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Indigeni ad Himera ? Il ruolo dei Sicani nelle vicende della colonia (2014)

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ISBN 978-88-7478-036-5

9 788874 780365

Quaderni del Centro Studi Magna Grecia18

Segni di appartenenza e identità di comunità nel mondo indigeno

atti del Seminario di Studi

napoli 6-7 luglio 2012

a cura di Giovanna Greco e Bianca Ferrara

naus editoria2014

UniverSità deGli StUdi di napoli FederiCo iidipartiMento di StUdi UManiStiCi

Centro interdipartiMentale di StUdi per la MaGna GreCia

Quaderni del Centro Studi Magna Grecia, collana a cura di Giovanna Greco.Centro interdipartimentale di Studi per la Magna Grecia, dipartimento di Studi Umanistici, Università degli Studidi napoli Federico ii

Comitato scientifico del volume

J. de la Genière, verena Gassner, Carlo Gasparri, Giovanna Greco, Marco pacciarelli

Redazione scientifica

luigi Cicala, Bianca Ferrara, luigi vecchio

i volumi della collana sono sottoposti al Consiglio Scientifico del Centro interdipartimentale di Studi perla Magna Grecia e al processo di peer review, affidato a specialisti anonimi, la cui documentazione è dis-ponibile presso l’editore.

Progetto grafico e realizzazione

naus editoria

Stampa

officine Grafiche Francesco Giannini & figli S.p.a., napoli

Copyright © napoli 2014. naus editoria, www.naus.it

1. identità. 2. necropoli. 3. Comunità indigene. 4. Cultura materiale

iSBn 978-88-7478-036-5

è severamente vietata la riproduzione parziale o totale del testo e delle immagini.

Hanno collaborato alle attività redazionali di questo volume Marialucia Giacco e Maria luisa tardugno.

5

Giovanna Greco

introduzione

alfonso Mele

ausoni e ausonia

Paolo Poccetti

indizi e aspetti dell’identità nel mondo indigeno della Magna Grecia

Campania

Pier Giovanni Guzzo

Dalle fibule all’identità? il caso di Pithecusa

Pia criscuolo

la tomba osta 4 di cuma: un esempio di deposizione femminile di alto rango

antonella toMeo

forme di interazione a cuma sullo scorcio dell’viii sec. a.c.

Marzia Del villano

la Doppelhenkelkanne: una forma per definire un’identità di appartenenza?

Marialucia Giacco

il territorio dell’antica Rufrae: la stipe votiva in località cappelluccia

teresa elena cinquantaquattro

Processi identitari e fenomeni di mobilità in campania: etruschi e indigeninell’agro Picentino

Marianna franco

una bulla aurea dall’edificio quadrato all’Heraion alla foce del sele: segni diidentità e di interferenze culturali tra ambito etrusco, greco e romano

Bianca ferrara

roscigno, Monte Pruno. segni di trasformazione nell’insediamento tra la finedel v e il iv sec. a.c.

Maria luisa tarDuGno

una comunità nel vallo di Diano: caratteri identitari di atena lucana

7-12

13-43

45-73

75-87

89-100

101-114

115-126

127-149

151-167

169-182

183-233

235-257

indice

259-271

273-289

291-328

329-343

345-354

355-368

369-383

385-397

399-402

6

Basilicata

MassiMo osanna

Gli italici dell’appennino lucano centro-settentrionale: un popolo (senzanome) e il suo territorio

Giuliana soPPelsa

caratteri culturali della comunità del pianoro di serra di vaglio (Pz) nel visec. a.c.

Giovanna Greco

intorno al complesso funerario-cultuale della tomba 68 di serra di vaglio: laricostruzione del contesto

Puglia

Grazia seMeraro

le comunità indigene delle Murge salentine

Gert Jan BurGers

identità di comunità nel mondo indigeno del salento e il caso studio dil’amastuola

Sicilia

stefano vassallo

indigeni ad Himera? il ruolo dei sicani nelle vicende della colonia

francesca sPatafora

formazione e caratteri identitari delle comunità indigene nella sicilia occi-dentale

rosalBa Panvini

caratteri identitari di un centro indigeno dell’entroterra siciliano: le necropolidi sabucina

Risultati e prospettive

Maria BonGHi Jovino

riflessioni intorno a un seminario federiciano

1 CASTELLAnA 1980, 71-76.2 ADRIAnI 1970, 10.3 MAnnI 1971, 95.4 numerosi sono i contributi recenti su queste tematiche, sia per il problema dell’influenza indigena nella vita della

colonia, sia riguardo al livello della penetrazione culturale e “politica” di Himera nella Sicilia centro-settentrionale:

Indigeni ad Himera? è il titolo di un articolo di Giuseppe Castellana, scritto più ditrenta anni fa, dopo la prima grande stagione di scavi dell’Istituto di Archeologia diPalermo nell’abitato della città alta di questa colonia. In quel contributo, lo studioso siponeva il problema se i frammenti di ceramica indigena, rinvenuti negli strati arcaici dellecase, potessero in qualche modo attestare «che nell’abitato imerese fossero presenti nucleidi popolazione indigena che i coloni avrebbero trovato sul posto al momento della fonda-zione della città, con i quali sarebbero venuti a patti»1.

Tale ipotesi, collegata anche ai tanti dubbi espressi da Achille Adriani, sulla possi-bile presenza di un insediamento indigeno prima della fondazione greca2, o all’ipotesi diEugenio Manni circa un collegamento di Sakon, uno dei tre ecisti ricordati da Tucidide,con l’elemento indigeno3, non mancò di suscitare, nei dibattiti sui temi imeresi, decise rea-zioni, come se parlare dell’ingombrante presenza dell’elemento indigeno in una poliscoloniale potesse minacciare l’integrità della componente etnica e culturale greca.Probabilmente, a causa delle scarse conoscenze archeologiche sul mondo indigeno, maanche sulla stessa Himera, i tempi non erano maturi per analizzare con obiettività quellostraordinario fenomeno di trasformazioni che si andarono innestando nell’area dellaSicilia centro-settentrionale dopo la fondazione, nel 648 a.C., della colonia, avviando pro-fondi cambiamenti nel tradizionale tessuto indigeno sicano ma, allo stesso tempo, contri-buendo a fare crescere e maturare in terra straniera la nuova città greca.

Anche il significato e la portata della penetrazione politica e culturale di Himera,così come di tante altre città siceliote, venivano proposti negli studi sulla colonizzazionedell’isola in un’ottica assai diversa da quella con cui se ne parla oggi. Le poleis erano con-siderate - soprattutto nei primi decenni di vita - come organismi chiusi in se stessi, pocopermeabili all’influenza e ai contatti con il mondo indigeno, con una visione della choracoloniale valutata, talvolta, per fasi cronologiche di avanzamento in relazione a successi-ve porzioni di territorio che, come anelli concentrici, si andavano estendendo dai siti colo-niali, sulla costa, verso l’entroterra.

Dopo decenni di nuove ricerche condotte dalla Soprintendenza e dall’Università diPalermo, sia nel tessuto urbano di Himera e nelle sue necropoli, sia in alcuni insediamen-ti dell’entroterra, è possibile proporre una più attenta e serena lettura dei complessi feno-meni legati ai rapporti tra Indigeni e Greci; nella mia relazione proverò ad analizzare,soprattutto sulla base di puntuali rinvenimenti dei materiali indigeni nella colonia, possi-bili linee di interpretazione e di comprensione di queste problematiche4.

Stefano Vassallo

355

Indigeni ad Himera? Il ruolo dei

Sicani nelle vicende della colonia

È opportuno, a scanso di equivoci, ribadire che Himera nacque e morì greca5. Grecisono tutti i parametri culturali che caratterizzano gli aspetti fondamentali della città, daicostumi funerari, all’urbanistica, all’architettura, alle produzioni artistiche; tuttavia, èaltrettanto lecito chiedersi in quale misura il contatto con le popolazioni indigene presen-ti nel territorio della nuova colonia contribuì alla sua crescita e al suo sviluppo sociale edeconomico6.

Al momento, non abbiamo dati per ipotizzare, come proposto da GiuseppeCastellana, la preesistenza nel sito coloniale di un insediamento indigeno prima della suafondazione, nel 648 a.C.7; ma anche se lo spazio urbano non venne strappato con la vio-lenza dai Greci agli Indigeni, come invece accadde, ad esempio, nel caso di Siracusa8,sono ormai numerosi gli elementi che rivelano forme di contatto con i Sicani nel sito dellacolonia, fin dalla seconda metà del VII sec. a.C. Dati e riferimenti archeologici documen-tano tra Greci e Indigeni una certa familiarità, che non può sorprendere se consideriamoche tra tutte le colonie siceliote, Himera è quella più isolata, sulla costa tirrenica, a con-tatto con un entroterra indigeno straordinariamente vasto (fig. 1), occupato da popolazio-ni locali per le quali la nuova colonia dorico-calcidese fu il più diretto e forte polo grecodi riferimento culturale, politico ed economico.

Il panorama dei rinvenimenti di materiali indigeni a Himera presenta una distribu-zione diversificata in vari luoghi della città, una circolazione che riflette, a nostro parere,

BELVEDERE 2001, 705-755; VASSALLO 2002, 37-43; VASSALLO 2003, 1344-1356; ALLEGRO-FIORENTINO

2010, 511-527; BELVEDERE 2010; VASSALLO 2010, 41-53; VASSALLO c.s. a.5 Su questo aspetto: BONACASA 1981, 322. 6 VASSALLO 2010, 41-53, più in generale, sul problema degli “indicatori” archeologici indigeni nei contesti colo-

niali: TROMBI 2002, 91-118; ALBANESE PROCELLI 2010, 501-508.7 CASTELLANA 1980, 74. Il problema è ripreso in VASSALLO 2010, 43-45 e in ALLEGRO-FIORENTINO 2010,

518, in cui si sostiene come, sulla base dei dati archeologici, sia al momento da escludere un’occupazione da parte

indigena prima della fondazione della colonia.8 Th., VI 3, 2.

1. Himera e il

contesto delle

vallate del suo

entroterra con i

principali

insediamenti

indigeni di età

arcaica e

classica.

2. Il sito di

Himera: la stella

indica i luoghi di

rinvenimento di

materiali indigeni.

356

proprio per la diversità dei contesti topografici, anche modalità e significati da interpreta-re differentemente. In sostanza, sono attestati prodotti indigeni sia nell’abitato, sia nellearee sacre, sia nelle necropoli (fig. 2).

1. Abitato

Negli scavi degli isolati I-III della città alta, sistematicamente esploratidall’Università di Palermo9, due sono gli aspetti più significativi da collegare alla presen-za di materiali indigeni. In primo luogo la cronologia; tutti i frammenti si trovavano neglistrati precedenti la trasformazione urbanistica della città, databile in questo settore dell’a-bitato nel secondo quarto del VI sec. a.C.; questi materiali erano, quindi, in uso tra laseconda metà del VII e i primi decenni del VI sec. a.C. Secondo dato da evidenziare è laloro distribuzione che, in questo settore dell’abitato, appare uniforme, sintomo che si trat-ta di vasi utilizzati diffusamente nelle case delle prime due o tre generazioni di Imeresi10

(fig. 3). È attestata ceramica sia a decorazione impressa e incisa, sia dipinta; prevalgonole forme aperte: scodelle, scodelle carenate, brocche e anfore, orci e una tazza attingitoio11;una discreta varietà di tipi che documenta, comunque, le più consuete tipologie presentinei coevi insediamenti indigeni della Sicilia centro-occidentale12.

357

9Himera 1970; Himera 1976; Himera 2008.

10 Sull’interpretazione del dato numerico e sulla distribuzione dei frammenti nel tessuto abitativo: VASSALLO 2003,

1347; ALLEGRO-FIORENTINO 2010, 518.11 Per i frammenti editi nella prima edizione di scavo: Himera 1976, 69-70, 177-178, 319-320, 433-434. Una revi-

sione dei dati è in ALLEGRO 2008, 211-220.12 I complessi di ceramica indigena più noti da pubblicazioni in questo settore centro-settentrionale della Sicilia occi-

dentale, cui si può fare riferimento, sono quelli di Monte Maranfusa (SPATAFORA 2003 b, 109-156; CAMPISI

2003, 157-228) e Colle Madore (VASSALLO 1999 a, 122-136; TARDO 1999, 137-159). Più in generale, sulla cera-

mica indigena decorata, con ampia bibliografia: SPATAFORA 1996, 91-110; TROMBI 1999, 275-293.

Molto meno numerosi sono i materiali indigeni provenienti dall’abitato della cittàbassa, ma il dato non appare confrontabile, dal momento che in tutto questo settore dellacolonia sono stati finora realizzati soltanto sporadici saggi in profondità; si tratta di pochedecine di metri quadrati, rispetto agli oltre 6000 m2 esplorati fino al terreno vergine degliisolati I-III della città alta; tuttavia non mancano nella città bassa frammenti di ceramicaindigena, con decorazione dipinta; va inoltre segnalata la significativa presenza di unafibula indigena bronzea, di tipo Finocchito, databile nel VII sec. a.C.13

Per cercare di spiegare una distribuzione tanto uniforme di ceramica indigena nel-l’abitato proto-arcaico della città alta, è utile considerare che si tratta di vasi impiegatisoprattutto nel consumo quotidiano dei cibi e delle vivande; prevalgono, infatti, le formeaperte (ciotole e scodelle). Come segnalato da nunzio Allegro, la loro percentuale non èelevata rispetto alla ceramica comune di produzione greca14, tuttavia va evidenziato chenelle case delle prime generazioni di Imeresi la dotazione domestica prevedesse anchesemplici vasi prodotti in centri dell’entroterra sicano. L’acquisto di questi vasi e il tra-sporto dal mercato indigeno non va evidentemente messo in relazione con il loro valoredecorativo o funzionale, né doveva risultare conveniente dal punto di vista economico;peraltro, sappiamo che fin dalla seconda metà del VII sec. a.C. Himera fu in grado di pro-durre ceramica nelle proprie officine per i bisogni quotidiani della città. Piuttosto, ci sem-bra condivisibile l’ipotesi suggerita da nunzio Allegro per spiegare la circolazione di cera-mica indigena nelle case della prima fase di vita della colonia: «si deve supporre una pre-senza, seppure assai limitata, di persone fisiche che quelle ceramiche avevano portato consé e che consideravano elementi importanti della loro identità culturale; non famiglie indi-

13 VASSALLO 2010, 44, fig. 30.14 ALLEGRO-FIOREnTInI 2010, 518.

3. Himera.

Esempi di

ceramica

indigena

rinvenuta nella

città alta.

358

gene trasferitesi ad Himera per convivere con i nuovi arrivati, ma donne indigene diven-tate spose di Greci e trasferitesi nella città con la loro dote e il loro corredo nuziale»15. Inquesto senso appare significativo anche il rinvenimento della citata fibula indigena, nellacittà bassa, un oggetto legato all’abbigliamento personale, che fa pensare alla presenza didonne indigene.

Il contributo di Himera alla problematica dei matrimoni misti è molto significativo,se si pensa che finora i segni archeologici di questa pratica si limitavano a indizi moltosporadici, tra cui rinvenimenti di ornamenti di tipo indigeno in sepolture di VII sec. a.C. aMegara Hyblea, Selinunte, Gela, Mylai e Siracusa16. L’uso di contrarre matrimoni misti trai primi coloni di Himera e donne indigene - sia che fosse legato alla necessità della cre-scita demografica della nuova città, sia visto come strumento di contatti a livello aristo-cratico, anche in relazione a un sistema di legittimazione giuridica del possesso dellenuove terre - costituisce, comunque, un chiaro indizio dell’accettazione della comunitàlocale secondo modalità, regole e consuetudini che certamente non è facile decifrare sullabase dei rinvenimenti archeologici: «the incorporation of the indigenous populations,

whether by intermarriage or other means, is very difficult to detect archaeologically, even

in the burials which appear to constitute the most promising evidence»17. Accettare come madre dei propri figli la donna indigena, con il suo patrimonio cul-

turale, estraneo al mondo greco, comportava il riconoscimento del diverso in una sferatanto importante e intima, come quella della famiglia e dell’educazione, secondo modali-tà che restano purtroppo del tutto oscure, ma che possono costituire uno dei temi piùimportanti nell’analisi della composizione dei gruppi coloniali, dal momento che i matri-moni misti, negoziati o forzati, sono, come ha scritto Rosa Maria Albanese, la forma piùcompleta di integrazione18.

L’uso in ambiente domestico di vasellame indigeno, costituisce, pertanto, un forteindizio per potere in qualche modo ritenere possibile la presenza stabile di Indigeni nellaprima Himera, una presenza ipotizzabile, al momento, per altre colonie greche, soltanto aSelinunte, dove, oltre all’attestazione di livelli di frequentazione indigena pre-coloniale,tra VIII e inizi del VII sec. a.C: (a Manuzza e nell’area dell’acropoli), è presente cerami-ca indigena nei livelli della prima fase di vita della colonia anche se in minore misura chea Himera19.

2. Aree sacre

Riguardo alla presenza di ceramica indigena in contesti sacri, i dati si limitano a unanota brocchetta a decorazione dipinta, databile nella prima metà del VI sec. a.C., rinvenu-ta nel deposito votivo del tempio A del santuario di Atena20 (fig. 4).

Il fatto che nella composizione del deposito votivo del tempio A, insieme al notocomplesso di oggetti della più diversa provenienza dal mondo greco, sia confluito ancheun vasetto di produzione indigena, non va caricato a nostro parere di eccessivi significati.Oscar Belvedere, a tal proposito, ha osservato come questa brocchetta possa documenta-re un fatto particolare piuttosto che uno stato di cose ordinario21. non possiamo esserecerti se si tratta della semplice offerta di un imerese che possedeva questo oggetto, oppu-

359

15 ALLEGRO 2008, 218-219.16 SHEPHERD 1999, 267-300; ALBAnESE PROCELLI 2010, 503-505.17 SHEPHERD 2005, 130.18 ALBAnESE PROCELLI 2003, 229-230; ALBAnESE PROCELLI 2010, 501, 503.19 TROMBI 2002, 98-99; ALBAnESE PROCELLI 2010, 502-503. Sporadici frammenti in contesti coloniali della

Sicilia occidentale, in aree di abitato o santuariali, sono noti anche ad Agrigento e Gela: TROMBI 2002, 92-96.20 VASSALLO 2003, 1346-1347.21 BELVEDERE 1980, 88-89.

re del dono di un indigeno; è evi-

dente che questa seconda ipotesi

rivestirebbe particolare significato,

perché attesterebbe la frequentazio-

ne del santuario da parte della popo-

lazione locale, un’apertura, quindi,

da parte dei coloni alla componente

indigena e una sorta di condivisione

della sfera sacra. Un’analoga broc-

chetta indigena di età arcaica è stata

rinvenuta in prossimità del tempio

della Vittoria22, tuttavia non essendo

ancora accertato che prima della

realizzazione dell’edificio periptero,

agli inizi del V sec. a.C., l’area fosse

interessata da edifici sacri, non si

può essere certi di un collegamento

di quest’oggetto con la sfera religio-

sa23.

Va in ogni caso osservato, che

al di là della sporadica presenza del

vaso indigeno nella stipe votiva del

tempio A, non vi è attualmente

alcun elemento archeologico per

potere soltanto ipotizzare forme di

commistione o di influenza nel

campo religioso, da parte indigena, nei culti e nei luoghi sacri della colonia. Ben diverso,

invece, il caso opposto di ricezione e accettazione di forme di religiosità greca nei centri

indigeni dell’entroterra imerese, come bene attestato in due evidenti casi: il primo è il

sacello tardo-arcaico di Colle Madore, edificato con tecniche edilizie e apparati decorati-

vi ispirati a modelli greci, dove si svolgevano pratiche rituali legate alla libagione, estra-

nee alla tradizione del mondo sicano24. Secondo caso è il santuario extraurbano dedicato

probabilmente a Demetra e Kore, di tipo greco, situato nel grande centro indigeno di

Terravecchia di Cuti, nell’alta valle dell’Imera meridionale, da mettere probabilmente in

relazione a una fase, agli inizi del V sec. a.C., in cui la Sicania è ormai profondamente per-

vasa da modelli culturali ellenici.

3. Necropoli

Dalle necropoli e e O proviene un discreto numero di vasi di produzione indigena.

Tranne il caso di un’interessante coppa di ispirazione ionica, prodotta come vedremo in

ambiente indigeno e pertinente al corredo di una sepoltura infantile, si tratta quasi esclu-

sivamente di grandi contenitori, pithoi e anforoni, a decorazione dipinta, recanti motivi

tipici della ceramica indigena, che furono impiegati nelle sepolture a enchytrismos, data-

bili prevalentemente tra la fine del VII e la prima metà del VI sec. a.C.

Il gruppo di dieci vasi rinvenuti nella necropoli e, già segnalati in rapporti prelimi-

nari25, si è arricchito con la scoperta, nei recenti scavi, realizzati tra il 2008 e il 2011 nella

22 BONACASA 1976, 635, nota 21.23 AllegrO 1988-89, 644-645; AllegrO 1999, 294.24 VASSAllO 1999 b, 40-54.25 VASSAllO 2003, 1344-1356.

4. Himera. Stipe

votiva del tempio

A: brocchetta

indigena a

decorazione

dipinta, dalla

Sicilia centrale.

360

5. Himera.

Necropoli O.

Contenitori

indigeni.

necropoli occidentale, di altri 28 esemplari che conservano ancora ben leggibile la deco-razione dipinta (figg. 5-6). I motivi rientrano nel repertorio decorativo tradizionale dellaceramica indigena: prevalgono le bande a onda che rivestono l’intero corpo del vaso, glispazi metopali tra filetti, gli zig zag, i tremoli, i cerchi concentrici, sigma, triangoli26.Meno comune un contenitore di forma ibrida, una sorta di pithos biansato, che presentaoltre a motivi dipinti, anche cerchietti impressi sull’orlo e sul collo (fig. 7).

Come per i materiali dall’abitato, anche i vasi della necropoli offrono interessantispunti di analisi sulle tematiche dei rapporti tra Greci e Indigeni. In primo luogo, l’aspet-to connesso alla testimonianza di eventuali rituali funerari di matrice indigena. A nostroparere, l’impiego di questi vasi non è da riferire a pratiche funerarie indigene; non vi sono,infatti, validi elementi per collegarli a sepolture di neonati di famiglie indigene che vive-vano a Himera; peraltro, nei casi in cui si sono rinvenuti oggetti di corredo, questi sonosempre di produzione greca. È invece probabile che per le tombe a enchytrismos (unnumero straordinario a Himera di circa 4000 su un totale di oltre 12000 sepolture), la scel-ta del contenitore sia casuale e che venissero impiegati i contenitori più diversi, in pos-

361

26 Lo studio di questi vasi è in corso da parte di Matteo Valentino. Per tre di essi: VASSALLO 2010, 45, fig. 32.

6. Himera.

Necropoli O.

Spalle e collo di

pithos indigeno,

con motivi a S

(W8841).

7. Himera.

Necropoli O.

Contenitore

indigeno, con

motivo a cerchietti

impressi sul collo

e sull’orlo

(W8175).

8. Himera.

Necropoli O.

Varianti di inumati

con arti inferiori in

posizione flessa o

iperflessa

(W8175).

sesso della famiglia, senza una partico-lare selezione in relazione al gruppo diprovenienza. In sostanza, nulla autoriz-za ad associare l’area di provenienza delvaso con quella di provenienza del bam-bino o dei suoi genitori. Peraltro, l’im-piego di vasi indigeni nelle tombe aenchytrismos è diffuso in altre necropo-li coloniali di Sicilia e anche in questicasi non sono generalmente collegaticon sepolture di Indigeni.

Altrettanto improbabile, sempreriguardo ai costumi funerari, l’equazio-ne, non infrequentemente sostenuta, chetende ad assimilare nelle necropoli gre-che l’inumato adulto in posizione “ran-nicchiata” a modalità di sepoltura indi-gene. Anche per questo aspetto la casi-stica delle necropoli imeresi, con centi-naia di esempi, è molto ampia e con unatale varietà di schemi che invita a usaregrande prudenza nel ritenere la posizio-ne del cadavere come discriminante alfine di un’interpretazione sulla prove-nienza indigena degli individui27 (fig.8). È pur vero che a Himera, per alcunicasi di inumazioni di adulti in posizionidel tutto irrituali e scomposte, indice ditrascuratezza nelle modalità di deposi-zione, abbiamo ipotizzato che possatrattarsi di individui di classi socialimeno abbienti se non proprio di schia-vi28; ricordo a questo proposito che lapresenza di tombe di schiavi è certanello straordinario caso del rinvenimen-to, nella necropoli occidentale, di treinumati sepolti con gli anelli di ferrodelle catene ancora alle caviglie29. È

comunque di tutta evidenza che la condizione servile non va necessariamente assimilataalla provenienza dal mondo indigeno, benché non è improbabile che tra gli schiavi diHimera vi potessero essere anche individui delle popolazioni locali, sconfitte negli scon-tri che i Greci ebbero con i Sicani nei processi di controllo del territorio, come ci ricordauna nota epigrafe di Samo, databile intorno al VI sec. a.C.30

Il riconoscimento nelle necropoli greche dell’identità etnica, attraverso la letturadella loro posizione in tomba, appare poco affidabile; la stessa varietà, cui si è fatto cennoprima, di schemi nei cadaveri con arti inferiori flessi o iperflessi, consiglia molta cautelanell’interpretazione dei dati. Come nota Gillian Shepherd in un interessante contributosull’evidenza delle necropoli per l’interpretazione delle diverse etnie, non sono inusualideposizioni in forme “rannicchiate” nel mondo greco, mentre, allo stesso tempo, tra età

27 note preliminari sugli aspetti tafonomici della necropoli E e O sono in FABBRI et alii 2006, 613-620; VIVA 2010,

103-105; FABBRI et alii 2012, 73-83.28 FABBRI et alii 2006, 618-619.29 VASSALLO c.s. b.30 DUnST 1972, 100-106.

362

arcaica e coloniale, vi sono numerosissimi casi di cadaveri in posizioni distese nelle necro-poli indigene siciliane. Tentare di identificare presenze etniche nelle società coloniali sullabase del rituale funerario è un esercizio rischioso31, dal momento che «cemeteries in theWestern colonies are not very useful in determining the ethnic make-up of the living popu-lation, especially as far as the inclusion of a substantial indigenous element is concer-ned»32. Un’ulteriore difficoltà è dovuta al fatto che le stesse modalità funerarie, non sonosempre univoche all’interno delle città greche coloniali, dove le diverse provenienze deicoloni rispondono a un insieme etnico già di per sé non unitario, che può avere contribui-to a diversificare i rituali. Al fine, quindi, di individuare la presenza di Indigeni nellenecropoli coloniali è necessario tenere conto di diversi fattori anche più dirimenti rispettoai parametri legati alle posizioni del cadavere, come gli elementi del corredo, che posso-no fornire, nei casi di oggetti di produzione indigena, degli indicatori ben più precisi e cor-retti, in relazione alla provenienza degli individui, dal momento che attesterebbero con-suetudini funerarie legate, ad esempio, agli ornamenti tradizionali.

Tornando ai vasi indigeni della necropoli, la loro presenza sarebbe così da leggerenon tanto per il significato funerario, quanto come sintomo dell’arrivo in colonia di pro-dotti delle attività economiche delle popolazioni insediate nelle vallate dell’entroterra ime-rese. Essi vanno, pertanto, messi in relazione con le attività di scambio di derrate agrico-le avviate fin dai primi tempi della fondazione greca. Sotto questo aspetto è interessantenotare come la rapida crescita economica di Himera, fosse il frutto, da un lato, della suaproiezione “commerciale” verso il mare, come documentato dalla straordinaria varietà equantità di anfore da trasporto che arrivavano nel porto della città, ma, dall’altro lato, leesigenze di crescita erano probabilmente sostenute e alimentate anche da una precoceapertura verso i mercati dell’entroterra, attraverso gli scambi di merci con la gente indi-gena.

4. Contesto indigeno

Ma qual era l’orizzonte geografico indigeno di riferimento per Himera? La posi-zione del sito coloniale già orienta verso le vallate che più direttamente collegano il luogodella città con l’entroterra, quelle dei fiumi Imera settentrionale e Torto, che definisconoil territorio della Sicilia centro-settentrionale nel versante tirrenico. Anche le alte vallatedei fiumi Platani e del Salso/Imera, nel cuore dell’area tradizionalmente definita Sicania,entrarono presto nell’area privilegiata delle relazioni con le genti indigene33.

Verso questo territorio, naturale sbocco verso la Sicilia centrale delle vie naturali dipenetrazione dalla costa, ci indirizzano significativi confronti con alcuni dei vasi indigenitrovati nella colonia. Gran parte dei motivi decorativi di questi prodotti non sono almomento inquadrabili in specifici contesti geografici indigeni, com’è, ad esempio il casodei pithoi con larghe bande a onda entro pannelli. Uno schema che ebbe ampia diffusionein tutta la Sicilia indigena, con confronti che vanno da Butera, nell’entroterra di Gela, allaSicilia occidentale, in siti come Monte Maranfusa e Manico di Quarara34. Altri vasi, inve-ce, presentano schemi geometrici più peculiari, che trovano uno specifico confronto conl’area sicana. Ad esempio, un pithos dalla necropoli orientale reca una decorazione piut-tosto complessa, con motivi diversi, tra cui la croce di Malta, il cui impiego è bene atte-stato in centri come Sutera e Balate di Marianopoli, nell’alta valle del fiume Platani, ed èforse in questo territorio che venne prodotto il vaso di Himera35. Verso le vallate del

31 Ringrazio Rosa Maria Albanese Procelli per i suggerimenti che mi ha dato a riguardo, discutendo queste temati-

che.32 SHEPHERD 2005, 132. Sul tema, con riferimento più in generale ai contesti funerari della Sicilia occidentale

anche SPATAFORA 2012, 59-90.33 VASSALLO 2010, 46-53.34 VASSALLO 2003, 1345.35 VASSALLO 2003, 1345.

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Salso/Imera e del Dittaino, ci riporta, invece, la brocchetta trovata nella stipe del tempioA, con cerchietti sul collo e motivi geometrici sul corpo. I confronti ci indirizzano versoproduzioni di centri dell’area di Gangi, a Sabucina e nella necropoli di Realmese36.

Cito un ultimo significativo caso relativo a una coppetta che costituiva il corredo diuna tomba a enchytrismos entro anfora samia, la cui forma, palesemente derivata dallecoppe ioniche, reca una decorazione a silhouette, anch’essa di ispirazione greca, a imita-zione delle arpie del Corinzio, realizzata, tuttavia da un artigiano indigeno, con tutte leingenuità e le incertezze nel tratto che caratterizzano tanti prodotti di artigianato indigenodella Sicilia arcaica (fig. 9). Il confronto più vicino è con alcuni vasi rinvenuti nella necro-poli di Balate di Marianopoli, nell’alta valle del Platani, in un territorio da cui probabil-mente venne importata la coppa della necropoli imerese37.

Stupisce il fatto che i coloni importassero dal mercato indigeno vasi di chiara ispi-razione greca nella forma e nella decorazione, ma forse questa coppa, databile in pieno VIsec. a.C. può darci, meglio di altre testimonianze, la misura di due mondi aperti a relazio-ni e scambi che andavano ben oltre il semplice passaggio di merci.

5. Conclusioni

Passando ora a qualche considerazione finale, mi limito a sottolineare alcuni aspet-ti che possono aiutarci a indicare almeno le linee generali su cui sarà opportuno in futuroapprofondire la ricerca, in primo luogo la cronologia: abbiamo visto come tutti i repertiindigeni di Himera sono inquadrabili tra la seconda metà del VII e la prima metà del VIsec. a.C. non sembra tuttavia che la mancanza di materiali dopo questa data possa essereinterpretata come un contrarsi dei rapporti di scambio tra le due comunità, piuttostopotrebbe spiegarsi con il fatto che le produzioni indigene si andarono progressivamenteriducendo tra la seconda metà del VI e gli inizi del V sec. a.C., parallelamente a una cre-scente diffusione della ceramica greca nel territorio, sempre più apprezzata e imitata. Talefenomeno comportò, indubbiamente, una forte riduzione dei prodotti peculiari del mondosicano e, di conseguenza, del numero dei vasi che arrivavano in colonia.

Himera, quindi, iniziò presto a intrattenere rapporti con le popolazioni locali inse-diate nel territorio in centri che conosciamo molto poco. Tra i più importanti ricordo quel-lo di Mura Pregne, distante meno di 5 km dal sito della colonia, su un monte che dominala foce del fiume Torto. Sull’Imera settentrionale sono noti i centri di Monte d’Oro di

9. Himera.

Necropoli O.

Coppa di

produzione

indigena, con

figure di arpie di

tradizione

corinzia.

365

36 VASSALLO 2003, 1346-1347.37 VASSALLO c.s. a.

366

38 Per la bibliografia su questi centri vedi VASSALLO 1996, 199-223.39 BOnACASA 1992, 135-136.

Collesano e di Monte Riparato, due baluardi naturali, lungo questa vallata, a guardia deipercorsi verso l’interno. Infine, a E, sopra Cefalù, un sito indigeno era probabilmente invita sul Pizzo Sant’Angelo38.

La storia di Himera nel rapporto con gli Indigeni, come inizia a delinearsi attraver-so i dati archeologici, racconta di una colonia che nel prendere possesso di nuove terre, sirivelò città permeabile e aperta al rapporto con le popolazioni insediate da secoli in que-sto territorio. Un’apertura ancora difficilmente misurabile ma che certamente comportavaun’economia aperta allo scambio di merci e probabilmente a un’accettazione anche dellapresenza fisica degli Indigeni, almeno nel caso dei matrimoni misti. In quale misura que-sti rapporti influirono sul carattere culturale della città, appare prematuro soltanto ipotiz-zarlo.

Come detto, Himera fu città greca e mantenne sino alla sua distruzione, nel 409a.C., una fisionomia pienamente greca. È comunque altrettanto probabile che essa si radi-cò fortemente nel suo entroterra, attivando un sistema di rapporti incentrati su forme didialogo e di contatti con gli Indigeni solide e durature, che contribuirono non poco al pro-cesso di formazione della colonia e al suo sviluppo.

non dovettero, comunque, mancare i contrasti, anche con scontri violenti, come ciricorda la citata epigrafe di Samo, relativa a una vittoria degli Imeresi sui Sicani pocoprima della metà del VI sec. a.C. Oppure il racconto riportato da Aristotele, e forse attri-buito a Stesicoro, del rapporto tra Falaride e Himera, che adombrerebbe, secondo alcuni,contrasti con la componente indigena39. Rapporti conflittuali da considerare, a nostro pare-re, non ordinari, legati a momenti di tensioni particolari, che non incisero sostanzialmen-te sul quadro delle relazioni con il mondo indigeno.

Motivi di malcontento e di insofferenza da parte degli Indigeni nei confronti deiGreci, dovettero in ogni caso persistere ancora alla fine del V sec. a.C., se vogliamo darecredito al racconto di Diodoro Siculo il quale ci ricorda che, distrutta Selinunte nel 409a.C., nella marcia di trasferimento verso Himera, si unirono all’esercito punico migliaia diSiculi e Sicani, probabilmente, aggiungo io, desiderosi di riconquistare autonomie soffo-cate dai Greci.

Concludo ricordando il titolo Indigeni ad Himera?. Probabilmente non si può nega-re o ridimensionare troppo la presenza di una componente indigena nella storia della città;alcuni aspetti sono oggi più chiari e definibili, ma il percorso è soltanto tracciato, con lasperanza che la ricerca futura, condotta parallelamente in ambito coloniale e nei centri del-l’entroterra, possa restituire un quadro storico sempre più credibile anche di questo impor-tante aspetto legato all’avventura della colonizzazione greca in Sicilia.

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