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Il trattatello di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio STEFANO PIERGUIDI Nel 1918 Georg Gronau rese noti i taccuini di schizzi di Gu- glielmo della Porta conservati a Düsseldorf, pubblicando an- che parzialmente una lunga lettera – da datarsi al 1569 – dello scultore-architetto a Bartolomeo Ammannati. Ripresa nell’agi- le monografia di Maria Gibellino del 1944 1 , e poi trascritta integralmente da Werner Gramberg nella sua esemplare edi- zione dei taccuini di Düsseldorf del 1964 2 , questa lettera sem- bra essere sfuggita all’attenzione di gran parte della critica 3 . Nella missiva, evidentemente pensata perché avesse un’ampia circolazione a Firenze, il comasco della Porta si presenta nell’ine- dita, o quasi, veste di trattatista d’arte, toccando temi tra loro molto diversi, dalla tecnica della fusione in bronzo alla teoria dell’architettura, fino agli studi di antiquaria 4 . L’autore abboz- za tra l’altro una scansione della storia della pittura e della scultura italiana secondo il sistema delle scuole regionali, qua- le sarebbe stato messo a punto per la prima volta solo qua- rant’anni più tardi da Giovanni Battista Agucchi, e muove un’implicita critica al carattere strettamente biografico delle Vite di Giorgio Vasari. Della Porta annuncia infatti la realiz- zazione di un’opera molto ambiziosa, un «trattatello di molti huomini celebri et valorosi ne l’arte nostra», nato certamente per emulare le Vite, di cui era stata appena pubblicata la se- conda edizione, ma per il quale l’autore riproponeva quel pro- getto di ampio respiro incentrato sulla conoscenza della Roma antica che aveva prospettato, nel 1542, Claudio Tolomei in veste di portavoce dell’Accademia della Virtù. Per portare a termine la sua impresa Guglielmo contava, con ogni probabi- lità, di utilizzare prima di tutto l’ampio materiale raccolto da Pirro Ligorio nei suoi manoscritti da poco venduti al cardinale Alessandro Farnese. Il cantiere di Bosco Marengo La lettera all’Ammannati è stata datata da Gramberg intorno all’autunno del 1569 in ragione dell’incipit stesso, in cui Gugliel- mo della Porta scrive: Andando Gio. Antonio mio creato à Carrara per levare i marmi de la sepoltura ch’egli merce de meriti suoi, ha ottenuto di fare nella Terra del Bosco a la S. ta di N. S. re io non ho voluto perdere questa occasione di salutarvi et di rallegrarmi insieme del desiderio, che nuovamente s’è desto in voi di riveder Roma, si come Jacopo mio detto Coppe, m’ha riferito 5 . Il «Gio. Antonio mio creato» è infatti da identificare con Gio- vanni Antonio Buzzi, che aveva appena ottenuto la commissione per il monumento funebre di Pio V da erigere nella chiesa del convento domenicano di Santa Croce presso Bosco Marengo, fortemente voluto dal pontefice 6 . Della lettera all’Ammannati, nel taccuino di Düsseldorf, si conservano però altre due bozze, molto più brevi, nelle quali non si accenna a quell’opera in corso di realizzazione; il testo della prima, in particolare, recita: 136 Ringrazio Emanuela Ferretti e Marco Ruffini, senza i cui suggerimenti non avrei potuto scrivere questo articolo. 1 G. GRONAU, Ueber zwei Skizzenbücher des Guglielmo della Porta in der Düs- seldorfer Kunstakademie, in «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen», XXXIX (1918), pp. 194-196; M. GIBELLINO KRASCENINNICOWA, Guglielmo della Porta scultore del papa Paolo III Farnese, Roma 1944, pp. 86-90. 2 W. GRAMBERG, Die Düsseldorfer Skizzenbücher des Guglielmo della Porta, Berlin 1964, I, pp. 122-128, cat. 228. 3 Sulla lettera, di cui è stato sottolineato solo il contrasto Roma-Firenze stimo- lato dalla ricezione delle Vite di Vasari, cfr. soprattutto Z. WAŹBIŃSKI, Lo Studio - La scuola fiorentina di Federico Zuccari, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», XXIX (1985), pp. 321-324; E. PARMA ARMANI, Precisa- zioni sull’attività grafica di Guglielmo della Porta nel periodo genovese e nel primo momento romano, in Le vie del marmo. Aspetti della produzione e della diffusione dei manufatti marmorei tra Quattrocento e Cinquecento, atti della giornata di stu- dio (Pietrasanta, 3 ottobre 1992), a cura di A. Mercurio, Firenze 1994, p. 45; C. D. DICKERSON, The «Gran Scuola» of Guglielmo della Porta, the rise of the «Aurifex Inventor», and the education of Stefano Maderno, in «Storia dell’arte», 121 (2008), p. 39; A. BELLUZZI, Scultura e architettura nell’opera di Ammannati, in L’acqua, la pietra, il fuoco. Bartolomeo Ammannati scultore, catalogo della mo- stra, a cura di D. Heikamp e D. Zikos, Firenze 2011, pp. 305-306. 4 In questa sede non si potrà analizzare tutta la lettera, che presenta innumere- voli spunti di interesse. 5 GRAMBERG, 1964, I, p. 122. 6 GRAMBERG, 1964, I, p. 127; G. IENI, «Una superbissima sepoltura»: il mau- soleo di Pio V, in Pio V e Santa Croce di Bosco. Aspetti di una committenza pa- pale, catalogo della mostra, a cura di C. Spantigati e G. Ieni, Alessandria 1985, pp. 35-37. 12-Pierguidi_p136_Layout 1 23/09/14 16:30 Pagina 136

Il ‘trattatello’ di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomeo e Ligorio

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Il trattatello di Guglielmo della Porta:l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio

STEFANO PIERGUIDI

Nel 1918 Georg Gronau rese noti i taccuini di schizzi di Gu-glielmo della Porta conservati a Düsseldorf, pubblicando an-che parzialmente una lunga lettera – da datarsi al 1569 – delloscultore-architetto a Bartolomeo Ammannati. Ripresa nell’agi-le monografia di Maria Gibellino del 19441, e poi trascrittaintegralmente da Werner Gramberg nella sua esemplare edi-zione dei taccuini di Düsseldorf del 19642, questa lettera sem-bra essere sfuggita all’attenzione di gran parte della critica3.Nella missiva, evidentemente pensata perché avesse un’ampiacircolazione a Firenze, il comasco della Porta si presenta nell’ine-dita, o quasi, veste di trattatista d’arte, toccando temi tra loromolto diversi, dalla tecnica della fusione in bronzo alla teoriadell’architettura, fino agli studi di antiquaria4. L’autore abboz-za tra l’altro una scansione della storia della pittura e dellascultura italiana secondo il sistema delle scuole regionali, qua-le sarebbe stato messo a punto per la prima volta solo qua-rant’anni più tardi da Giovanni Battista Agucchi, e muoveun’implicita critica al carattere strettamente biografico delleVite di Giorgio Vasari. Della Porta annuncia infatti la realiz-zazione di un’opera molto ambiziosa, un «trattatello di moltihuomini celebri et valorosi ne l’arte nostra», nato certamenteper emulare le Vite, di cui era stata appena pubblicata la se-conda edizione, ma per il quale l’autore riproponeva quel pro-getto di ampio respiro incentrato sulla conoscenza della Romaantica che aveva prospettato, nel 1542, Claudio Tolomei investe di portavoce dell’Accademia della Virtù. Per portare a

termine la sua impresa Guglielmo contava, con ogni probabi-lità, di utilizzare prima di tutto l’ampio materiale raccolto daPirro Ligorio nei suoi manoscritti da poco venduti al cardinaleAlessandro Farnese.

Il cantiere di Bosco Marengo

La lettera all’Ammannati è stata datata da Gramberg intornoall’autunno del 1569 in ragione dell’incipit stesso, in cui Gugliel-mo della Porta scrive:

Andando Gio. Antonio mio creato à Carrara per levare i marmi dela sepoltura ch’egli merce de meriti suoi, ha ottenuto di fare nellaTerra del Bosco a la S.ta di N. S.re io non ho voluto perdere questaoccasione di salutarvi et di rallegrarmi insieme del desiderio, chenuovamente s’è desto in voi di riveder Roma, si come Jacopo miodetto Coppe, m’ha riferito5.

Il «Gio. Antonio mio creato» è infatti da identificare con Gio-vanni Antonio Buzzi, che aveva appena ottenuto la commissioneper il monumento funebre di Pio V da erigere nella chiesa delconvento domenicano di Santa Croce presso Bosco Marengo,fortemente voluto dal pontefice6. Della lettera all’Ammannati,nel taccuino di Düsseldorf, si conservano però altre due bozze,molto più brevi, nelle quali non si accenna a quell’opera in corsodi realizzazione; il testo della prima, in particolare, recita:

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Ringrazio Emanuela Ferretti e Marco Ruffini, senza i cui suggerimenti non avreipotuto scrivere questo articolo.

1 G. GRONAU, Ueber zwei Skizzenbücher des Guglielmo della Porta in der Düs-seldorfer Kunstakademie, in «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen»,XXXIX (1918), pp. 194-196; M. GIBELLINO KRASCENINNICOWA, Guglielmodella Porta scultore del papa Paolo III Farnese, Roma 1944, pp. 86-90.2 W. GRAMBERG, Die Düsseldorfer Skizzenbücher des Guglielmo della Porta,Berlin 1964, I, pp. 122-128, cat. 228.3 Sulla lettera, di cui è stato sottolineato solo il contrasto Roma-Firenze stimo-lato dalla ricezione delle Vite di Vasari, cfr. soprattutto Z. WAŹBIŃSKI, Lo Studio- La scuola fiorentina di Federico Zuccari, in «Mitteilungen des KunsthistorischenInstitutes in Florenz», XXIX (1985), pp. 321-324; E. PARMA ARMANI, Precisa-zioni sull’attività grafica di Guglielmo della Porta nel periodo genovese e nel primo

momento romano, in Le vie del marmo. Aspetti della produzione e della diffusionedei manufatti marmorei tra Quattrocento e Cinquecento, atti della giornata di stu-dio (Pietrasanta, 3 ottobre 1992), a cura di A. Mercurio, Firenze 1994, p. 45;C. D. DICKERSON, The «Gran Scuola» of Guglielmo della Porta, the rise of the«Aurifex Inventor», and the education of Stefano Maderno, in «Storia dell’arte»,121 (2008), p. 39; A. BELLUZZI, Scultura e architettura nell’opera di Ammannati,in L’acqua, la pietra, il fuoco. Bartolomeo Ammannati scultore, catalogo della mo-stra, a cura di D. Heikamp e D. Zikos, Firenze 2011, pp. 305-306.4 In questa sede non si potrà analizzare tutta la lettera, che presenta innumere-voli spunti di interesse.5 GRAMBERG, 1964, I, p. 122.6 GRAMBERG, 1964, I, p. 127; G. IENI, «Una superbissima sepoltura»: il mau-soleo di Pio V, in Pio V e Santa Croce di Bosco. Aspetti di una committenza pa-pale, catalogo della mostra, a cura di C. Spantigati e G. Ieni, Alessandria1985, pp. 35-37.

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Havendomi astretto che io respondesse alla vostra sopra del’hominifamosi dell’arte designatoria et per essere io stato assiduo in Romatanti anni et anco praticato continuamente fra li primi homini delsecul nostro. Essendo adunque richiesto che io dia mio parere dan-do anco notitia di qualche parte delle fatiche mie vengo succintoet dico si per il vero come anco per obligo per havere visto questacita capo et studio della virtu nostra provando per li primi hominidel mondo che Roma e il studio di tale professione, et anco laudomolto l’animo vostro volto spesso con la mente a questi studij dovehavete fatto li aqquisti delle virtu vostre concludendo et afferman-do il parere di tanti eccellentissimi homini7.

Guglielmo, quindi, si accingeva a rispondere a una lettera diAmmannati in cui l’architetto-scultore fiorentino gli chiedevalumi sui grandi artisti del Cinquecento che della Porta aveva fre-quentato per tanti anni a Roma e sulla produzione dello stessodella Porta. È probabile allora che la missiva di Ammannati risa-lisse a qualche anno addietro, verosimilmente al 1564-1566,quando Vasari si affrettava a reperire il materiale di cui aveva an-cora bisogno per licenziare le ultime parti della seconda edizionedelle sue Vite. Il 26 marzo 1564, ad esempio, egli scriveva a Leo-nardo Buonarroti, a Roma, sollecitando la raccolta di informa-zioni sulle traversie subite da Michelangelo sul cantiere di SanPietro, nel seguito delle quali sembrava avere avuto un ruolo an-che lo stesso della Porta:

Ma e’ bisognia, che la S.V. si degni farmi fare un poco dj informa-tione per le cose dell’arte, come del far fare doppo che e’ fecie ilmodel dj terra, quel dj legnio per la cupola dj San Pietro, le perse-cutionj e travagli che gli ebbe al tempo dj P. P. Paulo 4° et cosi lecose che seguirono a quel tempo dj Nannj dj Baccjo Bigio delloatacho et dj Fra Guglielmo8.

Ancora il 30 novembre 1566 Vasari scriveva di nuovo a Leonar-do Buonarroti per chiedergli di ottenere informazioni sulla vitadi Taddeo Zuccari:

Appresso sarete contento ritrovare Messer Federigho Zuchero, etche non manchi di mandarmi quanto gl’ho chiesto; et quello cheha da fare solleciti, perché gli stampatori sono nel fine del opra, etnon gli posso far fermare, che troppo gl’importa9.

Vasari avrebbe infine ricevuto da Federico Zuccari le notizie re-lative alla biografia del fratello Taddeo, deceduto l’1 settembre156610. La biografia di Guglielmo della Porta sarebbe stata in-

serita in coda a quella di Leone Leoni, che a sua volta seguivaquella del maggiore degli Zuccari11, quindi è possibile che inquei mesi Vasari attendesse ancora la risposta dello scultore.Sebbene Guglielmo non avesse ricevuto una lettera scritta di-rettamente dall’autore delle Vite, è molto probabile che egli sa-pesse bene a quale scopo l’Ammannati gli chiedeva notizie circail suo operato: tutta la sua risposta, infatti, deve essere letta inqualche modo in reazione alla prima edizione dell’opera vasa-riana (Firenze 1550), e al mito di Firenze che questa aveva con-tribuito a costruire12.

Come si è visto Guglielmo apriva la sua missiva con la citazionedel monumento funebre di Pio V che Buzzi si apprestava a realiz-zare, che serviva all’autore per introdurre il tema centrale dell’op-posizione Roma-Firenze. Della Porta, infatti, proseguiva così:

Et nel vero io v’ho conosciuto sempre per tal mio amarevole [sic],che sento con gran piacere tutte le buone nuove che mi vengonoda voi. Fiorenza è città veramente regia, ha scultori et pittori infi-niti, et tutti eccelenti. V’è quella singolare et divina Accademia nela quale è ristretto tutto il numero de i veri maestri de l’arte nostra[...]. Ma per grandi et maravigliose che siano queste qualità di Fio-renza, Roma è pur Roma, qui bisogna venire, qui affaticarsi, quistudiare a chi vuol sapere13.

Subito dopo Guglielmo tornava quindi al punto da cui era partito,criticando colui o coloro che, da Firenze, avevano cercato di con-quistarsi l’ambita commissione del monumento funebre di Pio V:

il che forse non credano coloro i quali per desiderio di torre il suoprivilegio a questa città […] s’indussero à mandar a N. S.re quel lordissegno, con ferma speranza, che non dovesse haver qua concor-renza che’l pareggiasse. Ma quanto se ne siano ingannati il pruden-te giuditio di S. Beat.ne et un giovane solo de la mia scquola, me-diocre fra tutte l’altre, l’han dimostrato14.

Guglielmo glissava sull’identità dell’autore di quel disegno, maera chiaro che dovesse trattarsi di un artista fiorentino. È ben no-to, d’altronde, che proprio un toscano, ovvero lo stesso Vasari,aveva ottenuto nel febbraio 1567 la commissione per il grandio-so altare maggiore di Santa Croce a Bosco Marengo15. Dal car-teggio vasariano apprendiamo infatti che l’aretino aveva cercatodi accaparrarsi – eseguendo lui direttamente un disegno, e con ilverosimile obiettivo di favorire uno scultore accademico fiorenti-no – l’incarico di realizzare il mausoleo del pontefice. Ma il primo

7 GRAMBERG, 1964, I, pp. 121-122, cat. 227a.8 K. FREY, Der Literarische Nachlass Giorgio Vasaris, II, München 1940, p. 66,doc. CDXXXIX; K. FREY, Il carteggio di Giorgio Vasari dal 1563 al 1565, edi-zione italiana a cura di A. Del Vita, Arezzo 1941, p. 124, doc. CDXXXIX. 9 FREY, 1940, pp. 281-282, doc. DLII; WAŹBIŃSKI, 1985, p. 297. Cfr. ancheP. RUBIN, Giorgio Vasari: Art and History, New Haven 1995, pp. 224-226; M.RUFFINI, Art without an Author: Vasari’s Lives and Michelangelo’s Death, NewYork 2011, pp. 91, 212 nota 83.10 WAŹBIŃSKI, 1985, pp. 296-297; C. ACIDINI LUCHINAT, Taddeo e FedericoZuccari fratelli pittori del Cinquecento, Milano 1998-1999, I, p. 10. Cfr. ancheJ. BROOKS, Introduction, in Taddeo and Federico Zuccaro: Artist-Brothers in Re-

naissance Rome, catalogo della mostra, a cura di J. Brooks, Los Angeles 2007,p. 3, secondo il quale non è certo che Federico rispondesse mai a Vasari.11 G. VASARI, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazionidel 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare di P. Barocchi,Firenze 1966-1994, VI, pp. 205-207.12 Questo è praticamente l’unico aspetto della lettera di della Porta che è sem-pre stato rilevato dalla critica; cfr. nota 3.13 GRAMBERG, 1964, I, p. 122.14 GRAMBERG, 1964, I, p. 122.15 G. IENI, «Una machina grandissima quasi a guisa d’arco trionfale»: l’altare va-sariano, in Pio V e Santa Croce…, 1985, p. 50.

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Arte Lombarda | STEFANO PIERGUIDI

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ottobre 1568 Guglielmo Sangalletti, da Roma, informava Vasaridel fallimento di quel progetto, e il 13 novembre era costrettoaddirittura a scrivergli:

Il suo disegno mandatomi lo detti a N. S.e quale maj se ritrovato etcreda pur sichuramente che non puo essere stato imburchato da es-so cosa alchuna, perche questo di questo homo qua era stato fattoparechi giornj […] Il vostro disegnio no’ si ritrova e no’ so chefarmj. Abbiate patienza che no’ cie rimedio16.

Vasari, insomma, temeva addirittura che il suo disegno fosse sta-to copiato, plagiato («imburchato»), e lo avrebbe rivoluto indie-tro, ma questo non si ritrovava più: non una semplice competi-zione, quindi, ma una situazione conflittuale che vedeva Romae Firenze gareggiare l’una contro l’altra, come la lettera di dellaPorta avrebbe poi esplicitato17. Dell’inimicizia tra Vasari e Gu-glielmo, forse non nata in quell’occasione, ma certo notevol-mente accresciutasi, rimane traccia evidente nelle lettere cheSangalletti inviò all’aretino negli anni successivi, in cui si fa piùvolte riferimento a un ‘frate’, da identificarsi con il della Porta,che aveva praticamente ereditato da Sebastiano Luciani l’ufficiodella piombatura, per assumere il quale bisognava appunto farsifrate18. Il 3 agosto 1571 Sangalletti scriveva:

io resto qua martire con quel galantuomo del frate, che, poi che sie-te partito, fa cose e dicie che non sia bastanza a credere19.

E l’8 agosto ribadiva:

qua l’amico nostro frate fa gran romorij, pur bisogna tolerarlo fi-no alla venuta vostra, poi bisogna chiarirla, che è una morte l itfar[sic] così20.

Il 14 novembre, infine, Sangalletti chiudeva la questione:

Circa a quel poco buono non se ne parli piu. Sara comparso costilo scultore che va al Bosco et avete inteso abastanza21.

Considerato il forte coinvolgimento di Vasari in tutta l’impresadi Bosco Marengo, e la posizione privilegiata di Guglielmonell’ambiente della corte pontificia romana, è molto probabileche se quest’ultimo sapeva dell’esistenza del progetto per il mo-numento funebre di Pio V inviato da Firenze, egli sapesse ancheche Vasari ne era l’autore: la sua risposta ad Ammannati (ovveroallo stesso Vasari), a questo riguardo era quindi al tempo stesso

elegante e subdola. Non si può neanche escludere l’ipotesi cheil disegno risultato vincitore fosse stato in realtà eseguito dallostesso della Porta: dall’ultima lettera citata, quella del 14 no-vembre, si evince infatti un rapporto diretto tra «quel poco buo-no», ovvero il frate, e lo scultore che si stava recando a BoscoMarengo, ovvero Buzzi. Quest’ultimo non era certo un artistadi primo piano, ed è ben noto come molti scultori non fosseroaffatto a loro agio con la preparazione di modelli grafici: non acaso, a Firenze, era stato Vasari ad approntare il progetto chepoi qualcun altro avrebbe tradotto in scultura. Guglielmo, alcontrario, come si poteva leggere anche nelle stesse Vite di Va-sari del 1568, da giovane «attese al disegno con gran studio sot-to Perino del Vaga»22.Nella cosiddetta ‘officina farnesiana’ della Porta aveva in seguitoeseguito disegni per oreficerie che non necessariamente avrebberealizzato lui stesso in prima persona23. Nel 1568, a 45 anni, for-te dell’ufficio della piombatura con il quale aveva da tempo rag-giunto la tranquillità economica, della Porta forse non era piùinteressato a impegnarsi nell’esecuzione di un complesso fune-rario marmoreo di grandi dimensioni, ma poteva avere aiutatoil suo allievo a ottenere quella commissione sottraendola a Vasa-ri. La critica ha d’altronde già indicato in uno schizzo di Gugliel-mo nel taccuino di Düsseldorf un modello a cui Buzzi potrebbeessersi ispirato24.

Sulle scuole regionali

Quanto importante e significativo fosse stato l’episodio dellacommissione del mausoleo di Pio V a uno scultore romano dellascuola di della Porta lo dimostra poi, inequivocabilmente, lascelta stessa di Guglielmo di aprire la versione finale della rispo-sta ad Ammannati con due rimandi a quella vicenda. Anche inuna lettera dal tono ufficiale, priva del flusso velenoso che eglistesso aveva fatto scorrere in carte di carattere più privato25, dellaPorta scrivendo ad Ammannati decideva di rivolgersi pratica-mente a tutto l’ambiente dell’Accademia del Disegno di Firenze,e a Vasari in primis. Quindi egli concludeva quel passaggio, pe-rentorio, con l’invito rivolto all’amico a tornare a Roma per «ri-veder questa, per giuditio universale di tutti i grandi huomini,vera et sola Accademia di tutto il sapere»26.Seguivano i nomi di tutti i grandi artisti del Cinquecento, soprat-tutto toscani, che erano cresciuti a Roma: l’elenco si apriva in

16 FREY, 1940, p. 410, doc. DCIL; IENI, 1985, p. 36.17 Il collegamento tra le lettere del carteggio vasariano e quella di della Porta sideve a IENI, 1985, pp. 38-39.18 VASARI, 1966-1994, VI, p. 205.19 FREY, 1940, p. 595, doc. DCCCV.20 FREY, 1940, p. 596, doc. DCCCVI.21 FREY, 1940, p. 596, doc. DCCCXV; cfr. anche p. 606, doc. DCCCXVII;IENI, 1985, p. 42.22 VASARI, 1966-1994, VI, p. 205.23 PARMA ARMANI, 1994, p. 47; S. PROSPERI VALENTI RODINÒ, «Officina farne-

siana»: disegni per oreficerie, in Francesco Salviati et la Bella Maniera, atti del con-vegno (Roma-Parigi 1998), a cura di C. Monbeig Goguel, P. Costamagna e M.Hochmann, Roma 2001, pp. 422-428; DICKERSON, 2008, pp. 43-46. General-mente, peraltro, erano Perino e Salviati a rifornire di invenzioni gli artigiani della‘officina farnesiana’, cfr. C. RIEBESELL, Aspetti di Guglielmo della Porta a Roma, inPerino del Vaga: prima, durante, dopo, atti delle giornate di studio (Genova, 26-27maggio 2001), a cura di E. Parma Armani, Genova 2004, pp. 71-72, 74-75.24 IENI, 1985, p. 47.25 Cfr. infra, note 70-72.26 GRAMBERG, 1964, I, p. 122.

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ordine cronologico con Leonardo da Vinci, ma proseguiva poi inordine di grandezza, passando da Perin del Vaga a Baldassarre Pe-ruzzi, da Antonio da Sangallo a Baccio Bandinelli, fino a Sebastia-no del Piombo, già amico stretto di Guglielmo27. Si arrivava cosìa Raffaello, che a Roma «mutando maniera divenne si grande»28.Venivano ancora citati Parmigianino e Bramante, e la sfilata deigrandi della ‘Maniera moderna’ si chiudeva naturalmente conMichelangelo. Guglielmo, sollecitato da Girolamo Tudolo, dettoil Fantino29, tirava alla fine un bilancio, nel quale l’autore met-teva a punto una sorta di canone di eccezionale interesse:

Et se vuoi chiarirtene vatti rammentando tutti gli statuarij, pittori, etArchitetti, che furon mai dal primo di che nell’eccellentia di questetre arti, i nostri moderni cominciarono a concorrere, et gareggiarecon gl’antichi, fa paragone di quelli di Roma con gl’altri, et ti chiari-rai meglio di questo dubio. In tal modo mi soleva rispondere M.roFantino, onde io per queste sue parole caduto in maggior considera-tione del suo discorso, entrava così da me stesso a bilanciare: Giotto,Donatello, Andrein del Sarto, Gio. Bellino, Andrea Mantegna, An-tonio da Correggio, il Pordenone, Giorgion da Castel Franco, che fuil primo a dare a la pittura il rilievo, Titiano, Jacopo Sansovino, (Giu-lio Romano) et molti grandi huomini, che per la maggior parte fio-rirono altrove, con Cecco Salviati, Daniel da Volterra, Perin del Vago,Raffaelo da Montelupo, Fra Sebastiano da Venetia, Raffaelo da Ur-bino, Andrea dal Monte [Sansovino], Michelangelo Buonarroti, DonGiulio Clovio et tutto il resto de la scquola di Roma30.

Il primo dato che emerge da questo elenco di artisti illustri è laconferma di quella repentina caduta di interesse verso l’arte delTre e Quattrocento – ovvero verso gran parte dei protagonistidella prima e della seconda parte delle Vite di Vasari – che se-condo Giovanni Previtali colpì tutta la letteratura artistica italia-na a partire proprio grossomodo dagli anni della Controrifor-ma31. Guglielmo della Porta, che non aveva nessuna conoscenzadi prima mano dell’arte veneziana, doveva necessariamente rifar-si alla prima edizione delle Vite, da cui il suo canone chiaramen-te dipende. Ma se il nome ormai mitico di Giotto non potevacerto essere omesso (al contrario di quello di Cimabue, peraltro,

con il quale secondo Vasari era cominciata la ‘rinascita’ delle artidel disegno); se Donatello avrebbe goduto ancora di una famaeccezionale per tutto il Cinquecento32 (e Guglielmo, si ricordi,era come lui prima di tutto uno scultore); e se Giovanni Bellinie Andrea Mantegna, la cui produzione arrivava ai primi anni delCinquecento, erano nomi (soprattutto il secondo) che non era-no stati completamente dimenticati nella seconda metà del se-colo33, è importante sottolineare come Guglielmo elencasse gliartisti, almeno implicitamente, secondo quel criterio delle scuolepittoriche ancora ben lontano dall’essere chiaramente formaliz-zato, e di cui Vasari non aveva parlato affatto nelle sue Vite34.Nel canone di della Porta, infatti, il fiorentino Andrea del Sartosegue i suoi connazionali, Giotto e Donatello, precedendo i pit-tori veneziani e lombardi, cronologicamente anteriori, quali Bel-lini e Mantegna. La triade Giotto-Donatello-Andrea del Sarto,rappresentava insomma, in estrema sintesi, la scuola fiorentina,poiché a questa erano d’ufficio sottratti tutti coloro che erano‘fioriti’ a Roma, quali Perin del Vaga, Daniele da Volterra, e so-prattutto Raffaello e Michelangelo, che come veniva sottolineatonel passo subito successivo, con il loro peso e prestigio potevanoda soli bilanciare tutti gli artisti delle altre scuole35. Della Porta,quindi, anticipava quasi quella libertà di pensiero con la qualeanche Agucchi, nel suo Trattato, avrebbe collocato Michelangeloall’interno della scuola romana36.

È ben noto come Vasari nelle Vite del 1550, dedicate al du-ca Cosimo I e pubblicate a Firenze presso Lorenzo Torrentino,avesse messo a punto una costruzione storiografica che da Ci-mabue e Giotto, e attraverso Masaccio, arrivava fino a Leonar-do e culminava infine con Michelangelo: erano quindi tuttifiorentini gli artisti collocati nei punti chiave delle tre parti incui era divisa l’opera (l’apertura delle tre età e la conclusionetrionfale della terza). Vasari per primo, in realtà, aveva sottoli-neato in molti passi delle Vite del 1550 l’importanza rivestitadal soggiorno a Roma per la crescita dei maggiori protagonistidel Cinquecento37, e su quel punto si giocava il favore accor-dato poi nell’edizione del 1568 a pittori quali Perin del Vaga e

27 VASARI, 1966-1994, VI, p. 205.28 GRAMBERG, 1964, I, p. 123.29 Di questo Girolamo Tudolo non sappiamo praticamente nulla; cfr. GRAM-BERG, 1964, I, p. 12; J. SHEARMAN, Raphael in Early Modern Sources (1483-1602), New Haven 2003, II, p. 654.30 GRAMBERG, 1964, I, pp. 123-124. Quanto scritto da Guglielmo in merito aGiorgione, ovvero «che fu il primo a dare a la pittura il rilievo», costituisce unpiccolo ma significativo capitolo della fortuna critica del pittore veneto: suquesto punto mi riservo di tornare in seguito in un altro intervento.31 G. PREVITALI, La fortuna dei primitivi. Dal Vasari ai neoclassici, Torino 1964,pp. 37-38.32 M. COLLARETA, Testimonianze letterarie su Donatello: 1450-1600, in Omag-gio a Donatello, 1386-1986: Donatello e la storia del museo, catalogo della mo-stra, a cura di P. Barocchi e M. Collareta, Firenze 1985, pp. 7-47; particolar-mente significativa, a questo proposito, era stata la pubblicazione dell’opera diFrancesco Bocchi, Eccellenza del San Giorgio di Donatello (Firenze 1584), inTrattati d’arte del Cinquecento fra manierismo e controriforma, a cura di P. Ba-rocchi, Bari 1960-1962, III, pp. 125-194.33 G. B. ARMENINI, De’ veri precetti della pittura [1587], a cura di M. Gorreri,

Torino 1988, p. 202. Sulla fortuna anche cinquecentesca di Mantegna si vedaG. AGOSTI, Su Mantegna, I, La storia dell’arte libera la testa, Milano 2005, inpart. 103.34 Sul concetto di scuola pittorica cfr. F. BOLOGNA, La coscienza storica dell’arted’Italia, Torino 1982; M. COLLARETA, Scuola, in Dizionario della pittura e deipittori, a cura di E. Castelnuovo e B. Toscano, V, Torino 1994, pp. 129-131;L. GRASSI, Scuola, in L. GRASSI - M. PEPE, Dizionario dei termini artistici, Mi-lano 1994, pp. 749-752.35 GRAMBERG, 1964, I, p. 124.36 M. SPAGNOLO, Appunti per Giulio Cesare Gigli: pittori e poeti nel primo Sei-cento, in «Ricerche di storia dell’arte», 59 (1996), pp. 67-69; cfr. anche D. LI-VIA SPARTI, Copie dipinte nell’educazione artistica seicentesca in Italia, in Les Aca-démies dans l’Europe humaniste. Idéaux et pratiques, atti del convegno interna-zionale (Parigi, 10-13 giugno 2003), a cura di M. Deramaix, P. Galand-Hallyn,G. Vagenheim e J. Vignes, Genève 2008, p. 399. 37 Gli esempi potrebbero essere moltissimi: si vedano almeno i passi molto notisu Correggio e Garofalo; cfr. VASARI, 1966-1994, IV, p. 50; V, pp. 410-411(Garofalo); e ancora uno della vita di Cristoforo Gherardi detto il Doceno, V,pp. 292-293.

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Francesco Salviati a scapito degli ultra-fiorentini Agnolo Bron-zino e Jacopo Pontormo38. Lo stesso della Porta, nel suo cano-ne, dipendeva in parte da quell’assunto storiografico: così sispiega l’omissione proprio di Bronzino e Pontormo, oltre aquella di Rosso Fiorentino, il cui soggiorno romano non erastato, a detta di Vasari, un’occasione davvero formativa39. Inmerito a coloro che erano ‘fioriti’ al di là degli Appennini, co-me molti suoi contemporanei, Guglielmo non si preoccupavadi distinguere tra veneziani e ‘lombardi’40, ma è importante ve-dere come nell’ottica di della Porta Jacopo Sansovino rientrassea tutti gli effetti tra gli artisti veneziani; e specularmente Seba-stiano del Piombo era inserito tra i pittori della scuola romana.Naturalmente il discorso critico di Guglielmo non aveva anco-ra la maturità e la raffinatezza di quello di Agucchi: basti pen-sare alla meccanicità con la quale egli, in un secondo tempo,aggiunse il nome di Giulio Romano tra quelli degli artisti ve-neti e ‘lombardi’, solo perché il Pippi si era affermato a Man-tova senza più rientrare a Roma.

Il trattatello di Guglielmo della Porta

Che Guglielmo della Porta si interrogasse, su un piano ancheteorico, delle questioni d’arte, e che ne discutesse con gli ‘huo-mini dotti’ di Roma emerge però anche da un altro passo delmassimo interesse della lettera all’Ammannati. Dopo aver accen-nato ad alcune delle sue maggiori opere, egli annunciava al col-lega di essere alle prese con la stesura di

un mio trattatello di molti huomini celebri et valorosi ne l’arte no-stra, tra quali siate posto ancor voi; et però mi sia caro un poco dibreve memoria di tutte le vostre fatiche et di quelle ancora di Gior-gio Vasaro et di tutti gl’altri valent’huomini di costà41.

Guglielmo, qui, rovesciava i termini dello scambio epistolarecon Ammannati, chiamando in causa proprio Vasari (menzio-nato solo in questo passo nel corso di tutta la lunga lettera),in merito alla cui opera egli voleva essere ragguagliato. DellaPorta sapeva di certo che l’aretino, attraverso Ammannati, sistava informando sulla sua attività di scultore, e rilanciavaquindi chiedendo notizie circa la produzione fiorentina di Va-sari, in vista della stesura del suo «trattatello di molti huomini

celebri et valorosi ne l’arte nostra». Quello che Guglielmo ave-va in mente, però, non era una raccolta di biografie in tuttosimile alle Vite di Vasari, poiché egli descriveva la sua fatica inquesti termini:

io metto diverse opere, varij edifitij et moltissime inventioni, et ta-cendo di quale natura si fussero i Mastri et altre cose simili di pocasostanza, vengo succintamente al nome, a la patria, et quello chepiù importa, all’opere loro42.

Quest’ultimo passo è straordinariamente simile a uno, moltocelebre, della lettera di Vincenzio Borghini a Vasari del 14agosto 1564 in merito alla stesura della seconda edizione delleVite43:

Il fine di questa vostra fatica non è di scrivere la vita de pittori, nedi chi furono figliuoli, ne quello che e feciono dationj ordinarie;ma solo per le opere loro di pittori, scultori, architetti; che altri-menti poco importa à noi sapere la vita di Baccio d’Agnolo o delPuntormo. E lo scrivere le vite, è solo di principi et huomini chehabbino esercitato cose da principi et non di persone basse, ma so-lo qui havete per fine l’arte et l’opere di lor mano: Et pero insistetein questo piu che potete et usateci diligentia; et ogni minutia cista bene44.

Paola Barocchi, a proposito dei cambiamenti delle Vite tra la pri-ma e la seconda edizione, riconducibili proprio all’influenzaesercitata da Borghini, ha giustamente parlato di una cosiddetta«antibiografia del secondo Vasari», evidente soprattutto nella ter-za parte dell’opera45. Guglielmo pensava, ad esempio, anche alladescrizione dei maggiori edifici sacri e profani d’Italia (e non so-lo) eretti al tempo di Paolo III:

Et prima sara dissegnato in forma piccola gran parte dele chiese etedifitij notabili fabricati à honore di Dio in Roma, in Italia, et fuord’Italia, dal principio del Pontificato di Paolo III in qua. Il medesi-mo si vedrà de Palazzi, Giardini et Fontane, Pittura, Scoltura et get-ti di bronzo, cosi ancora de le fortezze più rare46.

Le lunghe descrizioni di edifici ed affreschi sono proprio l’ele-mento che rende ‘antibiografiche’ le Vite del 156847, e sonoanch’esse, almeno in parte, riconducibili ai consigli di Borghinia Vasari. Si veda la lettera inviata da Borghini all’aretino datata8 agosto 1564:

38 Si veda ad esempio VASARI, 1966-1994, V, pp. 125-128, 520; sul giudiziodi Vasari in merito agli artisti più schiettamente fiorentini del Cinquecento:E. PILLOD, Pontormo, Bronzino, Allori: a Genealogy of Florentine Art, NewHaven 2001.39 VASARI, 1966-1994, IV, p. 480.40 S. PIERGUIDI, «In tempo che ’l fratello aveva riportato a Bologna la buona ma-niera di Lombardia»: i Carracci e Bologna al crocevia delle scuole pittoriche, in«Annali di Critica d’Arte», VII (2011), pp. 191-226.41 GRAMBERG, 1964, I, p. 125.42 GRAMBERG, 1964, I, p. 125.43 Secondo Silvia Ginzburg Carignani, Borghini avrebbe avuto un ruolo signi-ficativo anche nella stesura della Torrentiniana; S. GINZBURG CARIGNANI,

Filologia e storia dell’arte: il ruolo di Vincenzio Borghini nella genesi della Torren-tiniana, in Testi, immagini e filologia nel XVI secolo, a cura di E. Carrara e S.Ginzburg Carignani, Pisa 2007, pp. 161-166.44 FREY, 1940, p. 102, doc. CDLIX; FREY, 1941, pp. 190-191, doc. CDLIX;RUBIN, 1995, p. 192; RUFFINI, 2011, p. 95.45 P. BAROCCHI, L’antibiografia del secondo Vasari, in Giorgio Vasari tra decora-zione ambientale e storiografia artistica, atti del convegno di studi (Arezzo, 8-10ottobre 1981), a cura di G. C. Garfagnini, Firenze 1985, pp. 1-15, poi in P.BAROCCHI, Studi vasariani, Torino 1984, pp. 157-170; RUBIN, 1995, p. 209nota 69; RUFFINI, 2011, pp. 95-98.46 GRAMBERG, 1964, I, p. 126.47 RUFFINI, 2011, pp. 97-98.

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Il trattatello di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio

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Voi vorrei vedessi haver di Genova, Venetia, Napoli, Milano et insomma di queste città principali più numero di cose, così di pitturacome di scultura et architettura48.

L’accento era stato spostato, come si vede, sulle ‘cose’, non suiloro autori e le loro vite. È però davvero improbabile che Gu-glielmo della Porta avesse operato un confronto così sottile tra leredazioni delle Vite del 1550 e del 1568, desumendone questainterpretazione49. Più verosimile è l’ipotesi che l’implicita criticaal carattere ancora squisitamente biografico della prima edizionedell’opera vasariana che emerge dalla lettera all’Ammannati ri-fletta la ricezione delle Vite nell’ambiente frequentato da Gu-glielmo, ovvero la corte farnesiana del cardinale Alessandro,l’ambiente entro il quale era maturato il progetto stesso del libropoi pubblicato a Firenze, secondo quanto riportato in un celebrepasso dell’autobiografia vasariana del 1568:

In questo tempo andando io spesso la sera, finita la giornata, a ve-der cenare il detto illustrissimo cardinal Farnese, dove erano semprea trattenerlo con bellissimi et onorati ragionamenti il Molza, Ani-bal Caro, messer Gandolfo, messer Claudio Tolomei, messer Ro-molo Amasseo, monsignor Giovio, et altri molti letterati e galan-tuomini [...] si venne a ragionare, una sera fra l’altre, del Museo delGiovio50.

In un altro passo della sua lettera Guglielmo della Porta rievoca-va precisamente alcuni dei protagonisti di quella medesima elet-ta cerchia culturale:

Et gran forza mi diede in tante mie controversie questa impresa delCaro, et per mille esperienze ho poi conosciuto esser verissimo quelche sopra il medesimo scudo solevano dirmi il Tibaldeo, il Molza,il Giovio, il Sadoleto, il Bembo, il Serleti, il Casa, il Tolemei et mol-t’altri chiarissimi et divini ingegni51.

È insomma possibile che a Roma, alcuni protagonisti della cortefarnesiana avessero espresso i medesimi dubbi sul taglio biogra-fico dell’opera vasariana che più tardi sarebbero riaffiorati nellagià citata lettera di Borghini.

L’opera che della Porta aveva in mente di scrivere sarebbe sta-ta quindi diversa, almeno in parte, dalle Vite. Sebbene anch’egliparlasse, come abbiamo visto, di un «trattatello di molti huomi-ni celebri et valorosi ne l’arte nostra», questo avrebbe anche do-vuto comprendere delle sezioni diverse, come quella dedicata allefortificazioni52. Guglielmo aveva in animo anche di trattare que-

stioni di carattere tecnico, avendo egli messo a punto un nuovosistema per fondere il bronzo:

Vedrassi il modo di gettar statue di metallo secondo li antichi Ro-mani, et secondo li Maestri moderni et l’invention mia diferenteda gl’altri, come mostrai ne la statua del detto Pontefice; et mostra-ro meglio nel modo che ho trovato adesso molto utile, il quale nonho ancora publicato, prima ch’io me ne si servito ne le opere diGiesu Cristo. Poi lo notificarò con l’aggiunta, in che modo si ha dagettare qual si voglia metallo, argento, oro, grandi et piccoli, sottili,eguali, lisci di dentro et di fuora, mostrando et la compositione dele terre et le misture appropriate, secondo la qualità de li sopradettimetalli, perche le compositioni de le terre et misture vanno com-poste varie, secondo le materie et grandezze53.

Guglielmo era davvero orgoglioso (a ragione) della straordinariafusione del Paolo III, di cui egli aveva parlato già, nella medesimalettera, quando aveva trattato delle sue opere maggiori:

Oltra al modo, ch’io trovai ne la statua di Paolo terzo, gitto gran-dissimo, et il maggiore che ci sia de moderni [...], la quale vennetutta la prima volta senza difetto, sono stato anco novamente in-ventore d’un altra maniera di gitto non piu trovato, che mi saràd’honore et d’util grande, s’io non m’inganno; et io certamente lostimo piu di qual si voglia altro secreto, ch’io habbia nel’arte delgitto, ma però a benefitio de gli altri stendarò ancora di questoquanto io so nel libro del quale v’ho fatto gia mentione54.

Su queste questioni Guglielmo si dilungava molto, e concludevainfine:

L’arte del getto è sofistica et porta seco secreti dificili a saperli55.

Vasari, peraltro, nelle cosiddette ‘teoriche’ poste in apertura delleVite, già nella prima edizione del 1550 aveva parlato a lungo diquestioni tecniche, anche dell’«arte del getto»56; e nel 1568 ve-nivano inoltre pubblicati a Firenze i Due trattati, uno intorno alleotto principali arti dell’oreficeria, l’altro in materia dell’arte dellascultura, dove si veggono infiniti segreti nel lavorar le figure di mar-mo, e nel gettarle di bronzo di Benvenuto Cellini57. Nella letteraad Ammannati, della Porta non parlava affatto, invece, dei pro-blemi inerenti alla scultura in marmo, sebbene anche in quelcampo egli si fosse fatto notare per la sua perizia: in una letteraal cardinale Alessandro Farnese del 25 novembre 1553 relativaall’avanzamento dei lavori alle statue del monumento funebre diPaolo III, Annibal Caro scriveva:

48 FREY, 1940, p. 98, doc. CDLVIII; FREY, 1941, p. 189, doc. CDLVIII; RU-BIN, 1995, p. 193; RUFFINI, 2011, p. 98.49 Non possiamo neanche essere certi, peraltro, che Guglielmo avesse davveroletto le Vite del 1568 al momento di stendere quella versione della sua rispostaad Ammannati; su questo punto cfr. infra.50 VASARI, 1966-1994, VI, p. 389. Secondo molti studiosi, Vasari sarebbe statoall’opera sulle Vite a partire almeno dai primi anni quaranta (si vedano soprattutto,da ultimo, gli interventi della GINZBURG CARIGNANI, 2007, pp. 147-152, e di B.AGOSTI, Giorgio Vasari: luoghi e tempi delle Vite, Milano 2013, pp. 57-59, 72-74).51 GRAMBERG, 1964, I, p. 124.52 GRAMBERG, 1964, I, pp. 125-126.

53 GRAMBERG, 1964, I, p. 126.54 GRAMBERG, 1964, I, p. 125.55 GRAMBERG, 1964, I, p. 126.56 VASARI, 1966-1994, I, in part. 96-103; sulle ‘teoriche’ cfr. R. PANICHI, Latecnica dell’arte negli scritti di Giorgio Vasari, Firenze 1991; M. COLLARETA, Peruna lettura delle «Teoriche» del Vasari, in Le Vite del Vasari: genesi, topoi, ricezio-ne, atti del convegno (Firenze, 13-17 febbraio 2008), a cura di K. Burzer, Ch.Davis, S. Feser e A. Nova, Venezia 2010, pp. 97-101.57 P. L. ROSSI, «Parrem uno, e pur saremo dua»: the genesis and fate of BenvenutoCellini’s «Trattati», in Benvenuto Cellini: Sculptor, Goldsmith, Writer, a cura diM. A. Gallucci e P. L. Rossi, Cambridge 2004, pp. 171-198.

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Il Frate ha già condotto una statua assai ben oltre con maraviglia ditutti che la veggono, perché non lavora a bozza, come gli altri mava scoprendo le membra finite; di sorte che pare una donna ignudach’esca de la neve58.

Non è facile stabilire se in questo passo Caro intendesse in qual-che modo contrapporre della Porta al Buonarroti, e alle sue ope-re spesso lasciate a uno stadio ‘non finito’59: certo il rapporto traGuglielmo e il ‘divino’ Michelangelo è un tema sul quale si dovràtornare.

All’interno del progettato trattatello dellaportiano, particolar-mente originale sarebbe stata la sezione dedicata alle maggiori fi-gure di committenti e mecenati, e al loro rapporto privilegiatocon artisti di primo piano:

Saraivi una breve memoria d’alcuni Principi Ill.ri, i quali con som-ma liberalità loro hanno tirato à la vera eccellenza molti de la nostraprofessione, come il Magnifico Giuliano, il gran Michelagnolo; ilDuca Moro, Leonardo da Vinci; Papa Leone, Raffael da Urbino;Giulio secondo, Bramante, Paolo terzo, Antonio da San Gallo [...],et per non defraudare il Card. Farnese de l’obligo nel quale m’haposto con la sua benigna protettione, farassi ancor fede, che tuttoquello, ch’io so m’è venuto dal suo favore60.

Secondo un meccanismo simile a quello messo in atto da Plu-tarco nelle Vite parallele, Guglielmo aveva voluto accostare aciascuno degli artisti più celebri un principe diverso: per evita-re ripetizioni, quindi, Michelangelo non poteva essere associa-to né a Giulio II (Bramante), né a Paolo III (Antonio da SanGallo): così si spiegherebbe la strana scelta di Giuliano de’ Me-dici (1479-1516), del quale il Buonarroti avrebbe scolpito ilmonumento funerario nella Sacrestia Nuova, tra il 1526 e il1534, ma che non sembra fosse stato davvero in rapporto conl’artista61. È vero che ‘il gran Michelangelo’ apriva questo elen-co, ma non si può fare a meno di notare come il sommo artistavenisse associato a un committente che non aveva certo lo stes-so prestigio di un pontefice. Guglielmo, in fondo, sulla scortadelle Vite di Vasari avrebbe potuto associare il Buonarroti allafigura ormai mitica di Lorenzo il Magnifico, che nella sua‘scuola’ del giardino di San Marco aveva fatto muovere i primipassi al futuro genio62. Ma soprattutto la strana associazione traMichelangelo e Giuliano de’ Medici sembra significativa in re-lazione alla reticenza di Guglielmo in merito all’apporto delgrande artista alla storia della Fabbrica di San Pietro: egli

avrebbe potuto chiamare in causa Giulio III o Pio IV, sotto iquali il Buonarroti aveva diretto a lungo l’immane cantiere, madecise altrimenti.

Della Porta, Vasari e Michelangelo

Nell’autunno del 1569, quando della Porta stese quella versio-ne, l’ultima che ci sia rimasta, della sua risposta all’Ammanna-ti, i tre volumi della seconda edizione delle Vite erano stati or-mai pubblicati: la stampa era iniziata addirittura quattro anniprima, nel 1564, e il 9 gennaio 1568 Vasari poteva finalmentescrivere al duca Cosimo I presentandogli la nuova edizione del-la sua opera63. Se Guglielmo non aveva inviato a Firenze unalettera con una versione precedente, quella qui esaminata nonpoteva essere stata utile a Vasari per stilare la vita dello scultore:nelle pagine della giuntina, infatti, non si individuano passiche dipendano chiaramente dalla missiva riportata nel taccuinodi Düsseldorf. È però lecito domandarsi, al contrario, se Gu-glielmo avesse a sua volta già letto quelle pagine che lo riguar-davano. Vasari aveva avuto parole di lode, fra l’altro, per lequattordici Storie di Cristo che Guglielmo non riuscì mai a fon-dere, delle quali scrisse:

Le quali tutte istorie, se fussono gettate, sarebbono una rarissimaopera, veggendosi che è fatta con molto studio e fatica64.

Ed aveva anche apprezzato la sua nuova tecnica fusoria, di cuiGuglielmo avrebbe parlato nella sua lettera:

Ma dubitando per la grandezza del getto che il metallo non raffred-dasse, onde ella non riuscisse, messe il metallo nel bagno da basso,per venire abeverando di sotto in sopra. E con questo modo inusi-tato venne quel getto benissimo e netto come era la cera, onde lastessa pelle che venne dal fuoco non ebbe punto bisogno d’essererinetta, come in essa statua può vedersi: la quale è posta sotto i pri-mi archi che reggono la tribuna del nuovo San Pietro65.

Ma il giudizio finale sull’artista era comunque sostanzialmentenegativo, poiché egli commentava:

E nondimeno non ha condotto fra’ Guglielmo opere finite dal1547 infino a questo anno 1567: ma è proprietà di chi ha quell’uf-fizio impigrire e diventare infingardo66.

58 W. GRAMBERG, Guglielmo della Portas Grabmal für Paul III. Farnese in SanPietro in Vaticano, in «Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte», 21 (1984),p. 345, doc. VII.59 In merito al cosiddetto ‘non finito’ michelangiolesco, però, cfr. C. ELAM,“Che ultima mano?”: Tiberio Calcagni’s Postille to Condivi’s Life of Michelangelo,in A. CONDIVI, Vita di Michelangelo Buonarroti, a cura di G. Nencioni, Firenze1998, pp. XXIX-XXXVIII.60 GRAMBERG, 1964, I, p. 126.61 Sulla committenza di Giuliano de’ Medici cfr. D. LAURENZA, Leonardo nellaRoma di Leone X [c. 1513-16]. Gli studi anatomici, la vita, l’arte, Firenze 2004,pp. 22-26; S. TABACCHI, Medici, Giuliano de’, in Dizionario Biografico degli Ita-liani, 73, Roma 2009, p. 87.

62 VASARI, 1966-1994, VI, p. 9. Sulla realtà storica della ‘scuola’ del giardinodi San Marco voluta dal Magnifico cfr. C. ELAM, Lorenzo de’ Medici’s SculptureGarden, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz», 36(1992), pp. 41-84.63 FREY, 1940, pp. 367-368, doc. DCXIX; C. HOPE, Le Vite vasariane: unesempio di autore multiplo, in L’autore multiplo, atti della giornata di studi (Pisa,18 ottobre 2002), a cura di A. Santoni, Pisa 2005, pp. 68-69; C. M. SIMO-NETTI, La vita delle Vite vasariane: profilo storico di due edizioni, Firenze 2005,pp. 105-117.64 VASARI, 1966-1994, VI, p. 207.65 VASARI, 1966-1994, VI p. 206.66 VASARI, 1966-1994, VI p. 207.

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Il trattatello di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio

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D’altronde, per comprendere le ragioni dell’antagonismo tra dellaPorta e Vasari, non è tanto la biografia di Guglielmo a essere dav-vero significativa, quanto piuttosto quella di Michelangelo, nellaquale l’aretino parlava prima dell’amicizia tra i due artisti, ma sisoffermava poi sullo scontro scoppiato in merito alla collocazionedel monumento funebre di Paolo III all’interno di San Pietro:

fra’ Guglielmo, ‹scordatosi› de’ benefizii ricevuti, fu poi uno de’contrarii a Michelagnolo. [...] Successe l’anno 1549 la morte di pa-pa Paulo Terzo, dove dopo la creazione di papa Giulio Terzo, il car-dinale Farnese ordinò fare una gran sepoltura a papa Paulo suo perle mani di fra’ Guglielmo, il quale [Alessandro Farnese] avendo or-dinato di metterla in San Pietro sotto il primo arco della nuovachiesa sotto la tribuna, che impediva il piano di quella chiesa, e nonera in verità il luogo suo: e perché Michelagnolo consigliò giudi-ziosamente che là non poteva né doveva stare, il Frate gli preseodio, credendo che lo facessi per invidia; ma ben s’è poi accortoch’egli diceva il vero e che il mancamento è stato da lui, che ha avu-to la comodità e non l’ha finita, come si dirà altrove. E io ne fo fe-de, avvengaché l’anno 1550 io fussi per ordine di Papa Giulio IIIandato a Roma a servirlo, e volentieri, per godermi Michelagnolo,fui per tal consiglio adoperato: dove Michelagnolo desiderava chetal sepoltura si mettesse in una delle nicchie, dove è oggi la colonnadegli spiritati, che era il luogo suo, et io mi era adoperato che Giu-lio Terzo si risolveva, per conrispondenza di quella opera, far la suanell’altra nicchia col medesimo ordine che quella di papa Paulo;dove il Frate, che la prese in contrario, fu cagione che la sua non s’èmai poi finita e che quella di quello altro Pontefice non si facessi:che tutto fu pronosticato da Michelagnolo67.

Della questione, naturalmente, Vasari riparla anche nella vita diGuglielmo, dove il monumento funebre è lodato per la qualitàdelle singole parti:

Aveano a essere messe a questa sepoltura, la quale secondo un suodisegno doveva essere isolata, quattro figure che egli fece di marmocon belle invenzioni, secondo che gli fu ordinato da messer Anni-bale Caro, che ebbe di ciò cura dal Papa e dal cardinal Farnese [...].Ma il tutto non fu messo in opera per le cagioni che si son dettenella Vita di Michelagnolo. E si può credere che, come queste partiin sé son belle e fatte con molto giudizio, così sarebbe riuscito iltutto insieme: tuttavia l’aria della piazza è quella che dà il vero lumee fa far retto giudizio dell’opere68.

Lo scontro fra Michelangelo e della Porta era stato davvero du-rissimo: la vicenda del monumento funebre di Paolo III sareb-be divenuta per Guglielmo una vera e propria ‘tragedia’, al pari

di quella del monumento funebre di Giulio II per Michelan-gelo69. Non a caso in una lettera ad Alessandro Farnese dellaPorta affermava che il Buonarroti lo aveva osteggiato in almenotre occasioni diverse, mostrandosi sempre suo nemico irriduci-bile, a partire proprio dalla trasformazione del monumento aPaolo III in un semplice ‘altare’70. In un «Discorso per finire ilpalazo novo in Roma della ill.ma Casa di Farnese» Guglielmocriticava Michelangelo perché, nonostante gli fosse stato ri-chiesto più volte da Paolo III, non aveva mai realizzato un pro-getto definitivo per la conclusione dei lavori del palazzo71. Inun altro «Discorso contro Danielle pittore, chi s’arrogava di es-ser scultore e fonditore estimato», della Porta non solo attacca-va Daniele da Volterra, ma anche Michelangelo, che lo favorivain questo suo ambizioso disegno72. La lettera all’Ammannati, èvero, era stata pensata come un vero e proprio discorso teorico,nel quale non c’era spazio per rancori e risentimenti personali:Guglielmo, quindi, nella missiva ha solo parole di lode per Da-niele da Volterra73 e soprattutto per Michelangelo. Questi è de-finito «il Principe di tutta l’arte dissegnatoria»74, e quando del-la Porta vuole sottolineare il valore dei propri rilievi con Storiedi Cristo chiama in causa il giudizio «de primi huomini chefussero mai, et del Buonaroto specialmente»75. Guglielmo glis-sa poi su tutta l’annosa questione del monumento funebre diPaolo III, limitandosi a citare la statua bronzea del ponteficenel passo sopra riportato76. Se le aveva lette, non sembrerebbecerto che della Porta volesse attaccare direttamente le Vite del1568, o rispondere alle critiche che Vasari gli aveva mosso77.Come si è visto nel caso della vicenda della commissione delmonumento funebre di Pio V, è evidente che Guglielmo avessedeciso di tenere un tono alto, di non scendere in polemica nécon Vasari, né tantomeno con il ‘divino’ Michelangelo, il cuiprestigio era indiscutibile: non si può insomma escludere l’ipo-tesi che egli avesse letto la giuntina, e che la sua fosse una ri-sposta al progetto d’insieme delle Vite, quale era emerso dallatorrentiniana, senza nessuna vena o deriva personalistica. An-cora più probabile, però, è che la lettera ad Ammannati fossearrivata a Firenze con la giuntina stampata senza che della Por-ta lo sapesse: passa d’altronde poco tempo fra l’una e l’altra.Non sarebbe facile spiegare tanto distacco da un della Portapubblicamente offeso. Tanto più che, consapevole della stampaavvenuta, Guglielmo non avrebbe avuto più nulla da perdere.Possibile invece che la sua prudenza sia il segno evidente che

67 VASARI, 1966-1994, VI, pp. 81-82.68 VASARI, 1966-1994, VI, p. 206.69 F. CAGLIOTI, I monumenti funebri, I, in La Basilica di San Pietro in Vaticano,a cura di A. Pinelli, Modena 2000, I, p. 363; sulla questione degli spostamentidel sepolcro di Paolo III in San Pietro cfr. il fondamentale articolo di GRAM-BERG, 1984, e da ultimo C. ROBERTSON, New Documents for the Tomb of PaulIII, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana», 34 (2001/2002), pp.201-220, e C. RIEBESELL, Guglielmo della Portas Projekte für die Ausstattung vonNeu-Sankt-Peter, in Sankt Peter in Rom 1506-2006, atti del convegno (Bonn,22-25 febbraio 2006), a cura di G. Satzinger e S. Schütze, München 2008, inpart. 201-203.

70 GRAMBERG, 1964, I, p. 120, cat. 225.71 GRAMBERG, 1964, I, p. 101, cat. 186.72 GRAMBERG, 1964, I, pp. 117-118, cat. 222; cfr. anche S. DELLANTONIO, Re-gesto, in Daniele da Volterra amico di Michelangelo, catalogo della mostra, a curadi V. Romani, Firenze 2003, p. 182.73 GRAMBERG, 1964, I, p. 124.74 GRAMBERG, 1964, I, p. 123.75 GRAMBERG, 1964, I, p. 125.76 Cfr. nota 54. 77 Rimane valido, naturalmente, il discorso sulla contrapposizione di Roma aFirenze, del quale si è già detto, cfr. supra, note 4 e 13.

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egli sperasse di ricevere un buon trattamento nella seconda edi-zione delle Vite, magari anche come scrittore d’arte, come au-tore di un’opera di prossima uscita.

La cupola di San Pietro

Nella già citata lettera del 26 marzo 1564, come si ricorderà, Va-sari chiedeva lumi a Leonardo Buonarroti circa

le persecutionj e travagli che gli [Michelangelo] ebbe [nel cantieredella cupola di San Pietro] al tempo dj P.P. Paulo 4° et cosi le coseche seguirono a quel tempo dj Nannj dj Baccjo Bigio dello atachoet dj Fra Guglielmo78.

Vasari parlava esplicitamente, sebbene confusamente, dell’attac-co di Nanni di Baccio Bigio a Michelangelo, e finiva poi perchiamare in causa anche Guglielmo della Porta. Dello scontrofra Buonarroti e Lippi sul cantiere della cupola di San PietroVasari avrebbe poi ampiamente riferito nella seconda edizionedelle Vite79, dove non si trova invece nulla in merito a una po-lemica con della Porta. Questi, però, sarebbe stato effettivamen-te interpellato dalla Fabbrica di San Pietro per esprimere un pa-rere sulla cupola: il memoriale che riporta l’opinione del fratecirca la costruzione allora in corso è databile post dicembre1565, poiché si apre ricordando la «congregatione» dei «depu-tati di detto tempio» istituita dalla «felice memoria de papa PioIIII», deceduto appunto il 9 dicembre 156580. Se però Vasari fa-ceva il nome di della Porta in relazione a quelle stesse vicendegià nella lettera del marzo 1564, a poco più di un mese dallamorte di Michelangelo, evidentemente quella commissione diesperti voluta da Pio IV doveva essersi già riunita almeno un an-no prima: come si dirà, infatti, al momento della stesura di quelmemoriale Guglielmo aveva realizzato una serie di disegni ar-chitettonici di cui andava molto fiero. Nel documento, peraltro,della Porta non è indicato come un architetto tout court, bensìcome uno scultore, che però era stato

creato et allevato dal Buonarota et dal San Gallo molti anni, per liquali si può giudicare, che se sia ragionato del detto tempio81.

Ad ogni modo della Porta non si candidava alla direzione delcantiere:

In prima dice il frate sudetto, che l’architetto, che havrà il carico divoltare la cuppola di Santo Pietro, havrà consideratione, che dettacuppola è in aria e non nasce da terra, come la cuppola di SantaMaria in Fiorenza82.

Sebbene il memoriale sia stato giudicato come un’acuta letturadel progetto michelangiolesco, proprio in virtù di questa nettadistinzione istituita tra la cupola di San Pietro e quella di San-ta Maria del Fiore a Firenze83, è altrettanto evidente che Gu-glielmo muovesse almeno due ben precise critiche al Buonar-roti, al disegno delle finestre e, soprattutto, al sistema stessodi costruzione della cupola84. Queste critiche, in realtà, nonsono espresse davvero chiaramente nel memoriale, ma non èdato sapere se questo fosse a causa dell’incompetenza di chiredasse la relazione stessa o dell’imprecisione di Guglielmonell’esporre le sue ragioni. Comunque nel memoriale si leggeche, prima di tutto, nel disegno approntato da della Porta era-no stati ricavati

lumi quali sono necessarij: perche li lumi, che hoggi vi sonno,non sonno per linea perpendiculare, come hanno fatto li antichiet moderni85.

Poi, in merito alla «fortezza» della cupola, Guglielmo osservava:

La cuppola di Santo Pietro secondo il Buonarota se li cammina didentro in modo, che patisce la forza di detta volta, et fa maggior’circunferentia, il che causa maggior peso; e questo è molto nocivo,trovandoci nel termine, come è detto. Li antichi et moderni hannocaminato de fora delli tempij, eccetto Santa Maria in Fiorenza, qua-le secondo Vitruvio et li tempij antichi non si prova detta regola,remettendosi al megliore juditio86.

Qui sembrerebbe che della Porta considerasse la cupola di SantaMaria del Fiore alla stregua di un’eccezione che conferma la re-gola, valida sia per gli antichi sia per i moderni, secondo cui nonsi può costruire una vòlta procedendo solo ‘di dentro’, ovverosenza impalcature esterne: e questo forse perché, come aveva giàdetto il frate, la cupola del Duomo di Firenze nasceva da terra enon in aria come quella di San Pietro87. Così si spiegherebbe for-se anche un altro passo del memoriale:

Et di più il detto frate ha trovato il modo, che fa sperone à detta

78 Cfr. nota 8. 79 VASARI, 1966-1994, VI, pp. 105-106.80 K. FREY, Zur Baugeschichte des St. Peter. Mitteilungen aus der ReverendissimaFabbrica di S. Pietro, in «Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen», XXXI(1913), p. 152. 81 Ivi.82 Ivi.83 F. BELLINI, La cupola di San Pietro da Michelangelo a Della Porta, in SanktPeter in Rom…, 2008, pp. 180-181; F. BELLINI, La basilica di San Pietro daMichelangelo a Della Porta, Roma 2011, I, pp. 297-299.84 BELLINI, 2011, p. 351.

85 FREY, 1913, p. 152. Non è chiaro cosa intendesse dire Guglielmo quandoaffermava che «li lumi non sonno per linea perpendiculare»: il cambiamentodella forma delle finestre da circolare a rettangolare era già stato operato da Mi-chelangelo tra il 1547 e il 1557 circa (RUFFINI, 2011, p. 135).86 FREY, 1913, p. 153.87 Sul confronto fra le due cupole di Santa Maria del Fiore e di San Pietro cfr.H. SAALMAN, Michelangelo: S. Maria del Fiore and St. Peter’s, in «The Art Bul-letin», LVII (1975), pp. 374-409; G. MAURER, Michelangelos Projekt für denTambour von Santa Maria del Fiore, in «Römisches Jahrbuch für Kunstge-schichte», 33 (1999/2000), pp. 85-100, dove peraltro non si trova nulla in me-rito a quanto sostenuto da Guglielmo della Porta.

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Il trattatello di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio

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cuppola et fa bellezza et commodità, in modo che si può andare si-no alla lanterna et sino alla palla commodissimo88.

Cosa esattamente intendessero Guglielmo e/o l’estensore del me-moriale con il termine ‘sperone’ non è chiaro, ma poteva forsetrattarsi di un espediente che consentisse la costruzione della cu-pola più agevolmente («in modo che si può andare sino alla lan-terna et sino alla palla commodissimo»)89.

Per dimostrare le sue tesi Guglielmo aveva approntato dei di-segni in cui mostrava il progetto di Michelangelo a confrontocon le cupole antiche e con la sua proposta:

come mostra il detto frate in dissegno [lacuna] secondo li antichi,il Buonarrota et il suo90.

Quando, nella lettera all’Ammannati, Guglielmo avrebbe inizia-to a descrivere le sue opere, egli sorprendentemente non sarebbepartito dalle sue sculture, bensì proprio da

alcuni dissegni de la cuppola di San Pietro in diversi modi, cio èsecondo Bramante, Antonio da San Gallo, Raffaello, Baldassarre equello che si mette hora in opera, dissegnati tutti d’una misura sola,per non favorir più l’uno che l’altro91.

Si tratta di una prova davvero eloquente dell’enorme impor-tanza che aveva assunto il cantiere di San Pietro nel dibattitoartistico contemporaneo, soprattutto romano: uno scultore diprimo piano come Guglielmo della Porta reputava la sua con-sulenza sui lavori alla cupola un’opera meritevole di essere ci-tata accanto, e anzi prima, delle sue vere e proprie creazioni inmarmo e bronzo. D’altronde, nella seconda edizione delle Vitevasariane alla descrizione del progetto michelangiolesco dellacupola è dedicato un brano di carattere tecnico di una lunghez-za e difficoltà davvero straordinari, probabilmente ripreso dauna relazione fatta pervenire da Roma all’autore92. Nel passoappena citato, come si è visto, Guglielmo glissava completa-mente proprio sul nome di Michelangelo, l’unico tra gli archi-tetti menzionati che aveva lasciato un colossale modello ligneodella cupola da costruire, al quale coloro che si sarebbero suc-ceduti alla direzione dei lavori avrebbero sempre cercato di ri-manere più o meno fedeli. Della Porta, peraltro, non si attri-buiva affatto il disegno «che si mette hora in opera», identifi-cabile in fondo sempre con il progetto michelangiolesco, forseappena modificato da Ligorio e da Vignola (che, però, non ve-niva menzionato93): si trattava di una soluzione in qualche mo-

do ambigua, perché da una parte l’autore non riferiva quel di-segno al Buonarroti, ma dall’altra non ne negava esplicitamen-te la sua paternità. Sembrerebbe che Guglielmo desse in qual-che modo per scontato che il disegno «che si mette hora inopera» fosse sostanzialmente quello michelangiolesco, magarisenza sottolineare, per opportunità, quelle leggere modificheche erano state apportate anche dietro suo consiglio. Si potreb-be dire che, quasi paradossalmente, in questo modo della Portaindicava la cupola di San Pietro come un esempio di quella «artwithout author», secondo la definizione di Marco Ruffini, checostituiva secondo Vasari uno degli obiettivi della visionedell’arte accademica, categoria alla quale però lo stesso Vasarinon avrebbe mai iscritto la cupola di San Pietro, la cui ‘auto-grafia’ esclusivamente michelangiolesca egli cercò di sottolinea-re in ogni modo94. Nel memoriale, comunque, si riportava co-me della Porta suggerisse soluzioni per

finire detta cuppola senza levare cosa alcuna che habbi fatto il Buo-narotta95.

Si trattava, è chiaro, di una richiesta espressa prima di tutto dallacommittenza. Vasari, nelle Vite, aveva infatti riportato che

Avvengaché, vivente dopo lui Pio Quarto, ordinò a’ soprastanti del-la fabbrica che non si mutasse niente di quanto aveva ordinato Mi-chelagnolo96.

Ma se nel memoriale delle critiche erano state espresse, nessunattacco esplicito a Michelangelo si rintraccia nella lettera di Gu-glielmo ad Ammannati, in merito alla cupola di San Pietro.Non è un caso, forse, che nelle Vite non si legga nulla in meritoall’avversione di Guglielmo al progetto michelangiolesco dellacupola: alla fine l’aretino non aveva ricevuto, o raccolto perso-nalmente, informazioni davvero esplicite in tal senso.

Il plagio da Claudio Tolomei

Nel memoriale della Fabbrica di San Pietro si legge un passomolto simile a uno, sempre relativo alla cupola, della lettera adAmmannati:

è necessario, che il prudente architetto [che volterà la cupola] hab-bia consideratione più delli tre precetti che dà Vitruvio, bellezza,fortezza et commodità. In questo caso è necessario aggiongerci tre

88 FREY, 1913, p. 153.89 Già il progetto michelangiolesco prevedeva la costruzione di una cupolaa ‘speroni’, secondo un disegno del tutto innovativo; cfr. BELLINI, 2011, I,p. 303.90 FREY, 1913, p. 152.91 GRAMBERG, 1964, I, p. 124; sull’esistenza di progetti raffaelleschi relativialla cupola di San Pietro, cfr. J. SHEARMAN, On the master-model for New SaintPeter’s, 1506-21, in Ars et scriptura. Festschrift für Rudolf Preimesberger zum 65.Geburtstag, a cura di H. Baader, U. Müller Hofstede, K. Patz e N. Suthor, Ber-lin 2001, p. 130.

92 RUFFINI, 2011, pp. 125-136, in part. 129.93 Vignola è documentato per la prima volta nel cantiere della cupola di SanPietro nel 1564, e sarebbe rimasto l’unico architetto incaricato di seguire ilavori dopo la definitiva uscita di scena di Pirro Ligorio nel 1568; cfr. F.BELLINI, La basilica di San Pietro in Vaticano, in Jacopo Barozzi da Vignola,a cura di R. J. Tuttle, B. Adorni, Ch. L. Frommel e Ch. Thoenes, Milano2002, pp. 300-306. 94 RUFFINI, 2011, in part. 117-118, 125 e 134.95 FREY, 1913, p. 152.96 VASARI, 1966-1994, VI, p. 106.

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cose più, che non dice Vitruvio [...]; nel quale [disegno presentatoda Guglielmo] osserva bellezza, fortezza et commodità, facendo dipiù ligerezza et cavandone lumi, quali sono necessarij97.

Guglielmo avrebbe poi scritto nel 1569:

so io che sentirete piacere grandissimo in considerare quanto diver-samente, ma però con somma eccellenza fussero in questo corpoosservate da tutti [Bramante, Sangallo, Raffaello, Peruzzi] quelle treparti: bellezza, fortezza et commodità, che n’insegna Vitruvio98.

Vitruvio veniva chiamato in causa anche più avanti, nella lettera,in un passo che ci permette di indicare quella che è forse la fontepiù importante per il testo della missiva, e più in generale pertutto il progetto del trattatello dellaportiano:

Ancora si vedrà in detto libro una fattica inaspettata da me, perla quale si conoscerà che non è difficile à mettere à luce qual sivoglia grand’opera studiosa, per la gran copia de li rari huominiche in qual si voglia scienza si trovano in Roma. Et di questo neparlo in causa scientie, imperoche volendo io dechiarare alcuneparti oscure di Vitruvio. È stato necessario scoprir questo mio de-siderio con li dotti greci et latini, et ne le fortificationi col soldato,quali me hanno dechiarate le dette parti, et confrontate con mesopra li dissegni, et misure, et vocaboli ordinati à membro permembro de l’Architettura, in modo che si conoscera molte cosedi Vitruvio, che forse prima non si son conosciute. Et saran de-chiarati gli avertimenti et modi de alcuni nervi di edifitij di Thea-tri, di Amphiteatri, et di machine, et particolarmente si dechiara-ranno i vocaboli de li membri a parte a parte dell’inossature ditutti gl’ordini de l’Architettura in lingua toscana, godibile ed in-telligibile sia dallo scarpellino, muratore e falegname come dalgentiluomo99.

Sono due i punti che vanno sottolineati di questo brano: dauna parte Guglielmo, come avrebbe poi ribadito nella chiusadella lettera, dichiarava che nessuna impresa erudita era im-possibile nella sua città, «per la gran copia de li rari huominiche in qual si voglia scienza si trovano in Roma». A tanta ric-chezza di sapere e scienza egli aveva dovuto far ricorso perportare a termine il progetto di «dechiarare alcune parti oscuredi Vitruvio», per il quale si era consultato con «dotti greci etlatini»: l’obiettivo era quello di avere tutti i «vocaboli ordinati

à membro per membro de l’Architettura». Nel libro, annun-ciava Guglielmo, «si dechiararanno i vocaboli de li membri aparte a parte dell’inossature di tutti gl’ordini de l’Architetturain lingua toscana». Un interesse, insomma, prima di tutto ter-minologico, che evoca immediatamente il progetto dell’acca-demia vitruviana romana, la cosiddetta ‘Accademia della Vir-tù’, ovvero quella cerchia di dilettanti dell’architettura chemolti anni prima si era riunita intorno al cardinale AlessandroFarnese e si era posta il medesimo obiettivo, prima di scio-gliersi senza averlo raggiunto intorno al 1545100. Il program-ma di quell’eletto consesso era stato messo nero su bianco dalsenese Claudio Tolomei in una lettera del 14 novembre 1542ad Agostino de’ Landi, pubblicata nella raccolta che aveva vi-sto la luce a Venezia, presso i Giolito, nel 1547101. Tolomei,prima di aderire con entusiasmo al progetto di una nuova edi-zione di Vitruvio, aveva preso parte attivamente all’annosaquestione della lingua: nulla di sorprendente, quindi, che unodegli obiettivi dell’Accademia della Virtù fosse quello di tra-durre il celeberrimo tratto ‘in lingua toscana’ esattamente co-me avrebbe scritto venticinque anni dopo Guglielmo dellaPorta, affinché a tutti i ‘membri’ dell’architettura fosse dato illoro nome corretto:

avendo sopra tutto animo di dichiarare le parole e i sentimenti diVitruvio, il quale autore, per la difficultà de la materia, per la no-vità de’ vocaboli, per l’asprezza delle costruzzioni, per la corruz-zion de’ testi è giudicato da ciascun più ch’ogni oracolo oscuro[...]. Prima dunque si farà un libbro latino [...]. In Vitruvio sonoinfiniti vocaboli greci e latini, li quali a l’orecchie altrui paiononuovi e rare volte uditi. Però, per utilità di coloro che studianoquesto libbro, si farà un vocabolario latino assai pieno [...], peròse ne farà uno altro de’ vocaboli greci [...] Per la qual cosa insinoa questi tempi Vitruvio è stato tradotto almen tre volte di latinoin volgare, ma così stranamente, e con parole e costruzioni cosìaspre ed intrigate, che senza dubbio manco assai s’intende in vol-gare, che non fa in latino [...]. Farassi dunque ancor questo utileal mondo, traducendo nuovamente Vitruvio in bella lingua tosca-na [...]. Aggiungerassi a questa un’altra utile opera, facendo unvocabolario toscano per ordine d’alfabeto de le cose de l’architet-tura, accioché tutte le parti siano chiamate per lo suo comune evero nome [...] tutti i suoi membri, come il zocco, la luna, il ton-dello, il collarino102.

97 FREY, 1913, p. 152.98 GRAMBERG, 1964, I, p. 124. Il rapporto tra i due passi è stato notato inF.-E. KELLER, Zur Planung am Bau der römischen Peterskirche im Jahre 1564-1565, in «Jahrbuch der Berliner Museen», XVIII (1976), pp. 36-37.99 GRAMBERG, 1964, I, pp. 126-127.100 Sull’Accademia della Virtù cfr. soprattutto P. N. PAGLIARA, Vitruvio da te-sto a canone, in Memoria dell’antico nell’arte italiana, a cura di S. Settis, Torino1984-1986, III, pp. 67-74; E. FERRETTI, Tra Bindo Altoviti e Cosimo I: Ave-rardo Serristori, ambasciatore mediceo a Roma, in Ritratto di un banchiere delRinascimento: Bindo Altoviti tra Raffaello e Cellini, catalogo della mostra, a cu-ra di A. Chong, D. Pegazzano e D. Zikos, Milano 2004, pp. 457-458; sullacultura architettonica fiorita nelle accademie del Cinquecento, cfr. anche G.SPINI, I tre primi libri sopra l’institutioni de’ greci et latini architettori intornoagl’ornamenti che convengono a tutte le fabbriche che l’architettura compone, acura di C. Acidini, in Il disegno interrotto: trattati medicei d’architettura, Firen-

ze 1980, I, pp. 11-201, in part. 17; M. DALY DAVIS, Jacopo Vignola, AlessandroManzuoli und die Villa Isolani in Minerbio: zu den frühen Antikenstudien vonVignola, in «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz»,XXXVI (1992), pp. 287-328, e M. RINALDI, La cultura delle accademie: im-maginario urbano e scienze della natura tra Cinquecento e Seicento, Milano2005, pp. 17-54.101 P. BAROCCHI, in Scritti d’arte del Cinquecento, a cura di P. Barocchi, Mila-no-Napoli 1971-1977, III, p. 3037, nota 1. 102 BAROCCHI, in Scritti d’arte…, 1971-1977, III, pp. 3038-3040; cfr. ancheS. BENEDETTI - T. SCALESE, Nota introduttiva a C. TOLOMEI, Lettera al conteAgostino de’ Landi; Lettera a Gabriele Cesano, in Classici italiani di scienze tecni-che e arti. Trattati di architettura, V, 2: P. CATANEO, G. BAROZZI DA VIGNOLA,Trattati, con l’aggiunta degli scritti di architettura di Alvise Cornaro, FrancescoGiorgi, Claudio Tolomei, Giangiorgio Trissino, Giorgio Vasari, Milano 1985, pp.33-41 (per i passi citati della lettera, pp. 55-56).

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Il trattatello di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio

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Anche l’attenzione particolare riservata agli acquedotti che sitrova nella lettera ad Ammannati ha un precedente in quella diTolomei103.

Dell’Accademia della Virtù parla anche Vasari in un passomolto importante della vita di Vignola, inserita in appendice aquella di Taddeo Zuccari:

Ma dopo, essendo allora in Roma un’Accademia di nobilissimigentiluomini e signori che attendevano alla lezione di Vitruvio,fra’ quali era messer Marcello Cervini, che fu poi Papa, monsi-gnor Maffei, messer Alessandro Manzuoli et altri, si diede il Vi-gnuola per servizio loro a misurare interamente tutte le anticagliedi Roma et a fare alcune cose secondo i loro capricci: la qual cosagli fu di grandissimo giovamento nell’imparare e nell’utile pari-mente104.

Non solo, quindi, tutta l’Accademia della Virtù, ed in partico-lare Claudio Tolomei, segretario a Roma di Pier Luigi Farnesedal 1539 al 1545, era legata alla cerchia del ‘Gran Cardinale’,ma anche l’architetto incaricato di «misurare interamente tuttele anticaglie di Roma», ovvero Vignola, avrebbe proseguito lasua carriera romana al servizio di Alessandro. In particolare, trail 1550 e il 1552, egli avrebbe supervisionato tutte le spese so-stenute per la realizzazione del monumento funebre di PaoloIII, seguendo quindi da vicino proprio il lavoro di Guglielmodella Porta105. Non ci rimane molto del lavoro svolto da Vigno-la, tra il 1537/38 e il 1541, per conto dell’Accademia della Vir-tù106, ma non si può escludere del tutto la possibilità che qual-che suo disegno o misurazione fosse ancora disponibile pressola biblioteca del cardinale Farnese nel momento in cui dellaPorta progettava il suo trattatello. A quella data, ormai, lo stes-so Vignola, lui sì, aveva dato alle stampe un trattato di archi-tettura, quella Regola delli cinque ordini d’architettura che avevavisto la luce a Roma tra il 1561 e il 1562107, e che avrebbe in-contrato un successo senza precedenti: quando della Porta par-lava specificatamente dei nomi dei membri «di tutti gl’ordinide l’Architettura» e non più genericamente, come aveva fattonella sua lettera Tolomei, di quelli de «le cose de l’architettura»,egli aveva certamente in testa il titolo dell’opera di Vignola. Esi noti che, in tutta la lettera ad Ammannati, mentre il nomedi Claudio Tolomei è citato in almeno un passo108, quello diVignola, al pari di quelli di Ligorio e Orsini109, è taciuto anchedove sarebbe potuto essere speso.

Il plagio da Pirro Ligorio

Come già detto, nel 1564 a capo della Fabbrica di San Pietro,accanto a Vignola, era Ligorio110. Questi, proprio come Nannidi Baccio Bigio prima di lui, aveva apertamente osteggiato l’at-tuazione dei disegni del Buonarroti, e Vasari non aveva certoglissato sul suo nome. Dopo la stasi del pontificato di Pio IV,che come abbiamo visto si era limitato a non mutare il progettomichelangiolesco, questo venne fatto eseguire «con maggiore au-torità» da «Pio V suo successore»,

il quale, perché non nascessi disordine, volsi che si eseguissi invio-labilmente i disegni fatti da Michelagnolo, mentre che furono ese-cutori di quella [la fabbrica della cupola] Pirro Ligorio e Iacopo Vi-gnola architetti; che Pirro, volendo presuntuosamente muovere etalterare quell’ordine, fu con poco onor suo levato via da quella fab-brica e lassato il Vignola111.

Sul ruolo avuto da Ligorio nel cantiere di San Pietro è statoscritto molto, e la critica non è unanime nell’indicare i terminicronologici del suo impegno alla costruzione della cupola (ovve-ro al tamburo della stessa), compresi tra il 1564 e il 1565 o il1566-1567112. All’apice della sua carriera romana, comunque, ècerto che Pirro dovette subire l’umiliazione del carcere in seguitoalle accuse rivoltegli circa la sua gestione del denaro della Fab-brica di San Pietro, come riportato da un avviso del luglio1565113. In due lettere del 4 settembre e dell’11 novembre diquell’anno, indirizzate la prima al cardinale Alessandro Farnesee la seconda (probabilmente) al cardinale Ippolito d’Este, Ligo-rio accusava proprio della Porta di averlo calunniato114: si tengapresente che l’episodio risaliva all’epoca in cui Guglielmo era sta-to chiamato a esprimere il suo parere in merito ai lavori alla cu-pola, ed è possibile che lo scultore avesse effettivamente giocatoun ruolo di primo piano in quella vicenda. Ligorio e della Portaappartenevano entrambi alla cerchia di Alessandro Farnese, co-me testimonia anche la già citata lettera del primo datata 4 set-tembre 1565, ma Guglielmo era legato al cardinale da un rap-porto molto più lungo e solido. Quanto era accaduto nel cantie-re di San Pietro nel 1564-1565 costituisce, come si vedrà, un an-tefatto del massimo interesse per il progetto dellaportiano deltrattatello qui in esame.

Nel maggio del 1566, certo amareggiato per il recente incar-ceramento e per le difficoltà nel cantiere della cupola di San Pie-

103 GRAMBERG, 1964, I, p. 127; BAROCCHI, in Scritti d’arte…, 1971-1977, III,p. 3045.104 VASARI, 1966-1994, V, p. 570.105 GRAMBERG, 1984, pp. 341-342; R. J. TUTTLE, La vita, in Jacopo Barozzi...,2002, p. 31.106 H. GÜNTHER, Gli studi antiquari per l’«Accademia della Virtù», in JacopoBarozzi..., 2002, pp. 126-128. 107 C. THOENES, La pubblicazione della «Regola», in Jacopo Barozzi…, 2002,pp. 333-340.108 Cfr. supra, nota 51.109 Cfr, infra, nota 129.

110 Cfr. nota 93.111 VASARI, 1966-1994, VI, pp. 106-107.112 Secondo Henry A. Millon e Craig H. Smyth, Ligorio avrebbe lavorato alcantiere di San Pietro fino all’inverno del 1566-1567; cfr. H. A. MILLON - C.H. SMYTH, Pirro Ligorio, Michelangelo, and St. Peter’s, in Pirro Ligorio, Artistand Antiquarian, a cura di R. W. Gaston, Cinisello Balsamo 1988, pp. 268-271; vedi anche BELLINI, 2011, I, p. 165. 113 D. R. COFFIN, Pirro Ligorio: the Renaissance Artist, Architect and Antiquar-ian; with a Checklist of Drawings, The Pennsylvania State University Press2004, pp. 70-71.114 COFFIN, 2004, p. 71.

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Arte Lombarda | STEFANO PIERGUIDI

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tro, Ligorio cominciò a pensare di lasciare Roma, e avviò le trat-tative per la vendita ad Alessandro Farnese di tutta la sua colle-zione antiquaria. A fare da intermediari erano Onofrio Panvinioe soprattutto Fulvio Orsini, bibliotecario del cardinale115. Nel1567 Pirro ricevette un salario mensile per i suoi servizi resi adAlessandro in qualità di antiquario, e in quello stesso anno ven-dette al grande mecenate tutta la sua collezione di manoscritti emedaglie116. Tra la fine del 1568 e i primi mesi del 1569, infine,Ligorio lasciò definitivamente Roma alla volta di Ferrara, doveentrò al servizio del duca Alfonso II d’Este117. Non si può fare ameno di notare la perfetta contemporaneità di questi eventi conla stesura dell’ultima versione rimastaci della risposta di dellaPorta ad Ammannati: nelle prime due bozze, risalenti probabil-mente al 1564-1566, l’autore non accenna al suo progetto discrivere un trattatello sull’arte; nel settembre del 1569, con Li-gorio ormai lontano da Roma, e tutti i suoi manoscritti di sog-getto antiquario nella biblioteca del suo protettore, Guglielmosi lancia in un progetto ambizioso che non avrebbe mai portatoa termine senza consultare, ovvero plagiare, quel prezioso mate-riale. Nell’economia complessiva del trattatello così come la pos-siamo ricostruire attraverso la lettera ad Ammannati, infatti, lospazio che sarebbe stato dedicato a questioni di tema antiquariosuperava di gran lunga quello che della Porta pensava di riservareai temi, ai quali si è già accennato, di carattere tecnico o stretta-mente storico-artistico. Gugliemo progettava di descrivere primadi tutto le maggiori raccolte d’antichità, ponendo l’accento, daartista cortigiano, sui nomi dei collezionisti:

et anco vi sara notato i nomi di coloro che si son delettati de an-tichità, de marmi, e metalli, medaglie, Camei et altri intagli,comminciando dal Cardinale de la Valle, et venendo à gli Ill.mi

Farnese118.

Leggendo questo passo potrebbe anche venire in mente l’opu-scolo di Ulisse Aldrovandi, il Delle statue antiche, che per tuttaRoma, in diversi luoghi et case si veggono, pubblicato a Roma nel1556 all’interno de Le antichità de la città di Roma di LucioMauro, così come il passo successivo della lettera ad Ammannatianticipa le Memorie di varie antichità trovate in diversi luoghi del-la città di Roma rimaste manoscritte di Flaminio Vacca, e risa-lenti al 1594:

Vi saranno descritte molte statue bellissime et rare coi luoghi dovesi sono trovate insieme con alcune qualità di tesori, et certi casinotabili successi in trovarle, come avvenne in una statua d’Ercoletrovate ne le terme d’Antonino Caracalla, il capo de la quale erastato sei anni prima trovato in Trastevere cavando un pozzo, et es-sendo per opera mia venuto in poter di Farnese. Mentre s’andavapensando come potesse adattarsi alla detta statua fu trovato essersuo proprio119.

Non ci sono dubbi che tutti questi passi furono ispirati da unarapida scorsa data ai manoscritti ligoriani recentemente acqui-stati dal ‘Gran Cardinale’ e oggi alla Biblioteca Nazionale diNapoli: anche Ligorio, infatti, aveva indicato gli scavi da cuierano emerse tante statue antiche nel corso del Cinquecen-to120. Il passo relativo all’Ercole Farnese è peraltro particolar-mente significativo anche per un’altra ragione. Come è noto,su raccomandazione di Michelangelo della Porta aveva restau-rato quella statua ritrovata nelle terme di Caracalla, e le gambemoderne che egli aveva scolpito erano state così ammirate che,quando erano state rinvenute le originali, Buonarroti avevaconsigliato di non rimuovere quelle di Guglielmo121. Propriosu quei primi restauri sulle antichità Farnese, ricordati ancheda Vasari, della Porta aveva costruito la sua carriera romana,eppure lo scultore non volle menzionarli nella lettera ad Am-mannati, preferendo piuttosto puntare sulla propria compe-tenza di antiquario, e ricordando quindi come fosse stato luia riconoscere la pertinenza all’Ercole Farnese di quella testa tro-vata a Trastevere122. In fondo lo stesso Michelangelo, se da unaparte aveva incoraggiato della Porta e ne aveva apprezzato l’ope-rato, si era sempre rifiutato di restaurare in prima persona le sta-tue antiche123, e Guglielmo doveva pensare che in fondo quellanon era stata un’occupazione davvero prestigiosa; meglio presen-tarsi come un erudito. E davvero erudita era un’altra sezionedel trattatello, ispirata dalle tavole della Forma Urbis sempredi proprietà di Alessandro Farnese; partendo dall’analisi diquelle opere della Porta avrebbe voluto scrivere persino di to-pografia antica:

si potria fare maggiore impresa, come sarebbe metter Roma inquella forma che fu da li proprij antichi intagliata in lastre di mar-mo con le strade di essa Roma indorate, con li edifitij, palazzi ettempij et altre simil cose notabili. La qual pianta fu posta nel tem-

115 C. ROBERTSON, ‘Il Gran Cardinale’: Alessandro Farnese, Patron of the Arts,New Haven 1992, pp. 226, 298, doc. 46.116 C. RIEBESELL, Die Sammlung des Kardinal Alessandro Farnese: ein «studio»für Künstler und Gelehrte, Weinheim 1989, pp. 131-133, 200-202; ROBERTSON,1992, p. 50; sulla posizione di Ligorio nella storia dell’antiquaria cfr. R. W.GASTON, Merely Antiquarian: Pirro Ligorio and the Critical Tradition of Anti-quarian Scholarship, in The Italian Renaissance in the Twentieth Century, atti delconvegno (Firenze, 9-11 giugno 1999), a cura di A. J. Grieco, M. Rocke e F.Gioffredi Superbi, Firenze 2002, pp. 355-373, e A. CLARIDGE, Archaeologies,Antiquaries and the Memorie of Sixteenth and Seventeenth Century Rome, inArchives and Excavations: Essays on the History of Archaeological Excavations inRome and Southern Italy from the Renaissance to the Nineteenth Century, a curadi I. Bignamini, London 2004, p. 35.117 COFFIN, 2004, p. 107.

118 GRAMBERG, 1964, I, p. 126.119 GRAMBERG, 1964, I, p. 126.120 Cfr. ad esempio I. LAVIN, An Ancient Statue of the Empress Helen Reidenti-fied, in «The Art Bulletin», XXXXIX (1967), p. 58; R. W. GASTON, Ligorio onRivers and Fountains: Prolegomena to a Study of Naples XIII.B.9, in Pirro Ligo-rio..., 1988, pp. 180-181.121 Sull’episodio cfr. S. PIERGUIDI, Michelangelo e l’Antico nel Seicento: il Cristorisorto visto da Annibale Carracci, Vincenzo Giustiniani e Gian Lorenzo Bernini,in Dal Razionalismo al Rinascimento: per i cinquant’anni di studi di Silvia Da-nesi Squarzina, a cura di M. Giulia Aurigemma, Roma 2011, p. 321.122 F. RAUSA, scheda in Le sculture Farnese, 3, Le sculture delle Terme di Cara-calla, rilievi e varia, a cura di C. Gasparri, Milano 2010, pp. 17-18, cat. 1.123 O. ROSSI PINELLI, Chirurgia della memoria: scultura antica e restauri storici,in Memoria dell’antico…, 1984-1986, III, pp. 181-195.

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Il trattatello di Guglielmo della Porta: l’antagonismo con Vasari e i plagi da Tolomei e Ligorio

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pio di Romulo et Remulo ne la facciata di dietro, di fuora del dettotempio, et hoggi detti fragmenti sono in potere dell’Ill.mo et R.mo

Card.l Farnese124.

E anche Ligorio, come è noto, si era occupato della topografiadi Roma antica125.

Non sarebbe stato facile organizzare in modo coerente unamateria tanto ampia e varia, per la quale Guglielmo, probabil-mente affiancato da qualche umanista della corte farnesiana, pa-re avesse già approntato un indice di massima:

Per aggiunta à quel v’ho detto di sopra, ho voluto ancora à mag-giore vostra satisfattione mandarvi una tavola di tutto ciò che saràdissegnato et scritto nel libro; voi godetevi questa, fin che piaccia aDio piaccia ch’io conduca tutta l’opera a fine126.

Ma di un progetto tanto ambizioso non ci rimane praticamentenulla, ed è in fondo poco probabile che Guglielmo andasse dav-vero molto più in là di un semplice abbozzo. Della Porta era co-sciente del grande lavoro che lo avrebbe atteso, ma affermava dipoter contare sull’aiuto degli uomini colti che aveva agio di fre-quentare all’interno della corte del ‘Gran Cardinale’:

Et se quest’opera parerà a molti difficile di condurla a fine, la veritàè che in Roma è facile, per la gran copia de gl’huomini dottissimi

in qual si voglia professione, et ancor per esser già le dette fattichein buon termine127.

Ancora una volta, peraltro, l’autore riecheggiava quanto era statoscritto da altri prima di lui, nel caso specifico da Tolomei nellasua lettera del 1542:

A qualcuno parerà forse che questa sia troppo grande e troppo ma-legevole impresa, e ch’ella abbracci troppe cose, le quali non sia maipossibile condurre a fine [...]. Ma s’egli saprà come non un solo,ma molti belli ingegni si son volti a questa nobile impresa, e comea ciascuno è assegnata la sua particolar fatica, non più si maravi-glierà, credo, che si maravigli vedendo in una grossa città lavorar dicento arti o più in un medesimo tempo128.

È però significativo che della Porta non solo non citasse maiLigorio, ma neanche Fulvio Orsini, che di Pirro era stato ungrande amico ed estimatore129, e che certo non avrebbe tolle-rato facilmente un plagio dai suoi manoscritti. Eppure dellaPorta affermava baldanzoso che avrebbe facilmente compiutoquel trattatello,

per esser già le dette fattiche in buon termine130.

A ‘buon termine’, però, non le aveva portate lui, ma Ligorio.

124 GRAMBERG, 1964, I, p. 127; sulle prime notizie in merito al ritrovamentodelle tavole della Forma Urbis cfr. S. LE PERA, La «Forma Urbis» a Palazzo Far-nese, in Palazzo Farnese: dalle collezioni rinascimentali ad ambasciata di Francia,catalogo della mostra, a cura di F. Buranelli, Firenze 2010, pp. 165-166, dovenon è citata la lettera di della Porta.125 G. CANTINO WATAGHIN, Archeologia e «archeologie». Il rapporto con l’antico

fra mito, arte e ricerca, in Memoria dell’antico…, 1984-1986, I, pp. 204-205.126 GRAMBERG, 1964, I, p. 126. 127 GRAMBERG, 1964, I, p. 127.128 BAROCCHI, in Scritti d’arte…, 1971-1977, III, p. 3045-3046.129 ROBERTSON, 1992, p. 226.130 GRAMBERG, 1964, I, p. 127.

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