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Il tempo delle Riforme La Costituzione italiana secondo il progetto di revisione della XLV Legislatura a cura di Ida Nicotra CACE

Il tempo delle Riforme La Costituzione italiana secondo il progetto di revisione della XLV Legislatura a cura di

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Il tempo delle Riforme

La Costituzione italiana secondo il progetto di revisione

della XLV Legislatura

a cura di Ida Nicotra

CACE

INDICE

Premessa MaNicotra ................................................ 13

Introduzione L'ampia modifica contenuta nella delibera approvata dai due Rami del Parlamento alla luce del rapporto tra potere costi-tuente e potere di revisione costituzionale Ida Nicotra ..............................................15

I. IL PARLAMENTO

Il nuovo bicameralismo imperfetto: le differenze tra le due Camere Ida Nicotra ................................................19

1. Il Senato federale della Repubblica

1.1 L'incerta configurazione delle funzioni di garanzia dell'in-teresse nazionale Ida Nicotra .........................................22

1.2 Composizione del Senato e rappresentanza degli interessi territoriali: un percorso ancora incompiuto Ida Nicotra ...........................................29

1.3 Gli istituti di caratterizzazione territoriale del Senato Ida Nicotra ....................................... . 34

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8 Indice

1.4 Le forme di raccordo tra Senato federale, Regioni ed Enti Locali Gianiuca I3clJiore .....................................35

2. La struttura del Parlamento

2.1 I Presidenti d'Assemblea parlamentare [da Nicotra .........................................39

2.2 I Regolamenti parlamentari Ida Nicotra ......................................... 41

2.3 Opposizioni e minoranze parlamentari: ruolo e garanzie Francesco Paterniti ...................................43

2.4 Ineleggibilità, incompatibilità e verifica dei poteri [da Nicotra ......................................... 45

25. Le Commissioni di inchiesta Francesco Paterniti ................................... 47

2.6. Il Parlamento in Seduta Comune e l'Assemblea della Repubblica (rinvio) Ida Nicotra ......................................... 48

3. Tipologie dileggi e competenze delle Camere Francesco Paterniti

3.1 Le diverse tipologie di legge previste dall'art. 70 Cost . ...... 49

3.1.1 Leggi a competenza prevalente di un ramo del Par- lamento (o eventualmente bicamerali) ..............50

3.1.2 Strumenti di raccordo tra l'indirizzo politico governa- tivo e le attribuzioni legislative del Senato federale 52

3.1.3 Segue: I procedimenti prevalentemente monocame- rali relativi alla conversione dei decreti legge ......... 56

3.1.4 Leggi necessariamente bicamerali (o a competenza bipartita) . . . ..................................57

3.15 La soluzione dei conflitti di competenza tra le due Ca- mere inerextT all'esercizio della funzione legislativa 60

Indice 9

4. Il procedimento di formazione della legge e degli atti cori forza di legge Francesco Paterniti

4.1. L'iniziativa legislativa .................................64

4.2 La fase costitutiva: i differenti procedimenti di approva- zione della legge ....................................68

4.3 Novità relative ai decreti con forza di legge: approvazione dileggi delega e decreti legislativi .......................70

4.3.1 Segue: leggi di conversione dei decreti legge e leggi di sanatoria dei decreti non convertiti ..............71

5. Il Parlamentare Francesco Paterniti

5.1 Rappresentanza e rappresentatività del parlamentare alla

luce del rinnovato art. 67 Cost. .......... ............... 73

5.2 Segue: i " nuovi" vincoli di mandato del parlamentare .......75

5.3 La indennità del parlamentare ..........................76

I'. IL GovumTo

Giovanna Majorana

1. Dal parlamentarismo alla forma di governo neoparlamentare .... 77

2. La formazione del Governo ............................... 81

3. Il rapporto di fiducia con la Camera politica .................. 83

4. La reazione della Camera politica ad alcune ipotesi di scio- glimento.............................................. 86

5. Il meccanismo "anti—ribaltone" ............................ 87

6.. Il Primo Ministro ........................................ 89

7. Il ruolo del Governo nell'attività legislativa ................... 93

10 Indice

III. IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

Guido Galipò

1. Elezione e durata in carica ................................ 95

2, Le attribuzioni .......................................... 97

3. I rapporti con il Governo ................................. 103

4. Lo scioglimento della Camera dei Deputati ................... 105

5. Impedimento e supplenza ................................. 109

Iv. Novn'À IN MATERIA DI PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

E MAGISTRATURA Giovanna Maforana

I. Le Autorità indipendenti .................................111

2. Il Consiglio Superiore della Magistratura ....................111

VI LE AUTONOMIE TERRITORIALI

NEL NUOVO IMPIANTO COSTITUZIONALE

1. I principi guida del rinnovato assetto autonomistico

1.1 Sussidiarietà e leale collaborazione Gianiuca ,BelJiore .....................................113

1.2 Unità e indivisibilità nella Repubblica delle autonomie Felice Giuffrè ....................................... 119

2. La potestà legislativa regionale

2.1 I limiti Francesco Paterniti ................................... 122

Indice 11

2.2 Interessi unitari e competenze legislative Felice Giuffrè ....................................... 123

2.3 La reintroduzione dell'interesse nazionale Felice Giuffrè ....................................... 126

2.4 Il potere sostitutivo Felice Giuffrè ....................................... 128

2.5 Il controllo di merito sulle leggi regionali Felice Giuffrè ....................................... 129

3. Regioni e autonomie locali

3.1 La forma di governo regionale Giovanna Majorana .................................. 13)

3.2 Gli Statuti delle Regioni ad autonomia speciale Giovanna Majorana .................................. 136

3.3 La formazione di nuove Regioni Giovanna Majorana .................................. 137

3.4 Le Città Metropolitane. Gianluca BelJlore ..................................... 137

4. I "luoghi" della leale collaborazione e della sussidiarietà Gian luca Br/fiore

4.1 Premessa ...........................................141

4.2 Il Sistema delle Conferenze ............................141

VI. LA CORTE COSTITUZIONALE

I. Compouizione dell'Organo e status dei giudici Ida Nico,tra ............................................. 153

2. Garanzie per le autonomie locali: l'accesso alla Corte Gian/uca Bel fiore ........................................ 157

12 Indice

VII.

IL PROCEDIMENTO DI REVISIONE COSTITUZIONALE Ida Nicotra

1. La rivisitazione dell'istituto del referendum costituzionale .......161

La Parte Il della Costituzione prima e dopo la Riforma: Testi a confronto ..........................................163

I. Il Parlamento 35

mento del Senato che deve assicurare rapporti di reciproca informa-zione e collaborazione tra i senatori e i rappresentanti degli Enti locali (si rinvia al § successivo).

1.4 Le forme di raccordo tra Senato federale, Regioni ed Enti Locali

Se, come si è già fatto rilevare, il disegno del nuovo Senato si confà solo in parte alle esigenze di un ordinamento federale, specie per la flebile rappresentanza delle autonomie locali, d'altra parte bisogna che si dia conto di una serie di mezzi di coordinamento interistituzionali che il legislatore ha previsto per fare fronte a que-sta lacuna.

Si è già accennato (v. infra § 1-2.2) come il novellato art. 64 della Costituzione disciplini le modalità di funzionamento delle Camere. Al sesto comma di detto articolo si prevede che il regola-mento del Senato disciplini le modalità d'espressione del parere che le Assemblee legislative regionali (o delle Province Autonome) possono esprimere sui disegni di legge in materia concorrente (e quindi "a prevalenza Senato"), sentito il Consiglio delle autono-mie.

Da tale disposizione si trae che: - sulle leggi a prevalenza Senato sarà possibile assumere il parere

delle Assemblee Regionali; - è prevista una riserva di regolamento del Senato in ordine alle

modalità attraverso cui tali pareri dovranno essere assunti; - gli stessi pareri dovranno essere espressi previa audizione dei

Consigli delle Autonomie locali.

È palese come la disposizione lasci uno spazio assai ampio al rego-lamento del Senato in ordine a tale strumento.

Sembrerebbe che,per tutti i disegni di legge di cui al novellato art. 70 co. 2 tali pareri possano essere resi dalle Assemblee legislative regionali che ne ravvisino l'opportunità, entro termini e modalità fis-sati dal regolamento.

36 Gianiuca Bdfiore

L'unico limite espresso in Costituzione in ordine alla formazione dei detti pareri è la necessaria previa audizione dei Consigli delle autonomie.

L'art. 123 co. 4 CosL, riformato nel 2001, attribuisce rilievo costitu-

zionale alla concertazione fra Regione ed Enti locali statuendo che «in

ogni Regione, Io statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali,

quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali».

Il legislatore della odierna riforma ha inteso dare ancora maggior

rilievo a tale organo nel rinnovato assetto federale. Il novellato art.

123, co. 4, supera la precedente previsione che relegava il C.A.L. a

ruoli meramente consultivi e lo descrive quale organo necessario «di

consultazione di concertazione e di raccordo fra le Regioni e gli enti

locali».

Sarà fondamentale, per valutare la funzione ditali pareri, l'influen-za che si vorrà loro assegnare nell'ambito della formazione della legge. Differente, infatti, sarà il rilievo che essi assumeranno a secon-da che siano considerati vincolanti, ovvero non vincolanti.

Riteniamo che la scelta maggiormente auspicabile sia quella che collega alla prevalenza di pareri negativi un aggravamento dell'iter legislativo, consistente nell'innalzamento del quorum richiesto per l'approvazione del d.d.l..

Dall'esame letterale della disposizione in commento dovrebbe concludersi nel senso che al regolamento del Senato siano riservate soltanto le modalità e i termini per l'acquisizione ditali pareri e non anche gli effetti degli stessi.

Se a tali pareri (qualora in prevalenza contrari al d.dJ.), dunque, si volesse riconoscere l'effetto di aggravare il procedimento legislativo, sarebbe necessario intervenire con una norma di rango costituziona-le. E noto, infatti, come soltanto una fonte "superprirr»aria" possa imporre vincoli alla formazione di una fonte primaria.

Per evitare l'intervento di una fonte di rango costituzionale si dovrebbe optare nel senso di ritenere i pareri completamente mm-fluenti nell'iter, trasferendone l'efficacia su un piano soltanto politico.

I. Il Parlamento 37

Tale opzione farebbe della nuova disposizione un mero riconosci-mento "di facciata" alla prassi parlamentare che già oggi conosce la possibilità che le Regioni manifestino formalmente il proprio parere sulle iniziative legislative all'esame delle Camere.

Non si vede altra possibilità di evitare l'intervento di una norma costituzionale che disciplini gli effetti dei pareri, se non attraverso una manipolazione interpretativa della lettera della disposizione, in forza della quale si facciano rientrare nella riserva di regolamento anche gli effetti,

Dispone la novella che «il regolamento del Senato federale della Repubblica disciplina le modalità e i termini per l'espressione del parere [...1». A fronte ditale dato letterale sembrerebbe una forzatu-ra - o, meglio, una acrobazia ermeneutica - argomentare nel senso che il concetto di "modalità" possa includere anche gli effetti o che la parola "termine" sia da intendersi non soltanto con connotazione temporale, ma piuttosto, in senso più ampio, tanto da comprendere anche la questione dell'efficacia.

Altri strumenti di raccordo li troviamo nel già richiamato art. 127-ter. Esso assegna a una legge bicamerale il compito di regolare il coordinamento tra Senato federale, Regioni ed Enti locali. La stessa disposizione attribuisce al regolamento del Senato il compito di garantire rapporti di reciproca informazione e collaborazione tra rap-presentanti delle autonomie territoriali e senatori, statuendo che, ogni volta che lo richiedano, gli stessi senatori possono essere sentiti dal Consiglio della Regione o della. Provincia autonoma in cui sono stati eletti, conformemente ai rispettivi regolamenti.

Il primo comma, dunque, dispone che una legge bicamerale pro-muova il coordinamento fra Camera Alta ed enti territoriali, discipli-nandone forme e modalità.

Nella redazione ditale disposizione, il legislatore ha ritenuto oppor-tuno rimarcare, ancora una volta, il molo del Sistema delle Conferenze (su cui v. infra) nel nuovo assetto istituzionale. Esordisce, infatti, tale norma con le parole: «Fatte salve le competenze amministrative delle Conferenze». Questa clausola è essenziale perché segnala chiaramente la ragione per cui è stata concepita la coesistenza di Senato e Conferenze:

38 Gianluca Belfiore

queste ultime hanno "competenze amministrative", il Senato, invece, è sede della collaborazione nell'esercizio del potere legislativo.

Il secondo comma, invece, riserva al regolamento del Senato la garanzia dei rapporti di reciproca informazione e collaborazione tra i senatori e i rappresentanti delle autonomie territoriali.

Il termine "rappresentanti" risulta alquanto ambiguo: potrebbe significare che il regolamento del Senato debba garantire rapporti di collaborazione e reciproca informazione fra i senatori e i rappresen-tanti legali di tutti gli enti territoriali; ma potrebbe anche ritenersi che i rappresentanti di cui si fa menzione siano quegli stessi soggetti che l'art. 57, ultimo comma, chiama a partecipare (sebbene privi del dirit-to di voto) all'attività del Senato federale (v. § 1-1.2).

Al terzo comma si dispone che i senatori possono essere sentiti ogni volta che lo richiedano, con le modalità e nei casi stabiliti dal regolamento del Consiglio regionale (o provinciale) di riferimento.

Il senatore può, dunque, chiedere di essere sentito dal Consiglio (o Assemblea) regionale in ordine a una certa questione. Su quest'ultimo organo, tuttavia, non grava un obbligo d'audizione, quanto, piuttosto, una semplice facoltà che deve trovare disciplina nel regolamento.

E chiaro che le commentate previsioni, rientrando nel novero delle disposizioni c.d. programmatiche, hanno molti lati oscuri e lasciano ampio spazio alla discrezionalità del legislatore ordinario.

E infine da sottolineare come, tanto le disposizioni contenute nel-l'art. 64, quanto quelle dell'art. 127—ter troveranno applicazione a partire dal 2011: il legislatore ha ritenuto che il sistema avrà bisogno di tempo per prepararsi a tali cambiamenti, per elaborarli compiuta-mente e per consentire al Senato di divenire un luogo e uno strumen-to di raccordo con le istituzioni decentrate (B. CARAVITA).

V. LE AUTONOMIE TERRITORIALI NEL NUOVO IMPIANTO COSTITUZIONALE

1. I principi guida del rinnovato assetto autonomistico

1.1 Sussidiarietà e leale collaborazione

La riforma modifica anche l'art. 114 introducendovi un riferimen-to espresso ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà.

Così facendo il legislatore, dando seguito all'orientamento espres-so dalla Corte Costituzionale, ha stabilito che gli enti costitutivi della Repubblica (Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato) esercitino tutte le loro funzioni nel rispetto ditali principi.

I menzionati principi sono il portato di un ordinamento policentrico in cui non è il criterio di gerarchia a guidare il rapporto fra diversi livelli istituzionali, che vengono considerati tutti parimenti costitutivi della Repubblica. Il principio gerarchico è proprio dello Stato di tipo accentrato, di matrice napoleonica, il cui funzionamento può essere illustrato facen-do ricorso a una frase del grande storico francese Taine, che scriveva: «L'amministrazione locale è un'appendice dello Stato, è una succur-sale di quella grande casa che ha sede a Parigi». Da tale assetto pren-deva le mosse l'elaborazione della teoria dell'organo, che, suggestio-nata dal pensiero di Hegel, animata dall'esigenza del consolidamento dell'unione nazionale, antropomorficamente descrisse lo Stato come una persona e gli altri centri di potere come organi pertinenti a detta persona (V. E. ORLANDO).

In un ordinamento pluralista "interesse pubblico" non necessariamen- te equivale a 'interesse dello Stato", non essendo quest'ultimo l'unico soggetto latore delle pubbliche istanze. In quest'ottica, vanno conside-

113

114 (Tjianluca Belfiore

rati anche i diversi enti territoriali di governo competenti al soddisfaci-

mento, o comunque all'individuazione, degli interessi ivi allocati.

Anche i privati, infine, in virtù del principio di sussidiarietà "orizzonta-

le" (su cui v. in/ra), possono farsi portatori di interessi generali.

Risulta più appropriato, quindi, parlare di "interessi pubblici", quale

coacervo di istanze di cui sono depositari e interpreti i vari soggetti del-

l'ordinamento, e che talora possono trovarsi anche in conflitto fra loro.

I Padri costituenti e i primi interpreti del Testo costituzionale bene avevano presente i disagi derivanti da un'amministrazione accentrata, sicché, in quello che è stato definito lo "stadio infantile del consolida-mento delle sfere di competenze garantite" (G. SILvESTRI), il rappor-to fra Stato e Regioni era descritto come imperniato su un modello di rigida separazione.

Tuttavia, già nell'art. 5 della Costituzione, si può individuare la volontà del legislatore di contemperare due istanze: il riconoscimen-to di sfere costituzionalmente garantite agli enti e l'individuazione di interessi unitari facenti capo allo Stato, quale ente esponenziale della collettività nazionale (C. ESPOSITO).

Con la I. cost. n. 3/2001 sono stati introdotti nel testo della Costi-tuzione riferimenti al principio di sussidiarietà e alla leale collabora-zione. Precisamente l'ari 118, c. 1 stabilisce che le funzioni ammini-strative sono attribuite ai Comuni, salvo che, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, siano conferite a un livello istituzionale superiore per garantirne l'esercizio unitario; l'ari 120, ulteriormente, prevede che l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Governo (v. infra § V-2.4) sia assistito da norme procedura-li che garantiscano il rispetto dei principi di sussidiarietà e leale colla-borazione. E stato, in tal senso, messo in rilievo che, essendo i detti principi menzionati solo in alcuni luoghi particolari dell'allora nuovo Titolo V, non potessero assumersi come principi generali se non for-zandoil dato testuale (A. ANZON).

La Corte Costituzionale iniziò a invocare espressamente la «colla-borazione» fra lo Stato e la Regione già nel 1958, sottolineando che tale rapporto «è del tutto normale nel sistema delle nostre autonomie,

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 115

sia che si tratti d'attività legislativa, sia che si tratti d'attività ammini-strativa» (sent. n. 49 del 1958).

Da quella pronuncia della Corte, si è andato formando un indiriz-zo che, variamente sviluppatosi negli anni successivi, ha influito prima sull'operato del legislatore ordinario (sin dai decreti di conferimento di funzioni alle Regioni) e, successivamente (con la richiamata I. cost. 3/2001), anche su quello del legislatore della revisione costituzionale.

11 principio di sussidiarietà principium subsidiadi ofJìcii) nasce dal

Magistero sociale della Chiesa Cattolica e affonda le radici nella con-

cezione personalista.

Esso viene enunciato nella sua dimensione "orizzontale" nella

Rerum Novarum di Leone XIII per poi svilupparsi anche "in senso

verticale" nella Quadrigesi,no Anno di Pio XI trovando continuità

nella Sollicituclo Rei Socialis di Giovanni Paolo Il (F. GiuvrzÈ, O.

CONDORELLI).

L'ordinamento comunitario prima con l'Atto Unico europeo in materia

di ambiente, e poi con il Trattato di Maastricht del 1992, che ha modi-

ficato il Trattato istitutivo della Comunità europea, ha aperto in Italia la

"via europea della sussidiarietà". Infatti il Trattato, al comma 2 del suo

art. 5 (olim art. 3 B) dispone: «Nei settori che non sono di sua esclusi-

va competenza la Comunità interviene, secondo il principio della sussi-diarietà, soltanto se e nella misura in cui gli obiettivi dell'azione previ-

sta non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e

possono dunque, a motivo delle dimensioni o degli effetti dell'azione in

questione, essere realizzati meglio a livello comunitario».

Per quanto riguarda l'ordinamento interno è pur sempre una fonte

esterna ad avere comportato l'introduzione del principio, in specie

trattasi della "Carta europea dell'autonomia locale" che, ratificata con

legge 439 del 1989 al suo art. 4 c. 3 prescrive che «l'esercizio delle

responsabilità pubbliche deve, in linea di massima, incombere di refe-

renza sulle autorità più vicine ai cittadini».

Sul piano politico, la spinta del movimento leghista che, in quegli

anni, portava avanti un programma di tipo secessionista, cdwportò la

necessità di mettere a frutto dei progetti onde riconoscere un ruolo

116 Gianluca Belfiore

tutto nuovo alle Regioni si da porre argini -ai pericoli cui poteva incor-

rere l'unità del nostro Paese. In tal senso furono istituite due commis-

sioni bicamerali che, per ragioni che non conta qui riportare, poi fal-

lirono nel loro mandato.

Per porre rimedio a detti fallimenti, la Legge n. 59 del 1997, cd.

"Bassanini I", commentata da alcuni nei termini di una "rivoluzione

copernicana" (T. MARTTNES, A. RUCCERI, C. SALAZAR), ha riformato

l'assetto dei rapporti tra Stato—Regioni—Enti Locali dando luogo a un

«federalismo amministrativo a Costituzione invariata».

La norma ha introdotto una nuova modalità di allocazione delle com-

petenze, differente dal disegno costituzionale: una volta definiti i

compiti dello Stato e di altri organismi pubblici, quali le autorità indi-

pendenti, la legge attribuisce alle Regioni e agli Enti Locali le funzio-

ni residue secondo nuovi criteri, fra cui il principio di sussidiarietà.

In quella sede è stato assegnato particolare rilevo anche al principio

di leale collaborazione tra Stato, Regioni e Enti Locali (art. 4, comma

3 lett. d I. n. 59/1997) che oltre a indicare le modalità da seguire per

giungere a una ripartizione delle competenze propria di un sistema

amministrativo improntato sul federalismo, delinea una sistema di

governo pluralista in cui i diversi livelli cooperano mossi da finalità

univoche e condivise, rappresentate fondamentalmente dalla piena

realizzazione dei diritti di cittadinanza o, per dirla con l'Aquinate, del

bene comune (E GIUFFRÈ).

Il principio di sussidiarietà, dunque, comporta l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai Comuni, alle Province e alle. Città metropolitane, secondo le rispettive dimensioni territoriali, associative e organizzative, con l'esclusione delle sole fun-zioni incompatibili con le dimensioni medesime, riconoscendo le responsabilità pubbliche anche al fine di favorire l'assolvimento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, asso-ciazioni e comunità, alla autorità territorialmente e funzionalmente più vicina ai cittadini interessati.

La Corte Costituzionale ha, negli anni, proceduto all'applicazione ditali principi nell'ambito della mutata organizzazione territoriale del

V. Le autonomia territoriali nel nuovo impianto costituzionale 117

potere, giungendo a elevarli a vero criterio di distribuzione non delle sole attribuzioni amministrative, ma dell'intera azione di governo che si sostanzia in leggi, atti normativi e provvedimenti amministrativi.

In tal senso, la c.d. sentenza Mezzanotte (n. 30312003) ha dissipato i

dubbi di legittimità costituzionale, che si erano incentrati sulle prin-

cipali disposizioni normative contenute nella I. n. 443/2001 (cd

"Legge Obiettivo"), in tema di grandi opere infrastrutturali pubbli-

che e private e insediamenti produttivi strategici di preminente inte-

resse nazionale.

La Corte ha escluso la lamentata lesione della potestà legislativa regio-

nale e ha stabilito l'attitudine «ascensionale' dei principi costituziona-

li di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti dall'art. 118.

Secondo tale indirizzo il legislatore statale può assumere e regolare

con legge - in deroga al normale riparto di competenze legislative

delineato dal nuovo Titolo V - l'esercizio di funzioni amministrative

su materie in relazione alle quali lo Stato non vanti una potestà legi-

slativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente. Ciò, in particolare,

allorquando si tratti di competenze da "attrarre" a livello nazionale

per soddisfare incomprimibili esigenze unitarie della Repubblica (tra-

scendenti l'ambito regionale).

È stato affermato che la tesi accolta dal Collegio «illumina la proiezio-

ne eclettica del canone della sussidiarietà verticale», vale a dire la sua

capacità di affrancarsi dall'area toccata dai soli poteri amministrativi

per abbracciare spazi di intervento più ampi (Q. CAMERLENGO).

In altri termini, mentre la Carta si era fermata all'enunciazione d el!

principio della flessibilità del riparto, specificamente sul piano del-

l'amministrazione, la Corte ha portato a compimento l'opera di nor-

mazione costituzionale imperfettamente consegnata dall'autore della

riforma del 2001, integrandola attraverso la "costituzionalizzazione"

della regola, già almeno in parte rispettata nell'esperienza, di una pro-

cedimentalizzazione delle attività ispirata al principio di partnership,

volto a concretarsi in una produzione consensuale delle attività stesse

(A. RUGGERt). In tal senso va valutata positivamente la scelta operata

con la novella dell'art. 114, dalla quale consegue che i principFM

118 Gianluca Belfiore

enunciati andranno a integrare anche il contenuto dell'art. 117,

comma primo, configurando ulteriori limiti e criteri direttivi della

potestà legislativa dello Stato e delle Regioni.

Sussidiarietà, adeguatezza e collaborazione sono, dunque, i princi-pi attorno ai quali si costruisce l'intero sistema dei rapporti fra enti tanto sui piano dell'attività (intese, accordi, deleghe, convenzioni, unioni di comuni, accordi di programma, conferenze di servizi, ecc.), quanto su quello dell'organizzazione (v. in/ra § V-4.1).

Sussidiarietà significa, dunque, che le funzioni non sono assegnate una volta per tutte in base a criteri astratti, ma collocate al livello di governo più vicino possibile agli amministrati, purché adeguato.

Sussidiarietà e adeguatezza (che l'art. 118 c. i Cost. opportuna-mente associa) richiedono che la scelta di dove allocare le competen-ze sia compiuta secondo una valutazione concreta della - dimensione degli interessi: le antiche distinzioni tra interessi frazionabili e interes-si non frazionabili, nonché tra interesse nazionale, regionale e esclusi-vamente locale, sono quindi, non superate, ma riassunte nei concetti di sussidiarietà e di adeguatezza.

Se così è, sul piano contenzioso, la Corte non dovrà più valutare, come in passato, e nel merito, se le norme di coordinamento impugna-te, gli schemi tipo, piani, programmi, ecc., incantino un effettivo inte-resse nazionale, ma potrà limitarsi a verificare se quegli atti (e le dispo-sizioni impugnate) siano il precipitato di un procedimento di contratta-zione rispondente alle regole della leale cooperazione simile, per certi versi, a quella delle trattative contrattuali inter privatos (R. BIN).

Possiamo, dunque, conclusivamente affermare che la novella costi-tuzionale, recependo gli indirizzi della giurisprudenza costituzionale e, specialmente,. della "storica" (S. BARTOLE) sentenza 303/2003 ri-conduce il sistema a un assetto proprio degli Stati federali.

Viene, infatti, potenziato'.il valore del foedus, su cui si basa l'impianto

del sistema, unfoedus che:, non rileva solo sul piano dell'organizzazio-

ne, ma anche su quello dell'attività.

Ilfoedus, il patto, l'intesa, l'accordo, sono la via che la Corte predili-

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 119

ge al fine dell'attivazione del suhsidium che è l'oggetto del principio

di sussidiarietà. Evidente appare, infatti, che l'attrazione verso l'alto

della regolamentazione di una materia non può prescindere dall'ac-

certamento circa la sua necessità configurantesi come incapacità tota-

le o parziale di compiere una data attività.

Al fine di verificare la necessità del subsidium, occorre interrogare il

soggetto che è designato dalla Costituzione quale attributario della

funzione, sicché il livello di governo superiore possa avvedersi del-

l'inadeguatezza dei mezzi del primo per fare fronte alla istanza.

Appare suggestiva, in tal senso, l'opinione secondo cui sussidiarie-tè e adeguatezza debbano viaggiare insieme «come le due cabine di una funivia» e che la leale collaborazione è il «grasso che permette agli ingranaggi di scorrere» (R. BIN).

1.2 Unità e indivisibilità nella Repubblica delle autonomie

È già stato segnalato che uno dei principali temi della riforma riguarda la reintroduzione della clausola dell'interesse nazionale, pre-sente negli art. 117 e 127 dell'originario testo del 1948 e successiva-mente soppressa in forza delle novelle apportate con la legge cost. n. 3 del 2001.

La revisione del 2001, peraltro, pur avendo espunto dalla Costitu-zione il riferimento lessicale all'interesse nazionale, non aveva posto in discussione la vigenza del principio unitario, espresso nell'ari 5 Cost. in parallelo all'affermazione del principio di autonomia e decentra- mento (A. BARBERA, R. Tosi, E CINTOLI, A. RUGC,ERJ).

Detta riforma aveva, piuttosto, determinato la soppressione del-l'istituto del controllo di merito delle leggi regionali da parte del Par-lamento (ai sensi dell'abrogato art. 127 c. 3 Cost. su cui v. infra § V-2,5), che, in ogni caso, non aveva mai trovato applicazione nei pri-mi cinquanta anni di vita della Repubblica.

Gli strumenti che, nel quadro dell'originario assetto regionalista, consentivano la tutela degli interessi unitari di fronte alle competenze

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 137

3.3 La formazione di nuove Regioni

La formazione di nuove Regioni è disciplinata dall'art. 132, Co. 1, Cost. Tale disposizione non è stata sottoposta ad alcuna modifica, per cui, anche secondo la Riforma, è possibile la creazione di nuove Regioni - con un minimo di un milione di abitanti - con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali e "ascoltato" il parere delle popolazioni interessate, le quali saranno interpellate mediante refe-rendum. La richiesta deve essere formulata dai Consigli regionali che rappresentino almeno un terzo dei cittadini coinvolti.

Le disposizioni transitorie allegate alla Riforma sanciscono, però, che nei cinque anni successivi alla data di entrata in vigore della Modifica costituzionale, si potranno costituire - con legge costitu-zionale - nuove Regioni (con un minimo di un milione di abitanti), senza le condizioni richieste dall'art. 132 della Costituzione, fermo restando l'obbligo di ascoltare le popolazioni interessate (ovverosia i cittadini residenti nei Comuni o nelle Province di cui si propone il distacco dalla Regione).

3.4 Le Città Metropolitane

Sin dalla riforma del 2001 compare in Costituzione un nuovo modello di Ente locale non presente nella formulazione del 1948: la Città Metropolitana.

L'art. 114 riformato dalla I. cost. 3/2001 dispone, infatti, che: «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metro-politane, dalle Regioni e dallo Stato».

L'odierna novella non soltanto riafferma l'esistenza di tale ente, ma - questa la novità più rilevante - ne costituzionalizza la pro-cedura istitutiva. Stabilisce, infatti, l'art. 133 novellato che: «L'isti-tuzione di Città metropolitane nell'ambitò di una Regione è stabili-ta con legge dello Stato, approvata ai sensi dell'art. 70, terzo comma, su iniziativa dei Comuni interessati, sentitele Province interessate e la stessa Regione».

138 Gianiuca Belfiore

Tuttavia, prima di commentare tale disposizione, occorre qualche accenno alla fisionomia ditali enti.

La figura della Città Metropolitana nasce nella legislazione ordina-ria prima di trovare recepimento nel dettato Costituzionale.

Specificamente va segnalato che già la I. n. 142 del 1990, la 1.0.436/1993

e poi il T.V.EE.LL. (Testo Unico degli Enti locali, d. lgs. n. 627/2000) vi

facevano riferimento (negli ordinamenti delle Regioni a statuto speciale

si vedano le disposizioni della L. R. SIG. n. 9/1986 L. R. EV.G. o.

10/1988). Le richiamate disposizioni configuravano due nuove forme

organizzatorie: le aree metropolitane e le Città metropolitane.

Queste nuove figure erano finalizzate a risolere problemi legati

all'amministrazione di grandi centri urbani (inizialmente le zone

comprendenti i comuni di Torino, Milano, Venezia, Genova,

Bologna, Firenze, Roma, Bari, Napoli, nonché Palermo, Catania,

Messina, Trieste e Cagliari) e dell'hinterland. L'area metropolitana,

tuttavia, è una forma associativa fra enti (specie per la gestione dei

pubblici servizi) prodromica alla creazione della Città metropolitana.

La Città metropolitana, invece, si configurava, già da allora, come un

ente locale nuovo, vero e proprio, dotato di rappresentatività, di ter-

ritorio, di servizi e funzioni.

Pensare che fino al 2001 tali enti non avevano copertura costituzio-nale alcuna, rende ragione a chi riteneva che vi fosse un conflitto tra tale circostanza e l'art. 114 allora vigente, laddove si leggeva che «la Repubblica si riparte in Regioni, Provincie e Comuni». La questione aveva un certo rilievo anche perché si affermava che la Città metropo-litana (ente non previsto in costituzione) avrebbe acquisito le funzio-ni della Provincia (ente previsto in Costituzione).

Come la Provincia, dunque, anche la Città metropolitana è un ente intermedio fra Comune e Regione, destinata al governo di un territo-rio scivracomunale con particolari fattezze.

Se,infatti, la Provincia è organo di governo di un territorio "misto", in parte urbanizzato, in parte agricolo, disseminato di Comuni con comunità distinte, l'Ente metropolitano insiste su un territorio avente i

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 139

caratteri omogenei della grande conurbazione, che si estende senza soluzione di continuità in uno spazio intercomunale (A. MARZANATI).

Il nuovo ente locale risponde a esigenze di governance cui non era possibile assolvere mediante le forme classiche: basti pensare alla cir-costanza che, pur perdendo le città di natura metropolitana popola-zione a favore dei comuni confinanti, il peso dei servizi richiesti alle prime (specie in tema di trasporti) aumenta. La Città metropolitana serve, dunque, a risolvere i problemi di organizzazione dei sevizi, di finanza, di pianificazione territoriale per addivenire a una gestione di infrastrutture da dimensionare su un'utenza superiore a quella dei residenti nel Comune capoluogo.

La costituzionalizzazione della Città metropolitana, operata con I. cost. 3/2001, fuga i dubbi di legittimità prospettati da parte della dot-trina e garantisce competenze e poteri di tale nuovo ente locale.

Mentre nella formulazione della I. n. 142/1990 l'istituzione di tali enti sembrava doversi ritenere obbligatoria, dalla lettera della I. n. 436/1993 sembra assumere caratteri di facoltatività.

Alcuni commentatori hanno ritenuto che l'inserimento delle Città metropolitane nell'art. 114 Cost. operato dal legislatore del 2001 le avrebbe fatto divenire enti territoriali necessari (la cui istituzione non sarebbe, pertanto, rimessa alla discrezionalità del legislatore).

Nel testo della Costituzione allora riformata non si faceva riferi-mento alle modalità di istituzione ditali enti. Tuttavia la legge "La Loggia" delegava al Governo (art. 2) l'individuazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e l'adegua-mento delle disposizioni di legge in materia di enti locali alle nuove disposizioni costituzionali. In tale ottica, tra i principi e i criteri diret-tivi era esplicitamente richiamata l'esigenza di individuare non solo le funzioni fondamentali delle Città metropolitane, ma anche di adegua-re la restante disciplina contenuta nel D.Lgs. n. 267/2000 (i procedi-menti di istituzione, gli organi di governo, il sistema elettorale) alle nuove disposizioni costituzionali. Il

Il termine ditale delega è, tuttavia, scaduto e, pertanto, nel silen-zio, devono ritenersi tuttora applicabili le previsioni dèll'art. 22 del T.U.EE.LL..

140 Gianluca Belfiore

Tale articolo dispone che «su iniziativa degli enti locali interessati, il

sindaco del comune capoluogo e il presidente della provincia convo-

cano l'assemblea dei rappresentanti degli enti locali interessati.

L'assemblea su conforme deliberazione dei consigli comunali, adotta

una proposta di statuto della città metropolitana, che ne indichi il

territorio, l'organizzazione, l'articolazione interna e le funzioni. La

proposta di istituzione della città metropolitana è sottoposta a refe-

rendum a cura di ciascun comune partecipante, entro centottanta

giorni dalla sua approvazione. Se la proposta riceve il voto favorevo-

le della maggioranza degli aventi diritto al voto espressa nella metà

più uno dei comuni partecipanti, essa è presentata dalla regione

entro i successivi novanta giorni a una delle due Camere per l'appro-

vazione con legge».

Va, peraltro, rilevato che, allo stato attuale - per vicissitudini di vario ordine - nessuna Città metropolitana è stata istituita, rimanen-do tale figura un ente meramente virtuale.

La costituzionalizzazione della procedura d'istituzione di Città metropolitane, ai sensi dell'art. 133 novellato, determina una riserva di legge bicamerale rafforzata. Si dice, infatti, che tale legge sia rimes-sa all'iniziativa dei Comuni interessati, sentite le Province interessate e la stessa Regione.

E da rilevare che la locuzione «sentite le Province interessate e la stessa Regione» potrebbe dare adito a molteplici interpretazioni: non si capisce se il termine "sentite" voglia fare riferimento a una intesa, ovvero a un accordo, o, ancora, a un parere né è chiaro, dunque, quanto vincolanti potrebbero essere le posizioni di Province e Regioni.

Quanto alla fase dell'iniziativa, dell'individuazione delle aree e di quant'altro non espressamente richiamato dalla previsione in com-mento, sembra, invece, che possano applicarsi le richiamate disposi-zioni del T.U.EFLL.

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 141

4. I "luoghi" della leale collaborazione e della sussidiarietà

4.1 Premessa

È stata già segnalata la rilevanza assegnata, dal legislatore della riforma, ai principi di leale collaborazione e sussidiarietà e la loro ele-zione a parametri generali d'esercizio delle funzioni degli enti compo-nenti la Repubblica (v. art. 114 novellato).

Da questo assunto derivano conseguenze tanto sul piano dell'atti-vità, quanto su quello dell'organizzazione della Repubblica.

Nella prima accezione va precisato che ogni istituzione cui è attri-buita una qualche funzione volta al raggiungimento del bene comune non può operare estraniandosi dalla trama dei rapporti fra enti, dovendosi, piuttosto, confrontare con gli altri soggetti, latori di inte-ressi diversi, per addivenire a soluzioni concertate secondo procedu-re proprie dell'organizzazione pluralista (R. BIN). Nella seconda acce-zione ciò comporta che esistano sedi operative, ove la leale coopera-zione si concreta in atti, sedi permanenti il cui fine precipuo è indur-re i diversi protagonisti dell'ordinamento a collaborare.

In questo ultimo senso la novella offre molteplici spunti di rifles-sione e non soltanto con riferimento alla istituzione del Senato fede-rale, che comporta il trasferimento della collaborazione fra enti della Repubblica in Parlamento, cuore della "casa comune", ma anche in relazione della dignità costituzionale riconosciuta al "Sistema delle Conferenze" e ai Consigli delle autonomie locali.

4.2 Il Sistema delle Conferenze.

Con la locuzione" Sistema delle Conferenze" si suole intender&l'in-sieme di quelle sedi concertative di cui fanno parte la Conferenza per-manente per i rapporti tra lo Stato) le Regioni e le Province autonome (d'ora in poi "Conferenza Stato—Regioni"), la Conferenza Stato—Città e autonomie locali, nonché quel tavolo ove si tratta di questioni inerenti

142 1 Gianluca Belfiore

tanto le Regioni, quanto gli enti locali e che prende il nome di Conferenza Unificata (sede congiunta delle due Conferenze).

La Conferenza Stato—Regioni è la più antica sede fisica di raccordo degli interessi dello Stato e delle Regioni, ove si confrontano le posi-zioni del Governo nazionale e dei rappresentanti degli esecutivi delle Regioni al massimo livello, al fine di mediare le istanze dei due mag-giori livelli territoriali di governo in vista della definizione delle linee di fondo della politica statale in materia regionale (T. MARTINES, A.

RUGGERI, C. SALAZAR).

Essa è stata dalla Corte Costituzionale definita (con la sentenza n. 116/94) «sede privilegiata del confronto e della negoziazione politica tra lo Stato e le regioni (e le province autonome)».

L'esigenza di istituire una sede di raccordo fra Stato e Regioni si pale-sò sin dalla fine degli anni Settanta, quando le Regioni a Statuto ordi-nario furono istituite ed entrarono progressivamente a regime. La natura pluralistica propria dell'ordinamento repubblicano, ispirato ai principi di autonomia e decentramento, importò l'esigenza di trovare strumenti atti a mantenere l'unità di indirizzo cui avrebbero potuto attentare forze disgregatrici (L. ARCIDIACONO).

Nel 1980 si concludeva una indagine conoscitiva, promossa dalla Commissione parlamentare per le questioni regionali, con la quale in «una conferenza permanente dei Presidenti delle Giunte regionali, da istituire presso la Presidenza del Consiglio e che abbia nel Presidente del Consiglio, espressione del Governo collegialmente inteso, il pro-prio interlocutore», si individuava «la sede per un rapporto perma-nente con gli organi centrali dello Stato e per una partecipazione delle Regioni alla elaborazione delle grandi linee della politica generale di tutto lo Stato—ordinamento». Un ordine del giorno del 10 Luglio 1980 impegnava il Senato, alla luce del "Rapporto Giannini" a concretizzare l'assegnazione della «gestio-ne dei rapporti con le Regioni alla unificante sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri». 1120 Novembre 1980 veniva costituita la cd. «commissione Bassanini» che aveva il compito di «delineare un nuovo quadro di riferimento complessivo dei rapporti fra Stato e Regioni».

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 143

Il progetto della commissione Bassanini non si concluse con una

legge; fu solo la prima di una serie di proposte che, apparvero troppo

sbilanciate a favore delle autonomie, sicché, con D.P.CM. del 12

Ottobre 1983, veniva istituita una conferenza «in tono minore» (P. A.

CAPOTOSTI) con compiti di informazione, consultazione, studio e rac-

cordo in relazione agli indirizzi della politica generale suscettibili di

incidere nelle materie di competenza regionale.

Questa ultima soluzione appariva insufficiente e riduttiva, sicché, nel

1984 col d.d.1. «Craxi» sull'ordinamento della Presidenza del

Consigli dei Ministri si adottò una formulazione più ampia, poi ripre-

sa dall'art. 12 1. n. 400/88.

In base all'art. 12 della I. n. 400/1988, alla Conferenza sono attri-buiti compiti di «informazione, consultazione e raccordo in relazione agli indirizzi di politica generale suscettibili di incidere nelle materie di competenza regionale, esclusi gli indirizzi relativi alla politica este-ra, alla difesa, alla sicurezza nazionale, alla giustizia».

La Conferenza è composta dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano, è convocata (almeno ogni sei mesi, anche se solitamente lo è quasi settimanalmente) e presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri che ne decide l'ordine del giorno.

Quanto alla natura giuridica è da rilevare che, benché la Confe-renza sia incardinata presso la Presidenza del Consiglio, per la sua composizione e per le funzioni attribuitele non costituisce un organo statale, sibbene «un'istituzione operante nell'ambito della comunità nazionale come strumento per l'attuazione della cooperazione tra lo Stato, le regioni e le province autonome» (sent. C. Cost. n. 116/1994).

La Conferenza Stato—Regioni è sentita obbligatoriamente sul documento di programmazione economica e finanziaria, sul disegno di legge finanziaria, collegati in sede Unificata con la Conferenza Sta-tb—Città, su ogni altro oggetto di interesse regionale che il Presidente del Consiglio dei Ministri ritiene opportuno sottoporre al suo esame, anòhe su richiesta della Conferenza dei Presidenti delle Regioni e Province Autonome.

144 Gianluca Belfiore

Con il D. Lgs.16 dicembre 1989, n. 418, in attuazione della dele-ga di cui al comma 7 dell'art. 12 della legge n. 400 del 1988, le fun-zioni della Conferenza sono state riordinate, ampliate ed estese ai pareri su tutte le questioni attinenti al coordinamento intersettoria-le delle attività di programmazione inerenti ai rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano e gli enti infraregionali.

La Conferenza è consultata, altresì, sui criteri generali per la ripar-tizione delle risorse tra le Regioni, sulla modalità di determinazione di indici e parametri da utilizzare per atti di programmazione intersetto-riale, sui criteri generali relativi agli atti di programmazione e di indi-rizzo in materia di competenza regionale e su quelli per la ripartizio-ne delle risorse relative ai rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano e gli enti infraregionali.

Alla Conferenza è affidata anche la verifica periodica dello stato di attuazione dei piani e programmi sui quali si è pronunciata.

Il Parlamento, a partire dal 1991, ha accresciuto le funzioni dell'or-gano, affidandogli non solo competenze di natura consultiva, ma facendone il luogo per l'espressione di intese tra Amministrazioni sta-tali e regionali, di verifica congiunta dell'attività delle Regioni, ovvero organo di indirizzo dell'attività amministrativa regionale.

Con il decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, li-i attuazione della delega contenuta nell'art. 9 della legge 15 marzo 1997, n. 59 che prevedeva la definizione e l'ampliamento delle attribuzioni della Conferenza Stato—Regioni, è stata potenziata la funzione consultiva, rendendola obbligatoria per tutti gli schemi di disegni di legge, rego-lamenti e schemi di decreti legislativi in materia di competenza regio-nale adottati dal Governo.

Da ultimo, con la legge .n. 1112005 sulla partecipazione dell'Italia al processo normativo dell'Unione europea e sulle procedure di ese-cuzione degli obblighi comunitari, nuove funzioni sono state assegna-te alla Conferenza stessa per quanto concerne la partecipazione regio-nale alla "fase ascendente" del diritto comunitario (F. PxrERNrrI).

Tre sono le tipologie principali di atti della Conferenza: i pareri, le intese e gli accordi.

V Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 145

I pareri riguardano soprattutto gli atti normativi (disegni di legge, schemi di decreto legislativo o di regolamento del Governo che interes-sino materie di competenza regionale o locale, a partire dal disegno finanziaria e dai disegni di legge collegati) e devono essere espressi entro 20 giorni. Per ragioni di urgenza, il Governo può posticipare la consul-tazione delle conferenze (rispetto alla presentazione in Parlamento dei disegni di legge o degli schemi di decreto legislativo), ma ha da tenere conto dei pareri successivamente espressi in sede di esame parlamenta-re dei disegni di legge o di esame definitivo degli schemi di decreto legi-slativo sottoposti al parere delle commissioni parlamentari.

Nel caso che il parere ditale organismo venga chiesto su atti già definitivi (divenuti tali sempre per motivi d'urgenza), la Conferenza può chiedere che il Governo lo valuti al fine di un'eventuale revoca o riforma degli stessi.

Quanto alle intese, esse devono essere raggiunte, quando previste dalla legge, entro 30 giorni; nel caso in cui non siano raggiunte, il Governo procede all'adozione dei provvedimenti di sua competenza con deliberazione motivata. Anche in questo caso, per motivi d'ur-genza il Governo può procedere senza la previa intesa, ma è tenuto a sottoporre i provvedimenti adottati alla Conferenza entro i 15 giorni successivi e il Consiglio dei Ministri è tenuto a esaminare le osserva-zioni della Conferenza ai fini di eventuali deliberazioni successive.

Infine, quanto agli accordi, essi sono diretti al perseguimento di obiettivi di funzionalità, economicità ed efficacia dell'azione ammini-strativa, in applicazione del principio di leale collaborazione, consen-tendo un coordinamento delle rispettive competenze e l'esercizio di attività di interesse comune.

L'art. 8 della legge 15 marzo 1997, n. 59, ha rivisto la disciplina del-l'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento dello Stato nei confronti delle Regioni, disponendo che gli atti di indirizzo e coordi-namento delle funzioni amministrative regionali, gli atti di coordina-mento tecnico, nonché le direttive relative all'esercizio delle funzioni delegate, siano adottati previa intesa con la Conferenza.

Altra funzione rilevante affidatale è quella di promuovere il coor-dinamento della programmazione statale e regionale, nel rispetto

146 Giariluca Belfiore

delle competenze del Comitato Interministeriale per la Programma-zione Economica, e di raccordarla con l'attività degli enti e sogget-ti, anche privati, che gestiscono funzioni o servizi di pubblico inte-resse, aventi rilevanza nell'ambito territoriale delle Regioni e Province autonome.

La Conferenza Stato—città e autonomie locali è sede di raccordo fra lo Stato e gli Enti locali. Essa è presieduta dal Presidente del Consiglio dei Ministri o, per sua delega, dal Ministro dell'Interno o dal Ministro per gli affari regionali. Ne fanno altresì parte, in rappre-sentanza del Governo nazionale, i Ministri dell'economia e delle finanze, delle infrastrutture e della salute e, per conto degli enti terri-toriali, i presidenti di ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italia-ni), UPI (Unione Province Italiane), UNCEM (Unione Nazionale Comuni Comunità Enti Montani) nonché, su designazione delle rispettive associazioni, sei presidenti di provincia e quattordici sinda-ci, di cui cinque sindaci di città che siano aree metropolitane.

Questo secondo organo di raccordo è stato istituito con DPCM del 2 luglio 1996 e sono stati a esso attribuiti compiti di coordinamento nei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali, di studio informazione e confronto selle problematiche connesse agli indirizzi di politica generale che possono incidere sulle funzioni proprie di comuni e pro-vince e su quelle delegate ai medesimi enti da leggi dello Stato.

Il già richiamato D. Lgs. n. 218/1997 ha stabilito che la Conferenza Stato—città è sede di discussione ed esame: dei problemi relativi all'or-dinamento degli enti locali, compresi gli aspetti relativi alle politiche finanziarie e di bilancio, alle risorse umane e strumentali, nonché alle iniziative legislative e degli atti generali di governo a ciò attinenti; dei problemi relativi alle attività di gestione e di erogazione dei servizi pubblici; di ogni altro problema connesso con gli enunciati scopi e che venga sottoposto, anche su richiesta del Presidente dell'ANCI, dell'UPI, e dell'UNCEM, al parere della Conferenza dal Presidente del Consiglio dei Ministri o dal Presidente delegkto.

E stato già sottolineato come la legge "La Loggia" (n. 131/2003)

abbia previsto che i provvedimenti del Governo, emanati in sede di esercizio del potere sostitutivo, adottati in assenza della preventiva

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 147

comunicazione all'ente locale interessato, siano comunicati alla Con-ferenza, la quale ne può chiedere il riesame (F. GIUFFRÉ).

La richiamata legge n. 1112005, sulla partecipazione dell'Italia al pro-cesso normativo comunitario, prevede che tutti gli atti e i progetti di interesse degli enti locali siano trasmessi, per il tramite della Conferen-za, alle associazioni rappresentative delle autonomie. Su tutti i progetti e atti comunitari, gli enti locali possono trasmettere le loro osservazioni al Governo o richiedere il loro esame in sede di Conferenza.

Terzo organo del Sistema delle Conferenze è la Conferenza Unifi-cata. Questa è sede congiunta della Conferenza Stato—Regioni e della Conferenza Stato—Città e autonomie locali e, pertanto, la sua compo-sizione è data dall'unione fra i membri della prima e quelli della seconda.

La Conferenza unificata è competente in tutti i casi in cui Re-gioni, Province, Comuni e Comunità montane ovvero la Conferenza Stato—regioni e la Conferenza Stato—città e autonomie locali debba-no esprimersi su un medesimo oggetto.

L'esercizio della maggior parte delle sue attribuzioni si articola nel-l'espressione di pareri sul disegno di legge finanziaria e sui disegni di legge collegati, nonché sul documento di programmazione economi-ca e finanziaria e nella promozione di intese e accordi tra Governo, Regioni, Province, Comuni e Comunità montane al fine di coordina-re l'esercizio delle rispettive competenze e svolgere in collaborazione attività di interesse comune.

La rilevanza del sistema costituito dalle tre conferenze e le relative competenze sopra enumerate hanno portato ad affermare che, sebbe-ne la I. cost. n. 3/2001 avesse apportato rilevanti cambiamenti a livel-lo istituzionale, il destino del federalismo italiano continuava a essere il "Sistema delle Conferenze" (I. Rucxiu).

Corre l'obbligo di interrogarci circa l'efficacia delle risoluzioni adottate in sede di Conferenza. Hanno esse natura meramente politi-ca, ovvero hanno natura giuridica? Sono vincolanti per il Governo oppure no?

Fino a oggi è sembrat® che gli atti delle Conferenze, benché obbli-gatori, non siano giuridicamente vincolanti. Ciò importa che il siste-

148 Gianluca Belfiore

ma funzioni su una base di garanzie procedurali tese a favorire un confronto politico per addivenire a una soluzione concertata. Ma è d'altra parte parimenti vero che la garanzia procedurale produce de facto una dipendenza "della legge dal parere".

In questo senso, infatti, la Corte Costituzionale, con sent, 88/2003 ha annullato (a seguito di ricorso per conflitto d'attribuzioni) un decre-to ministeriale in materia di competenza concorrente, adottato senza il parere della Conferenza Stato—Regioni, previsto dalla legge: «È infatti violato, direttamente, il principio di leale collaborazione».

Quando, infatti, un atto normativo espressamente richiama l'attivi-tà delle Conferenze quale condizione di legittimità di un provvedi-mento delegato o regolamentare, l'atto della Conferenza acquista valore normativo, e, così facendo si crea una nuova tipologia di fonti atipiche (I. RUGGIU).

Occorre sottolineare come le dinamiche concertative, specie negli ultimi anni, sempre più spesso non albergano all'interno delle Conferenze che, talora, si riducono a ratificare decisioni assunte in altre sedi. Sia una testimonianza il fatto che «in Conferenza (Stato—Regioni, n.d.t) non si vota quasi mai» (5. BARTOLE, R. BIN, G. FALCON, R. Tosi). Ciò avviene perché spesso la Conferenza è prece-duta dalla riunione dei Presidenti delle Regioni (cd. Conferenza dei Presidenti), sede in cui si cerca di mediare tra posizioni che sono molto spesso divergenti, in modo che si presentino in Conferenza Stato—Regioni con una ipotesi di compromesso già elaborata e su cui si dichiarano unanimi.

11 ruolo dei Presidenti delle Regioni risulta ulteriormente accresciu-to a fronte dell'introduzione dell'elezione diretta degli stessi. Tale cir-costanza potrebbe far temere che le Conferenze vengano utilizzate a fini di lotta politica con coalizioni rispecchianti le posizioni partitiche nazionali che finirebbero per snaturare la funzione di coopc.razione e manifestazione degli interessi territoriali. Tuttavia è stato dimostrato (I. RUGGIU) che tale ipotesi è remota giacché, nei fatti, gli interessi territoriali hanno sempre avuto la meglio sulle politiche di partito.

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 149

L'importante ruolo svolto in tutti questi anni dal sistema delle Conferenze, ha indotto il legislatore della riforma a introdurre uno specifico riferimento ai citati meccanismi di raccordo fra enti, sicché l'art. 118 co. 3 della novella afferma che una "legge bicamerale" «istituisce la Conferenza Stato—Regioni per realizzare la leale colla-borazione e per promuovere accordi e intese» e nel comma succes-sivo che «per le medesime finalità, può istituire altre Conferenze tra lo Stato e gli enti di cui all'art. 114».

La costituzionalizzazione diretta e indiretta del sistema delle Confe-renze, insieme all'introduzione del Senato federale, colma la più visto-sa lacuna istituzionale contenuta nella I. cost. 312001 di riforma del Titolo V che aveva mancato di prevedere le sedi strutturali dei raccor-di istituzionali (A. Pn*AIN0).

La debolezza dell'impianto della riforma del 2001 è stata, fra l'al-tro, causata dalla volontà, del legislatore di allora, di istituire un "federalismo legislativo" (F. CINTI0LI). Egli pose, infatti, eccessiva fede nella ripartizione delle materie, non previde alcuna clausola di flessibilità tale da poter consentire al livello superiore di governo di attirare "verso l'alto" la competenza per le questioni di interesse unitario (F. GIuFFRÉ), non riformò l'assetto bicamerale (I. NICOTRA), né tenne conto alcuno dei già esistenti strumenti di rac-cordo (A. CHIAPPETTI).

Tali carenze, denunciate in primis dalla Consulta, che si è trovata a dovere svolgere un delicato ruolo di supplenza, hanno prodotto nel-l'odierno legislatore un tipo di approccio diverso.

E maturata coscienza del fatto che un processo di federalizzazione non consiste in una semplice devoluzione di poteri, quanto, piuttosto, in una rinnovata modalità di unificazione dell'ordinamento fondata non più sul principio statale di sovranità ma su quello repubblicano di sussidiarietà (A. PmAINO).

Da tale diversa visione del federalismo consegue l'attenzione agli strumenti di raccordo posta dal lislatore della novella.

Parte della dottrina guarda con perplessità alla coesistenza della Camera federale e della Conferenzà Stato—Regioni, ritenendo che ciò possa comportare una sorta di "tricameralismo" (Camera dei Depu-

150 Gianluca Belfiore

tati - Senato federale - Conferenza Stato—Regioni) che svuotereb-be di significato la sede parlamentare (T.E. FROSINI).

Altra parte della dottrina ha, però, sottolineato come tale obiezio-ne risponda a una superata idea di "federalismo legislativo", in virtù del quale se è a livello di definizione della legge che avviene la concer-tazione fra Senato, Regioni e Istituzioni locali, sarebbe lesiva dell'effi-cienza del sistema la previsione di una sede di raccordo nella fase discendente—esecutiva del processo decisionale (A. PIRAINO).

L'odierna riforma supera questi argomenti sulla base dell'avvertita necessità di costituire una organizzazione federale a "doppio bina-rio", nella quale vi sia raccordo non solo nel circuito della legislazio-ne, sibbene anche in quello dell'amministrazione. Se si riconosce, infatti, che il processo federale tende alla riorganizzazione su base col-laborativa dell'intero pubblico potere, non si capisce perché ciò dovrebbe avvenire soltanto in relazione alla funzione legislativa e non anche a quella di governo.

E stato evidenziato come dall'istituzione della elezione diretta dei vertici delle amministrazioni locali e regionali è conseguita una loro autonoma funzione di governo che non può essere ricondotta a un fondamento parlamentare che, in effetti, non ha. L'inseri mento della funzione di governo nella dinamica federale della con-certazione risponde alla necessità di evitare la «fuga del potere dalle sue responsabilità che la sola sede parlamentare, anche con l'esercizio di una funzione legislativa concertata, non è in grado di far valere» (A. PIRAIN0).

D'altronde il panorama internazionale degli Stati a struttura fede-rale è connotato dalla presenza di strumenti di raccordo intergover-nativo che si affiancano alle sedi istituzionali di rappresentanza terri-toriale, costituendo la prima espressione di un federalismo di natura cooperativa (C. BASSU).

Delineato il motivo della contemporanea istituzione del Senatoi . federale e della costituzionalizzazjone del Sistema delle Conferenze, occorre precisare che il richiamato art. 118 della novella rende obbli-gatoria l'istituzione della sola Conferenza Stato—Regioni. Sicché la \

- Conferenza Stato—Regioni è organo costituzionalmente necessario (lii

V. Le autonomie territoriali nel nuovo impianto costituzionale 151

legge, approvata ai sensi dell'art. 70, terzo comma, istituisce la Confe-renza Stato—Regioni per realizzare la leale collaborazione e per pro-muovere accordi e intese), mentre l'istituzione delle altre Conferenze è demandata alla discrezionalità del legislatore (il quale può istituire altre Conferenze tra lo Stato e gli enti di cui all'art. 114).

Probabilmente la scelta è da ricollegare anche al fatto che, come si evince dalla lettura dei dati di recente pubblicati dal Governo in ordine all'attività del sistema delle Conferenze (www.governo.it/Presidenza/ CSCAlattivita.html), il ruolo motore del sistema è svolto proprio dalla Conferenza Stato—Regioni cui si affianca la Conferenza Unificata, men-tre il molo della Conferenza Stato—Città risulta recessivo.

Tuttavia è stato ritenuto che tale conclusione non renda ragione a un sistema che dovrebbe tendere a rappresentare gli interessi di tutti i ter-ritori: un sistema di concertazione governativa, inteso come sede di definizione dell'indirizzo politico—amministrativo del Paese, presuppo-ne che in esso siano rappresentati tutti i diversi livelli territoriali. In tal senso, sarebbe stato forse più opportuno riconoscere un ruolo centrale alla Conferenza Unificata dove sono rappresentati gli enti facenti capo ai diversi ambiti territoriali (A. PIRAINO, L. VANDELLI).

Si è già avuto modo di vedere come il Senato riformato non è pro-priamente federale (quanto piuttosto regionale) a causa della sua com-posizione che risente della superata visione del federalismo ditale, ovvero di un federalismo che si basa sul rapporto fra due livelli terri-toriali: Stato e Regioni.

Tale impostazione è da ritenersi errata nella misura in cui già l'art. 114 Cost., riformato nel 2001, afferma che la Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. Ciò significa che ognuno di questi soggetti deve essere considerato quale parte integrante di un ordinamento policentrico che si basa su sistemi di raccordo multilivello.

Se dunque è positiva la costituzionalizzione del Sistema delle Conferenze, non altrettanto positiva è sembrata la scelta di attribui-re prevalente rilievo alla sede di confronto ità Stato e Regioni, piut-tosto che a quella che vede la partecipazione anche degli altri enti territoriali.

152 Gianluca Belliore

D'altronde bisogna rilevare che a questa scelta potrebbe avere por-tato anche la particolare composizione della Conferenza Unificata. Va rilevato, infatti, che, come visto, i rappresentanti della Conferenza Stato—Città e autonomie locali, contrariamente a quelli della Conferenza Stato—Regioni, sono scelti in base a criteri non diretta-mente rispondenti ai requisiti .che s'impongono nei sistemi di demo-crazia rappresentativa (le associazioni rappresentative degli EE.LL. non hanno, infatti, alcuna diretta legittimazione da parte del corpo elettorale).

Il novellato art. 118 Co. 3 si esprime anche in ordine alla funzione delle conferenze, che vengono istituite «per realizzare la leale collabo-razione e per promuovere accordi e intese». Il legislatore vuole signi-ficare che tali sedi saranno utilizzate non soltanto a fine consultivo (rendere pareri su atti predisposti dallo Stato), quanto, piuttosto, anche e prevalentemente per addivenire a politiche concertate e code-terminate (mediante intese e accordi).

La costituzionalizzazione di tali strumenti potrà certamente offrire una maggiore forza agli stessi: le conferenze non saranno relegate al ruolo di "parerifici", ma andranno considerate quali luoghi ove andrà determinato il contenuto di determinati atti. In tal senso assume nuova forza la richiamata tesi, sposata talora dalla Corte Costituzio-nale (cfr. sentt. 88/2003 e 27/2004), e affermata nel dibattito dottri-nario (I. RUGGIO), per cui laddove si richieda un atto delle Confe-renze quale condizione di legittimità di un certo provvedimento, si avrà una nuova tipologia di fonte rafforzata nel procedimento.

La coesistenza del Senato federale e del sistema delle Conferenze sembra soluzione idonea a dar voce al richiamato "doppio binario" di organizzazione federale. In virtù ditale meccanismo il Senato ha la funzione di fare partecipare gli enti territoriali alla funzione legi-slativa nazionale, mentre le Conferenze consentono di coinvolgere gli enti nella definizione dell'indirizzo politico—amministrativo della Repubblica.

VI. La Corte Costituzionale 157

sta l'eleggibilità a senatore), che la Camera dei deputati (oggi il Parla-mento in Seduta Comune) compila ogni nove anni, mediante elezione che si svolge con le stesse modalità stabilite per la nomina a giudici ordinari. La Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che "la prevalenza numerica dei membri aggregati non contrasta con l'art. 102, co. 2, Cost. poiché anche nella Corte integrata si attua la partecipazio-ne del popolo all'amministrazione della giurisdizione, che può richiede-re la predetta prevalenza numerica" (sent. n. 125/1977).

2. Garanzie per le autonomie locali: l'accesso alla Corte

L'art. 127—bis della novella prevede che «i Comuni, le Province e le Città metropolitane, qualora ritengano che una legge o un atto avente forza di legge dello Stato o della Regione leda le proprie com-petenze costituzionalmente attribuite, possono promuovere dinanzi alla Corte costituzionale la questione di legittimità costituzionale» e, continua statuendo che «una legge costituzionale disciplina le condi-zioni, le forme e i termini di proponibilità della questione».

La richiamata disposizione è di grande rilievo, atteso che essa con-sente agli enti locali l'accesso in via principale (o in via d'azione) alla Corte Costituzionale.

Il ricorso alla Corte in via principale è uno strumento che la I. cost. 3/2001 ha rivisitato, ponendolo nella disponibilità delle Regioni e dello Stato con finalità tendenzialmente differenti: infatti è stato chia-rito che le Regioni possono ricorrere soltanto per violazione delle sfere di competenza, mentre lo Stato può invocare qualsiasi parame-tro costituzionale (in virtù del richiamato ruolo di unificazione che esso ricopre nel sistema).

La riforma del 2001, dunque, sebbene abbia conferito eguale dignità agli enti della Repubblica (art. 114 Cost.), non ha fatto da ciò conseguire una possibilità di accesso a tutti questi, risefwandola, piut-tosto, a Regioni e Stato.

Tale scelta del legislatore del 2001 è stata fortemente stigmatizzata (E PIZZETTI, G.C. DE MARTIN), specialmente a fronte del fatto che in

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quella sede è stato anche costituzionalizzato il potere normativo (sta-tutario e regolamentare) degli enti locali.

Si è tentato di fornire qualche soluzione provvisoria a questa "pro-fonda incoerenza strutturale del sistema" (E Pizznni) mediante la legge "La Loggia", che ha consentito che la Conferenza Stato—Città e autonomie locali proponga al Consiglio dei Ministri di ricorrere avverso una norma di legge regionale.

Analoga facoltà di proporre alla Giunta Regionale l'avvio di un giudizio in via principale spetta al Consiglio delle autonomie locali per quanto riguarda 'eleggi statali. Si è però ritenuto che queste misu-re non siano pienamente soddisfacenti, anche perché dette proposte non hanno valore vincolante sulla decisione finale dei soggetti legitti-mati ad adire la Corte.

E da rilevare, peraltro, che l'attività della Corte nel corso degli anni successivi alla riforma del Titolo v è stata dedicata, per larga parte, al contenzioso Stato—Regioni. Tra le due grandi funzioni della giustizia costituzionale - quella di arbitraggio della ripartizione delle compe-tenze e quella di difesa costituzionale delle libertà - ha prevalso, forse, per la prima volta, nella storia della Corte costituzionale italia-na, la funzione arbitrale.

Il progressivo passaggio dal regionalismo a un assetto di tipo fede-rale importa non soltanto una diversa ripartizione delle competenze, ma anche l'attribuzione ai soggetti tributari delle stesse di strumenti finalizzati a garantirle. In questo senso gran parte degli ordinamenti europei a struttura complessa riconosce agli enti locali la legittimazio-ne a ricorrere in via principale innanzi all'organo di giustizia costitu-zionale: è così in Germania, in Austria, in Svizzera, in Spagna.

La delibera di riforma offre, dunque, rimedio a questa anomalia del sistema italiano, consentendo anche agli enti locali di adire in via diretta la Corte Costituzionale.

Parte della dottrina ritiene che tale apertura possa dare luogo a un aumento eccessivo del contenzioso costituzionale. A ben vedere pare che il legislatore odierno si sia posto questo problema, tanto che, disponendo in ordihe ai contenuti necessari della legge costituziona-le di attuazione dei nuovo strumento d'impugnazione delle leggi sta-

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tali e regionali, stabilisce che essa disciplinerà «le condizioni, le forme e i termini di proponibilità della questione».

Sembrerebbe, dunque, che la legge costituzionale richiamata potrebbe creare dei filtri per l'accesso alla Corte. In tal senso è stato ipotizzato che potrebbero abilitarsi all'accesso alla Corte soltanto gli enti che, singoli o associati tra loro, rappresentino una certa quota di popolazione ('E LOBELLO), o anche che la Corte potrebbe essere rior-ganizzata in sezioni di cui una dedicata prevalentemente agli affari regionali e locali (S. MANGIAMELI), o ancora (sull'esperienza spagno-la) si è proposto che le questioni vengano preventivamente vagliate dalla Conferenza Stato—città autonomie locali o dai Consigli regiona-li delle Autonomie Locali (G.C. DE MARTIN).