B epi Gato, ex consigliere comunale dei tempi della ricostruzione, con la sua colorita retorica di balbuziente era sbottato:

- V o-vo- vo- vorrei ve-ve-ve- ve-ve dere il dì della la-la-la fi-fi fiii- fine di q u-q u-q uesti po-po- popo- politiconi. La-la lala lali- libe- bebe-be- rtà di papa- pa- papa- parola! Perdiana! Riv arà ch el d ì ... s a-cranón *!

La conceria, meno di due anni dopo, era diventata una fabbrica di minuterie metalliche. Si avvicinavano le elezioni e la gente aveva imparato a non nascondere il malumore.

Il gruppetto dei testimoni delle due Q uinte era più numeroso

di q uanto Cristiano si potesse aspettare. Martina, di Q uarta A, si accompagnava a Guglielmo, naturalmente.

O tto ragazzi e q uattro ragazze. Consapevoli che la faccenda andava risolta dai maschi, q ueste ultime si tenevano in disparte.

Arrivando con l’auto da Porta Sant’Andrea, Cristiano si fece un segno di croce: “Speriamo bene” disse a se stesso per incoraggiarsi, raggiungendo il lato della piazza dov’erano parcheggiate le auto rivali.

- Pensavamo che non venisse...- accennò X avier, con un sorri-so che sembrava anticipare l’onore delle armi reso all’avversario battuto.

- Mi raccomando: guidare con attenzione - rispose Cristiano, nervosamente.

O h! N on aver mai lanciato una sfida del genere! La memoria, per anni, gli avrebbe fatto riprovare la tensione di q uella notte d’az-zardo.

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X avier riprese: - Partiti che siamo, Antonio, con la F ulvia di suo padre, ac-

compagna le ragazze all’arrivo, badando a non intralciare la gara. E rivolgendosi a Cristiano: - Al dodicesimo rintocco della mezzanotte Guglielmo la farà

partire per primo. La sua utilitaria ha bisogno di un certo numero di secondi per raggiungere una velocità accettabile.

Cristiano, un po’ sorpreso del gesto sportivo, sorrise a labbra strette e pensò :

“Se riesco a girare attorno alle mura senza farmi inq uadrare dai loro fanali, darò la sensazione di poter essere raggiunto al secondo giro. A q uel punto sarò in grado di fare il giro più veloce” pensò .

- O vviamente, al punto di controllo intermedio ci saranno Gu-glielmo e Martina. V inca il migliore!

X avier era talmente sicuro di sé che Cristiano, prima di risalire in auto, pensò di chiedergli l’età : q ualcosa gli diceva che lo smilzo era più anziano dei compagni.

- Guido da più di un anno, se è q uesto che vuol sapere. Ciò non cambia nulla, è vero? - rispose X avier in tono divertito.

- D ieci secondi di vantaggio - sentenziò Guglielmo, con l’aria del commissario di gara che ha scommesso su una vittoria facil-mente prevedibile.

Mancavano due minuti alle 2 4 . Cristiano accese il motore e girò l’alimentazione da gas a benzina.

Il rivestimento interno dell’auto odorava ancora di nuovo e la luce arancione dei lampioni dava alla scena la definitezza di con-torni che assumono le cose q uando si è in condizioni di esaltazione mentale da troppo studio.

Il pieno delle discoteche garantiva, fortunatamente, il deserto notturno nelle vie della tranq uilla cittadina di provincia.

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Allo scoccare dell’ultimo rintocco, senza sgommare e tirando in progressione le marce, Cristiano lanciò l’auto su V ia del T eatro.

Al passaggio davanti alla scuola pensò : "Avrò la vostra atten-zione... se q ualcuno prima non mi farà cambiare lavoro!" e sfrecciò oltre, badando a non perdere tempo nel cambio di marcia all’uscita da Porta Sant’Andrea.

A Porta Asolo arrivò in q uarta tirata e decise di far imballare il motore, senza ricorrere ai freni. Li toccò una decina di metri prima della curva, scalando in terza a curva iniziata: la sbandata fu di lieve entità . “Le bombole del metano zavorrano in curva!” verificò con una punta di soddisfazione, controsterzando per riprendere la traiettoria.

D ecise di non guardare lo specchietto retrovisore e di econo-mizzare ogni frazione di secondo. La curvatura pressoché continua della prima parte del percorso costringeva a passare dalla q uarta alla terza e viceversa per affrontare ogni singolo q uarto di anello senza perdere in velocità . “D ovranno lavorare molto di freni, con la terza lunga che si ritrovano... se non vogliono sbandare di brutto o anda-re in testacoda...” .

Al primo passaggio non si accorse nemmeno della posta- zione di Guglielmo. Al secondo, Guglielmo si sbracciava buffamente, q uasi volesse

farsi notare: “Sono a buon punto, forse...” pensò Cristiano. Solo allora diede un’occhiata fulminea allo specchietto retrovi-

sore: dei fari degli inseguitori manco l’ombra. Prima d’imboccare il lungo rettilineo finale fece urlare il moto-

re innestando la seconda. D ai cilindri arrivò un sussulto: "T roppa benzina!".

R imediò con un’accelerata a fondo, a frizione staccata. Mise la terza a curva q uasi completata, recuperando in contro-

sterzo la sbandata segnalata dal fischio lacerante dei pneumatici di

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sinistra. Al massimo dei giri mise la q uarta senza togliere il piede dall’acceleratore, che stava già a tavoletta.

D opo circa centocinq uanta metri gli inseguitori erano diventati visibili nel retrovisore. Stavano recuperando vistosamente, ma il vantaggio era ormai incolmabile. Il moto spontaneo d’orgoglio fu subito ricacciato dal pensiero della responsabilità che si era assunto.

T renta secondi dopo, riducendo bruscamente la velocità , entrò sul ghiaino del piazzale del ristorante, che era in giorno di chiusura.

Messo il piede a terra udì due motori a basso numero di giri en-trare nel parcheggio dietro di lui.

D opo un po’ Antonio e le ragazze raggiunsero gli sconfitti, con espressioni tra il perplesso e il divertito.

X avier e Pierpaolo uscirono lentamente dagli abitacoli delle ri-spettive vetture. Coll’immancabile sorrisetto eginetico, il primo; tentennando il capo, deluso, il secondo.

- Complimenti! - disse sincero X avier tendendo la mano. - B eh! - rispose Cristiano ormai rilassato - con mezzi uguali o

simili non avrei avuto lo stesso buon gioco nei due giri d’anello. - Auto pesanti, in curva continua, esigerebbero strada inclinata

per correre veloci... - sbottò Pierpaolo. - Il prof ha vinto la sfida. D alla prossima settimana la musica

cambia, in aula - concluse sportivamente X avier. La cosa finì in pizzeria, dopo che Pierpaolo sulla statale del

Santo era riuscito a tamponare leggermente ad un semaforo una delle rare automobili circolanti.

Il rispetto per il ruolo dell’insegnante e la puntualità alle le- zioni erano acq uisiti, pensò Cristiano, davanti a una ‘ diavola’

dall’odore invitante. Considerato l’esito della gara, pochi a scuola avrebbero saputo della cosa.

Gustando finalmente la vittoria e ringraziando il Cielo che tutto fosse filato liscio, pensò che dall’ora di lezione successiva avrebbe

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piazzato con estrema precisione le sue provocazioni, valorizzando fino in fondo l’opportunità conq uistata sul campo.

Il tempo della vita di q uei ragazzi dopo la maturità avrebbe la-vorato a favore.

C A P I T O L O Q U A RT O Giovedì , seconda ora, classe 2 B . I volti dei venticinq ue allievi in attesa dell’appello erano inon-

dati di adolescenza. - Sono il vostro nuovo insegnante di religione... E voi? - I ragazzi della mitica 2 B - rispose prontamente un ragazzino

magro e biondo dalla seconda fila. Il sorriso rivelava un filo di timidezza e bontà di cuore. - E tu? - Ludovico Calderaro, 1 5 anni, di Caselle. Sport preferito: mo-

tociclismo su strada. Per ora lo seguo dalla posizione degli spettatori...

E ra evidente che la presentazione adottata da Cristiano nelle classi Prime aveva fatto il giro del biennio.

- Immagino che tu possieda un motorino. - U n 4 8 cc. da battaglia, ma tra q ualche mese arriverà l’Aprilia

1 2 5 ... - E come la mettiamo con il rischio? D al breve ragionamento di Ludovico saltò fuori che la pruden-

za si accompagnava, secondo lui, alla percezione fisica dell’incidente sempre in agguato: il brivido del saperlo vicino e la scarica di adrenalina erogata dalla tensione che esso induce alimen-terebbero la passione degli amanti delle due ruote.

Cristiano riandò , per q ualche istante, ai suoi q uattordici anni. Identica era stata la passione per il motorino, ma in contrada nes-

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suno era mai arrivato a sperare nel passaggio alle 1 2 5 dei sogni, ra-gazza sul sellino posteriore e via! Col vento nei capelli.

N ella piazza del borgo ci si emozionava anche solo per l’odore di miscela bruciata: il rumore dei motori a due tempi parlava al cuore di avventure che forse mai si sarebbero potute conoscere.

"R ispetto ai miei tempi, oggi il consumismo asseconda il desi-derio di libertà dei giovanissimi presentandosi come organico alla sua soddisfazione" non riuscì a far a meno di pensare Cristiano, invidiando un poco le ch ance dell’allievo.

- A q uattordici anni compiuti, con un amico che possedeva un vecchio Califfo, su una vecchia D E M a tre marce perfettamente funzionante, rumorosissima, con la sua brava levetta di disinnesto delle marce usata come antifurto, ho fatto il giro più entusiasmante della mia vita... Girammo per q uattro giorni in provincia e fuori, dormendo q ua e là in casa di amici e conoscenti. T ornammo con la testa rintronata, ma con la sensazione di aver conosciuto un gran pezzo di mondo.

La freq uenza d’onda degli interessi dei maschi era catturata. Cristiano chiese allora di esprimere le attese della classe nei

confronti dell’ora di religione. - Che ci aiuti ad affrontare con maggior serenità i nostri pro-

blemi. Chi aveva parlato era F iorella, terza fila a destra, morettina, vol-

to pallido. Sulle prime gli era sembrata del tutto priva di interesse per ciò che succedeva intorno.

- Il professore ci propone q ualcosa sull’argomento. Ci ascolta e risponde alle nostre domande. R ispetta le nostre opinioni e soprat-tutto non pretende di avere sempre ragione.

- Avete le idee chiare. Possiamo procedere. Seguì l’appello, con la consueta raccolta d’informazioni su

h ob b y e interessi di ognuno.

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Cristiano annotava ogni cosa su moduli che aveva preparato a casa.

Seguì la presentazione del programma dell’anno: - Particolare impegno richiederà il punto che ci occuperà da novembre a febbraio. Lo intitolerei: le grandi domande del l’esistenza e le risposte formulate dalla saggezza umana e dal Cristianesimo. Q ualcuno ha già un’idea di q uali siano q uesti grandi interrogativi? - D a dove veniamo e dove siamo diretti - rispose Monica in

fondo all’aula, una biondina dal mento in aria e l’espressione con-sapevole.

- Come farsi dei veri amici - propose Mirco, sguardo sveglio e peluria incipiente sulle gote.

- E poi? - chiese il professore. Il silenzio rivelava che i cervelli si stavano arrovellando: in

q uella classe non sarebbe stato difficile costruire un itinerario ricco di stimoli.

U n bidello, dopo aver bussato delicatamente, si avvicinò alla cattedra e lasciò nelle mani di Cristiano una circolare del preside in fotocopia, chiedendo una firma di ricevuta su uno stampato mal sortito dalla vecchia fotocopiatrice di servizio.

R accolta la firma, fece per uscire, salutando a mezza voce. - Grazie, signor...? N on conosco il suo nome. - Antonio, professore... Ma, come dicono dalle nostre parti, il

Signor è partito ed è rimasto Antonio, per servirla. L’espressione del volto dell’uomo, prima che sparisse dietro la

porta, assunse un che di dolente e rassegnato. D opo q ualche attimo di silenzio, Cristiano tornò a rivolgersi

alla classe: - Io credo che l’uomo si chieda da sempre chi è ( chi sono io,

proprio io, al di là dei dati anagrafici, con q uesto corpo così forma-to, con q uesto viso...) . Chi è l’altro ( il tu, i tu che incontro ogni

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giorno) . Chi siamo noi ( come gruppo, famiglia, comunità ) . E gli poi s’interroga sul perché delle cose che ci circondano ( il mondo) o che popolano la sua interiorità ( alcuni la chiamano ps ich e , altri ‘ coscien-za’, altri ancora ‘ spirito’) . E q ual è la ragione del nostro infinito bisogno di felicità , di amore, di vita? D entro e dietro a q uesti inter-rogativi emerge finalmente la grande domanda: chi è D io? E siste veramente un E ssere supremo?

Cristiano fece un’altra pausa di silenzio. - U n itinerario di ricerca affascinante, come vedete. E infine le

domande più provocanti, più urgenti: perché esisto? Che senso ha la mia vita? Le domande più dure... q uali: perché il dolore? la mor-te... Per finire con q uelle che invitano a interrogarsi sull’al di q ua e sull’al di là : perché vivere facendo il bene ed evitando il male? O p-pure: c’è veramente un’altra vita, oltre q uesta vita?

Gli passò davanti agli occhi della mente la sua prima ora di filo-sofia al liceo: don Gionata Gramolin, camminando tra le file dei banchi, aveva rapito la sua attenzione raccontando un piccolo epi-sodio.

- U na fredda sera di novembre del 1 9 6 7 ero appena sceso dal treno alla stazione di B erlino. U n formicaio, a q uell’ora, per la q uantità impressionante di persone che uscivano ed entravano fret-tolosamente. Contavo d’arrivare a destinazione prima di cena. Ad un tratto, la mia attenzione fu attirata dal volto di un vecchio tede-sco della Germania E st, barba mal rasata e sguardo vagolante nel vuoto. Seduto su una panchina tra il q uindicesimo e il sedicesimo binario, l’uomo, avvolto in un cappottone marrone scuro dall’aspetto consunto, a intervalli irregolari ripeteva con voce roca: « W aru m? ».

«W arum». Perché ? D a sempre l’uomo si chiede il perché delle cose che accadono, la ragione dell’esistenza di ciò che cresce e muore intorno a lui, di ciò che tocca la sua carne, la carne dei suoi simili. La domanda di senso è un fatto molto umano, tutto umano,

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che inizia intorno ai q uattro anni e finisce, probabilmente, alcuni attimi dopo la morte. La domanda di senso, in radice, è domanda di verità . Partiremo dai Greci. E d esattamente da Platone, per il q uale verità è al é th eia , dis-velamento.

I compagni di Cristiano avevano seguito la presentazione con l’atteggiamento che tutti gli studenti del mondo assumono alla pri-ma ora di filosofia. Con perplessità i più , con stupore gli altri.

D al ‘ tutto domandarÈ proprio del pensiero che s’interroga sull’esistenza del mondo e che riflette sulle condizioni di possibilità della sua stessa attività , l’insegnante era passato a presentare un primo concetto di storia della filosofia.

D ella spiegazione, Cristiano ricordava in particolare il suggeri-mento finale: autori e dottrine filosofiche vanno interrogati tenendo presente la storia della musica e la storia dell’arte del loro periodo.

Affrontare problemi di formidabile portata come l’esistenza del mondo, la corrispondenza tra pensiero e realtà o che cosa sia la verità , è sforzo che per certi versi può essere illuminato da q uello dell’artista e del poeta, che con le loro opere cercano di attingere gocce della bellezza originaria.

F ilosofia, in fondo, è filocalia, amore della bellezza. L’amore della sapienza è segno di amore per la bellezza originaria. Ad essa tenderebbe lo spasimo degli intelletti più profondi, più ancora che al potere donato dalla conoscenza.

Contemplata la perfezione formale delle opere di Prassitele, Policleto, Mirone o Scopas, sarà meno arduo dare l’assalto alle vet-te della dialettica platonica e della metafisica aristotelica.

Placata la mente con l’ascolto delle cantillazioni del gregoriano, il P ros l ogion di Sant’Anselmo può , forse, essere accostato più age-volmente.

La musica polifonica, R affaello e i manieristi fanno da splendi-do contrappunto al pensiero dei filosofi umanisti e rinascimentali.

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La contesa cartesiana tra dubbio e ragione, l’ardimentoso entra-re nell’oceano della conoscenza della nave di B acone, la vertigine matematistica di Copernico, K eplero e Galileo, che insieme disan-corano per sempre la T erra dal suo ormeggiare al centro dell’universo; lo stesso librarsi dell’ é s prit d e f ines s e di Pascal sui bagni di sangue delle guerre di religione, non si leggono forse anche nel tormento della pittura del Caravaggio, nelle tele impetuosamente prepotenti di R ubens? Q ualcuno potrebbe trovarne traccia persino nei madrigali di Monteverdi.

E le musiche di V ivaldi, Salieri e Mozart non conservano, stu-pendamente intatto, il sentore delle conq uiste degli illuministi francesi, tedeschi e italiani?

N elle opere di F rancisco Goy a si fa tangibile il trapasso dalla solare razionalità del Settecento al protendersi dei romantici sull’abisso fatto di angosce, incertezze e turbamenti esistenziali non più placati dalla fede. In lui per primo, nella storia dell’arte occiden-tale, ritroviamo il travaglio condensato nella sentenza: il sonno della ragione genera mostri.

B eethoven e H Ö lderlin paiono essenziali per intendere Schel-ling ed H egel. E come accostare Schopenauer senza nulla conoscere della poesia di Leopardi o leggere N ietzsche senza la musica di W agner?

L’espressione gioviale del volto del prete lasciava trasparire q ualcosa del fanciullo di un tempo. Il sorriso splendente e il biondo chiarissimo dei riccioli abbon-

danti della sua capigliatura erano in perfetto accordo, infatti, col timbro tenorile della voce, leggermente flautata.

La sua risata pareva partire dal cuore, rattenuta però da un velo trasparente di timidezza ancora affiorante sotto i modi dell’intellettuale.

D a lui aveva accettato l’invito a partecipare, pochi giorni dopo l’esame di maturità , al pellegrinaggio zonale dell’U N IT ALSI a

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Lourdes, come barelliere o addetto all’accompagnamento di amma-lati trasportabili.

U n bel ricordo: durante q uella settimana di lavoro e preghiera don Gionata lo si era potuto incontrare soltanto alla Messa delle 6 : 0 0 , celebrata nella basilica superiore per i barellieri, le infermiere e le suore. Poi spariva, per q uattordici, q uindici ore di apostolato tra malati e anziani bisognosi di speranza, tra cercatori di pace interiore e assetati di verità sulla strada della conversione.

Si dormiva in tenda, lassù , sulla collina che sovrasta la cittadina pirenaica, al C amp d e j eu nes .

Sveglia alle 5 : 1 5 . Il cielo era ancora buio. Le docce erano solo due e l’acq ua per la toeletta mattutina scaturiva fredda da due lun-ghe batterie di rubinetti poste sotto una tettoia.

E rano gli ultimi giorni di luglio e l’aria della notte che ad O vest annegava nell’oceano pareva pungesse la pelle.

N ulla gli era rimasto nella memoria degli ammalati trasportati su barelle a timone alla chiesa inferiore e alla Grotta di Massabielle, attraversando la spianata investita dal sole.

R icordava ancora, invece, i volti di Y vonne e Chantal, due ra-gazze francesi che avevano colpito l’attenzione di tutti i maschi del campo.

D opo il liceo, Cristiano aveva fatto visita a don Gionata tre o q uattro volte, gustando l’affetto del fratello maggiore che non ave-va avuto.

Inviato dai superiori in una piccola parrocchia ai confini meri-dionali della Marca, aveva lasciato l’insegnamento un po’ a malincuore e si era dato al recupero di relitti umani, tossicodipen-denti e alcolizzati del territorio.

Allorché il ricordo della risata di don Gionata si spense nella sua memoria, s’accorse che i ragazzi lo stavano guardando incurio-siti.

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Sul pavimento dell’aula il sole che entrava dalle finestre muo-veva lentamente il suo gioco di luce ed ombra.

Ludovico era seduto in prima fila, leggermente spostato sulla

destra. E ra un ragazzo impegnato. A sentire la madre, la bocciatura

dell’anno scolastico precedente era dovuta al lavoro serale come cameriere di sala nel ristorantino tipico a conduzione familiare dei genitori.

D alle ventuno a mezzanotte, tutte le sere, tranne il mercoledì . Legatissimo ad una ragazzina di Prima dai lucenti riccioli neri

che sorrideva con occhi d’un verde incredibile, costituiva già un riferimento per i compagni.

Il senso del dovere e il sapersi già molto utile erano in diretta connessione con la gioia che mostrava nel sobbarcarsi i compiti di cameriere, di addetto alla pulizia della sala da pranzo e del bar, di studente liceale.

La complessione atletica del corpo e lo sq uarcio di cielo pe-rennemente sereno dello sguardo, insieme alla naturalezza con cui il sorriso cancellava gli affiori della timidezza del carattere, lo ren-devano simpatico al primo incontro.

T utti gli volevano bene. Gli insegnanti lo stimavano per la franchezza delle risposte e la precocità riscontrabile nella matura-zione personale.

Al consiglio di classe di novembre, aperto al ricevimento dei genitori, Cristiano aveva conosciuto la sorella maggiore di lui, Leila, studentessa all’ultimo anno della sezione classica dell’istituto, invia-ta a supplire la madre ammalata.

Q uella conoscenza imprevista aveva indotto Cristiano ad accet-tare l’invito di Ludovico a gustare una cenetta nel giorno di chiusura del ristorante.

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V i sarebbe andato con R oberto, suo unico amico, amante delle serate finite tranq uillamente a casa davanti a una bottiglia di grappa friulana.

Avrebbe assaggiato i piatti serviti da Ludovico e rivisto la seta azzurrata dei lunghi capelli neri di Leila, che gli era parso lo avesse guardato per un istante dal fondo dei due occhi scuri come una notte estiva.

- B uonasera, professore! N icole, la sorella minore di Ludovico, aveva salutato sulla porta

con un leggero inchino del capo. Aveva forse tredici anni. Aiutava anche lei al bancone del bar,

ma solo per un’oretta, e sapeva stare alla cassa. - La aspettavamo - aveva detto, con un tono di voce che la fa-

ceva sembrare più grande. Salutati i singoli membri della casa che, al suono del saluto, si

erano mossi verso di lui spuntando da tre diverse direzioni, Cristia-no presentò R oberto che gli stava accanto un po’ imbarazzato.

L’amico era di poche parole. R iservava una certa sua loq uacità vernacolare esclusivamente ai contatti con la clientela del negozio dove lavorava come commesso.

E rano stati fatti accomodare da Ludovico ad un tavolo della sa-la semilluminata, vicino alla parete di separazione dallo spazio bar. Su ogni tovaglia bianca spiccava un mazzetto di fiori freschi di va-rio colore.

Alle pareti erano appesi grandi piatti di maiolica raffiguranti scene di vita agreste tratte da lunari d’epoca.

Ludovico era poi apparso in divisa da cameriere e sorridendo professionalmente aveva presentato il menu della casa.

Ad ogni suo passaggio al tavolo i due ospiti avevano potuto constatare la soddisfazione del ragazzo nel servire a tavola il suo insegnante.

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La limpidezza dello sguardo, la luminosità del sorriso e il rifles-

so biondo dei capelli ondulati di Ludovico gli sarebbero rimasti nella memoria per sempre.

Insieme ad altri particolari, mestissimi, più recenti ma meno chiari: il corpo freddo, opalescente, del giovane adagiato su uno dei tavoli di marmo della camera mortuaria, con un filo di bava seccata all’angolo sinistro della bocca; l’espressione del viso distesa, le lab-bra abbozzanti ancora il sorriso che Cristiano aveva raccolto in 2 B il giorno del primo appello.

« I l giu s to, anch e s e mu ore prematu ramente, trov erà ripos o... d iv enu to caro a Dio, f u amato d a l u i, e poich é v iv ev a tra peccatori, f u tras f erito. F u rapito, perch é l a mal iz ia non ne mu tas s e i s entimenti... ». Parole del Libro della Sapienza, che per lui sarebbero rimaste

per sempre legate al ricordo del suo studente: Cristiano le aveva usate per introdurre il problema della morte durante l’anno che per lui era il primo d’insegnamento, per Ludovico il terzultimo di vita.

U scendo dal locale, la sera della cena in esclusiva, mentre la ghiaia del cortile dava sonorità ai loro passi Cristiano aveva ammo-nito Ludovico ancora in divisa a guidare con prudenza la rossa 1 2 5 che da una ventina giorni riempiva i momenti liberi dell’adolescente.

Sorridendo con modestia, Ludovico aveva assicurato che si sa-rebbe attenuto al codice della strada.

R oberto, in macchina, aveva espresso il suo parere: - Giudizioso, il ragazzino. Purtroppo a volte non basta. Sulla

strada ci sono anche le sbadataggini degli altri.

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D ue anni e mezzo dopo, una sera di fine giugno una ragazza in motorino attraversò la statale del Santo senza accorgersi del rapido sopraggiungere di una moto di grossa cilindrata. Per evitare l’impat-to, Ludovico scartò a sinistra. Centrata la ruota posteriore del ciclomotore schizzò in aria e terminò il volo nel Muson dei Sassi. F orse tutto si sarebbe risolto con un grande spavento, se delle ra-maglie assassine non lo avessero trattenuto sott’acq ua all’altezza di una passerella da pescatori da tempo intransitabile. Aveva diciotto anni, compiuti da q ualche mese.

E con Ludovico, R inaldo, D oretta, Gilberto, Germano, Sergio, Gianluca, Stefano.

Storie e volti di cui avrebbe conservato il ricordo per decenni, mentre il trascorrere del tempo avrebbe fatto mutare le fisionomie dei viventi.

T alvolta gli sarebbe capitato persino di sentirli presenti, nell’au-la ormai vuota, dopo l’ultima ora di lezione.

A volte, attardandosi un poco a sorseggiare l’indefinibile sensa-zione che si prova avendo alle spalle cinq ue sfibranti ore di combattimento con ragazzi che mai concedono a basso prezzo la loro attenzione, avrebbe persino scambiato mentalmente q ualche battuta con i suoi ‘ arrivati’.

- Soltanto passati i vent’anni, dicono gli esperti, l’uomo comin-cia a percepire la propria morte come realmente possibile, come un evento che incombe sull’esistenza e ne mina le sicurezze dalle fon-damenta. Cosa penserà un anziano che ha vissuto con pace e laboriosità la sua vita, assistendo al progressivo venir meno delle forze e all’annebbiamento dei ricordi? Giunti alla cosiddetta terza età , pare che il tempo sia percepito in maniera un po’ diversa ( i giovani, non so se siete d’accordo, lo percepiscono come dilatazio-ne) : presente e passato si avvicinano al punto che volti e circostanze vissute possono confondersi. R imane probabilmente l’essenziale, e certamente un grande amore per la vita che se ne va.

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La fine temuta della mirabile coabitazione di corpo, mente e spirito può procurare ansia, dolore. Per ogni uomo essa provoca la do-manda di senso. Paradossalmente, il pensiero della morte può acutizzare o mettere prepotentemente in evidenza il desiderio di vita che c’è in lui.

C ammini d i l ib eraz ione , un libretto dedicato a vite di adole-scenti

giunte rapidamente al termine ruotando intorno ad un centro on-cologico della regione, fornì materiale prezioso alla riflessione d’apertura sul tema.

Q uindici giorni dopo, iniziata da poco la lezione, Ludovico a-veva alzato la mano, abbozzando il suo solito sorriso:

- Professore, lei ci ha detto che ciò che conta secondo la B ibbia è la q ualità dell’esperienza di vita che si è vissuta e che la q uantità degli anni è vista semmai come frutto di una particolare benedizio-ne celeste. Q ual è il criterio di riferimento per valutare tale q ualità , nella B ibbia?

Cristiano aveva esitato un poco, prima di riprendere la parola. - T i farò una domanda. Se a Giulietta Capuleti fosse stata im-

posta dal padre la clausura in un monastero, pensi che sarebbero mutati la forza e la sincerità del suo amore per R omeo?

- Sarebbero cresciuti d’intensità , insieme al dolore per la sepa-razione dal suo ragazzo, credo.

- E la q ualità del suo amore per R omeo sarebbe stata la stessa? - N o. - Perché ? - N on saprei, ma sento che sarebbe stato così . - A q uel punto, non so se siete d’accordo, poco sarebbe impor-

tato ai due giovani veronesi q uanto tempo di vita fosse loro rimasto ( nell’ipotesi che andiamo facendo) . La forza e la purezza del loro amore, temprata nel crogiolo del dolore, avrebbe continua-to a costituire la potente ragione di vita da cui attingere ragioni di

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speranza. In poche parole: il dolore avrebbe reso il loro amore an-cor più prezioso. H ai risposto bene. La q ualità non sarebbe stata la stessa. O ra, per rispondere alla tua domanda citerò il libro del Sira-cide capitolo 3 0 , versetto 2 2 .

Cristiano aprì la B ibbia, al cartoncino segnalibro color rosso: - «La gioia del cuore è vita per l’uomo, l’allegria di un uomo è

lunga vita ». E , al segnalibro blu, il Salmo 1 1 2 : «B eato l’uomo che teme il Signore e trova grande gioia nei suoi comandamenti ». Gioia e fedeltà ai comandamenti di D io sono intimamente connesse tra loro, sia nell’Antico che nel N uovo T estamento. Il criterio per valu-tare la q ualità della vita nella B ibbia è dunq ue q uello della gioia e della fedeltà , due facce della stessa medaglia.

Suscitare domande decisive negli studenti: ecco il primo tra-guardo da conq uistare a lezione.

Cristiano tirò fuori un piccolo libro dalla copertina rossa, cercò una pagina e prese a leggere:

- D a q uale particolare aspetto della figura del detenuto R abbi Shneur Z alman, personalità religiosa del chassidismo europeo, era rimasto colpito il comandante delle guardie del carcere di San Pie-troburgo, all’inizio del secolo scorso?

Cristiano si diresse alla finestra più vicina e la spalancò . Il tepo-re di q uel mattino di fine novembre, in 2 B , smuoveva nostalgie di primavera.

- N on certo dall’accusa per la q uale il vecchio era stato impri-gionato. B astava la sua esperienza di carceriere per imputare la cosa a infami calunnie. R imase colpito invece dal «volto fiero ed immo-bile» dell’uomo, che non l’aveva neppure sentito entrare nella cella, assorto com’era nei suoi pensieri, mentre attendeva di essere tra-dotto in tribunale. Il volto di un saggio, ecco cosa l’aveva colpito, dal q uale «aveva intuito la q ualità umana del prigioniero». Scusate-mi: il libro da cui sto leggendo è I l cammino d el l ’ u omo, di Martin B uber. D unq ue: c’è un uomo che è disposto a ‘ vederÈ . Con gli oc-

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chi del cuore, intendo. È il carceriere, aperto, disponibile a lasciarsi toccare dalla verità : da anni la sta cercando, infatti, nella Scrittura, ma non sa in che direzione cercare. Poi c’è un volto, da cui traspare un dato interiore: la q ualità della persona. U na q ualità che, da sola, suscitava rispetto e venerazione nei discepoli. È q uesta la molla che fa scattare un dialogo inconsueto tra il carcerato e la guardia: un dialogo «sulle domande che si era posto fin dalla giovinezza, leg-gendo la Scrittura». N otate: leggere la Scrittura è lasciarsi interpellare da essa. E q uindi porre a se stessi domande. Ma anche accogliere la domanda che Q ualcuno, con la q maiuscola, ci rivol-gerà appena avremo aperto il libro sacro: Dov e s ei? … Ciò è possibile ad ognuno di noi, anche stasera. Soli nella nostra stanza. Al capitolo 3 del libro della Genesi, versetti da 1 a 9 .

Le pareti della cella, all’occhio del carceriere fisso nello sguardo regale del vecchio, erano divenute trasparenti.

In q uell’istante, pure a Cristiano le pareti dell’aula parvero an-dare in dissolvenza.

Con un brivido di felicità avvertì che, dal fondo degli occhi intenti dei suoi studenti, q ualcuno misteriosamente lo guardava. La stessa impressione che gli capitava di provare incontran- do lo sguardo di un bimbo o di una bimba sotto i q uattro anni di età . F orse anche a Ludovico e compagni, in q uel momento, si era fatta percettibile l’ancestrale nostalgia di paradiso che alberga nelle profondità del cuore umano. " ... il l ev ars i d el l a b rez z a d el giorno ch e mu ore e l ’ ech eggiare d el l a prima

d omand a d i Dio nel cu ore d el l ’ u omo. L a s era ch e av anz a e il l ev ars i in v ol o d el l a nottol a d i M inerv a, ov v ero d el pens iero u mano nas cente come d omand a f il os of ica": era la nota a margine della pagina del q uaderno delle le-zioni scritta la notte precedente. La lesse per sé e proseguì .

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- Chiese il carceriere: perché D io, che tutto vede, domandò ad Adamo: ‘ Dov e s ei? ’ . R ispondo, col rabbino, che in ogni tempo D io interpella l’uomo. Lui solo può essere l’infinito orizzonte entro cui Adamo, E va, F rancesca, Giovanni, ogni essere umano può collo-carsi, sicuro, sereno, immune da paura e tristezza.

«T u, ad esempio», disse poi il rabbino rivolgendosi al capo delle guardie: «D io chiede: d ov e ti trov i ris petto a me, nel q u arantas ettes imo an-no d i v ita? ». Immaginate, ragazzi, lo stupore del carceriere all’udire il numero esatto dei suoi anni, l’impressione che q uella domanda, sentita come diretta a sé , dovette suscitargli nel cuore...

Si apriva a q uel punto della lezione la q uestione centrale della relazione tra l’uomo e D io.

- N ella Scrittura, l’uomo rilegge la vita come ‘ pellegrinaggio’. E ssa può farsi viaggio ‘ santo’ verso la dimora definitiva, la meta agognata: la casa ove abita D io stesso.

«Ci hai fatti per te, o Signore, e il nostro cuore è inq uieto finché non riposa in T e »: così ha scritto Agostino d’Ippona, all’inizio del V secolo dopo Cristo, mentre l’impero romano subiva le mazzate della storia e le invasioni barbariche mettevano fine all’antichità greco-romana. Il Salmista, nel salmo 8 4 , versetto 6 , proclama: «B ea-to chi trova in T e la sua forza e decide nel suo cuore il santo viaggio».

- Scusi, professore: ma lei conosce la B ibbia a memoria? - lo in-terruppe F iorella.

Cristiano sorrise e continuò : - Q uale senso può avere un viaggio se non c’è meta da rag-

giungere? V agare q ua e là non è viaggiare. Il vagabondo decide di lasciarsi guidare dal caso, a volte dall’istinto o dall’opportunità . Se invece l’uomo si lascia guidare dai segni che la Provvidenza sparge sul suo andare errante, lo si può chiamare ‘ pellegrino’. La sovrana libertà dell’uomo, secondo il Salmista, diventa produttrice di beati-tudine interiore solo se egli si decide per la santità del suo viaggiare

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sulla terra. N ella B ibbia, la ‘ santità dell’uomo’ è resa plasticamente dall’espressione ‘ camminare con D io’, che significa: accogliere le sue parole e aderire ad esse col cuore, con la mente, con tutte le forze, per vivere secondo giustizia, con fede in Lui e con benevo-lenza nei confronti delle sue creature. L’amarlo, amare D io, si manifesta concretamente nell’amare il prossimo. «U n uomo scen-deva da Gerusalemme a Gerico… »: ricordate la parabola del B uon Samaritano? La meta non può essere che la vita in D io e con D io, senza fine. La sorte ultima che l’ebreo fedele si attende dal D io di Israele è lo stare per sempre ‘ nel seno di Abramo’, nella gioia e nel-la luce del D io di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, menzionati come viventi per sempre in Lui nei vari libri dell’Antico T estamen-to.

D opo un istante di pausa, per verificare se i ragazzi seguivano la tirata, Cristiano riprese:

- La morte è il passaggio ‘ a D io’, dalla storia all’E terno con la e maiuscola. La vita dell’uomo, creato a immagine del V ivente con la v maiuscola, viene fissata nell’eternità con l’esperienza della morte. In q uell’attimo, entra nell’eternità l’infinito desiderio di vita e di verità che freme in noi. N ell’eternità , insegna la B ibbia, esso sarà infinitamente appagato.

Cristiano fece un profondo respiro e riprese: - Per molti versi la morte sembra essere l’ultima parola, e q ue-

sta parola è : ‘ nientÈ . E bbene: il credente, giunto a q uel passo estremo, si abbandonerà con fede al mistero di vita, di pace, di a-more che è D io, come si era allenato a fare durante la sua esistenza. Sul nulla della morte dell’uomo D io pronuncia il suo ‘ tutto e per semprÈ , accogliendo nella dimensione della sua vita divina colui che ha terminato la sua vita nel tempo...

L’idea che le sue lezioni potessero innescare le prime serie ri-flessioni sul mistero dell’esistenza lo faceva ora consapevole del

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ruolo di guida che avrebbe potuto rivestire per un certo numero dei suoi ragazzi.

Il sogno della professione, che lo aveva animato fino a q ualche mese prima, si concretizzava ora nella responsabilità di servire la verità .

In fin dei conti, q uale che sia la materia insegnata, la testimo-nianza del docente finisce sempre per influire sugli allievi, sulla loro capacità di valutazione del bene e del male, del giusto e dell’ingiusto, del vero e del falso.

Il suo insegnamento specifico poteva arrivare a bussare diret-tamente alle porte di q uella dimensione che fa divino lo sguardo della persona umana, q uando siede sul trono dell’umiltà : lo spirito.

Con un’unica ora di lezione alla settimana, il filo del discorso

può essere facilmente ripreso solo se negli studenti permane l’interesse per il tema proposto. U n interesse che deve accendere la curiosità e, perché no?, stimolare alla ricerca personale.

L ‘ argomento, in 2 B , pareva fosse rimasto inciso sulla tavoletta di cera di più di uno studente.

Sette giorni dopo F iorella esordì con aria preoccupata: - Professore, ho una cosa da chiedere. Cristiano assentì con un cenno del capo. - U ltimamente, la notte, non mi addormento tranq uilla. H o

paura della morte dei miei genitori. Spero sia lontanissima nel tem-po. T emo pure che possa capitare a q ualche mia a-mica, magari per un incidente. Come cacciare q uesta paura che mi è venuta dentro? N on vorrei che finisse per ossessionarmi. N e ho parlato con la mamma e mi ha risposto di chiedere a lei.

Alcuni guardavano fuori delle finestre. Molti, sotto il banco, toccavano ferro.

Cristiano scrutava la ragazza, cercando d’intuire il tipo di rispo-sta che l’allieva si aspettava.

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- Prima di rispondere a F iorella - iniziò in modo disteso - pro-porrei di fare con voi un semplice calcolo... poche facili operazioni. Chi viene alla lavagna?

Mirco fu il più rapido. - Scrivi, Mirco: 3 6 5 i giorni dell’anno solare, moltiplicato per

7 5 , la durata media della vita delle donne. Coraggio, risolvi! V oltatosi verso i maschietti, raccolti nel settore di destra della

classe, spiegò : - I maschi vivono in media due o tre anni di meno... Q uesti

calcoli ovviamente si riferiscono alla vita media della gente nei pae-si ricchi. N ei paesi poveri del sud del mondo il calcolo, purtroppo, darebbe risultati diversi…

N essuno parve scomporsi più di tanto all’idea della minore du-rata della vita nei paesi del T erzo e Q uarto mondo. I maschi, intanto, incassavano i sorrisetti di compatimento delle compagne.

Il risultato venne da una calcolatrice tascabile in mano a q ual-cuno in fondo all’aula.

- 2 7 .3 7 5 , professore. - Scrivi, Mirco: 2 7 .3 7 5 . T otale giorni di vita umana sulla T erra.

Secondo calcolo: 3 6 5 moltiplicato 6 0 . Q uindici anni voi li avete già vissuti.

Che non si trattasse di calcoli puramente aritmetici comincia-vano a capirlo tutti, ormai.

- 2 1 .9 0 0 . I giorni che vi restano da vivere. Se può consolare q ualcuno dei presenti, a me ne restano da vivere un po’ di meno…

Mentre Mirco diligentemente riportava il numero ottenuto sul nero dell’ardesia scheggiata q ua e là , Cristiano invitò a concludere i calcoli:

- O ra la sottrazione tra i due numeri a cinq ue cifre. - 5 .4 7 5 ! - gridò l’operatore volontario, con q ualche secondo di

ritardo.

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- V eniamo alla q uestione sollevata da F iorella... q uel numero: - e puntò il dito alla lavagna - 5 .4 7 5 . Se valesse per tutti la garanzia di vivere almeno fino a settantacinq ue anni, q uesto numero indi-cherebbe le pagine che resterebbero da scrivere a una nonna che abbia compiuto ieri sessant’anni, prima che la morte venga a chiu-dere l’ultimo q uaderno.

E rivolgendosi a Mirco, continuò : - Incorniciamo le due cifre. 2 1 .9 0 0 e 5 .4 7 5 . E cco, così . Puoi

tornare al posto. Grazie. D unq ue: per esperienza tutti noi sappia-mo q uanto duri un giorno; un giorno della nostra vita, intendo. V i sembrano tanto distanti tra loro q uesti due numeri? In q uale rap-porto stanno tra loro? Chi me lo sa dire?

Silenzio. - V i arrendete? D ai! È facile. - Il primo è q uattro volte il secondo! - gridò F iorella come se si fosse liberata di un peso. La classe era ormai come una sola persona. - D i q uattro, a voi ne restano tre parti, prima di arrivare all’età

della nonna. N on sono poi così tante, vi pare? Solo tre. O gni gior-no è come una pagina di q uaderno. Scritta bene, scritta male, con o senza sgorbi, non importa. Servono tanti q uaderni, per un’intera vita umana. O ggi siamo alle 8 : 2 5 del mattino: siamo alle prime ri-ghe, ognuno sul nostro q uaderno. D ipenderà da ciascuno arrivare a sera con una pagina bella, che valeva la pena di essere scritta. F uor di metafora: una giornata colma di pensieri positivi, di incontri sin-ceri e gioiosi, di azioni degne e costruttive, di scoperte entusiasmanti, di amicizie. Per chi ha fede, una pagina scritta cer-cando di ascoltare e vivere la parola che D io gli rivolge nella B ibbia...

Cristiano aprì la sua al segnalibro color fucsia: - « I o conos co i progetti ch e h o f atto a v os tro rigu ard o, d ice il S ignore, pro-

getti d i pace e non d i s v entu ra, per conced erv i u n f u tu ro pieno d i s peranz a. V oi

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mi inv och erete e ricorrerete a me e io v i es au d irò; mi cerch erete e mi trov erete, perch é mi cerch erete con tu tto il cu ore ». Geremia, capitolo 2 9 , 1 1 e 1 3 , i versetti. B ello, no? C’è q ualcuno che mi ama, che ha per me, per ciascuno di noi un progetto di futuro pieno di vera speranza… Se io accoglierò q uel progetto, la mia vita sarà un ‘ camminare con D io’… N on sarò mai solo…

In aula il silenzio era assoluto. Cristiano lasciò scorrere alcuni secondi di pausa. - Giunti alla pagina 2 7 .3 7 4 , ci chiediamo: la storia scritta sin q ui

ha un significato? O ppure, come affermano alcuni pensatori atei, è semplicemente assurda? Giunti all’ultima pagina non importa più , ormai. H o vissuto. H o vissuto da essere umano? ci potremmo chiedere. D a persona degna di q uesto nome? O ppure ho vegetato come una pianta? Molte cose, chiuse in q uei q uaderni, saranno sta-te opera mia. Altre sarò stato aiutato a scriverle. Altre ancora si potranno imputare al destino, al caso o alla Provvidenza... Ma io ne verrò considerato l’autore, comunq ue sia: è stata la mia vita!

- Ci parli dell’ultima pagina, professore! - propose Ludovico. Cristiano se l’aspettava. - Per q uanto riguarda l’ultima pagina, mi pare interessante ri-

cordare la risposta data da D omenico Savio, vostro coetaneo, morto q uattordicenne nel secolo scorso, a don Giovanni B osco, suo educatore. Mentre D omenico stava giocando a palla con i compagni, q uesti gli domandò : «Se un angelo ti venisse ad annun-ciare che tra un momento morirai, che cosa faresti?». La risposta fu immediata: «Continuerei a giocare!». E ssa dovrebbe valere per ogni uomo: importante è che la morte ci colga mentre stiamo scrivendo con umiltà , con pace, con dignità la nostra paginetta q uotidiana...

D ella paura di F iorella e di tutti noi, s’intende, che dire? N el-l’E popea di Gilgamesh, che avete certamente sentito menzionare a scuola l’anno scorso dall’insegnante di storia, per la prima volta in

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un testo letterario dell’umanità compare q uesto sentimento oscuro, ma profondamente umano: la paura di morire.

I maschi sembravano cadere dalle nuvole; q ualche ragazza an-nuiva col capo.

- R icordate? Il mitico re di U ruk , di fronte alla scomparsa di E nk idu, amico carissimo, sente entrare nel profondo del suo essere, per la prima volta, la tristezza e scopre in q uel momento di aver paura della morte. A q uesto proposito, ricordo di aver letto tempo fa q ualcosa su di uno stregone degli Y aq ui del nord del Messico. Invitava il suo interlocutore, uno studente americano laureando in antropologia negli anni Sessanta, a iniziare il cammino necessario per diventare ‘ uomo di conoscenza’, affrontando e superando il primo dei q uattro temibili avversari nei q uali l’uomo s’imbatte nella sua vita: la paura. Q ui non è il caso di analizzare che cosa si debba intendere con q uesta parola; sta di fatto che, in q uanto uomini, come Gilgamesh, tutti noi abbiamo provato o abbiamo paura di q ualcuno, di q ualcosa. E bbene, secondo il vecchio y aq ui la reazione di colui che punta a diventare ‘ uomo di conoscenza’ deve partire dal non fuggire, dal non farsi paralizzare dalla paura.

- E come si fa? - chiese Ludovico, con l’ansia dell’apprendista votato alla sua arte.

- La si deve affrontare, guardandola negli occhi. Il silenzio pareva materializzarsi in una sorta di fluido tra-

sparente e ovattante a riempire ogni spazio dell’aula non occupato dai corpi.

- Q ualcuno ha scritto: «Se avrò paura, dirò : Signore, ho paura!». Atteggiamento simile, ma con la motivazione esplicitata, lo trovia-mo in un Salmo di cui ora non ricordo il numero:

«Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla... se anche do-vessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me...». N otate: la motivazione che ispira il salmi-sta è q uel ‘ T u sei con me... sempre, anche q uando sento paura... e

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subito non temo più : la tua presenza, la tua forza ( il bastone del Salmo) è con me: come potrei temere ancora’ ? Siamo stati abba-stanza chiari, F iorella?

Suonò la campanella. Il tempo era volato, per tutti. La sera, aprendo la B ibbia, Cristiano andò a cercare il Salmo.

E ra il 2 3 e gli sembrò di leggerlo per la prima volta.

C A P I T O L O Q U I N T O A volte poteva capitare che in q ualche classe q ualcuno lancias-

se la gara a chi spara i giudizi più spietati sulla gerarchia cattolica. F u così che a Cristiano un giorno venne l’idea di animare le le-

zioni in programma sulla Chiesa trasformandole in una specie di processo, con tanto di giuria, pubblica accusa e difesa schierate. Lui si sarebbe riservato la parte del presidente della corte.

In due classi Seconde e in una T erza la proposta fu accolta con un certo favore.

La casistica sciorinata dai ragazzi era nutrita. Il monsignore tal dei tali si dedicava con zelo ed efficienza de-

gni del miglior imprenditore a far crescere, con oculate operazioni immobiliari, le già consistenti entrate della parrocchia.

Là un parroco ‘ preconciliarÈ obbligava ancora le donne ad oc-cupare i posti situati nella seconda metà della chiesa e nessuna gonna doveva salire i gradini del presbiterio senza giustificato mo-tivo, meno che meno per leggere una delle sacre letture dall’ambone.

Poco lontano, un altro costruiva e distruggeva a suo genio le associazioni e i gruppi parrocchiali, autentico dittatore in talare.

Altrove, un sacerdote ancora giovane, abolita con un colpo di spugna l’Azione Cattolica, aveva creato una conventicola di giovani che si muovevano in perfetta osservanza delle sue direttive. T utti potevano verificarne l’ascendente: preghiere e letture erano guidate da giovani che imitavano addirittura l’inflessione della sua voce.

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Perché stupirsi! obbiettava Cristiano: la Chiesa è fatta anche di uomini!

I vertici dello IO R , Istituto O pere di R eligione, collegati dai giudici al crac del B anco Ambrosiano potevano forse mettere in ombra la grandezza del papato di un Paolo V I?

Se alcuni vescovi in America Latina, tacendo, si erano resi cor-responsabili delle gravissime lesioni alla dignità umana perpetrate da regimi corrotti, alta si era levata la voce di denuncia di dom H el-der Camara. L’arcivescovo R omero, a marzo, aveva versato il suo sangue in Salvador.

Q uante volte si era moltiplicato, nelle misere e affollatissime periferie delle città della T erra, il soccorso di madre T eresa di Cal-cutta e di migliaia di suore sconosciute, dei missionari, dei laici volontari cristiani.

D i sbagli, lungo i secoli, alcuni uomini di chiesa ne avevano fat-ti e probabilmente ce ne sarebbero stati altri. Moltissime erano state le infedeltà al mandato di Gesù . Ma moltissimi santi, ignoti o sugli altari, avevano fatto rifulgere di bellezza il volto della Chiesa.

N egli ultimi anni poi alcuni segnali della primavera annunciata da papa Montini erano già individuabili.

Gli studi e la freq uentazione di un movimento giovanile gem-mato nel Sessantotto dall’O pera fondata da Chiara Lubich avevano portato Cristiano a contatto con le fonti del Cristianesimo.

In che modo avrebbe potuto rendere accessibile ai suoi ragazzi la freschezza di q uell’acq ua e far loro toccare con mano che non era cessato il suo scorrere lento negli strati profondi della civiltà occidentale?

Stimolare il desiderio di attingervi era forse piccola cosa, ma avrebbe aiutato a tenere accesa la lampada della speranza in q ual-cuno, nei momenti duri della vita di domani.

R iempiendo ogni volta la cattedra di materiale di consultazione da sottoporre all’attenzione degli studenti più volonterosi, si trovò

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a parlare dell’esperienza religiosa dei monaci del passato e del pre-sente; del rinnovamento suscitato nella Chiesa dai movimenti biblico, liturgico ed ecumenico nella prima metà del secolo e del Concilio V aticano II voluto da papa R oncalli, nonché dell’azione coraggiosa di politici come La Pira e D e Gasperi, di scienziati come E nrico Levi, di uomini e donne di pensiero come J ean Guitton e Simone W eil, a contrastare con la testimonianza personale mortife-re deviazioni dallo spirito e dalle tradizioni vitali d’E uropa rappresentate dalle ideologie materialiste e dai totalitarismi.

T estimonianze terribili, contenute in libri come S e q u es to è u n u omo , L a notte , I l d iario d i A nna F rank , A rcipel ago G u l ag , entrarono in aula, ad illuminare sq uarci del recente passato della storia d’E uropa, e con esse il ricordo del sacrificio delle vite innocenti annientate a milioni dalla follia criminale di pochi e dall’indifferenza di molti, nel continente che era stato la culla del pensiero e del Cristianesimo.

D al mondo continuavano a giungere notizie preoccupanti di guerre fredde o dimenticate.

Il timore dell’olocausto nucleare tornava a serpeggiare tra la gente. Q ualcuno dei ragazzi gli aveva ricordato persino che a poco più di q uaranta chilometri di distanza c’era una delle basi americane in Italia. Con la base occultata nelle viscere del Monte V enda, sui Colli E uganei, e q uella del Grappa, rendeva il territorio centrale della regione un obiettivo ‘ sensibilÈ per le terribili armi di distru-zione di massa montate sui missili puntati dall’U .R .S.S. contro l’E uropa occidentale.

F ar scrivere ai ragazzi del biennio una lettera ai posteri, da affi-dare, col permesso del proprietario, alla profondità del pozzo di una villa patrizia del luogo, si rivelò un’idea azzeccata.

I testi più significativi li avrebbe inseriti nella parte antologica del manuale di religione che un giorno avrebbe realizzato.

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L’iniziativa raggiunse due obiettivi: servì ad esorcizzare un po-co il fantasma della guerra nucleare e a far riflettere gli studenti sul senso e sulla bellezza dell’essere vivi.

T ra amare constatazioni sull’esito catastrofico di un ipotetico conflitto mondiale e inviti toccanti ad imparare dagli errori com-messi dall’umanità nel X X secolo, q uei messaggi avevano formato alla fine un bel malloppo.

Il messaggio finale servì a mettere in luce che, nel silenzio, la foresta del bene stava crescendo nel mondo e che nessuno avrebbe mai potuto strappare definitivamente dal cuore dei bambini, dei ragazzi e dei giovani la speranza.

Leggendo a scuola articoli d’importanti riviste missionarie, lui stesso aveva scoperto che il baricentro del cattolicesimo e del pro-testantesimo contemporanei si stava spostando nei paesi del T erzo mondo e che l’inculturazione del V angelo in Asia, Africa, America latina provocava un profondo ripensamento del cristianesimo co-nosciuto nei paesi occidentali.

Leggere in classe pezzi tratti dai q uotidiani poteva inoltre servi-re a dotare gli studenti del necessario spirito critico.

E rano ancora aperte le terribili ferite degli Anni di piombo, con assassinii come q uelli di Guido R ossa, Aldo Moro, E milio Alessan-drini, V ittorio B achelet, Paolo T aliercio e Guido Galli ( “la bontà della teoria mimetica di R ené Girard resta provata anche da noi” pensava tristemente) , ma la vita del paese pareva veleggiare verso orizzonti più sereni.

U na notizia d’agenzia informava che il popolo dei N avaj o mi-nacciava in q uei giorni di dissotterrare l’ascia di guerra contro il governo americano. Che le tribù indiane fossero stanche di essere considerate soltanto una parte dell’apparato museale all’aperto degli U .S.A.?

In Polonia, un generale dagli occhiali scuri aveva stoppato Lech W alesa, l’elettricista che col suo sindacato di solidarietà puntava

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all’allargamento dei confini del mondo libero, dopo aver disorienta-to per q ualche mese l’apparato del Partito comunista polacco.

D ai paesi anglosassoni giungeva in Italia la diatriba tra i fautori dell’eutanasia e i movimenti pro l if e.

Il q uotidiano dei cattolici pubblicava i bollettini di guerra del numero di aborti effettuati nonostante la tutela della gravidanza sancita dalla legge 1 9 4 .

Pure la q uestione del calo costante di prestigio sociale della professione dell’insegnante faceva capolino tra le pagine dei giorna-li.

D opo q uanti anni sarebbero giunti a soluzione i problemi rela-tivi allo status giuridico degli insegnanti di religione?

Le trattative sul nuovo Concordato erano in corso. O ccorreva aspettare.

Senza indulgere al pessimismo, però , come faceva il collega del-la sua zona che pronosticava il licenziamento a breve di tutti i docenti laici:

- Chi vuoi che s’interessi a noi insegnanti di religione? - sbotta-va con cipiglio da sindacalista mancato, prima di passare a sondare le intenzioni di Cristiano sulle cattedre che si sarebbero liberate nei dintorni.

Meno titolato di lui, insegnava in una scuola del capoluogo e il pendolarismo lo opprimeva.

- H ai letto l’intervento anticoncordatario di p. B alducci, su Re-pu b b l ica? Per noi si mette male! Almeno i preti ci lasciassero q ualche cattedra in più ...

- Sai bene che l’ora di religione è per molti di loro l’unica op-portunità rimasta per raggiungere i giovanissimi che dopo la cresima in parrocchia non si fanno più vedere. Paradossalmente, scarseggiando i nuovi preti, tra q ualche anno si libereranno cattedre anche nella nostra zona - rispondeva Cristiano.

Cristiano lo invitava a maggiore ottimismo:

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- A chi mi chiede che lavoro svolgo, rispondo che opero nel nobile campo dell’educazione. T u sei un ottimo e appassionato in-segnante. V edrai che un giorno tutto si sistemerà anche per noi precari permanenti.

- Se ancora si farà religione a scuola! La vedo nera. N essuno dei due disponeva delle diciotto ore che costituivano

l’orario di cattedra. In silenzio entrambi si chiedevano q uanto tempo mancasse al

pensionamento di don Alfonso, della sezione classica. Allo scientifico c’era Cristiano, con le sue dieci. Al pessimista non restava che sperare: conseguita la laurea, Cri-

stiano avrebbe potuto concorrere per una cattedra di filosofia nei licei o di materie letterarie negli istituti tecnici. La sospirata cattedra di religione al liceo un giorno, forse, si sarebbe liberata…

Presto Cristiano scoprì che nessuno tra le sue conoscenze ave-

va idea di che cosa comportasse esattamente l’insegnamento della sua materia.

I colleghi delle altre discipline, orientati a destra, al centro o a sinistra che fossero, erano tutti convinti che si trattasse di un pro-lungamento nella scuola della formazione catechistica offerta dalle parrocchie.

Per molti preti insegnanti di religione, che altro poteva essere? Spesso si trattava di continuare a scuola, in clergy man, attività di pastorale giovanile avviate in parrocchia.

I tre o q uattro insegnanti di religione laici che Cristiano aveva conosciuto in q uelle prime settimane ammettevano che, sì , biso-gnava cercare di non confondere catechismo e ora di religione.

F are distinzione tra le due realtà sul piano dell’attività didattica concreta, però , restava impresa improba.

“Possibile che in provincia la rivoluzione culturale del ‘ 6 8 non abbia modificato l’IR ?” pensava.

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Con chi si sarebbe potuto confrontare? Le desolate solitudini patagoniche, sognate da bambino leggendo le avventure dei F igli del Capitano Grant, erano la metafora adatta a rappresentare la si-tuazione umano-scolastica in cui si stava immergendo settimana dopo settimana.

Gentile fu la concessione di don Alfonso, che liq uidò la fac-cenda in due battute.

In base alla sua pratica q uasi ventennale, la soluzione andava cercata caso per caso. L’esperienza avrebbe illuminato la strada.

B ella saggezza, che non aiutava per nulla chi stava agli inizi! - Io uso le mie schede. So di un testo di religione di nuova con-

cezione di un certo Cionchi, buono per te che sei nuovo. D icono che muove dalle esperienze dei giovani. Ma occorre salvaguardare il propriu m della materia, i contenuti.

D i consentire al giovane collega la visione delle schede, risulta-to di anni di lavoro, neanche a parlarne. R ientravano nell’ambito dei segreti dell’arte, gelosamente custoditi.

- O gnuno ha il proprio metodo - aveva sentenziato il prete, soddisfatto di sé , offrendo la colazione al bar.

Il giorno dopo, Cristiano cercava una pista in una libreria catto-lica, a Padova.

U na commessa non più giovane, sorridendo gentile, gli mise in mano il suo primo testo guida: I ns egnare rel igione oggi. V ol . 2 ° N el l a s cu ol a s u periore , pagine 2 7 1 , del ‘ 7 7 . La presentazione menzionava un primo corso per insegnanti di religione, tenutosi a Colfosco, in V al B adia, nell’estate del ‘ 7 6 . N el testo erano raccolti documenti di la-voro. In bibliografia erano citate pubblicazioni dell’ultimo decennio.

Lo acq uistò con lo sconto del cinq ue per cento, insieme all’ultimo libro di B arsotti sul C antico d ei C antici.

Seduto sul muretto di recinzione del sagrato del D uomo, si mise a sfogliare il primo dei due acq uisti. Si trattava di var

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care i confini, per mettersi in comunicazione con coloro che, come lui, si erano posti gli interrogativi che cominciavano ad appassionarlo. D a q ualche parte, in Italia, coraggiosi pionieri stavano sicura- mente sviluppando le prime sperimentazioni. D ue giorni prima del breve ponte dell’Immacolata, Cristiano

ebbe l’occasione di mettere alla prova la pazienza che avrebbe do-vuto dimostrare, in futuro, con superiori autoritari e non proprio illuminati.

Posato il piede, alle 8 : 0 1 , sul primo gradino dello scalone cen-trale, un nome urlato dal pianerottolo d’arrivo della prima rampa investì la folla di studenti e docenti che s’affrettavano nell’androne, annunciando grandine per il malcapitato:

- Milaniii-i! E ra il preside, livido in volto e infuriato al punto da apparire ri-

dicolo. D oveva aver deciso di principiare la giornata scolastica a suo

modo, annichilendo sulla soglia il giovane docente reo di q ualche grave manchevolezza il giorno avanti.

A Cristiano venne subito in mente che il primo giorno di scuo-la la bidella che sferruzzava nel sottoscala l’aveva preparato a improvvise sfuriate da parte del capo d’istituto.

Chissà di q uale grave inadempienza si era involontariamente reso responsabile…

Cristiano represse con forza la reazione nervosa che, salendo dalle viscere alla gola, rischiava di tagliargli il respiro.

Il peggio non era la lavata di capo che avrebbe inevitabilmente fatto seguito al "Si presenti subito in presidenza!" o la minaccia di una lettera di ammonimento, bensì la figuraccia cui l’irresponsabile violatore del regolamento scolastico era sottoposto a freddo pro-prio sulla scala, in mezzo a colleghi che salivano, accelerando

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imbarazzatissimi, e a studenti rampanti al seguito dei propri docen-ti, tutti ammutoliti dall’improvvisa dall’esplosione sadico-collerica del piccolo giove tonante.

Che q uello fosse il suo cognome non c’era dubbio. Girarsi in-dietro sarebbe stato oltre modo oltraggioso nei confronti del superiore.

Ma che alle otto del mattino q ualcuno si permettesse di gridare col q uel tono il suo cognome, in mezzo a tutta q uella gente, era tutt’altra cosa: "Male non fare, paura non avere" gli aveva insegnato suo nonno molti anni addietro.

Cristiano si sorprese a salire, calmissimo, i gradini che lo a-vrebbero portato a livello degli sguardi inferociti della belva umana: in q uegli istanti ricordò che i sacerdoti della religione del fuoco concludevano positivamente le prove del difficile apprendistato ammansendo un leopardo con lo sguardo.

Si dispose a fare altrettanto. “Che pensieri singolari vengono in mente, in certe situazioni!”

pensò con freddezza, raggiungendo finalmente il prof. V allerini. Il preside si rese conto che il neo docente di religione non era

tipo impressionabile e cercò di rincarare la dose, ricorrendo alla sconvenienza di un terzo grado fuori del segreto dell’ufficio, pro-prio lì , sulle scale.

- D ov’era lei, ieri, alle terza ora? E dov’era soprattutto la classe 2 A, cui lei doveva fare lezione? Mi è stato detto che lei si è permes-so di lasciare la scuola in orario di servizio!

Per lo sforzo, le vene del collo gli si erano gonfiate visibilmen-te. Il volto da pallido si andava colorando di rosso acceso: la scena era tragicomica. Q ualcuno, del personale di segreteria, si era messo a sbirciare da una delle porte.

Cristiano, q ualsiasi cosa fosse successa o gli fosse imputata come omissione, decise in cuor suo di approfittare dell’inattesa oc-casione e di giocare un poco.

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E ra il momento opportuno per dimostrare di che pasta era fat-to un Milani.

- D ica pure, signor preside! Ma non si agiti, la prego: arrabbiarsi troppo potrebbe farle male, come dicono i medici.

Il capo d’istituto, che non aveva previsto tale libera interpreta-zione della subalternità , aveva una sguardo tra l’interrogativo e il perplesso.

T radendo in parte la fonte dell’informazione riservata, in tono di voce molto più basso disse:

- I bidelli mi hanno riferito che ieri lei era assente. Intendo dire alla terza ora lei non si trovava in aula, come avrebbe dovuto!

Suonò la campanella, come fosse prescritto da un copione di sceneggiatura dal titolo: "R elazioni interne all’edificio scolastico. Parte prima: rapporti con i subordinati".

“Ma non poteva andare a chiedere ai ragazzi della 2 A?” pensò Cristiano “… a meno che il delatore imbranato non abbia fatto il suo rapporto dopo la fine dell’orario delle lezioni… V ediamo di risolvere la faccenda con onore” .

- Ah! Ieri, dunq ue. V isto che in q uesta scuola non si usano gli uffici per le cosiddette comunicazioni orali col personale, devo de-durre che lei voglia q ui e ora una giustificazione. D i che tipo? U fficiale o non ufficiale?

Cristiano fu tentato, a q uel punto, di ricorrere alle forme della retorica disputatoria apprese negli anni del ginnasio, q uando era stato indiscusso leader studentesco.

Avrebbe preferito, tuttavia, che il preside intendesse almeno salvarsi in corner, passando in ufficio e facendo rientrare la cosa nell’alveo della normalità .

Il preside però restava piantato sul pianerottolo, in attesa, con l’aria di chi non vuol convincersi di aver preso un granchio. “E sia!” pensò Cristiano “Cambiamo registro” .

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- Il suo informatore le ha anche assicurato che all’inizio della terza ora in aula non c’era anima viva? Sul giornale di classe, come avrà già appurato, c’è traccia della mia firma e dei due assenti del giorno.

Il tono della sua voce era fermo, lo sguardo q uello del provetto domatore.

A smontare l’accusa sarebbe bastata una semplice spiegazione. V allerini probabilmente si aspettava un alibi messo insieme in

q ualche modo. - A dire il vero, - rispose il superiore, con un inizio d’imbarazzo

nella voce - ciò non mi è stato precisato. Il preside, fidandosi del delatore, non si era premunito di con-

trollare. Che tale omissione fosse dovuta ad un atteggiamento di pre-

venzione, era pensar male e Cristiano respinse l’idea. Il compito di verificare i dettagli dell’accaduto non è forse atto

dovuto da parte dell’autorità ? parevano pensare all’unisono i fretto-losi transitanti.

- B ene. Io sono nuovo, ma lei, preside, mi confermerà che nel caso il docente intenda condurre la classe fuori dal perimetro dell’i-stituto ( per ragioni plausibili: di tipo didattico, intendo) è tenuto a informare di ciò , preventivamente, la presidenza.

L’argomentare in astratto sulle regole è , com’è noto, parte inte-grante del ragionamento.

- O ra. Lei non è stato informato da chi le parla di uscite di sor-ta della classe 2 A. D ato per scontato che lei non penserebbe mai che un suo insegnante abbandoni inconsultamente ( non dico di nascosto e colpevolmente) il posto in orario di servizio, senza al-meno averne dato informazione in segreteria ( in caso di assoluta emergenza, poniamo) , si deve concludere che: primo, il docente Milani non ha lasciato l’istituto prima del cambio dell’ora nel suo orario di servizio. Secondo, se alla terza ora la classe 2 A non era in

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aula, ciò può significare una sola cosa: si era spostata in un’altra aula ( per precisione, in q uella accanto, in 2 B ) . T erzo, ciò si è verifi-cato in maniera concordata con un altro docente e per ragioni di didattica interdisciplinare. Se mi permette, vengo al nocciolo: la professoressa N atalicati, di matematica, la settimana scorsa mi disse di essere rimasta incuriosita dalle considerazioni sorte durante la sua ora in 2 B , dopo l’ora di religione. Avevo presentato, in modo molto approssimativo, le conseguenze del famoso teorema di Gö -del sui rapporti tra scienza e fede in q uesto secolo. La collega mi propose di svolgere una lezione comune di fronte alle due classi Seconde unite. Almeno dal punto di vista della disciplina, dalla le-zione cogestita dev’essere sortito un buon risultato, sicuramente, visto che i bidelli non hanno nemmeno percepito la presenza di trentanove studenti ( cinq ue erano assenti) stipati in una stessa aula, silenziosissimi e partecipi alla lezione per q uarantacinq ue minuti filati. La professoressa N atalicati glielo potrà confermare. La cosa, ovviamente, risulta anche dal re-

gistro di classe della 2 B . D urante la tirata apologetica di Cristiano il volto del preside

V allerini era andato assumendo un’espressione di sconcerto. - V ada pure, professore. È atteso in aula. N on potevo immagi-

nare... L’abbozzo di scuse fu interrotto premurosamente da Cri- stiano: - N ulla di cui preoccuparsi, preside. Anche un bidello può sba-

gliare... A memoria d’insegnante, nessuno aveva potuto resistere a V al-

lerini, tranne il professor Salvetti e la professoressa N atalicati, temuta per la chiara fama di docente preparatissima e inflessibile, che tanto lustro aveva dato alla scuola in vent’anni di servizio.

D a q uel giorno anche il professor Milani, di religione, pur non essendo un religioso, fu tenuto nella giusta considerazione da tutti.

C A P I T O L O S E S T O Il primo anno d’insegnamento filò liscio sino al termine. Ad un primo bilancio, i rapporti con gli studenti e i colleghi ri-

sultavano essere stati veramente arricchenti. T enere in ordine i registri, firmare regolarmente il giornale di

classe, badare alle comunicazioni della presidenza affisse all’albo erano, invece, alcuni degli aspetti noiosi cui occorreva abituarsi.

Il collegio dei docenti, non grande di numero ma con più di una divisione al suo interno, faticava non poco a compattarsi, per resistere al professor V allerini q uando era necessario.

Q uando alla fine di marzo il preside si laureò per la seconda volta, l’assemblea salutò la notizia con un applauso che per più di q ualcuno significava: gireremo ancora più al largo.

I consigli di classe, dopo la novità rappresentata dai primi due, diventarono anch’essi appuntamenti inevitabili, da dimenticare ap-pena conclusi. L’alleanza tra religione ed educazione fisica, in opposizione ai giudizi dei colleghi delle altre materie nelle discus-sioni sui casi incerti o da bocciare, q ualche volta gli aveva fatto assumere il ruolo dell’avvocato della difesa, senza speranza alcuna di spuntarla. Il preside stava, infatti, sempre con la maggioranza.

A giugno Cristiano fu invitato a ben q uattro cene e a due pizze di fine anno dagli allievi del triennio. Alla prima serata scoprì che gli insegnanti non pagavano.

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Pagare la consumazione sarebbe stato giusto, ma dovette con-fessare a se stesso che era piacevole sentirsi accolto a pieno titolo tra i non paganti.

A crescere nella considerazione dei colleghi molto aveva giova-to la stima di Salvetti, di latino, che teneva per il terzo anno consecutivo un seminario di filologia greca a Ca’ F oscari.

La conoscenza del greco classico, in q uegli anni, era un segno di distinzione.

Q ualcuno dei suoi vecchi professori della sezione classica era ancora in servizio.

Molinari, che la lingua di O mero e di Platone gliel’aveva fatta amare davvero, era andato in pensione due anni prima.

Sarebbe stato bello andare a fargli visita nel suo ritiro asolano e guardarlo ancora una volta con la riconoscenza e l’affetto del di-scepolo.

D a Salvetti, ad aprile, si era sentito chiedere un parere su un’espressione del Prologo del V angelo secondo Giovanni. In sala insegnanti, per giunta, presenti una mezza dozzina di colleghi.

- Greco biblico, Cristiano... k aì o l ògos è n pròs tòn th eòn. Come tradurresti?

- E il L ògos era riv ol to v ers o Dio - aveva risposto sicuro Cri-stiano, richiamando la linea scritturale della ‘ sapienza’ presente all’atto cre-atore divino.

- D al libro dei Proverbi, passando per il Siracide, Sapienza e il V angelo di Giovanni, si arriva fino all’interpretazione dei Padri del-la Chiesa e degli scrittori ecclesiastici come O rigene... D elle Persone della T rinità cristiana è proprio il mutuo ed eterno atto del «rivolgersi verso» l’altro... U na delle operazioni di q uella che i teo-logi chiamano ‘ T rinità immanentÈ . È così anche dell’uomo, creato a sua immagine. N oi siamo esseri fatti per la relazione...

Salvetti aveva ascoltato con attenzione. Q ualche giorno dopo gli aveva fatto dono di una sua traduzione del poema di Parmenide.

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Cristiano aveva ricambiato con l’ultima edizione delle A pol ogie di Giustino.

U scendo dall’ultimo scrutinio provò la sensazione di aver dato il meglio di sé tutto l’anno. Il giorno seguente inviò in Curia copia dei programmi svolti,

unitamente ad una breve relazione sull’esperienza complessiva. N on era un atto dovuto, ma il rispetto per la fatica durata otto

mesi lo giustificava abbondantemente. N on pretendeva che q uelle carte fossero lette da q ualcuno. In

fin dei conti, contenevano un messaggio: “Q ui si fanno le cose seriamente. Q ualcosa di nuovo e di ve-

ramente utile si può fare, se si vuole” . Le condizioni in cui aveva prestato la sua opera erano state par-

ticolarmente favorevoli: numero di allievi per classe, numero di ore di lezione, la considerazione dei colleghi e dei genitori.

A maggio, convocato per comunicazioni, aveva saputo che a settembre avrebbe ottenuto l’orario di cattedra presso un’altra scuola, il locale istituto d’arte per la grafica pubblicitaria.

Il preside, nel corso di una telefonata con Monsignor vicario, aveva lodato la preparazione e l’efficienza del docente inviatogli.

Avrebbe così lasciato il liceo, dove le sue capacità , egli pensava, potevano essere messe a frutto con notevole soddisfazione per q ualche anno.

F osse stato possibile rompere la consuetudine che ad insegnare al classico ai figli dei benestanti del luogo doveva essere un prete, si sarebbero potute mettere insieme sedici o diciassette ore. Le prei-scrizioni indicavano come più che probabile un aumento di classi.

Ma Castello era, anche da q uesto punto di vista, un’ é ncl av e del passato.

L’I.S.A. ‘ Giorgio B arbarelli’ sapeva di frontiera, anche se non stava sul limitare del deserto dei T artari.

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Cristiano poteva ormai considerarsi inserito a pieno titolo nel numero dei docenti laici di religione della diocesi. Poco meno di una ventina di elementi. Lui era il più giovane.

La prima estate da insegnante stava passando in fretta. R iposatosi per tre settimane, dopo la fatica dei primi tre e-sami

di filosofia sostenuti brillantemente a luglio, prima che agosto finis-se aveva aperto A l d i l à d el b ene e d el mal e , disponendosi ad iterare l’esame di F ilosofia morale in sessione autunnale.

“... 1 5 3 . Q u el ch e s i f a per amore è s empre al d i l à d el b ene e d el mal e ” . “Cos’è amore per N ietzsche?” . Seduto sul bordo del fosso, le spalle appoggiate a uno dei due

pioppi delle sue letture estive, q uel mattino aveva provato una sorta di sbandamento interiore.

Il pensiero lampeggiante del tedesco geniale metteva in discus-sione la concezione di vita che si era costruita negli ultimi due lustri.

All’età di q uindici anni, durante un breve periodo di vacanze a B orca di Cadore, standosene solitario in riva al B oite, per tre pome-riggi consecutivi aveva sottoposto ad analisi i fondamenti della sua fede religiosa. Cataclismi non ce n’erano stati e le sue convinzioni ne era uscite rinforzate.

O ra, accostando il pensiero niciano tornato in auge in Italia in q uel periodo per impulso di un filosofo dell’università di T orino, si sentiva provocato a riformulare dentro di sé le ragioni della fede ricevuta dai padri.

La smantellante lucidità dei giudizi sulla presunta falsità intrin-seca ad ogni morale ( « L a moral e come atteggiamento - q u es to, oggi, ripu gna al nos tro gu s to », leggeva al capitolo settimo) per q ualche istante ave-va addirittura fatto tremare le fondamenta stesse della sua formazione.

D a G eneal ogia d el l a moral e era passato a C os ì parl ò Z arath u s tra.

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Affascinante, farsi catturare dalla creatività di un pensiero spin-to al limite delle sue possibilità di esercizio. Sorprendente, l’attualità della sua problematica.

Q uanti europei, prigionieri della loro drammatica incomunica-bilità e vaganti nelle nebbie della mancanza di senso in cui li aveva gettati il consumismo dell’era postindustriale, avrebbero sottoscrit-to il programma che prescrive di «cons erv arci i nos tri trecento pros ceni; e pu re gl i occh ial i neri ( ‘ O ggi: a specchio’, notava Cristiano a margine) : giacch é es is tono cas i in cu i nes s u no d ev e gu ard arci negl i occh i e ancor meno nei nos tri ‘f ond al i’ . E res tare pad roni d el l e nos tre q u attro v irtù : coraggio, pers pica-cia, s impatia, s ol itu d ine. L a s ol itu d ine è inf atti pres s o d i noi u na v irtù , in q u anto s u b l ime tras porto e incl inaz ione per l a pu l iz ia, i q u al i ind ov inano come nel contatto tra u omo e u omo – ‘in s ocietà ’ - d eb b a ris u l tare u n’ inev itab il e mancanz a d i pu l iz ia. O gni comu nità rend e in q u al ch e mod o, in q u al ch e cos a, in q u al ch e momento – ‘v ol gari’ ».

D opo aver letto, riletto e meditato, aveva concluso che l’autore aveva espresso ciò che aveva vissuto: da isolato, da solitario volu-tamente al di là del suo tempo, si era proteso a vivere con una immensa e superba imperturbabilità ; sempre al di là .

“Come se Q ualcuno non scrutasse e non mi conoscesse” aveva pensato, ricordando il Salmo.

Se il rapporto con l ’ al tro s porca , per che cosa vale la pena di vivere? La solitudine ipocondriaca e misantropa del filosofo stava agli

antipodi dello spirituale ritiro del monaco dal mondo. La lotta interiore di entrambi li faceva però apparire vicini. In L a G aia s cienz a lesse: «N on cadiamo forse di continuo?». Il

pazzo del testo niciano aveva visto giusto: siamo esseri caduti, uo-mini in fuga dall’E den che portiamo in cuore.

Certamente N ietzsche, in q ualche sua opera, si era confrontato con il Cristo crocifisso. D ove, per il momento, non avrebbe saputo dirlo, ma la ricerca, ne era convinto, meritava di essere effettuata.

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“N ietzsche conosceva sicuramente il salmo: ‘ A l z o gl i occh i v ers o i monti: d ond e mi v errà u n aiu to? ’. F orse, per un attimo, prima di spro-fondare nel buio, anche lui avrà levato gli occhi dell’anima verso l’uomo del Monte della Crocifissione… È sul Calvario che la soli-tudine, per noi, è stata resa abitata...” rifletteva tra sé , tornando lentamente verso casa.

R iproducendo il gesto che era stato di suo nonno, scostava col piede verso i bordi del tratturo q ualche sasso spinto fuori posto dalle ruote dei trattori.

“... abitata da D io, per il credente ( ‘ I n interiore h ominis h ab itat Deu s ’) ; o, almeno, dall’irriducibile alterità dell’altro essere umano... V ivere in comunione solitaria con tutti gli esseri... T heillard de Chardin, mi pare. E , nel dolore e nella morte, per tutti, solitudine abitata dal Crocifisso, che grida a D io il suo abbandono, affinché credenti e senza D io non fossimo più soli… Solitudine abitata. U n bell’ossimoro. Potrei proporlo, durante le lezioni sul senso della vita” .

Abbracciando con lo sguardo il doppio filare di pioppi che, lungo il fossato in piena, ombreggiavano estesamente il confine della sua campagna, ripensò a un’esperienza cui si era sottoposto alcuni anni prima.

U n periodo di crisi tardava a passare e lo rendeva insoddisfatto, perfino triste. U na sera, dopo cena, guidando senza meta l’auto del padre, si era sentito oppresso dalla malinconia.

Ad una dozzina di chilometri da casa s’era risolto con un atto di volontà . F atto dietrofront, si era diretto all’ospedale cittadino.

N el reparto lungodegenti, i primi due vecchietti in cui si era imbattuto nel salottino d’ingresso, ‘ arditi’ sopravvissuti, gli avevano raccontato di eroiche imprese vissute durante la Grande Guerra, all’assalto delle trincee nemiche con bombe a mano, baionetta tra i denti e parecchi sorsi di cordiale in corpo.

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Li aveva ascoltati per q uasi un’ora, senza fretta, fino al termine dell’orario delle visite ed era tornato poi a casa sentendosi più leg-gero.

Il mattino seguente la luce gli era sembrava sfolgorasse più chiara del solito.

E ra un giorno di fine giugno. L’agendina blu non riportava la data esatta, ma ricordava bene

che q uel giorno aveva deciso di voltare pagina, entrando nel deser-to.

Il primo vero deserto della sua vita. Avrebbe trascorso i mesi estivi studiando ed evitando con cura

i contatti umani non strettamente indispensabili. D entro di lui, un’esigenza si era fatta urgente: mettere in luce

l’essenziale, per gettare definitivamente gli orpelli dell’E go che lo rendevano ormai insopportabile a se stesso.

Col trascorrere dei giorni la sua determinazione si era fatta mo-nolitica, tanto da suscitare q ualche preoccupazione nei genitori e curiosità nei fratelli minori per l’inconsueto silenzio a cui si era da-to.

La prova in cui aveva deciso di cimentarsi era articolata. Con tutta la forza di volontà di cui era capace, si era imposto di

non ospitare nella sua mente pensieri che avessero a che vedere con l’Io, a cominciare da q uelli che col pronome personale di prima persona avessero a che fare a livello sintattico.

“Sottrarre il nutrimento che, avvertitamente o meno, gli viene fornito... D iminuire ogni giorno un po’. E stare in attesa” .

I fallimenti ( q uasi scoraggianti all’inizio, poi solo parziali dalla terza settimana in avanti) avevano infine lasciato il posto a intere ore di silenzio interiore, in cui era giunto a provare una sorta di distacco dalle sensazioni di piacere-dolore.

Al cinq uantottesimo giorno era riuscito nel suo intento.

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E ntrato in una condizione simile alla disattenzione mentale, gli parve di riuscire a tenere a bada, fuori della soglia della sua mente, q uella ‘ cosa’ tanto invadente.

E ra stato l’ipertrofismo dell’Io a secernere il liq uido stagnante della noia nei pomeriggi domenicali della sua adolescenza, a zavor-rare la ricerca spirituale dei suoi primi anni di giovinezza.

I giorni successivi si era sentito indotto ad allungare i tempi di concentrazione, puntando a rallentare i pensieri transitanti sulla scena della mente. B loccatone uno, aveva giocato a farlo scompari-re.

Infine, una leggerezza fatta d’inappetenza, di senso di vertigine e apatia lo aveva preso interamente, con una concomitante ridu-zione delle sensazioni provenienti dal gusto e dall’odorato.

In q uelle condizioni gli riusciva facilissimo d’immergersi in una specie di meditazione prolungata, a partire dalla superficie di una pietra, dallo scorrere gorgogliante dell’acq ua nel fossato, dalla ner-vatura di una foglia o semplicemente dall’andirivieni del respiro.

T acevano, finalmente, le esigenze di perfezionamento che tan-to lo avevano occupato negli anni precedenti.

U na serie di nuove percezioni, note probabilmente ai digiuna-tori di tutti i tempi, avevano preso gradatamente consistenza.

D opo giorni di aridità interiore mai provata prima ( una dozzi-na, gli erano sembrati; in realtà , non era trascorsa una settimana) , la sua lucidità ne era uscita esaltata, come se la mente galleggiasse su di uno specchio d’acq ua perfettamente calmo.

Sarebbe stato bello acconsentire fino in fondo a q uell’ascetica fatta di consapevolezza nuova, di eq uilibrio rilassato, di sereno di-stacco da cose e persone.

La tentazione era trascinante. Che fosse anche q uello un travestimento dell’Io?

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Il dubbio gli era venuto da una duplice osservazione: il fascino dell’esperienza lo allontanava dall’impegno nel volontariato e dall’interesse per le notizie q uotidiane.

Con l’approssimarsi dell’autunno, si era risolto ad uscire dal de-serto e a ritornare con calma alla cura dei rapporti con i suoi simili.

Aveva posto il suo primo deserto alle spalle. N on avrebbe più chiesto per sé l’attenzione altrui, cui tanto a-

veva tenuto fin dalla fanciullezza. Si era ripromesso di stare accanto a chiunq ue avrebbe incontra-

to senza aspettarsi alcunché , accogliendone la presenza e l’umanità . Pronto a ricevere, come a dare.

La gabbia dell’Io poteva essere spalancata solo attraverso il rapporto con l’altro uomo.

I care era diventato il motto dei suoi primi anni di giovinezza. ‘ V ivere l’altro’ ( «inaltrarsi », aveva letto in una pagina di R o-

smini il giorno stesso in cui aveva riposto i libri di N ietzsche) . Il Samaritano della parabola si era sporcato dell’umanità di colui che era incappato nei briganti.

U n altro ricordo veniva a galla: sedicenne, la sua attenzione era stata attirata, un sabato sera, dal lamento umano che proveniva da una bicocca trenta metri più in là , sull’altro lato della strada, nei pressi della fermata dell’autobus di linea sulla statale per T reviso.

Col sacco a pelo legato allo zaino, insieme a tre amici stava a-spettando l’ultimo pullman per la dorata spiaggia di J esolo.

Avvistato il mezzo di trasporto in lontananza, improvvisamen-te aveva deciso di non ignorare il pianto lamentoso che aveva cominciato a incuriosire anche i suoi compagni.

Il sole tramontava. - V oi andate avanti. V i seguo, o vi precedo, in autostop. Ci tro-

viamo in spiaggia a mezzanotte al solito posto. O alla solita gelateria.

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Gli amici conoscevano bene la sua determinazione. R accolto lo zaino di Cristiano, erano partiti scuotendo la testa.

In due salti era arrivato all’uscio sgangherato della casaccia. Gli era sembrato inopportuno domandare «permesso».

Avvolta in panni neri, una vecchia popolana, dal viso rinca- gnato e sporco di fuliggine, frignava nell’angolo di q uella che

poteva essere stata una rimessa per biciclette, ai tempi in cui la gen-te per recarsi in città si spostava con le corriere.

U n cassettone tarlato, pietosamente sormontato da una spec-chiera col vetro malato, un lettuccio sfatto discretamente alto, un lavandino sporco e gocciolante, un acq uaio scheggiato in pietra grigia sul q uale stavano piatti, scodelle e stoviglie non lavati, una piccola cucina economica impolve-rata, un attaccapanni arruggini-to, tre sedie di paglia e una tavola da cucina traballante riempivano la miseria di q uello spazio.

Appesa alla parete, tra le ragnatele, un’immagine di papa Gio-vanni X X III su cartone ammuffito.

- Perché piange? H a bisogno di un medico? Cristiano aveva guardato la vecchia dritto negli occhi acq uosi e

arrossati. - Come vi chiamate? Si chiamava R egina. La donna, emesso un sospirone, gli aveva

raccontato di essere stata abbandonata da tutti. Le gambe la sorreg-gevano solo per andare dalla cucina al bagno. U na figliastra, che abitava lì vicino, le portava del caffelatte al mattino e q ualcosa per i pasti, lasciando tutto sul lurido davanzale dell’unica finestra, senza entrare.

Avrebbe desiderato confessarsi, ma non ricordava q uanti mesi fossero trascorsi dall’ultima visita del prete.

T re giorni dopo Cristiano si era recato dal sacerdote di compe-tenza e si era sentito dire che si trattava di una megera, una specie di strega che era preferibile evitare.

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E ra rimasto perplesso. Il giorno dopo le aveva portato una sca-tola di pasticcini. N ulla di cattivo gli sembrava di cogliere in q uello sguardo reso opaco dalla solitudine.

Aveva promesso di farle visita il sabato successivo con i suoi amici, per pulire ed imbiancare i due piccoli locali.

La vecchia aveva accennato a un sorriso, mentre le si riempiva-no gli occhi di lacrime.

Il giorno dell’imbiancatura non venne mai. La vecchia era morta poche ore dopo la sua ultima visita ed era

stata sepolta a spese del comune. Per lui, R egina sarebbe rimasta importante. E ra stata la prima

persona emarginata che aveva scoperto e cercato di aiutare. Ce ne sarebbero state altre e ognuna di esse gli avrebbe con-

sentito di mettere in luce un aspetto sconosciuto della sua stessa umanità .

C A P I T O L O S E T T I M O Abiti e pettinature punk , dark , alla J ames D ean, alla paninara o

semplicemente disordinati, nonché uno stare in gruppo tra lo scan-zonato e il trasgressivo, rendevano i ‘ barbarelliani’ una delle note caratteristiche della cittadina di Castello.

Poteva capitare che il genitore in cerca di notizie sulla scuola a cui stava per iscrivere il figlio o la figlia sentisse accennare vaga-mente a ritrovamenti di mozziconi di spinello nelle viuzze intorno alla scuola.

In realtà , gli eredi dei figli dei fiori al B arbarelli si potevano contare sulle dita delle mani.

Gli studenti che indossavano capi di vestiario di tipo ordinario, è vero, erano una minoranza.

Chi calzava anfibi, chi sfoggiava il chiodo e chi stringeva ai fi-anchi cinturoni borchiati. N on mancavano i simpatizzanti della sinistra cheguevariana, odiati dai sette od otto cultori della sorgente moda neonazista.

Confusi nella massa, c’erano anche studenti e studentesse con le idee chiare sul loro futuro professionale, lanciatissimi sulle fron-tiere aperte proprio q uell’anno dall’attivazione del laboratorio di computer grafica.

Cristiano si sentiva un po’ teso, q uel giorno. Sgattaiolò , tra l’indifferenza generale, nell’androne d’ingresso

dell’edificio che un tempo aveva ospitato la scuola d’avviamento del luogo e, successivamente, il liceo.

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Sotto lo sguardo severo del busto in marmo nero di un uomo di scuola del passato salì le scale e giunse alla porta della presiden-za.

E rano le 8 : 1 0 del mattino. Il secondo segnale della campa-nella era suonato, ma di entrare nelle aule molti allievi sembrava non volessero saperne.

“Altra scuola q uesta, a q uanto sembra...” pensò tra sé , bussan-do piano.

Il signore sulla q uarantina che maneggiava in piedi dei foglioni bianchi dietro la scrivania più importante dell’istituto era Adriano F antoni.

Preside incaricato da due anni, era uno dei docenti saliti da U r-bino a Castello alla fine degli anni Sessanta, per avviare, sotto la regì a del preside R inaldo Centon, cesellatore di fama internaziona-le, i primi corsi di grafica pubblicitaria, con una dozzina di allievi più che motivati, in pochi vani di un vecchio edificio di V ia F ermi messi a disposizione dall’amministrazione comunale.

- N on sentirti a disagio se non ti baderanno granché , nei pros-simi giorni... - introdusse F antoni, dopo una cordiale stretta di mano.

- Capita a tutti i nuovi insegnanti. E non stupirti troppo per il rumore che fanno i ragazzi. Q ui si formano dei creativi. O h, benin-teso! gli orari vanno rispettati, ma con elasticità . N on è la confusione apparente che impedisce di ottenere risultati interessan-ti.

Sentirsi dare del tu dal preside F antoni dopo aver conosciuto per otto mesi la presidenza V allerini era piuttosto sorprendente.

- Cosa ci sia aspetta q ui da un insegnante di religione? - chiese, senza riuscire a dare a sua volta del tu.

- F orse che sappia stare al gioco - rispose F antoni, con fare un po’ sornione.

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Lasciando intendere che le soluzioni di orario contenute nei foglioni stavano aspettando urgentemente la sua attenzione, il pre-side accompagnò il neo incaricato ad una porta laterale:

- Per oggi te ne stai tranq uillo. Q uesta settimana non sei ancora inserito nell’orario. Se vuoi presentarti alla Mara, la segretaria della scuola, lavora dietro q uesta porta, insieme alla signora Andreina, applicata. B envenuto al B arbarelli!

F antoni bussò , aprì e richiuse la porta alle spalle di Cristiano, che si trovò di colpo di fronte alla scrivania della segretaria.

Cristiano salutò per primo. Il locale era decisamente angusto, ma ben illuminato e pulito. N otò che persino in q uell’ufficio remoto giungeva il rumore

del continuo andirivieni di docenti, bidelli e studenti. F iorellini rossi in un vasetto di ceramica bianca e un poster gi-

gante di girasoli contro un cielo blu intenso risaltavano piacevolmente nello spazio stracolmo di faldoni, carte sparse e macchine da scrivere.

Prossima ai trent’anni, biondo castana, di statura piccola e pro-porzioni armoniose, Mara gli offrì una sedia.

Cristiano preferì restare in piedi. La segretaria sorrideva con gli occhi, cerulei e vivacissimi. I

movimenti esprimevano sicurezza e affidabilità . - Il preside incaricato l’ha già conosciuto. Come le ha avrà det-

to F antoni, io sono la segretaria. Lì c’è Andreina, la mia collaboratrice.

Cristiano salutò con un cenno del capo l’applicata che stava sulle sue carte.

- Il preside F antoni mi si è rivolto con il tu, spiazzandomi un poco. Sa, vengo dal liceo.

- Scuole diverse, professore. Q ui si va al sodo e con immedia-tezza. U n istituto d’arte che forse la sorprenderà , all’inizio. Sicuramente, lei saprà reagire nel modo giusto. Intanto, se mi per-

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mette, le direi q ualcosa che le potrà giovare: non si stupisca se in q uesta scuola di religione non ne masticano proprio. I suoi prede-cessori erano artisti anche loro, diciamo così . Presto scoprirà che q ui la sua ora è stata considerata finora un momento particolare...

Cristiano resistette alla tentazione di approfondire e preferì tornare sul preside:

- Grazie. Avevo intuito. Preside incaricato, diceva. Significa che ha ricevuto una nomina dal Provveditore?

- N on è di ruolo, infatti. E ntrò in q uel momento un bidello portando un messaggio. Con un movimento agilissimo tra sedia tavolo e armadio, la

donna passò , scusandosi, a fianco di Cristiano e scomparve nell’ufficio accanto, lasciandolosi dietro un fresco profumo di eau d e toil ette.

La signora Andreina, una bruna sui q uaranta, alta, dal porta-mento raccolto, porse a Cristiano l’orario provvisorio e i registri:

- Per ogni cosa, siamo a sua disposizione, professore. Le augu-ro un buon anno scolastico.

Cristiano ringraziò e uscì dalla porta principale. La sala insegnanti, adibita anche a biblioteca d’istituto, non lo

attirava, q uel mattino. Preferì fare un giro sotto i portici, con una puntatina al bar

dell’angolo. Il sole di settembre invitava a non fare programmi. U n pensiero vagabondo lo indusse a pensare alla figura

dell’insegnante di religione disegnata dalla legge negli anni T renta, in applicazione del Concordato del ‘ 2 9 .

Gli parve singolare che q uella disposizione, a cinq uant’anni di distanza, riguardasse in q ualche modo anche l’esperienza profes-sionale che stava vivendo negli ultimi dodici mesi.

Giudicato idoneo dall’ordinario della diocesi, il candidato otte-neva una proposta di nomina che veniva ratificata d e f acto dal

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preside. Q uest’ultimo, a luglio faceva avere all’ufficio competente della Curia la richiesta di provvedere alla designazione degli inse-gnanti di religione necessari a coprire il numero di classi formate dagli iscritti.

N el caso si trattasse di un laico, l’idoneità concessa dall’ordinario faceva seguito al riscontro della preparazione in teo-logia cattolica effettuata dal candidato e ad una lettera del parroco sull’affidabilità del candidato, con riferimento al buon nome e alla moralità .

“Chissà cosa ci sarà scritto in q uella che il mio don E ttore ha firmato per me un anno fa” pensò .

V oleva bene al suo parroco, anche se non era mai riuscito a ca-pire se egli l’avesse compreso: su q uel giovane che aveva studiato teologia per passione il buon prete aveva fatto forse q ualche pro-getto, anni prima.

T roppo diverse, però , si erano rivelate l’età , la formazione e le rispettive disposizioni nei confronti dei temi sociali e degli aspetti organizzativi della vita della comunità cristiana.

B isognava riconoscere che don E ttore, poco più che sessan-tenne, aveva preso atto con paterna tolleranza della scelta del giovane parrocchiano di studiare teologia, in un paese che contava solo un laureato in matematica, un laureando in medicina e una laureanda in biologia.

Cristiano, seguendo l’inclinazione, aveva preferito impegnarsi nel volontariato fuori paese, piuttosto che in parrocchia.

E ntrato nel solito bar, sbirciò i titoli del q uotidiano messo a di-sposizione degli avventori.

Affrontando le prime righe dell’articolo di fondo, il pensiero corse per la prima volta al meccanismo che aggiunge giorni allo stipendio: era singolare che q uello funzionasse, anche se non era ancora inserito nell’orario delle lezioni.

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“U n posto simil-statale, senza essere dipendente dello stato… ” pensò , dirigendosi verso i giardini pubblici.

I neo laureati in materie umanistiche suoi coetanei ancora non guadagnavano uno stipendio. F orse q ualche fortunato aveva otte-nuto una supplenza temporanea.

Alcuni dei suoi compagni di corso, all’università , lo tenevano in speciale considerazione, infatti: freq uentare con regolarità e con-temporaneamente insegnare, non era da tuttti.

Antonio e Gianfranco, goliardi esemplari e niciani dichiarati, lo salutavano talvolta rivolgendogli un A v e, magis ter! T h eol ogia d omina ph il os oph iae! che lo costringeva a schermirsi.

U scendo dal bar, osservò che ormai si sentiva pienamente par-tecipe del movimento di cose e persone che ferveva intorno: una sensazione che da semplice studente non aveva mai provato.

L’istituto statale d’arte ‘ B arbarelli’ era dislocato in tre sedi, più

la palestra che il Comune aveva preso in affitto dalla parrocchia del duomo.

La sede staccata di via E nrico F ermi, a suo tempo vasta casa privata di tre piani a pianta q uadrangolare, ospitava in basso ‘ le ta-nÈ : cinq ue locali con sufficiente dotazione di macchinari e armadi di lamiera, disposti in spazi che, riempiti all’inverosimile, appariva-no incredibilmente angusti.

A parte uno stanzone ricavato in posizione angolare, i q uattro lati interni degli altri q uattro laboratori davano sul cortiletto centra-le, con porte a vetro per far entrare la luce.

T ra le macchine e i tavoloni di panforte, spazi di passaggio e posti di lavoro per i corpi dei docenti e degli allievi erano q uasi la stessa cosa.

Cristiano, che non vi metteva mai piede, si sarebbe reso conto solo in seguito dell’importanza dell’esiguità degli spazi nell’educazione di maschi e femmine in q uella scuola.

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U no dei fattori che determinavano l’accelerazione del processo di conoscenza tra i sessi in q uel luogo era certamente la prossimità fisica.

U n odore indefinibile di tinte, solventi, sudore e polvere avvol-geva ogni cosa.

Ai piani superiori, le aule vere e proprie erano stanze stipate di banchi, sedie e armadietti.

Alcune erano dotate di un tavolone di panforte che sostituiva i banchi, poiché non si sarebbe potuto farceli stare in numero baste-vole. In compenso, non mancavano le sedie.

D isegnate sui tavoloni, bizzarre espressioni multicolorate di generazioni di studenti annoiati, innamorati, in vena di riflessioni filosofiche o semplicemente incavolati col docente imbecille o mo-na* di turno.

Le cattedre erano semplici banchi, un po’ più grandi dello stan-dard.

V ecchie lavagne di ardesia incorniciate di lamiera testimoniava-no con le loro scheggiature, rigature e macchie di colore indelebile, di torture sostenute durante le ricreazioni e nei passaggi da un’ora di lezione all’altra, per anni, da mani di studenti frustrati dall’impossibilità di torturare gli insegnanti.

Al primo e al secondo piano si accedeva tramite un’unica scala di marmo poroso e consunto, larga abbastanza da lasciar salire e scendere contemporaneamente due persone.

N el vano del sottoscala, la caldaia. Anche l’estate precedente i V igili del fuoco avevano avvisato di

provvedere a rimuoverla e a dotare l’edificio di scala antincendio, avvisando oralmente che poteva essere emesso da un giorno all’altro il provvedimento di chiusura.

O gni anno il Comune autorizzava l’uso dell’edificio e ogni an-no i V igili mandavano il loro avviso.

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“Che nelle preghiere segrete del preside e del sindaco di turno q uesta sia una scuola posta sotto la protezione di Santa B arbara?” si era chiesto Cristiano, pensando ai litri di solvente infiammabile immagazzinati in un angolo dei laboratori.

Al primo piano stava l’ufficio del preside. Il corridoio d’accesso, privo d’illuminazione, era di larghezza di

poco superiore alla porta e dava al visitatore la sensazione di un budello.

Al secondo piano si trovava la sala docenti: una saletta a man-sarda, con finestrelle che arrivavano alle ginocchia e una luminosità solare che, d’inverno, non differiva di molto da q uella di una cripta romanica.

L’aspetto caratteristico della succursale di via F ermi era il pe-renne movimento di persone nei corridoi.

Chiunq ue avesse chiesto: come mai sei fuori dall’aula?, si sa-rebbe sentito rispondere invariabilmente che c’era un permesso di recarsi in laboratorio, al bagno, dal professore tal dei tali, in segre-teria.

E , a parte le q uotidiane crisi d’astinenza mattutina di q ualche decina di giovanissimi fumatori, superate nei gabinetti bruciando rapidamente tra le labbra una sigaretta, ci si poteva fidare che fosse la verità .

Se il moto è vita, il B arbarelli-succursale somigliava a un termi-taio.

La terza sede era rappresentata da un distaccamento di q uattro aule, un piccolo ufficio e servizi igienici presso l’ala ovest dell’IT C "M. Martini", una scuola che si avviava a superare i mille allievi e che da due anni chiedeva la restituzione degli spazi.

In q uest’ultima sede, in un’aula ove entrò per la prima volta l’ultima settimana del mese, a Cristiano capitò di varcare inavverti-tamente la soglia della seconda fase della sua vita.

C A P I T O L O O T T A V O In 4 D una diciassettenne dai capelli castani guardava, come tut-

ti i suoi compagni, in direzione della cattedra, dal banco in q uarta fila posto accanto alla porta.

Cristiano si presentava alla classe. D urante l’appello aveva notato l’incarnato eburneo del piccolo

volto dai lineamenti regolari e un po’ nervosi. T empie e narici po-tevano rivelare durezza di carattere e tenacia.

N egli occhi scuri sembrava covare, invece, un’energia scono-sciuta in effervescenza.

Incrociando q uello sguardo, Cristiano avvertiva dentro di sé una rapida variazione del campo attenzionale.

D opo dieci minuti, la curiosità di verificare la natura dello stra-no fenomeno e il dovere d’imparzialità nei confronti di ogni altro allievo confliggevano al punto che si impose di non incontrare q uello sguardo deliberatamente.

La maggioranza degli studenti fingeva d’interessarsi alla presen-tazione del programma.

Q ualche minuto prima della fine dell’ora, F rancesca, una bion-da ossigenata piuttosto appariscente, sussurrò q ualcosa all’orecchio di D onatella.

Cristiano s’accorse che si parlava di lui. F orse era soltanto una sua impressione l’impercettibile reazione della ragazza che aveva colto di sfuggita: dalla cattedra q uello sguardo si era spostato alla superficie del banco e le labbra avevano abbozzato un sorriso.

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Il suono della campanella diede la stura ai rumori della ricrea-zione.

Congedandosi con un saluto piuttosto formale, Cristiano si di-resse alla porta.

Passando accanto a D onatella, una specie di dilatazione senso-riale momentanea lo fece definitivamente avvertito che q uella ragazza non gli era indifferente.

U scito dall’aula, Cristiano si fermò accanto al distributore au-tomatico di bevande calde, cercando di elaborare le nuove sensazioni.

Inserite le monete necessarie, premette il tasto del caffè lungo. La bevanda somigliava vagamente al caffè svizzero. “La polve-

re c’è , senza dubbio” pensò , sorseggiando. “È il caffè che non si sente...” commentò un attimo dopo, analizzando il fondo del bic-chiere di plastica color nocciola.

D onatella e F rancesca, sul lato opposto del salone, conversa-vano animatamente.

Ad un certo punto si mossero all’unisono e si avvicinarono con fare lieto, con l’intenzione evidente di scambiare due parole con l’insegnante.

- Professore! - attaccò D onatella con voce sq uillante, tra le cen-to voci della ricreazione - Siamo contenti d’averla con noi, q uest’anno. R imarrà anche per il prossimo?

- Per q uanto mi riguarda, risponderei di sì - rispose Cristiano, grato per le parole accoglienti e per l’inattesa compagnia.

- Spero solo di essere all’altezza del compito e che in classe ci si possa intendere.

- I preti che abbiamo conosciuto gli anni scorsi… lei sa com’è ... non tutti gradiscono un’ora di catechismo settimanale a scuola - disse F rancesca, saggiando il terreno.

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- N on ho ancora avuto modo di informarmi su cosa avete fatto in passato, ma non mi pare che abbiate fatto catechismo… - rispo-se Cristiano con fare distaccato.

Si avvicinarono due compagne, Michela e Giovanna. Cri-stiano notò che l’intrusione era stata accolta da D onatella con un moto d’insofferenza.

D allo scambio di battute che seguì sul rapporto tra studenti e insegnanti ottenne conferma circa un’informazione attinta il giorno prima in sala insegnanti: un discreto numero di docenti consentiva-no agli allievi che ci si rivolgesse loro con il tu.

Puntualizzò con garbo che non lo avrebbe permesso nelle sue ore di lezione e neppure fuori dell’aula. Suonò la campanella.

Il volto di D onatella era tornato disteso, q uasi riflessivo. Gli parve soffuso di una luminosità q uasi lunare.

Cristiano, come tutti gli idealisti, era di fondo un ingenuo. N on

però fino al punto d’ignorare l’interesse di una studentessa per la sua persona.

N on si sentiva pronto ad affrontare l’imprevista situazione e aveva bisogno di riflettere. Q uale comportamento avrebbe assunto in 4 D ?

La nuovissima emozione provata notando gli sguardi fuggitivi di D onatella e la constatazione della propria imbranataggine scate-navano una ridda di pensieri diversi, per nulla concatenabili tra loro.

Concluse, provvisoriamente, che non era ancora venuto il momento di mettere in programma la ricerca di una compagna.

D a ragazzo, il pensiero di farsi eremita lo aveva affascinato non poco. Ma una cosa è nutrire un interesse intellettuale per la vita di contemplazione e altra cosa sono i segni di una vocazione alla soli-tudine consacrata.

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In seguito, il bisogno di esporsi, di battersi in prima persona nella società degli uomini era prevalso.

A vent’anni, molti dei suoi momenti liberi li aveva dedicati agli anziani nelle case di ricovero della zona o ai tossicodipendenti della piazza del capoluogo, tentando di aiutarne q ualcuno. Insieme a q ualche amico, in maniera non organizzata.

Q ualcuno gli aveva addirittura proposto l’impegno in politica. Aveva declinato l’invito, convinto che occorresse prima studiare e guadagnarsi la vita, per potersi poi spendere dignitosamente in un settore tanto difficile della vita sociale.

Q uella notte, prima di addormentarsi, gli tornò in mente il no-

me del paesino di residenza della brunetta incontrata in 4 D , letto sull’elenco del giornale di classe durante l’appello.

Il sogno di q ualche anno addietro ( “una ragazza bruna e una casetta circondata da ciliegi...” ) , riemergendo da un angolo della memoria come un gruppo di tasselli già ben compaginati, andò ad incastrarsi spontaneamente nel puzzle colorato che l’immaginazione galoppante andava costruendo.

Il buio della stanza pesava sulle palpebre. “U n’anticipazione?” . F u l’ultimo pensiero di q uella giornata. Alle 8 : 0 5 del mattino dopo era atteso in succursale. Arrivò in 5 B con alcuni minuti di ritardo, dopo essersi recato

per errore in sede centrale. Il foglietto con l’orario provvisorio consegnatogli dal bidello

dopo la ricreazione del giorno prima era rimasto sul tavolo in ca-mera sua e q uel mattino il risveglio era stato più difficile del solito.

La classe era composta di diciannove elementi, sei ragazzi e tredici ragazze. O tto mancavano all’appello.

- E gli altri? - domandò , dopo essersi scusato per il ritardo. - Al bar. O per strada.

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D omenico, un bel ragazzo alto, scuro di pelle tanto da sembra-re abbronzato, era di un paio d’anni più anziano dei suoi compagni.

F iglio della signora Andreina, l’applicata di segreteria, il tratto più evidente del suo carattere pareva fosse la riservatezza.

- Lei è nuovo, q ui al B arbarelli. Chi arriva in Q uinta certe li-bertà , q ui, se le può permettere. Attardarsi un poco al bar di fronte, ad esempio. D eve ammettere che non è un brutto modo d’incominciare la giornata.

N ello spazio di q uattro o cinq ue minuti, in perfetta calma, arri-varono ad uno ad uno sette degli otto mancanti all’appello.

- E Germano F urlan? - Ammalato. D omenico, era evidente, si era assunto il compito di introdurre

il nuovo insegnante alla conoscenza della classe. - U na malattia inguaribile, professore - precisò con aria triste il

ragazzo, scostando con la mano il ciuffo che gli cadeva sugli occhi. La risposta fece convinto Cristiano che, almeno per il momen-

to, la q uestione dei ritardatari cronici si poteva rinviare. La lezione prese le mosse dall’assenza di Germano. E ra chiaro che q uei giovani stavano in classe solo per non dare

un dispiacere alla mamma o perché l’esonero non avrebbe ben fi-gurato nella relazione finale di presentazione alla maturità .

La cultura religiosa non interessava probabilmente a nessuno, ma la sofferenza che aveva toccato la carne del papa a maggio in Piazza San Pietro e che nello stesso mese aveva toccato q uella del compagno imponevano di ascoltare, e magari rispondere alle do-mande che venivano dalla cattedra.

Il banco di Germano era in fondo, in angolo, leggermente stac-cato dagli altri.

Cristiano venne a sapere che era alto, biondo, di famiglia bene-stante, di carattere cordiale e amante dello sport.

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Consapevole della gravità della prognosi, non intendeva molla-re la scuola.

Alla fine di novembre Cristiano lo vide seduto al suo posto, lo sguardo chiarissimo e il volto che esprimeva coraggio e rassegna-zione.

V oleva ottenere la maturità . Lo rivide tre volte soltanto. Alla terza, tutti in classe ascoltarono il pensiero di Germano

sull’amore. Si ragionava sulla coppia umana. - V ede, professore, tra un uomo e una donna credo che sareb-

be utile nascesse prima un’amicizia, da coltivare giorno dopo giorno. N on vedo grande differenza tra amicizia vera e amore pro-fondo, se si esclude il sesso. Posso leggere alcune righe di K ahlil Gibran? Ce l’ho in borsa...

- F ai pure, Germano. Gibran, per chi non lo conoscesse, è un poeta scrittore d’origine libanese, vissuto da emigrante negli U .S.A. nei primi trent’anni del nostro secolo. D i recente la sua opera è stata tradotta in varie lingue con successo.

- Grazie. Leggo, professore. E u n giov ane ch ies e: - P arl aci d el l ’ amiciz ia. E d egl i ris pos e, d icend o: - I l v os tro amico è il v os tro b is ogno s az iato. È il v os tro campo ch e s eminate con amore e ch e mietete con riconos cenz a. E d è l a v os tra mens a e il v os tro f ocol are. P erch é v enite a l u i pieni d i f ame e l o cercate per l a v os tra pace. Salto alcune espressioni. - E s ia per l ’ amico l a parte migl iore d i v oi s tes s i. Se egli deve conoscere il riflusso della vostra marea, che ne conosca anche la piena. P er cos a è v os tro amico, s e l o cercate nel l e ore d i

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morte? C ercatel o s empre nel l e ore d i v ita. P erch é pu ò col mare ogni v os tro b is ogno, ma non il v os tro v u oto. E nel l a d ol cez z a d el l ’ amiciz ia ci s ia il ris o, e s i cond iv id ano i piaceri. P erch é nel l a ru giad a d el l e piccol e cos e il cu ore s copre il s u o mattino e trov a conf orto. Il silenzio era assoluto. R omperlo, toccava all’insegnante. Germano aveva chiuso il libro e teneva lo sguardo alla coperti-

na. - Grazie, Germano. Convengo che amore e amicizia siano ge-

melli, se così si può dire - disse Cristiano dopo q ualche istante -. Avrai notato che Gibran parla di bisogno che l’amico contribuisce a saziare. O ra, propongo di distinguere il bisogno dal desiderio. Come fanno notare alcuni autori, il bisogno viene soddisfatto in modo definitivo, anche se temporaneamente. Mettiamo, il bisogno di bere. B evuto un litro d’acq ua fresca, anche la sete più intensa è soddisfatta. Così dicasi per il bisogno di mangiare, di gettarsi in ac-q ua q uando si va al mare, di silenzio se si è poco disposti a stare in compagnia. Il desiderio ha invece una valenza infinita: q uanto desi-dero la felicità per chi amo? q uanto desidero la persona amata? L’amore conosce i ritmi del desiderio, se è vero amore. Anche se poi si dice: H o bisogno di te. Le cose che contano veramente nella vita si possono solo far intravedere. Credo sia sciocco pretendere di spiegarle.

Cristiano cercava le parole giuste. - Cerchiamo ora di mettere in luce le differenze. L’amicizia non

è forse basata sulla totale gratuità ? N on divento amico di q ualcuno per ciò che me ne può venire in cambio. E neppure esigo

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dall’amico ciò che mi può dare solo colui o colei che amo. Sì , per-ché la legge dell’amore è l’appartenenza reci-proca, l’abbandono dell’amante e dell’amato. La legge dell’amicizia è invece la prossimi-tà elettiva. L’amicizia offre se stessa senza bisogno di esigere. L’amore chiama amore, esige la reciprocità per il desiderio di offrir-si. Sono due distinte manifestazioni del desiderio di condivisione che urge dentro al cuore umano. Propongo di considerarli la bifor-cazione, i rami principali dello stesso tronco: e cioè la dimensione relazionale, tipicamente umana, propria di esseri dotati di libertà , intelligenza, sentimento, volontà e spiritualità . O gni autentica rela-zione richiede fedeltà …

Germano non poté partecipare alla lezione della settimana do-po, né alle successive.

Allo scrutinio d’ammissione alla maturità , il consiglio di classe lo avrebbe dichiarato ‘ ammesso’. Paradossi dell’esistenza: la vita lo aveva già dichiarato maturo.

C A P I T O L O N O N O Settimana dopo settimana il B arbarelli assumeva i contorni di

un territorio da conq uistare o di un terreno da bonificare a palmo a palmo.

U n’intuizione aveva evocato l’immagine del dissodamento; il suo spirito di cavaliere medievale gli suggeriva invece il ricorso a rapide incursioni fatte di iniziative un po’ scioccanti, di proposte culturalmente provocatorie.

Servivano pazienza, coraggio e molta creatività . Sarebbe stata una conq uista lenta. Andava pianificata meticolo-

samente. Per tentare di svolgere il programma era necessario trarre fuori

alcuni dall’abulia, scuotere altri dalla pigrizia mentale, e non rasse-gnarsi all’indifferenza esasperante di altri ancora.

Q uanto influissero il consumismo dilagante e la caduta dei va-lori di riferimento sul rifiuto mentale di chi non voleva nemmeno sentir parlare di cultura religiosa in classe, non era cosa difficile va-lutare.

Certe parrocchie, poi, apparivano agli stessi ragazzi una so-pravvivenza di un passato ormai lontano, con riti e linguaggi molto poco comprensibili.

Per un certo numero di casi veniva effettivamente da chiedersi: q uale testimonianza di vita cristiana avevano offerto ( o stavano offrendo) le comunità di appartenenza?

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Contribuire a colmare impressionanti vuoti di conoscenza reli-giosa e indicare percorsi di vita possibili sembrava essere il compito a cui avrebbe dovuto dedicare i suoi sforzi.

Ma sarebbe servito, se in famiglia o in parrocchia ai ragazzi non venivano offerte concrete opportunità di sperimentare almeno in parte ciò che a scuola avevano compreso?

U n certo numero di studenti aveva alle spalle genitori separati, già divorziati o famiglie prossime allo sfascio.

D alle informazioni desunte dai loro racconti, per fortuna, oltre alle cosiddette situazioni ‘ normali’, c’erano anche consolanti ecce-zioni: genitori cristianamente impegnati e attenti alla trasmissione della fede, parroci e giovani sacerdoti in gamba c’erano ancora, q ua e là .

“Seminare, seminare... q ualcuno un giorno raccoglierà ” : era il pensiero con cui cercava d’incoraggiare se stesso nei momenti più difficili.

O gni lunedì cominciava una specie di corsa ad ostacoli che si concludeva il sabato, per ricominciare la settimana successiva con nuovi ostacoli da affrontare.

La sfida era chiara: mantenere salda la sua convinzione riguar-do agli obiettivi e alle motivazioni profonde del suo lavoro, anche q uando in classe veniva da chiedersi “che ci sto a fare, q ui?” .

A novembre gli venne l’idea di sviluppare in classe ricerche sui segni e sulle pratiche simboliche delle varie religioni.

In una scuola di grafica pubblicitaria forse si sarebbe potuto la-vorare con frutto intorno ai simboli universali delle reli-

gioni, per passare poi al piano della dottrina. D opo due lezioni dedicate a spiegare e a motivare, la cosa par-

ve stimolare i ragazzi a ideare e produrre. N elle classi del biennio cominciò una partecipata raccolta di fo-

tografie, riproduzioni di simboli religiosi e raffigurazioni di riti. Catalogati e presentati in classe, i materiali più significativi venivano

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elaborati e riprodotti con la collaborazione di due insegnanti di la-boratorio, usando tecniche diverse, corredati da opportune didascalie e schede informative.

L’obiettivo era una mostra di fine anno, in un locale del centro messo a disposizione dall’arciprete di Castello.

L’idea aveva dunq ue funzionato. T ranne che in 2 D . In q uella classe il leader del gruppo possedeva addirittura una

videocamera. Perché non realizzare in giro per T reviso la prima intervista, ( «prima in assoluto, su scala nazionale», aveva detto con-vinto in classe) , filmata da adolescenti tra la gente, sul tema: Chi è Gesù Cristo, per lei?

La proposta fu accolta favorevolmente e con un pizzico di en-tusiasmo.

L’analisi in classe degli spot pubblicitari televisivi, isolando spunti, frasi, oggetti o gesti presi dal mondo delle religioni, fu un’altra idea che ottenne discreto successo nelle classi T erze.

All’ inizio di dicembre cominciò a sentirsi pienamente a suo a-gio nella vita dell’istituto.

Si accorse pure che la sua presenza era stata notata. Le prime battutine ironiche di colleghi e studenti le aveva colte

al volo lui stesso passando nei corridoi. E sse si trasformarono presto in malcelata irritazione da parte di

un gruppetto ben individuabile di insegnanti: era segnale di un suc-cesso crescente della religione al B arbarelli.

La segretaria, incontrata al bar al momento della pausa del per-sonale di segreteria, arrivò addirittura ad avvisarlo di prepararsi a vere e proprie manifestazioni di ostilità da parte di anticlericali tra-vestiti da progressisti illuminati.

Puntualmente, l’astio di alcuni ‘ anziani’ spumeggiò a tratti du-rante gli scrutini di gennaio.

Cristiano pretendeva di dire la sua, sulla classe ed eventualmen-te sui singoli allievi.

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Che il docente di una materia considerata espressione dell’ ‘ i-deologia cattolica’ imposta, secondo loro, dal clerico-fascismo entrasse nel merito dei livelli di apprendimento, era evidentemente un fatto nuovo, al B arbarelli.

La cosa, all’inizio, lo fece divertire. La battaglia valeva assolu-tamente la pena di essere combattuta.

A febbraio si concentrò sulle classi dove più arduo era il com-pito, nelle Q uinte e nelle Q uarte, impegnando gli studenti in accanite discussioni.

Gli argomenti per provocare l’attenzione non mancavano. T esti di musica rock , detta satanica, offrivano lo spunto per

presentare la dottrina biblica sul demonio, con corredo di testi cu-rati da esorcisti di fama.

La presenza degli angeli nella vita degli uomini e la realtà del paradiso nelle religioni, sorprendentemente, riscossero notevole successo un po’ in tutte le classi.

Ai primi di marzo era già pronto ad affrontare temi scottanti di bioetica, in Q uarta; di morale sessuale e famigliare, di politica e di etica del lavoro, nelle Q uinte.

Il giorno di San B enedetto due rappresentanti della 4 C gli chie-sero la gentilezza di accompagnare la classe in gita, per un giorno. L’insegnante di Lettere era ammalato e nessuno lo voleva sostitui-re.

T re giorni dopo, a B ologna, si sarebbe aperta la F iera interna-zionale del libro. Alla 4 C si sarebbe unita la 4 D .

“Mai stato a B ologna...” pensò con po’ rammarico. “N on la vi-siterò nemmeno stavolta” .

Consultata l’agenda, accettò di buon grado. Sarebbe stata la sua prima visita d’istruzione ( così una recente circolare ministeriale im-poneva di denominare le tradizionali gite scolastiche) .

F orse q uella era l’occasione opportuna per conoscere D onatel-la.

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D a q ualche settimana, il pensiero di lei, accompagnato dall’immagine della sua silhouette, veniva a turbare la sua solita calma interiore, irrompendo nei momenti più impensati. Cacciare il pensiero ritornante diventava sempre più difficile.

E ra la china dell’innamoramento, ma non riusciva ancora ad ammetterlo.

La prima vera provocazione affettiva della sua vita all’eq uilibrio intellettuale che lo rendeva tanto sicuro di sé , recava lo stesso sen-tore di primavera avvertito nell’aria q ualche settimana prima, passeggiando per la campagna ancora brulla e intirizzita.

Q uattro chiacchiere, pensava, non avrebbero disturbato l’amata solitudine, né tantomeno violato i confini della sua intimità .

In tutti i casi, avrebbe potuto indossare la maschera dell’insegnante.

L’itinerario della gita prevedeva una tappa, al ritorno, a San Marino di B entivoglio: un museo di attività agricole e mestieri po-veri del passato pareva meritasse di farvi una capatina.

Il mattino della partenza, all’ingresso della scuola, c’era il solito assembramento di studenti e studentesse.

Altre due classi erano in partenza per B ologna. D estinazione: il Motor Show .

D ue professori di laboratorio, scapoli q uasi trentenni molto ammirati dalle ragazze delle classi terminali, accompagnavano in automobile tre studentesse dalla bellezza appariscente ( “Con q uale autorizzazione?” s’era chiesto, considerato che due di esse erano minorenni) .

Salì sul secondo pullman e prese posto accanto all’autista, sul seggiolino pieghevole riservato al cicerone, per non vincola- re la professoressa accompagnatrice della 4 D a un dialogo forzato. L’esile e silenziosa docente di Matematica era della B asilicata. I

tratti del viso parevano intagliati nel legno.

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Come per togliersi da una sorta d’ imbarazzo, dopo q ualche minuto la collega lo informò che era aliena da ogni genere di sen-timento o influenza religiosa.

L’autista ascoltava con apparente disinteresse. - Che ne dici se, dopo la sosta, leggessimo ai ragazzi q ualche ri-

ga dell’inserto sulla F iera del libro apparso sul S ol e 2 4 O re di domenica scorsa? - replicò rassicurante Cristiano.

- L’ho in borsa. Se vuoi dare un’occhiata, è q ui. U n po’ sorpresa, l’insegnante accolse di buon grado la proposta

e si mise a leggere gli articoli del redazionale. D onatella doveva aver trovato posto in fondo, ma niente

l’avrebbe indotto a risalire il corridoio. T roppi scambi di battute di convenienza si sarebbe trovato a fare, considerata anche la sua scarsa conoscenza dei singoli allievi.

D opo la sosta all’area di servizio all’altezza di F errara sud, i due pullman si separarono.

Arrivati al parcheggio della fiera e concordato l’orario di par-tenza, le due classi si sciolsero rapidamente in gruppetti.

Cristiano rimase solo, ma la cosa non gli dispiaceva. I libri, a differenza del vino, offrono il più grande piacere solo se presi da soli.

Padiglione E . Gli spazi espositivi dedicati ai bambini. Cristiano si fermò davanti a q uello di un’editrice specializzata

in prodotti per la seconda infanzia: su materiale cartonato, in sva-riate dimensioni, storie coloratissime, realizzate con la tecnica degli sforamenti e delle sovrapposizioni ad arte tra pagina e pagina.

La favola della B ella e la B estia sfoggiava colori caldi e forti. Sulle pagine centrali, a destra e a sinistra, di grande effetto erano gli arazzi con l’orifiamma di F rancia alle pareti delle sale del castello La B estia, seduta sui gradini dello scalone con lo sguardo triste, era in attesa.

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Alle sue spalle, d’un tratto, Cristiano avvertì una presenza. Passi attutiti dalla moq uette grigia s’erano fermati a circa due

metri da lui. U na sensazione di calore gli percorse la schiena. Seppe che non si sarebbe sbagliato nel riconoscere, senza voltarsi, chi sta-va in silenziosa attesa. E la cosa non gli parve neppure strana.

Controllando il gesto e con forzata noncuranza si volse, tenen-do il libro in mano:

- Ciao, D onatella! Che dici? T i pare che la B estia sia bestia ab-bastanza?

Lei teneva in mano una Coca Cola in lattina: - N e vuoi, professore? – rispose, avvicinandosi. V estiva un abitino intero grigio perla, molto semplice, dise-

gnato finemente a q uadretti azzurro tenue e stretto alla vita da una striscia sottile di stoffa uguale a foggia di cintura.

Profumava di mughetto. - N on mi sembra d’aver autorizzato nessuno a trattarmi in ma-

niera confidenziale - rispose con un sorriso, dopo un attimo d’esitazione.

D ebole difesa, opposta ad un assedio desiderato. D onatella, abbassando lo sguardo, si fece più vicina. - Scusami. Siamo a B ologna... pensavo che... Cristiano non trovò di meglio che portare il discorso sul con-

venzionale: - Cosa ti piace della fiera? È invisibile il confine tra ciò che si desidera e ciò che non si

vuole ancora affrontare. Per la prima volta q ualcosa di veramente incognito, dentro di

lui, stava prendendo dolcemente il sopravvento e non lasciava vie di fuga.

La danza era iniziata. Solo piantando in asso la ragazza con una scusa q ualsiasi sa-

rebbe potuto uscire dal cerchio e respingere il muto invito di

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D onatella a partecipare al rito ancestrale della prima mutua cono-scenza.

N on lo fece. Passando tra stand, espositori e bancarelle, si soffermarono a

considerare titoli e copertine che attiravano l’attenzione, mentre compagni e compagne di D onatella transitavano a debita distanza.

A Cristiano interessavano titoli e sottotitoli. D onatella valutava la grafica.

- Potrei tornare con te? Seduta al tuo fianco, intendo. La proposta non colse Cristiano di sorpresa. - Si può fare, se la cosa non suscita le gelosie di q ualche signo-

rina tua collega... - rispose con una sfumatura di sussiego il giovane. - In pullman ho dovuto conversare con un autista a fine carrie-

ra. Chiacchierando con una bella ragazza dovrei avere un ritorno d’immagine...

B ello sarebbe stato disporre della spontaneità che tanto ammi-rava in certi suoi studenti. E ssere del segno della V ergine, ascendente Gemelli ( aveva detto R enata, della T erza A, versata in astrologia) , non poteva sortire, purtroppo, semplicità di carattere e naturalezza di atteggiamenti, anche se i nati con q uell’ascendente pare sappiano adattarsi molto bene alle nuove situazioni.

Il trasferimento a San Marino di B entivoglio durò poco. I pullman si fermarono all’ingresso di un parco di noci secolari,

circondato da un gran fossato d’acq ua limpida sulla riva esterna del q uale crescevano salici che da tempo non conoscevano potatura.

E ra previsto il pranzo al sacco. I due colleghi in macchina, con le tre fortunate, se ne andarono alla ricerca di una trattoria.

Cristiano e D onatella si disposero a mangiare i loro panini in compagnia di tre ragazze di Q uarta C, sedendo ad un tavolo di le-gno con panche piuttosto comode, sotto una magnolia gigantesca.

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- Q uale professore buttereste giù dalla torre, se poteste? - gettò lì , cercando di apparire simpatico e confidando nel fatto di non essere lui, q uello.

- Il professore di Plastica! - rispose senza esitazione E lena, testa riccioluta e dall’aria aggressiva, addentando un panino al prosciutto.

- Si può conoscere la motivazione della sentenza? Le ragazze guardarono D onatella, come per chiedere: - Ci si

può fidare? Sorridendo, Letizia, la più loq uace, spiegò che il professor B el-

lò aveva alcune innocue manie. U na, in particolare, l’aveva reso famoso in tutto l’istituto.

Spesso si allontanava dall’aula per fumare. Praticati nella parete di cartongesso che divideva lo stanzino dei bidelli dall’aula di Pla-stica tre piccoli fori, sbirciava non visto chi non rispettava la consegna di lavorare al proprio posto.

I fori erano rimasti nascosti per soli due mesi, celati dall’ombra delle bocche dei tre mascheroni in gesso appesi alla parete di fondo dell’aula. T re riproduzioni ingiallite di scene de I P romes s i S pos i di D oré occultavano i buchi all’altro lato della parete.

T utti si erano stupiti, all’inizio, dell’onniveggenza di B ellò , che a colpo sicuro comminava sanzioni disciplinari di vario genere.

Poi i più svegli avevano ispezionato l’aula e scoperto il trucco. - È un vero artista, sa? H a già esposto le sue opere in varie mo-

stre. Anche a Milano - aggiunse benevolmente Chiara, una rotondetta che sprizzava simpatia.

La pausa del pranzo finì e iniziò la visita agli spazi museali del vasto cascinale.

D onatella aveva atteso q uel momento in silenzio. Sapeva che il cuore di Cristiano era libero. Luciana, un’amica di

Q uinta A, a dicembre, durante un’ora di lezione sul C antico d ei C an-tici, aveva chiesto al professore se era fidanzato, scusandosi per

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l’indiscrezione. Cristiano aveva risposto tranq uillamente che in fu-turo, forse, ci avrebbe pensato.

Luciana, osando di più , era tornata a chiedere se mai avesse a-vuto una ragazza.

Cristiano, che se l’aspettava, aveva risposto che certamente l’aveva avuta, ma in un’altra vita.

La risposta aveva suscitato nelle studentesse curiosità divertita. I cattolici, si sa, non ammettono la dottrina della reincarnazione e Cristiano, con la sua aria da intellettuale, probabilmente non era privo di un certo suo fascino.

D onatella, invece, era rimasta colpita dal fatto che egli non ne fosse consapevole. Almeno così le era parso.

La ragazza aveva trepidato, a fine febbraio, al notare, da segni impercettibili agli altri, che Cristiano non era insensibile ai suoi sguardi.

Si trattava di sedurlo definitivamente, con delicatezza e ri- spetto. Si incamminò al suo fianco, mentre il giovane cercava invano

ragioni d’interesse storico negli attrezzi da lavoro esposti in ordine di mestiere: contadino, tessitrice, carradore, cordaio, moletta, mura-tore.

L’accento della voce della ragazza tradiva una gioia montante. D i fronte ad un gran telaio a mano, scortato da due arcolai e un

filatoio, si mise a canterellare un motivo allegro. I piedi della ragazza, un attimo dopo, presero a muoversi sul

posto a ritmo di danza. - D i che canzone si tratta? - chiese stupito Cristiano, che ormai

si sentiva trasportato verso una dimensione sconosciuta. N on c’era più la R omagna, né il V eneto, né il passato: solo i

movimenti del corpo di D onatella sull’acciottolato e sulle mattonel-le di cotto, sempre più vicini.

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La ragazza ora sembrava ruotare flessuosamente intorno come l’ape intorno al fiore che ancora non vuole toccare.

B ello sarebbe stato poter partecipare al gioco. Q ualcosa però glielo impediva.

La gaiezza tanto espressiva della ragazza lo estasiava. Così vi assisteva, q uasi vedendosi dall’esterno, in un curioso

sdoppiamento che lo disorientava come mai gli era capitato prima. N ello stesso tempo avrebbe voluto che la visita si concludesse

presto: era un po’ imbarazzante farsi notare in costante compagnia della ragazza nelle varie sale del museo.

In q uel torno di tempo che si andava dilatando, lo aveva preso uno stordimento simile all’ebbrezza provata nell’unica esperienza alcolica della sua adolescenza. Q uattro aperitivi e cinq ue bicchieri di frizzantino, una notte di Capodanno.

Sentì il bisogno di uscire all’aperto e di raccapezzarsi almeno un po’.

- La canzone? La canta spesso la mia sorellina. Musica celtica, comunq ue - rispose D onatella.

- E degli sperimentalismi di F ranco B attiato, che mi dici? Cristiano, ripreso con uno sforzo il controllo, aveva deciso di

ritornare sul suo terreno. D onatella ci pensò un poco, spiazzata dall’intellettuale che tor-

nava a far mostra di esserlo. - Mi piacciono le atmosfere che sa creare... T ra te e la musica di

B attiato c’è del feeling, oppure no? Cristiano non trovò modo di proseguire sulla pista della musi-

ca. F inalmente s’accorse che ben pochi studenti erano interessati al

museo: q uasi tutti erano usciti nel parco. Se anche erano stati notati, che importava? N on era certo la

prima volta che al B arbarelli nasceva una simpatia particolare tra un

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giovane docente e una studentessa. La cosa era considerata perfet-tamente naturale dai più .

D alle risposte evasive che aveva ottenuto in Q uinta A, affron-tando di passaggio il tema della seduzione, non era difficile intuire che dovevano esserci state, nel recente passato, brevi storie più o meno platoniche.

N ulla q uel pomeriggio gli procurava disagio. La bellezza del sentimento di D onatella traspariva da ogni gesto, da ogni atteggia-mento.

Con lei, senza accorgersene, già da q ualche ora aveva smesso di recitare il ruolo del docente.

Avrebbe voluto riflettere, ma non ne era capace. La risoluzione a non lasciarsi coinvolgere sentimentalmente era

ancora in piedi, ma le pulsazioni del cuore segnalavano preoccu-panti vacillamenti.

I suoi sette anni in più e la sua coscienza, consultata rapida-mente uscendo nel cortile, lo rassicuravano. T utto andava bene. Conta la purezza delle intenzioni.

E cos’altro, poi? E ra solo un’amicizia nascente, colorata per metà al femminile, q uella che lo stava introducendo in un nuovo mondo di emozioni.

Sarebbe dipeso dalla sua volontà lasciare che esse redi- stribuissero gli spazi del suo mondo affettivo. Che senso aveva, a ventiq uattro anni, non lasciarsi mettere in

discussione dalla freschezza e dalla gioia di vivere di una ragazza intelligente, bella e sensibile come D onatella?

N on era ancora una donna, ma grazie a lei in meno di due ore aveva capito di non essere ancora un uomo.

V enne l’ora della partenza. In pullman la conversazione si fece meravigliosamente facile. Il profitto di D onatella nelle materie scolastiche e lo stallo poli-

tico in cui era rinchiusa Solidarnò sc in Polonia. Il desiderio di lei

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d’intraprendere studi di medicina e i contenuti dell’esame di filoso-fia medievale che Cristiano stava preparando per il mese di giugno. L’esperienza della ragazza in parrocchia, da animatrice in conflitto costante con il parroco sui temi da trattare nel gruppo, e le cono-scenze che Cristiano aveva acq uisito nell’esperienza di volontariato con gli anziani e i tossicodipendenti: ogni argomento aiutava l’interesse reciproco a farsi confidenza.

F uori del finestrino, si susseguivano vasti scorci del paesaggio campestre prima romagnolo e poi veneto, ma i due giovani non parevano accorgersene.

R icordando un episodio accadutogli q ualche anno prima, Cri-stiano s’accorse di q uanto fosse piacevole suscitare stupore in D onatella.

Patrizia, più giovane di lui di tre anni, a giudizio della gente a-veva abbandonato fede e buoni costumi intorno ai dodici anni.

Alle spalle aveva una famiglia disastrata: padre alcolizzato, ma-dre di costumi forse irreprensibili e una sorella maggiore che si diceva facesse la vita a Milano.

Q uella sera di luglio era uscita come al solito in piazza, sfog-giando un vestitino a fiori che le arrivava poco sopra le ginocchia. U n trucco pesante la faceva più vecchia.

Poche adolescenti del paese osavano recarsi in centro la sera, d’estate, stando in crocchio sulle biciclette anche per proteggersi dalle malelingue.

Sentirsi guardate a distanza dai maschi seduti sugli scalini del Centro giovanile o sulle sedie di plastica del bar dalla parte opposta del grande piazzale era il loro divertimento feriale.

Cristiano era uscito intorno alle ventuno, in cerca di q ualcuno con cui scambiare q uattro chiacchiere.

Imboccando la via principale, aveva scorto la ragazza che fu-mava, sola, vicino alla cabina del telefono pubblico. Si guardava intorno e si muoveva nervosamente, ricambiando con sguardi

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sprezzanti l’isolamento e la derisione a cui i coetanei la condanna-vano anche q uella sera.

La tentazione d’ignorarne la presenza era stata forte, ma non al punto di prevalere sulla sua prima intenzione: andarle incontro e scambiare alcune battute con una delle persone emarginate dal pae-se.

Sceso dall’auto, aveva salutato per primo. Lei gli aveva offerto una Marlboro. Cristiano aveva chiesto se stesse aspettando q ualcu-no. Cercava un passaggio fino ad Asolo, dove faceva la baby -sitter. D i notte?

S’era offerto di accompagnarla, senza immaginare le chiacchie-re che le solite bigotte avrebbero fatto su q uel gesto, i giorni seguenti.

Giunti ad Asolo, Patrizia l’aveva invitato a salire in casa di An-na, una ragazza madre che viveva sola con una bimba di nome K itty .

L’appartamento era un mini, strapieno di soprammobili. R i-produzioni di Monet, Pissarro e R enoir avevano attirato la sua attenzione dalle pareti. U n microcosmo pulito, ordinato.

La piccola, di due anni, dormiva angelicamente in un lettino circondato da animaletti in peluche di varia grandezza.

Anna indossava una camicetta di seta color panna, una gonna corta di cuoio nero e calze scure. E ra pronta per uscire. B evuto insieme un caffè , alla luce gialla di una lampada da cucina che, bas-sa sul tavolo, lasciava in ombra mobili e pareti, aveva chiesto a Cristiano un passaggio fino a B assano.

Solo q uando la giovane donna era scesa dalla macchina in V iale V enezia Cristiano aveva compreso di q uale lavoro si trattasse.

Lei aveva ringraziato con un sorriso un po’ triste e un «Ciao. Sei un bravo ragazzo».

Cristiano, sorridendo della propria ingenuità , si trovò in breve a raccontare a D onatella la sua storia.

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Con una punta di vanità si trovò a raccontare persino di come fosse riuscito, q ualche anno prima, a tenere a bada per un’intera serata un gruppo di dodici ragazze minorenni, scatenate dall’alcol, ad un campo scuola decisamente fuori dell’ordinario, ricorrendo allo stratagemma della caccia alla torta al gelato con sorpresa finale.

- Io ero ospite. Il responsabile del campo e i q uattro maschietti del gruppo avevano già gettato la spugna. La situazione gli era sfuggita di mano q uando una delle più vivaci si era impadronita dei liq uori chiusi in un armadietto. Corsi ad acq uistare la torta al bar della valle. L’ultima rimasta. La nascosti, piattini e posate in un pic-colo capannone adibito d’inverno a rimessa per gli spazzaneve e il capocampo diede alle golose una traccia. E ntrate che furono, chiu-demmo a chiave dall’esterno e le facemmo uscire a notte inoltrata, ad una ad una, aiutandole a smaltire la sbornia con acq ua fresca e caffè . T re o q uattro furono portate di peso in camerata, addormen-tate.

- H o parlato troppo. A q uesto punto - concluse Cristiano - ci possiamo considerare amici, mi pare.

- Amici! - rispose la ragazza, tendendo la mano piccola e forte. - Se vuoi, - riprese - martedì prossimo nella chiesa del paese c’è

la prova generale del recital di Pasq ua preparato dai giovani. Sono regista, coreografa e attrice. Mancava San Giovanni e ho dovuto assumerne la parte. Per l’occasione mi taglierò i capelli alla ma-schietta. Se vieni, ti presenterò ai ragazzi. Ci potresti dare un parere. Possiamo ancora modificare q ualcosa.

- Per carità . V errò per onorare la nuova amicizia - rispose Cri-stiano.

Il tramonto tinteggiava di blu cobalto le pendici dei Colli E u-ganei. U na coltre sottile di nebbia alla loro base li teneva sospesi sulla pianura che s’andava oscurando.

V erso la fine del viaggio D onatella accennò alla sua difficoltà con la preghiera.

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- Ci vorrebbe q ualcuno che insegni a pregare a chi lo desidera. Spesso dentro di me ne sento il bisogno, ma non riesco a concen-trarmi.

Cristiano, un po’ sorpreso, tacq ue un istante. - U n tempo anche nelle nostre terre c’erano eremi e mona-

steri. H o ho conosciuto alcuni benedettini di Praglia e le clarisse di Camposampiero. So di una piccola comunità sorta ad O riago tre anni orsono. E remo di Sant’E lena, mi sembra si chiami. U n mona-co camaldolese apre le porte a chi vuole ritirarsi per q ualche ora, o q ualche giorno, a pregare e a meditare sulla Scrittura. N on ci sono ancora andato... U n suggerimento ti darei, in q uesto momento. Cerca il libro intitolato Racconti d i u n pel l egrino ru s s o , di un anonimo del secolo scorso. Leggilo e poi ne parliamo.

Alle 1 8 : 5 0 il pullman si fermò davanti all’istituto. Cristiano sa-lutò dal microfono, ringraziando l’autista.

- A domani, allora. E ciao. D onatella sorrideva, visibilmente contenta. - Grazie per oggi - rispose Cristiano. La mente ripassava in au-

tomatico le seq uenze di San Marino. Prima di accendere l’auto, la seguì per q ualche istante con gli

occhi mentre si univa ad un gruppetto di compagne. Poi il buio rese indistinguibili le figure che sciamavano verso le pizzerie del centro.

Percorrendo la strada di casa, Cristiano si rese conto che q ual-cuno bussava alla porta della sua vita.

L’avrebbe accompagnata a casa volentieri, ma non era il caso. Gli tornarono in mente i visi di Y vonne e Chantal, splendenti

di francese giovinezza, conosciute al primo raduno notturno al Camp des J eunes, cinq ue anni prima, a Lourdes.

D iciassettenni come D onatella, emancipate e femministe q uan-to bastava.

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Partecipavano all’esperienza con i ritmi di tutti gli altri giovani, ma la sera era stupefacente la gioia di ballare che esplodeva dai loro corpi, intorno al fuoco al centro del campo.

Si cantava in più lingue, con l’accompagnamento di chitarre e fisarmoniche a bocca.

L a s tes s a v ogl ia d i cantare era stata la canzone cantata da Cri-stiano la seconda sera, per rompere il ghiaccio tra la q uindicina di ragazzi e ragazze di varia nazionalità che battevano a ritmo le mani.

U na sera, essendo l’unico a parlare francese in modo fluente, si era intrattenuto con le due francesine fino alla mezzanotte, insieme ai tre suoi compagni di tenda cui faceva da interprete, fumando Gauloises e guardando il sottostante presepe di luci notturne.

È incredibile come un volto e un nome conosciuti solo per q ualche giorno possano rimanere nel ricordo per anni.

L’ultima sera, davanti alla Grotta, Chantal e Y vonne avevano pregato insieme a lui e a una decina di altri ragazzi.

A mezzanotte, su al campo, i saluti alla luce del fuoco: baci fra-terni, strette di mano e sorrisi, consapevoli che non ci si sarebbe mai più rivisti.

La ragazza della piccola casa tra i ciliegi ora aveva un volto.

C A P I T O L O DE C I M O La Settimana Santa era finalmente arrivata. I giorni di vacanza

avrebbero smorzato la tensione accumulata a scuola. Alla madre aveva detto di non aspettarlo per cena, q uella sera. R espirare l’aria che scende dalla V alsugana nella città pedemon-

tana meta dei rari pomeriggi di libertà dallo studio, lo aiutò come al solito a svuotare la mente.

D al greto del fiume che lambisce il cinq uecentesco convento dei Cappuccini, la montagna dietro Sant’E usebio pareva potersi toccare allungando una mano. In alto a destra il sole al tramonto faceva rosseggiare la vetta della torre di E zzelino.

Passò a salutare padre E usebio. Il frate ottuagenario effondeva il profumo di una paternità spi-

rituale lungamente esercitata. Le parole sillabate a fatica a causa della paralisi gli uscivano dal-

le labbra spesso incomprensibili, ma avevano il potere di rasserenare. R accontavano sempre la misericordiosa bontà di D io.

Mezz’ora dopo, Cristiano uscì di nuovo sulla stradina che scende al fiume. L’anima era leggera.

Le ombre si allungavano rapidamente all’imboccatura della val-le.

L’istante in cui giunse al ponte degli Alpini si accesero le lan-terne delle case a picco sull’acq ua. I davanzali spogli aspettavano il tepore della primavera, per traboccare nuovamente di gerani.

T utto era perfetto.

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R estò per un po’ a guardare lo scorrere dell’acq ua nel letto sas-soso, lasciando viaggiare la mente.

R isalì poi la ripida stradina che porta al D uomo e discese al parcheggio di V alle Santa Caterina.

Q uella sera, i pensieri che si accompagnavano ai suoi passi ri-lassati non bastavano più a fargli compagnia.

U n q uarto d’ora dopo percorreva in auto il tratto di strada al-berata vicino a casa.

Alti pioppi cipressini si stagliavano coi rami gemmati contro le ultime luci del tramonto.

La linea tracciata dal filare proseguiva per q uasi centocinq uanta metri con il muro di cinta di una villa veneta chiusa da tempo. Ma-lamente sbrecciato dalla caduta di due vecchi alberi del grande parco, alla sua sommità baluginavano i riflessi di un’inutile proces-sione di cocci di bottiglia.

Giunto al bivio del Sanguanello, all’altezza del grande olmo che ospita un’edicola del Santo, rallentò un istante.

Prendendo la deviazione a sinistra, due chilometri ancora e sa-rebbe arrivato a casa.

Proseguendo a destra, dopo tre si sarebbe trovato nella piazza del paese di D onatella. Cercò ragioni dentro di sé e pigiò sull’acceleratore. Sulla strada non c’era anima viva. All’ingresso del paese, un gat-

to nero attraversò la strada ad una trentina di metri dall’auto. Si cenava, nelle case. D ietro tende tirate, i televisori erano acce-

si. In un paesino come q uello, con pochi abitanti, ma ricco di ve-

getazione e di antiche rogge colme d’acq ua, con distese di campi che nella bella stagione sembravano splendere di un verde più in-tenso di q uello dei paesi d’intorno, sarebbe stato bello vivere.

Le linee viarie maggiori della zona correvano a più di q uattro chilometri di distanza e il collegamento col centro cittadino garanti-

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to da una vecchia corriera di linea due anni prima era stato sop-presso.

La piazza, q uasi sempre deserta, la domenica mattina diventava un parcheggio che si svuotava rapidamente con l’uscita dei fedeli da messa.

Il leggendario passaggio degli ó ngari* aveva lasciato il segno. Pareva che, dieci secoli prima, q uei devastatori senza dio aves-

sero lasciato intatte le q uattro casupole del paese, risparmiando gli atterriti abitanti. La loro furia si sarebbe arrestata davanti al vicino romitorio della Sorgente.

Immerso in un bosco di alberi secolari, si racconta vi abitasse un anonimo eremita, che beneficava con le sue preghiere i poveri coloni della zona, aspettando per decenni, serenamente, la morte.

Il silenzio del luogo e la santità dell’uomo di D io dovevano a-ver incusso nei barbari un sacro timore.

In fondo alla piazza, un cippo ottocentesco ricordava ancora q uel lontano giorno di grazia, menzionando, in verità , soltanto il passaggio degli invasori.

Giunto presso la chiesa, una lieve agitazione e un sentore di fe-licità , gli penetrarono in cuore.

Parcheggiata la macchina, si fermò sul sagrato immerso nel buio. N essuno avrebbe potuto leggergli in faccia la vera ragione della sua presenza.

R agazzi e ragazze andavano e venivano dal vicino oratorio, vo-ciando allegramente. D oveva essere serata di riunioni parrocchiali.

E ra la prima volta che prendeva atto di voler incontrare una ragazza. Q uella ragazza.

L’alibi dell’invito alle prove della sacra rappresentazione poteva essere esibito alle sue residue difese mentali, non alla sua coscienza.

Pane al pane: c’era della complicità . Ammetterlo, lo aiutò a ri-lassarsi.

Si rivolse al primo che gli giunse a tiro:

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- Conosci D onatella Z ulian? D ovrebbe essere in chiesa, ma non vorrei disturbare. La potresti far uscire, per favore?

E ra una ragazzina. N on aspettò nemmeno un ‘ graziÈ . D oveva aver sorriso, consapevole del contenuto dell’ambasciata. Almeno così parve a Cristiano.

S’involò e scomparve nel portale. “E adesso: chi torna più indietro?” pensò , guardando in alto le

prime stelle. E sprimere i propri sentimenti, con gesti, parole e silenzi, è an-

che un’arte. Cristiano non era un timido, ma per q uanto inattuale potesse

sembrare la cosa, a ventiq uattro anni compiuti stava affrontando la sua prima prova del cuore.

- Ciao, Cristiano. La ragazza sembrava essere apparsa dal nulla. I lampioni del

sagrato, q uelli della strada e della piazza col monumento ai Caduti q uella sera erano concordemente spenti, a celare la sorpresa del giovane e la luminosità del sorriso di D onatella.

N ell’aria serale si avvertiva il profumo della nuova stagione. - N on ti ho visto uscire... - rispose, cercando di nascondere

l’emozione che lo prendeva alla gola. - Con q uesto buio... forse è la mia miopia - aggiunse auto- ironico. D onatella era intenerita. E bbe un brivido e portò le mani alle

spalle, incrociando le braccia sul petto. - E ntriamo. È freddino, q ui fuori. Conosci già la nostra chiesa,

mi pare... - Ci venivo q ualche volta, da studente. In autunno, di solito.

L’ultima volta risale... - … a circa un anno e mezzo fa - lo precedette D onatella. - Come lo sai? - chiese stupito il giovane.

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- La tua presenza m’ incuriosì , circa un anno e mezzo fa, ap-punto. U scita dal calzolaio q ui di fronte, sono entrata in chiesa mentre tu uscivi. H ai salutato con un gesto del capo, senza guarda-re. R icordo che pensai: “Mi avrà scambiato per una bigotta” . Poi ti ho riconosciuto q uando sei entrato in classe a settembre ed eccoti q ui.

- Ma guarda il mondo! N on ricordo... - commentò Cristiano un po’ sorpreso, appoggiandosi allo stipite.

- Le lingue delle donne del paese... Scusa se dico che agli occhi della gente eri tu che potevi apparire bigotto. T i faccio entrare.

D onatella indossava una maglia bianca di cotone, piuttosto lar-ga, a trama spessa, su una camicetta orlata sul colletto da un filo di rosso e j eans stinti piuttosto aderenti.

Giunta al presbiterio, rivolse poche parole ai compagni. Q ual-cuno salutò con un cenno del capo. U n altro sorrise. U n terzo accennò addirittura a un inchino. Cristiano ricambiò il saluto con un cenno della mano, avvicinandosi piano lungo il corridoio cen-trale.

- R iprendiamo dalla scena della Cena. Poi, l’orto degli U livi. V ia! - propose un ragazzo che aveva in mano un copione.

Cristiano sedette su un banco, in q uarta fila. « S c e n a s e c o n d a : i l t r a d i m e n t o . GIO V AN N I : ‘Q u el l a s era cenammo ins ieme per l ’ u l tima v ol ta. A ttorno al l a tav ol a, in-

s ieme agl i af f etti s i f ond ev ano l e nos tre s tanch ez z e. E ro al s u o f ianco, come d i cons u eto. V ed ev o il prof il o d el s u o v ol to e al l a s u a d es tra q u el l o d i P ietro, d i G iacomo mio f ratel l o, d i A nd rea. M i gu ard av a nel cu ore, s enz a gu ard armi negl i occh i. Ricord o l e s u e parol e e l a cons egna d i tu tto s e s tes s o:

- S iate u na cos a s ol a, come io e il P ad re s iamo u no... s iate s erv i gl i u ni d e-gl i al tri, come h o f atto io con l e v os tre v ite. P rend ete q u es to pane e q u es to v ino.

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M angiatene e b ev etene tu tti. F atel o in memoria d i me: s ono il mio corpo e il mio s angu e, d ati per l a s al v ez z a d i ogni u omo.

P oi, u na tris tez z a mortal e parv e s tringere d a ogni l ato col u i ch e è l a nos tra gioia:

- U no d i v oi nel s u o cu ore mi h a già trad ito...’ . GE SÙ : ‘- G iu d a! Dov e s ei? ’ GIU D A: ‘- M i s ono s ottratto, f inal mente, al tu o s gu ard o, o M aes tro. H o coperto l a

mia anima col manto d el l ’ ind if f erenz a... non d is tu rb armi più con l e tu e of f erte d i s al v ez z a. I o s ono u n d is perato... T u non s ai cos a s ia l a d is peraz ione, più nera d el l a morte. L a mia l ib ertà d al tu o amore è il gu ad agno d el mio trad imen-to. L a mia u manità è f inal mente res titu ita a s e s tes s a, nel l a s ol itu d ine ch e regna f u ori d el l ’ E d en’ .

GE SÙ : ‘- S tai intingend o il b occone con me... perch é mi l as ci s ol o? N on h o s mes s o

d i cercarti. S cend erò nel l ’ ab is s o d el l a tu a d is peraz ione e ol tre... L as cia ch e v inca l a l u ce, s u l l a teneb ra d el tu o cu ore, e s gorgh ino l e l a-

crime d a tanto tempo racch iu s È . V oce fuori campo: E G i u d a u s c ì d a l l a s a l a . E r a n o t t e . GIO V AN N I: ‘- Dol ce M aes tro, io s ono giov ane. N on s o ancora cos a s ia l a f ed el tà . T u

s ai come il trad imento cov i s otto l a cenere d el cu ore u mano. M a tu s ei più gran-d e d el cu ore d egl i u omini. N as cond erò l a mia f ed el tà d entro al l a tu a, ch é ne s ia pl as mata, tras f ormata, red enta’ .

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V oce fuori campo: ‘E G es ù and ò con i s u oi d is cepol i ol tre il torrente C ed ron, nel l ’ orto d i u l iv i

ch iamato G ets emani’ . Seconda voce fuori campo: ‘ T errore, mas s acri, tortu re, s termini, d eprav az ioni, ab orti. O rrore, d o-

v u nq u e. I f ru tti mortif eri d el peccato d el mond o. Q u anti innocenti ancora d ov ranno es s ere v iol ati? Q u ante f amigl ie d ov ranno es s ere d is tru tte? C h i trav a-s erà l ’ oceano d el mal e nel cal ice d el perd ono? ’

GE SÙ : ‘- P ad re, al l ontana d a me q u es to cal ice. M a s ia f atta in me l a tu a v ol ontà ,

f ino al l a f inÈ . PIE T R O : ‘- S iamo s tanch i, S ignore. C ome pos s iamo v egl iare? Q u es ta notte è più

l u nga d i ogni al tra notte ch e io ab b ia conos ciu to. L e s tel l e non b ril l ano. L ’ aria è pes ante. G l i occh i mi s i ch iu d ono... pregh eremo ins ieme d omani...’ .

GIO V AN N I: ‘- L a tu a angos cia è ol tre ogni nos tra pos s ib il ità d i cond iv is ione... Q u anto

s iamo d eb ol i, s tord iti d al b u io d el l ’ es is tenz a! S ignore, v egl ierà con te il mio cu o-re? ’

GIU D A: ‘- È f atta, M aes tro. I l s egno d el mio pas s aggio s u l l a terra s arà il mio s tes -

s o nome. N on ti s emb ra ab b as tanz a per s contare il mio crimine? È già morta in

me l a s peranz a: non ci v orrà mol to ad u ccid ere in me l a v ita... Dimmi, ti prego: morirai anch e per il peccato d i G iu d a? Q u al e b agno l u s tral e rimane per noi, ab itatori d i teneb re? ’

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GE SÙ : ‘- S u l l ’ orl o d el l ’ ab is s o e in f ond o al l a s u a v oragine ti h o cercato, G iu d a.

A f f erra l a mia mano...’ . S i l e n z i o ». Partì una registrazione. Introdotta dal gemito doloroso di un

sottofondo d’archi, una voce baritonale prese a leggere il Salmo 2 2 . D opo alcune strofe, D onatella diede lo stop. - Professore, che gliene pare? F ilippo, l’aiuto regista, coetaneo di D onatella e viceanimatore,

aveva l’aria soddisfatta. - Convincente, direi - rispose Cristiano. - D i chi sono i testi? - U n autore di recital molto apprezzato, Giorgio B ottazzo. Lo

conosce? - Le mie conoscenze in materia si arrestano a J acopone da T o-

di, purtroppo... Gli attori e gli addetti alle luci si disposero in semicerchio. Lo sguardo di Cristiano, che aveva raggiunto la balaustra, cercò

q uello di D onatella. - Stasera va bene così . E che D io ce la mandi buona. D ai, che

spengo le luci - disse F ilippo. In due minuti il gruppetto fu fuori della chiesa. Cristiano si avviò con lui all’uscita. - N on abbiamo velleità teatrali, professore, ma i ragazzi ce la

mettono tutta. - Chiamami Cristiano. H o solo q ualche anno di più . A gruppetti di due o tre gli altri, in bicicletta o motorino, si av-

viavano salutandosi rumorosamente.

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- Mercoledì sera proviamo con il sottofondo musicale. Ciao, D onatella. Cristiano, la lascio nelle tue mani. Mi raccomando, trat-tamela bene! F inalmente ti abbiamo conosciuto, professore!

Con un sorriso d’intesa rivolto a D onatella, F ilippo, manubrio alla mano, saltò sulla bici dopo un’agile breve rincorsa, raggiungen-do con poche pedalate le ombre degli ultimi.

- Sai conq uistare la gente, tu - disse la ragazza, rimasta sola col suo professore preferito.

- Ancora oggi gli adolescenti si possono coinvolgere con un recital - osservò Cristiano, come se non avesse udito.

- L’anno scorso abbiamo tentato di allestire q ualcosa di analo-go, ma abbiamo dovuto ripiegare sulla lettura a più voci di un testo ricavato da una V ita d i G es ù . Q uest’anno la proposta è piaciuta a tutti e venerdì 9 si va in scena, dopo la processione, prima del bacio finale alla Santa Croce. Il parroco ha voluto così . Io l’avrei fatta il Giovedì , dopo la celebrazione eucaristica.

- Il parroco non ha torto. Il Giovedì Santo la cerimonia è già piuttosto lunga - replicò Cristiano.

La bicicletta della ragazza, appoggiata al lampione più vicino, era da uomo, piuttosto alta.

- È di mio padre. Le luci, purtroppo, non funzionano. Ma con q uesta posso correre come piace a me - spiegò D onatella, antici-pando la curiosità di Cristiano.

- T i posso accompagnare fino a casa. Che dici? - Se mi segui, mi illuminerai la strada. Cristiano, per una decina di minuti, ebbe modo di notare q uan-

to fossero svelte le gambe della ragazza. Le pedalate erano freq uenti e regolari, senza interruzione.

N el doppio cono di luce dei fari, le spalle e la schiena di D ona-tella si muovevano appena. Piccole correzioni di traiettoria mantenevano le ruote sull’estremo margine destro del manto d’asfalto.

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Avrebbe voluto disporre di una bicicletta q ualsiasi. Stare chiuso nell’abitacolo di un’auto non gli era mai parso tanto innaturale.

Arrivarono davanti alla casa. F atta entrare la bici dal cancelletto d’ingresso, D onatella l’appoggiò ad un albero e gli andò incontro, trafelata.

- D omattina mio padre si alza presto... - disse a voce bassa, an-simando.

- Se ti va, vorrei presentartelo insieme alla mamma, prima che vadano a dormire.

- È un po’ tardi, per entrare da sconosciuti nelle case private. - N on preoccuparti. H o già parlato alla mamma della gita a B o-

logna. Lei è contenta di conoscerti. U n lieve rossore, percettibile alla luce fioca del lampioncino

d’ingresso, si diffuse sul volto della ragazza. - Come si chiama? - chiese Cristiano. - Clara. E Guido è mio padre - rispose D onatella, lieta che la

sua proposta fosse stata accettata. Il rumore del motore aveva allertato la signora, che in q uel

momento aprì la porta di casa e invitò Cristiano ad entrare. E ra una casetta di dimensioni modeste, a due piani, tenuta con

cura. U n delicato odore di timo diceva che q ualche pietanza era stata preparata da poco, per il giorno dopo. La cera dava splendore ai pavimenti, ai mobili dell’ingresso e del salotto la cui porta era aperta.

Seduto su un divanetto, in cucina, un uomo tarchiato che do-veva possedere una notevole forza fisica, posò una rivista. Aveva folti capelli neri e una chiostra di denti bianchissimi. Lo sguardo e la carnagione erano scuri. D oveva avere passato da poco la q uaran-tina.

- Si accomodi! - disse l’uomo, alzandosi e tendendo la mano. Con la spontanea e un po’ brusca ospitalità delle persone del popo-lo indicò a Cristiano una sedia.

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- Lei è un insegnante di D onatella, vero? Il tono della voce esprimeva considerazione e calda umanità . Cristiano rispose che insegnava religione, aggiungendo che fre-

q uentava il secondo anno di filosofia all’università . La madre, che da ragazza doveva essere stata di notevole bel-

lezza, aveva ripreso a mondare i piselli. Q uando si offrì di preparare un caffè , Cristiano fu colpito dalla

dolcezza della sua voce. - So di una sorellina - disse l’ospite, cercando di spostare

l’attenzione che sentiva su di sé . Aveva sette anni e a q uell’ora già dormiva. Si chiamava V alen-

tina. Il borbottì o del caffè aveva un che di confidenziale anche in

q uella casa e la cucina si riempiva ora del suo aroma. Guido accennò alla sua esperienza lavorativa. F aceva l’autista di

autolettighe presso l’ospedale cittadino. - H o guidato il camion per anni. Poi mi è capitata un’occasione

che non mi sono sentito di perdere, anche se spesse volte sei spet-tatore di cose che non vorresti vedere.

Il discorso cadde poi sul padre di Cristiano: - Lo conosco abbastanza bene. Con il mio lavoro si finisce per

conoscere un po’ tutti. Abitate in via delle Motte, non è vero? La casa accanto al rustico dei Milani. È sempre stato un gran lavorato-re.

Il giovane sorrise, assentendo col capo. D opo il caffè , i due coniugi s’alzarono insieme e si congedaro-

no, lasciando Cristiano un po’ sorpreso. Clara, uscendo per seconda, si limitò a ricordare benevolmente che il giorno dopo la scuola aspettava entrambi.

N ella raccomandazione a non sottrarre troppo tempo al riposo, la donna aveva accomunato i due giovani e Cristiano lo notò .

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Chiusasi delicatamente la porta alle spalle della madre, i due ri-masero soli.

D onatella invitò Cristiano a sedersi di nuovo e lui prese posto q uasi in fondo alla tavola, dalla parte opposta a q uella di lei.

Cominciò a girare tra le mani la tazzina vuota del caffè , guar-dando ora i fondi e lo zucchero rimasto sul fondo, ora l’etichetta della grappa veneta offerta dalla madre per il ras entì n* , ora i so-prammobili sulla credenza di lato.

N on sapeva cosa dire, ma una folla di pensieri premevano per farsi voce.

N egli ultimi venti minuti era avvenuta la sua presentazione ai genitori di D onatella e, ingenuo com’era, solo ora se ne rendeva conto pienamente.

U n gesto che non poteva essere di semplice cortesia, viste le circostanze. D ipendeva da lui, ora, fare in modo che assumesse il suo vero significato. Certo, ricondurre a normalità una visita fatta alle dieci e mezza di sera non sarebbe stato facile.

Ma cosa c’era di normale nell’esperienza cominciata davanti a uno stand della F iera del libro di B ologna?

Che cosa fa sì che diventi speciale per due persone ciò che è perfetta normalità per il mondo intero?

- Sono felice che tu abbia accettato di conoscere i miei - intro-dusse la ragazza, dopo q ualche momento di silenzio. La sua voce tradiva una vena di trepidazione.

- V oglio essere leale nei tuoi confronti - replicò bruscamente Cristiano. La sua solita sicurezza, q uella sfoggiata in classe, sembra-va recuperata.

- N on posso negare che in gita siamo stati bene insieme. Ciò che ho scoperto potrebbe forse diventare più che una semplice amicizia. D evo dirti che fare spazio nel tuo cuore a chi ti sta di fronte forse per te non è la cosa migliore. Sono un solitario, che ritiene d’avere una strada molto dura davanti a sé . E sperienze affet-

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tivamente coinvolgenti non le ho mai vissute finora, è vero. E poi tu non sei ancora maggiorenne. H o l’impressione che tu meriti di meglio. In ogni modo credo sia utile aspettare…

La ragazza non muoveva un muscolo. Le mani, ben formate, sul dorso mostravano una pelle chiara, dal disegno delicato. R ipo-savano immobili sul tavolo, l’una sull’altra.

Cristiano smise di guardare in giro e decise d’incontrare i suoi occhi.

- Io sono una ragazzina che a luglio compirà diciotto anni. Po-trei dirti che ho già avuto q ualche simpatia e che per una ragazza è vitale sentirsi il cuore caldo per q ualcuno. R ispetto il tuo bisogno d’essere te stesso fino in fondo. Chiedo soltanto che tu guardi den-tro di te. Ci può essere spazio per una che chiede solo d’incontrarti q ualche volta ogni tanto, come stasera?

Cristiano avvertì un tremito nella voce di D onatella. Avrebbe voluto trovare parole adatte. N on gli riuscì .

Stranamente, si sentiva spinto a difenderla da q uella parte di sé che lottava per farle riprendere il suo posto tra le tante studentesse dell’istituto.

Q uella ragazza dagli occhi scuri sapeva di lui q ualcosa che pro-prio grazie a lei varcava ora la soglia del conscio.

La novità della promessa rappresentata dal suo sentimento, dal-la sua volontà , dal suo corpo avevano ora il fulgore di un’evidenza mai conosciuta prima, sconvolgente.

- Sincerità per sincerità . C’è una ragazza che mi sta a cuore in modo particolare da q ualche mese. N on so se arriverò a dirglielo, un giorno...

La pulsazione del suo cuore si fece sentire alla carotide. La re-spirazione gli si sarebbe fatta più freq uente, ma s’impose il controllo. Le mani gli sudavano. La mente cercava di resistere al naufragio.

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- Credo che i prossimi giorni ci serviranno per capire meglio che cosa è successo e che cosa è giusto che accada. U na cosa anco-ra. Poi vado.

D onatella avrebbe voluto aiutarlo. “Cristiano, tu hai comincia-to a volermi bene. Al punto che hai paura di dirlo a te stesso. Per ora, io posso amare solo la tua libertà ” .

Stette in silenzio. Cristiano s’alzò e le andò vicino: - D esidero che tu sia felice - disse, guardandola negli occhi. - Lo so - sussurrò la ragazza. Senza spostarsi, le prese la mano avvolgendole il pollice e la in-

dusse ad alzarsi dalla sedia, senza mollare la presa. Il movimento li portò vicini. D onatella chiuse gli occhi e avvicinò la piccola fronte alle lab-

bra di Cristiano che ne avvertì il tepore. Il giovane piegò leggermente la testa. D onatella depose un ba-

cio leggero sul suo labbro inferiore. U na sensazione di freschezza umida apparve per un istante e vi

rimase fissata, avvolta nella fragranza di mughetto portata più in-tensa alle narici.

La freq uenza del battito cardiaco di Cristiano salì alle tempie e una vampata di calore andò ad infiammargli le estremità .

- Il mio ringraziamento per ieri e per stasera - disse D onatella, rompendo il silenzio.

Lo prese amichevolmente sottobraccio e lo accompagnò alla macchina.

Appena fuori, Cristiano respirò avidamente l’aria della notte. - B uonanotte, professore. Che la notte ci porti consiglio. D onatella aveva ripreso l’aria sbarazzina del pomeriggio a San

Marino di B entivoglio. U n ciao! scambiato sotto voce al finestrino dell’auto e Cristiano

la vide sparire dietro la tenda del portoncino di casa.

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Accese i fanali e cercò due volte la retromarcia, che non voleva ingranare.

F inalmente l’auto s’avviò . Guidava q uasi senza avvedersene, assorto nel pensiero degli ul-

timi minuti passati con D onatella. La notte era completamente buia, ma gli parve illuminata da

cento bengala. In piena eruzione, il cuore lanciava nel cielo nero lapilli incandescenti d’emozione, schizzi infuocati d’entusiasmo mai conosciuto prima, getti luminescenti di purissima passione.

“Sono innamorato. D unq ue, q uesto significa essere innamora-ti… ” .

La ridda di suggestioni e di pensieri che sfrecciavano sull’autostrada a sei corsie della sua mente erano dominate da q uel volto, da q uel sorriso e da q uel profumo di cui avvertiva ora d’aver bisogno come dell’aria e dell’acq ua.

E rano da poco passate le 2 3 . N on avrebbe potuto dormire, q uella notte, se non fosse riuscito a comunicare a q ualcuno la gioia che provava.

Alla prima deviazione svoltò a destra per Mirarosa, sette chi-lometri a sud, e si diresse a casa di R oberto.

Q uesti, come d’abitudine, era a letto da un pezzo. La vecchia madre dell’amico, semiaddormentata davanti al tele-

visore, aprì la porta di casa con un po’ di preoccupazione. Cristiano si scusò per l’orario e s’offrì di salire le scale fino alla

stanza dell’amico. La signora replicò con un sorriso stanchissimo che sarebbe sa-

lita volentieri. U n po’ frastornato, R oberto entrò nel cono di luce della lam-

pada da cucina in pigiama. Gli occhi faticavano a riabituarsi e l’espressione del suo viso era proprio buffa.

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- Che ti succede? N on è che ti sei innamorato? N e hai tutta l’aria - disse, dopo aver preso una bottiglia di birra dal frigo ed es-sersi seduto.

In pochi minuti Cristiano vuotò il sacco e ricevette le congratu-lazioni dell’amico.

- D omani brindiamo al bar. L’età ce l’hai e, conoscendoti, non mi stupirei se mi capiterà di venire alle tue nozze prima di vedere le mie.

R oberto era fidanzato da tre anni e mezzo a una brava operaia delle sue parti, ma senza eccessi di zelo né passione. U na volta Cri-stiano l’aveva bonariamente rimproverato di trascurarla.

- Se vai a trovarla una sola volta alla settimana, finisce che una sera ti rimanderà da tua madre o q ualcuno te la porterà via. Q uesta freq uenza andava bene venti o trent’anni fa.

- V uole provare con un altro? S’accomodi! Che ci devo fare se sto bene così ? Q uando arrivo a casa la sera sono distrutto e mi pia-ce recuperare le forze dormendo, lo sai. Se son rose, fioriranno – aveva risposto tranq uillamente R oberto.

Allo scoccare della mezzanotte Cristiano salutò l’amico, scu-sandosi per la visita imprevista.

- Avevo bisogno di raccontare tutto a q ualcuno. Mercoledì del-la settimana prossima sono a R oma. V ado ad un convegno d’aggiornamento. T i mando una cartolina.

- A lei l’hai detto che stai via? - E come avrei fatto a farmelo venire in mente? Andrò alla ce-

rimonia del V enerdì Santo e lì la saluterò . F orse glielo dirò o forse no. N on è romantico partire all’improvviso e lasciare che la bella t’aspetti sospirando? Mica siamo fidanzati! Ci vogliono ancora al-cuni mesi perché sia maggiorenne, in fin dei conti. B isogna lasciare che il fiore cresca.

- Sì . E tu sarai il giardiniere...

C A P I T O L O U N DI C I Il giorno di Pasq ua e i due successivi passarono senza che ac-

cadesse nulla di speciale. Il mattino di mercoledì Cristiano partì per R oma dalla stazione

di Padova sul diretto 4 3 1 2 delle 1 0 : 0 2 . D onatella era a scuola. L’aveva salutata cinq ue giorni prima alla

fine della sacra rappresentazione, complimentandosi con gli attori per la buona riuscita. Poi aveva preferito non farsi vivo. T elefonar-le? N on gli sembrava fosse la cosa più opportuna, visto che il numero l’avrebbe dovuto cercare sull’elenco.

Il viaggio durò circa sette ore. Passò parte del tempo a riflettere sulla novità che gli era sbocciata dentro, tentando con poco succes-so di progredire nella lettura de I l trad imento d ei ch ierici di J ulien B enda.

Q uel viaggio sarebbe stato utile anche per vedere le cose dalla giusta distanza.

D el corso che iniziò il mattino del giorno dopo nei locali spa-ziosi del centro religioso vicino alla Stazione T ermini, le attività di gruppo del pomeriggio lo interessavano di più , centrate com’erano sull’analisi delle nuove metodologie d’insegnamento nelle scuole superiori.

U na sua collega di corso, Anna, una mantovana di venticinq ue anni dai lineamenti scolpiti e dai modi decisi, era la prima laica con-sacrata che gli fosse capitato di incontrare.

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N ella sala mensa linda e luminosa dell’istituto ospitante, a tavo-la con q uelli del suo gruppo, venne a sapere che faceva l’insegnante ‘ missionaria’ presso una scuola media inferiore di N apoli, nel q uar-tiere Secondigliano, e della lotta combattuta per farsi accettare dagli scugnizzi della sua scuola.

T ra essi si distingueva Salvatore, figlio di un boss della zona. Capobanda di una classe Seconda, in Prima aveva gettato nella di-sperazione insegnanti esperte di tutte le materie.

Ma lei non poteva farsi intimidire: seppur nuova al mestiere, sentiva in cuore per q uei prossimi adolescenti a rischio un amore più forte di ogni provocazione.

D opo le prime ore di lezione, durante le q uali aveva dovuto constatare che nessun richiamo all’ordine avrebbe potuto mettere in discussione la leadership del ragazzino, aveva deciso di passare ai fatti sfidandolo a braccio di ferro, testimoni i compagni.

Con tanto di posta in gioco. - Se vinco io, si eseguono i miei comandi in classe e i compiti

per casa. Se vinci tu, continuerete a fare come avete fatto finora. Salvatore non aveva potuto tirarsi indietro e aveva perso. A dicembre erano persino diventati amici, preparando insieme

il presepe della scuola, mentre Salvatore cominciava ad usare in positivo il suo ascendente sui compagni.

L’idea di telefonare a D onatella durante q uei giorni romani gli passò per la testa più volte.

D ecise infine che sarebbe passato a salutarla domenica sera. B astava prendere il rapido delle 1 3 : 0 5 e sarebbe arrivato a casa di D onatella dopo cena.

F orse D onatella aveva saputo del suo viaggio a scuola. V isitando i negozi sul Lungotevere in compagnia di Anna, ac-

q uistò un foulard per sua madre. Il pomeriggio seguente tornò sul posto da solo. Pensando a D onatella, acq uistò una crema profuma-ta per le mani.

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V enne il giorno del viaggio di ritorno. Salutò Anna e gli altri colleghi: - F orse non ci rivedremo, se non lassù . Stiamo combattendo la

stessa battaglia. Speriamo di condividere il premio - disse Anna sorridendo.

Si va sempre verso mete che misteriosamente ci attendono:

mettersi in movimento verso la successiva esige il gesto della sepa-razione, il lasciarsi alle spalle l’intensità e la bellezza di q uanto si è vissuto per immergersi nella nuova situazione, senza nostalgie o attaccamenti.

Q uel pomeriggio in treno completò la lettura del libro di B en-da, un po’ disturbato dalla conversazione dei due militari triestini in licenza con cui divideva la cabina.

Giunto a Padova, ai telefoni della stazione cercò il numero cor-rispondente al nome del padre di D onatella, via delle Sorgenti 9 .

R ispose la madre: - B uonasera, Cristiano [ ...] D onatella sarà contenta. Se vuole

gliela passo. È fuori in giardino con Sara. [ ...] N o? V a bene. V uoi cenare da noi? [ ...] V a bene. Ci sarà un’altra occasione. T i aspettia-mo.

R ipresa la macchina al parcheggio custodito della stazione, si diresse alla statale del Santo.

Il modo con cui Clara si era interessata alla sua cena riaccese in lui il sentimento dell’intimità famigliare.

Strada facendo, la precarietà del posto di lavoro e la durata de-gli studi intrapresi vennero ad importunare la seq uenza di pensieri.

“Per una figlia si desidera il meglio” ammise tra sé . V ivere di stipendio non gli avrebbe mai fatto raggiungere una

solida posizione finanziaria.

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La prospettiva lontana di uno stipendio da insegnante d’italiano o di filosofia, arrotondato con decine e decine di ripetizioni private, era il massimo che poteva prefigurare a se stesso in q uel momento.

“L’amore vero è ciò che di meglio ti possa capitare” . Il pensiero di D onatella riportò d’un colpo il sereno nelle sue

riflessioni. Per lei valeva la pena di misurarsi nella sfida più esigente: di-

ventare un uomo. A R oma il rappresentante di una nota casa editrice gli aveva

proposto di iniziare un’attività di consulenza per la divulgazione di testi di religione nelle scuole. Aveva accettato senza esitazioni, pen-sando che da cosa sarebbe nata cosa.

Iterato l’esame di filosofia morale a giugno, avrebbe presentato la domanda per insegnare etica professionale nelle scuole per in-fermieri professionali.

Sempre a giugno avrebbe probabilmente accettato il suggeri-mento del prof. Salvetti: sostituirlo come docente ripetitore di greco e di latino al corso estivo organizzato presso un istituto pri-vato dell’Asolano, con possibilità di continuare le lezioni di recupero durante l’anno scolastico.

Con l’insegnamento e l’università da portare avanti, la mole di lavoro che si prospettava era enorme!

Il pensiero della presenza di D onatella moltiplicava in modo esponenziale la sua voglia di fare e da domani, se lo sentiva, sarebbe sceso in campo con una dose di entusiasmo mai sperimentata. T rasportato da q uesti e altri pensieri giunse in vista del paese di

D onatella prima delle nove. L’aria era più fredda di q uella di R oma. Q uando arrestò l’auto davanti alla casa ebbe un tuffo al cuore. E ra lì , sotto la tettoia d’ingresso, ad aspettarlo.

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- E così si va via, senza avvisare gli amici. Sono dieci giorni... Come stai?

Il rimprovero benevolo, accompagnato dal sorriso raggiante, diceva tutta l’attesa del suo ritorno.

Cristiano la baciò sulla fronte. D onatella lo guardò negli occhi, come a dire: ‘ T utto q ui?’. Poi gli schioccò due baci sulle guance, posandogli le mani sui fianchi.

Cristiano la avvolse dolcemente nell’abbraccio che aveva in serbo per lei da giorni.

Il corpo della ragazza fu scosso da un tremito. D ue lacrime di gioia comparvero all’angolo degli occhi, inumidendoli in modo in-cantevole.

- D onatella, D onatella... H o una cosa da dirti. A R oma, forse complice la bellezza della città , ho capito che la ragazza che mi ha rapito il cuore vive al numero 9 di via delle Sorgenti. V uoi essere la mia diletta? Scusami. Mi è difficile in q uesto momento trovare pa-role diverse da q uelle del poema di Salomone.

- Sarò ... sono la tua ragazza. N on vedevo l’ora di dirtelo, mio poeta. Impareremo insieme il significato di q uelle parole.

Le porse il pacchettino che aveva nella tasca del giaccone. - È una piccola cosa... T olto l’involucro della confezione, D onatella portò il vasetto

aperto alle narici; ringraziò e, raccolta con la punta dell’indice una goccia di crema, gli sfiorò la pelle sopra le labbra. Cristiano lasciò fare.

- La distendi tu o devo tenere il baffetto rosa? - disse con una punta d’imbarazzo.

D onatella avvicinò le labbra a q uelle del giovane finché la goc-cia di crema le unse la pelle.

O sservato il risultato dell’operazione, scoppiarono in una risata che attirò sull’ingresso la signora Clara, che stava lavando le stovi-glie.

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Comparve con l’asciugatoio in mano e il grembiule bianco ri-camato della festa:

- B en arrivato, Cristiano. C’è allegria q ui fuori e dove c’è alle-gria...

- B uonasera, Clara. Cristiano entrò in cucina. Il padre era al bar, in paese. In piedi, decise di approfittare dell’occasione per chiedere a

Clara di comunicare il suo desiderio di far visita a D onatella con regolarità .

- V oglio bene a sua figlia, signora. Se non avete nulla in contra-rio da q uesta settimana mi vedrà alla sua porta con una certa freq uenza… Sa, non vorrei disturbare.

Clara, era voltata verso il lavandino, intenta a ordinare piatti e stoviglie.

- Mi pare che D onatella sia contenta, Cristiano, di essere di-sturbata da te...

Si voltò verso la figlia, aspettando amorevolmente il suo cenno. - Avete il nostro assenso - disse poi semplicemente. - Le sono grato - disse Cristiano. E ra come se avesse ricevuto

in dono la chiave di accesso alla felicità . Passarono insieme dieci minuti in compagnia di V alentina, che

mostrò loro i disegni fatti q uel giorno sull’album di scuola. U no dei tre rappresentava una 1 2 7 bianca davanti alla sua casa. C’erano tut-ti, con le rondini appena tornate e un gran sole arancione.

C A P I T O L O DO DI C I “L’amore al suo sboccio profuma dell’E den dell’umanità ” . Al risveglio, l’immagine del volto sognato dissolse l’ultima

nebbia del sonno, lasciandogli nella mente l’eco di tali parole. “F a’ crescere il nostro amore nella tua luce. Che io sia la sua

gioia e la sua pace” pregò , concludendo davanti alla finestra aperta le orazioni del mattino.

D a q ualche giorno sentiva fluire dentro di sé , capillarizzata, un’energia nuova, che acutizzava i sensi: piccoli cambiamenti nella disposizione degli oggetti e particolari di paesaggio mai notati, sfu-mature e fragranze mai colte o avvertite prima; variazioni nel digradare dell’ombra sulle superfici e rumori q uasi impercettibili, destavano ora la sua attenzione.

I giorni successivi furono scanditi a livello emotivo da rapidi incontri nei corridoi e dal saluto al volo al termine della mattinata, giocando a chi aspetta l’altro e facendo finta di niente per non dare troppo nell’occhio.

Il ponte del 2 5 aprile offrì loro l’opportunità di fare una gitarel-la alle pendici del Grappa insieme alla piccola V alentina.

A D onatella piacevano più le salite che le discese e all’ombra della vegetazione preferiva le radure, i sentieri visibili a q uelli che si perdono nella macchia o tra i sassi.

Per nulla infastidita dalle freq uenti interruzioni della sorellina, affrontava ogni argomento con curiosità .

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O sservarono insieme le forme capricciose delle nuvole, la cur-vatura di un ciottolo candido imprigionato tra le radici di un albero sradicato e la lucentezza dei petali del ranuncolo solitario incontra-to sul pendio erboso, al limitare del bosco.

Stettero per un po’ ad ascoltare il chiocciare dell’acq ua nelle go-re del torrentello nascosto tra rocce e muschio, poi raggiunsero il santuario del Covolo.

“ … u na d ocil e f ib ra d el l ’ u niv ers o ” ricordò , accostando le labbra al rivolo d’acq ua della fontana.

La gioia di sentirsi vivo e vitale esibiva le sue credenziali alla ra-gione, sottoponendole materia nuova, allo stato nascente, in forma di pensieri, sentimenti e scelte che avrebbero riguardato anche D o-natella.

Giunsero a casa mezz’ora prima di cena e aspettarono la chia-mata di Clara seduti sulla panca di legno grezzo in giardino, mentre V alentina saltellava felice intorno a loro, cantando l’ultima fila-strocca imparata a scuola.

La bambina salì sull’altalena appesa al ciliegio più grande, venti passi più in là , voltando loro le spalle.

- D el pomeriggio, che cosa ti è piaciuto in particolare? - le chie-se Cristiano.

La luce della sera donava riflessi di velluto ai capelli della ragaz-za.

- Stare q uei cinq ue minuti nel santuario. H o chiesto che il no-stro amore sia sempre fresco come l’acq ua di q uella sorgente. E a te?

Il giovane rifletté q ualche istante. - Camminare tenendoti per mano. N on mi capitava dai tempi

dell’asilo... D onatella, fingendosi impermalosita, saltò sulle sue ginocchia.

Lui le immobilizzò le braccia. Lei oppose resistenza per q ualche istante, poi si abbandonò sulla spalla di lui.

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E ra la prima volta che Cristiano sentiva l’odore dei suoi capelli. Le sfiorò con il naso l’orecchio destro. D onatella si volse a occhi chiusi e dischiuse un poco le labbra. La baciò teneramente, finché non sentì il corpo di lei rilassarsi

del tutto. U n po’ stordito, tornò a guardarla scostando il volto di q ualche

centimetro. D onatella inspirò profondamente e riaprì gli occhi. Il pennello della luce serale stemperava lentamente i colori del

tramonto nell’iride umida della ragazza. La chiostra bianchissima dei denti si era fatta brillante di saliva.

Le labbra erano tumide. - T i sei accorto? Sei entrato nella mia anima e io sono entrata

nella tua - disse in un soffio la ragazza. - N on avevo baciato nessuno, finora... A Cristiano non parve sua la voce che gli era uscita. D onatella si raddrizzò un poco: - N e ero certa. A q uesto riguardo, sono più esperta di te. H o

avuto alcuni corteggiatori, io, e uno l’ho pure baciato… - puntua-lizzò , con finto sussiego.

- N on come mi hai baciato adesso… E ntrava dal portone sul retro l’auto del padre. Gli andarono incontro dandosi la mano e l’accompagnarono a

tavola. Su una tovaglia bianca, ricamata a fiorellini rossi gialli e azzurri,

una zuppiera di minestrone fumante invitava a prendere posto. Cristiano sedette accanto al padre, di fronte a D onatella. Alle ultime cucchiaiate di minestra Guido chiese al giovane

come andavano le cose a casa sua. - B ene, direi. L’altra settimana, tornato da R oma, ho parlato di

D onatella a mia madre. È ansiosa di conoscerla. H a avuto cinq ue figli, tutti maschi.

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Clara annuì . Cristiano intuì che in q uella casa sarebbe potuto diventare il figlio acq uisito.

- Che atteggiamento adotterete, a scuola? - chiese Clara, pre-murosamente discreta.

- Se D onatella è d’accordo, tutto continuerà normalmente. La scuola è scuola. Lei è studentessa. Io un insegnante. Presto si verrà a sapere comunq ue.

Guido e Cristiano conversarono per q ualche minuto sulla con-giuntura economica nazionale; poi, Cristiano portò il discorso sulla novità dell’anno nel mondo delle q uattro ruote, la trazione integra-le.

Clara servì infine la tradizionale colomba del fornaio del paese, guarnita di praline multicolori di zucchero e accompagnata da uno spumante veneto servito alla giusta temperatura.

D opo il caffè , Cristiano e D onatella uscirono a passeggiare. V alentina impegnava papà nell’ultimo gioco della giornata. Sulla stradina che usciva in campagna si respirava il profumo

delle fioriture di calicanto e di sambuco. U n lungo filare di alte robinie, sulla sinistra, invitava al cammi-

no. Sulla destra, al di là dei coltivi delimitati da siepi e fossati in secca, teatro dei giochi infantili dei bambini della piccola contrada, spiccava il biancore delle cortecce di un gran numero di pioppi a schiera.

U n vento leggero pettinava le migliaia di foglie, provocando un brusio magicamente nuovo anche all’orecchio di D onatella.

La luna, spuntando e sparendo tra nuvole sparse, assisteva alla prima uscita notturna dei due innamorati.

- V ivo q ui da q uando sono nata, ma ogni cosa sembra esistere solo da q ualche istante - disse D onatella.

Si aggiustò sulle spalle il golfino azzurro e si strinse con la de-stra a Cristiano. Lui le passò il braccio intorno alle spalle:

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- Lo sapevi che per gli antichi q uesta è la posizione della difesa? Il destro rimane libero e può brandire la spada.

D onatella ammise di sentirsi protetta: - E tu sapevi che la mia posizione è q uella dell’attacco? Q ui so-

no più vicina al tuo cuore… - T ou ch é , dicono i francesi. Chi immaginava che avere una ra-

gazza fosse tanto appagante? - Se lo avessi saputo, te la saresti cercata q ualche anno fa. E vi-

dentemente sono fortunata. - Siamo fortunati - corresse Cristiano, stringendola un po’ più a

sé . Camminarono in silenzio per un bel tratto. - Giovedì andrò con una Seconda in visita al monumento cimi-

teriale realizzato da Carlo Scarpa per i coniugi B rion, a San V ito d’Altivole. Concluderemo in bellezza le riflessioni sulla morte svol-te in classe. Credo non vi sia in zona luogo più adatto per spiegare visivamente come l’amore vero superi i confini del tempo assegna-to all’esistenza umana.

- N on ci sono mai stata. Mi ci potresti accompagnare domani, se vuoi.

- Poi proseguiamo per B assano e, se ti va, facciamo un giretto alla mostra di Salvatore F iume. Saremo a casa per ora di pranzo.

- F iume è un pittore che mi piace. Ce ne ha parlato q ualche giorno fa la prof di Storia dell’arte, che vive a B assano. Ci ha mo-strato il catalogo. Chiedo a mamma. N el pomeriggio dovrei aiutarla con le tende di casa.

Arrivarono al cimitero prima delle dieci e il sole intiepidiva

l’aria che era una dolcezza. Collegato alla provinciale da un vialetto dove l’erba cresce tra

ciottoli bianchi, con una doppia fila di cipressi e platani da ambo i

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lati, il piccolo cimitero di San V ito non è diverso dai tanti cimiteri di campagna della zona.

Lessero il cartello informatore in ottone: L a ch iu s u ra au tomatica d ei cancel l i s catta al l e d iciotto, tre minu ti d opo il terz o s egnal e acu s tico.

U n cinguettio ininterrotto di decine di uccellini di varia specie salutava i visitatori.

All’interno, perfettamente ordinata, la tradizionale serie di cappelline gentilizie ai lati e sul fondo. D iverse per forma ed altezza, erano rese uniformi da una tinteggiatura grigio-ver- dognola. Colpì l’attenzione di D onatella la lapide di una ‘ s pos a e mad re e-

s empl are, morta nel b acio d el S ignore il 2 8 s ettemb re 1 9 1 5 , l as ciand o l argo rimpianto d i v irtù d omes tich e, il marito e il f igl iol o amatis s imi, ch ied end o u na pregh iera, pos ero’.

La foto, appena sbiadita, mostrava un volto di donna di mezza età , dai lineamenti amerindi.

Altre persone nate nel diciannovesimo secolo erano sepolte lì intorno.

Q uesto fatto, commentò Cristiano, forse avrebbe fatto riflette-re gli studenti sullo scorrere inarrestabile del tempo.

- N on ricordo chi ha considerato la T erra come un immenso cimitero... - osservò D onatella, facendosi pensosa.

- F oscolo senz’altro, nei S epol cri , là dove si domanda se sarà di consolazione ‘ u n s as s o / ch e d is tingu a l e mie d al l e inf inite / os s a ch e in terra e in mar s emina M ortÈ . A me q uesta idea evoca la potentissima immagine che si trova nel libro di E z ech iel e : una pianura sterminata cosparsa di ossa umane, calcinate dal vento e dal sole. Ad un tratto su di esse spira la forza dello Spirito di D io ed esse cominciano a coprirsi di muscoli, nervi, pelle. Infine, il vento della vita li risveglia. Si alzano in piedi. U na moltitudine immensa…

- Mi piacerebbe avere la profondità della tua fede. Cristiano si schermì :

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- H o solo q ualche hanno di più , fiorellino mio. Avanzando sul viale centrale, D onatella notò che sulla linea

della recinzione di fondo apparivano forme geometriche in cemen-to. Sulla sinistra, una scalinata che sembra l’avvio della biblica scala di Giacobbe. Ai lati, colonne regolari a rientro, a completare l’effetto prospettico.

Avanzando ancora s’indovina un ingresso, coperto da edera a cascata.

Gli stipiti sono costituiti da due cerchi intersecantisi al centro, in pietra azzurra q uello a sinistra, rossa q uello a destra. Le pareti sono rastremate agli angoli.

Q uattro scalini, spostati a sinistra rispetto all’asse centrale dell’ingresso, conducono al piano dell’area occupata dal monumen-to.

D a un angolo in alto scendeva, con fare accorto, una lucertola. Il breve corridoio, sul q uale incombe a due metri d’altezza un

enorme architrave che q uasi costringe a chinare la testa, apre sullo sq uarcio di cielo idealmente raggiunto dall’immaginario prolunga-mento della scala di Israele, facendo scorgere, in fondo, un ponte leggero, fortemente arcuato. Sotto di esso, cespugli verdi.

Sullo sfondo i colli asolani, con il rilievo della rocca ben visibi-le.

Il vano crea un’eco ovattata ai passi del visitatore. Il profumo di edera vi domina intenso.

U n ultimo scalino e si è dentro al recinto vero e proprio. U na canaletta in cemento con poca acq ua, restringendosi pro-

gressivamente di sezione, delimita da un lato il verde di un prato inglese ben tenuto. A destra, su una superficie d’acq ua rettangolare galleggiano ninfee dai petali rosa tenue.

Le pareti del muro di recinzione, inclinate di circa q uindici gra-di verso il centro, suggeriscono la loro congiunzione in alto, formando una piramide aperta fatta di cielo.

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- Il ponte invita al passaggio… - fece notare Cristiano. - … dal tempo all’eternità … - completò D onatella. Alle estremità del ponte stanno due cespugli di rose, bianche a

destra, rosse a sinistra. D ue urne di marmo, galleggianti su immaginarie acq ue perenni

fluenti sotto il ponticello, sono le tombe dei due coniugi, q uasi so-spese su un pavimento emiciclico in pietra bianca. D ue culle.

L’una, presumibilmente q uella del maschio, appare appena in-clinata verso l’altra, in un estremo tenerissimo gesto di protezione.

Per arrivare al piano del prato inglese, si salgono q uattro gradi-ni in materiale misto, legno, acciaio e pasta di cemento.

Cristiano invitò D onatella a fermarsi e si esibì in una salita dan-zata in punta di piedi.

- H ai udito? Sono q uattro note diverse. In due passi ridiscese accanto a D onatella. - R iprovo: La, D o, F a, Si bemolle. Potrebbe essere? La ragazza provò la seq uenza di suoni, una volta, due volte, poi

si volse e disse: - N on saprei. U na cosa mi pare interessante: che dei materiali

inerti siano in accordo sonoro con lo stato d’animo di chi viene q ui per la prima volta, come me.

Seguendo il percorso di mattonelle di porfido e strisce di ce-mento, colpisce l’attenzione un enorme parallelepipedo in cemento, inclinato verso il centro, di circa dieci metri di larghezza, almeno tre d’altezza e altrettanti di profondità , che gravita sul verde del prato.

- Chissà che cosa intendeva rappresentare l’autore con q uesto elemento - chiese Cristiano senza attendersi risposta.

D onatella, che camminava innanzi, si fermò davanti ad uno sportello di legno. Cristiano la invitò ad entrare, ponendole dolce-mente le mani sulle spalle.

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Sulla destra, un ripostiglio per gli attrezzi del giardiniere. Sulla sinistra, un’apertura strettissima dà sul pezzetto di terra nascosto in cui riposano le spoglie dell’architetto veneziano.

U na lapide bianca è vegliata da un sempreverde, che cerca luce tra alte pareti di cemento scuro spingendosi verso l’alto.

R iprendendo il percorso principale, giunsero al portale in vetro e bronzo della chiesetta orientata da sud a nord.

Sull’architrave essa mostra cinq ue piccole croci. Sugli stipiti, al-tre dodici croci, sei da una parte e sei dall’altra.

Per gran parte del suo perimetro è circondata da uno specchio d’acq ua ornato da ninfee bianche.

All’interno, l’acq uasantiera in arte moderna, con chiusura supe-riore in ottone massiccio, è la prima cosa che colpisce l’attenzione.

Avanzando verso l’altare, si attraversa un cerchio in vetro spes-so inserito nel pavimento, a colorazione azzurra e oro, mezzo metro sotto il q uale risalta una croce in acciaio poggiata su matto-nelle dorate.

R astremature ai q uattro lati, vetrate colorate in alto, rivestimen-ti in marmo rosato completano la preziosità del tutto che, nonostante la varietà degli elementi, comunica un senso di riduzio-ne all’essenziale.

La cupola, in legno e cemento, sembra fatta per sostenere il lampadario di forma q uadra pendente al centro.

L’altare completa l’isieme: a foggia di antica ara segnata dalla modernità , mostra un incavo a forma di freccia sulla destra del pia-no di superficie.

- D al contorno rosso dei due elementi, vi vedrei una rielabora-zione dell’incavo destinato ad accogliere le reliq uie dei martiri al centro degli altari tradizionali. R esta da spiegare la direzione della freccia. Indica l’O vest - concluse Cristiano.

La curiosità di D onatella era attirata ora dal Libro dei visitatori alla destra dell’altare.

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- Copertina in acciaio, piatto inferiore in legno, chiusura in ot-tone. C’è anche il nome del donatore: s tu d entes s a in arch itettu ra al P ol itecnico d el l a V irginia ( U .S .A .) C l ara C omins k . La signorina invita a non asportarlo.

- ‘ S ono s tu d ente d i arch itettu ra a F irenz e. C aro S carpa, con mito e cipres -s i non av res ti av u to l a capacità d i rapirmi. G raz ie per q u es ti attimi d i pacÈ .

Cristiano prese la penna, aprì una pagina bianca e scrisse: ‘ Do-natel l a e C ris tiano. 2 6 A pril e 1 9 8 2 . E ntrare nel l a V ita ad occh i aperti s i pu ò’.

- Che significa? - chiese D onatella. - L’estate scorsa ho letto M emorie d i A d riano , di Marguerite

Y ourcenar. H o invertito, in un certo senso, la chiave di lettura di tutto il romanzo. L’imperatore, ormai alla fine della sua vita, scrive di voler ‘ entrare nella morte ad occhi aperti’.

D a una porticina dietro l’altare, uno davanti all’altro, uscirono sulla stretta penisola di cemento di circa tre metri di lun-

ghezza che si protende sull’acq ua della vasca, verde delle alghe e dei licheni che coprono i sassi del fondo.

Stettero q ualche istante ad ascoltare il gorgoglio dell’acq ua, mossa da un meccanismo di riciclo.

- È il secondo rumore che registra l’orecchio del visitatore, do-po il cigolare del portale della cappella, che forse non era previsto - osservò D onatella.

Gradini, a ripresa della rastrematura degli angoli dell’intero complesso, scendono fino al fondo dello specchio d’acq ua.

Il vialetto di uscita presenta strette corsie d’erba e cemento. Sulla sinistra, un piccolo portone di ferro apre sull’ultimo elemento: un giardinetto verde, con al centro un grande leccio che Scarpa probabilmente non si era sentito di sacrificare.

D al campanile vicino vennero dieci rintocchi. Saliti in auto, Cristiano si rivolse a D onatella senza guardarla:

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- V ale la pena di venire in q uesto luogo con gli studenti, non credi?

D onatella annuì con la testa: - Sì , dopo esserci venuti da soli. Meglio se in due. L’esperienza aveva lasciato in entrambi lo stato d’animo del

raccoglimento. - Siamo piccoli esseri assetati di luce e di vita - mormorò dopo

un po’ la ragazza. Arrivarono a B assano in venti minuti. La voglia di sole, di spazi aperti e di colori cresce a dismisura,

se si è incominciata la giornata visitando con calma un cimitero. - Che ne dici se rimandiamo la visita alla mostra e facciamo un

salto sulle colline dietro a Marostica? Ci sono delle fioriture stu-pende, di q uesta stagione - propose Cristiano. D onatella assentì con gioia.

Il bianco tenero dei gigli di campo, a schiere sui clivi delle col-line, l’azzurro intenso a puntini delle miriadi di N on ti scordar di me e il giallo luminoso delle esplosioni di forsy thia ai lati delle stra-dine in saliscendi, riempivano gli occhi, mentre effluvi di muschio e di foglie marcite riempivano le narici dal segreto del sottobosco.

Come due principi nel loro dominio, passeggiarono per viottoli accarezzati dal sole primaverile fino a q uando i campanili fecero echeggiare di poggio in poggio il loro bronzeo richiamo a uomini e cose.

Sul cammino di ritorno, salutarono e furono ricambiati da una coppia di arzilli vecchietti intenti alle loro faccende davanti ad una linda casetta rustica.

Lei curava i fiori dei vasi posti sui davanzali e sui cavalletti por-tafiori ricavati da sezioni di tronco d’albero. V isti i due giovani, rispose al loro saluto con un cenno del capo, sorridendo materna-mente.

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Lui, un uomo alto e legnoso, reso solo un po’ curvo dall’età , stava assicurando i tralci di una vite al loro sostegno nel vicino vi-gneto.

Q uattro oche scendevano dondolando verso una pozza d’acq ua accanto all’orto. U n grande gatto bianco e nero stava alla posta degli uccellini che si posavano per q ualche attimo sull’aia. Alcune rondini sfrecciavano nel ritaglio di cielo domestico, garren-do felici.

- H ai notato come si assomigliano? - disse Cristiano. - Sembrerebbero fratello e sorella, in effetti - rispose D onatella. - D icono che due persone che attraversano la vita amandosi

veramente finiscono per assumere i lineamenti l’uno dell’altro - suggerì Cristiano, dandole la mano.

U n bastardino abbaiò da un canto del cortile. U na cornacchia in volo rispose al saluto del cane.

C A P I T O L O T RE DI C I All’inizio del secondo q uadrimestre, un certo numero di classi avevano già fatto registrare una certa partecipazione. Certo, Cristiano avrebbe gradito lezioni più distese. N elle sezioni A, B ed E , insegnare religione cattolica era una

sfida da raccogliere q uotidianamente, con pazienza, senza lasciarsi prendere dallo scoraggiamento.

D a una q uindicina di giorni, inoltre, pareva che alcuni colleghi, nipotini spirituali di R eich, avessero deciso di prendere posizione nei confronti del suo insegnamento. E in maniera pesantemente scorretta, per giunta.

Irridere le sue affermazioni sull’amore, sull’etica e sulla libertà cristiana in alcune classi era una sorta di passatempo, giustificato dal pretesto di stimolare nei ragazzi lo spirito critico contro l’oscurantismo religioso.

Q ualche sprazzo di luce doveva pur essere brillato nella testa degli studenti affidatigli, pensava Cristiano, se le sue lezioni suscita-vano reazioni del genere.

A maggio gli capitò di dover dare spiegazioni sulla piscina fatta costruire nei Giardini V aticani, sullo IO R e sul senso della vita delle claustrali.

N ella mente dei ragazzi le argomentazioni laiciste avevano no-tevole impatto, avvalorate com’erano dalla citazione degli innumerevoli drammi causati nel passato da istituzioni come l’Inq uisizione e da fatti storici come il processo a Galileo Galilei.

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E videntemente, la ‘ tregua di D io’ che gli era stata concessa ne-gli ultimi mesi era finita con le vacanze pasq uali ed era iniziata la prima campagna di primavera contro l’O ra di religione al B arbarel-li.

Al rientro dalla pausa pasq uale aveva persino ricevuto dal pre-side F antoni un velato suggerimento a non insistere troppo nella sua crociata solitaria.

E , proprio in q uei giorni, c’era stato il repentino mutamento di Ivana.

T otalmente indifferente e silenziosa dall’inizio dell’anno, la ra-gazza aveva aperto le ostilità con una violenza verbale inaspettata.

D iciottenne intelligente ed emancipata, aveva ripreso a fre-q uentare la scuola dopo due anni di lavoro come commessa in un negozio d’abbigliamento.

Mora di capelli e di carnagione pallida, occhi profondi ingrandi-ti da un trucco molto marcato e viso pallidissimo, era per i suoi compagni il leader riconosciuto della classe.

Cristiano aveva cercato di capire da dove venisse tanta rabbia repressa, tanto livore nei confronti della religione.

N on certo dalla famiglia. Conosceva la sorella, Marina, impe-gnata nel volontariato a favore degli anziani della casa di riposo.

- Io non ho sorelle - aveva risposto dura la ragazza. - Q uella là si tenga pure il suo perbenismo ipocrita e il suo cre-

dersi migliore degli altri solo perché va alla messa - aveva concluso, guardando fuori della finestra.

L’ammirazione suscitata nei compagni dalla forte personalità della ragazza rischiava di diventare adesione alle sue posizioni.

D urante la ricreazione, sul ballatoio del primo piano, Cri- stiano le aveva chiesto chiarimenti. - Ci sono problemi nei miei confronti, a livello personale? Che

so: ti sto antipatico? Ivana lo aveva guardato con malcelata commiserazione.

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- Lei non è un problema come persona, ma come insegnante. Se smetterà di diffondere nella scuola le sue teorie e parlerà , ad e-sempio, di storia delle religioni, potrà forse trovare un suo spazio. Altrimenti, se ne accorgerà ...

Cristiano l’aveva ringraziata per la franchezza, anticipandole che l’anno prossimo il suo stile non sarebbe cambiato.

- La tranq uillità è sua... - aveva risposto la giovane, allontanan-dosi verso la saletta dei professori.

A giugno, durante lo scrutinio della 2 B , una collega informò sottovoce Cristiano che la studentessa aveva manifestato all’insegnante di ginnastica l’intenzione di smettere definitivamente la freq uenza alle lezioni. Avrebbe ripreso a lavorare.

A Cristiano rimase in cuore la tristezza di non aver potuto far breccia nell’intelligenza della ragazza.

Ivana non sarebbe stata l’unica. Altri, in futuro, avrebbero po-tuto dire di no.

Ma q uel no, così freddo e deciso, sarebbe stato tale per sem-pre?

Affidare con fiducia Ivana a Colui che tutto dispone per il bene delle sue creature fu l’ultimo gesto interiore di Cristiano, prima di passare allo scrutinio dei voti dell’allievo successivo.

Al ritorno dalle vacanze, dopo un’estate di studi, Cristiano in-

contrò il prof. F antoni in sala insegnanti. E ra solo. - Ciao, preside. - Chiamami Adriano. N on hai saputo? È arrivata una nuova

preside. È di ruolo. T orno a fare l’insegnante - commentò con una punta di rammarico il collega ritrovato.

- Come si chiama? - T aggia. Anita T aggia. V iene da un liceo artistico del V icenti-

no. Guarda che sei atteso in 5 C. L’orario provvisorio ho dovuto

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predisporlo io e, come hai chiesto l’anno scorso, ti ho dato il mer-coledì libero.

- Grazie. È stato un onore averti come capo d’istituto. E sai che sono sincero.

Cristiano tese la mano al collega: - Sei l’unico ad aver usato nei miei confronti un’espressione

tanto gentile - rispose F antoni, lietamente sorpreso. - V a là ! Anche se non sei un cattolico praticante, gli studenti

riavranno un grande professore. O gni bene per il tuo anno scola-stico e… che D io ce la mandi buona! - disse Cristiano alzando gli occhi al soffitto, pensando al nuovo inq uilino dell’ufficio di presi-denza.

Alessio Carminati e Giampaolo D amiani, classe 5 C, erano

compagni di avventura dal primo anno e capi incontrastati del gruppetto di elementi che costituivano la zavorra dell’istituto.

D urante l’anno di Q uarta, seguiti passivamente dalla totalità della classe, avevano ignorato q uasi del tutto la presenza di Cristia-no in aula.

Alessio era la mente, Giampaolo il fido collaboratore. Che fossero i punti di riferimento del giro di sostanze stupefa-

centi nelle scuole superiori del luogo nessuno avrebbe mai potuto provarlo, ma la fama che li circondava non poteva essere scaturita dal nulla.

Giampaolo, di corporatura robusta e un po’ tozzo di busto, a-veva l’aria sorniona e lo sguardo freddo. Capelli rosso-rame e mè che giallo oro, portava un anellino d’argento all’orecchio sinistro e una larga treccia di fili colorati di plastica al polso.

N el vestire e nella cura della persona seguiva fedelmente la moda del momento: barba mal rasata, j eans strappati e sfilacciati in basso, camicie acq uistate in negozi specializzati nel riciclaggio

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d’indumenti che facevano tendenza, consunte da mille battaglie con la lavatrice.

Alessio vestiva in modo meno appariscente e disponeva di un fisico da atleta, pur non amando per niente l’attività fisica. Parlava poco e controllava attivamente tutto ciò che si muoveva fuori e intorno alla scuola, come se dipendesse da lui il funzionamento effettivo del marchingegno chiamato "I.S.A. B arbarelli".

Per q uanto i bidelli si sforzassero di far rispettare le blande di-sposizioni della presidenza sulle uscite dalla scuola durante le lezioni, i due sembravano disporre di una specie di immunità ed era facile trovarli alla B ottola, prima, durante e dopo la ricreazione.

Chissà perché mai le autorità cittadine consentivano che restas-se aperto un locale del genere di fronte ad una scuola.

Sia la Guardia di finanza, l’anno precedente, che i Carabinieri, a marzo, avevano fatto i loro sopralluoghi.

L’andirivieni di personaggi un po’ balordi e di forestieri dall’aria sospetta era costantemente tenuto sotto controllo.

La visita dei finanzieri aveva addirittura portato ad un breve periodo di chiusura. Si sussurrava che tra l’aumento della q uantità di droga spacciata nella zona nel corso dell’8 1 e l’attività del locale vi fosse più di q ualche rapporto.

A fine settembre, dopo q uattro anni di apertura, il bar per for-tuna chiuse i battenti.

In 5 C Cristiano si era rassegnato già da tempo ad accettare la logica del ‘ vivi e lascia viverÈ : solo tre ragazze seguivano la lezione, intervenendo soltanto se sollecitate.

F inita l’ora, passò in 3 A. Il programma del secondo q uadrimestre prevedeva l’analisi del-

la situazione giovanile e l’individuazione dei valori vecchi e nuovi riconoscibili nel vissuto della nuova generazione.

Il problema droga, primo tra le forme di devianza analizzate, aveva suscitato, com’era prevedibile, forte interesse.

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I ragazzi avevano ricevuto una prima informazione tramite lu-cidi che Cristiano aveva preparato con cura. U n sociologo dell’U LS aveva poi offerto con successo il suo contributo.

La settimana successiva Cristiano aveva portato in classe un volumetto dal titolo ‘ L ’ u topia ch e h a il potere d i s al v arti’.

Incominciò la lezione parlando del suo incontro con l’autore, Carlo Carretto.

- T re anni fa capitai per caso, di notte, nel centro di spiritualità dei Piccoli fratelli di Charles de F oucauld a Spello, in U mbria. Por-tavo con me due q uattordicenni al loro primo viaggio senza genitori. ( Chi me lo fece fare?) . U no di q uesti, q uella sera, aveva la febbre a q uaranta e cercavamo rifugio. Ci accolse Carretto in per-sona. Affidato ad un monaco buddista suo ospite il mio amico febbricitante, ebbi la fortuna di stare con lui da solo per un q uarto d’ora, raccontandogli della ricerca spirituale che stavo compiendo. Con l’occasione, lo ringraziai per i suoi libri, in particolare per L ette-re d al d es erto , dove egli racconta il soggiorno di preghiera e lavoro in q uell’ambiente inospitale, evocativo di tante esperienze di grandi uomini della B ibbia. Gli dissi che mi aveva colpito moltissimo il suo monologo rivolto a Maria, incinta di Gesù e immaginata silen-ziosamente in ascolto. Mi sorrise e mi invitò a tornare, per vivere insieme q ualche giorno in preghiera. Ci offrì poi del tè con biscotti. Congedandomi, mi fece dono del libretto di cui leggeremo alcune pagine. Ci ha fatto pure la dedica, vedete? ‘ A C ris tiano, perch é trov i nel l a v ia v ers o l a v erità e l a l u ce q u al ch e pos to d i ris toro’.

Il libretto si apre con una lettera terribile, inviatagli da una tos-sicodipendente di vent’anni che vive ( o viveva) col suo ragazzo, tossico pure lui, nell’abiezione più totale. Leggo, ragazzi: ‘ S opporto tu tto pu r d i riu s cire a f are il b u co: d a tempo h o mes s o d a parte l a mia rab b ia, s e s ono cos tretta a v end ermi, con gl i occh i pieni d i l acrime e il groppo al l a gol a, io l o f accio; s e d eb b o s coprirmi a ru b are, con il cu ore in tu mu l to e l a cos cienz a ch e mord e, io l o f accio...’ . La ragazza afferma di sperare che la sua vita e

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q uesta sorta di messaggio servano almeno a far capire a tutti che ‘s tiamo precipitand o nel cas ino più total È . Chiede di non essere più commiserata e conclude: ‘Res ta s ol o u na cos a d opo tanti progetti, parol e, il l u s ioni, s peranz e: l a nos tra morte. P ens ateci anch e v oi u n attimo, prima d i continu are a s tord irv i con l e v os tre inf inite parol e, e l as ciatemi tranq u il l a con il cal ore b u ono d el l ’ eroina nel l e v enÈ .

In classe, tutti erano in ascolto. Anche i soliti distratti. Cristiano passò velocemente alla proposta dell’autore.

- Al giovane di oggi, che sperimenta un vuoto e una frustrazio-ne interiore forse mai conosciuti finora, non resta che offrire l’unica realtà , l’unica utopia che ha il potere di salvare: D io. Q ual-cuno ricorda la recentissima canzone di R enato Z ero ‘ P otreb b e es s ere Dio’ ?. L’ascolteremo insieme la prossima volta, insieme a canzoni di D alla, B attiato, V asco R ossi, B ob Marley e altri sullo stesso tema. Q ui mi fermo e apriamo la discussione.

I ragazzi esitavano a prendere la parola. - A pagina 2 9 , Carlo Carretto scrive: ‘ Q u and o v iene a me u n d roga-

to, u n al col iz z ato, u n os s es s o s es s u al e e mi d ice d i v ol er gu arire, io l o porto nel l a mia cappel l a e gl i d ico: « I nginocch iati d av anti al l ’ eu caris tia. Q u el pez z o d i pane ch e v ed i è il s egno d el l a morte e d el l a ris u rrez ione d el C ris to... S e tu ries ci a grid are per ore e ore, per notti intere: ‘S ignore, cred o ch e tu s ei il C ris to, il f igl io d el Dio v iv ente. S al v ami, S ignorÈ , e in cu ore tu o non d u b iti, s ei s al v o... Dio pu ò tu tto perch é è il Dio d el l ’ impos s ib il e e tu tto è pos s ib il e a ch i cred e ». In poche parole, l’autore propone a chi si sente perduto il salto del-la fede che si fa preghiera. O ccorre confessare col cuore e con le labbra che Gesù è il Signore ed insistere nella preghiera d’invocazione fino all’ottenimento della salvezza, attestato ( q uesto lo aggiungo io) da una pace interiore stabile e mai provata prima, nonché dal cambiamento radicale dello stile di vita.

L’attenzione cominciava a calare. - Che ne dite? È q uesta una proposta solo per persone che cer-

cano di uscire dal tunnel della droga? Chi di noi non ha bisogno di

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essere salvato? Che so: dalla paura, dall’indolenza, dall’egoismo, dalla vigliaccheria, dalla noia, dalla perdita di senso della vita? D ite voi q ualcosa, adesso.

Giovanni, in q uarta fila, dava segni di nervosismo: - Senta, professore. Prima di arrivare alle risposte al pro-blema,

noi vorremmo capire il problema. È vero. Lei ci ha fatto vedere i lucidi, le fotocopie, è venuto il sociologo e adesso ne sappiamo molto più di prima. Ma è teoria. Se devo dire di no a chi il sabato sera mi offre la pillola o il fumo, vorrei che la scuola m’indicasse q ualcosa di concreto. N on saprei neppure io che cosa.

Cristiano chiese alla scolaresca se tutti si ritrovavano nelle paro-le di Giovanni. Q uasi tutti assentirono.

Si sarebbe potuto battere la pista della sua esperienza a contat-to con i ragazzi di Piazza dei Signori, nel capoluogo.

Le lunghe chiacchierate con O liviero e Margot, tentando di of-frire loro un’alternativa alla distruzione, erano ben presenti nella sua mente, collegate al ricordo della bellezza inq uietante della gio-vane di origine francese. D opo tre anni di tunnel avevano finalmente deciso di smettere, perché la droga a-vrebbe finito per disseccare anche il loro amore. Lui si era trovato un lavoro in lega-toria. Lei aveva iniziato a lavorare nel negozio di moda della madre, mantenendo contatti con la F rancia.

U n giorno, tornando insieme da Parigi, accettarono un passag-gio in autostop da un tossico più pazzo di loro. Alle porte di Milano, un terribile incidente. O liviero sopravvisse. Margot non era più al suo fianco, ma il patto che avevano stretto lo manteneva tut-tora sulla buona strada.

Ai ragazzi, q uesta storia un po’ triste sarebbe bastata? D ecise di rischiare di più . N on era la prima volta, in fin dei

conti.

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- La prossima settimana cercherò di far venire in classe un mio amico, O liviero, che ha detto basta alla droga e un altro ragazzo, tossicodipendente in attività . V i confronterete direttamente con loro e vedremo che cosa ne viene fuori.

La sorpresa degli studenti era palpabile. - D avvero lo farà ? - aveva chiesto, un po’ incredulo, Giovanni. U na settimana dopo, i lunghi capelli di O liviero e di Alberto

avevano indotto Giorgio, il bidello di sorveglianza, a fermarli all’ingresso della succursale e a chiedere lumi al professore di reli-gione da cui dicevano di essere stati invitati.

- Li faccia entrare, per favore. Mi assumo io la responsabilità . F u l’ora di scuola più catturante dell’anno. Molto giocava anche il fascino dei vent’anni di O liviero. Al racconto della storia della povera Margot le ragazze si com-

mossero. T utti uscirono dall’aula entusiasti e un po’ più consapevoli della

fortuna di avere alle spalle le rispettive famiglie e la scuola. Al B arbarelli, attività ai limiti dello sperimentabile che non a-

vessero q ualche strascico in collegio o che andavano a buon fine, venivano in genere archiviate facilmente.

Q uesta scoperta indusse Cristiano ad osare di più e a concepire metodi ancor più convincenti per presentare la dottrina cattolica sull’aborto, sul divorzio e sull’eutanasia, da sperimentare nel corso dell’anno scolastico che si sarebbe aperto a settembre.

C A P I T O L O Q U A T T O RDI C I L’anno scolastico che incomincia appare lungo e carico di

promesse, al giovane insegnante che ama il suo lavoro. Cristiano si era avviato al suo terzo anno d’insegnamento con

tutta l’energia dei suoi q uasi venticinq ue anni. D a parte di chi non simpatizzava per la religione, stranamente,

non venivano avvisaglie di ostilità . I colleghi rispondevano al suo saluto. Q ualcuno, addirittura, si

mostrava incuriosito da particolari affermazioni da lui fatte in clas-se e riportate, più o meno fedelmente, dagli studenti: che ciò fosse dovuto solo a ragioni di buona educazione?

Inoltre, i programmi avanzavano regolarmente in q uasi tutte le classi. Ciò pareva q uasi un miracolo.

La serenità di fondo dei primi mesi del q uadrimestre gli con-sentì di dedicare attenzione ai casi difficili.

In Prima E , dopo i Morti, Michele N accarato di Pradese man-cava da dieci giorni all’appello.

Pallido e un po’ ingobbito, indossava sempre la stessa giacca a vento nera sdrucita sul bavero e sulla spalla destra.

Senza alzare la testa, il primo giorno di scuola aveva farfu-gliato a voce bassissima nome e cognome, attirando l’attenzione dei compagni anche per la sua balbuzie.

D urante i primi due mesi non c’era stato verso di fargli alzare il volto e il tono di voce.

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I genitori erano stati invitati ad un colloq uio, ma nessuno si era fatto vedere.

La scheda della scuola media freq uentata da Michele, oltre al giudizio sintetico di sufficienza, riportava la dicitura: ‘ G rav i prob l emi a l iv el l o d i comu nicaz ione per tu tto il triennio’.

Al consiglio di classe di ottobre, tra le altre cose, erano e-merse prove di una persecuzione ai suoi danni che aveva le sfumature della crudeltà : durante le ricreazioni D alla R iva, Cometto e V icenti-ni, le tre pesti della classe, riservavano al malcapitato la funzione di punchingball.

E videntemente, il mutismo del compagno eccitava la loro ag-gressività . N on dovevano essere carezze q uelle che lo avevano colpito più volte, se i bidelli avevano ritenuto di avvisare gli inse-gnanti.

E rano stati presi provvedimenti disciplinari, ma l’apparente a-bulia e l’isolamento del ragazzo parevano invincibili.

“F orse è ammalato” aveva pensato Cristiano “… avesse almeno il telefono” .

La scheda d’iscrizione, che si era premurato di andare a con-trollare in segreteria, non riportava recapiti telefonici alternativi.

F u così che, su sua richiesta, a metà del mese ci fu una breve riunione a q uattro in presidenza.

- Q ualcuno dovrebbe fare q ualcosa - disse a un certo punto il professor Sorgali, di Lettere, un siciliano di grande mole dal fare paterno.

- D alla scheda d’iscrizione si ricava che la famiglia non di-spone di telefono - rilevò la preside T aggia - D omani facciamo te-lefonare alla scuola di provenienza e poi si vedrà .

- Potrei andare a scovarlo io, se nessuno si oppone - propose Cristiano.

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- Più adatto del professore di religione a cercare la pecorella smarrita… - insinuò un collega di laboratorio, membro della con-venticola dei senzadio.

- Il professor Milani si dichiara disponibile a recarsi a casa dell’allievo. U na missione non ufficiale, tengo a precisare. Ci riferirà - concluse sbrigativamente la preside.

In corridoio, Sorgali gli diede una pacca sulla spalla: - Così non ti pagheranno le spese di benzina. Se non ti propo-

nevi tu però … Il giorno dopo, verso le 1 5 : 3 0 , Cristiano si mise in macchina,

alla ricerca di V ia Palù , numero 6 . Sulla statale del Santo la nebbia a banchi impediva di andare ol-

tre i cinq uanta orari. Giunto a Pradese, si fermò al bar centrale per chiedere indica-

zioni. Imbruniva rapidamente. “F ossi partito subito dopo pranzo...” pensò cinq ue minuti do-

po, cercando il cartello di V ia delle Giuncaie. All’incrocio sorvegliato da un capitello illuminato all’interno fermò l’auto, per individuare il santo cui era dedicato.

S ant’ A ntonio, pens aci tu ! stava scritto sopra la nicchia. “Che io trovi la casa… e Michele!” pregò , premettendo i tre

G l oria P atri che la nonna gli aveva insegnato ad offrire, da bambino, davanti alle immagini del Santo.

D opo un chilometro e mezzo di strada bianca, a curve e con q ualche buca di troppo, costeggiando un profondo fossato senza vegetazione ai lati, sulla sinistra si aprì finalmente V ia Palù .

E ra indicata da un vecchio cartello stradale. La ruggine s’era mangiata le due lettere centrali, ma la ù finale, in mezzo a tutta q uella nebbia, informava a sufficienza.

Al numero 6 , una piccola casa colonica. Lì finiva anche la via.

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Parcheggiò e si fermò q ualche istante sull’argine del piccolo ca-nale. T utt’intorno l’odore di fogliame marcito lasciava indovinare la presenza di alberi.

L’aspetto dell’abitazione era cadente, il portone sgangherato, il cemento del cortile rotto in più punti.

D ue cani di piccola taglia presero ad abbaiare furiosamente. U na donna vestita di nero, all’apparenza sulla cinq uantina, gli

andò incontro. Gli occhi sembravano ammalati per un glaucoma. - B uonasera, signora. Sono il professor Milani, del B arbarelli.

Michele è mio studente. - B uonasera, professore. La donna era sorpresa. U na visita del genere non era neanche

lontanamente immaginabile. - È in casa, il ragazzo? Manca ormai da due settimane e alla no-

stra lettera lei non ha risposto. La donna, cercando inutilmente di nascondere una stanchezza

e uno scoramento di lunga data, formulò delle scuse che Cristiano si pentì di aver provocato.

- Michele è l’ultimo di tre che ho allevato da sola. È così perché a tre anni ha visto morire il padre schiacciato dal trattore. Si è ribal-tato dietro casa. D a allora è come se Michele si fosse chiuso in se stesso. È intelligente, sa? È bravo soprattutto in matematica. V ada dentro, professore. È meglio che lei gli parli da solo. N on vuole più venire a scuola.

Cristiano si affacciò al locale, uno stanzone più lungo che largo, con i muri un po’ anneriti, che conteneva una vecchia credenza, una piccola madia, un tavolo scuro e sette o otto sedie impagliate. T ra le due finestre della parete di fondo c’era una cucina economi-ca, con lo sportellino del fornello aperto. Sul fuoco c’era un pentolone.

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D avanti alla fiamma, Michele, nella sua inseparabile giacca a vento nera, stava seduto su una seggiola di paglia dalle gambe sega-te.

D al fornello uscivano crepitii e profumo di resina bruciata. T ra i piedi teneva una grande pigna secca aperta. N on si volse, nemmeno q uando Cristiano si avvicinò per salu-

tarlo. La scarsa luce di una lampadina elettrica gareggiava col balugi-

nare della fiamma sul volto del ragazzo. - Ciao, Michele. - B uonasera, professore. - T i va di parlare q ualche minuto? - Sì . - A scuola i tuoi compagni e i professori si domandano perché

mai non torni. - C’è un problema - rispose Michele, dopo un po’. - V uoi parlarne? Il ragazzo sospirò . Stentando un poco nella sillabazione delle parole, spiegò che

non sarebbe tornato in classe perché si sentiva ignorato dai compa-gni; poi, tornò a fissare la bocca rosseggiante del fornello.

Cristiano stette in silenzio ancora un paio di minuti. - T i propongo di offrire a te stesso un’ultima possibilità . Gli in-

segnanti cercheranno di fare di più per favorire il tuo inserimento nella classe.

Il minestrone prese a bollire, profumando il locale e anneb-biando in pochi istanti i vetri delle finestre.

La madre venne alla porta e chiese a Cristiano se gradiva un bicchiere di vino o un caffè .

- Il vino andrà bene, signora. - Michele, ti propongo di riconsiderare il tuo ruolo nei con-

fronti dei compagni: il tuo banco può restare vuoto oppure puoi

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decidere di riprovare. N on sei più alle medie e hai forse q ualche ragione in più degli altri per diventare a pieno titolo uno studente delle superiori. Se hai fiducia in me, domani verrai a scuola con la giustificazione firmata: ‘ M otiv i pers onal i’ , ci puoi scrivere. T e la con-trofirmerò io.

- V a bene, professore. Cristiano si sentì commuovere e pensò che si sarebbe potuto

agire prima. B evve il suo bicchiere, salutò e ripartì , nel buio denso di nebbia

della sera. Contento di essersi accorto in tempo del problema di Michele,

durante il ritorno cercò d’immaginare cosa sarebbe accaduto se nessuno si fosse dato pena di cercare il numero 6 di V ia Palù : il bisogno di fiducia del ragazzo sarebbe rimasto inespresso.

E ntro la metà del marzo successivo, forse, Michele si sarebbe iscritto in un altro istituto.

Sarebbe stata la scelta giusta? Il B arbarelli era la chance da co-gliere, per lui. N e era sicuro. U n’aggiustatina di tipo disciplinare alla classe e il ragazzo avrebbe stupito tutti nel giro di due anni.

R estava solo da sperare che Michele trovasse il coraggio di mantenere il suo impegno.

Se domani si fosse presentato in aula, Michele avrebbe vinto la sua sfida. N e era convinto.

E così fu. Con l’andare dei mesi la giovane pianta si sollevò da sola verso

il sole. Michele incominciava a guardare di sottecchi il suo interlocuto-

re, ad usare un tono di voce udibile, smettendo poco a poco di tormentarsi le mani e arrivando persino a fare q ualche cenno con l’intero avambraccio.

In matematica era il primo della classe e passava gli esercizi per casa a chi chiedeva aiuto.

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All’inizio del secondo anno scherzava già con le compagne. Alcuni mesi dopo raccontava barzellette, disdegnando q uelle

sporche. Al terzo anno sarebbe stato eletto addirittura rappresentante di

classe. U nico tra gli studenti presenti in sala, avrebbe letto con voce

sicura la sua esperienza umana e scolastica alla ‘ festa dei giovani per la pacÈ organizzata dai docenti di religione delle superiori nel ci-nema teatro locale, davanti agli studenti del triennio degli altri istituti, presenti il vescovo e le autorità cittadine.

Irrobustito nel fisico, curato nel vestire, in Q uarta e in Q uinta era diventato il compagno più divertente della scuola.

I tre picchiatori del primo anno erano diventati suoi amici sin-ceri.

Aveva persino imparato a prendere in giro le ragazze senza far-le troppo arrabbiare.

U n giorno, Cristiano, con un mezzo sorriso, lo dovette persino richiamare al silenzio.

T re anni dopo la sua maturità Cristiano avrebbe ricevuto una sua telefonata. E ra felice: diventato il bibliotecario del suo Comu-ne, voleva ringraziare un’ultima volta il suo professore.

- U n giorno ci incontreremo: sono sicuro che avrai molto da insegnarmi. Sii felice e che D io ti accompagni, Michele.

O sservare da vicino la galassia della sanità avrebbe sicuramente

arricchito il suo insegnamento di nuovi elementi. A settembre, la sua domanda d’insegnare E tica professionale

era stata accolta e aveva affrontato impegnative letture di bioetica, disciplina che stava prendendo piede anche in Italia.

Lo interessavano in particolare le manifestazioni psicologiche del morire umano studiate dalla K ü bler-R oss, i problemi determi-nati dalle sperimentazioni cliniche e i progressi della biotecnologia.

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D avanti al tabellone degli insegnamenti pensò a q uanto stimo-lante sarebbe stato avere per colleghi dei medici, un sociologo, una monitrice, una psicologa e persino dei primari.

Le aule erano nuove e pulitissime: dotate di seggiole e banchi appena usciti dalla fabbrica, disponevano di attrezzature didattiche idonee e apparivano illuminate in modo perfettamente funzionale.

“Le avessimo al B arbarelli, aule del genere… ” non potè far a meno di pensare.

La pedana della cattedra era leggermente più alta di q uelle co-nosciute da Cristiano.

E ntrò nell’aula della Seconda B per la sua prima ora di E tica in un tardo pomeriggio di fine ottobre.

Il programma richiedeva una preparazione delle lezioni molto accurata.

Aborto, eutanasia, vita sessuale e perversioni, paternità e ma-ternità responsabili, fecondazione artificiale, tossicodipendenze e trattamento degli psicotici, sperimentazione clinica, consenso libero e informato del paziente, segreto professionale e comunicazione della verità .

Il tutto in venti ore. D iciassette ragazze e due giovanotti, che apparivano più maturi

dei loro coetanei, lo accolsero con cordialità . D edicò i primi q uindici minuti ad informarsi sulle motivazioni

della loro scelta professionale, messa alla prova da decine di ore di tirocinio nei vari reparti.

Insegnare a studenti tanto motivati era una piacevole novità . Il corso si prospettava agevole come una passeggiata.

Spese la parte restante delle due ore di lezione a introdurre il concetto di persona umana, visto che il collega dell’anno preceden-te non vi aveva fatto cenno.

R icostruì l’arricchimento del concetto partendo da Antonio R osmini e citando poi i francesi Maritain, Mounier e N edoncelle.

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La bellezza e la profondità dei concetti studiati sui libri gli scal-dava di nuovo la mente. Accorgersi della luce che si accendeva negli occhi degli ascoltatori dava gioia al cuore.

I concetti di dignità umana, di trascendenza e libertà comincia-rono ad intrecciarsi nella spiegazione.

Con la memoria Cristiano stava scorrendo rapidamente le pa-gine della sua vecchia dispensa di introduzione all’antropologia filosofica.

Gli ultimi dieci minuti furono dedicati a concordare con gli studenti le modalità di svolgimento delle lezioni successive e delle verifiche.

Suonata la campanella, un’allieva che mascherava la timidezza con una gestualità vivace lo attese fuori della porta e gli si rivolse con aria compita:

- Professore, desidero dirle che sono contenta. R iusciremo fi-nalmente a riflettere con ordine su problemi che il nostro stare in corsia ha reso assillanti a più di q ualcuno tra noi. Mi è piaciuta l’impostazione che ha dato al suo corso parlando della persona umana. T utti abbiamo apprezzato la sua disponibilità a discutere sul metodo da adottare nelle lezioni.

- Spero di riuscire utile alla vostra preparazione. Il vostro è uno dei lavori ad alto contenuto di professionalità del futuro. In Canada se ne sono accorti da tempo. In Italia, anche se siamo come al soli-to un po’ in ritardo, non potrà essere diversamente. Arrivederci, signorina.

Cristiano scese nella saletta degli insegnanti. E ra deserta. R iponendo il registro considerò che, forse, il suo apprendistato

come insegnante cominciava a fornire prove convincenti. U n collega anziano di filosofia, l’anno precedente, gli aveva

pronosticato almeno sette anni di duro lavoro:

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- T anti ne occorrono per diventare un docente degno del nome di insegnante. Ma ne servono almeno dieci per diventarne consa-pevoli.

D ecise di passare dall’ufficio della direttrice per un saluto. Suor Chiara era una donna piccola di statura, luminosa e ac- cogliente nello sguardo e nei modi. Incontrandola la prima volta a Cristiano era parsa perfettamen-

te calata nel ruolo. D opo aver guidato altre scuole, reggeva da tre anni q uella di Castello, con un amore fatto di aggiornamento co-stante e gentilezza.

La religiosa, grata del riguardo usatole dal nuovo insegnante, lo informò della data d’inizio di un corso di bioetica che a-

vrebbe preso il via a novembre, a Padova. - Maria R osa, la monitrice, ed io lo freq uenteremo insieme. Se

lei vorrà essere dei nostri, ne saremo liete. Sono certa che il suo insegnamento ne trarrebbe vantaggio.

“F orse non solo l’insegnamento” pensò Cristiano, uscendo nel buio del vialetto che porta al parcheggio.

T itoli e attestati avevano il loro peso, nella riconferma di un docente di nuova nomina.

Sarebbe stato un impegno in più , ma ci sarebbe stata una van-taggiosa ricaduta sull’esito del futuro concorso a cattedra che si riprometteva di vincere, per diventare docente di F ilosofia o di Let-tere.

La prospettiva era ancora remota, ma era noto che gli anni d’insegnamento nelle scuole per infermieri consentivano di matura-re un punteggio davvero non trascurabile.

T ornò a casa prima delle diciannove e si mise a cenare silenzio-samente.

- C’è q ualcosa che non va? - chiese F loriana. - Sono solo un po’ stanco, mamma. A letto presto, stasera.

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Che la giornata fosse stata faticosa anche per lei, Cristiano po-teva leggerglielo in viso. Ma prevaleva l’orgoglio di madre:

- Allora adesso lavori in due scuole… - B isogna anche guadagnare a una certa età , o no? È cura delle madri accertarsi delle cause del silenzio dei figli. “Chi si cura dei silenzi delle madri?” pensò Cristiano, guardan-

dola sparecchiare. - Lascia fare a me, mamma. Mettiti in poltrona. Lavo io i piatti,

stasera. Mi aiuterà a rilassarmi. Lavare piatti e stoviglie non gli era mai risultato sgradevole, da-

gli undici anni in su. Come cucinare, del resto, anche se mai avrebbe messo mano alla preparazione di un dolce.

Il ricordo della decisione di dare regolarmente il cambio alla mamma nella pulizia delle stoviglie lo faceva ancora sorridere. E n-rico avrebbe preferito andare a svuotare la stalla dal letame, piuttosto che lavar piatti.

D opo il telegiornale, salì in mansarda a cercare un libro che a-veva acq uistato l’ultimo anno delle superiori, fresco di stampa e trasudante dolore: L ettera a u n b amb ino mai nato.

Il titolo di copertina tutto in minuscolo aveva attirato la sua cu-riosità , facendo scomparire dal suo campo di attenzione le centinaia di volumi e volumetti ordinati sugli scaffali e sugli esposi-tori della Caminiana.

L’uso del minuscolo era un espediente tipografico. Sul fronte-spizio tornava la maiuscola.

D opo averlo letto d’un fiato, aveva giudicato pleonastico il nome dell’autrice sulla copertina.

“ M egl io s areb b e s tato riportare in copertina: u na mamma. P arol a ch e d i-cono s ia anch e l ’ u l tima con cu i tanti v ecch i l as ciano q u es to mond o. S e v ed rà l a l u ce, il f igl io s arà u n giorno capace d i intu ire il s ignif icato prof ond o d el l a paro-l a. L ’ amore, o s i f a carne d onata e d onante o res ta d ol oros a inv ocaz ione. ‘M amma’ e ‘amorÈ , parol e contigu e. Dopo l ’ u rl o originario, riv el atore d al

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primo pens iero cons apev ol e partorito d al l a mente u mana, ‘mamma’ è s tata e s arà l a prima d el l e inv ocaz ioni. C os ì av v enne anch e per l ’ u omo-Dio. P er l u i l ’ u l tima f u : P ad re! , d etta nel l a l ingu a d el l a mad re ” .

Q ueste parole le aveva scritte a matita sul retto del rispetto, a caratteri piccoli, insieme alla data in cui aveva concluso la lettura: l’ 8 dicembre 1 9 7 5 , lunedì .

R ilesse il P roces s o pensando agli aborti che venivano effettuati ogni anno, anche nell’ospedale cittadino.

‘ M aria, G es ù , G iu s eppe. P erch é G iu s eppe? S ta cos ì b ene M aria col s u o b amb ino e b as ta. L ’ u nica cos a accettab il e, nel l a l eggend a, è proprio q u el l oro rapporto a d u e: l a merav igl ios a b u gia d i u n u ov o ch e s i riempie per partenoge-nes i. C h e ci f a al l ’ improv v is o G iu s eppe? A ch i s erv e? T ira l ’ as ino ch e non v u ol camminare? T agl ia il cord one omb el ical e e s i accerta ch e l a pl acenta s ia u s cita intera? O ppu re s al v a l a repu taz ione d el l a s creanz ata ch e rimane incinta s enz a marito? A mmenoch é non l a s egu a come u n d omes tico per f ars i perd onare l a col pa d ’ av erl e ch ies to d i ab ortire [ ...] A v rei v ol u to d irgl i:

- V attene v ia, per f av ore. N on ab b iamo b is ogno né d i te, né d i G iu s eppe, né d el S ignore I d d io. N on ci s erv e u n pad re, non ci s erv e u n marito, tu s ei d i troppo -. M a non potev o’ .

“ V attene v ia... È comprensibile” pensò “dopo q uel terribile: ‘ L a d onna ch e tu mi h ai pos ta accanto mi h a d ato d el l ’ al b ero e io ne h o mangia-to’...” .

Prese in mano il manuale di bioetica e lo aprì al capitolo nono, dedicato all’aborto.

C A P I T O L O Q U I N DI C I Appoggiato al davanzale di camera sua, era semplicemente stu-

pendo respirare l’aria del mattino. N ovembre volgeva alla fine. Il freddo era mite, il cielo terso. D al giallo spento e terragno del campo, tra le foglie secche del

granoturco, giungeva il rumore secco e lieve del frullare di decine di ali.

La piccola foresta sembrò per un attimo pulsare dei battiti ra-pidissimi di tanti piccoli cuori di passero. Levata l’ancora di migliaia di radici, pareva stesse per staccarsi dal suolo e sollevarsi in volo con gli uccelli.

“E se la donna scoperta in flagrante adulterio fosse invece stata accusata di aborto? Come le si sarebbe rivolto Gesù , una volta bat-tuti in ritirata gli accusatori?” .

F orse avrebbe potuto cominciare così la lezione sull’aborto procurato, in Q uinta A.

D ecise che avrebbe fatto ricorso alla forza delle immagini e mi-se in borsa due videocassette che non avrebbe mai voluto rivedere: T h e s il ent s cream, realizzata in Inghilterra, e Dire d i s ì al l a v ita. Q uest’ultima, strumento didattico di origine americana, era diffusa da una centro veneto specializzato in audiovisivi.

All’inizio di ottobre aveva firmato la richiesta di acq uisto di alcune videocassette per l’insegnamento della religione. D opo un mese erano arrivate e gli erano state consegnate in segreteria.

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T ra q ueste, q uella intitolata ‘ Dire d i s ì al l a v ita’ avrebbe dovuto sostituire, per i non maggiorenni, la videoregistrazione inglese che tanto clamore aveva suscitato in E uropa.

Il filmato era il risultato di un montaggio che lasciava a desi-derare e di una sceneggiatura decisamente pedante. U na famigliola della media borghesia si scopre a vivere il dramma della figlia ado-lescente rimasta incinta di un compagno di scuola. Q uesti, dopo aver proposto alla ragazza di raccogliere i dollari necessari ad abor-tire in segreto, si defila al momento del bisogno con il solito: «Mi dispiace». D opo la spiegazione del medico di famiglia sulle fasi del-lo sviluppo del feto, le delucidazioni sui vari tipi di aborto sono accompagnate da foto didascaliche in rapida successione e da una seq uenza filmata di un aborto mediante aspirazione che provoca un certo disgusto. F iction o realtà , filtrata nei suoi aspetti più truculen-ti? Il dubbio resta. La storia si conclude con un lieto fine.

L ’ u rl o s il enz ios o gliel’aveva fornita, invece, un infermiere suo a-mico, che confidava probabilmente di fare, tramite il giovane e ardimentoso insegnante di religione, un servizio alla verità .

D opo averla visionata, Cristiano era rimasto nell’incertezza: farla o non farla vedere ai maggiorenni?

L’autorizzazione agli allievi firmata dai genitori l’avrebbe messo al riparo da ogni fastidio, ma l’idea gli venne in mente all’ultimo momento.

Q uella mattina, facendo affidamento sulla maggiore età del no-vanta per cento della classe, iniziò avvisando che chi non se la sentiva di reggere alla violenza delle immagini poteva uscire dall’aula video.

N aturalmente nessuno si mosse dal posto. D opo una brevissima introduzione chiese lo spegnimento delle

luci e spinse il tasto di avvio del videoregistratore. Al momento cruciale del terribile filmato si scoprì in debito

d’ossigeno.

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Avrebbe voluto uscire all’aria aperta, ma la situazione non lo permetteva.

Al termine del filmato, studenti e studentesse, tutti restarono in silenzio. Le luci si riaccesero e Cristiano, a fatica, prese a commen-tare.

- La macchina da presa ha inq uadrato le scene di N ov e s ettimane e mez z o ; la macchina da presa ha fissato su pellicola le seq uenze da ecografia dell’ U rl o s il enz ios o. N el primo caso, lo dico per chi come me il film non l’ha visto, il gioco della seduzione interpretato dall’attrice K im B asinger finisce tristemente. D alle recensioni, il film termina con l’amarezza della donna che si ribella all’umiliazione subita nella sua dignità di essere umano. È chiaro che neanche la dignità del maschio ne esce intatta. Ma pare essere la donna la vera protagonista del film. N el filmato che abbiamo visto, invece, la protagonista sembra essere addirittura assente. T ut-to ruota intorno alla prima e ultima dimora del feto che, dapprima serenamente ignaro, poi disperatamente reattivo, viene seguito dall’ecografo nei suoi movimenti, colto nel pulsare rapido del pic-colo cuore al presentimento fisico della distruzione imminente. Q uale possibilità ha avuto il bambino di ribellarsi? Chi rivendica la sua dignità ? Avete mai visto la foto di un bambino di nove setti-mane e mezzo? A me q uel titolo, l’avete capito, fa pensare al feto che di settimana in settimana cresce nell’utero materno. «D al mo-mento del concepimento sono ormai trascorsi q uasi due mesi e mezzo» ( leggo da q uesto libro, ‘ L a v ita prima d i nas cerÈ , edizioni Pa-oline, foto di Lennart N ilsson) . E cco com’è a q uesto stadio. V edete?

- H a le manine… e i piedini! E q uello... -. Cristina si fermò , intenerita dalla scoperta. - Sì , è il pistolino o pisellino che dir si voglia, detto anche pene,

per chi non capisce le metafore - completò Cristiano, con un mez-zo sorriso.

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- Leggo: «Il feto è ora ben impiantato. La placenta si è assunta il compito di produrre tutti gli ormoni necessari all’utero perché conservi il bambino. Il corpo luteo ha concluso il suo compito: d’ora in avanti, il feto se la caverà per proprio conto». Avrete già visto, credo, fotografie come q uesta.

- N o, professore - rispose Anna, passando il libro a F ranco che le stava q uasi addosso.

- Anche i libri di scuola possono rivelare o nascondere. Ma an-diamo avanti. Senza entrare nel merito degli obiettivi che la diffusione di q uesta videoregistrazione dovrebbe consentire di rag-giungere, permettetemi di far notare come l’ago che, ad un certo punto, si vede entrare da destra, evochi terribilmente il pungiglione della morte citato nel libro dell’ A pocal is s e. N on uccide solo il bam-bino. U ccide il cuore della donna, inteso come sede degli affetti. Penetra mortale nel cuore dell’umanità . N elle prossime lezioni cer-cheremo di riflettere su tale dramma. Parleremo anche del ruolo del maschio, partendo proprio dalla legge 1 9 4 , denominata ‘ N orme per l a tu tel a s ocial e d el l a maternità e s u l l ’ interru z ione v ol ontaria d el l a grav id anz a’ . Per ora, faccio notare soltanto l’eufemismo rappresentato dall’espressione ‘ interruzione volontaria’, nel titolo della legge. Se una cosa si interrompe, che so, un collegamento televisivo, l’energia elettrica nel circuito di casa, un discorso tra padre e figlio, una relazione tra fidanzati, una partita di calcio, sussiste ancora la ragionevole speranza che possa essere riattivato, ripreso, riallaccia-to. Altrimenti, diremmo ‘ finito’, ‘ chiuso’, ‘ terminato’. Il vescovo emerito di Padova, q ualche anno fa, ha avuto l’ardire di chiamare la cosa col suo nome. Lo si sappia o no, lo si capisca o meno, do-vremmo dire: ‘ assassinato’. M u rd ered , in inglese. Mi pare che per q uesto si sia beccato una denuncia, firmata da un esponente politi-co di un partito che non nomino. Al tribunale di D io, stando a q uanto dice la B ibbia, si presenteranno entrambi. Più precisamente: ci presenteremo tutti, vero? Q uali panni preferiremmo aver vestito,

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in vita? Q uelli del vescovo o q uelli dell’esponente politico? È o non è assassinio? E siste una responsabilità collettiva nei confronti di tale tristissimo evento, che perpetua la strage degli innocenti da sempre in atto nel mondo? Accogliamo pure la parola ‘ interruzio-nÈ . E ssa deriva da ‘ inter ru mpo’ , latino, che significa ‘ rompo q ualcosa tra’. N otate come nemmeno gli eufemismi riescano a far sprofondare la verità nel lago nero dell’oblio. È il rapporto tra ma-dre e figlio, tra figlio e madre, tra padre, madre e figlio che viene rotto dalla decisione di procurare la morte del feto. E la parola ‘ madrÈ viene deformata, alterata, violentata nella sua genetica filo-logica, nella sua semantica originaria e originante. U n’ultima cosa: nel filmato, l’ecografo e la telecamera non possono riprendere un personaggio che, come si dice in analisi letteraria, svolge funzione di ‘ aiutantÈ . Chi mi sa dire di chi si tratta?

I ragazzi avevano tutti una medesima espressione sul volto, le menti trapassate dalle domande.

Antonia si riprese per prima: - Il medico. - L’infermiera che assiste o il medico. O ppure il ginecologo che

fa l’ecografia - puntualizzò Cristina, con minor sicurezza. - D io, signori! - corresse Cristiano. - Con l’immaginazione non è difficile vedere la mano invisibile

che, a forma di culla, cerca di sostenere il piccolino nella sua lotta impari contro la tecnica mortifera che porrà fine ai suoi giorni pri-ma che siano incominciati. D ice la B ibbia: ‘ Se anche tua madre ti abbandonasse, io non mi dimenticherò mai di tÈ . La discussione è aperta.

Sul monitor la solita tempesta di righe e puntini luminosi in-formava da q ualche minuto che la coda di nastro vuota era ancora lunga.

Cristiano spense il televisore.

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- Perché la mano di D io non si è messa tra il feto e l’ago? Per-ché D io non interviene? F orse non c’è alcun D io o, se c’è , come troviamo scritto nel Salmo 4 3 , s’è addormentato? Che ne pensate?

- N on scaricherei su D io la responsabilità di un gesto che è so-lo della donna e di chi la fa abortire.

E dy aveva deciso di intervenire. - E poi non risolve il problema. Lei ci ha già parlato della liber-

tà di cui l’uomo dispone e che gli consente di decidere del suo destino. La cosa grave è che q ui q ualcuno decide del destino di un altro e per me q uesto non è giusto.

- Ma è giusto che la donna si trovi condannata a far nascere un bambino con gravissimi problemi di salute o un bambino che do-vrà vivere di carità , perché lei è sola, magari senza lavoro?

Giulia aveva già deciso chi difendere. La lezione si scaldò notevolmente q uando Giovanni dichiarò

che consentire l’aborto è come accordare una licenza temporanea di uccidere.

Saltarono fuori il caso dell’aborto terapeutico e la gravidanza della ragazza violentata, il concepimento da parte della minorata psichica e l’accertata grave malformazione del feto.

Cristiano faticò non poco a riportare il discorso nel seminato, promettendo che sui vari aspetti del problema avrebbe portato co-pia dei materiali che andavano raccogliendo gli studenti della scuola per infermieri.

Suonò la campanella. D alla porta lasciata aperta dal bidello por-tatore di messaggi entrò di slancio Marica, una delle rappresentanti di classe della 1 C, seguita da due compagne.

- Professore, possiamo trasferirci q ui in aula video? Ci hanno appena informato che abbiamo supplenza con lei.

- Per me va bene. Ma non ci sono videocassette da vedere - ri-spose Cristiano.

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- A noi andrebbe bene anche q uella che stava facendo vedere a q uelli di Q uinta. D i cosa tratta?

- D ell’aborto. N on sono cose da trattare in Prima - rispose Cri-stiano un po’ bruscamente, mentre gli ultimi di Q uinta uscivano dall’aula.

- Il professore di Scienze ci ha già parlato dei vari tipi di aborto, dopo le lezioni sulla fecondazione umana. N iente ci può sorpren-dere, professore - replicò insistente la saputella.

- V enite pure. Ma vi avverto: chi non se la sente, se ne sta buo-no in corridoio. Comunq ue, salteremo le scene più crude.

R imasto solo, prima che entrassero i ragazzini di Prima Cri-stiano tolse la videocassetta inglese e introdusse nel videoregistra-tore q uella americana.

“H o detto una bugia, ma nessuno se ne accorgerà ” pensò . Q ualche giorno dopo, durante la riunione del collegio dei do-

centi, Cristiano imparò a sue spese q uanto possa costare camminare sul filo del rasoio, a scuola.

N on erano passati venti minuti dall’inizio che un collega di D i-segno professionale, il prof. D avanzo, chiese la parola.

- V orrei chiedere alla preside se è lecito che in q uesta scuola si portino ragazzini di Prima in aula video a vedere videocassette hard di chissà q uale provenienza, ottenendo il risultato di provocare uno shock a bambine di appena q uattordici anni.

All’ordine del giorno della riunione, come è d’uso, le ‘ V arie ed eventuali’ stavano alla fine.

Il secondo argomento tornava in discussione per il settimo an-no consecutivo: «Iniziative da adottare per la costruzione della nuova sede dell’istituto».

Cristiano era seduto in fondo all’unica aula in grado di conte-nere, stipati come sardine, i cinq uantaq uattro docenti del B arbarelli.

Sentì aumentare la pulsazione alla carotide e la respirazione si fece nervosamente diaframmatica.

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E videntemente, tagliare la seq uenza delle immagini più violente non era bastato.

La preside fingeva di guardare le sue carte. D avanzo, visto che nessuno gli toglieva la parola, continuò a

parlare, lisciandosi la barbetta rossastra che gli modellava il viso da sessantottino di lunga navigazione.

- Mi riferisco al prof. Milani, che invece di contentarsi d’insegnare storia delle religioni, ha provocato la settimana scorsa violente emozioni in alcune studentesse con una vi-deocassetta sull’aborto, impipandosene, tra l’altro, del responso della maggio-ranza degli italiani, che si sono espressi a favore dell’interruzione volontaria della gravidanza.

Alcuni docenti mostravano stupore, altri incertezza. Parecchi guardavano alternativamente il giovane collega di religione e la pre-side, incuriositi.

U n silenzio da disagio diffuso riempì per q ualche istante gli spazi ristretti tra persona e persona.

Prese poi la parola la professoressa Z andeghini, una delle inse-gnanti di italiano.

L’espressione del volto ed il tono di voce dissolsero il velo di simpatia che aveva ispirato a Cristiano dal suo arrivo nella scuola a settembre:

- Anch’io ho avuto notizia da alcune ragazzine del bel lavoro di sperimentazione avviato in 1 C dal collega di religione. Chiedo che si verifichi la proprietà della cassetta vista dai ragazzi; che si verifi-chi se per essa è stato chiesto alla presidenza il permesso di farla entrare a scuola e che si prendano i giusti provvedimenti disciplina-ri nei confronti di Milani. N aturalmente, mi riservo di contattare le famiglie per un’eventuale denuncia.

Sul C orriere q ualche settimana prima era apparsa la notizia che a Milano un docente di religione era stato denunciato per aver fatto

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vedere in classe T h e s il ent s cream a dei minorenni e senza autorizza-zione.

Solo il buon D e Piacentini, oltre a Cristiano, pareva non sapere che il fatto era circolato velocemente tra i docenti della scuola. Il collega più vicino gli sintetizzò q ualcosa all’orecchio. Piacentini diede la solita sorridente scrollatina di spalle, come a dire: - Ma che ve ne importa?.

La preside era stata chiamata in causa. - Cosa ha da dire in proposito, prof. Milani? Cristiano sentiva la bocca impastata. Cercò di deglutire due vol-

te saliva che le ghiandole pareva non volessero più fornire. - Mi appello alla libertà d’insegnamento, signora preside - ri-

spose d’un fiato. R itrovata in pochi attimi la lucidità , continuò : - N on ritengo giusto che q ualcuno imbastisca un processo a

mio carico in sede di collegio dei docenti. La cassetta è stata da me richiesta e regolarmente acq uistata con l’autorizzazione del Consi-glio d’istituto. Se q ualcuno osasse mettere in dubbio la mia correttezza o q uella degli uffici di segreteria, sappia che sarò io a denunciarlo per diffamazione.

La tentazione di voler essere da un’altra parte, per un istante, fu lì lì per sopraffarlo.

R esistette e non poté non notare un moto di sorpresa e di di-sappunto sui volti di D avanzo, Z andeghini e Conti, seduti l’uno accanto all’altro, vicino alla porta.

- Si chiami la segretaria e si verifichi immediatamente se la cas-setta è stata acq uistata dalla scuola – ordinò la preside.

- In verità , - riprese con un po’ d’imbarazzo - in presidenza so-no arrivate delle cassette di recente acq uisto. E rano in contenitori di plastica del tutto simili a copertine di grossi volumi. D evo averle scambiate per libri e le ho passate in segreteria senza badarci.

L’aria, ora, era decisamente tesa.

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Chiamata da D avanzo, la segretaria entrò col librone degli ac-q uisti, costringendo più di uno a stringersi al collega vicino.

Sfogliate con la preside le ultime pagine, e attestato che q uanto detto da Milani corrispondeva al vero, uscì , con la stessa fretta con la q uale era entrata.

Il prof. N ovato, un cinq uantenne che andava fiero della sua mi-litanza politica in un partito di sinistra, si accostò un poco a Cristiano e con un sorriso sdrammatizzante sussurrò :

- N on avrei mai detto che ci avresti messi tutti nel sacco... E ra membro del Consiglio d’istituto. Ad ottobre, in riunione già da due ore, i membri dell’organismo

direttivo della scuola avevano preso frettolosamente in esame, per ultime, le proposte di acq uisto di libri, riviste e videocassette di sto-ria dell’arte, per una cifra complessiva abbastanza modesta.

Q uelle di religione erano andate a finire nel mazzo e tutto era stato autorizzato all’unanimità .

Cristiano abbassò la testa. - Mi credi se ti dico che non è stata mia intenzione trarre in in-

ganno nessuno? N ovato lo guardò con occhi paterni: - T i credo, ti credo. V oi del V aticano, però ... La preside era nervosa. I docenti cominciavano a commentare

con toni di voce tra il divertito, l’annoiato e l’irritato. - Le videocassette di religione acq uistate dalla scuola mi ver-

ranno consegnate domani mattina e resteranno chiuse a chiave negli armadi della presidenza.

Si passò al punto successivo dell’ordine del giorno. F u così che Abramo, Mosè , D avide e i Profeti finirono sotto-

chiave, insieme alla cassetta incriminata. Passata la tempesta in collegio docenti e riportati in porto intat-

ti alberi e vele, per Cristiano restava in piedi il problema dei rapporti con D avanzo e gli altri.

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Persino q ualche collega cattolico pareva un po’ in imbarazzato a farsi notare in corridoio o in sala insegnanti insieme all’ormai no-tissimo collega di religione.

D ocente di D isegno professionale, il prof. D avanzo era ammi-rato da molti studenti per l’estrosità del suo carattere e del suo modo di vestire, oltre che per la sua competenza.

T rentottenne, scapolo impenitente, si dilettava d’antiq uariato e di storia dell’arte applicata.

Gli intarsi delle certosine tardorinascimentali, le volute degli scranni lignei dei cori controriformistici, i canterani d’alta ebaniste-ria fiamminga del X V III secolo facevano brillare i suoi occhi solo a menzionarli.

I maligni sussurravano che tale interesse altro non fosse che un distillato di venalità .

Anche a Cristiano era capitato, aggiornando i registri in sala in-segnanti o prendendo un caffè al bar di fronte alla scuola, di sentirlo parlare di una scoperta recente o dell’ultimo affare che sta-va per concludere.

E rano, in genere, rapidi accenni a trattative privatissime, fatti col cigarillo tra le labbra e l’aria soddisfatta, nell’intento di trarre da ciò divertimento aggiunto.

E ra uno dei q uattro giacobini che non mancavano di palleg-giarsi battutine ironiche all’indirizzo della gerarchia cattolica, q uasi ad ogni riunione del collegio.

Il più anziano di q uesti, il professor B aù , durante la riunione di settembre si era stizzito per l’improvvisa cascata di rintocchi festosi che il campanile sovrastante il tetto della sede centrale aveva rove-sciato nell’aula.

Si discuteva di attività ex tracurricolari e la professoressa Z an-deghini, la seconda del gruppetto radical-giacobino, sottoponeva con convinzione al collegio la necessità di attivare un corso di edu-cazione sessuale rivolto agli studenti di tutte le classi, allo scopo di

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informare per tempo i ragazzi sui metodi di contraccezione. E ra una femminista convinta, d’intelligenza superiore alla media.

Calato il numero e l’intensità dei rintocchi, B aù aveva preso la parola, attaccando l’oscurantismo della posizione della Chiesa in materia e la presenza dei docenti di religione nella scuola di stato.

N on erano state le campane ad infastidirlo. O ccasioni del genere rendevano invincibile il suo bisogno di

dare la stura ad un residuo ancora fermentante di anticlericalismo ideologico assimilato in gioventù .

Q uale altra spiegazione potevano avere l’alterazione del tono di voce e dei tratti del viso, prima pallido, poi verde e infine paonaz-zo, e la v is polemica profusa con incredibile dispendio d’energia, ma degna di ben altra causa?

Senza che se ne potesse percepire il collegamento, aveva con-cluso il suo intervento suggerendo al collega teologo di cambiare lavoro.

Al B arbarelli l’ora di religione si poteva tranq uillamente so- stituire con altre iniziative culturali e nessuno avrebbe perso nulla. - Sei giovane - aveva sentenziato infine con tono tra il paterna-

listico e l’ironico -: sei ancora in tempo per farti una nuova professione.

Serrando nella mano destra sotto il banco il tubo di ferro gri-gio-azzurro del telaio, per controllare la tensione, Cristiano aveva risposto:

- Mi permetto di ricordare ai presenti che all’ultimo congresso internazionale di psichiatria tenutosi pochi giorni fa a Milano è sta-to ampiamente riconosciuto che il rigore della Chiesa in materia di sesso, lungo i secoli, ha contribuito a preservare il desiderio sessua-le dal calo preoccupante che affligge, ai nostri giorni, i maschi delle moderne società . Inoltre, consiglierei al collega di badare al fegato: la foga può sconfinare nell’ira e l’ira è uno dei vizi capitali. Q ui den-

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tro non ci sono avversari. La Chiesa continuerà a proporre la sua dottrina per chissà q uanti secoli ancora. Per q uanto riguarda il sug-gerimento di cambiare lavoro, garantisco al collega che l’attuale mi dà notevoli soddisfazioni e che non sono pronto ancora ad abban-donarlo.

B aù , stranamente, non aveva replicato. Il collerico collega era, insieme alla consorte, uno degli inse- gnanti fondatori del B arbarelli. D urante il primo collegio docenti dell’anno con fare da decano

aveva preso la parola e, in maniera non proprio velata, aveva am-monito preventivamente i colleghi nuovi arrivati a stare nei ranghi e a rispettare le precedenze.

U n collega di D iritto, molto giovane e più coraggioso degli al-tri, aveva reagito chiedendo in modo urbano maggior ri-spetto: perché non promuovere l’applicazione del principio della rotazione nell’assegnazione ai docenti delle cosiddette aule tecniche?

L’eq uo ed imparziale trattamento nella disposizione delle ore d’insegnamento nell’orario scolastico e nell’assegnazione del giorno libero era solo oggetto di speranza, al B arbarelli, come era stato detto a q ualcuno?

La preside, lanciata un’occhiata ammonitrice, aveva lasciato continuare.

B aù invece gli aveva dato sulla voce, esplosivo: - Se sei arrivato ad insegnare al B arbarelli è per merito di q uat-

tro colleghi q ui presenti che da anni stanno lottando per difendere e far progredire la scuola insieme agli studenti. N egli ultimi anni molti colleghi di passaggio hanno dato il loro contributo e ultima-mente si sono aggiunti i genitori. F a’ il tuo lavoro e datti da fare anche tu per ottenere il nuovo edificio di cui c’è bisogno.

D ue dei tre veterani menzionati da B aù , il prof. V andini e il prof. Giannoni, erano persino usciti in corridoio scuotendo la testa.

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Alle intemperanze del collega, si era aggiunta la Maretto, di Storia dell’arte, che non aveva trovato di meglio che inviare cenni e sorrisi beffardi all’indirizzo dell’ultimo arrivato, restando però fuori dal suo campo visuale.

U na replica sdegnata avrebbe rischiato di offrire a B aù il prete-sto per sciogliere dalla catena tutta la violenza verbale di cui era capace.

Per fortuna la cosa si era spenta lì . La sera del tentato processo in collegio docenti, nel silenzio

della sua stanza Cristiano aveva deciso che avrebbe continuato a salutare gli avversari, come sempre.

Che B aù , la Maretto e gli altri lo volessero intendere o meno, lui non avrebbe smesso di tentarle tutte per farsi accettare come collega anche da loro.

Q ualche giorno dopo, Conti, di Progettazione, in sala inse-gnanti aveva osservato che al B arbarelli c’erano anche altri cattolici, ma che nessuno aveva messo a rumore classi e famiglie come aveva fatto Milani. Si desse una calmata!

Senza accorgersene, la sirena attestava inconsapevolmente che l’insegnamento di Cristiano non era acq ua versata sul marmo.

Q uante altre stoccate avrebbe dovuto sopportare, restando al B arbarelli?

La sua permanenza si profilava lunga e ormai gli era chiaro il motivo per cui la Curia lo aveva scelto per q uell’incarico.

D opo il secondo anno, in genere, la nomina veniva confermata automaticamente.

Chiedere il trasferimento avrebbe avuto il sapore della ritirata. Si fosse pure trattato di dieci anni, dentro di sé sapeva che a-

vrebbe continuato a combattere.

C A P I T O L O S E DI C I E rano passati sette giorni, ma la tensione nervosa accumulata

non accennava a scemare. Le vacanze di N atale, ormai prossime, gli parevano una libe- razione. U na nuotata, inframmezzata da una ventina di minuti di sauna,

l’avrebbe aiutato a smaltire la negatività che si sentiva addosso. Lo scuotimento muscolare provocato dalla doccia fredda dopo

il bagno di sudore della sauna e il solcare lentamente l’acq ua della piscina q uasi deserta ottennero presto l’effetto desiderato.

L’inverno precedente aveva sperimentato per la prima volta le benefiche acq ue termali di Abano.

A un certo punto, dal ritaglio di cielo nero aperto tra i pini marittimi illuminati dalla luce azzurrata dei fari da giardino, erano caduti sul suo capo, e su q uello dei pochi bagnanti teutonici, come lui in placido ammollo, fiocchi di neve inatte- sa. Per q ualche istante, gli era parso di sperimentare una spe cie d’immersione purificatrice nel grembo della natura. La piscina comunale non offriva lo stesso comfort, ma il ricor-

do era ugualmente benefico. U scì dalla vasca alle ventuno in punto. Alle trentacinq ue era davanti alla casa di D onatella. - H ai gli occhi arrossati - disse D onatella, baciandolo sulla

guancia.

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Clara orlava una tovaglietta di cotone a scacchi rossi e gialli, se-duta in poltrona.

La luce calda del grande abat-j our sul ripiano a scomparsa della macchina da cucire le illuminava il viso, le spalle e le mani.

- Sono stato in piscina - rispose Cristiano, guardando un invisi-bile punto mediano tra D onatella e la madre.

- U na telefonata e sarei venuta con te volentieri. Gli occhi di Clara si alzarono a rimproverare benevolmente la

figlia, ritornando l’istante successivo sul lavoro. - Avevo bisogno di stare solo - rispose Cristiano, con un ac-

cenno di sbadiglio. D onatella mise in tavola un vassoio rotondo di legno che sul

bordo recava la scritta: M y k itch en is cl ean enou gh to b e h eal th y and d irty enou gh to b e h appy !

Su un piattino, al centro di un vassoio di metallo, c’era una porzione di dolce.

Ci furono alcuni attimi di silenzio, in cui il tempo parve su- bire il rallentamento di durata di un sogno ad occhi aperti. L’invito ad assaggiare lo richiamò al presente. - T orta di mele, il mio dolce preferito. - L’ho fatto con la consulenza della mamma. Prendi una tazza

di tè ? - Sarò l’uomo più soddisfatto della terra, q uesta sera. La torta di

mele ha l’effetto di riconciliarmi col mondo. La porzione era abbondante, dorata, sovrastata da una crestina

di mela a mezzaluna che invitava al morso. La salivazione in bocca si fece abbondante e dovette deglutire. Arrivò presto in tavola anche il tè , in tazze di porcellana di N o-

ve. La sua recava l’immagine della regina nera. D onatella portò alle

labbra il suo re. A Clara toccò la torre.

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La bevanda era scortata da fettine di limone poste su un piatti-no con l’effigie del fante e da zucchero di canna in una zuccheriera candida a forma di carrozza con tanto di palafrenieri.

La luce elettrica sopra la tavola disegnava ghirigori di luce sulla superficie del liq uido fumante.

Cristiano sorseggiò lentamente, assorto nei suoi pensieri, gu-stando l’ospitalità famigliare della casa.

B evve una seconda tazza, ascoltando le due donne conversare di ricamo.

D alla stufa in ceramica chiara giunse il crepitare di un pezzo di legno che riprendeva ad ardere.

Si sedette sul divano accanto a D onatella e per un q uarto d’ora godette del tepore del suo fianco.

Scambiata con Clara q ualche battuta sulle esperienze scola-stiche di V alentina, alle dieci e un q uarto si alzò per tornare a casa.

Papà Guido rientrava in q uel momento dal lavoro. Cristiano baciò D onatella sulla fronte e augurò la buonanotte. Parcheggiata l’auto nella rimessa, Guido aveva acceso l’ultima

sigaretta della giornata. Cristiano lo trovò sotto il poggiolo, a luce spenta, e lo salutò .

I due, stanchi di diversa stanchezza, stettero per un po’ in si-lenzio.

Cristiano poi buttò lì una notizia q ualunq ue. - R iusciranno i democristiani locali a mettersi d’accordo? Si di-

ce che in vista delle elezioni stiano tentando di fare un direttivo unitario.

Che strano effetto facevano q uelle parole nel freddo odoroso di nebbia della notte dicembrina.

- H o letto il giornale - rispose l’uomo - Se va avanti così , dello scudo crociato resterà l’ombra del contorno, sui muri delle sedi. So che tuo padre è stato un degasperiano convinto. Io sono stato so-cialista, ma non della linea di Saragat.

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- Il socialismo degli Anni Sessanta era un’altra cosa. Mi sbaglie-rò , ma per me l’alleanza con Crax i è la crepa nella diga, l’inizio della fine della D C - azzardò Cristiano.

Q uando Guido spense la sigaretta nella sabbia del vaso posto sul davanzale, Cristiano lo salutò e fece per uscire sul marciapiede. L’uomo lo fermò , toccandogli con la mano l’avambraccio.

- D a q uel che sento, tu e D onatella fate sul serio. La sua voce era calma. - R ingrazio D io per avermela fatta incontrare. O ra che c’è lei

nella mia vita so perché il sole sorge, al mattino. Cristiano attraversò con lo sguardo il muro che li separava da

D onatella e Clara. - B uonanotte, Cristiano. Porta un saluto ad Angelo - disse

Guido, spingendo l’uscio. Cristiano sentì che la casa che si lasciava alle spalle gli era di-

ventata cara q uanto la sua. Il mattino seguente, dopo colazione, andò per i campi a re- spirare l’aria del mattino. E ra il suo giorno libero. Il freddo era corroborante. F atti circa cento passi lungo l’ultimo filare piantato dal nonno,

scoprì ciò che cercava: seminascosto dalle foglie accartocciate sul tralcio, un racimolo d’uva bianca, dimenticato al momento della vendemmia.

D al primo acino che gli venne tra il pollice e l’indice tolse deli-catamente il velo opaco che ne offuscava lo splendore ed esso, alla luce smarrita del sole invernale, mostrò tutto il suo intatto turgore. E ra ancora più dolce degli acini gustati durante la raccolta, q uasi che la luce ricevuta in sovrappiù ne avesse aumentato la sostanza.

D alla ferita di un tralcio potato da poco una gemma d’acq ua, colpita da un raggio di sole, attirò la sua attenzione. O sservata da

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vicino mostrava riflesso il disco solare, salito ormai di venti gradi sopra la linea dell’orizzonte.

In punta di labbra, sorbì la goccia. Alla lingua rivelò un accen-no di zuccherino.

Pensò : “Linfa e rugiada, probabilmente… Anche le viti pian-gono, almeno una volta all’anno” .

Al ritorno dalle vacanze il banco di E manuele era vuoto, come

la settimana prima di N atale. Cristiano chiese notizie ai ragazzi di 3 D . - N on ha saputo, professore? V aleria, una ragazzina esile, occhi verdi e testolina bionda mo-

dellata col gel aveva parlato con aria preoccupata. - Cosa? Cristiano attese di ascoltare la notizia peggiore. A E manuele era stato diagnosticato un tumore al polmone e si

stava sottoponendo da due settimane alle prime cure in una clinica di Genova.

Aveva un bel viso rotondo, capelli neri, q uasi crespi e l’aspetto tranq uillo di un maggiorenne.

Chissà perché q uel piccoletto non amava correre per i corridoi, si era chiesto l’anno scolastico precedente Cristiano, notandone la laconicità .

Giocava a bask et in una sq uadra parrocchiale, senza complessi per la sua statura. Leggeva romanzi d’avventura, suonava la chitarra e collezionava francobolli.

A scuola non aveva mai avuto problemi. D el suo stare al banco, col berrettino di lana nera a coprire la

testa rimasta nuda, Cristiano avrebbe ricordato per sempre lo sguardo terribilmente consapevole, un po’ triste ma non arreso; come il suo silenzio durante le due ultime ore di lezione.

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I compagni lo stimavano e avevano presto accettato il suo ca-rattere, che non gli permetteva di unirsi al chiasso dei momenti di pausa.

Prestando volentieri le sue cose e ascoltando attentamente chi si voleva raccontare, si era presto guadagnato il loro affetto.

Per andare a scuola prendeva il bus con Alessandro. Il silenzio pensoso dell’uno e l’estroversione di carattere

dell’altro avevano presto reso possibile una vera, forte amicizia. L’anno precedente, Cristiano lo aveva sollecitato a dire il suo

pensiero sulla grande domanda che la morte pone all’intelligenza umana.

Aveva risposto con parole contate. Se vivere è tanto bello, ave-va fatto intendere, è inconcepibile che tutto possa finire nel nulla.

La sua risposta aveva consentito a Cristiano di proporre la let-tura del romanzo di B ach, I l gab b iano J onath an L iv ings tone.

E rano state ore piacevoli e di particolare intensità . A fine febbraio tornò a scuola per q uindici giorni. All’inizio del secondo q uadrimestre Cristiano aveva introdotto

il tema dell’al di là . Come cambiare argomento? Il programma dell’anno era appeso alla parete fin da settembre. U n percorso di riflessione sull’eternità che, partendo dalla bi-

blica scala di Giacobbe, attingendo ai V angeli, passando per i cieli danteschi e le rivelazioni private a mistici e santi, arrivava diretta-mente al centro del Paradiso cristiano.

Q uel mattino di febbraio l’insegnante seguì l’impulso a muo-versi dalla cattedra per andare a fermarsi accanto alla finestra, a due metri dal ragazzo.

- In O riente la morte può essere il supremo esercizio a-scetico, per dare l’assalto alla vetta ultima della perfezione. E in O ccidente?

L’andare incontro consapevolmente alla morte di Socrate e di Gesù , dialogo platonico e V angeli alla mano, occupò q uasi l’intera ora di lezione.

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Al momento del dibattito E manuele chiese la parola: - Io credo che la vita sia un addestramento a staccarsi, a lasciare

cose e persone. La vita è ricerca dell’essenziale. Cristiano era rimasto colpitissimo dalla profondità della rispo-

sta. E ra la pista che intendeva indicare ai ragazzi. N on si avvertiva alcun disagio, in classe. La densità del concet-

to espresso da E manuele era alta; che l’avesse espresso lui, di sua iniziativa, rendeva sacro il momento.

- Molto, molto interessante, E manuele. Che ne dite, ragazzi? Potrebbe essere? Cos’è l’essenziale per un essere umano?

D opo alcuni attimi di silenzio, q ualcuno fece il suo tentativo: - Amare la vita, credo - tentò V aleria. - R ealizzare il progetto di D io su di noi - disse con decisione

E va, animatrice dell’Azione Cattolica R agazzi. Alessandro, non credente confesso ( così amava definirsi) , a-

scoltava con l’aria trasognata di sempre. - E tu, Alessandro? V orremmo sentire il tuo pensiero al riguar-

do. - Professore! Il ragazzo, pronto come sempre, scostò il ciuffo nero che gli

nascondeva l’occhio destro: - Io credo che dobbiamo imparare dagli animali. Parlo degli

animali allo stato brado, gli animali selvaggi. Siamo q ui per vivere q uanto meglio possiamo e per godere come possiamo, più che pos-siamo. Q uando viene la morte, tutto finisce. Si toglie il disturbo e buonanotte. Anzi: si sparisce del tutto, visto che per me c’è solo q uesto mondo.

- Grazie, Alessandro. Speranza zero, ma è pur sempre un pen-siero. Il tuo - commentò sorridendo Cristiano.

La posizione particolare dei T estimoni di Geova sulla mortalità dell’anima toccata dalle ultime parole di Alessandro non avrebbe

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avuto alcun rilievo nella spiegazione, se non fosse stato per i due studenti di altra religione che aveva in classe.

La cosa era piuttosto singolare. N onostante i genitori avessero esercitato anche per il se-condo

anno il diritto all’esonero, a settembre Claudio F ontolan e Giaco-mo Calderaro risultavano presenti in aula.

Sul registro di Cristiano i loro nomi non figuravano. Come d’altronde q uello di Marica Levi, ebrea, sprizzante viva-

cità e gioia di vivere, che aveva scelto di stare in classe di sua iniziativa, pur dichiarandosi non credente.

Col passare delle settimane, rispondendo dapprima con titu-banza, poi sempre più francamente alle domande dirette di Cristiano, i due ragazzi avevano partecipato con discrezione alle lezioni.

- L’anima è mortale, insegnano i T estimoni di Geova. È vero Giacomo? - disse Cristiano.

N on cercava conferma. Semplicemente, era il rispetto per i due ragazzi a imporgli di sentire anche il loro pensiero, nel caso avesse-ro voluto manifestarlo.

Giacomo era il più alto e il più sicuro dei due. F iglio di genitori che avevano apostatato q ualche mese prima della sua nascita, mo-strava solidità di convinzioni e una certa loq uacità .

L’altro lo seguiva in tutto, come un fratello minore. - Sì , professore. Così è . Così noi crediamo. - Se ben ricordo, i T estimoni traducono E zechiele 1 8 , 2 0 così :

«L’anima che pecca essa stessa morrà ». Secondo voi, tutti voi in-tendo, l’anima si riproduce da un’altra anima o è creata da q ualcuno, con tutta la sua unicità ed originalità ?

- È creata da D io - rispose prontamente V aleria. - Q uesto è facile. Passetto avanti. N oi diciamo: «La mia anima

ha detto, la mia anima ha scelto, la mia anima ha fatto q uesto o

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q uello»? O non diciamo, invece: «Io ho detto, io ho deciso, io ho fatto»?

Il sorriso di V aleria fu il segnale che si poteva proseguire. - Se l’anima non fa nulla, ma è il principio razionale che gover-

na il mio essere e che mi rende diverso dalle bestie, nessuna anima umana ha mai fatto un peccato da q uando esistono gli uomini. F a-cendo uso della sua sovrana libertà , è l’uomo che pecca, con la sua volontà , q uindi, e non l’anima. A volte per debolezza, a volte per deliberato consenso, come insegnava il catechismo di Pio X . Ca-somai, l’anima subisce gli effetti del peccato commesso.

Giacomo e Claudio si guardarono con un’espressione di per-plessità .

- L’argomento decisivo potrebbe essere il seguente: D io crea per la vita o per la morte? N el secondo racconto della creazione dell’uomo, libro della Genesi, D io spira nell’uomo un alito di vita, gli dona il suo spirito, e q uesti diviene un essere vivente. Poi, col peccato originale compiuto dai progenitori, entra in scena la morte. Al momento della morte, dice in più punti la B ibbia, D io ritira il suo spirito dall’uomo. L’essere un vivente e il non esserlo più sulla terra dal momento successivo alla morte non significa che la natu-ra, la sostanza dell’anima patisca la condizione di mortalità . E ssa appartiene alla dimensione delle realtà spirituali, e ciò che è spiri-tuale non si spezza, non si annichilisce, non finisce in polvere. Perché ciò che è spirituale è anche eterno, non segnato dal tempo, partecipe, in q ualche modo, della natura di D io. L’idea che q ualco-sa di immortale abiti in noi potrà sorprendere Alessandro, ma è conforme alla nostra esigenza profonda di non sparire nel nulla, all’esigenza di sopravvivere alla nostra morte col nostro amore per la vita, per le persone che ci sono care, per D io stesso.

Cristiano decise di osare di più . Avrebbe dedicato un’ora intera al tema della preesistenza del V erbo nel P rol ogo giovanneo.

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R endere accessibile un argomento del genere a ragazzi di q uin-dici anni era un’esperienza che non aveva ancora tentato.

Sette giorni dopo, chiesto e ottenuto il silenzio, come se fosse-ro passati solo pochi minuti dalla lezione precedente, esordì citando a memoria l’ I ncipit del V angelo di Giovanni:

- « I n principio era l a P arol a, e l a P arol a era riv ol ta v ers o Dio e l a P arol a era Dio »... R agazzi! Siamo pronti a cogliere con la mente la distin-zione tra l’eternità e il tempo al suo primo attimo? La Parola è il L ogos , nel greco dell’autore sacro, e cioè il V erbo, il F iglio, la secon-da Persona della T rinità . Leggiamo subito dopo: «T utto fu fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla fu fatto di ciò che esiste». O ra: ri-cordate l’inizio della B ibbia? «In principio D io creò il cielo e la terra» leggiamo nella Genesi. Alessandro! D ico a te! Poniamo, per ipotesi, che q uesti testi non siano pura mitologia. Se ti piace, pos-siamo pensare ad un brano di fantascienza rivolta al passato, rovesciata e spinta sino all’attimo iniziale del tempo. R ovesciata verso il fantapassato. O K ?

L’aula fu attraversata da battute divertite. - F antapassato, perché no? H o creato una parola nuova, che c’è

di strano? Si tratta di testi che D io ha ispirato direttamente all’autore sacro ( nell’ipotesi di un D io ispiratore, bisogna previa-mente concedere che D io sia, che D io esista: sei d’accordo Alessandro?) . Il testo sacro, se facciamo attenzione, ci permette di sprofondare nell’eternità . Cosa notiamo, innanzitutto? Che l’eternità ha il suo fondamento in D io stesso e nel suo V erbo, la sua Parola ( con la maiuscola) : «In principio era il V erbo». Q uell’ «era» è , per così dire, un passato-presente eterno. D icendo ‘ chi è colui che da sempre sta in rapporto di comunione con un altro’, dice che cosa c’era in principio. Q uesto ‘ altro’ è il Padre, la prima persona della T rinità , colui che ha la potenza di far esistere ogni cosa, compreso il tempo. Q uesto «principio » non va inteso dunq ue in senso temporale, non va identificato automaticamente col tempo

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al suo inizio. Suggerisco di pensarlo come ‘ principio di ogni esi-stenza’. Chi ha il potere di far uscire dal nulla il tempo e le cose? si domandano i filosofi. Sapete che la scienza moderna afferma che niente di materiale può autoprodursi, uscir fuori dal nulla. N otate: «E il V erbo ( cioè , il F iglio) era D io. E il V erbo era rivolto verso D io ( il Padre) ». Q uesto suo ‘ essere-rivolto’ è l’Amore che unisce il Padre al F iglio e il F iglio al Padre. Q uesto Amore è la divina Perso-na dello Spirito Santo. Padre e F iglio, dicono i teologi antichi, lo spirano insieme. Q uesto amore eterno tra il Padre e il F iglio è la dimensione in cui preesiste il F iglio, q uello stesso che, versetto 1 4 del P rol ogo , entra, poi ( notate la centralità di q uesto ‘ poi’) nella sto-ria. Ascoltate: «E il V erbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi».

L’espressione del volto di Alessandro ricordava il s acru m s il en-tiu m richiesto dal rituale della Santa Messa dopo la proclamazione del V angelo. La magia della voce di Cristiano ripeté la frase in gre-co e poi:

- E s k è nos en - precisò - è il piantare la tenda, l’abitare tra noi di D io che si fa nomade, itinerante, in mezzo alle tende degli uomini, i pellegrini della storia. La tenda di Gesù è il suo corpo, insegnano i Padri della Chiesa, tenda che si forma nell’utero di Maria. N asce bambino, come tutti i bambini. H a bisogno di una tenda di carne, prima di dimorare in dimore di legno e di pietra. N on è un’ipotesi stupenda? D a brivido? Per i credenti q uesto è il N atale. Che sia q uesto mistero ad accendere nei cuori una gioia stupita, che prean-nunzia q uella, immensa, della Pasq ua? Ma facciamo un altro passetto indietro. Se l’eternità è in q ualche modo il tempo di D io, il tempo della creazione è fondato, innestato, avviato dall’atto creati-vo di D io. Il tempo è , anch’esso, realtà creata. Propongo un’immagine dell’eternità . Immaginiamo di avere in mano un ela-stico che abbia la proprietà di estendersi all’infinito. T iratelo dalle due parti: si allunga, si allunga, ma è sempre lo stesso elastico. Lo

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stiramento che imprimete ad esso ne modifica la forma, ma, ripeto, è sempre lo stesso elastico. E cco l’eternità . Ma non è forse vero che, rispetto all’infinita estensione immaginabile dell’elastico ( l’eternità , appunto) , lo stesso elastico rilasciato suggerisce l’idea di una contrazione? F orse il tempo potrebbe essere pensato come una regolata contrazione dell’eternità … F orse, dico. T ornando al P rol ogo di Giovanni: cosa significa «si fece carne», se non che colui che è l’E terno si fece temporale, storico come noi? Q ui c’è di mezzo l’infinito mistero di D io, il T utto dei mistici, che si fa N iente per amore. Q ui la fede invita a stare in silenzio. Ma noi siamo a scuola e dobbiamo scavare ancora un po’. «Apparso in forma umana, an-nientò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» recita un inno paolino. N on è interessante notare che, in greco, es k è nos en , annientò , e s k enè , tenda, si assomigliano molto?

Cristiano fece una pausa di silenzio e guardò la lavagna, sulla q uale un attimo prima aveva scritto le due parole, in greco e in ita-liano. E manuele ascoltava assorto.

Poiché nessuno fiatava, riprese: - È proprio difficile immaginare che l’Amore con la a maiusco-

la, che ha messo nel tempo «tutte le cose» e q uindi anche noi, abbia pensato ad esse, le abbia concepite e volute una per una come cosa buona già nell’eternità ? Giunti a q uesto punto, ci chiediamo: chi è l’uomo? Maschio e femmina, l’uomo è l’unica creatura impastata di materia voluta da D io per se stessa, è un sogno speciale di D io, fatto da lui nell’eternità e realizzatosi per suo volere nel tempo. In-fatti, dell’uomo e della donna appena usciti dalle mani divine l’autore sacro dice: «E D io vide che era una cosa molto buona ». L’azione creativa e il suo risultato, intendiamoci. D io li ha sognati insieme, come simili a sé . «F atti a sua immagine e somiglianza»: vuol dire che l’originale di cui siamo la copia è l’E terno, con la e maiuscola. N ell’uomo e nella donna, infatti, abita lo spirito di D io, datore della vita. Si nasce e si cresce, e poi? Si muore. Si muore a

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causa del peccato di Adamo ed E va, afferma la B ibbia. Ma D io non li molla: li salva nella morte e risurrezione di Gesù suo F iglio, e li chiama ad entrare già da q uesta vita nell’eternità del suo amore, cioè nella comunione della sua stessa vita trinitaria. Mi riferisco alla comunione che unisce il Padre, il F iglio e lo Spirito Santo. Conti-nuando a leggere nel V angelo, più avanti troviamo che il Padre ha mandato il suo F iglio unigenito a morire e risorgere nel tempo per-ché «ha tanto amato il mondo », cioè noi uomini. H a amato me. D ice San Paolo: «E gli è morto per me». D unq ue: non un’eternità fredda, grigio metallica, sta all’origine del tempo, ma un’eternità multicolore, iridescente, che non riesce a contenere lo straripante amore del Padre; amore che deborda, versetto 1 4 , nel tempo, di-mora provvisoria dell’uomo, chiedendo al F iglio di farsi uomo come noi, in mezzo a noi...

Cristiano si fermò . Il volto di Alessandro era passato dal suo solito colorito ad un

pallore evidente. Suonò la campanella della ricreazione e tutti, tranne Alessandro

ed E manuele uscirono dall’aula. Il primo si avvicinò alla cattedra. Annotando sul registro per-

sonale la lezione svolta, Cristiano disse al ragazzo: - T i senti bene? Sei visibilmente impallidito un attimo fa. - Professore, per la prima volta in vita mia ho avuto la sensa-

zione dell’eternità . Mi sono venute le vertigini. Come se un vortice immenso mi trascinasse, mentre io ero fermo, fermissimo. Cosa può essere?

- N on saprei che dire; - rispose Cristiano - l’idea dell’infinito e dell’eternità non è lontana dall’idea dell’infinito personale che è D io. Credo che la tua ricerca potrebbe partire dalla vertigine dell’intelligenza che hai sperimentato. Sono sicuro che ci sono cose che anche tu vorresti non finissero mai. Sei un uomo e ti porti den-tro, che tu lo voglia o meno, l’inq uietudine di un infinito bisogno di

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amore, di vita, di luce, di felicità . «N ella notte del cuore l’uomo cer-ca il D io infinito », ha scritto Sant’Agostino. Prova a cercare con insistenza, cioè con pazienza e amore, e vedrai.

Per un attimo parve a Cristiano che lo sguardo di E manuele abbracciasse entrambi.

C A P I T O L O DI C I A S S E T T E Per i mesi di febbraio e marzo gli studenti della classe Seconda

E avevano scelto il tema della preghiera. Alla lavagna, Cristiano aveva tracciato uno schema:

L ’ es perienz a rel igios a come pregh iera teoria / pratica ril ettu ra d i u n’ es perienz a / approf ond imenti N elle ragazze, la curiosità era stata stimolata dall’idea di pratica-

re in classe esercizi preparatori a q uella che l’insegnante aveva definito l’arte della preghiera.

I maschi, un q uinto della classe, con grande sincerità avevano dichiarato di temere che si sarebbero annoiati. Coerentemente, nel-la votazione proposta a settembre dal docente, su q uel punto particolare del programma si erano astenuti.

F iorella Merlin, una biondina ricciuta, j eans attillatissimi e aria un po’ svagata, q uel mattino seguiva l’introduzione al nuovo argo-mento con maggior attenzione del solito.

Cristiano aveva iniziato evocando le giogaie che scortano l’H oreb di Mosè e di E lia, e le grotte del calcinato deserto della T e-baide; le distese sabbiose dell’H oggar di Charles de F oucauld e la gelosa solitudine dei monaci del Monte Athos, le colline del canto di D avide e i contrafforti alpini, appenninici, uralici e pirenaici del monachesimo europeo degli ultimi q uindici secoli.

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Cosa avrebbero potuto ricavare q uegli adolescenti sensibilissi-mi ai capi d’abbigliamento firmati e alla musica commerciale, non era facile prevedere.

La domenica successiva, aveva accettato l’invito di F iorella a partecipare ad un incontro promosso da una setta orientale e con la macchina era salito sulla collina di Monfumo, pensando che, se non altro, l’allieva avrebbe preso atto della disponibilità del suo inse-gnante ad imparare cose nuove.

Invitata da Alice, l’amica del cuore, barbarelliana lei pure, che si era ritirata dodici mesi prima per andare a lavorare in una stireria, F iorella era già al suo sesto incontro.

N ella saletta di una villa privata nascosta tra gli ulivi, un mae-stro poco più che trentenne aveva accolto Cristiano con un semplice sorriso, senza muoversi dal posto che occupava seduto per terra a gambe incrociate.

D ’origine olandese, alto e magro, barba e capelli biondi ben cu-rati, l’uomo era vestito di una tunica chiara che arrivava fino ai piedi, bianchi e nudi nei sandali di cuoio grezzo. O cchi sereni e voce senza tracce d’aggressività o di comando, stava in cerchio con una q uindicina di giovani e adulti, q uasi tutti alla loro prima espe-rienza.

Q ualcuno era visibilmente imbarazzato, ma la guida ispirava una serenità contagiosa.

D opo le presentazioni, un aiutante aveva proposto a tutti un primo esercizio di consapevolezza, aprendo con le seguenti parole:

- «Il silenzio è la grande rivelazione» ha detto Lao-T ze. “N on è detto che gli ossimori facciano sempre scoccare la scin-

tilla della verità ” non aveva potuto far a meno di pensare Cristiano. D i silenzio ve n’era stato in abbondanza, q uella mattinata, in-

terrotta da una conversazione sulla felicità di circa mezz’ora. Cristiano non era del tutto nuovo a q uesto genere di e-

sperienze. Alcuni testi di Anthony D e Mello l’avevano fatto riflet-

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tere sull’importanza della preparazione della mente e del corpo alla preghiera.

V enuto mezzogiorno, aveva dovuto scegliere: o restare a man-giare i manicaretti vegetariani a base di riso offerti dalla comunità o andarsene in pace.

R ingraziato il maestro e F iorella, Cristiano se n’era andato a gu-stare i tortellini in brodo e il pollo arrosto con polenta fumante di mamma.

D ue giorni dopo, durante la ricreazione, F iorella gli andò in-contro col solito entusiasmo nel corridoio centrale della scuola.

- Allora, professore, le è piaciuto? - V edi, un mio vecchio insegnante di esegesi biblica diceva che

a chi ha bevuto l’acq ua zampillante di cui parla Gesù alla Samarita-na le altre acq ue sembreranno scipite. In ogni modo, importante è dare spazio alla preghiera nella nostra vita. L’uomo è l’essere che prega, ha detto q ualcuno. E q uesta è la sua grandezza. Per te che sei europea, bello sarebbe, secondo me, cominciare a conoscere le profondità della preghiera cristiana. Ci vediamo in aula tra dieci minuti?

F iorella appariva un po’ delusa. Cristiano se ne avvide: forse avrebbe potuto recuperare a le-

zione. Sarebbe stato difficile, in ogni caso, fornire a F iorella elementi sufficienti a distoglierla dal fascino del sentiero di felicità intravisto a Monfumo.

“Gettare il seme, che sparirà nel buio della terra. F orse un giorno diventerà spiga e, a suo tempo, farina. Ammesso che di q ue-sti tempi ci sia ancora chi sappia gustare la fragranza del pane!” pensò , entrando in aula.

N on aveva ancora finito di introdurre la lezione, presentando l’etimologia e il campo semantico del termine preghiera, che una compagna di banco di F iorella già alzava la mano.

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T atiana aveva lunghi capelli biondi, leggermente ondulati, occhi celesti e un faccino da ragazza coscienziosa, un po’ timida.

- Io sono stata educata in una famiglia cattolica. H o freq uenta-to il catechismo e la preparazione ai sacramenti. Confessione, eucaristia e cresima. N essuno, però , mi ha insegnato a pregare. Co-nosco le preghiere tradizionali. Ma pregare con la certezza che q ualcuno mi ascolta non mi è mai riuscito. Crede che ciò sia possi-bile?

E rano tempi in cui, anche nelle chiese di campagna, davanti al Santissimo esposto durante le Q uaranta O re nella Settimana Santa si trattenevano ormai soltanto vecchine sgrananti il rosario, poche casalinghe frettolose e q ualche canuto capà to*.

I capà ti… All’ostensorio raggiante circondato dai candelabri accesi e

all’O stia molte volte fissata, da chierichetto, alle Sacre F unzioni domenicali, erano associati vegliardi in veste bianca e mantellina rosso vivo che all’immaginazione del precocissimo divoratore di libri di un tempo erano apparsi i disarmati epigoni degli antichi cu-stodi del Santo Sepolcro.

N e ricordava uno in particolare, morto alla soglia dei cent’anni: Giacinto, una vita di fatica nei campi e sette figli allevati come D io comanda, insieme alla sua v eciòta* , morta q uindici anni prima di lui.

In ginocchio, nel banchetto paludato di rosso della confraterni-ta, per settantaq uattro anni aveva vegliato al suo turno in adorazione. Immobile, a spalle curve, con la testa tra le mani, come il cavaliere custode del Graal nell’ U l tima crociata di Spielberg.

F uori, nelle strade, q uasi tutti parevano travolti dalla frenesia delle attività economiche.

E che da q ualche giorno fosse iniziata la Q uaresima non pote-va certo far cambiare le cose.

“... u n tu mu l to inf ernal , il q u al s ’ aggira s empre / mena gl i s pirti con l a s u a rapina... ” : frammenti danteschi mandati a memoria al liceo, che

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gli sembravano perfettamente calzanti alla situazione della società nel suo territorio.

Parecchie persone di sua conoscenza vivevano da anni tran-q uillamente indifferenti alla celebrazione dei misteri della Passione di Cristo.

Il forte calo delle presenze ai riti del T riduo pasq uale era segna-le ineq uivocabile dell’avanzare della secolarizzazione anche nelle bianchissime terre venete.

I numeri dell’Azione Cattolica erano da parecchi anni in calo e i vari movimenti ecclesiali mancavano di radicamento nel territorio.

A meno che uno non facesse un viaggetto a Camaldoli o pres-so comunità come q uelle di E nzo B ianchi, di Carlo Carretto o di D avide Maria T uroldo, chi insegnava a pregare ai giovani in q uel periodo?

La difficoltà manifestata da D onatella nel viaggio di ritorno da B ologna era q uella di molti altri giovani alla ricerca dell’Assoluto.

Per converso, sette d’ogni tipo e adepti delle più strane conven-ticole spuntavano da tutte le parti.

Attingere per la prima volta le nozioni di base sulla religione dei padri dall’insegnante di religione, stava diventando un caso sempre più freq uente.

Se poi gli ineffabili conversari condotti in classe durante l’O ra riuscissero effettivamente a fornire agli studenti briciole di verità sul ‘ respiro’ dell’anima che è la preghiera, solo i singoli partecipanti avrebbero potuto dirlo.

Come comunicare ai ragazzi di Seconda il senso dell’umile e in-stancabile ricerca narrata nel libro intitolato Racconti d i u n pel l egrino ru s s o , s toria v era d el X I X s ecol o?

L’aveva letto d’un fiato, anni prima, al ritorno da Lourdes. U n povero suddito dello Z ar, colpito drammaticamente negli

affetti e nell’integrità del corpo, si mette in cammino, alla ricerca di

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chi gli possa insegnare a pregare. La ricerca non fu vana e il libro lo attesta.

Cristiano era passato poi alla F il ocal ia. S taretz dal portamento austero e silenziosi abitatori di poveri

monasteri ricchi d’invisibile, erano venuti a popolare i paesaggi mentali attinti da letture di T olstoj , Cechov, D ostoj evsk i, B erdj aev e Solov’ev, lasciandogli un forte desiderio di vita interiore e un pensiero: “ L ’ anima res pira pregand o” .

- Stamattina preparatevi a viaggiare... - disse Cristiano appena varcata la soglia dell’ aula, guardando sopra alle teste fuori della finestra.

- D ove andiamo? - chiese curioso Giovanni, un ragazzo robu-sto dal carattere gioviale, pronto a giocare appena se ne presentava l’occasione.

- N on certo alla ricerca dell’Isola che non c’è - riprese il profes-sore, con tono invitante - bensì nel mondo delle sensazioni che le varie parti del nostro corpo continuamente ci inviano. Anche se noi non ce ne accorgiamo. Incominceremo dall’esercizio del silen-zio: percepire la dimensione del silenzio interiore che abita la profondità più riposta del no-stro essere è la cond itio s ine q u a non , dicevano gli antichi, la condizione senza la q uale non si può proce-dere nella via della preghiera.

N egli occhi di Giovanni si leggeva l’interrogativo: “Sarà un trucco per farci stare zitti o che altro?” .

La classe sembrava attraversata da piccole scariche intermittenti di corrente elettrica.

Cristiano inspirò profondamente, disponendosi a guidare la sua prima lezione sperimentale di tecnica della concentrazione.

- B ene! Ciascuno assuma la posizione più comoda. Potete sdraiarvi sul banco, su due sedie accostate, sedere per terra o stare in piedi appoggiati con le spalle al muro. La spina dorsale dev’essere ben diritta e gli occhi rigorosamente chiusi, q ualunq ue

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cosa accada. Alla fine dell’esercizio, sarò io a chiedervi di riaprirli. Coraggio!

N ei minuti che seguirono Cristiano toccò con mano q uanto difficile fosse ottenere l’immobilità totale da un gruppo di barbarel-liani, pur volonterosi. C’era tempo e lui era determinato a conseguire il risultato.

F inalmente tutti assunsero la posizione del corpo prescelta. - Seguirete ora i comandi della mia voce. R ilassate piano piano i

muscoli delle spalle, delle braccia, delle gambe, dell’addome e della schiena. Cominciate a sentirvi rilassati. Il vostro corpo si sta ab-bandonando sulla sedia, sul banco, sulle mattonelle del pavimento. Accorgetevi del movimento della cassa toracica: i vostri polmoni si aprono al respiro e spingono fuori l’aria respirata. Accorgetevi di ciò , e lasciate che essi compiano ritmicamente la loro funzione sen-za condizionarli, senza spingerli ad assumere un ritmo imposto.

R ipeté le istruzioni e tre minuti dopo la classe piombava in un silenzio mai sentito prima dai muri del B arbarelli.

U n bussare leggero alla porta ed un bidello entrò con in mano una circolare del preside.

S’arrestò sulla soglia, come fermato da mani invisibili. Guardò il professore. Cristiano l’incoraggiò ad avanzare con un cenno del capo, portando l’indice perpendicolarmente alle labbra.

F irmò la circolare con una sigla, mentre diceva: - Adesso siete perfettamente calmi, in pace con voi stessi. Con-

tinuate a seguire il ritmo del vostro respiro, senza forzarlo. T ra q ualche istante vi ordinerò di sprofondare nell’oceano del silenzio interiore che sta dentro di noi.

Lorena abbandonò il capo sul braccio destro. Sembrava dor-misse.

La voce di Cristiano, nonostante fosse diminuita di tono, si u-diva più forte, q uasi fosse amplificata dal risuonare nella scatola cranica dei ventidue studenti.

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- O ra immaginate di avere davanti ai vostri occhi un immenso lenzuolo, di cui non si vedono i bordi. U n immenso lenzuolo bian-co, tutto bianco. In q uesto biancore i vostri occhi si perdono. Ancora bianco, solo bianco.

Cristiano chiuse gli occhi a sua volta, prima di procedere. - R estate nella percezione della regolarità del vostro respiro.

L’aria esce ed entra liberamente dai vostri polmoni. E ntra fresca nelle vostre narici. E sce calda. Con lo sguardo della mente vedete bianco. Solo bianco.

D alla strada, rumori di auto in transito. U n martello pneumati-co, in lontananza. D al corridoio, voci di studenti in trasferimento: verso la palestra o i laboratori? N ulla pareva disturbare l’esercitazione.

- O ra immaginate un puntino nero, al centro del lenzuolo bian-co. F issatelo con decisione. Se incontrate q ualche difficoltà , tornate all’esercizio del respiro. Poi al bianco, e ancora al puntolino nero.

Giovanni spostò una gamba e si appoggiò con la spalla destra alla parete.

- Ponetevi in ascolto del battito del vostro cuore. Sotto a q uel palpito vi è una base di silenzio. Q uel silenzio che fa da sfondo al battito cardiaco è la soglia. Superatela e lasciatevi sprofondare nel silenzio che sta dentro ciascuno di noi, liscio come la superficie di un laghetto riparato dai venti, mai solcato da barca alcuna. R estate in ascolto, lasciatevi cullare dal silenzio.

Anche se Cristiano, fino a q uel giorno, non aveva mai guidato un’esperienza del genere, aveva presto imparato a non dubitare del potere della parola e della voce.

La q uiete, il tepore dell’aula, il rilassamento muscolare lo indu-cevano ad abbandonarsi del tutto e ad abbandonare la guida dell’esperimento.

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F ece uno sforzo e riaprì gli occhi: i corpi dei suoi studenti ap-parivano avvolti, ognuno, da una luminosità ovattante. “R iecco l’aura...” , pensò .

D ue volte, nel passato, gli era capitato di percepire lo strano ef-fetto alone che pare avvolga la persona umana, più o meno spesso e con diversa colorazione.

Si trattasse di un’impressione soggettiva o che q ualcosa di vero vi fosse in q uelle strane esperienze, non era importante stabilirlo.

D i fatto, le aveva vissute prima di aver letto q ualcosa sul feno-meno.

La prima era collegata a papa Montini, Paolo V I. In pellegrinaggio con numerosi fedeli della sua diocesi nel lon-

tano ‘ 7 7 , per q uanto si fosse stropicciato gli occhi, durante i pochi minuti di permanenza del vecchio papa in Sala N ervi, Cristiano era riuscito a distinguere bene solo il contorno della bianca talare.

Pur trovandosi a meno di trenta metri di distanza e disponendo di un’ottima vista, una luce bianca che pareva sfolgorare dal papa gli aveva impedito di metterne a fuoco il volto.

Aveva tenuto la cosa per sé : che si trattasse della santità del grande papa della sua fanciullezza o che fosse un’impressione cau-sata dal calo degli zuccheri dovuto alla scarsa colazione del mattino, non era in grado di deciderlo e aveva stivato la cosa tra i ricordi.

D ue anni dopo, a Castelgandolfo, uscendo dal cortile del palaz-zo papale dopo l’udienza cui aveva partecipato con un gruppo di studenti di teologia del N ordest, si era imbattuto in Madre T eresa di Calcutta.

La piccola grande donna gli aveva sorriso maternamente. Supe-rata la sorpresa, le aveva stretto dolcemente la piccola mano, riuscendo a pronunciare solo un esile «T hank y ou, Madre… ».

Il volto della suora avvolta nel sari bianco bordato d’azzurro emanava una specie di luce bianca e oro. Al contatto con la sua mano se ne era sentito avvolto.

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D opo una q uindicina di minuti decise di porre termine all’esperienza e di avviare uno scambio d’impressioni.

Con la stessa tonalità di voce, disse calmo: - T ra un minuto vi chiederò di aprire gli occhi. O ra, invece,

cominciate col fare dei micromovimenti con le braccia e le gambe. Muovete le dita delle mani... D ei piedi... Le spalle... Lentamente.

U n grande animale con più di ottanta arti sembrò destarsi a poco a poco dalla posizione letargica in cui era caduto. N essuna seggiola si muoveva ancora. Si udì q ualche colpetto contro le sbar-re poggiascarpe dei banchi.

- F ate un bel respiro e riaprite gli occhi. O ra! D opo circa un minuto tutti erano tornati in posizione normale.

U no si stirava le braccia, un altro si passava le mani sul viso. Si riaccendeva ora il bisogno di scambiare parole col vicino di banco.

In breve, tutti furono desti. T utti, tranne Lorena. La ragazza non accennava a rialzare il capo dal braccio abban-

donato sul banco. - Professore, Lorena non si sveglia... T atiana e F iorella, piegate sulla compagna, mostravano segni di

preoccupazione. Cristiano, avvicinatosi alla ragazza, notò che la respirazione era

appena percettibile, simile a q uella di un neonato dormiente. Si rese conto che Lorena era caduta in trance. - Allontanatevi da lei, per favore, e state calmi. F ece appello a tutte le sue forze interiori per restare calmo lui

per primo e tornò alla cattedra. “Q uanto superficiale sono stato... mio D io, chi poteva pensare

che q uesta cadesse in trance !” . Q uarantadue occhi andavano da lui a Lorena, confusamente. Intuì che non poteva permettersi il minimo segno di scora- mento o d’incertezza: la sua voce soltanto poteva ancora guidare per la ragazza.

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Inspirò profondamente e trattenne l’aria nei polmoni per q ual-che secondo, poi la fece uscire piano, portando il mento sul petto.

- Lorena. Adesso, lentamente, tu ti sveglierai. Il nostro eserci-zio di concentrazione si sta concludendo. Io voglio che tu ti svegli. T ra un istante batterò le mani due volte e tu riaprirai gli occhi.

Cristiano disse q uelle ultime parole come ripetendo parole sug-gerite da q ualcuno dentro la sua mente.

B atté le mani, una prima volta, senza convinzione. Lorena non si mosse.

Sentì emergere la paura nei cervelli delle compagne di Lorena, mentre andava crescendo il disagio che s’impossessa dei maschi q uando assistono impotenti a reazioni femminili per loro incom-prensibili.

F ece uno sforzo mentale supremo e batté per la seconda volta le mani, ordinando ad alta voce:

- O ra! Lorena. Apri gli occhi ora! La ragazza ebbe un tremito alla spalla sinistra, poi mosse il ca-

po, sempre reclinato sul braccio, infine sillabò q ualcosa che solo T atiana e F iorella udirono distintamente:

- Perché … ? Seguì uno scoppio di pianto, che da sommesso si fece dirotto,

q uasi inconsolabile. Le compagne le si fecero attorno, toccandole le spalle e sco-

stando con dita premurose ciocche di capelli che cadevano disordinatamente sul viso.

Passarono alcuni minuti. Gli studenti confabulavano tra loro, perplessi. Cristiano, sprofondato nella seggiola a braccioli dietro alla cattedra, tirava sospiri di sollievo, finalmente ignorato da tutti.

“È andata bene. D io ti ringrazio. Q uesta è stata la prima e l’ultima esercitazione del genere...” . Aspettò che Lorena si calmasse un poco.

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D opo q uasi cinq ue minuti si rivolse alla ragazza con tono con-ciliante:

- Lorena. T e la senti di dirci che cosa hai visto? Se avesse raccontato q ualcosa forse si sarebbe sentita meglio. - D opo la tua esperienza chiederò ad altri di raccontare la loro. Cristiano cercava di recuperare tranq uillità , ma si sentiva in- curiosito almeno q uanto i suoi studenti. Lorena inspirò rumorosamente e fece cenno di sì col capo. Combattendo con le lacrime che volevano tornare a sgorgare,

raccontò di essersi venuta a trovare in un posto meraviglioso. - Il cielo era azzurro intenso e c’era dappertutto una luce

splendida, che pareva traboccare dai fiori, dall’erba, dalle piante tutt’intorno. Poi mi viene incontro un ragazzo bellissimo, con una chitarra basso a tracolla. È incredibile, ma era proprio E nrico, un ragazzo del mio gruppo, che suonava nel complessino della parroc-chia. È morto in un incidente con la moto sei mesi fa...

Il pianto le soffocò la voce in gola. I compagni assistevano ammutoliti. Alcuni volti erano addirit-

tura attoniti. T atiana, che era dello stesso paese, abbassò lo sguardo, commossa.

D opo un po’ Lorena completò il suo racconto: E nrico era feli-ce e l’aveva rassicurata sulla bellezza della sua nuova vita.

La voce del professore aveva posto termine troppo presto al sorprendente colloq uio.

Lui l’aveva salutata con la mano, mentre lei si sentiva trasporta-re fuori da q uella dimensione, verso il suo corpo.

Cristiano la ringraziò e passò a raccogliere altre esperienze: ca-ricare di significato il racconto di Lorena non avrebbe giovato alla lezione e tanto meno alla ragazza.

D allo scambio di impressioni a cui q uasi tutti gli studenti parte-ciparono animatamente emersero sensazioni di assenza di peso, di galleggiamento nell’aria, di pace mai provata e di serenità , di caduta

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nel vuoto, di paura del silenzio sperimentato, di formicolii diffusi e di calore irraggiante dallo stomaco.

Lorena, dopo una serie di singulti e di respironi, si era calmata. Adesso rispondeva a monosillabi alle domande delle due vicine di banco.

N onostante T atiana e F iorella cercassero di farle tornare il sor-riso, l’espressione del suo viso restava immutata, nervosamente fissata da un impulso interno non controllabile.

Cristiano accolse il suono della campanella come una liberazio-ne.

La sgradevole sensazione di essere stato sul punto di innescare involontariamente q ualcosa di imprevisto si attenuò solo una setti-mana dopo, q uando T atiana raccontò in classe il risultato dell’ultimo esperimento su se stessi affidato come compito per ca-sa.

- Come lei ci ha suggerito, l’altra sera ho chiesto a mia mamma di accompagnarmi in chiesa. E rano circa le 1 8 : 0 0 . Le ho spiegato che era per l’ora di religione. Lei è andata al negozio di fronte. So-no stata fortunata: la chiesa era buia e non c’era anima viva. Solo il lumino rosso, in fondo, accanto all’altare. Mi sono seduta su di un banco e ho chiuso gli occhi per q ualche istante, cercando di svuota-re la mente dai pensieri. N on ho avuto bisogno di tenere chiusi gli occhi per restare concentrata. Ciò che lei ci ha anticipato è vero: era lì , q ualcuno era lì davanti a me. R iempiva lo spazio intorno a me e mi inondava di pace, di tenerezza. Io ho paura del buio. E bbene, se un po’ di timore mi aveva preso dopo che mia mamma mi aveva lasciata sola, dall’istante in cui ho percepito q uella presenza ogni timore è scomparso. N on ero più sola. Inoltre, mi è sembrato poi che la chiesa fosse abitata, che fossimo in tanti, in q uei minuti, in chiesa. N on ho pronunciato nessuna preghiera, come lei ci aveva chiesto di fare. H o guardato verso il tabernacolo, per tutto il tem-po. Mi è venuta dentro una gioia, ma una gioia, professore! E ra

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come se q ualcuno avesse il potere di consolarmi di tutte le pene sofferte fino all’istante precedente... È stata una delle esperienze più intense e felici della mia vita!

La sicurezza con cui T atiana aveva raccontato la sua e- sperienza ispirava nei compagni rispetto misto a sorpresa. Lorena le si era avvicinata istintivamente, fino a toccarla, spalla

a spalla. - Ci ho provato anch’io, professore - incalzò R oberto, B ob per

gli amici, un ragazzo cresciuto fisicamente troppo in fretta. - Col motorino sono arrivato prima di cena davanti alla chiesa. H o esita-to un po’ prima si entrare. Q ualcosa di sconosciuto pareva trattenermi fuori, sui gradini. Poi sono entrato. N on c’era nessuno e la chiesa era semibuia. H o provato a concentrarmi, ma non sono riuscito poiché ho avvertito una presenza. In q uello spazio c’era q ualcuno, che io non vedevo, ma c’era. Lo giuro. Mi ha preso una tale paura che sono scappato fuori. N ell’uscire un brivido freddo mi ha percorso la schiena. Credo che sarà difficile, per me, affron-tare di nuovo una situazione analoga.

Le due esperienze non richiedevano commenti. La campa- nella suonò la fine delle lezioni e l’aula si svuotò in un baleno.

C A P I T O L O DI C I O T T O La notizia arrivò al B arbarelli ai primi di marzo, come una geli-

da ventata: lo stanziamento regionale destinato alla costruzione della nuova sede era stata cancellato.

L’informazione era giunta telefonicamente dall’ufficio del sin-daco.

In breve tempo, reazioni di disappunto, delusione e rabbia ran-nuvolarono nelle classi e nei corridoi la splendida giornata che annunciava primavera.

I rappresentanti degli studenti si riunirono d’urgenza con il vi-cepreside prof. R astrelli e i docenti membri del Consiglio d’istituto. La preside era assente.

U n’assemblea generale straordinaria, invitati i genitori liberi da impegni di lavoro, fu convocata per il giorno dopo, in pa-

lestra. T erminata alle 1 0 : 5 0 la sua ultima lezione, Cristiano pensò che

poteva rivelarsi utile saperne di più e, chiesto il parere di R astrelli, si diresse in municipio. Se il sindaco era ancora in ufficio, si sarebbe fatto ricevere. E ra la prima volta che si recava in un luogo del gene-re.

Compagno di battaglie politiche di suo padre negli anni Settan-ta, il ragionier B uratto era al suo secondo mandato. Intorno a lui, la sinistra democristiana era riuscita a mettere in minoranza i dorotei, che in due decenni di tempo non erano riusciti ad offrire alla citta-dina e alle sue frazioni valide prospettive di sviluppo.

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L’attuale amministrazione sarebbe riuscita a fare di meglio? Il Sindaco c’era. La segretaria, dopo averlo sentito al citofono,

disse a Cristiano che sarebbe stato ricevuto entro un q uarto d’ora. Si mise ad osservare la serie di ritratti dei primi cittadini esposti

sulla fascia alta delle pareti della sala consiliare. La foggia dei vestiti e le barbe postrisorgimentali colpivano

l’attenzione più delle fisionomie dei volti. I ritratti dei sindaci del N ovecento parevano stare al loro posto

con forte disagio: pose e portamento apparivano assolutamente inadatti alla collocazione.

“F oto da documento personale” pensò Cristiano. Si aprì una porta e il sindaco gli si fece incontro col tipico sor-

risetto del politico esperto. Lo invitò ad entrare. Il gonfalone della città e il tricolore davano un tocco di co-lore

all’ufficio investito dal sole. Il vano appariva troppo piccolo per accogliere tutti i mobili dall’aspetto severamente burocratico che lo riempivano.

- Accomodati pure. Allora: hai sentito la novità ? - T i ruberò pochi minuti. V engo a titolo personale, per saperne

di più . N on vedo il Leone di San Marco. - In R egione comandano loro, come sai. Q ui preferiamo segui-

re un’altra linea. V enendo a noi: la soppressione del finanziamento è un primo, preoccupante segnale per chi non è allineato. T utto q ui.

Il sindaco continuò parlando esplicitamente del braccio di ferro in atto tra i due capi corrente regionali della D C, presidente della R egione, l’uno, sottosegretario della R epubblica, l’altro.

Il confronto era nato per ragioni d’eq uilibrio in giunta. - I sondaggi dicono che rispetto alle ultime elezioni regionali

siamo già scesi di cinq ue punti. D i q uesto passo, un giorno non lontano, lo striscione che campeggia in piazza nei grandi appunta-

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menti elettorali, finirà per fare da cortina a q ualche pollaio, nei bor-ghi q ui intorno. A q uesto porteranno le nostre correnti.

- I loro, però , spesso sono colpi bassi, distruttivi, anche sul pia-no personale. Moralità dei fini e moralità dei mezzi. È un bel dire q uello del nostro segretario nazionale - aggiunse poi, con una vena di rabbia nella voce.

- N on so se q uesta volta riuscirò a portare a termine il manda-to. E la chiamano ‘ dialettica interna’...

T irando fuori la fotocopia di un documento su carta intestata dello scudo crociato, datata 2 5 febbraio, continuò :

- Q uesta l’ho avuta l’altro ieri, dall’onorevole in persona. D alla direzione nazionale alla segreteria regionale. ...ricercare l ’ u nità s os tan-z ial e, in v is ta d el v oto d el 2 6 giu gno. Paradossale, no? Q ui ci si sbrana a vicenda per la supremazia nei direttivi, per le nomine agli enti che contano, per il controllo dei finanziamenti a q uesta o a q uell’area di sviluppo. Pensa che anche nel nostro gruppo, proprio q ui da noi, c’è chi ha cominciato ad usare il manuale di tattica politica dei do-rotei, né più né meno, usando il partito per incrementare il consenso nei confronti della propria persona. E da q uanti e q uali galoppini si fa circondare, dovresti vederlo con i tuoi occhi! Altro che unità ! E nei paesi, poi. U na borgata mi preoccupa, in modo particolare. T ra parenti addirittura, hanno preso ad odiarsi, mi di-cono. O dio genuino. Calunnie e diffamazioni da inq uinare la falda sottostante. Perché la mia corrente non è la tua, il mio capetto non è certo il tuo… .

- V edo con piacere che sei rimasto un idealista, in fondo... - disse Cristiano, cui premeva tornare alla q uestione.

- I problemi della tua scuola interessano poco a q uelli in alto. In ogni modo, non ci arrenderemo. Puoi dirlo al preside e ai tuoi colleghi ‘ arrabbiati’; a B aù , specialmente: sui problemi edilizi del B arbarelli e sul finanziamento la mia corrente rimarrà compatta.

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Passata una decina di minuti, Cristiano scese le scale e si fermò sulla piazza a godersi un po’ di sole, ripensando alle vicende della scuola che aveva cominciato ad amare.

A ottobre, in commissione edilizia, il progetto della nuova sede realizzato da un noto studio di V icenza aveva trovato la strada giu-sta per diventare realtà .

N el passato i rapporti col Comune non erano stati facili. Gli amministratori del decennio precedente, scambiando ecces-

si di vivacità per fastidiosa turbolenza, avevano progettato di avviare la scuola su di un binario morto.

Si contava su un forte calo delle iscrizioni, da avallare tacita-mente, anche mediante l’insabbiamento delle pratiche che dovevano portare alla fase della progettazione della nuova sede.

R idotto drasticamente il numero degli iscritti, le classi superstiti sarebbero tornate sotto la direzione del grosso istituto del capoluo-go di cui il B arbarelli era stato un distaccamento nei primi cinq ue anni.

N on era andata così : di anno in anno il bacino d’utenza s’era al-largato.

Superati i q uattrocento iscritti, già da due anni ragioni logi- stiche imponevano il numero chiuso. B en presto, la pericolosità della convivenza in locali tanto an-

gusti aveva contribuito a mettere in ombra le forti limitazioni imposte alla didattica dall’inadeguatezza degli spazi.

La proprietà della succursale, intanto, era tornata a reclamare la restituzione dell’immobile.

N uove banche cercavano spazi entro le mura. A fronte di tanti elementi negativi, un dato positivo aveva su-

scitato l’ interesse della pubblica opinione cittadina al de- stino della scuola. Ad ottobre, i risultati di una ricerca promossa da Provveditora-

to, Provincia e Camera di Commercio sul rapporto scuola-lavoro

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nell’ultimo q uinq uennio attribuivano alla scuola un sorprendente 8 2 % di inserimenti nelle attività di sbocco entro sei mesi dalla ma-turità .

Il B arbarelli si era messo in luce per l’apprezzabile compatibili-tà tra percorsi formativi ed esigenze delle aziende, al centro di un N ordest che, senza far rumore, dava la scalata ai primi posti nella classifica delle aree produttive del paese.

Gli uomini delle istituzioni avrebbero pur dovuto tenere conto della freq uenza crescente degli articoli dedicati alla scuola dai gior-nali locali.

L’illuminata regia del prof. R astrelli, primo collaboratore del preside ad essere rieletto per tre volte di seguito, s’era rivelata vin-cente.

N egli ultimi due anni, le rituali ed inascoltate proteste autunnali erano state soppiantate da una nuova stagione di rapporti collabo-rativi col Comune.

A fine novembre, una delegazione guidata dal vicepreside s’era recata in R egione. I funzionari competenti, preso atto del nuovo atteggiamento del Comune, avevano espresso pa-

rere positivo. In un successivo incontro con una delegazione di amministra-

tori comunali, prima di N atale, il presidente stesso si era impegnato a inserire nel bilancio regionale la somma necessaria all’edificazione del primo stralcio.

Allo Stato si sarebbe chiesto di provvedere al secondo. Il Co-mune avrebbe finanziato il terzo, contraendo un mutuo con la Cassa D epositi e Prestiti.

In collegio docenti e in consiglio d’istituto, dopo tanti anni, s’era respirata aria di fiducia.

O ra, improvvisamente, tutto tornava nelle nebbie dell’incertezza più totale.

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A che cosa era servito coinvolgere i genitori, i consigli dei Co-muni del circondario, le forze politiche presenti in loco?

E il tempo speso, l’impegno profuso ad animare con scenogra-fie e coreografie originali il centro storico in occasione degli ultimi tre carnevali?

Anche peggiore era la grave delusione patita dai ragazzi nei confronti dell’istituzione.

Potevano permettersi, un presidente e la sua giunta, di mancare all’impegno e far finta di nulla, senza fornire uno straccio di giusti-ficazione?

Il silenzio impenetrabile del Palazzo sapeva di beffa. Il giorno seguente, verso la fine di q uella che la cronistoria

dell’istituto avrebbe potuto ricordare come l’assemblea dello sco-raggiamento totale, Cristiano, calmatosi il rumoreggiare sotto la volta della vecchia palestra, fece la sua proposta:

- V isto l’atteggiamento della R egione nei confronti della nostra esigenza di una nuova sede, propongo che una delegazione si rechi in visita in episcopio. Il vescovo è pur sempre una personalità . Po-trebbe decidere di sostenere la nostra causa, aiutandoci a difendere il diritto a una scuola vivibile. Per una ragione di giustizia.

- Che cos’è ‘ sto ‘ piscopio? - si udì domandare, davanti al micro-fono, dal parterre tappezzato di studenti seduti a gambe incrociate sul linoleum.

N ella palestra della parrocchia, stipata di ragazzi, genitori e in-segnanti, si alzò un applauso che Cristiano non si aspettava.

R astrelli e B aù si complimentarono. Il secondo gli tese addirit-tura la mano.

- N on si sa mai. Io non freq uento le sacrestie, ma so che il tuo capo è un personaggio molto stimato e rispettato.

Cristiano uscì dopo l’intervento di R astrelli e s’incamminò con passo spedito verso il Patronato giovanile, dall’altra parte del gran-de cortile alberato, puntando verso l’ufficio del direttore.

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D on U go era un prete di q uelli che sanno incoraggiare i ragazzi con una sola occhiata, accompagnata, se necessario, da una smorfia buffa che aiutava a sdrammatizzare.

Lo incontrò nei vialetti del giardino antistante al centro parroc-chiale.

Passeggiava tranq uillamente, col breviario aperto sulle mani. Lo aggiornò sulla situazione e gli chiese un consiglio. - B atti il ferro finché è caldo. V ieni. T i faccio parlare col segre-

tario di Sua E ccellenza. È un mio buon amico. La telefonata fruttò l’appuntamento dell’udienza sperata per la

settimana seguente. T re, q uattro persone al massimo, aveva precisato il segretario.

Ai giornali andava data la pura notizia: «L’assemblea degli studenti e dei genitori del B arbarelli intende informare Sua E ccellenza sul delicato momento che la scuola sta attraversando. Il vescovo rice-verà una delegazione di rappresentanti della scuola nei prossimi giorni».

Sette giorni dopo, salendo la scalinata dell’episcopio, R astrelli fornì un’ulteriore prova della finezza che lo caratterizzava:

- Sei il nostro insegnante di religione. È stata tua l’idea. Intro-duci tu il discorso. È la prima volta che parlo direttamente a un vescovo. Ci aprirai la strada.

- Se è per q uesto, è la prima volta anche per me, con Sua E ccel-lenza - rispose Cristiano, come per incoraggiare se stesso.

Il rappresentante dei ragazzi e il presidente del Consiglio d’istituto avrebbero avuto ruolo di testimoni.

Il vescovo li accolse in una sala baroccheggiante di arazzi e ri-vestimenti lignei che ben si addiceva, pensò Cristiano tra sé , al carattere di terzietà dell’istanza cui la delegazione del B arbarelli si stava rivolgendo.

“F arò bene a menzionare le beghe dei vertici della D C veneta? Le conoscerà senz’altro” si chiese, accostandosi per primo al tavo-

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lone e alle sedie in legno massiccio che stavano nella metà della sala illuminata dal sole.

Il presule era giunto in diocesi appena dodici mesi prima. E ntrò con passo deciso. Concentrava nello sguardo indagatore il fascino di

un’intelligenza penetrante, dedita alla freq uentazione dei classici, e una forza di carattere non comune.

N egli occhi che esprimevano illuminata autorità , al giovane in-segnante di religione parve di cogliere una traccia d’inq uietudine, celata dal portamento deciso e dalla sicurezza dei modi.

A una scarna espressione di benvenuto fece seguito un ammo-nimento di chiarezza adamantina.

- D itemi tutto. D i q uanto q ui si dirà non dev’essere fatto trape-lare alcunché . F arei smentire tutto e q ualcuno dovrebbe assumersi la responsabilità dell’indiscrezione.

Cristiano si rese conto del rischio che stava correndo: una strumentalizzazione q ualsiasi dell’incontro e avrebbe pagato in prima persona. F orse anche con la rimozione dal B arbarelli.

- Se mi permette, E ccellenza, andrei a q uello che secondo me è il nocciolo della faccenda - iniziò subito Cristiano.

- Le informazioni di cui dispongo, e che soltanto ora i presenti ascoltano da me, consentono di tracciare uno scenario in cui la nuova sede del B arbarelli non dovrebbe rientrare, per nessun moti-vo. E invece… La q uestione che ci sta tanto a cuore è finita, indebitamente, sul terreno dello scontro in atto tra i capi ricono-sciuti delle due maggiori correnti della D C della nostra regione. Lei sa a chi intendo riferirmi.

Il vescovo, fissandolo incuriosito, alzò la palma della mano e Cristiano capì che non occorreva aggiungere altro.

- Mi sono permesso, così , di proporre all’assemblea degli stu-denti di venire ad incontrarla. Per una ragione di giustizia. N on è etico deludere profondamente dei ragazzi, q uando ci si è impegnati

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a riconoscere un loro diritto. T anto più che tra le istituzioni interes-sate c’era pieno accordo sul merito, come le spiegherà meglio il vicepreside, prof. R astrelli. Chiediamo il suo aiuto, E ccellenza.

Cristiano sentì di aver fatto la sua parte e si volse verso il colle-ga.

La sala, troppo grande per cinq ue persone, sembrava essere di-ventata più accogliente.

Mentre R astrelli presentava al vescovo la realtà del B arbarelli degli ultimi tre anni nei suoi rapporti con le istituzioni, Cristiano s’accorse che non c’era verso di costringere la mente a seguire la sintetica relazione del collega.

Il suo interesse era per il volto del vescovo. N on gli era mai stato così vicino e l’emozione iniziale si stava lentamente mutando in gioia tranq uilla.

D al colloq uio stavano emergendo la paternità benevolente e la

calda umanità dell’uomo. - Monsignor arciprete - concluse il vescovo, in piedi e in atto di

prendere congedo - mi ha informato sui buoni rapporti che la vo-stra scuola ha mantenuto negli ultimi anni con le comunità locali, civile e religiosa. Può accadere che la conflittualità politica induca a perdere di vista piccole o grandi porzioni di bene comune. U n ve-scovo, in casi come q uesto, può offrire soltanto del sostegno morale o poco più . Il mio, alla vostra causa, c’è ed è convinto. Pos-so promettere una sola cosa. Sentirò i politici cui ha fatto accenno il prof. Milani. E lo farò presto. T anto basti, però . D i q uanto q ui si è detto, ripeto, nulla deve trapelare. N emmeno a porte chiuse, negli uffici del vostro istituto. E speriamo che anche q uesto serva ad av-vicinare il tempo del vostro ingresso nella nuova sede. R accomandiamo l’iniziativa ai Santi protettori della vostra cittadina.

R astrelli formulò alcune parole di ringraziamento.

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Cristiano chiese la santa benedizione per i presenti e per tutte le persone del B arbarelli ( “...miscredenti compresi, che da domani forse potrebbero cominciare a ricambiare la stima… ” pensò , tra speranza e rassegnazione) .

F uori del portone della Curia il gruppetto incrociò un prete che zoppicava leggermente da una gamba.

Q uesti sorrise a Cristiano e salutò chinando umilmente il capo. Cristiano rispose con un:

- B uongiorno, Monsignore e... grazie! N on importava che i suoi compagni di delegazione si chiedes-

sero il perché di q uel ‘ graziÈ . Semplicemente, non gli andava di dire che q uello era il prete

che ogni anno firmava anche la sua attestata idoneità all’insegnamento della religione cattolica.

Il sorriso di Monsignor A.C. significava almeno due cose. Primo: della sua iniziativa era stato informato, e prima che

l’udienza venisse accordata. Secondo: anche se non era stato for-malmente corretto ignorare il suo ufficio per cose del genere, non si era opposto.

Ciò poteva significare che lo spirito che aveva mosso il giovane insegnante era stato apprezzato. In un momento tanto delicato per la vita dell’istituto, Cristiano non era rimasto ai margini.

Se l’intervento del vescovo fosse servito a sbloccare la situa-zione, ciò avrebbe fatto segnare parecchi punti a favore dell’insegnamento della religione, in una scuola ‘ difficilÈ come il B arbarelli.

Passarono q uasi due mesi, prima che il sindaco in persona por-tasse al B arbarelli la notizia tanto attesa: nell’assestamento di bilancio della R egione, i soldi necessari alla costruzione del primo stralcio erano ricomparsi.

U n ripensamento dell’ultima ora?

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E ra improbabile che la Giunta regionale avesse preso in consi-derazione la vibrata protesta scritta inviata dal Consiglio comunale.

Q ualcosa o q ualcuno aveva fatto sì che il vento cominciasse a spirare favorevolmente.

F inalmente si poteva intravedere la meta. “Sua E ccellenza ha mantenuto la promessa...” pensarono in si-

lenzio Cristiano e R astrelli, muovendo l’uno incontro all’altro in una sala insegnanti che q uel giorno non pareva più q uella, tra colle-ghi che commentavano ad alta voce i particolari del progetto appeso agli armadi e colleghe in conversazione che sfoggiavano abitini primaverili dai colori sgargianti.

- Ce l’abbiamo fatta - disse R astrelli, stringendogli la destra. - Potremmo firmare insieme due righe di ringraziamento. Che

ne dici? - replicò Cristiano. Anche se provava contentezza per la favorevole evoluzione

dell’iniziativa, q ualcosa gli diceva che lui, nella nuova sede, da inse-gnante non sarebbe mai entrato.

F orse l’avrebbe visitata dopo dieci, q uindici anni, con la scusa di recarsi ad una mostra particolarmente significativa.

E avrebbe ricordato con emozione l’avventura degli anni d’insegnamento che per lui erano stati i primi.

L’avrebbero freq uentata alcune migliaia di studenti e tanti nuo-vi insegnanti, tra i q uali altri insegnanti di religione.

Persone che non avrebbe mai conosciuto. N on gli sembrò strano sentire che tutti gli erano cari.

C A P I T O L O DI C I A N N O V E U n mattino di fine maggio Cristiano si trovava nel cortiletto

centrale della succursale a fare lezione alla 2 E . E ra iniziata da poco la terza ora.

La giornata era veramente calda e non gli era stato difficile ac-consentire alla richiesta dei ragazzi.

Con sedie, penne e q uaderni la classe si era spostata in fretta: il passare dalla fredda luce al neon all’ombra del cortile interno a-vrebbe forse favorito la partecipazione dei più pigri.

Il riq uadro di cielo terso sopra le teste e l’aria buona promette-va un’ora più tranq uilla del solito.

Sedutosi, cominciò il suo discorso senza badare alla discreta di-stanza delle seggiole degli studenti rispetto alla sua.

E ra una trappola. Se ne avvide solamente q uando, pochi minuti dopo, circa venti

di litri di acq ua fredda piombarono dall’alto, colpendolo di striscio e infradiciandolo per bene.

F acendo uso di un bidone per la spazzatura, anonimi studenti l’avevano appena trasformato nel primo docente ‘ gavettonato’ che la storia dell’insegnamento della religione in Italia ricordi.

D opo alcuni momenti di sbalordimento, chetatesi le risa forza-te degli studenti, decise di continuare la lezione come nulla fosse stato e di rimanere anche per l’ora successiva, in 4 B . Poi sarebbe volato a casa e avrebbe fatto una doccia.

C L A U D I O A N T O N I O B O S C O

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N on fu saggia decisione. L’indomani, la febbre lo agitava come un pioppo sq uassato dal maestrale e una tosse insistente gli toglieva il respiro.

- B roncopolmonite - diagnosticò il dott. B ordignon, medico di famiglia.

La maggior parte degli ultimi ventitré giorni dell’anno scolasti-co, scrutini compresi, li passò a letto e sulla poltrona in cucina, consolato dalle visite di D onatella.

D ue giorni dopo, tra colpi di tosse, odore di V ix e di medicina-li, la ragazza cercava una spiegazione al capezzale del guerriero ferito:

- Che sia stata una punizione di Carminati e D amiani, di 5 C? Indirettamente, è pur vero che hai interferito su una nicchia di loro competenza - azzardò D onatella, tenendogli la mano.

- N on potrei dimostrarlo. E poi, che importa ormai? Speriamo che escano dalla scuola, q uest’anno. E saranno dichiarati maturi…

La tosse lo strangolava. - Preside e colleghi non si sono fatti vivi… ma io sento di esse-

re entrato al B arbarelli a pieno titolo. L’anno prossimo mi prenderò molte nuove soddisfazioni. Stanne certa...

Sparita la febbre, dopo sei giorni aveva già ripreso in mano i li-bri, nonostante la debolezza, mettendo in cantiere la preparazione degli esami di morale III, teoretica I e storia moderna.

A fine luglio, guadagnati un trenta e un ventinove trentesimi sul libretto universitario, salutò D onatella, anche lei in procinto di partire per B ibione, dove avrebbe fatto l’ animatrice in una colonia.

La sua destinazione era, invece, B ressanone: corsi estivi pro-mossi dall’U niversità di Padova.

Arrivò all’uscita dell’autostrada a metà pomeriggio, nel bel mezzo di un temporale.

V enti minuti dopo, in vista dei tetti della cittadina sudtirolese, la pioggia pareva fosse falciata da sciabolate di sole.

L A P R I M A U L T I M A O R A

2 43

Individuato l’edificio che lo avrebbe ospitato per q uasi due set-timane, presentò i suoi documenti nella hall e prese posto in una stanza da tre.

Salutati alcuni colleghi nei corridoi, uscì per una passeggiata ed entrò felice nella piazza del duomo: cultura e tradizioni del luogo dal passato tanto illustre sembravano potersi respirare nell’aria.

“F inalmente in Sud T irolo. Peccato non capire il tedesco. Chis-sà q uante cose ci sarebbero da scoprire. D opo il corso su Michail Gaismay r forse mi sentirò meno ignorante” pensò .

R ientrato per cena, scoprì di condividere la stanza con E zio e B runo.

Il primo era della sua facoltà , veneziano, longilineo ed elegante nel vestire, con la passione del giornalismo e una sorprendente ca-pacità affabulatoria. Lo conosceva di vista e l’occasione gli sembrò propizia per fare amicizia.

Il secondo, ampia calvizie e asciuttezza nei modi, era un trevi-sano iscritto al secondo anno fuori corso di Magistero.

L’opportunità di freq uentare due corsi in cui i docenti presen-tavano sinteticamente la parte monografica, col rinvio alla sessione autunnale del relativo esame e una considerevole riduzione della parte generale, ogni anno faceva decidere un certo numero di stu-denti all’iscrizione.

I costi erano contenuti e anche per q uesto il numero era chiu-so.

Q uell’estate per Lettere e filosofia era il turno dei corsi di storia moderna e filosofia della religione.

Il secondo corso prevedeva l’analisi di un famoso testo hege-liano sui filosofi greci.

I due insegnamenti gli fecero intuire q ualcosa di ciò che doveva essere stato il godimento intellettuale degli studenti dell’Accademia platonica o dell’antico Liceo di Atene.

C L A U D I O A N T O N I O B O S C O

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Le lezioni all’aperto, seduti sull’erba sotto gli alberi, le visite guidate al museo civico e alla biblioteca della splendida abbazia di N ovacella, la consultazione diretta di preziosi documenti d’archivio, insieme al contatto mediato dalle intuizioni del gran te-desco col pensiero filosofico nascente in E llade, resero i dodici giorni di corso un’esperienza indimenticabile.

E ra avvincente cercare le tracce dello ‘ spirito del tempo’ ( G eis t d er Z eit , scriveva H egel) nelle diverse epoche e discuterne appassio-natamente con i compagni di studio la sera, nelle tipiche s tu b en rivestite di pino chiaro, odoranti di speck , birra e verdure sotto ace-to.

A tavola, i due cattedratici manifestavano una giovialità che a prima vista era impensabile.

E le compagne di corso? La ritrosia che traspariva nei gesti di Anna, una mantovana pic-

cola di statura ma di eccezionale acutezza e preparazione, aveva colpito la sua attenzione. O gni volta che s’intrattenevano sulle C riti-ch e di K ant in compagnia di B runo ed E nrico, collega e confidente della ragazza, Cristiano scopriva di essere appena ai piedi della montagna. Lei camminava sicura sulle cenge più alte.

La prorompente bellezza fisica e la sagacia di Alessandra, inve-ce, gli facevano intuire la varietà di doni naturali di cui può disporre una donna.

T elefonando a D onatella, non aveva potuto fare a meno di giocare ad ingelosirla un poco, raccontandole di aver accompagna-to la splendida collega in una passeggiata serale sulle alture che sovrastano B rix en.

Il corso arrivò rapidamente alla sua conclusione e Cristiano scambiò il suo numero di telefono con B runo, E zio, E nrico, Anna e Alessandra, ben sapendo che avrebbe usato q ualche volta solo q uelli di B runo ed E nrico.

L A P R I M A U L T I M A O R A

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E ntrambi molto soli, reduci da delusioni affettive che avevano lasciato il segno, li sentiva alleati per q uella stima vicendevole che a volte nasce tra maschi che non entreranno mai in competizione tra loro.

I due l’avrebbero utilmente incalzato negli anni di studio che lo separavano dalla laurea, aiutandolo a tenersi collegato all’ambiente universitario.

In cambio avrebbe offerto amicizia e q ualche serata in compa-gnia nelle ultime bettole di Padova, organizzando pizze con le compagne di facoltà e q ualche cena con i professori.

Partì da B ressanone entrando in autostrada verso le dodici, di-retto alla spiaggia sull’Adriatico.

La giornata era splendida, perfetta per viaggiare a velocità so-stenuta.

Si sentì fortunato a disporre di salute robusta, di forza nell’ap-plicarsi allo studio, di un lavoro appassionante, di amici vecchi e nuovi, dell’amore di D onatella.

Poche settimane e lei avrebbe compiuto diciotto anni. L’anfiteatro morenico di V erona fu presto alle sue spalle ed en-

trò nella pianura. Avvertì il misterioso richiamo interiore al rapporto con D io e

l’annuncio di gioia profonda che sovente l’accompagna. F ece del cuore un coppa traboccante di gratitudine e restò in

attesa. A settembre sarebbe tornato al suo posto. In frontiera.

GLOSSARIO DEI TERMINI E DELLE ESPRESSIONI DIALETTALI

RICORRENTI

“el s c r iv é a p oes ie s u t ò c h et i d e c ar t a, p oar è t o ” : scriv ev a poesie su

pez z et t i d i cart a, pov eret t o. “ r iv er ir e i s ió r i, n o t an t à r e p r et i,’ v oc at i e d ot ó r i” : riv erire i sig nori ( i

ricch i, i pad roni) , non prov ocare pret i, av v ocat i e m ed ici. a mé classe: il m io coet aneo; coscrit t o. a p o st è r n o : a set t ent rione, a nord . b ar b a: z io. B en ò n : sono cont ent o! V a b ene così ! B enone! B i sa: B ig ia, G rig ia. B r an ch et t i : soprannom e, « m é nd a » d i f am ig lia; f am i-

g lia u scit a d alla casa d ei B ranch i; nom e d eriv at o d i « b ranco », reb b io, pu nt a d ella f orca.

B r an ch i : v ed i sopra ( B ranch et t i) . C an d elò r a: la C and elora, f est a cat t olica com m em ora-

t iv a d ella P resent az ione d i G esù al t em pio e d ella pu rif icaz ione d i M aria, su a m ad re. R icorre il 2 f eb b raio.

can t ar e R o sar i o : preg h iera d el R osario, f at t a insiem e, can-t an alla f ine la S alv e R egin a e u n cant o d ev oz ionale m ariano.

cap à t o : f rat ello d ella conf rat ernit a d el S ant issim o S acram ent o.

casa v è ci a: la casa v ecch ia, orm ai ab b and onat a. C asó n : casa copert a d i pag lia o f alasco. cav ali er i : b ach i d a set a.

2 47

cav eà g n a: st riscia d i t erreno in t erra b at t u t a o, più d i sov ent e, in cont inu it à con il v erd e d ei cam pi, cost eg g iant e i lim it i in capo ad u n appez z am ent o d i t erreno ( t est at a d i cam -po o t rat t u ro v erd e d i accesso al capo d el cam po) .

ci ò i d el S i g n ò r e: ch iod i lu ng h i, d a t rav e. cli n t ó n : v ariet à d i « crint o », v ino rosso am ab ile,

d al colore v iv o; ricav at o d a u na sort a d i u v a d i prov enienz a am ericana; cit t à d i C lint on, nello J ow a. L a v it e d el crint o è risu lt at o d i u n incalm o con v it ig ni ch ia-m at i «ru pest e» e «riparia». I l «clint ó n» è v ino m olt o scu ro, più pesant e. S i ricav a d a u na v ariet à d i v it e specif ica; non ri-ch ied e incalm o.

C ó à r i : arnese spesso ricav at o d a u n corno d i v acca per riporre la cot e.

có r t e: g rand e cort ile, aia. C o r t eà sse: colt ellacci; lam a ret t ang olare o a m ez z a-

lu na rig onf ia a im pu g nat u ra com od a ad operat a per t ag liare piccoli f u st i o per appu nt ire pali.

d éa sò ca v è ci a: d el ceppo orig inario, ant ico. F i lò : v eg lia nella st alla ( i m asch i spesso g iocav a

a cart e; le d onne conv ersav ano sf erru -z and o) .

g r è a: d eriv at a, per ab b rev iaz ione, d a « crì ola » o « cré ola », u na g rand e cest a d i v im ini ch e, rov esciat a, serv iv a d a st ia per i pu lcini.

2 48

i p u t éi n o f a car est ì a: i b am b ini ch e v eng ono al m ond o non port ano f am e.

i n có r t e: all’ apert o ( « v a f ò ra in có rt e », v a’ f u ori all’ apert o! )

i n v i aj o : in arriv o; si d ice d i f ig lio in g est az ione. L a M ar ca: la M arca t rev ig iana. L a V eg r a: «t erra arid a, incolt a, sassosa». L ì ssi a: ranno, b u cat o; acq u a b ollent e passat a per

la cenere d u rant e il b u cat o. M ad è g o : celib e, ad u lt o non sposat o. M an à r e: plu rale d i « m anà ra », scu re. M à t a: la paz z a; d et t o d i anim ale irreq u iet o, ner-

v oso, om b roso. mér i can a: am ericana. M essù r e: plu rale d i « m essù ra » ch e è v ariant e d i «

m essò ra », f alcet t o per m iet ere. mo n a: st u pid o, cret ino; int rad u cib ile rim ane il

senso part icolare ch e la parola assu m e nel V enet o.

M ò r e: f ru t t o d el g elso ( «m ora d e m oraro») e d el rov o ( «m ora d e ru ssa») .

n o g à r e: plu rale d i « nog à ra », alb ero d el noce. O mét i : soprannom e, « m é nd a » d i f am ig lia; o met t o : at t accapanni e, anch e, palet t o d el carro. ó n g ar i : U ng ari, popolaz ione b arb arica. P i an t e: plu rale d i « piant a », at t rez z o d i f erro u sa-

t o d al f alciat ore; d ot at o d i d u e est rem it à , d i cu i u na appu nt it a, d a piant are per t erra; su ll’ alt ra, a t re sf accet t at u re, si appog g iav a la lam a d ella f alce per rif arne il f ilo, col-

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pend ola con u n t ipico m art ello a d u e t e-st e.

p ò r t eg o : port ico. P r ì e: piet ra per af f ilare, cot e. r asen t ì n : g occet t o d i g rappa o d i cord iale, d a b ere

sorb end olo d alla t az z ina con cu i si è ap-pena preso il caf f è ( d a «rasent à re», risciacq u are) .

R è b i : soprannom e, «m é nd a» d i f am ig lia; et im o incert o.

r i v ar à ch el d ì … sacr an ó n ! : arriv erà q u el g iorno… [ im pre-caz ione] ( «sacranó n» è t erm ine occu lt at iv o d i «sacram ent o») .

R o st ó n : f ossat o principale d a cu i d iram ano f ossi con m inore port at a d ’ acq u a.

S i ésa: d oppio f ilare d i alb eri ( pioppi o rob inie) , d ispost i ai lat i d i u n f ossat o o d i u na rog -g ia.

so p r è sse: salam oni. sv i t e: raz z a d i v acch e. t è z a: f ienile; t et t oia ch e ripara il f ieno. T ó d esco : t ed esco. T u r ch i : soprannom e, « m é nd a » d i u na o più f a-

m ig lie. U n g ar è t i d e L i x à n d r i a: U ng aret t i G iu seppe, poet a nat o

ad A lessand ria d ’ E g it t o. v eci ò t a: anz iana - «la m é v eciò t a», la m ia v ecch iet -

t a, la com pag na d ella v it a ( nell’ u so f am iliare d el t erm ine) .

I N D I C E

C apit olo 1 p. 3 C apit olo 2 p. 2 4 C apit olo 3 p. 3 7 C apit olo 4 p. 4 9 C apit olo 5 p. 7 0 C apit olo 6 p. 8 3 C apit olo 7 p. 9 4 C apit olo 8 p. 1 0 2 C apit olo 9 p. 1 1 0 C apit olo 1 0 p. 1 2 7 C apit olo 1 1 p. 1 4 3 C apit olo 1 2 p. 1 4 9 C apit olo 1 3 p. 1 6 1 C apit olo 1 4 p. 1 7 0 C apit olo 1 5 p. 1 8 2 C apit olo 1 6 p. 1 9 6 C apit olo 1 7 p. 2 1 0 C apit olo 1 8 p. 2 2 4 C apit olo 1 9 p. 2 3 5 G lossario p. 2 4 0 I nd ice p. 2 4 5

L a v icend e narrat e sono realm ent e accad u t e. P ersonag g i e lu og h i, anch e q u elli d escrit t i con m ag g iore d ov iz ia d i part icolari, sono ricav at i d ella f ant asia. C iò sia d et t o s in e d et r imen t o per q u est ’ u lt im a: cred o sia d a t u t t i cond iv isib ile ch e i m ond i port at i alla lu ce d alla creaz ione let t era-ria prend ono v it a solo se il L et t ore ne ev oca l’ esist enz a. C on la f ant asia, appu nt o.