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Giovanni Casertano et al. ELEATICA 2011: Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone

La doxa appare? Nota a DK 28 B1, 28-32 e B8, 51-61, in: G. Casertano et al., Eleatica 2011: Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone, ed. by F. Gambetti \u0026 S. Giombini, Sankt

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Giovanni Casertano et al. ELEATICA 2011:

Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone

Eleatica, vol. 4

Series editors: Livio Rossetti (Perugia),

Massimo Pulpito (Taranto)

Volume 1

Giovanni Casertano et al.

ELEATICA 2011: Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone

A cura di Francesca Gambetti e Stefania Giombini

Academia Verlag Sankt Augustin

Questo volume è stato realizzato con il contributo erogato dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo –

Direzione Generale Biblioteche, Istituti Culturali e Diritto d'autore.

Illustration on the cover: Mosaico dei filosofi (part.)

Museo Archeologico Nazionale di Napoli

Series and book published by agreement with the Fondazione Alario per Elea-Velia onlus, Ascea (SA)

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der

Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.ddb.de abrufbar.

ISBN 978-3-89665-675-9

1. Auflage 2015

© Academia Verlag Bahnstraße 7, D-53757 Sankt Augustin

Internet: www.academia-verlag.de E-Mail: [email protected]

Printed in Germany

Ohne schriftliche Genehmigung des Verlages ist es nicht gestattet, das Werk unter Verwendung mechanischer, elektronischer und anderer Systeme in

irgendeiner Weise zu verarbeiten und zu verbreiten. Insbesondere vorbehalten sind die Rechte der Vervielfältigung – auch von Teilen des Werkes – auf

fotomechanischem oder ähnlichem Wege, der tontechnischen Wiedergabe, des Vortrags, der Funk- und Fernsehsendung, der Speicherung in

Datenverarbeitungsanlagen, der Übersetzung und der literarischen und anderweitigen Bearbeitung.

Indice

From Parmenides to Plato: an overview (Francesca Gambetti and Stefania Giombini) ..................................................... 7 Da Elea ad Atene: verità, linguaggio, politica (Francesca Gambetti e Stefania Giombini) .......................................................... 15 Da Parmenide di Elea al Parmenide di Platone (Giovanni Casertano) ............................................................................................... 43 I Parmenide e i dibattiti scientifico-filosofici del V secolo .............................. 45 II Protagora e Gorgia: una ‘deriva’ del parmenidismo?....................................... 45 1. Il crinale sofistico del parmenidismo: Protagora ....................................... 45 2. Il crinale sofistico del parmenidismo: Gorgia ........................................... 55

3. Ancora Gorgia su verità ed errore................................................................. 65 III Platone: né confusione né separazione tra linguaggio e realtà ..................... 78 1. La duplice discendenza parmenidea ............................................................. 78 2. Il Parmenide..................................................................................................... 79 3. Il Sofista ............................................................................................................ 88 Bibliografia essenziale ............................................................................................. 121 Il dibattito .................................................................................................................. 127

L’insoutenable poids des ‘absences’ dans l’interprétation parménidienne de Casertano (Néstor-Luis Cordero) ................................................................ 129 Essere, pensare, nominare: alcune riflessioni su Gorgia e Platone (Maria Carmen De Vita) ................................................................................... 136 τὸ ἐόν, τὸ πᾶν e «quelle che uno può ritenere che siano idee» (Parm. 135e3-4) (Sergio Di Girolamo)…………………………………. 141 L’essere (e il non essere) nel Parmenide di Platone (Franco Ferrari) ..... 148 Sulla natura del genere del diverso nel Sofista (Francesco Fronterotta). . 153 Il tradimento di Platone (Francesca Gambetti) ............................................. 159 Per un profilo di Gorgia (Stefania Giombini) ................................................ 165

Logica e dialogica. Analogia e dialettizzazione della realtà nel pensiero platonico (Silvio Marino) .................................................................................. 169 Commento alle lezioni eleatiche di Gianni Casertano (Lidia Palumbo).... 176 La versione di Seniade e il parricidio performativo di Platone (Massimo Pulpito) .............................................................................................. 182 Il Κοῦρος diventa maestro: note sull’incontro tra Socrate e Parmenide (Sofia Ranzato) .................................................................................................... 192

6 Indice

Itinerários das ideias (Fernando Santoro) ...................................................... 199 La δόξα appare? Nota a DK 28B1,28-32 e B8,51-61 (Alessandro Stavru) ............................................................................................ 206 Le repliche (Giovanni Casertano) .................................................................... 211

Gli autori .................................................................................................................... 231

La δόξα appare? Nota a DK 28 B1,28-32 e B8,51-61

Alessandro Stavru

Uno dei temi più controversi e discussi degli studi parmenidei è senza dubbio quello della δόξα. Negli ultimi cinquant’anni si sono succedute le interpretazioni più disparate: tale nozione è stata interpretata ora come un puro inganno, ora come la migliore spiegazione possibile di un mondo eo ipso ingannevole come quello delle apparenze, ora come l’errore ‘minimo’ che inevitabilmente inficia ogni tenta-tivo di spiegare il mondo sensibile, ora come un complemento necessario alla ἀλήθεια, in mancanza del quale quest’ultima non potrebbe essere còlta o, ancor più radicalmente, non potrebbe affatto manifestarsi. Una simile difformità di giudizio pone evidenti difficoltà; il presente intervento non si propone di far luce su tali interpretazioni, bensì di metterne in luce l’intrinseca problematicità prendendo spunto dalle riflessioni formulate in proposito da Giovanni Casertano sin dal suo volume del 19781.

Con la difficoltà nella quale si dibattono gli studiosi moderni si confrontarono anche gli Antichi, per lo meno sin dai tempi di Platone. Oltre al Parmenide e al Sofista, sono diversi i dialoghi in cui ritroviamo chiare ascendenze parmenidee. Particolarmente evidente è in proposito un passo della Repubblica (477a-480a), nel quale la distinzione ἐπιστήμη-δόξα si articola in funzione della contrapposizione tra i φιλόδοξοι e i φιλόσoφοι delineata a conclusione del V libro. Come è stato opportunamente osservato, Platone è qui pronto a riconoscere alla δόξα un ruolo intermedio tra essere e non-essere (477a-b), il quale pone evidenti difficoltà a una lettura rigidamente dualistica del proemio parmenideo. Altri luoghi platonici sem-brano confermare questa posizione della δόξα, il cui carattere decettivo risiede non

-------------------------------------------- 1 In particolare, il presente saggio prende spunto dalle riflessioni formulate da Casertano nel suo

libro Parmenide il metodo la scienza l’esperienza, Napoli 1989 [19781], poi riproposte dallo studioso in anni più recenti, ad es. in Verdade e erro no poema de Parmênides, «Anais de Filosofia Clásica», 1 (2007), pp. 1-16. Secondo Casertano, «la cosiddetta seconda parte del proemio parmenideo non cont e-neva affatto una esposizione degli ‘errori’ degli uomini comuni o dei filosofi ai quali l’Eleata si oppo-neva, ma al contrario un διακόσμος perfettamente organizzato delle dottrine proprie di chi scriveva»;; «la nostra tesi […] è che Parmenide abbia distinto un discorso vero, certo, da un discorso verosimile, probabile, assumendo una posizione analoga a quella che Einstein espresse nella sua famosa massima ‘Se è certo, non è fisica;; se è fisica, non è certo’ […] Il discorso verosimile, probabile, riguarda il mon-do delle esperienze umane ed è appunto il tentativo di introdurre in esse un ordine, una regolarità, una coerenza (sulla base dell’ipotesi assunta), senza i quali esse ci apparirebbero come un informe ammasso di dati» (Parmenide il metodo, cit ., pp. 211-213; ibid., p. 205).

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nella sua manifesta falsità, ma al contrario nella non-consapevolezza di falsità che sempre l’accompagna: colui che è in preda della δόξα lo è soprattutto perché non se ne rende conto, pensando di trovarsi dalla parte della ἀλήθεια (cfr. ad es. Resp. II 380d-382a). È infatti noto che Platone pone, accanto alla δόξα falsa, anche una δόξα ‘utile’ e da questo punto di vista anche ‘vera’, come dimostra ad esempio tutta la seconda parte del Teeteto.

I passi aristotelici sembrano confermare questa natura ambivalente della δόξα parmenidea. In Metafisica A (986b28-33) veniamo a sapere che se per un verso l’Eleate è «costretto a credere» (ἐξ ἀνάγκης οἴεται) che «l’essere è uno e niente altro», per un altro è «costretto a seguire i fenomeni» (ἀναγκαζόμενος δ’ἀκολουθεῖν τοῖς φαινομένοις), e quindi «a supporre che mentre l’uno è secondo il discorso» (κατὰ τὸν λόγον) «i molti sono secondo la sensazione» (κατὰ τὴν αἴσθησιν). Ciò lo porta a porre, oltre all’essere-uno, anche due cause e due principi, il caldo e il freddo. Ora, senza voler entrare nel merito della forzatura che Aristote-le compie nei confronti di Parmenide (come peraltro anche di molti altri suoi pre-decessori), riducendo il suo pensiero a una dottrina dei contrari, risulta con eviden-za come per lo Stagirita la concezione parmenidea sia intrinsecamente ambivalen-te, tale da presupporre, accanto ad un piano puramente ontologico, un piano fen o-menico, il quale deve a sua volta essere inteso in due modi: κατὰ λόγον, e dunque unitariamente; o altrimenti κατὰ αἴσθησιν, e pertanto pluralisticamente.

Ritroviamo una distinzione simile nei successori di Aristotele, primo fra tutti Teofrasto (Phys. I [= Alex. In Metaph. p. 31, 10-14 Hayduck]). Questi scrive che Parmenide «asseverò (ἀποφαίεται) l’eternità del tutto e rese conto (ἀποδιδόναι) della generazione: ci provò opinando (δοξάζων) a proposito di entrambi in modo non omogeneo (οὑκ ὁμοίως): suppose infatti che mentre secondo verità (κατ’ ἀλήθειαν) il tutto è uno, ingenerato e sferico, secondo opinione (κατὰ δόξαν) – per rendere conto (ἀποδοῦναι) della generazione dei fenomeni (τὸν φαινόμενον) – pose delle molte cose i principi del fuoco e della terra, il primo come materia, il secondo come causa e produzione». Qui troviamo un’ulteriore articolazione rispe t-to ad Aristotele. Le distinzioni sono molteplici: in primo luogo, tra l’eternità del tutto e la generazione; in secondo luogo, tra le diverse azioni che la conoscenza di questi due ambiti presuppone, e cioè da un lato l’asseverare (ἀποφαίεται) dall’altro il render conto (ἀποδιδόναι). Questi due momenti trovano una conciliazione nell’opinare (δοξάζων) attribuito da Teofrasto allo stesso Parmenide – dunque in una δόξα innegabilmente protesa verso la conoscenza, e in quanto tale apparente-mente lontana dalla δόξα βροτῶν che ritroviamo nel poema (fr. 1 e 8). Veniamo inoltre a sapere che tale δόξα non è omogenea. Sulla falsariga di Aristotele essa trova applicazione in due modi: κατ’ ἀλήθειαν e κατὰ δόξαν. Teofrasto sembra qui rifarsi direttamente a Parmenide, il quale distingue appunto tra questi due ambiti; tuttavia, l’ascendenza aristotelica della sua testimonianza emerge subito dopo,

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quando egli distingue tra l’uno e le molte cose, e soprattutto quando riporta l’ambito della δόξα a quello della generazione dei fenomeni.

Si rifà ad Aristotele anche Simplicio (In Arist. Phys. IX 38, 20-28 Diels), auto-re neoplatonico al quale dobbiamo la citazione di larghe porzioni del poema di Parmenide. Anche qui la questione della δόξα è in primo piano. Simplicio mostra di avere piena consapevolezza del travisamento aristotelico, poi mutuato dal suo commentatore Alessandro di Afrodisia: «[Parmenide] – dice [Alessandro] – disegnando una fisica secondo l’opinione (δόξαν) dei molti e secondo i fenomeni (τὰ φαινόμενα), senza dire più né che l’essere è uno né che è ingenerato, pose co-me principi delle cose soggette al divenire il fuoco e la terra, avendo supposto che la terra fungesse da materia e il fuoco da causa produttiva; e chiama – dice [Ales-sandro] – il fuoco luce, la terra tenebra. Se Alessandro accoglie (ἐξεδέξατο) l’espressione ‘secondo l’opinione (κατὰ δόξαν) dei molti e secondo i fenomeni (τὰ φαινόμενα)’ così come vuole Parmenide quando chiama il sensibile (τὸ αἰσθητόν) ciò che è massimamente opinabile (δόξαστον), va bene;; ma se considera quei d i-scorsi completamente falsi e se ritiene che la luce o il fuoco siano chiamati causa produttiva, non va affatto bene».

Simplicio corregge dunque Alessandro – e implicitamente anche Aristotele – proprio in riferimento alla questione della δόξα. L’errore aristotelico consiste s e-condo Simplicio nell’aver attribuito a Parmenide un’interpretazione della realtà fenomenica a partire da cause produttive, mentre l’intento dell’Eleate appare piu t-tosto limitato a conferire la massima ‘visibilità’ alla δόξα laddove questa è connes-sa all’ambito dell’αἴσθησις. E questo ambito non è quello dell’errore, come Ales-sandro sembra suggerire, bensì di un’opinione che è tanto più verosimile – e dun-que tanto più ‘convincente’ – quanto più forte è il legame che la connette con il mondo sensibile. Da questo punto di vista, la δόξα appare come una irrinunciabile modalità di conoscenza della realtà fenomenica, la cui affidabilità non rischia di essere pregiudicata dalla sua provenienza sensibile e molteplice.

Questa precisazione trova ulteriore esplicazione in un altro passo di Simplicio (In Arist. De cael. VII 557, 21-23 Heiberg), nel quale egli afferma che gli Eleati distinguono due ambiti, e precisamente quello di «ciò che è effettivamente esisten -te, cioè l’intellegibile» (τὴν μὲν τοῦ ὂντος τοῦ νοητοῦ) e quello della «percezione della generazione» (τὴν δε τοῦ γινομένου τοῦ αἰσθητοῦ). Quest’ultimo ambito si caratterizza rispetto al primo per il fatto che «non è degno di essere chiamato vera-cemente ‘essere’» (ὃπερ οὐκ ἠξιοῦν καλεῖν ὂν ἀληθῶς), «bensì qualcosa che appa-re ‘essere’» (ἀλλὰ δοκοῦν ὄν). Vi è dunque una differenza sostanziale tra la cono-scenza noetica e quella sensibile: la prima si occupa di enti realmente esistenti, mentre la seconda è rivolta a enti soggetti al divenire, la cui esistenza è priva di permanenza e pertanto solo apparente. La parola che viene a definire tale apparen-za (δοκοῦν) rimanda in modo significativo alla δόξα, permettendo di cogliere un ulteriore nesso: quello tra la sfera dell’opinione, che abbiamo visto essere legata al

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sensibile e dunque anche al modo in cui essa ‘viene percepita soggettivamente’ dall’uomo, e il modo in cui l’essere ‘appare’ eo ipso, al di fuori di ogni ‘mediazio-ne’ o ‘comprensione’ umana. Si tratta di un nesso che non è soltanto di natura semantica2, e che permette di concludere questo breve giro d’orizzonte tornando a Parmenide.

Negli autori fin qui presi in esame (Platone, Aristotele, Teofrasto, Simplicio) viene dunque attribuito alla δόξα un ruolo irrinunciabile nel processo conoscitivo. Emergono così alcuni problemi sostanziali in riferimento ai frammenti 1 e 8 del poema Sulla Natura:

1) Al termine della sua disamina della ἀλήθεια, la dea esorta il poeta a prende-re consuetudine con tutto, e cioè sia con «il cuore incrollabile della verità ben ton-da», sia con le δόξαι dei mortali «prive di vera certezza» (DK 28B1,28-30). Nel fr. 8 la dea rivolge un ulteriore appello ad apprendere le δόξαι βροτῶν, e senza mezzi termini dichiara che queste provengono dalle sue parole, le quali formano un κόσμος ingannevole (DK 28B8,50-52). Infine, al termine dello stesso fr. 8, ella rivela che il suo διάκοσμον è verosimile (ἐοικότα) ‘affinché’ (ὡς) nessuna nozione mortale possa mai sviare il poeta. Dunque la dea nel dichiarare il suo inganno pa-radossalmente non inganna, ma al contrario fornisce al poeta gli strumenti per cogliere la natura di tale inganno e sfuggire ad esso.

La δόξα svolge pertanto una funzione irrinunciabile, collocandosi al centro del processo di apprendimento. In altre parole, la conoscenza non può prescindere dalla δόξα della dea, in quanto essa, benché priva di verità, da un lato costituisce un’indispensabile integrazione dell’orizzonte delle cose in cui è necessario credere (πάντα πυθέσται), dall’altro fornisce gli strumenti per cogliere la natura ingannevo-le di tutto quel che i mortali sono in grado di concepire. Ciò sembra trovare con-ferma in quanto si è potuto vedere da Platone a Simplicio, dove la δόξα riveste un ruolo fondamentale in ordine al processo conoscitivo. Viene a questo punto da domandarsi se l’esegesi antica della δόξα, volta a metterne in luce gli aspetti pos i-tivi accanto a quelli negativi, costituisca per davvero un ‘tradimento’ della conce-zione parmenidea, come da più parti si va oggi sostenendo.

2) Tale interrogativo implica un altro punto problematico, dal quale consegu o-no ulteriori domande. La δόξα parmen idea ha a che vedere con la conoscenza sen-soriale o con i fenomeni, come da Aristotele in poi sembra assodato? In altre paro-le, la δόξα concerne il modo in cui l’uomo percepisce la realtà, o non anche – e

-------------------------------------------- 2 La parentela tra le nozioni di δόξα e δοκεῖν è stata rilevata a più riprese dalla critica (cfr. G.E.L.

Owen, Eleatic Questions, «Classical Quarterly», 10 (1960), pp. 84-102; F. Trabattoni, Parmenide, fr. 1, 31-32, «Hyperboreus», 4 (1998), pp. 5-21; H.-C. Günther, Aletheia und Doxa. Das Proömium des Gedichts des Parmenides, Berlin 1998; S. Maso, La dea accoglie e parla, in L. Ruggiu & S. Natali (eds.), Ontologia scienza mito. Per una nuova lettura di Parmenide, Milano 2012, pp. 247-256 e 248-249). Osserva opportunamente Trabattoni come alla base di tali nozioni vada presupposta la radice indoeuropea *dek-, il cui significato originario rimanda all’atto con cui una cosa viene ‘riconosciuta’ dall’uomo e dunque ‘accolta’ come vera.

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forse soprattutto – la ‘struttura manifestativa’ della realtà, la quale prescinde dal modo in cui l’uomo la percepisce? E infine, se si dà per buona quest’ultima ipotesi, è lecito ridurre la seconda parte del poema a un resoconto ‘doxastico’ nel quale la pluralità prevale sull’unità, e i principi della luce e della tenebra su quelli ‘ontolo-gici’ formulati espressamente nella prima parte? Non occorrerebbe invece compie-re il percorso inverso, in modo da guadagnare una prospettiva sulla dimensione ‘aletica’ della prima parte a partire dagli elementi ‘doxastici’ formulati al termine del fr. 1?

3) Si è visto come la testimonianza di Simplicio permetta di individuare una coincidenza tra la δόξα in quanto opinione ‘soggettiva’ e il δοκεῖν in quanto appa-renza ‘oggettiva’ dell’essere. Tale sovrapposizione si può riscontrare anche al termine del fr. 1 (DK 28B1,28-32), laddove la dea, dopo avere esortato il poeta a prendere consuetudine con ogni cosa (πάντα πυθέσται), e cioè oltre che con il cuo-re incrollabile della verità ben tonda anche con la δόξα dei mortali, aggiunge (ἔμπης) che egli dovrà apprendere anche queste cose (ταῦτα), e cioè che sarebbe stato necessario (χρῆν) che le apparenze (τὰ δοκοῦντα) fossero verosimilmente (δοκίμως) dappertutto, pur tutte restando (περ’ ὄντα). Salta qui agli occhi l’affinità etimologica tra δόξα, δοκοῦντα e δοκίμως, al punto che viene da chiedersi se alle traduzioni correnti, quasi tutte tese a introdurre il principio della variatio nella resa dei tre termini, non sia piuttosto da preferire una versione più aderente all’uni-formità che è dato riscontrare nel testo3. Se infatti sussiste un nesso non soltanto semantico tra queste nozioni, come a conclusione di questa nota è ormai lecito ammettere, ci si può anche chiedere se l’ambivalenza che da Platone in avanti viene a caratterizzare la δόξα non abbia la sua origine proprio nelle differenti sfac-cettature che questa nozione sembra assumere negli ultimi versi del Proemio par-menideo. Freie Universität Berlin

-------------------------------------------- 3 Tale potrebbe essere ad esempio la resa di δόξας con ‘apparenze’, di δοκοῦντα con ‘le cose che ap-

paiono’, e di δοκίμως con ‘apparentemente’. Particolarmente apprezzabile in tal senso il tentativo di H.-C. Günther, cit., il quale traduce, conformemente all’etimologia δόξα-δοκοῦν da δέχομαι (‘accettare’): «Annahmen […] was man annimmt […] in annehmbarer Weise» (p. 64).