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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE Scuola di Studi Umanistici e della Formazione Corso di Laurea Triennale in Storia e Tutela dei Beni Archeologici Classe L-1 Tesi di Laurea Triennale Il Purgatorio di San Patrizio il pellegrinaggio dell'anima e del corpo in cerca della redenzione St. Patrick's Purgatory the pilgrimage of the soul and the body in search for redemption Candidato Filippo Fineschi Relatore Correlatore Prof.ssa Anna Benvenuti Prof.ssa Isabella Gagliardi Prof. Massimo Ciaravolo Anno Accademico 2012/2013

Il Purgatorio di San Patrizio

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE

Scuola di Studi Umanistici e della Formazione

Corso di Laurea Triennale in Storia e Tutela dei Beni Archeologici Classe L-1

Tesi di Laurea Triennale

Il Purgatorio di San Patrizio

il pellegrinaggio dell'anima e del corpo in cerca della

redenzione

St. Patrick's Purgatory

the pilgrimage of the soul and the body in search for redemption

Candidato

Filippo Fineschi

Relatore Correlatore

Prof.ssa Anna Benvenuti Prof.ssa Isabella Gagliardi

Prof. Massimo Ciaravolo

Anno Accademico 2012/2013

Indice

Premessa pag. 2

Capitolo I: “Purgatorio e Visiones Animarum” pag. 4

1.1 L'aldilà nella storia pag. 4

1.2 Le basi della concezione del Purgatorio: gli accenni biblici, la letteratura

apocalittica, i teologi fondatori pag. 6

1.3 L'affermazione del Purgatorio tra XIIe XIII secolo pag. 13

1.4 La genesi di una nuova letteratura visionaria pag. 21

1.5 Le visiones animarum pag. 27

Capitolo II : “ Il Purgatorio di San Patrizio” pag. 45

2.1 La nascita di una credenza pag. 45

2.2 Il Tractatus de Purgatorio sancti Patricii pag. 49

2.3 Il successo del Purgatorio di san Patrizio pag 60

2.4 Cavalieri e pellegrini, l'avventura cavalleresca e il purgatorio pag 63

2.5 Pellegrini in cerca di salvezza: testimonianze dall'aldilà pag 64

2.6 Una credenza a prova di distruzione pag 74

Tabella cronologia dei pellegrini pag 76

Riferimenti bibliografici pag. 77

1

Premessa

Questo lavoro si incentra sul luogo noto come Purgatorio o Pozzo di San Patrizio, una caverna che

si trova su di un isola del lago di Lough Derg, nella provincia irlandese del Munster, che è stata fin

dal medioevo, ed è tutt'ora, meta di molti pellegrini alla ricerca della redenzione. Per introdurre e,

sopratutto, comprendere a fondo l'importanza avuta di questo particolare luogo e delle pratiche ad

esso collegate nel corso del tempo, è stata fondamentale una lunga ricerca per capire il processo che

ha portato alla nascita dell'idea dell'esistenza di un Purgatorio all'interno della topografia cristiana

dell'aldilà; idea alla quale, il Purgatorio di San Patrizio dette un contributo notevole. Oltre a questo

si è rivelata necessaria un'analisi approfondita riguardante la letteratura medievale delle visioni

dell'aldilà, per capire al meglio le relazioni che hanno con essa i resoconti visionari dei pellegrini

che affrontarono l'oscurità della caverna consacrata al santo patrono d'Irlanda per mondare le

proprie anime dai peccati commessi.

Al fine di guidare al meglio verso la piena comprensione, il presente testo si divide quindi in due

differenti capitoli: il primo dedicato sia alla nascita della credenza relativa all'esistenza del

Purgatorio, sia ad un'analisi della letteratura visionaria medievale; ed il secondo che tratta invece

nello specifico delle testimonianze e dei resoconti giunti fino a noi relativi al Purgatorio di San

Patrizio.

2

Il Purgatorio di San Patrizio:il pellegrinaggio dell'anima e del corpo in cerca della

redenzione

St. Patrick's Purgatory the pilgrimage of the soul and the body in search for

redemption

3

Capitolo I: “Purgatorio e Visiones Animarum”

L'Aldilà nella storia

Al giorno d'oggi ci si cura poco dell'aldilà, ma in passato era un argomento al quale si prestava

molta più attenzione; sia perché la morte era compagna costante dell'esistenza di tutti i giorni, sia

perché la scienza e la logica lasciavano molto più spazio a misteri e superstizioni, sia per altri

motivi, la cui trattazione è opportuno lasciare ad esperti, sicuramente più adatti a pronunciarsi

sull'argomento. Ciò che possiamo affermare basandoci sulle evidenze archeologiche che ci sono

giunte e quindi sulle prove concrete che abbiamo, è che l'aldilà è stato una grande preoccupazione

già1 a partire dal Musteriano - con la comparsa del “primitivo” uomo di Neanderthal, da 130.000

anni or sono – periodo a partire dal quale abbiamo riscontri che attestano un'ideologia della morte e

un rapporto profondo con essa.2

L'aldilà merita quindi una profonda riflessione in quanto da migliaia di anni l'essere umano si

interroga su cosa avvenga dopo la morte. In questa sede un viaggio attraverso la “cultura del

morire” 3 di come sia cambiata e si sia evoluta nel corso della storia, porterebbe troppo lontano;

ricordiamo perciò solo alcuni dei punti fondamentali delle religioni antiche che hanno influenzato il

cristianesimo e nello specifico che hanno lasciato tracce durature ritrovabili nella letteratura

visionaria medievale e nel concetto di aldilà cristiano.

Le idee sulla morte nell'antico Egitto, che ovviamente non risultano condensabili in poche parole

anche solo per la lunga evoluzione che hanno avuto nel corso dei secoli, appaiono di grande

rilevanza e avranno una lunga influenza successiva. In questa società per certo vi è stata l'idea di un

giudizio post mortem, cosa che si riscontra anche nel cristianesimo. Altro punto centrale è “l'eredità

infernale” che questa tradizione ha trasmesso alla religione cristiana, come ha ben sottolineato E. A.

W. Budge : “In tutti i libri sull'altro mondo troviamo pozzi di fuoco, abissi di tenebre, lame

1 Una preoccupazione nei confronti dei morti è dimostrabile solo a partire dalle testimonianze sulle inumazioni , o comunque dalle testimonianze di esistenza di rituali funerari. È impossibile sapere se prima del Musteriano vi fosse già una religiosità che magari consisteva proprio nell'abbandono del corpo o in altre forme che per la loro natura intrinseca ci sono sconosciute.

2 Per approfondire la ritualità, l'arte e gli aspetti collegati alle ideologie funerarie nelle culture primitive cfr. F. Martini, Archeologia del Paleolitico, Carocci Editore, 2010

3 Termine ripreso da F. Martini, Archeologia,cit.

4

micidiali, corsi d'acqua bollente, esalazioni fetide, serpenti fiammeggianti, mostri spaventosi e

creature dalle teste di animali, esseri crudeli e assassini di vario aspetto... simili a quelli che ci

sono familiari nell'antica letteratura medievale; è quasi certo che le nazioni moderne devono

all'Egitto molte delle loro concezioni dell'Inferno”. 4 Il fuoco infatti, associato anche spesso al

ghiaccio, sarà un tormento frequente lungo tutta la storia dell'aldilà ed il Purgatorio infernalizzato di

tante visioni medievali deve molto a queste antiche immagini.

Di gran peso è anche la mancata chiusura ermetica del mondo dei morti nei confronti di quello dei

vivi: già nella letteratura neo-sumerica si può leggere come il principe Ur-Nammu, ensi di Ur

(attorno alla fine del III millennio a.C.) abbia intrapreso un viaggio negli Inferi: l'ensi viene

giudicato dal re degli inferi, Nergal; si allude alla presenza del fuoco, si trova un fiume nei pressi di

una montagna ed è un mondo coperto di tenebre5. Dopo di lui vi sono altri numerosissimi esempi,

soprattutto nella letteratura classica: Orfeo, Polluce, Teseo, Ulisse ed Enea sono solo alcuni degli

eroi che entrano a contatto con il mondo degli Inferi e con i morti. Tutta questa eredità passerà

attraverso varie vie al mondo medievale.

Per concludere questo breve excursus sulle più importanti influenze delle visioni antiche

dell'oltretomba è d'obbligo osservare anche l'aldilà ebraico, lo sheol. Questo appare fortemente

imparentato con quello neo-assiro chiamato arallu 6, cosa niente affatto sorprendente visti i profondi

legami culturali che si instaurarono tra queste due civiltà e con la più tarda cultura neo-babilonese.

Molte parti della Bibbia verranno scritte infatti per salvaguardare la cultura ebraica durante quello

che è ricordato come l'esilio babilonese.7 Infatti l'impero neo-babilonese per avere un maggiore

controllo sulle zone conquistate deportava le popolazioni, in modo da romperne la coesione e

ridurre il pericolo di ribellioni, omologandole sulla propria cultura. Per salvarsi da questo destino gli

ebrei si strinsero attorno alla propria religione e grazie ad essa riuscirono a tutelare la propria

identità. La menzione dello sheol è frequente nell'Antico Testamento con tratti spesso propriamente

infernali; alcuni di essi passeranno poi nella concezione cristiana dell'aldilà, altri spariranno del

tutto, mentre alcuni saranno solo vaghi ricordi (come ad esempio la concezione, di derivazione

medio-orientale, del mondo dei morti come una città; rintracciabile in alcune visioni medievali e

4 E.A.W. Budge, The Egyptian Heaven and Hell,tomo III,Kegan paul, 1906,introduzione p.XII,citato e tradotto da J. Le Goff, La nascita del Purgatorio, Enaudi 1982, pag. 27

5 Cfr. E. Ebeling, Tod und Leben nach den Vorstellungen der Babylonier, Walter de Gruyter & co. , 1931.6 Cfr. P.Dhorme, Le sejour des morts chez les Babyloniens et les Hebreux, <<Revue biblique>> (1907), pp. 59-78, citato da Le Goff, La nascita,cit, pag.33

7 M. Liverani, Antico Oriente: storia, società, economia, Laterza, 2009

5

nella “città dolente” dantesca8). Gli elementi principali che sheol tramanderà all'immaginario

cristiano sono la nozione delle tenebre e altre due immagini già cariche di storia: quella della

montagna e quella del fiume che avranno nello specifico grande valore nella costruzione

topografica del Purgatorio cristiano.9 La presenza delle tenebre risulta particolarmente frequente nel

libro di Giobbe:

prima che io vada per non ritornare più

nella terra del buio e dell'oscurità,

terra d'ombra come tenebra,

di oscurità senza ordine,

dove la luce è come tenebra.

(Giobbe 10.21-22)10

Le basi della concezione del Purgatorio: gli accenni biblici, la letteratura apocalittica, i teologi fondatori11

Il Purgatorio è un aspetto della concezione dell'oltretomba cristiano che affonda le proprie radici

nelle radici stesse del cristianesimo, ma, allo stesso tempo, ha un lunghissimo tempo di gestazione:

sarà infatti reso ufficiale dalla Chiesa solo nel XIII secolo. Per la parte fondamentale che ha avuto in

questo processo il Purgatorio di San Patrizio, merita ricordare le tappe fondamentali della nascita di

tale credenza.

Per poter affermare l'esistenza del Purgatorio servono alcuni prerequisiti essenziali: bisogna infatti

credere nell'immortalità e nella resurrezione dell'anima ed escludere la via delle successive

reincarnazioni e della metempsicosi; è necessario poi ritenere certa l'esistenza di un giudizio post

mortem, e non un giudizio singolo ma doppio: uno subito dopo la morte ed il secondo alla fine dei

tempi. Tra tali giudizi, si deve poi supporre la possibilità di una mitigazione delle pene, in funzione

di diversi fattori; tale idea presuppone necessariamente lo sviluppo di un sistema giuridico

8 Dante Alighieri, Divina Commedia,Inferno, III, 19 J. Le Goff, La nascita, cit.10 Si veda anche Giobbe: 12.22, 15.22, 17.13, 18.18, 19.8, 28.3, 38.16-17 11 In questo paragrafo la maggior parte del lavoro è basata su ciò che scrive J. Le Goff, La nascita,cit., pp 23-107

6

complesso e sofisticato, per il quale sarà necessario attendere il Basso Medioevo. L'idea del

giudizio porta con sé la necessità di ritenere reale l'esistenza del libero arbitrio, senza il quale

sarebbe quasi folle l'idea di una sentenza, in quanto ovviamente, senza libero arbitrio, la singola

persona non avrebbe scelta nelle proprie decisioni e sarebbe quindi portata al peccato o ad una retta

vita, non tanto per la propria volontà ed i propri meriti, ma unicamente per un progetto più ampio

del quale essa non ha nessun controllo. Presuppone inoltre anche l'individuazione di categorie di

peccatori e peccati, e nello specifico, di una categoria di peccati “veniali” cioè perdonabili,lievi, che

è possibile espiare.

Il Purgatorio è il mondo intermedio ma non un qualsiasi mondo intermedio, è infatti l'intermedio

per eccellenza, già a partire dalla propria collocazione spaziale: vedremo successivamente dove i

Padri della Chiesa ed i teologi lo porranno, ma già dalla nozione stessa, il Purgatorio si situa a metà

strada tra Paradiso ed Inferno; quando più tendente ad un estremo, quando invece tendente all'altro,

ma sempre tra i due. Oltre che nello spazio è intermedio anche nel tempo: esso esiste ma non per

sempre, la sua funzione difatti è quella di ospitare le anime che devono ancora mondarsi di alcuni

peccati minori per poter salire al Paradiso. Quando il Giudizio Universale avrà termine, gli unici

mondi che sopravviveranno saranno Inferno e Paradiso; il Purgatorio è un luogo di passaggio e

transizione.

Dopo aver brevemente chiarito alcuni concetti chiave propri del Purgatorio, che è opportuno avere

sempre presenti, possiamo scavare nel passato alla ricerca delle tracce sparse e dei germogli che

faranno sì che la visione tripartita dell'aldilà sbocci nel XIII secolo.

Per quanto molto vaghi, sono stati trovati accenni al Purgatorio in alcuni passi dell'Antico e del

Nuovo Testamento e su di essi si baseranno i successivi uomini di Chiesa per legittimare questa

idea. Le grandi figure di sant'Agostino e san Tommaso d'Aquino, e di conseguenza la teologia

cristiana antica individuò un solo brano dell'Antico Testamento come possibile prova dell'esistenza

del terzo regno: nel secondo libro dei Maccabei, che ricordiamo non essere tra i testi canonici

riconosciuti dagli ebrei, ritenuto apocrifo dai protestanti ed accettato solo dai cattolici ed ortodossi.

Giuda Maccabeo ha ordinato che si recuperino i corpi dei caduti durante la battaglia:

Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a

raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia. Ma trovarono sotto la

tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu

perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti. Perciò tutti, benedicendo l'operato di

7

Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte, ricorsero alla preghiera, supplicando che il

peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a

conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei

caduti. Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d'argento, le inviò a

Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e

nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i

caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli

considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con

sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio

espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.

( II Maccabei 12.41-45)

Questo difficile passo è stato a lungo oggetto di infinite discussioni riguardo la corretta

interpretazione a causa del riferimento a credenze e pratiche mai menzionate nelle altre parti della

Bibbia. Per i nostri fini risulterebbe inutile addentrarsi all'interno di tali problematiche: la cosa

fondamentale è che esso fu preso dai Padri della Chiesa come prova della possibilità di un condono

dei peccati dopo la morte e dell'influenza delle preghiere dei vivi per il destino dei morti.

Nel Nuovo Testamento invece furono individuati tre scritti che sono stati spesso citati durante tutto

il processo della nascita del Purgatorio: Matteo 12.31-32, Luca 16.19-26, I Corinzi 3.11-15.

Ecco cosa scrive Matteo:

Perciò io vi dico: Qualunque peccato e bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia

contro lo Spirito non sarà perdonata. A chiunque parlerà male del Figlio dell'uomo sarà

perdonato; ma la bestemmia contro lo Spirito, non gli sarà perdonata né in questo secolo, né in

quello futuro

(Matteo 12.31-32)

Seppur indirettamente, viene affermata una possibilità di riscatto di alcuni peccati nell'altro mondo

(il secolo futuro), infatti se la bestemmia non sarà mai perdonata, ciò presuppone l'esistenza di

un'altra categoria di peccati perdonabili nel secolo futuro.

Un altro indizio che viene più volte riportato dai teologi è quello relativo alla storia del povero

Lazzaro contenuta nel Vangelo di Luca:

8

C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un

mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di

quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno

il povero morì e fu portato dagli angeli nel Seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.

Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.

Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la

punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. Ma Abramo rispose: Figlio,

ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui

è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso:

coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.

(Luca 16.19-26)

Da tale testo si è ritenuto che esistesse un luogo di attesa dei giusti chiamato appunto "Seno di

Abramo", che sarà a lungo una prima parziale incarnazione del Purgatorio cristiano.

L'ultimo passo è invece quello che più di tutti ha assunto un valore cruciale durante la gestazione

dell'ideologia dei tre regni:

Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo. E

se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia,

l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e

il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno. Se l'opera che uno costruì sul fondamento

resisterà, costui ne riceverà una ricompensa; ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia

egli si salverà, però come attraverso il fuoco.

(I Corinzi 3.11-15)

Vi è infatti in questo passo, a parte la nuova evocazione del fuoco, l'idea di una sorte diversa a

seconda del comportamento avuto in vita, una volta lasciato questo mondo. Inoltre c'è il riferimento

a quella che sembra essere una qualche “prova” che si dovrà affrontare per decidere il proprio

destino.

Un momento sicuramente fondante per la formazione dell'idea del Purgatorio e delle immagini ad

esso associate è da ricercare nella fioritura tra II e III secolo a.C. delle visioni apocalittiche

9

giudaico-cristiane. Spesso sono state marchiate come apocrife ma continuano ad esercitare la loro

influenza o come opere clandestine oppure perché dichiarate tali solo in un secondo momento; nello

specifico molti testi vennero dichiarati apocrifi nel Concilio del 397 di Cartagine e nel Concilio di

Trento del XVI secolo. I testi individuati da Le Goff, come di maggiore rilevanza sono per quanto

riguarda la letteratura ebraica il terzo libro di Enoch e il quarto libro di Esdra, mentre per le visioni

apocalittiche cristiane l'Apocalisse di Pietro, l'Apocalisse di Esdra e l'Apocalisse di Paolo: la più

importante.

Il più antico è il libro di Enoch che risale addirittura intorno 170 a.C. Enoch viene tratto dagli angeli

e guidato in un luogo ove gli abitanti sono fuoco ardente. È ricco di immagini che avranno fortuna

nella letteratura visionaria successiva: la montagna, la grande oscurità, la bocca dell'abisso e le

colonne di fuoco avranno tutte un largo seguito. Una parte interessante è quella riferibile al capitolo

XXXII12, quando la sua guida, l'angelo Raffaele, lo conduce nel luogo dove le anime aspettano in

attesa del giudizio: nei pressi di una montagna vi sono quattro cavità che separano e classificano i

defunti. La prima è riservata ai giusti che hanno patito il martirio, la seconda per i giusti in attesa

dell'eterna riconoscenza divina, la terza per i peccatori che non hanno avuto patimenti sulla terra ed

attendono la punizione eterna, infine la quarta è riservata per i peccatori che sono già stati puniti in

terra e devono quindi avere una punizione inferiore. In questo libro si ritrova quindi, oltre alle

immagini infernali, anche l'idea di uno stato intermedio tra la morte e il giudizio ed anche una prima

classificazione in quattro differenti destini a cui saranno sottoposte le anime una volta liberatesi del

corpo.

Per quanto riguarda il IV libro di Esdra, questo risulta importante perché abbiamo anche qui

riportata una divisione in categorie delle anime e soprattutto viene posto fortemente l'accento sulla

reale spazialità dei luoghi che le ospiteranno. Tale testo sarà citato da Clemente Alessandrino - uno

dei più importanti teologi per la nascita del Purgatorio - e anche da Sant'Ambrogio.

La letteratura apocalittica cristiana sarà per alcuni versi in linea ed in continuità con i testi ebraici,

avendone in comune le radici, ed in chiara rottura per altri, dovendo comunque affermare la verità

della venuta di Cristo. Sia l'Apocalisse di Pietro che quella di Esdra risultano di grande rilievo. In

entrambe sono soprattutto le descrizioni di immagini infernali ad avere l'impatto maggiore: la

presenza del ponte attraverso cui i giusti passano incolumi, il fuoco come grande protagonista, la

12 Ancora una volta specifico che le notizie al riguardo provengono da: J. Le Goff, La nascita, cit., pp 38-41

10

divisione tra peccatori e peccati, la grande oscurità. Peso ancora maggiore ebbe l'Apocalisse di

Paolo, che seppure più tarda (intorno al IV sec) ha segnato profondamente gli sviluppi futuri

dell'oltretomba cristiano. La più interessante tra le varie redazioni è la V : in essa abbiamo la

divisione tra un inferno superiore ed uno inferiore. Sarà proprio questo inferno superiore a diventare

il futuro Purgatorio nel XIII secolo. Nell'Apocalisse le anime nell'inferno superiore aspettano la

misericordia divina. Abbiamo poi una ricca successione di visioni di pene infernali che avranno

largo seguito nei testi successivi: alberi infuocati a cui sono appesi i peccatori, dannati che

patiscono fame, sete, freddo, caldo, ricoperti di vermi o immersi nel fetore e fumo, una ruota

infuocata a cui sono fissate le anime, un ponte sopra un fiume nel quale i peccatori affondano, gli

usurai che si mangiano le lingue, fanciulle peccatrici che vengono divorate da draghi e serpenti,

dannati costretti in un luogo ghiacciato che per metà gelano e per metà bruciano. Paolo non vedrà

tutte le pene che l'angelo spiega essere 144 00013. I dannati lo pregano così insistentemente da

provocare la discesa di Gesù agli Inferi che concede una pausa dalle punizioni fino al lunedì

mattina. Anche questa idea di un refrigerium domenicale lascerà tracce in tutta la letteratura futura.

Una solida base per la successiva affermazione dell'idea del Purgatorio venne fornita da alcuni

importanti teologi. I primi ad introdurre un'idea precisa di una possibilità di purificazione di peccati

nell'aldilà, con la distinzione tra peccati gravi e peccati lievi, furono Origene di Alessandria (morto

nel 254) e Clemente Alessandrino (morto entro il 215). Questi due filosofi sono molto influenzati

dalla cultura ellenica, dalla quale traggono ispirazione per la teoria che le punizioni divine abbiano

un fondamento educativo, e non siano solo punizioni in quanto tali; per questo, sostengono, esse

portano ad una purificazione dell'anima. Se poi Clemente è convinto che ci saranno anche dei

peccatori irrecuperabili così non è per Origene che, portando all'estremo la misericordia divina, è

convinto che tutti saranno salvati dal fuoco purgatoriale. Il passo avanti, anche se sembra minimo, è

immenso: viene per la prima volta scritto che esiste il modo di espiare alcuni peccati dopo la morte.

Nessuna chiarezza vi è invece per il dove e quando questa espiazione avverrà.

Il quando viene meglio definito da Sant'Agostino. Questo teologo di fondamentale importanza nella

storia della Chiesa, prima del 413 si occupa solo marginalmente del Purgatorio, sostenendo

l'efficacia dei suffragi per i morti (ovvero preghiere, elemosine e sacrificio eucaristico), ovviamente

13 Si tratta ovviamente numero metaforico teso ad indicare una quantità enorme di pene.

11

solo nel caso che sia l'istituzione ecclesiastica a pregare e che l'anima per cui si prega non sia stata

miscredente od empia, altrimenti di nessuno aiuto potrebbero essere i suffragi. Dopo questa data,

probabilmente in seguito alla disputa da questo sostenuta contro i cosiddetti “misericordiosi”

(coloro che seppur variamente affermavano la salvezza completa di tutte le anime), precisa le

proprie posizioni. Egli sostiene che dopo la morte le anime verranno divise secondo quattro

categorie: gli empi, i non del tutto cattivi, i non del tutto buoni, ed i martiri e santi. I primi sono

destinati a patire le pene infinite dell'Inferno da subito; anche i secondi saranno portati all'inferno

ma essi avranno pene più tollerabili e sarà possibile aiutarli tramite le preghiere; i non del tutto

buoni invece dovranno lavare le proprie macchie tramite il fuoco purgatorio ( ignis purgatorius ) e

questo avverrà non per l'eternità ma dal momento della morte a quello del giudizio. Anche per essi,

se lo hanno meritato in vita, le pene possono essere mitigate dalle preghiere. Infine martiri e santi

hanno diritto alla salita immediata in Paradiso.

L'ultimo grande teologo che ha un ruolo di rilevanza nel processo della nascita dell'ideologia

tripartita dell'aldilà è Gregorio Magno. Questa importante figura fornisce un triplice apporto alla

concezione del Purgatorio. Nei “Moralia in Job” (Meditazioni sul libro di Giobbe) XII,13 sostiene

l'esistenza di due Inferni: uno superiore che accoglie i giusti, morti prima dell'arrivo di Cristo, quasi

accogliente, ed uno inferiore pieno di pene e riservato ad i peccatori. Nel IV libro dei “Dialoghi”

papa Gregorio afferma l'eternità dell'anima e si occupa successivamente di chiarirne il destino ad

essa riservato subito dopo la morte del corpo: citando Agostino conferma l'esistenza del fuoco

purgatoriale per i peccati minori, di cui elenca alcuni esempi come l'eccessivo riso, l'attaccamento

ai beni terreni, le troppe chiacchiere ed altri ancora. Racconta, a conferma di questo, un gran

numero di aneddoti dove gli spiriti dei morti appaiono nei luoghi dove hanno peccato o a cui sono

particolarmente legati, parlando ai vivi e spesso chiedendo loro una mano per superare le pene.

Questo porta a ritenere che Gregorio non pensi all'esistenza di un unico luogo ove le anime sono

raccolte per essere purgate dei peccati minori, ma che tale mondatura dalle colpe di cui ci si è

macchiati avvenga in terra, nei luoghi ove si è peccato in vita. Infine Gregorio riporta nel XXXI

capitolo, sempre del IV libro dei “Dialoghi” un altro aneddoto, ma molto importante per suoi

protagonisti: è la storia che gli è stata raccontata da un tal Giuliano. Un suo parente, ai tempi del re

Teodorico era andato a riscuotere le imposte in Sicilia e fece un naufragio salvandosi sulle coste di

Lipari. Conobbe così un grande e santo eremita che viveva là. Egli disse che aveva visto il grande re

in camicia e a piedi nudi che ,con le mani legate, veniva condotto nell'isola di Vulcano e gettato

dentro il cratere dal papa Giovanni e dal patrizio Simmaco, i quali Teodorico aveva ingiustamente

messo a morte durante il proprio regno. Questo aneddoto oltre a localizzare esattamente la bocca

12

dell'inferno, ed a collocarla in un punto, la Sicilia e le sue coste, che fin dai tempi dell'antica Grecia

accoglie una moltitudine di miti, ha in sé una grandissima importanza: la minaccia ad un re, signore,

o comunque ad personaggio influente laico delle pene nell'aldilà è stato un potentissimo strumento

politico della Chiesa e mostrare un morto illustre tra le pene infernali fornisce alla minaccia una

consistenza terribilmente reale. Porre le anime all'Inferno è però un caso estremo; il Purgatorio

invece permetterà di mitigare questa minaccia e quindi di utilizzarla molto più spesso.

L'affermazione del Purgatorio tra XII e XIII secolo14

Per quanto riguarda il Purgatorio nel XII secolo è ormai assodato che vi sono più categorie di

peccatori e che alcuni di essi subiranno tormenti tra la morte e la resurrezione per mondare la

propria anima dai peccati lievi e “veniali”. Questo secolo è fondamentale nel processo di nascita del

Purgatorio: è il secolo in cui si inizia ad affermare quella che più tardi verrà chiamata middle class.

È il secolo in cui si svolgono le crociate, un secolo di fermenti religiosi, della nascita della

scolastica e di grandi cambiamenti sociali. Il XII secolo è anche il secolo della giustizia, che diventa

uno dei valori centrali per la società e la stessa giustizia si trasforma e si precisa. Essere giusti è tra i

meriti che si ricordano, per primi, negli elogi di re e principi ed è ora che inizia a delinearsi con

maggiore precisione il diritto ecclesiastico e canonico. È ora che si passa da una più o meno vaga

idea di proporzionalità delle pene infernali ad una vera e propria “contabilità dell'aldilà”15

Ancora una volta J. Le Goff appare una guida molto capace nell'individuare le tappe primarie nel

formarsi dell'idea del “terzo luogo”. Una prima fase vede protagonisti quattro famosi teologi della

metà del XII secolo: Ugo di San Vittore, San Bernardo, Graziano da Bologna e Pier Lombardo, che

in vario modo, partendo dalle basi che abbiamo precedentemente individuato nei testi sacri e dalle

parole dei Padri della Chiesa, puntualizzeranno il proprio pensiero riguardo questa delicata

questione.

Ugo di San Vittore (morto nel 1141) è un ecclesiastico parigino molto importante per la storia della

14 Molte delle informazioni contenute in questo paragrafo provengono da J. Le Goff, La nascita, cit. pp 145- 19815 Termine usato più volte da J. Le Goff, La nascita, cit., che lo riprende da Chiffoleau, La Comptabilitè de l'Au-delà.

Les hommes, la mort, et la religion dans région d'Avignon à la fin du Moyen Age (vers 1320- vers1480), 1980

13

Chiesa.16 Partendo dalla rammentata epistola di S.Paolo, sostiene che il fuoco purgatorio colpirà

solo gli eletti ma coloro che avranno edificato con oro, argento o pietre preziose (cioè i santi)

passeranno senza danni attraverso di esso ed anzi ne trarranno benefici ; invece, coloro che hanno

edificato con legno, paglia e fieno dovranno essere purgati il tempo necessario per poter poi andare

in Paradiso. Le idee di Ugo riguardo il dove avvenga tale purgazione sono vaghe ed egli non si

sbilancia in nessuna affermazione, limitandosi a citare Gregorio Magno nel sostenere che la

purgazione avvenga su questo mondo. Come vedremo anche nei seguenti teologi, Ugo conferma

più volte il valore dei suffragi per le anime dei morti, evidenziando il ruolo dei vivi, ed ovviamente

della Chiesa, in tale processo.

Altro importante attore della progressiva definizione del Purgatorio fu Bernardo di Chiaravalle17

(morto nel 1153), grande mistico medievale che trovò la consacrazione anche nella Divina

Commedia di Dante: sarà difatti lui, per il gran ruolo che ebbe nella restaurazione del culto mariano,

ad accompagnare il poeta negli ultimi tre canti e ad intercedere presso la Madonna, pronunciando la

famosissima preghiera per permettere a Dante di ottenere la visione di Dio18. Ebbe grande notorietà

già ai suoi tempi, attivo fondatore di monasteri e sempre in primo piano nella lotta contro gli

infedeli, fu un trascinatore di masse e promosse la seconda crociata così come la fondazione

dell'ordine templare. Parlando dei luoghi purgatori in un sermone appare una novità: egli teorizza

un triplice inferno. Uno inferiore, deputato ad ospitare tutti i dannati, uno intermedio legato alla

purgazione e destinato ai peccatori veniali ed infine uno superiore, sulla terra, che corrisponde al

"Seno di Abramo" o limbo. Abbiamo quindi per quanto ancora inserito nell'Inferno un luogo di

purgazione che molto si avvicina a quello che sarà il Purgatorio.

Il terzo teologo è Graziano da Bologna, ricordato soprattutto perché circa nel 1140, scrivendo una

raccolta di testi di diritto canonico ricordata come Decretum, o Decretum Gratiani, fonderà il

Corpus di diritto canonico medievale. In due capitoli di tale testo vengono inseriti e quindi

formalizzate, le posizioni canoniche riguardo ai suffragi, di cui si esalta l'importanza, e del pensiero

di Sant'Agostino.

16 Cfr. H.Platelle, Ugo (fr. Hugues), canonico di San Vittore, beato, Bibliotheca Sanctorum, XII, Città Nuova, 1968, coll.775-777

17 Cfr. P. Zerbi, Bernardo di Chiaravalle, santo, Dottore della Chiesa, Bibliotheca Sanctorum, III, Città Nuova, 1968, coll.1-37

18 Dante, Divina Commedia, Par. Canto XXXIII, vv 1-39

14

Infine è necessario ricordare Pier Lombardo, vescovo di Parigi nel 1159, dalle origini italiane,

morto nel 1160. Nei “Quattro libri di sentenze” si può ricercare il suo pensiero sull'argomento che

ci sta a cuore: egli basandosi sui passi citati di Matteo e Paolo afferma che coloro che hanno

costruito con legno, paglia e fieno sono quelli che hanno commesso dei peccati veniali i quali

devono rimanere nel fuoco purgatorio in tempi proporzionali alla gravità delle colpe da loro

commesse, colpe che comunque non devono essere gravi, in quanto per gli empi non vi è alcuna

possibilità di redenzione. La purgazione avverrà tra la morte e il giudizio come ormai è assodato dal

tempo di Sant'Agostino; da lui riprende anche la teoria dei suffragi, di cui torna a confermarne

l'importanza.

Da questi quattro teologi abbiamo dunque la conferma di quanto detto all'inizio: nel XII secolo è

ormai certo che esista un luogo di purgazione destinato a categorie di peccatori macchiati da colpe

lievi e che essa avvenga tra la morte e la resurrezione per l'ultimo giudizio. Ma studiandoli si può

anche notare la spinta del nuovo secolo: la ricerca del luogo e dello spazio in cui si pensa debba

avvenire tale purgazione.

La seconda tappa fondamentale si svolge nel decennio tra il 1170 e il 1180, sotto l'impulso dei

maestri parigini - e più precisamente della scuola di Notre Dame - e dell'ambiente cistercense.

Entrambi infatti hanno un ruolo di primo piano in questa fase e negli anni immediatamente

successivi: è un periodo di fioritura intellettuale, di nuove idee; gli scritti aumentano, si annotano gli

insegnamenti e si ricercano nuove verità. È il fermento intellettuale della nascita della scolastica. È

in questo lasso di tempo, tra il 1170 e il 1180, che sembrerebbe comparire per la prima volta il

sostantivo purgatorium fino ad ora usato solo come aggettivo riferito al fuoco, alle pene o ai luoghi.

Tale termine si ritroverebbe in un sermone di Pietro Comestore (altresì detto Pietro Manducatore o

il Mangiatore). Discepolo di Pier Lombardo, ebbe il ruolo di insegnante alla scuola di Notre Dame.

In un suo sermone si trova scritto, con riferimento nuovamente a Paolo, che coloro che portano con

sé legno,fieno e paglia devono essere mondati dai peccati “in purgatorio”, nel quale la permanenza,

precisa in seguito, sarà dipendente dalle colpe commesse.

Oltre alla scuola parigina il cui portavoce in questi anni può appunto essere individuato in Pietro

Comestore, ebbe un ruolo in primo piano anche l'entourage cistercense. Il rappresentate di maggiore

spicco fu Oddone di Ourscan (Oddone di Soissons) che fu anche maestro di teologia a Parigi. In una

raccolta delle sue idee redatta dai suoi discepoli e quindi di non certa attribuzione, appare

nuovamente il sostantivo purgatorium : in un passo riferito alla questione (questio) De anima in

15

Purgatorio si legge che l'anima separata dal corpo “intrat purgatorium statim” dove poi viene

purgata.

Altri due sermoni meritano di essere ricordati brevemente, uno di essi attribuito a Pier Damiani e

l'altro a San Bernardo. Le Goff sostiene però che l'autore di entrambi sia da ricercare in Nicola di

Chiaravalle19. Se così fosse, questi due sermoni sarebbero stati scritti sempre in questo decennio

centrale per l'evoluzione del pensiero tripartito dell'aldilà, cioè proprio tra il 1170 ed il 1180. In

entrambi seppur con qualche minima differenza vi è una divisione dell'universo in cinque regioni in

cui la terza è la regione dell'espiazione: essa sarebbe divisa in tre parti ovvero il cielo, il purgatorio

e l'inferno. La prima è riservata alle anime che hanno conservato la sostanza umana pura e senza

nessuna macchia; l'inferno invece è la meta di coloro che non meritano alcuna redenzione né

riscatto. Infine le anime di coloro che invece si trovano a non meritare né la punizione eterna né

l'immediata salita al cielo dovendo ripulire la propria anima nei luoghi purgatori, dove sono

sottoposti a punizioni non per ira divina o loro distruzione, ma per la grande misericordia di Dio e

per istruirle. Entrambi i sermoni concludono poi questa parte ricordando la centralità del ruolo dei

vivi nell'abbreviare e rendere più sopportabili le pene per le anime che possono essere aiutate.

A questo punto manca davvero poco: il Purgatorio è entrato ormai a far parte dell'immaginario di

teologi e delle persone comuni, su cui esercita fin da subito una fortissima attrazione. Altri

contributi vennero ancora a fine secolo da Pietro il Cantore e Simone di Tournai così come agli inizi

del XIII secolo da Innocenzo III e Tommaso di Chobham.20

Arriviamo così al XIII secolo ovvero il secolo del “trionfo del Purgatorio” ( prendendo in prestito

ancora una volta un termine coniato da J. Le Goff ). In questo periodo lo scibile e tutto il sapere

umano viene organizzato e riclassificato; si afferma il movimento che porta alla nascita delle

università, che insieme alle scuole degli ordini mendicanti, fissarono e classificarono il fervore e lo

slancio ideologico del precedente periodo. Come alla fine del secolo precedente, riveste

particolarmente importanza per l'affermazione della teoria dell'aldilà tripartito, la lotta contro i

movimenti eretici che spesso, tra le varie dottrine rifiutate, rigettano anche questa credenza, che

viene di conseguenza presa dalla Chiesa ed usata nella sua lotta, puntualizzandola ed aumentandone

il valore. Sulla scorta dell'affermazione di tale visione si collocano gli ultimi importanti teologici di

cui è opportuno occuparci, essi appartengono generalmente al mondo universitario parigino o alle

19 J. Le Goff, La Nascita, cit. pp. 179- 18320 Ibidem, pp. 184-187

16

scuole degli ordini mendicanti francescano o domenicano.

Riferendoci al mondo universitario la figura di spicco è Guglielmo di Alvernia; nato intorno al 1180

ad Aurillac, diventa maestro di teologia all'università di Parigi tra il 1222 e il 1228, anno in cui

riceve la carica di vescovo a Parigi che mantiene fino alla morte sopraggiunta nel 1249. Guglielmo

nei suoi scritti tra le varie questioni e problematiche,si occupa anche del Purgatorio, termine ormai

consolidato, sostenendo e dichiarando non solo che esiste, ma che esso è la continuazione della

penitenza terrena. Non è il primo a pensare una cosa del genere, che anzi si ritrova spesso nel XII

secolo, ma è probabilmente quello che ne rende un'esposizione più chiara. I defunti che sono stati

colti da una morte improvvisa o che comunque sono stati strappati a questo mondo prima di poter

ultimare la propria penitenza in terra, devono per forza di cose avere un luogo ove poter terminare

di mondare la propria anima. Inoltre l'esistenza del Purgatorio è certa perché senza di essa non vi

sarebbe giustizia, in quanto esistono varie categorie di peccati e soprattutto non è possibile

accostare ed eguagliare un peccato come l'omicidio o la bestemmia al troppo riso. Inoltre per

Guglielmo la dimostrazione dell'esistenza del Purgatorio è da ricercare anche nelle frequenti

apparizioni di spiriti ed in tutta la letteratura visionaria di cui ci occuperemo più avanti21. Per quanto

riguarda dove sia da collocare il Purgatorio, dice che “nulla lex, vel alia scriptura determinat”,

dopodiché ci informa che quindi si dovrebbe credere alle apparizioni e situarlo sulla terra, scelta che

appare probabilmente influenzata dalle idee di Gregorio Magno. 22

Gli altri poli altamente fecondi sono gli ordini mendicanti francescano e domenicano.

Alessandro di Hales e Bonaventura da Bagnoregio sono due ottimi rappresentanti dell'ambiente

francescano. Il primo, nato in Inghilterra nell'attuale Winchcombe, nel Gloucestershire, attorno al

1185, ricevette una prima formazione nel monastero di Hales per poi trasferirsi a Parigi dove

divenne prima maestro di arte e poi di teologia fino a quando nel 1245 lo colse la morte. 23

Alessandro si occupa molto di più del fuoco purgatoriale sostenendo che esso sia giusto e

proporzionale, e che purghi dai peccati veniali e da quelli mortali non ancora sufficientemente

espiati. Il fuoco è centrale nella sua dottrina, un fuoco che divide in tre parti: la luce riservata alle

anime elette, la fiamma che serve per consumare i peccati commessi e la brace destinata agli empi e

ai dannati. Come quasi tutti anche Alessandro si pronuncia sui suffragi affermando chiaramente il

21 Si veda in proposito il paragrafo successivo che tratta appunto di tale argomento.22 Come infatti già rammentato, Gregorio Magno nei suoi Dialoghi tratta spesso di spiriti che appaiono a viventi nei

luoghi in cui stanno ancora scontando la purgazione dei peccati commessi durante la vita, luoghi per l'appunto terrestri.

23 Cfr. R. Pratesi, Alessandro di Hales,beato, Bibliotheca Sanctorum, I Città Nuova, 1968, coll.784-786

17

ruolo di primo piano della Chiesa nel poter abbreviare la permanenza nel Purgatorio o nel renderne i

tormenti più sopportabili. È importante ripetere questa idea, in quanto con l'organizzazione dei

suffragi per i morti, la Chiesa ha aumentato in modo molto forte il proprio potere sia sociale,

facendo larga presa sulla popolazione; sia politico, in quanto aveva la facoltà anche di far vedere

grandi signori e uomini illustri all'Inferno o al Purgatorio e mostrare come le preghiere potevano

aiutarli; sia infine economico, in quanto erano servigi per i quali si richiedeva un'offerta.

L'altro noto francescano è Buonaventura da Bagnoregio la cui notorietà era grande già all'epoca:

basti pensare che sarà proprio lui ad essere scelto da Dante per parlare nel XII canto della vita di S.

Domenico e ammonire invece la nuova degenerazione francescana secondo uno schema rovesciato

a quello che aveva visto nel canto precedente il domenicano Tommaso d'Aquino (di cui ci

occuperemo poco più avanti) illustrare la vita di S. Francesco per poi esortare i propri confratelli ad

una maggiore attenzione.

Io son la vita di Bonaventura

da Bagnoregio, che ne' grandi offici

sempre pospuosi la sinistra cura24

Buonaventura, al secolo Giovanni Fidanza, nacque come ci dice il nome con cui è ricordato a

Bagnoregio, nel Lazio. Entrò tra il 1238 e il 1243 nell'Ordine francescano di cui divenne il generale

nel 1257. Venne nominato vescovo nel 1265 e creato cardinale nel 1273; morì l'anno seguente

durante il Concilio di Lione. 25Scrivendo sul Purgatorio e sulla sua localizzazione Buonaventura

porta avanti l'idea che esso si trovi nel mezzo secondo l'economia divina, ma sotto terra

osservandolo secondo la legge comune. Classificando varie visioni ed idee e citando tra queste

anche il Purgatorio di San Patrizio, sostiene che vi siano più luoghi purgatoriali dai quali, una volta

terminata l'espiazione, le anime siano poi libere di salire in cielo. Il fuoco purgatoriale per lui è

materiale e reale; anch'egli ribadisce la possibilità della Chiesa di poter intervenire per rendere

minore e migliore la permanenza in tali luoghi.

Gli ultimi due pensatori di cui pare opportuno parlare sono i due celebri domenicani Alberto Magno

e certamente Tommaso d'Aquino. Alberto nacque a Lauingen in Svezia intorno al 1206 da una

24 Dante, Divina Commedia,Par XII, vv. 127-13025 Cfr. L. Di Fonzo, Bonaventura da Bagnoregio, cardinale, vescovo di Albano, Dottore della Chiesa, santo,

Bibliotheca Sanctorum, III, Città Nuova, 1968, coll. 239-278

18

nobile famiglia che gli permise di studiare a Padova, dove entrò nell'ordine domenicano nel 1223,

ma anche a Colonia e a Parigi, nella quale ottiene l'insegnamento a partire dal 1242 e ove rimase

fino al 1248 quando si trasferì nuovamente in Germania diventando provinciale dell'Ordine

domenicano e poi tra il 1260 e 1262 vescovo di Ratisbona; partecipò poi al concilio di Lione del

1274, spengendosi pochi anni dopo, nel 1280 26. Crede, a proposito dei luoghi di tormento, che

siano quattro e più in dettaglio: l'Inferno, il Purgatorio, il limbo dei bambini e il limbo dei padri. Nel

Purgatorio non si trovano pene connesse al freddo, ma con il fuoco che è il castigo più adatto, in

quanto solo esso ha una reale forza purgativa. Una volta mondate dai peccati le anime possono

passare dal Purgatorio al Paradiso anche prima del Giudizio Universale, idea comune a

Buonaventura. Dalla sua concezione ci si accorge di come il Purgatorio sia più simile all'Inferno e

di come l'unica differenza tra i due stia nella durata delle pene, e non nella loro maggior o minore

durezza. È un luogo afflittivo e tenebroso in cui manca la visione di dio. Il maestro domenicano si

dilunga su una dimostrazione dell'esistenza del Purgatorio basata sulla logica aristotelica. Un suo

discepolo, Ugo Ripelino, attua un volgarizzamento delle idee del maestro che ne prolunga

l'influenza. Un passo in particolare chiarisce bene l'idea della geografia dell'aldilà:

Se l'Inferno designa il luogo della pena, bisogna distinguere quattro [luoghi]. Vi è l'inferno dei

dannati, dove si subisce la pena dei sensi e della dannazione [privazione della presenza divina] e

dove ci sono le tenebre inferiori ed esteriori, cioè l'assenza di grazia: è un lutto eterno. Al di sopra

c'è il limbo dei bambini, dove si subisce la pena della dannazione ma non quella dei sensi e dove ci

sono le tenebre interiori ed esteriori. Al di sopra di tale luogo vi è il Purgatorio, dove vi è la pena

dei sensi e della dannazione temporanea, e dove vi sono le tenebre esteriori ma non quelle interiori,

poiché in virtù della grazie vi è luce interiore, in quanto si vede che si sarà salvati. Il luogo

superiore è il limbo dei santi padri, dove vi erano la pena della dannazione e non sei sensi, e vi

erano le tenebre esteriori ma non quelle della privazione della grazia. È qui che Cristo discese e

liberò i suoi, (…).

L'ultimo grande teologo è Tommaso d'Aquino, discepolo di Alberto. Anche lui avrà un posto

d'eccezione nella Divina Commedia di Dante meritato per il grande lavoro e il successo che ebbe in

vita. Nato a Roccasecca nel 1225 da una famiglia nobile, ricevette l'abito religioso nel 1243-1244.

26 Cfr. http://www3.unisi.it/ricerca/prog/fil-med-online/autori/htm/alberto_magno.htm (consultato il 3/08/2013). Inoltre Cfr. A.Walz, Alberto Magno (A. de Lauging [Lauingen], A. di Colonia, A. Teutonicus, A. Magnus, Dominus A.), santo dottore, Bibliotheca Sanctorum, I, Città Nuova, 1968, coll. 700-716

19

Prosegue gli studi universitari a Parigi, poi a Colonia, ove conobbe ed allacciò i rapporti con quello

che divenne il suo maestro, Alberto Magno. Tornato a Parigi, vi insegnò tra il 1252 e il 1255.

Continuò poi a viaggiare fra Francia e Italia e a scrivere opere fondamentali nella storia della

Chiesa. Morì nel 1274 mentre ultimava i preparativi per recarsi al concilio di Lione.27 In lui si trova

finalmente la più completa esposizione di quello che era il pensiero del tempo: le idee sono

sostanzialmente quelle di Alessandro ma rielaborate ed esposte con grande chiarezza e razionalità.

L'inferno è eterno e da esso non c'è salvezza ne assoluzione; anche il limbo dei bambini è eterno

mentre il Purgatorio è temporaneo; il limbo dei patriarchi invece è chiuso dai tempi della discesa di

Cristo e il Paradiso durerà per sempre. Tommaso è categorico quando afferma l'esistenza del

purgatorio: negarne l'esistenza vuol dire parlare contro la giustizia divina, un errore che allontana

dalla fede e rende eretici in quanto porta anche ad opporsi all'autorità della Chiesa. Tommaso

parteciperà a quella che è definibile come “infernalizzazione” del Purgatorio, ovvero contribuisce

con le sue idee a fare del Purgatorio un posto molto simile all'inferno con immagini cupe e tenebre

pesanti, torture e mostri inverecondi che puniscono le anime. Per lui la pena più piccola del

purgatorio provoca maggior sofferenza della pena più grande inflitta nel nostro mondo. Si dedica

poi anche lui all'importanza cruciale dei suffragi: a condizione che le anime abbiano meritato

durante la vita di ricevere aiuto, gli empi infatti non potranno mai salvarsi né ricevere una

diminuzione della pene nonostante tutte le preghiere, messe, digiuni ed elemosine loro offerte.

Dunque nel XIII secolo è ormai giunto il momento che l'aldilà tripartito e il Purgatorio venga reso

ufficiale dalla Chiesa e così avviene. Il primo pronunciamento pontificio riguardo al Purgatorio è

del 1254 e si trova in una lettera inviata da Innocenzo IV ad un proprio legato presso la Chiesa

ortodossa: in questo periodo si cerca ( e si ottiene anche se per un breve lasso di tempo) un

riavvicinamento ed una nuova unione tra le due chiese. in questo contesto il Purgatorio in quanto

credenza dell'occidente riveste insieme ad altre questioni un ruolo chiave. In questa lettera

Innocenzo chiede in modo piuttosto autoritario che la Chiesa greca sottoscriva la definizione di

Purgatorio. Con tale scritto il Purgatorio compare ufficialmente nella dottrina cattolica

“Poichè la Verità afferma nel Vangelo che, se qualcuno bestemmia contro lo Spirito Santo, tale

peccato non gli sarà rimesso né in questo secolo né nell'altro: per il che ci è dato comprendere che

27 Per la vita di S. Tommaso: http://www.treccani.it/enciclopedia/santo-tommaso-d-aquino/ (consultato il 3/08/2013), inoltre cfr. C. M. J. Vansteenkiste, Tommaso d'Aquino, Dottore della Chiesa, santo, Bibliotheca Sanctorum, XII, Città Nuova, 1968, coll. 544-563

20

talune colpe sono perdonate nel tempo presente, e altre nell'altra vita; poiché anche l'Apostolo

dichiara che l'opera di ciascuno, quale che sia, sarà provata attraverso il fuoco, e che, se brucerà,

chi l'ha compiuta ne soffrirà la perdita, ma sarà salvato, come attraverso il fuoco; poiché i greci

stessi, si dice, credono e professano sinceramente e senza esitazione che le anime di coloro che

muoiono avendo ricevuto la penitenza ma senza aver avuto il tempo di compierla, o che decedono

senza peccati mortali, ma colpevoli di [peccati] veniali o di colpe minime, sono purgate dopo la

morte e possono essere aiutate dai suffragi della Chiesa; noi, considerando che i greci affermano

di non trovare presso i loro dottori alcun nome proprio e certo per designare il luogo di tale

purgazione, e che d'altra parte nelle tradizioni e nelle autorità dei santi Padri tale nome è il

Purgatorio, vogliamo che per l'avvenire questa espressione sia accolta anche da loro. In tale fuoco

temporale, infatti, sono purgati i peccati, non certo i crimini e le colpe capitali, che non siano stati

rimessi in precedenza con la penitenza, ma i peccati lievi e minimi; se non sono stati rimessi nel

corso dell'esistenza, essi gravano l'anima dopo la morte.”

Il 1 novembre del 1274 il secondo concilio di Lione promulga il Cum Sacrosanta, in cui si afferma

che coloro che compiono peccati dopo il battesimo e che si pentono ottengono il perdono, e se

muoiono prima di aver terminato la penitenza, le loro anime sono destinate a purgarsi con “poenis

purgatoriis seu catharteriis” compiendo un passo indietro rispetto alla lettera: il Purgatorio come

luogo non viene espressamente nominato. Ma ormai le visioni e i teologi lo hanno consegnato alle

masse ed il successo tra il popolo è immenso, suggellandone la definitiva affermazione ed il trionfo.

La genesi di una nuova letteratura visionaria

Fino ad ora abbiamo ignorato il filone importantissimo delle visiones animarum in quanto per la sua

vastità e per gli ovvi contributi che dette questa letteratura al Purgatorio di San Patrizio risulta più

opportuno trattarne in un paragrafo a sé stante. Con il termine visiones animarum ci si riferisce a

quel settore della letteratura medievale che tratta di visioni ed a volte di veri e propri viaggi, come

per esempio nella Navigazione di San Brandano, nei quali ci si confronta con il mondo dell'aldilà,

in genere scritti da monaci e chierici. Questa letteratura probabilmente nasce e si sviluppa da due

fonti principali: la prima, come è facilmente intuibile, è la tradizione dei viaggi di discesa agli Inferi

che, come abbiamo detto sopra, nasce in epoca antichissima e si trova già nella letteratura sumerica.

21

Questa tradizione lascia un'eredità fondamentale che influenzerà tutta la produzione medievale sia

per i luoghi e le immagini che vengono riportati, sia anche per la durata del viaggio, che

generalmente è di una notte e più raramente di qualche giorno28 . Ovviamente non si può pensare

però che esista solo nella letteratura orientale prima e classica poi: un grandissimo ascendente verrà

esercitato anche dalle “tradizioni barbare”, e in special modo quelle celtiche ed irlandesi, mentre la

seconda fonte fa riferimento a tutta la letteratura apocalittica di cui abbiamo detto.29

Per fornire un esempio di come la cultura e il “sostrato barbaro” ed in special modo quello celtico

abbiano influenzato la cultura susseguente, osserviamo più da vicino l'antica letteratura irlandese e

più precisamente il genere chiamato “Echtrai”;30 in esso si ritrova uno straordinario repertorio della

mitologia celtica; divinità pagane e altre creature mostruose o mitiche sono libere di muoversi a loro

agio. Infatti gli Echtrai vedono generalmente il viaggio di eroi verso terre misteriose e

soprannaturali attraverso il mare ma anche in altri modi, ad esempio pervenendo a queste terre

misteriose sotto un lago come accade nel “Echtrai Laegairi” . Questo genere è probabilmente molto

antico anche se vi sono opinioni contrastanti se farlo risalire a prima o dopo l'avvento del

Cristianesimo. Quello che però sembra abbastanza certo è che, anche se fossero testi redatti in

epoca cristiana, risultano avere all'interno un apparato mitico, un piacere nel descrivere questi

mondi fantastici e un ruolo in primo piano della magia, che sicuramente sono strettamente connessi

agli antichissimi racconti orali celtici e affondano le proprie radici nella storia stessa di questi

popoli. Sicuramente più recente è invece il genere delle Immram: sono storie anch'esse di

vagabondaggi misteriosi e fantastici ma, se è innegabile anche qui la forza dei miti e delle tradizioni

celtiche, questi testi sono stati ormai completamente cristianizzati. Sono prodotti dai monasteri,

come è dimostrabile anche dai richiami colti a tradizioni classiche, possibile solo per i monaci, che,

soli, grazie ai monasteri e alle annesse biblioteche, avevano l'accesso a tale sapere. Queste storie

sono redatte per lo più accostando vari episodi e peripezie gli uni agli altri. Una delle Immram più

importanti è quella che tratta del viaggio dell'eroe Máel Dúin che parte alla ricerca di vendetta, ma

contravvenendo alle indicazioni affidategli da un druido, elemento della tradizione celtica, che resta

sempre molto forte; si ritrova a vagare a lungo, in molte avventure nelle quali perderanno la vita

molti dei suoi uomini, per poi infine concedere il perdono invece che vendicarsi. Si può pensare

abbastanza facilmente che questi generi che trattano di viaggi e peregrinazioni per mare nascano da

28 Facendo riferimento alle visioni e non ai viaggi per i quali, generalmente, i tempi sono molto più espansi.29 Ci si riferisce a quanto spiegato nella prima del paragrafo Le basi della concezione del Purgatorio: gli accenni

biblici, la letteratura apocalittica, i teologi fondatori. 30 Molte delle informazioni a cui viene fatto riferimento sono contenute in D.N. Dumville, Echtrae and Immram:

Some Problems of Definition, «Eriu» vol. 27, (1976), Royal Irish Accademy, pp 73-94. Le rimanenti notizie provengono invece da Alberto Magnani, La navigazione di San Brandano, Sellerio, 1992.

22

esperienze dirette: è probabile infatti, vista la conformazione geografica dell'Irlanda e delle sue

coste, che molte delle isolette nei pressi non fossero abitate e questo lasciasse spazio ad esplorazioni

di pescatori o di sfortunati naufraghi che potevano cercare una salvezza momentanea su di esse. Da

questi espisodi sono nati racconti e vicende più o meno fantastiosi che sono confluite piano piano in

leggende e tradizioni, che verranno successivamente rielaborate in chiave cristiana.

Si può affermare che nelle Echtrai il momento centrale sia l'entrata dell'eroe nel mondo fantastico, e

che tali testi siano probabilmente eredità dell'antico passato celtico, intrisi di tale mitologia e valori.

Le Immram al contrario sono di ispirazione ecclesiastica e ruotano, con una serie di episodi

giustapposti gli uni agli altri, attorno alla peregrinazione marina di isola in isola, rimanendo

comunque fortemente influenzate dal sostrato culturale precedente.

A questo filone si riferisce la Navigazione di San Brandano31, un testo basilare che avrà una

diffusione immediata e ad ampio raggio, e che vale la pena approfondire, per capire meglio sia cosa

siano davvero gli Immram; sia quanto abbia influito sulla loro composizione il sostrato in cui si

svilupparono. Infatti anche la leggenda del Purgatorio di San Patrizio si svilupperà su questa cultura

e quindi conviene approfondire quale sia e che influenza abbia.

In questo testo il vero protagonista è il viaggio, la navigazione. Quasi tutte le vicende si svolgono

attorno a questo lungo viaggio di sette anni, tranne quello che può essere visto come il prologo della

storia e l'epilogo. In Brandano viene proiettata la figura dell'abate ideale, caratterizzato da un forte

impulso di conoscenza ed una fede immensa e sempre presente; appare come una figura di

riferimento, sempre sicura di sé e della propria missione, così come dell'appoggio divino; solo una

volta in tutta la navigazione appare scosso: quando trovandosi in un'isola con un albero pieno di

uccelli e non capendo cosa abbia di fronte, è talmente tormentato dalla curiosità da dover chiedere

tra le lacrime l'aiuto divino. Al contrario i suoi compagni non hanno tratti caratterizzanti, né

psicologici, né fisici; sono solo un gruppo di monaci senza alcuna caratteristica distintiva che si

affidano appieno al proprio abate.

Il racconto prende avvio nel monastero di Clonfert del quale Brandano è abate. Questi un giorno

riceve la visita del nipote, anch'egli abate, che racconta un'avventura che ha avuto la fortuna di

avere e che termina con la visione e l'approdo alla Terra dei Beati: una terra piena di luce, erba e

fiori, con alberi carichi di frutta, disseminata di pietre preziose e divisa da un fiume oltre il quale

31 Alberto Magni, La navigazione di San Brandano, Sellerio, 1992.

23

non è lecito proseguire. Brandano a questo punto è deciso a vedere anch'egli questa isola

meravigliosa e scelti 14 frati, chiede che lo accompagnino in questo viaggio. Terminata la

preparazione, fatta anche di digiuni e preghiere, si mettono in cammino. Giunti alla costa

costruiscono una nave ma, prima che possano partire, giungono altre tre frati i quali minacciano di

lasciarsi morire di fame se non gli fosse stato permesso di partecipare al viaggio. Brandano concede

loro di venire ma non prima di aver profetizzato che non torneranno mai più indietro, e che, avendo

due di essi agito male, verranno per questo puniti. Inizia ora il vero viaggio e il vagabondare per

mare che durerà sette lunghi anni, nei quali verranno messi più volte alla prova e nei quali Brandano

saprà sempre indicare la giusta direzione da prendere ed il corretto modo di procedere,

profetizzando frequentemente cosa avverrà secondo la volontà di Dio. Il viaggio sarà scandito in

tempi che seguono le festività: gli unici riferimenti cronologici che vengono forniti sono la Pasqua,

la Pentecoste e il Natale. Le celebrazioni delle festività seguiranno lo stesso schema per tutti e sette

gli anni. La prima isola nella quale si trovano ad approdare è quella delle alte scogliere; qui, ormai

senza né cibo né acqua, vengono accolti da un cane che si accuccia ai piedi di Brandano quasi come

se questi fosse il padrone e sono guidati dentro un grande edificio che contiene tutto il necessario

per ristorarsi e riposare. Quando giunge il momento di ripartire, Brandano ricorda che rubare è un

peccato ed informa i compagni, grazie ad un sogno che aveva avuto precedentemente, che un frate

tra loro aveva preso un collare d'argento datogli dal diavolo sotto forma di un neretto. Il frate lo

getta subito via e si pente. Grazie a questa cosa, alle preghiere dei confratelli e soprattutto di

Brandano potrà ricevere la salvezza. Il frate muore e gli angeli vengono a prelevare l'anima.

Ripartono dunque con viveri sufficienti fino a Pasqua. Terminati i viveri approdano all'isola delle

pecore giganti ove iniziano le celebrazioni pasquali. Giunge un uomo che li informa che secondo il

volere di Dio essi dovranno celebrare il giorno di Pasqua su di un'isola li vicino e poi stare fino

all'ottava di Pentecoste all'isola degli uccelli. Così salpano secondo il volere di Dio alla volta

dell'isola che si trova nei pressi per le celebrazioni pasquali. Si scopre successivamente che l'isola

non è altro che una grande balena, chiamata Giasonio, nome che deriva da iasc cioè pesce in

irlandese. Ovviamente Brandano aveva già capito tutto ma non aveva detto niente per non

terrorizzare i monaci. La compagnia fa quindi vela verso l'isola degli uccelli, dove come anticipato

il santo apparirà per la prima, ed ultima volta, in crisi. Un uccello spiega in seguito alla supplica a

Dio di Brandano che essi sono gli angeli che appoggiarono Lucifero ma che non si macchiarono di

gravi colpe; la giustizia di Dio fece sì che vennero privati della luce divina, ma anche di castighi

ulteriori. Sono costretti a vagare per il mondo come spiriti ma per le festività ricevono tali corpi con

i quali possono cantare le lodi al signore. Profetizza poi a Brandano che lo attendono altri sei anni di

viaggio e ogni anno dovrà celebrare la Pasqua come ha appena fatto ed il Natale nella comunità di

24

Albeo. E sarà proprio l'isola che ospita tale comunità la prossima tappa: approdati, vengono ricevuti

da un vecchio canuto che li conduce nel monastero e durante la cena spiega che sono una comunità

di 24 monaci e che Dio li assiste nelle loro opere: essi non sono invecchiati, nel monastero le

lampade non si consumano mai e ricevono ogni giorno 12 pani, cioè, essendo 24, mezzo pane a

testa, tranne per le feste quando hanno diritto ad un intero pane a testa. Passa così Natale e Pasqua

secondo le tappe prestabilite. Ad un certo punto vengono però inseguiti da un enorme mostro

marino; i monaci sono disperati e terrorizzati, ma Brandano fiducioso, invoca l'aiuto di Dio che

manda un altro mostro marino che sputa anche fuoco e che dilania facilmente l'inseguitore.

Giungono così ad una successiva isola dove la popolazione è divisa tra ragazzi, giovani e vecchi e

tutti e tre i gruppi pregano incessantemente. Brandano profetizza che uno dei due monaci rimasti tra

i tre che si erano aggiunti, rimarrà là e difatti due giovani vengono a reclamare il loro fratello; il

monaco rimane felice sull'isola mentre gli altri ripartono. Durante il viaggio incontrano un nuovo

pericolo,un grifone, ma la fiducia dell'abate in Dio è premiata ed un uccello arriva e cava gli occhi

al mostro e per poi ucciderlo. Trovano in seguito una colonna di cristallo luminoso immensa,

troppo alta per l'occhio umano, che impiegano tre giorni a circumnavigare; qui raccolgono un calice

e una patera, fatti in quello che sembra argento ma più duro del marmo. Il viaggio continua e sono

spinti verso un'isola desolata, sassosa e piena di detriti, senza vegetazione. Vi vedono una

moltitudine di fucine32, appena i fabbri avvistano la nave iniziano a bersagliarla con blocchi

infuocati ma i monaci riescono a salvarsi: quella era la porta dell'Inferno. Il giorno seguente appare

una montagna da cui si sprigiona gran fumo ed il vento trasporta la barca finché essa non si arena

poco lontano da terra. Le scogliere, color carbone, sono altissime, diritte come una muraglia.

L'ultimo dei tre frati, saltato fuori dalla nave, viene preso da dei diavoli che lo trascinano verso la

montagna; Brandano dice che è la giusta punizione per i peccati da lui commessi; dopodiché il

vento torna favorevole e si allontanano dall'isola, che ricevuta la nuova anima erutta fiamme.

D'improvviso scorgono una figura in mezzo alle onde: è Giuda che si trova lì per la misericordia

divina; infatti l'essere sbattuto dalle onde è per lui un riposo dalle terribili pene che affronta

nell'Inferno, refrigerio di cui può giovarsi nelle domeniche e nelle festività. Supplica poi l'abate di

pregare affinché gli venga concesso un po' di riposo in più e così avviene.33 A sera i diavoli vengono

a reclamare l'anima ma Brandano li scaccia con decisione e coraggio. L'ultimo incontro prima di

raggiungere la meta è con l'Eremita Paolo: è San Paolo di Tebe, un monaco egiziano nato pare nel

32 Le fucine così come i fabbri sono spesso accostati alle visioni infernali ed al mondo sotterraneo degli inferi.33 Passaggio questo che ricorda da vicino l'Apocalisse di Paolo quando Gesù scende agli inferi donando una pausa

dalle pene nella sua smisurata misericordia.

25

228 e morto nel 341, dopo 90 anni di ascesi nel deserto, vestito con foglie di palma intrecciate e

nutrito da un corvo che gli portava ogni giorno un pezzo di pane, considerato dalla tradizione

cristiana il primo eremita.34 Come sia finito nelle isole del nord è un mistero, ma ciò che succede

nella Navigazione è che la compagnia di monaci arriva nell'isola ove questo santo eremita

soggiorna. Egli ricoperto solo dai propri peli, capelli e barba, tutti candidi come la neve, li accoglie

chiamandoli tutti per nome, grazie alle proprie capacità divinatorie. L'isola è piccola e rotonda e

fatta solo di roccia. Paolo racconta poi la sua storia: egli ha vissuto fino a 50 anni nel monastero di

San Patrizio dove custodiva il cimitero dei frati. Un giorno mentre stava scavando una fossa gli

apparve proprio San Patrizio, il quale era morto il giorno precedente, dicendogli che doveva andare

sulla costa e salire sulla barca che avrebbe trovato li, per essere portato nel luogo ove avrebbe

dimorato fino alla morte, ovvero nell'isola in cui si trova adesso. Quando vi giunse e per i successivi

30 anni una lontra lo nutrì, portando ogni tre giorni un pesce e una fascina di rami per il fuoco, e,

senza patire sete, beveva solo alla domenica da un rivoletto d'acqua che Dio faceva sgorgare dalla

roccia. Passati 30 anni trovò due caverne e una sorgente, e da 60 anni vive solo con l'acqua di tale

sorgente. Dopo il racconto li invita a ripartire rivelando che sono ormai prossimi al termine del loro

viaggio. Dopo aver ricelebrato la Pasqua nella solita maniera di sempre, partono alla volta della

terra promessa dei beati, guidati dal benefattore che li riforniva ad ogni Pasqua. Arrivano così ad

una terra risplendente di luce, piena di alberi carichi di frutta e per 40 giorni la esplorano senza che

mai le tenebre della notte la tocchino, ed arrivano così al fiume. Appare un uomo che saluta i frati e

Brandano di cui prevede la morte entro poco tempo, con ardore. I viaggiatori tornano quindi felici

verso il monastero di Clonfert da cui erano partiti, ove il santo, ricolmo di felicità, racconta la

propria peregrinazione ed annuncia la sua imminente dipartita. Dopo pochi giorni, avendo impartito

gli ordini necessari, è libero dal proprio corpo potendo così raggiungere in gloria il Signore.

Questo racconto ebbe una larghissima diffusione e traduzioni in molteplici lingue, tanto da

diventare una leggenda diffusissima nel medioevo. In realtà in molti hanno ritenuto che l'isola

esistesse davvero, tanto che viene rammentata in un trattato in cui il Portogallo cede alla Spagna le

Canarie, nelle cui vicinanze si riteneva esistesse la terra dei beati. Tanti durante il XVI secolo si

rovinarono pur di trovarla, ovviamente senza esito. L'ultima spedizione che partì alla sua ricerca

salpò addirittura nel 1721.35

34 G. Caliò, Paolo di Tebe, eremita, santo, Bibliotheca Sanctorum, X, Città Nuova, 1968, coll. 269-280. In particolare coll. 271-275.

35 Queste “divertenti” informazioni provengono da P. Villari, Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia, Arnoldo Forni Editore, 1865, pp 31-32

26

Le visiones animarum

Tornando alla letteratura visionaria cristiana si può affermare che una delle prime visioni di cui

abbiamo notizia e che tra l'altro ebbe un ruolo centrale nel costruire l'ideologia della possibilità di

redenzione dopo la morte aiutata anche dalle preghiere dei vivi, è la Passione di Perpetua.

In Africa intorno al 203 sotto il regno dell'imperatore Settimio Severo un gruppo di fedeli cristiani

fu catturato e messo a morte vicino a Cartagine. Tra di essi vi era anche Perpetua la quale riuscì a

tramandare i propri ricordi che sono così stati trascritti insieme all'epilogo, cioè la morte di questi

martiri. Durante la narrazione si legge ad un certo punto che Perpetua inizia a pregare per il

fratellino Dinocrate. La notte seguente le appare uscendo da un luogo pieno di tenebre, assetato e

tutto sporco con in viso la malattia che lo aveva deturpato e portato alla morte. Cercava senza

risultati di raggiungere l'acqua che si trovava in una vasca che aveva però un parapetto troppo

elevato. Pregando ogni giorno per lui dal momento in cui riaprì gli occhi, Perpetua riesce ad aiutare

il fratellino; infatti pochi giorni dopo le riappare, ma stavolta tutto pulito e con una cicatrice al posto

della piaga; il parapetto della vasca si era abbassato e Dinocrate poteva così facilmente bere, quanto

voleva poiché non terminava mai l'acqua. Non si deve né minimizzare né sovrastimare i contributi

che fornisce alla nozione di Purgatorio e alla letteratura visionaria, ma rimane un testo di grande

importanza e che ci mostra inoltre uno spaccato di alcune visioni cristiane in epoca romana. 36

Durante il medioevo compare e si afferma un vero e proprio genere, definibile appunto con il

termine visiones animarum. In esse abbiamo dei punti chiari e ricorrenti: trattano di un viaggio

nell'aldilà, che porta ad una serie di immagini che possono essere riferibili a pene e/o ricompense.

Infatti le visioni possono riguardare entrambi i mondi dell'aldilà, come anche uno solo di essi. A

partire dalla nascita del purgatorio come luogo a se stante, naturalmente anche tale luogo entra a far

parte delle tappe del viaggio, anzi sarà proprio nelle visiones che si farà sempre più strada

l'immagine di pene non eterne ma purgatorie. Il protagonista può essere un laico come un monaco o

abate, e quasi sempre ha una guida che lo accompagna nel viaggio e che gli illustra cosa vede e lo

protegge dalle pene e dalle insidie. La mancanza della guida in tutta la letteratura riguardante le

visioni avute dentro il Pozzo di San Patrizio, sarà infatti un'eccezione degna di nota. Il viaggio può

36 A. Quacquarelli, Perpetua, Felicita e compagni, Bibliotheca Sanctorum, X, Città Nuova, 1968, coll. 493 – 501. Cfr J. Le Goff, La nascita cit., pp. 60-62

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essere compiuto con l'anima, come in genere è, ma anche con tutto il corpo che può riportare segni

di testimonianza del percorso compiuto e delle prove affrontate. Nella maggioranza dei casi il

vagabondaggio dura una notte terminando al canto del gallo ma a volte l'anima o il corpo

rimangono nell'aldilà per più di un giorno. Da quello che è stato affermato fino ad ora si potrebbe

ben affermare che la stessa Divina Commedia appartiene a questo genere: per quanto l'immensità

poetica dell'opera la collochi su uno scaffale solitario, rimane un viaggio nell'aldilà compiuto da

Dante, condotto e protetto da una guida; anzi da più guide, per poi, come in tutte le altre visioni,

tornare nel proprio corpo e pentirsi dei peccati commessi e raccontare a più persone possibili la

propria esperienza per metterle in guardia dai pericoli in cui conduce la strada del peccato.

A proposito di queste visioni è curioso e non appare nemmeno troppo forzato il richiamo che

compie Margherita Lecco37 allo schema formulato da Propp38 riferito alla fiaba: è possibile

rintracciare difatti uno schema anche per queste visioni, soprattutto in quelle che coinvolgono

l'Inferno, per gli “attori”, cioè le dramatis personae.“L'eroe” in questo genere letterario è il

visionario,un eroe diverso da quello delle fiabe in quanto a seconda delle visioni può cambiare il

suo atteggiamento, da fiero cavaliere che affronta sopportando le proprie pene, come il cavaliere

Owain39, ad una persona comune che si ritrova all'inferno e ne ha timore, chiede assistenza e prega

per la propria salvezza40. Abbiamo anche la figura “dell'aiutante/donatore”, riferibile ovviamente

alla guida, generalmente celeste, che accompagna l'eroe con tante macchie e spesso paure. Gli

“antagonisti” sono qui impersonati dai demoni che cercano in ogni mezzo di prendere l'eroe per

costringerlo ai castighi infernali, ed è anche possibile rintracciare la figura del “mandante”: Dio,

alla cui volontà si deve la prova affrontata dal protagonista. Il parallelo non si ferma qui: è possibile

rintracciare anche uno schema abbastanza fisso per quanto riguarda le “azioni”: abbiamo sempre

una “mancanza” iniziale: l'eroe è quasi sempre in condizione di peccatore, manca quindi della

grazia divina, del bene e, per colmare questa mancanza, l'eroe è costretto a “partire” intraprendendo

il viaggio, qui davvero “costretto” è il termine più adatto, in quanto non viene fornita alcuna scelta:

l'anima o il corpo sono prelevati e costretti ad iniziare il viaggio41. Lo schema continua: il nostro

eroe ottiene il “ mezzo magico”: non una bacchetta magica o la lampada del genio, ma la “parola

potente”, qui generalmente la preghiera, o una formula precisa, quando non la sola invocazione del

37 Visione di Tungdal, a c. di M. Lecco, Edizioni dell'orso, 1998, pp 7-1738 V. Ja. Propp, Morfologia della Fiaba, Enaudi, 1988 39 Owain sarà il protagonista del Tractatus de purgatorio sancti Patricii40 Come vedremo, questo sarà il caso di Tungdal.41 Anche in questo caso il Purgatorio di San Patrizio, come vedremo meglio in seguito, si pone in controtedenza

rispetto alla tradizione: in esso serve una ferrea volontà per potervi entrare e la scelta è sempre effettuata dal pellegrino.

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nome di Dio o Gesù; particolare questo, evidentissimo nei testi riguardo il Purgatorio di San

Patrizio, nel quale non avendo la guida che lo protegge o trae in salvo, l'eroe scaccerà i demoni e

procederà nel proprio cammino grazie a delle formule eucologiche che gli verranno rivelate

all'inizio del cammino. A volte invece le cose sono più fantasiose e per esempio nella visione di

Carlo il Grosso42 sarà un gomitolo magico e splendente che gli fornirà la protezione necessaria per

non cadere preda dei diavoli. A questo punto ci sono delle azioni ricorrenti un numero indefinito di

volte: la “lotta” tra il visionario ed i demoni che termina con la “vittoria” dell'eroe che vince o

grazie all'intervento della propria guida o grazie al mezzo magico che era stato fornito. Dopo che

tali atti si sono verificati indefinite volte, l'eroe si ritrova nella possibilità di “rimuovere la

mancanza iniziale”, e può “ritornare” avendo “adempito al compito”. Si potrebbe quasi paragonare

anche “l'assunzione di nuove sembianze”caratteristica della fine della fiaba, in quanto generalmente

le visioni terminano con degli epiloghi che raccontano, brevemente o meno, la santità della vita che

l'eroe compie una volta tornato sulla terra in contrasto con quella di perdizione che conduceva

precedentemente.

Nelle visioni possiamo poi trovare altre caratteristiche frequenti: molte di esse hanno immagini in

comune che generalmente derivano dalle tradizioni di cui abbiamo trattato all'inizio, durante la

spiegazione della nascita del Purgatorio. I luoghi infernali sono tetri, acri, brulli e desertici, pieni di

fetore e grida, con pene di incredibile crudezza, mentre quelli paradisiaci sono spesso

contraddistinti dalla gioia presente nell'aria, quasi toccabile anche per i lettori; sono territori pieni di

prati fioriti e profumati, splendenti di luce ed aromi, musiche celesti e gemme preziose. In molte

visioni si può quindi osservare come gli scrittori siano bravi a calare il lettore nel mondo, ora

infernale, ora paradisiaco, stimolandone tutti e cinque i sensi e immergendolo completamente in

quell'atmosfera, ora di terrore, ora di gioia e letizia. Le regioni oltremondane sono profondamente

divise non solo per le emozioni che suscitano e per le caratteristiche interne ma perché per

accedervi bisogna generalmente passare attraverso una porta, o una cinta muraria immensa che

viene di frequente difesa da angeli o demoni a seconda della natura del luogo in cui si intende

accedere.43

L'elemento politico è un'altra caratteristica che si ritrova in diverse visioni: abbiamo già sottolineato

come la Chiesa traesse forza dalle minacce di una dannazione, come si nota ad esempio nella

42 Di questa visione si tratterà più avanti, vedi p. 3443 Cfr, con qualche riserva, S. Segre, Fuori dal mondo, Enaudi, 1990, cap. II “ L'invenzione dell'altro mondo”

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visione di Eucherio vescovo di Orléans, scritta da Incmaro di Reims, che mostra chiaramente le

pene a cui viene sottoposto Carlo Martello per aver confiscato dei beni alla Chiesa; così come

aumentava il proprio potere dalle donazioni, per il ruolo fondamentale che aveva nell'aiutare le

anime meritevoli a raggiungere il Paradiso. I connotati politici che possono essere presenti sono

multiformi: ad esempio, come vedremo meglio più avanti, nella visione di Carlo il Grosso viene

profetizzato il passaggio dell'Impero a Ludovico di Provenza, cercandone quindi di favorire l'ascesa

nel mondo dei vivi; la stessa Visio Tungdali stigmatizzerà le lotte dei re irlandesi viste come

impedimento all'unione e alla pace dell'isola.

Per quanto fino ad ora si siano ricercati schemi in cui inserire questa letteratura visionaria,dobbiamo

ricordare come in realtà le visioni siano tra di loro profondamente differenti: fenomeno che Propp

chiama per le fiabe la “trasformazione dell'invarianza”44: gli eroi seppur con tratti in comune sono

ognuno caratterizzato dalle proprie peculiarità . Cambia così il mezzo magico o le prove a cui sono

sottoposti e come anche la guida. Le rappresentazioni dei luoghi di dannazione, e di beatitudine

ovviamente, sono diverse tra loro, possono avere immagini in comune che derivano dalla lunga

tradizione a cui possono attingere e fare riferimento, ma ogni visione ne presenta di diverse.

Scenari, personaggi, azioni: seppur si mantiene un certo schema narrativo della visione, ogni testo

ha proprie specificità e differenze. Inoltre, per il successo che spesso hanno avuto nel mondo antico,

se ne trovano molti esempi e tradizioni manoscritte, il che, come è facilmente intuibile, comporta

differenze, anche se quasi sempre non troppo rilevanti, tra le varie famiglie di manoscritti che si

vengono a formare.

Essendo il Purgatorio di San Patrizio strettamente connesso a questa letteratura visionaria può

risultare interessante un'analisi e una breve storia delle visioni che furono redatte durante il

Medioevo, o almeno, delle più importanti. 45

Dopo la visione descritta da Perpetua, altri due testi lasciano intravedere l'evoluzione di questo

genere, dalla letteratura cristiana antica ai secoli centrali del medioevo. Il primo di questi due testi è

contenuto nella celebre Storia dei Franchi (IV, 33) della fine del VI secolo. L'autore, Gregorio di

Tours, illustra la visione avuta dall'abate di Randau, Sunniulfo. Essendo stato condotto ad un fiume

infuocato, può osservare le molte anime che, in misura diversa, vi venivano torturate. Al di là del

44 V. Ja. Propp, Morfologia della fiaba, Enaudi, 1988 45 Mi baso ancora una volta in larga parte sul testo di J. Le Goff, La nascita,cit.., pp 108-144; pp199-214 . Da questo

testo infatti prendo le principali notizie riguardo le successive visioni di cui andrò a parlare.

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fiume vede poi una casa la quale è raggiungibile solo passando attraverso un ponte, la cui larghezza

è inferiore ad un passo. Gli viene spiegato che solo i valorosi e coloro che hanno governato bene

potranno passare sul ponte. Oltre quindi alle visioni di torture in sé stesse abbiamo in questo testo

espressa l'idea di prova che si accosta all'immagine del ponte: legame che avrà molta fortuna.

Il secondo testo è più tardo, riferibile all'inizio del secolo VIII : San Bonifacio, l'apostolo dei

Germani, racconta della visione avuta da un monaco di Wenlock, alla badessa di Thanet, Eadburga.

Tratto dagli angeli in cielo, ha potuto scrutare l'intera Terra ed anime che sotto forma di neri uccelli

erano torturate dal fuoco e piangevano ed urlavano con le loro voci umane. Anche qui è presente il

ponte che conduce alla Gerusalemme celeste dalle mura sfavillanti mentre al di sotto le anime

precipitano nella geenna. Le anime che escono dal fuoco sono splendenti ripulite da ogni macchia

lasciata dai peccati. Si affaccia dunque di già in questo testo l'idea di una possibile redenzione dai

peccati commessi; ritorna poi il legame del ponte con la prova per poter raggiungere la felicità che

avevamo trovato nella precedente visione.46

Una grande spinta e successo ebbero tra il VIII e il X secolo, nel quale si constata un fiorire di

queste visioni che ora iniziano a standardizzarsi nelle caratteristiche esplicate precedentemente. Tra

di esse, tre spiccano sulla massa: la Visione di Drythelm, la Visione di Wetti e la Visione di Carlo il

Grosso.

La prima visione è inserita nella Historia ecclesiastica scritta dal monaco anglosassone Beda,47 un

personaggio molto importante, del quale sarebbe troppo dispersivo trattare . Essa, come altre visioni

riportate nel testo, ha un fine didascalico: vuole far riflettere i vivi sulla propria vita ed incutere il

timore necessario a far sì che si mantengano o ritornino sulla retta via. La prima che viene trascritta

è quella di San Fursy, un monaco irlandese itinerante a cui si deve la fondazione di monasteri sul

continente anche, morto nel 650. Un giorno Fursy si ammalò e la sua anima uscì dal corpo per

un'intera notte, fino al canto del gallo. Vide la lotta che si verificava tra gli angeli ed i demoni per le

46 Il ponte sarà un topos comune a molte visioni e la sua storia ha origini di molto precedenti l'avvento dell'era cristiana. Cfr P. Dinzelbacher, Le vie per l'aldilà nelle credenze popolari e nella concezione erudita del medioevo, «Quaderni Medievali», 23 (1987), pp. 6-35, ma anche J. Le Goff, La nascita,cit.. Il ponte è un'immagine che ha fatto sorgere molte leggende anche collegate a ponti reali, che per le difficoltà costruttive venivano ritenuti opere del diavolo: molti sono ricordati appunto come “ponte del diavolo”. Quello forse più celebre è il ponte della Maddalena, a Borgo a Mozzano (Lu): si dice che l'architetto non riuscendo a completarlo strinse un patto con il diavolo: in cambio della realizzazione del ponte la prima anima che vi fosse passata sarebbe scesa all'inferno; l'architetto accettò ma una volta terminato il ponte, attirò con del pane su di esso un cane beffando così il diavolo. La leggenda è riportata in: G. Lera, Il ponte del diavolo, Maria Pacini Fazzi Editore, 2003.

47 Per la vita così come per le opere e l'importanza che ha avuto questa figura nel mondo alto medievale a cavallo tra il VII e l'VIII secolo cfr. I. Cecchetti, Beda il Venerabile, in Bibliotheca Sanctorum, II, Città Nuova, 1968, coll. 1006 – 1072

31

anime dei defunti. Tre angeli lo difesero dai demoni, ma ad un certo punto uno di essi riuscì a

bruciarlo sulla spalla e sulla mascella prima che gli angeli potessero intervenire. Quando tornò sulla

terra le bruciature rimasero visibili. La lotta tra angeli e demoni per le anime dei morti sarà un tema

ritrovabile in più occasioni in tali testi,48 e sarà presente addirittura due volte anche nella Divina

Commedia.49 Infatti come si può dimenticare i due episodi di Guido e Bonconte da Montefeltro; il

primo è destinato alla dannazione, poiché dopo essersi pentito ed essere entrato nell'ordine

francescano, aveva consigliato a Papa Bonifacio VIII, affinché avesse la meglio nella lotta contro i

Colonna, lunga promessa con l'attender corto (cioè promettere molto e mantenere poco di ciò che si

era promesso). Per questo quando giunse la sua ora:

Francesco venne poi com'io fu'morto,

per me; ma un d'i neri cherubini

li disse: “Non portar: non mi far torto.

Venir se ne dee giù tra' miei meschini

perché diede 'l consiglio frodolente,

dal quale in qua stato li sono a' crini;

ch'assolver non si può chi non si pente,

né pentere e volere insieme puossi

per la contradizion che nol consente.50

Il secondo invece, Bonconte da Montefeltro, viene collocato da Dante in Purgatorio perchè

l'intrepido condottiero si era pentito in nome di morte e così venne preso dall'angelo di Dio

lasciando a mani vuote il diavolo che si sfogò così sul corpo ormai privo di vita dell'uomo.

Nel V libro, capitolo XII, Beda riporta invece ciò che accadde a Drythelm, “eroe” non chierico né

monaco ma un pio laico che abitava nei pressi della frontiera con la Scozia. Dopo essersi ammalato

gravemente una sera spirò. Al mattino però tornò in vita terrorizzando e mettendo in fuga tutti

coloro che lo vegliavano tranne la moglie. Divisi i propri averi tra la moglie, i figli e i poveri si

ritirò vivendo in penitenza nel monastero di Mailros e raccontando la propria storia: una figura

luminosa lo condusse ad oriente verso una valle enorme, avvolta nella parte sinistra da fiamme e

48 Cfr. P. Dinzelbacher, Le vie per l'aldilà , cit. 49 Inf, XXVII, e Par, V, vv 85-12950 Inf, XXVII, vv 112-120

32

nella parte destra da grandine e neve.51 L'eroe è quindi un laico che riceve l'aiuto da una misteriosa

figura luminosa, fulgore che evidenzia questo soggetto come messo divino, che mostrerà di

conoscere molto bene i luoghi in cui lo conduce. La dicotomia fuoco/ghiaccio è anch'essa un

elemento ricorrente nelle immagini di sofferenza e di torture di queste visioni, che ha una lunga

tradizione precristiana. Oltre ai vari esempi in cui ci imbatteremo, per capire la frequenza con la

quale questi elementi si trovano accostati basti tenere presente l'Inferno dantesco: alle varie

immagini di pene che coinvolgono le fiamme ed il fuoco52 si accosta il lago ghiacciato nel quale

sono immersi i traditori, a cui tra l'altro sono riservati i tormenti peggiori essendo più a fondo

nell'Inferno53.

Tornando al nostro Drythelm, la guida lo portò attraverso luoghi sempre più oscuri dove lei fu

l'unica sorgente luminosa. Ad un tratto però scomparve, lasciando Drythelm in completa solitudine.

Egli vide quindi un grande pozzo che eruttava palle di fuoco, nelle quali scorse molteplici anime

torturate. Essendo solo, divenne facile preda per i diavoli che iniziarono a minacciarlo con pinze

infuocate. Si credette perduto ma d'improvviso i diavoli furono messi in fuga da una forte luce: la

sua guida era tornata e aveva scacciato i diavoli. Lo condusse poi attraverso i luoghi della gioia e

della luce, attraversando in modo misterioso un enorme muro. Camminando tra tali luoghi, verdi,

profumati, luminosi e fioriti, venne attirato da una luce ancora più forte verso un luogo che era

circondato da canti dolcissimi e profumi rispetto ai quali quelli precedenti,già meravigliosi, gli

apparvero insignificanti. La guida gli impedì l'accesso e gli spiegò ciò che aveva visto: la valle era

il luogo in cui venivano esaminate e punite le anime di coloro che tardando a pentirsi e confessarsi o

che, pentendosi in punto di morte, erano usciti da questa vita sporchi di peccato, e che quindi

dovevano ripulire le proprie anime prima di poter accedere al Regno dei Cieli. A queste anime si

poteva fornire aiuto con i suffragi. Il pozzo che eruttava fiamme era la bocca della geenna da cui

nessuno, una volta entratovi, potrà mai liberarsi. Il prato fiorito era il posto riservato a coloro che

avevano vissuto rettamente ma non così tanto da meritare di accedere subito al Paradiso, il luogo

più splendente che Drythelm aveva visto. La guida terminò di parlare intimandogli di vivere

rettamente e di diffondere la sua avventura. Questa topografia dei luoghi infernali e paradisiaci fa

riferimento alle categorie di peccatori elencate da sant'Agostino; per lungo tempo troveremo un

doppio purgatorio diviso: uno con tratti infernali ed un altro invece con aspetti paradisiaci.54

51 Per la collocazione ad oriente si veda A. Graf, Miti,leggende e superstizioni del medioevo, Mondadori, 198452 Ad esempio gli eretici costretti a stare nelle tombe infuocate (Canto IX, Inf) oppure i sodomiti, gli usurai ed i

bestemmiatori sotto la pioggia di fuoco (Canto XIV).53 Il riferimento è per il lago Cocito (Canto XXXII, Inf). Altra pena collegata al freddo è quella riservata ai golosi che

sdraiati subiscono l'azione incessante degli elementi: pioggia, neve e grandine.54 Molto a questa visione deve quella riferibile al Purgatorio di San Patrizio, il cui protagonista è Owain: anche lui

33

All'incirca cento anni dopo, nell'824, l'abate Heito del monastero di Reichenau trascrisse il racconto

di Wetti, un monaco che prima di morire aveva avuto una visione.

Wetti riposava a letto malato, quando entrò Satana addobbato come un religioso, così sporco in viso

che non si riusciva a vederne gli occhi, che lo minacciò di atroci torture. Una schiera di demoni si

avvicinò subito per intrappolarlo, ma Dio mandò in suo soccorso alcuni uomini vestiti in abiti

monastici che parlavano latino e che scacciarono facilmente i demoni. Subito dopo apparve quindi

un angelo vestito di porpora che lo consolò. È curiosa la specificazione del fatto che Wetti venga

liberato da uomini che parlavano latino: abbiamo nuovamente la conferma di quanto l'analisi di

questi testi possa essere utile per ricavare, oltre che la morale del tempo, anche spaccati sulla società

in cui furono scritte, in quanto il sapere tale lingua, andando a contraddistinguere gli emissari divini,

può portare a riflessioni sull'importanza della conoscenza del latino in questa società.

Il priore ed un altro frate vennero ad assistere il malato: cantarono alcuni salmi e pregarono per la

sua anima, mentre egli, penitente, si prostrava con le braccia in croce. Tornò poi a letto chiedendo

che gli fossero portati i Dialoghi di Gregorio Magno. Dopo aver invitato i compagni a coricarsi

anch'egli si preparò al sonno. Gli apparve nuovamente l'angelo ma questa volta vestito di bianco e

splendente, che lo condusse fino ad un'immensa montagna di grandissima bellezza, circondata da un

fiume nel quale molti dannati erano in attesa del giudizio. Wetti vide poi una lunga serie di castighi

infernali riconoscendo alcune anime mentre altre gli vennero indicate dalla guida, come quella di

Carlomagno, che nonostante fosse stato difensore della fede cattolica e della Chiesa, subiva l'attacco

di una belva agli organi sessuali per essere caduto in amori illeciti. Non era una pena eterna: egli si

stava infatti purgando per poter così aspirare alla beatitudine del Paradiso. Camminò poi tra luoghi

di grande bellezza dove le anime erano ricolme della gloria del signore incontrando infine anche

Dio: si fece avanti infatti il Re dei Re, il Signore dei Signori, con una moltitudine di santi tutti

attorno. Dio disse che Wetti aveva peccato e che con il suo comportamento aveva condotto alla

dannazione anche altre persone, ma tutti i santi lì presenti ed i beati martiri, così come anche una

schiera di sante vergini, cercarono di intercedere in suo favore; Dio allora concesse che se da quel

momento Wetti avesse avuto una buona condotta di ispirazione per gli altri ed avesse corretto tutti

coloro che aveva deviato, l'intercessione sarebbe stata accettata. L'angelo spiegò così al monaco i

vizi ed i peccati da evitare, mettendolo in guardia specialmente contro la sodomia, peccato

particolarmente avverso a Dio, e spingendolo ad avere una vita retta e giusta, abbandonandolo

infatti verrà condotto per luoghi purgatoriali prima caratterizzati da pene infernali e poi da prati e fiori. Inoltre anche il cavaliere avrà una visione solo esterna sia del vero e proprio Inferno così come del vero e proprio Paradiso

34

subito dopo. Svegliatosi, dettò immediatamente la propria visione. Il racconto termina raccontando i

suoi ultimi momenti di vita. In questa visione è da notare l'insistenza sulla purgazione e sulla

redenzione dai peccati nell'aldilà ed anche la fondamentale presenza di figure celebri, come quella

Carlomagno, che essendo conosciute da tutti erano più adatte a fornire degli exempla credibili.

Dall'utilizzo di exempla riguardanti personaggi illustri ad usare le visioni come arma politica, il

passo sarà estremamente breve.

Infatti già con la visione di Carlo il Grosso abbiamo quella che Le Goff definisce “politicizzazione

della letteratura apocalittica” 55. L'intera visione è infatti probabilmente un prodotto della cerchia

dell'arcivescovo di Reims, che serve a legittimare e favorire l'ascesa al trono di Luigi, figlio di

Bosone ed Ermengarda, a sua volta figlia dell'imperatore Ludovico II il Giovane, nipote Carlo il

Grosso. Luigi riuscì effettivamente ad essere proclamato prima re nell'890 e poi incoronato

imperatore nel 900 dal papa Benedetto IV, passando alla storia come Luigi III il Cieco; soprannome

che derivato dal fatto che, detronizzato da Berengario, secondo l'uso bizantino, gli vennero cavati

gli occhi.

Mentre Carlo si stava recando a dormire dopo aver celebrato l'ufficio divino una domenica notte

una voce gli disse che lo spirito lo avrebbe abbandonato per poco più di un'ora. Venne così tratto

dal corpo da un essere di grande candore che teneva un gomitolo luminoso in mano e che gli disse

di prenderne un filo per legarci il pollice della mano destra, in modo che questo potesse essere la

sua protezione nel labirinto delle pene infernali. Ritroviamo qui il “mezzo magico”, la chiave che

permetterà a Carlo di superare le prove. Si trovò dunque a visitare pozzi fiammeggianti, ove vide i

prelati del padre e degli zii che rivelarono di essere in quei luoghi per aver dato in vita consigli

malvagi e per essere stati istigatori di discordia. Ad un tratto una turba di neri demoni volanti cercò

con uncini di raggiungere il filo splendente ma il riverbero dei raggi, troppo forte per loro, lo

protesse. Tentarono quindi di assalirlo alla spalle ma venne prontamente protetto dalla propria guida

che gli avvolse anche le spalle con il filo, raddoppiandolo. Trovò immersi in fiumi ed in paludi di

differenti metalli fusi, i sostenitori del padre e degli zii che per cupidigia avevano commesso

omicidi e ribalderie in vita. Dentro i fiumi ribollenti vi erano anche draghi, scorpioni e serpenti che

aumentavano le sofferenze dei malcapitati. Mentre osservava ed ascoltava i dannati alcuni draghi gli

corsero incontro per ghermirlo, con le fauci piene di fuoco, zolfo e pece. La guida lo protesse

ancora una volta, triplicando il filo attorno a Carlo. Il re venne quindi condotto in una valle che da

55 J.Le Goff, La nascita, pag. 133

35

una parte era tetra e ricolma di fiamme e tormenti atroci, dall'altra era invece di una piacevolezza ed

incanto ineffabili. Nella parte infuocata della valle vide, tremante, alcuni re della propria famiglia;

mentre in quella piacevole scoprì due sorgenti; una di acqua bollente e l'altra di acqua fredda e

chiara. Entrambe terminavano in un bacino diverso; in quello bollente vi era immerso Ludovico II il

Germanico, il padre di Carlo. Ludovico spiegò che era torturato nella vasca bollente per un intero

giorno mentre quello dopo poteva, grazie alle preghiere di San Pietro e San Remigio, avere

refrigerio in quella fresca. Chiese poi al figlio un aiuto in modo da essere liberato il prima possibile

e poter raggiungere così il fratello Lotario ed il nipote Ludovico, già assunti in cielo: Carlo assieme

ai vescovi e ai membri del clero, avrebbe dovuto dedicargli tutti i suffragi possibili. Terminato

l'incontro, la splendente guida lo portò quindi nella splendida valle del paradiso dove Carlo poté

trovare lo zio Lotario e il cugino Ludovico, come anticipatogli dal padre. Ludovico, nonno di Luigi,

chiese a Carlo di consegnare il gomitolo luminoso all'apparizione dell'erede: Carlo affidò quindi il

filo e con esso metaforicamente anche la monarchia a Luigi alla cui mano subito si avvolse il

gomitolo facendolo brillare, come se fosse un sole splendente. La visione termina affermando che

Luigi III in un modo o nell'altro, essendo questo il volere di Dio, diverrà Imperatore. In questa

visione l'elemento politico è il leit motiv di tutta la narrazione: i dannati sono personaggi illustri e

servono a mettere in guardia vescovi e consiglieri della corona. Tutti gli incontri hanno una ragione

politica più che escatologica; è l'estremizzazione politica delle visiones. Il gomitolo ci porta a

ripensare al celebre mito del Minotauro e di come Arianna aiutò Teseo a sconfiggerlo; questo tema

folclorico comparirà nuovamente in un documento riguardante una storia di stregoneria a Reims a

fine XII redatta da Gervasio di Tilbury.

Questa letteratura visionaria ha ormai raggiunto tutti gli elementi che la caratterizzano e di cui

abbiamo trattato all'inizio del paragrafo. Spostandoci di due secoli si arriva al XII, secolo della

vigilia della nascita del Purgatorio in cui compaiono i primi accenni alla storia che più da vicino ci

interessa: il Purgatorio di San Patrizio. Prima di trattare di questa però, può risultare di grande aiuto

ed interesse capire da qualche esempio in che panorama si sviluppò tale esperienza mistica:

analizziamo le tre più importanti visioni del XII secolo: quella raccontata da Gilberto di Nogent, la

visio Alberici e la visio Tungdali.

Gilberto scrive anticipando i tempi un'autobiografia, il De vita sua, ed è in essa, che ritroviamo

anche la visione avuta dalla madre. Una notte d'estate - come si vede è sempre la notte il periodo

preposto alla peregrinazione dell'anima - cadendo addormentata, ebbe l'impressione che la propria

anima uscisse dal corpo. Sentendo ciò pregò Dio che essa potesse tornare nel corpo: grazie a questa

preghiera, che in questo caso rappresenta il mezzo magico, ella riescì a scacciare una turba di

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uomini simili a fantasmi, con capelli che parevano divorati dai vermi che cercavano di trascinarla

all'interno del pozzo da cui erano usciti. Sventata la minaccia, vide al suo fianco suo marito, che era

ovviamente morto da tempo, con l'aspetto che aveva in gioventù. L'apparizione negò di essere

Everardo e Gilberto si intromette nel racconto spiegando che ciò è normale per gli spiriti, in quanto

tutta la visione delle anime private del corpo è interiore e non tiene quindi più conto di cose come il

nome o legami familiari. Restando la donna ferma nella sua idea chiese dove dimorasse e come

stesse; a queste domande lo spirito le fece intendere che riposava lì vicino e, scoprendo il braccio ed

il fianco, mostrò le dilanianti ferite che lo affliggevano; era inoltre costretto a sopportare un pianto

straziante di un infante. Ancora una volta Gilberto ci spiega il significato: suo padre infatti da

giovane seguendo cattivi consigli, aveva tradito la moglie e durante uno di questi tradimenti aveva

concepito un bambino che nacque morto: le ferite rappresentavano la rottura della fede coniugale

mentre il pianto, la dannazione del bambino procreato nel male. Chiese quindi se preghiere,

elemosine e messe potessero aiutarlo ed egli lo confermò. A questo punto guardando verso il pozzo

vide dentro un quadro varie scene: sono profezie future che riguardano quei luoghi di dannazione e

che coinvolgono rispettivamente un noto cavaliere, che verrà assassinato quella mattina stessa, un

suo figlio bestemmiatore che sarà dannato ed infine una vecchia amica con cui aveva stretto un

patto che le legava a tornare dall'amica dopo la morte se Dio lo avesse permesso. Svegliandosi

cercò subito di aiutare lo sposo defunto e dopo aver eseguito suffragi in suo nome, adottò un

bambino che torturò tutta la casa con i pianti notturni; ma la fede per la salvezza di Everardo la

tenne sempre devota al suo impegno, permettendole di superare tutte le difficoltà. È una visione

particolare che va un po' a rompere quelli che sono i topoi del genere letterario: manca

un'accompagnatrice ma la donna se la cava da sola grazie alla propria fede in Dio e alla preghiera

iniziale. Ritroviamo qui anche il tema del patto stretto tra due viventi che si impegnano a far

conoscere l'uno all'altro la propria sorte dopo la morte, a condizione di averne la possibilità, tema

molto presente in Gregorio Magno.

Alberico da Settefrati ebbe una visione nel decimo anno d'età, durante, anche lui, una malattia che

lo tenne in coma per nove giorni e nove notti. Entrato poi nel monastero di Montecassino e

raccontando la propria visione gli fu consigliato di trascriverla, con l'aiuto di Pietro Diacono. È una

visione molto lunga: il giovane viene infatti condotto su una bianca colomba attraverso i luoghi

delle pene e dell'Inferno da San Pietro e due angeli; sarà un lungo percorso che lo condurrà in molti

luoghi: per primo vede un luogo ardente di palle di fuoco e vapori incandescenti in cui risiedono le

anime dei bambini morti nel primo anno di vita, e che quindi hanno pene leggere non avendo avuto

tanto tempo per peccare; una valle gelata è il luogo destinato ad adulteri, incestuosi ed altri

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fornicatori lussuriosi; il castigo riservato alle donne che hanno rifiutato di allattare i propri figli è

invece molto più crudo: esse sono in una valle di arbusti spinosi a cui sono appese per le mammelle

dalle quali succhiano dei serpenti; nella stessa valle le adultere sono appese per i capelli mentre

bruciano. Segue una scala di ferro con gradini di fuoco56 che le anime delle persone che hanno

avuto rapporti sessuali quando era vietato (ad esempio nelle festività) sono costrette a salire e

scendere; tiranni, donne infanticide e coloro che hanno praticato l'aborto sono rinchiusi entro un

forno dalle fiamme sulfuree; gli omicidi sono puniti invece in un lago infuocato; i vescovi che

hanno mal guidato le proprie chiese sono immersi in bronzo, stagno e piombo, zolfo e resina

bollenti e destinati a rimanervi dai tre agli ottanta anni. Giunge quindi alle porte dell'Inferno, un

pozzo pieno di odori nauseabondi, tenebre e grida; lì vicino vi è un drago incatenato che inghiotte

migliaia di anime simili a mosche. Di nuovo ritroviamo un lago infuocato nel quale bruciano i

sacrileghi mentre ai simoniaci è riservato un pozzo con fiamme che si alzano e si abbassano.

Alberico viene quindi condotto in un luogo tetro, fetido, ricolmo di fiamme, serpenti, draghi e grida,

luogo di pene per chi ha abbandonato lo stato ecclesiastico, per spergiuri ed adulteri, sacrileghi ed

altri crimini. In un lago di acqua sulfurea pieno anch'esso di serpenti e draghi vi sono demoni che

colpiscono sulla bocca i falsi testimoni; vede ad un tratto un grande uccello che porta un vecchio

monaco e lo lascia cadere nella bocca dell'inferno dove il povero viene subito circondato da

demoni. A questo punto San Pietro lo lascia con i due angeli: Alberico viene subito aggredito da un

demone che cerca di trascinarlo all'Inferno, ma il pronto ritorno di San Pietro lo scaccia. Trova poi

ladri e rapitori, che sono avvolti in catene di fuoco, ed un ponte sopra un fiume di fuoco che si

allarga quando passano i giusti e invece si restringe al passaggio dei peccatori, facendoli precipitare

tra le fiamme, dove devono rimanere fino a che non sono purgati dai peccati e possono così

attraversare il ponte: San Pietro rivela quindi al giovane che un uomo non deve mai disperare in

quanto tutto si può espiare con la penitenza. Infine gli mostra un immenso campo di spine in cui le

anime sono colpite da un demone che, a cavallo di un drago, brandisce un serpente, finché i loro

peccati non sono espiati. In quel momento la corsa diventa più leggera e possono scampare alle

dolorose percosse. Dai luoghi purgatoriali si passa dunque in posti più felici: entrano dentro un

campo ricolmo di letizia ed in mezzo ad esso si trova il Paradiso, il cui accesso è impossibile fino al

Giudizio Universale tranne che per angeli e santi. È inserito in questo punto un elogio della vita

monastica e dei monaci. San Pietro lo guida successivamente attraverso i sette cieli di cui però

fornisce solo poche informazioni ad eccezione del sesto, abitato dai cori angelici e del settimo dove

56 Ancora una volta è molto interessante ciò che scrive P. Dinzelbaucher, Le vie per l'aldilà,cit.. Egli infatti tratta ed approfondisce il tema della scala con molta perizia: pp. 27-31

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risiede Dio stesso. La visione è praticamente finisce con l'anima di Alberico libera di ritornare al

proprio corpo. Questa visione è un'immensa giustapposizione di episodi e torture, in un aldilà che di

organizzato ha ben poco. Molte di queste immagini hanno una lunga tradizione come ad esempio il

ponte e la scala, mentre altre parrebbero avere una propria originalità, che sarà motivo d'ispirazione

per testi futuri. Si avverte la ricerca di rapporti proporzionali e precise indicazioni temporali, tra la

gravità delle colpe commesse e la durata e l' intensità dei castighi a cui sono sottoposte le anime dei

dannati, preludio al successivo dispiegarsi della “contabilità dell’aldilà”.

L'ultima visione di cui tratteremo è quella di Tungadal, che, sia per la localizzazione, anch'essa di

origine irlandese, che per la vicinanza temporale, essendo quasi contemporanea alle prime notizie

riguardo il Purgatorio di San Patrizio, è la giusta introduzione ai testi di cui andremo a trattare. In

realtà, secondo la traduzione tedesca redatta da Alber di Regensburg (l'odierna Ratisbona), e

dedicata al priore del convento di Winneberg nel 1191, la visione sarebbe stata composta in

Germania, nella stessa Ratisbona, da un monaco irlandese, un certo Marcus, all'incirca una

quarantina di anni prima (quindi intorno alla metà del XII secolo), che avrebbe raccontato tale

vicenda per volere di Otegebe, Heilke e Gisel, tre nobili monache del convento di Sankt Paul. Ed in

effetti dobbiamo rilevare che in alcuni testimoni vi è una dedica a “G.”. Marcus insiste sulla

veridicità del racconto che, afferma, ha sentito narrare dallo stesso Tungdal, un cavaliere di Cashel,

nella contea di Tipperary. Ovviamente la precisione di queste notizie, il dare informazioni riguardo

Tungdal, così come porlo in una precisa contea, servono per aumentare la veridicità del testo

nell'immaginazione del lettore. Come per il viaggio di Brandano e come sarà per il Tractatus de

Purgatorio sancti Patricii anche la Visio Tungdali ottiene una vasta diffusione praticamente

immediata. Si riescono a rintracciare più di 15 traduzioni in lingue differenti, con un alto numero di

manoscritti che la contengono a partire dal XIII fino al XVI secolo, anche con adattamenti poetici.

Fonti di questa visione sono sia, come per il viaggio di Brandano, un forte sostrato di tradizioni

epiche irlandesi, sia la letteratura più colta, di cui si ritrovano accenni che ne presuppongono una

adeguata conoscenza; sia, infine, i penitenziali, manuali monastici per la confessione che le

comunità monastiche adoperavano per espiare i peccati con penitenze. È ovvio, del resto, che la

Visio Tungali usufruisce anche della lunga tradizione delle visiones animarum già redatte e

conosciute.

En l'an de l'incarnation nostre signour dieu Jhesu Crist mil.c.slix. En la quelle annee sains

Malachies transsi de cest siecle, fu vn hons en la terre d'Yberne qui astoit apeles Tondalus, bel

grant et fort et de noble lignage mes de pechie et de malisseestoit plains et n'auoit cure deu salut de

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s'ame, sante eglise desprisoit, les poures Jhesu Crist pas renoier ne voloit pour vainne gloire

aquerre, ains leur donnoit et departoit con qu'il auoit.

Inizia così la versione scritta nel nord-est della Francia nel XIV secolo e conservata a Londra,

presso il British Museum (ms. Brit. Mus. Add. 9771) 57della vicenda di Tungdal dopo un minuscolo

prologo che termina con l'affermazione “C'est verites”. Siamo quindi nel 1149, in Irlanda, ove visse

Tungdal, descritto prima nei tratti positivi: alto, forte, bello e di nobile lignaggio; e dopo in quelli

negativi: appesantito di peccati e malizia, avverso alla Chiesa ed amico dei giullari invece che dei

poveri. Un dì, mentre era impegnato come sempre a far baldoria lo colse una morte improvvisa; ma

non venne sepolto immediatamente a causa di un calore nella parte sinistra del petto, e rimase così

senza sepoltura alcuna in questo stato di morte apparente dal momento della dipartita, cioè l'ora

nona del mercoledì, circa le tre del pomeriggio (orario che potrebbe rimandare alla morte di Cristo),

fin verso l'ora nona del sabato, quando all'improvviso l'anima tornata nel corpo, avrebbe

determinato la ripresa di coscienza e con essa il riaccendersi della tensione devozionale.

Ridestandosi, infatti, Tungdal chiese di potersi comunicare, provvedendo poi a donare tutti i suoi

beni ai poveri in segno di completo pentimento per i peccati commessi ed iniziò subito il racconto

di ciò che aveva visto: appena l'anima era uscita dal corpo una turba di diavoli lo aveva assalito per

trascinarlo all'inferno burlandosi di lui e rinfacciandogli tutti i peccati e le colpe di cui si era

macchiato. Ad un tratto, però, un angelo la cui luce era pari a quella di una stella chiarissima

(similitudine questa, molto frequente per indicare lo stato di grazia della guida), lo avrebbe liberato

rivelandogli i castighi che lo attendevano, quale meritata punizione, pur se attenuata dalla

misericordia divina. I diavoli, gli “antagonisti”, hanno tratti bestiali proprio come nella Navigazione

di San Brandano e si sfogarono ferendosi a vicenda. Inizia in questo modo il viaggio nei regni

dell'aldilà nel quale Tungdal non sarà un eroe passivo, ma protagonista attivo, profondamente

coinvolto ed emotivamente partecipe delle terribili pene che dovrà subire, ora terrorizzato, ora

angosciato e tremante, in ogni caso molto più vivo rispetto agli “eroi” delle precedenti visioni.

Questa differenza è particolarmente evidente nelle richieste di essere esonerato, ogni volta, dai

supplizi espiativi e le suppliche o le richieste di aiuto che egli rivolge all’angelo per sfuggire ai

tormenti suonano molto umane e assai poco letterarie così come è profondamente umano lo stupore

e la meraviglia provati nei luoghi celesti in cui implora la propria guida di lasciarlo. Vi è dunque

una forte personalizzazione del visionario, rappresentato nell’atto di sfuggire alle proprie

57 Visione di Tungdal, a c. di M. Lecco, Edizioni dell'orso, 1998.

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responsabilità di peccatore con scuse o motivazioni tali da ridurre – salvo poi l’affrontarle con

maggiore o minore coraggio ogni terribile castigo infernale.

L'angelo lo condusse quindi in una valle orribile, spaventosa e tetra, fetente e ripiena di carboni

ardenti e chiusa da un coperchio di ferro: una sorta di gigantesca pignatta nella quale sono punite le

anime di coloro che avevano ucciso o pensato di uccidere i familiari“ausi comme le lart est frit en

la paelle” (come il lardo che vene fritto nella padella), paragone culinario che può far sorridere ma

che probabilmente era di grande utilità in quanto facilmente immaginabile da tutti gli strati della

popolazione che avevano così un'immagine tremendamente reale di ciò che poteva attenderli.

Passata la valle giunsero ad una montagna dove ritroviamo la giustapposizione caldo/freddo: una

parte è infatti preda del fuoco mentre l'altra della neve gelata, luogo di punizione per gli

ingannatori, le cui anime erano ulteriormente punite da diavoli che con forconi le infilzavano e le

spostavano dal caldo al freddo. Ripreso il cammino procedettero imbattendosi nel castigo riservato

agli avari: essi erano inghiottiti da una bestia immensa ed orribile, che provocava un istantaneo

terrore, con occhi fiammeggianti ed una bocca gigantesca nella quale soggiornavano due anime di

pagani, analogamente all’immagine dantesca di Bruto, Cassio e Giuda azzannati da Lucifero58. Al

tentativo di Tungdal di evitare quella pena l'angelo spiegò con fermezza che essendosi macchiato di

peccato egli deve mondare la sua anima, e così lo abbandonò, lasciandolo facile preda per i diavoli

che subito lo presero, e, torturandolo, lo gettarono in quelle fauci immense. Nel ventre della bestia

subì morsi di cani, orsi, leoni, serpenti ed altre orribili bestie mai viste; l'ardore del fuoco e

l'asprezza del freddo, i pianti, le grida e lo stridor di denti, ma anche l’ odore nauseate di zolfo,

feriscono tutti i sensi e non danno tregua all’orrore. Infine la pena finisce e l'anima di Tungdal

giacque debole a terra, ringraziando tuttavia la misericordia divina. L'angelo si avvicinò

nuovamente, e, dopo che lo ebbe guarito con il proprio tocco, lo guidò ad un lago ricolmo di bestie

orripilanti, sormontato da un ponte disseminato di aguzzi chiodi, sul quale sono costretti a passare i

ladri, puniti in proporzione ‘quantitativa’ rispetto al furto, dovendo essi trascinarsi appresso ciò che

avevano rubato. La guida, dopo aver spiegato a Tungdal il meccanismo di questo particolare

‘contrappasso’, lo informò che anch’egli dovrà attraversarlo con la sua refurtiva, una vacca, ed a

nulla valsero le proteste di Tungdal di averla restituita. L'anima si avviò sul ponte ma giunta a metà,

si bloccò poiché un altro dannato stava giungendo in senso contrario. All'improvviso i due si

ritrovarono ognuno dall'altra parte senza sapere come, e così ancora una volta, l'angelo risanò

l'irlandese. Giunsero in seguito ad una casa enorme con più di mille finestre dalle quali usciva un

58 Dante, Divina Commedia, Inf. Canto XXXIV

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tremendo fuoco. Con il terrore che gli albergava nel cuore Tungdal pregò affinché fosse risparmiato

da quel supplizio ricevendo solo una rassicurazione parziale: il fuoco non lo avrebbe toccato, ma

egli sarebbe comunque dovuto entrare in quella casa e subire le torture dei demoni che vi

risiedevano. Proseguendo il cammino videro una bestia immensa, con due zampe e due ali, un lungo

collo ed un becco, da cui uscivano ardenti fiamme, munita inoltre di artigli di ferro; stava sopra un

lago ghiacciato59 e divorava le anime per poi espellerle sul ghiaccio ove erano destinate a restare,

incinte di serpi che le mordevano da dentro, e che poi avrebbero dovuto partorire da ogni parte del

corpo. Come se tutto questo non fosse ancora abbastanza, questi serpenti erano dotati di teste e

becchi di ferro che squarciavano le carni per uscire e, cosa peggiore che indiscutibilmente provoca

tremende sofferenze anche i lettori (o ascoltatori60) al solo pensiero, code di ferro uncinate, che

dilaniavano le carni durante il “parto”. Qui trovavano la giusta punizione falsi monaci e monache, i

falsi canonici e i lussuriosi. Essendosi macchiato proprio di quest'ultimo peccato Tungdal venne

preso dai diavoli e sottoposto al supplizio, ma fortunatamente al momento del parto l'angelo lo

salvò. Giunsero quindi ad una valle il cui signore era Vulcano; Tungdal venne preso da dei diavoli

armati di strumenti di ferro che lo gettarono in forno ardente, soffiando sul fuoco ausi comme on

souffle quant le fer est en la fournaise, (come quando il ferro è nella fornace). Altro paragone che

grazie similitudini facilmente immaginabili rende ben presenti nella mente l'atrocità di queste

torture. Il paragone con la fornace continua, così dopo il forno, le anime venivano prese e battute

con magli di ferro su incudini. Liberato nuovamente Tungdal dal castigo l'angelo annunciò che dopo

aver visto le anime ancora in attesa del giudizio divino sarebbero ora passati a visitare i luoghi di

eterna dannazione.

Tungdal venne assalito da freddo, fetore e tenebre così grandi che subito l'angoscia e il terrore lo

ricolmarono tanto da immobilizzarlo. Solo, poiché non trovava più la sua guida, vide una fossa da

cui usciva una colonna di fuoco altissima che conteneva anime e diavoli che salivano con le fiamme

per poi ricadere nel pozzo. Accorgendosi dell'anima lì vicino, i diavoli le andarono incontro

minacciando pene eterne, ma la splendente guida tornò proprio in quell'istante, scacciando i diavoli

e confortandolo: non dovrà più sopportare i tormenti, anzi da ora potrà vedere senza essere visto.

Dalla porta dell'Inferno Tungdal vide il principe e le grandi pene indescrivibili: s'ele poist auoir .c.

testes et en chescunne teste peuist auoir .c. langues, ne le peuist ele dire ne raconter61. Lucifero, più

59 Ritroviamo qui dunque ancora una volta la giustapposizione degli elementi caldo/freddo.60 Bisogna tenere bene a mente difatti come tali visioni erano sì scritte ma avevano probabilmente una grandissima

diffusione orale.61 “se avesse potuto avere cento teste ed ogni testa avesse potuto avere 100 lingue non avrebbero potuto dirne né raccontarne abbastanza”

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grande di ogni cosa vista prima, nero come un corvo, con cento mani ed una coda di cento passi

piena di punte aguzze, era circondato da diavoli che sputavano fuoco ed aveva ogni giuntura avvolta

in catene incandescenti. Per il gran dolore strizzava le anime che riusciva ad afferrare ausi com vn

homme estraint vn roisin en sa main pour faire issir le vin 62. Quando espirava, il suo soffio

spartiva le anime in tutto l'inferno secondo i tormenti meritati mentre quando inspirava le

riconvogliava tutte nel proprio ventre.

Dopo questa visione la guida lo portò via dai luoghi infernali conducendolo fino ad un muro

altissimo che superarono grazie alla guida: al di là vi era una folla di anime sottoposte alla fame,

alla sete, sulle quali batteva una perenne pioggia e soffiava un infinito vento. Ma per quanto duro

questo luogo aveva la luce: queste anime avevano vissuto onestamente ma non avevano mai diviso

nulla con i poveri. Una porta li condusse poi in un prato luminoso, bello e piacevole, pieno di fiori e

di profumi. Qui le anime erano immerse nella luce e nella felicità; la notte non toccava mai tale

posto, ed in mezzo al prato si trovava la fonte della giovinezza.63 In questo luogo riposavano le

anime di coloro che si erano comportati rettamente ma non erano stati così degni da meritare la

compagnia dei santi. Qui che si apre la parentesi politica della Visio Tungdali: egli vide alcuni

celebri re irlandesi e vi intrattenne una conversazione, che nasconde scopi politici: è tesa infatti ad

esaltare nobili figure dell'Irlanda auspicando l'unione del paese invece che guerre intestine.64

La guida lo condusse in seguito verso un altissimo muro d'argento, senza apertura alcuna, che

varcano in modo misterioso. Vestiti in abiti bianchi, apparvero loro le anime beate dotate

egualmente di luce, gioia, diletto, salute, bellezza, onestà, eternità, amicizia, e carità; sono le anime

dei buoni sposi, dei buoni governanti e dei misericordiosi. Tungdal pregò quindi l'angelo di lasciarlo

in quello splendido luogo, ma venne esortato a proseguire il cammino che li portò presso un muro

d'oro puro. Entrati, nuovamente in modo misterioso, trovarono le anime dei martiri che, seduti su

sedili d'oro, splendevano come il sole a mezzogiorno. Avevano capelli d'oro e portavano in testa una

corona anch'essa d'oro ed ornata di pietre preziose. Vide poi un castello e tende fatte di materiali

preziosi: erano la residenza delle anime dei religiosi che avevano svolto rettamente i propri compiti.

Passati avanti, trovarono un grandissimo albero, carico di frutti, verde e fiorito. Qui in camere d'oro

riposavano anime con corone e scettri d'oro: l'albero rappresentava la Chiesa ed al di sotto si

trovavano le anime di coloro che ne sono stati fondatori e custodi. Arrivarono così davanti ad un un

ulteriore muro fatto questa volta di gemme preziose incastonate in oro puro. Videro, una volta

62 “come fa il vignaiolo quando strizza l'uva tra le mani per ricavarne vino”63 La fonte della giovinezza è un elemento che rivela quanto sia ancora forte l'influenza delle tradizioni celtiche64 Per approfondire maggiormente la questione si veda Visione di Tungdal, a c. di M. Lecco, cit., e Le Goff, La

nascita, cit., pp. 212-215

43

superato l'ostacolo, i nove ordini angelici e da lì l'anima ebbe la possibilità di osservare l'intero

Paradiso, i tormenti dell'Inferno e la Terra. Questa visione complessiva del mondo dall'alto ha

famosi precedenti ed avrà lunga eredità: è infatti molto simile a quella descritta nel Somnium

Scipionis , celebre testo facente parte del De Republica di Marco Tullio Cicerone65 e sarà usata

nuovamente anche da Dante66. Incontrarono San Rudan che, affermato di essere il suo patrono,

rivelò a Tungdal che egli dovrà essere sepolto nel suo monastero67. Poco oltre videro San Patrizio in

larga compagnia di vescovi di cui Tungdal ne riconobbe solo quattro: San Celestino, San Malachia,

San Cristiano, San Neemia; tutti illustri vescovi della sua stessa patria. Ancora una volta l'irlandese,

vinto dalla gioia e dalla grazia in cui si trova, chiese alla propria guida di poter restare in tali luoghi

ma ottenne una risposta negativa: egli sarebbe dovuto tornare sulla Terra e raccontare ciò che aveva

visto, e così appena terminato il discorso, Tungdal si risentì all'interno del proprio corpo. Memore

dell'esperienza chiese subito la comunione e regalò tutto ai poveri, iniziando poi a portare a tutti la

parola del signore narrando, come gli era stato comandato, la propria esperienza.

La visione di Tungdal lascia trasparire un aldilà che seppur ancora molto confuso,è già molto più

organizzato di quella caotica giustapposizione di pene compiuta da Alberico. Anche i peccati hanno

una loro gradazione esattamente come le gioie: ogni muro è sempre più prezioso ed all'interno

alberga sempre un maggior grado di grazia e letizia.

65 Marco Tullio Cicerone, De Republica, libro VI, 9 – 29.66 Dante, Divina Commedia, Par. Canto XXXIII67 San Ruden è stato infatti il fondatore del monastero di Lothra nella contea di Tipperary

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Capitolo II: “ Il Purgatorio di San Patrizio”

La nascita di una credenza

Dopo aver discorso a lungo delle molte visioni medievali, arriviamo a parlare del Purgatorio di San

Patrizio. Questa leggenda si afferma nell'ultima parte del XII secolo. Per fortunate circostanze sono

a noi giunti ben tre testi che ne parlano e scritti all'incirca negli stessi anni: è quindi probabile, che

si possa assistere, se non alla reale nascita di questa credenza, che ebbe molto probabilmente

precedenti orali, almeno al formarsi di un cerimoniale ad essa connesso e alla sua giustificazione

teologica e religiosa. I tre testi sono, tra l'altro, appartenenti a generi letterari ben diversi: abbiamo

difatti un'agiografia relativa alla vita di San Patrizio, redatta da Jocelyn di Furness; un testo

topografico sull'Irlanda scritto da Giraldus Cambrensis ed infine il già citato Tractatus de

Purgatorio sancti Patricii, un'opera sul viaggio visionario effettuato dal cavaliere Owain. 68

Jocelyn di Furness è l'autore della Vita S. Patricii, databile nella prima parte degli anni '80 del 1100,

ed è in essa che per la prima volta troviamo collegata la figura di San Patrizio al Purgatorio: infatti

nelle precedenti agiografie non vi era alcun accenno al fatto che il santo patrono dell'Irlanda fosse

connesso con questa porta per l'aldilà. Ecco cosa scrive riguardo al luogo individuato come il

Purgatorio di San Patrizio:

In huius igitur montis cacumine jejunare ac vigilare consuescunt plurimi opinantes se postea

nunquam intraturos portas inferni, quia hoc impetratum a Domino existimant meritis et precibus S.

Patricii. Referunt etiam nonnulli, qui pernoctaverunt ibi, se tormenta gravissima fuisse perpessos,

quibus se purgatos a peccatis putant, unde et quidam illorum illum purgatorio S. Patricii vocant.69

68 Maria di Francia, Il Purgatorio di San Patrizio, a c. di Sonia Maura Barillari, Edizioni dell'Orso, 2004. Per le successive citazioni, così come per le traduzioni relative mi attengo sempre a quanto S. M. Barillari scrive in questo libro. Altre notizie simili sono contenute in St. Jhon D. Seymour, Saint Patrick's Purgatory, a medieval pilgrimage in Ireland, Dundalgan Press, 1918

69 “ Molti sono dunque soliti digiunare e vegliare sulla cima di questo monte credendo di poter poi evitare di entrare nelle porte dell'inferno, perché ritengono di aver ottenuto ciò dal Signore per i meriti e le preghiere di San Patrizio.

45

Con queste parole Jocelyn ci informa della pratica già affermata di pernottare (incubatio) in quello

che era ritenuto essere il Purgatorio di San Patrizio, che lui situa sopra una montagna, ove si veniva

messi alla prova e sottoposti a terribili pene per mondare la propria anima dai peccati.

La seconda testimonianza è di fatto un po' più precisa: si tratta di un passo della Topographia

Hibernica (II,5)

Est lacus in partibus Ultoniae continens insulam bipartitam. Cuius pars altera, probatae religionis

ecclesia habens, spectabilis valde est et amoena; angelorum visitatione, sanctorumque loci illius

visibili frequentia, incomparabiliter illustrata. Pars altera, hispida nimis et horribilis, solis

daemonibus dicitur assignata; quae et visibilibus cacodaemonum turbis et pompis fere semper

manet exposita. Pars ista novem in se foveas habet. In quarum aliqua si quis forte pernoctare

praesumpserit, quod a temerariis hominibus nonunquam constata esse probatum, a malignis

spiritibus statim arripitur, et nocte tota tam gravibus poenis cruciatur, tot tantisque et tam

ineffabilibus ignis et aquae variique generis tormentis incessanter affligitur, ut mane facti vix vel

minimae spiritus superstitis reliquiae misero in corpore reperiantur. Haec, ut asserunt, tormenta si

quis semel ex injuncta poenitentia sustinerit, infernales amplius poenas, nisi graviora commiserit,

non subibit.70

Giraldo Cambrense ci descrive così un'isola nel lago di Lough Derg. Egli accompagnò nel 1185 il

suo signore, Giovanni Senza Terra, nel viaggio che questi compì in Irlanda e nel 1186-7

lasciandone un resoconto scritto, la Topographia Hibernica. Probabilmente rimase affascinato dalla

leggenda sorta attorno a quest'isola, tanto che gli sembrò opportuno inserire qualche ulteriore

precisazione durante la prima revisione, effettuata prima della morte di Enrico II Plantageneto

(ovvero prima del luglio del 1189), cui l’opera era dedicata

Alcuni che passarono là la notte, riferiscono di essere stati sottoposti a dolorosissimi tormenti grazie ai quali credono di essere stati purgati dai peccati, per cui alcuni tra loro lo chiamano Purgatorio di San Patrizio”

70 “C'è un lago nell'Ulster in cui si trova un'isola divisa in due parti. Di queste, l'una è molto bella e amena, ospita una chiesa di canonici ed è celebre per la visita degli angeli e frequentata in forma visibile dai santi del luogo. L'altra parte, assai aspra e orribile, si dice sia governata da soli demoni; rimane quasi sempre esposta ad assembramenti e processioni visibili di cacodemoni. Codesta parte ha nove fosse. Se per caso qualcuno intende passarci la notte dentro, cosa che è stata fatta per certo talvolta da persone temerarie, viene immediatamente preso dagli spiriti maligni e per tutta la notte è tormentato da cosi crudeli pene, è afflitto da cosi tante e così grandi e così indicibili torture di fuoco, d'acqua e di vari generi, che al mattino a stento si ritrovano nel suo misero corpo le minime tracce di spirito vitale. Se qualcuno ha patito questi tormenti, come dicono, per ottemperare ad una penitenza impostagli, se non avrà commesso peccati maggiori, non sarà sottoposto alle pene infernali”

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Hic autem locus Purgatorium Patricii ab incolis vocatur. De infernalibus namque reproborum

poenis, de vera post mortem, perpetuaque electorum vita, vir sanctus cum gente incredula dum

disputasset, ut tanta tam inusita, tam inopinabilis rerum novitas, rudibus infidelium animis oculata

fide certius imprimeretur, efficaci orationum instantia magnam et admirabilem utriusque rei

notitiam, duraeque cervici populo perutilem, meruit in terris obtinere. 71

Essendo alle origini, il popolo irlandese, un ammasso di gente rozza e senza la minima nozione del

peccato o della morale cristiana, San Patrizio pregò Dio affinché gli concedesse un mezzo per

mostrare a questi infedeli, la verità nelle sue parole, e così nella sua grandissima misericordia Dio

aiutò il pastore ad imporre al gregge uno stile di vita cristiano rivelando al santo un ingresso all'altro

mondo. Vi è infatti la tendenza, ancora presente nel XII secolo, a ricordare gli irlandesi come un

popolo ancora barbaro: ad ulteriore prova, accenni alla bestialitas degli irlandesi si ritroveranno

anche nel Tractatus.

Il Tractatus de Purgatorio sancti Patricii è il terzo scritto che contiene un riferimento a questo

luogo; ma se i primi due testi, essendo comunque, il primo, un'opera agiografica, ed il secondo, un

testo geografico, ne trattavano più brevemente, il Tractatus è incentrato proprio sul Purgatorio e

sull'avventura che ebbe al suo interno il cavaliere Owain. Questo testo è stato scritto da certo H.,

monaco cistercense del monastero di Saltrey, nello Huntingdonshire, su richiesta dell'abate Ugo di

Sartis, oggi Wardon, nel Bedforshire. L'abate era venuto a conoscenza di questa storia da un altro

monaco, tal Gilberto, inviato in Irlanda dall'abate Gervasio di Luda, oggi Louthpark, anch'esso nello

Huntingdonshire, con il compito di trovare un luogo ideale per ospitare un nuovo monastero. Non

conoscendo l'isola né l'irlandese si era fatto accompagnare in questa impresa dallo stesso cavaliere

Owain, come interprete e protettore, il quale gli avrebbe raccontato la propria avventura nel

Purgatorio di San Patrizio. Da queste informazioni che lo stesso H. ci fornisce possiamo risalire

all'intervallo di tempo in cui venne redatto il testo: infatti questo deve essere stato scritto mentre il

monaco Gilberto non era più abate di Basingwerk, compito che svolse tra il 1154 e il 1179; e allo

stesso tempo mentre Ugo era ancora abate a Sartis, e quindi tra il 1173 e 1185. Sommando queste

71 “Inoltre questo luogo è chiamato Purgatorio di Patrizio dagli abitanti del posto. E infatti avendo il sant'uomo discusso con la gente senza fede delle pene infernali dei peccatori, della vera ed eterna vita degli eletti dopo la morte, per imprimere più fortemente concetti tanto inusuali ed inaspettatamente nuovi negli animi rudi di quegli infedeli, con fede oculata, grazie all'efficacia di assidue preghiere, meritò di ottenere in terra la grande e ammirabile cognizione di entrambe le cose (cioè le pene dell'Inferno e le gioie degli eletti), utilissima a quel popolo dalla testa dura.”

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informazioni, risulta che H. scrisse tra il 1179 e il 1185, in un intervallo di tempo di poco

precedente alla stesura della Topographia Hibernica e contemporaneo più o meno alla Vita sancti

Patricii. 72 Nonostante il fulcro del racconto sia proprio il Purgatorio di San Patrizio e nonostante in

tale testo vi sia una puntuale descrizione di un rituale che sembra ormai consolidato per poter

visitare quel luogo, le informazioni riguardo alla sua esatta contestualizzazione geografica sono

tutt’altro che precise:

Sanctum vero Patricium Dominus in locum desertum eduxit. Fossam unam rotundam atque

intrinsecus obscuram ostendit ei, dicens quod quicumque ueraciter penitens et fidem armatus

fossam illam bona intenctione introisset spatio unius diei ac noctis ab omniubus in ea purgaretur,

que in tota uita sua commiserat, peccatis, et quod per eam intrans non solum tormenta malorum

esset uisurus, uerum etiam, si fide contans esset gaudia beatorum.73

H. situa quindi il Purgatorio in un anonimo luogo deserto senza dare alcuna ulteriore precisazione.

È certo possibile che il luogo desertum di cui parla H. sia la stessa parte dell'isola hispida nimis et

horribilis : il termine desertum, infatti, non ci deve evocare nella mente il deserto in quanto tale.

Tale termine era spesso usato per designare luoghi disabitati adatti all'eremitaggio; ma questa è solo

un ipotesi, con prove molto labili. La leggenda è giunta fino ad oggi facendo si che si possano

incontrare molti pellegrini diretti al lago di Lough Derg, dove li è permesso di ripercorrere le

esperienze degli antichi viaggiatori. Già dal medioevo, come si può capire da altri documenti

relativi a successivi pellegrini, era stato infatti il lago dell'Ulster e non il luogo montano ad essere

assunto come residenza del Purgatorio attirando fin da subito viaggiatori da tutto il mondo,

compresa, come vedremo, l'Italia.

In realtà però, anche Giraldo fornisce delle informazioni che non sono totalmente esatte: egli infatti

parla di un unica isola, divisa in due parti: nella realtà invece, sono due isole diverse: la più grande,

Insula Sanctorum (oggi conosciuta come Saints' Island), che forse si può accostare, visto il suo

nome, alla parte dell'isola bella e amena - frequentata dagli angeli e dai santi - descritta da Giraldo

e l'Insula Purgatoria (oggi rinominata Station Island, nome che deriva dalle stationes, cioè luoghi

72 Maria di Francia, Il Purgatorio, cit. , nota 42 pp 14-1573 “Dio condusse così San Patrizio in un luogo deserto. Gli mostrò una fossa rotonda ed oscura all'interni, dicendogli che chiunque veramente pentito e armato di fede fosse entrato in quella fossa, restandovi dentro per un giorno ed una notte sarebbe stato purgato di tutti i peccati che aveva commesso in tutta la sua vita e che entrando in quella fossa non solo avrebbe visto i tormenti dei malvagi ma anche, se fosse stato saldo nella fede, le gioie dei beati.”

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sacri nei santuari in cui i pellegrini si fermavano per recitare le preghiere). Patrizio avrebbe

costruito una chiesa sulla Station Island e un romitaggio sulla Saints' Island e, proprio nella chiesa

da lui costruita nell'Insula Purgatoria ,avrebbe avuto la rivelazione divina e quindi qui sarebbe da

situare l'ingresso ai regni dell'aldilà. Ma sull'isola vi erano anche effettivamente nove fosse, come

riportato da Giraldo, che probabilmente erano resti di antiche celle in cui si ritiravano gli anacoreti.

Ed è proprio in una di esse che verrà successivamente riconosciuto un altro accesso al Purgatorio.

Infine una terza entrata, forse il vero primo accesso, quello dell'avventura di Owain, e quello che

sarà distrutto nel 1497 su ordine di Alessandro VI, era stata individuata nella fossa rotunda situata

nella Saints' Island ad est del cimitero. Infatti si può leggere al riguardo nel Tractatus:

“...fossam autem illam, que in cimiterio est extra frontem ecclesie orientalem, muro circumdedit et

ianuas serasque apposuit”74

Le differenti entrate crearono effettivamente delle differenze nelle testimonianze successive: nove

di esse lo collocherebbero in quella che sembra essere la Station Island mentre altre due sulla Saints'

Island, nei pressi del monastero.75

Il Tractatus de Purgatorio sancti Patricii

H., che sarà senza alcuna prova, successivamente battezzato da Matteo di Parigi come Henricus76

nel XIII secolo, scrive tra il 1179 e il 1185 questo testo che avrà un'immediata diffusione tanto da

venire ben presto volgarizzato in diverse lingue77: sono state rintracciate infatti almeno sette

traduzioni in francese antico in versi, di cui forse tre di queste redatte in Inghilterra, e molte in

prosa; altre sette in italiano ma si ritrovano volgarizzamenti anche in castigliano, catalano, inglese,

tedesco, olandese, svedese, polacco, ungherese, ceco, gallese. Ovviamente oltre a queste traduzioni

abbiamo anche un gran numero di rifacimenti in latino, come di estratti e di citazioni in molte altre

74 “Circondò con un muro quella fossa, che è nel cimitero fuori dalla parte orientale della chiesa e vi appose una porta bloccata da catene”

75 Maria di Francia, Il Purgatorio, cit. pp 19-2076 J. Le Goff, La nascita,cit. pp 215-22677 Tanto da essere giustamente definito da Margherita Lecco un «best seller medievale», Maria di Francia, Il

Purgatorio, cit. pag 34

49

opere. 78

Con qualche semplificazione è possibile accogliere a grandi linee il criterio di divisione in due

grandi famiglie manoscritte (α e β) che fu usato da H. L. D. Ward per classificare i quindici codici

che ritrovò nel British Museum: α, per la lunghezza maggiore mentre β, per i codici che riportano

una versione più breve. Questa classificazione fu anche riutilizzata da Warnke che però la invertì79.

Il Tractatus ha una composizione laboriosa, nella quale, l'avventura di Owain per quanto sia il

momento cruciale e sicuramente la vicenda a cui viene dedicato più spazio, è solo una delle varie

parti di cui si compone. Il testo infatti inizia con la dedicatio all'abate Ugo di Sartis, colui che ha

richiesto al nostro H. di trascrivere l'avventura di Owain. Terminata la dedica abbiamo un prologo,

nel quale, citando Agostino e Gregorio Magno, per dare un fondamento teologico molto forte a ciò

che sta per dire, l'autore insiste sulla possibilità che viene fornita ad alcune persone di poter visitare

i regni dell'oltretomba. A questo punto viene di conseguenza introdotto il Purgatorio di San Patrizio

e per farlo se ne spiega la nascita: è riportata quindi la leggenda di come San Patrizio ebbe la

rivelazione di questo varco per l'aldilà; dopodiché H. ci informa del duro rituale a cui si viene

sottoposti una volta deciso di voler intraprendere questo cammino. Infine compare la figura di

Owain e la narrazione delle vicende a lui collegate che presentano però due parentesi; tese a

sottolineare punti ben precisi ed importanti, che aprono discussioni di commento a testi biblici. Vi è

inoltre inserita la testimonianza di Gilberto, che ha lo scopo di confermare ancora una volta la

veridicità di quanto narrato: egli infatti spiega di come conobbe un monaco, che, rapito da alcuni

demoni, ne aveva ricevuto delle cicatrici che ancora portava e che Gilberto aveva potuto vedere. I

manoscritti ascritti alla famiglia che presenta il testo più corto hanno una sola parentesi di

commento invece che due e terminano ora con un epilogo conciso. Al contrario i manoscritti che

hanno il testo più lungo riportano anche un'appendice di sei differenti e vari capitoli. Il primo ci

illustra le opinioni di altri due abati riguardo ai fatti narrati; il secondo trascrive la conferma

sull'esistenza di un reale accesso al mondo dei morti fatta dal vescovo nella cui diocesi si trovava il

Purgatorio di San Patrizio, Florenziano. Questo capitolo è a sua volta seguito dalla narrazione della

vicenda di un santo eremita a cui era stata donata la possibilità di vedere le riunioni di diavoli nelle

vicinanze della propria cella; gli ultimi tre capitoli sono connessi a quest'ultimo: sarebbero infatti

differenti racconti che il cappellano del vescovo aveva raccolto da quel santo eremita. Nella prima

78 Maria di Francia, Il Purgatorio, cit .; per le edizioni italiane del Tractatus cfr. M. degli Innocenti, Redazioni italiane del Purgatorio di San Patrizio, «Italia medievale ed umanistica», 27 (1987), pp. 81-120 Notizie filologiche sono contenute anche in Le Goff, La nascita , cit. pp 215-226

79 Maria di Francia, Il Purgatorio, cit. p 34

50

storia, e cioè nel capitolo quarto dell'appendice, si tratta di come l'eremita avesse scoperto della ben

poco retta vita condotta da un eremita a lui vicino, apprendendolo proprio dai diavoli; nel secondo

invece scopre, sempre per merito dei diavoli, di come un contadino fosse stato cattivo nei confronti

di due chierici ed infine il capitolo conclusivo è la storia, sempre raccontata dall'eremita, del

tentativo che i demoni fecero per portare con loro l'anima di un fedele canonico tentandolo

carnalmente tramite una fanciulla che egli stesso aveva allevato come una figlia.

Delle due famiglie manoscritte non c'è certezza su quale sia in realtà l'originale, ma si può

formulare un'ipotesi coerente su quale delle due versioni abbia più probabilità di avvicinarsi al testo

scritto da H. : come spiegato sopra, il testo originale doveva essere stato scritto tra il 1179 e il 1185,

ma Florenziano, che viene descritto come vescovo della diocesi del Purgatorio, lo divenne solo nel

1185. È quindi probabile che la versione originale fosse quella breve e successivamente, forse lo

stesso H., ne avrebbe redatto un ampliamento.80

Una delle più famose traduzioni fu quella effettuata dalla poetessa Maria di Francia il cui testo è

stato ben tradotto da Sonia Maura Barillari in tempi recenti; per questo sembra opportuno analizzare

il Tractatus basandoci su questa traduzione in francese. La datazione basandosi sulla lingua in cui è

redatto la collocherebbe attorno alla fine del XII secolo; Yolande de Ponfarcy la collocherebbe

proprio nel 1190.81 L'opera di Marie è simile in tutto e per tutto alla versione breve ma, come la

lunga presenta prima della conclusione l'appendice con le varie storie prima menzionate.

La traduzione di Marie inizia con un prologo nel quale dopo l'invocatio verso Dio (Al nun de Deu)

ringrazia più volte il valentuomo che con le sue preghiere l'ha spinta a scrivere questa traduzione in

volgare, che sa già poter essere utile e di giovamento per le anime dei futuri lettori.

Cita a questo punto San Gregorio dicendo che egli nei propri sermoni tratta in molti passi degli

spiriti dentro e fuori dai corpi e di come tali exempla possano giovare dal punto di vista morale.

Continua dicendo che le anime buone sono prelevate dopo la morte dagli angeli mentre quelle

cattive dai demoni; ma vi sono delle anime che hanno la possibilità di conoscere attraverso visioni il

destino riservato a loro ed i regni dell'oltretomba. In generale però non sappiamo cosa ci riserverà

80 Maria di Francia, Il Purgatorio di San Patrizio, a cura di Sonia Maura Barillari, Edizioni dell'Orso, 2004; pag. 41 note 109 e 110.

81 Maria di Francia, Il Purgatorio di San Patrizio, a cura di Sonia Maura Barillari, Edizioni dell'Orso, 2004, pag. 43, nota 114

51

l'aldilà; quello di cui Marie sembra essere sicura è che vi saranno comunque dei peccati da scontare

nel Purgatorio, ma la loro intensità e durata dipenderà dalla vita che condurremo in vita. Le anime

rapite riportano una volta tornate, testimonianze di pene che parrebbero corporali, ma esse sono

sempre e comunque spirituali.

Inizia ora il racconto riguardo a San Patrizio e di come gli venne rivelata l'ubicazione del

Purgatorio: Patrizio con l'aiuto di Dio era impiegato a convertire ed a mostrare la vera fede agli

animi bestiali e volubili degli irlandesi «lur bestials cors nun estables», e per farlo, spesso

raccontava di quanto fossero dure le pene per chi non credeva a lui e quanto invece fossero

immense le gioie di chi seguiva la sua legge. Abbiamo ora un aneddoto che ancora una volta serve a

confermare e ricordare al lettore la bestialità delle persone con cui il santo aveva a che fare. Si

racconta di quando un vecchio canuto irlandese andò da San Patrizio per confessarsi: egli non

riteneva affatto che l'omicidio fosse un peccato:

Il respundi:“Cink en ai morz,

quel ke ço est ou dreiz ou torz,

e mulz navrez, mes ne sai mie

s'il turnereient puis a vie.

Ne quidai pas, bien le sachez,

ke ço fust dampnables pechez”82

San Patrizio allora lo illumina su quanto fosse sbagliato quel gesto e gli illustra come purgarsi dei

peccati. Ma molti non sono disposti a credergli a meno che egli non gli avesse mostrato le cose di

cui tanto parlava: i tormenti infernali e le gioie del Paradiso. Il santo quindi pregò a lungo e con

dedizione, facendo digiuni e compiendo veglie perché Dio avesse pietà di quel popolo; ad un tratto

mentre pregava gli apparve Gesù, e gli donò un libro che conteneva i Vangeli ed un bastone, che

doveva portare quando predicava ai fedeli. Questi doni sono ancora conservati come reliquie, e da

essi derivò la prassi di donare al vescovo il pastorale e l’evangeliario. Dopo avergli fatto tale offerte

lo condusse in un luogo deserto e lì gli mostro una fossa rotonda, ampia e scura spiegandogli che

quello era l'accesso al Purgatorio, e che solo chi fosse stato saldo nella fede e con piena fiducia in

Dio, una volta confessati i peccati sarebbe potuto entrarvi e vedervi i tormenti dei malvagi e la

82 Quello rispose: “ Ne ho ammazzati cinque, che sia giusto o sbagliato, e molti ne ho feriti, ma non saprei dire se quelli sono ancora in vita. Non pensavo, sappiate bene, che fosse un peccato grave”.

52

felicità degli eletti. E se riusciva ad uscirne dopo un giorno ed una notte avrebbe avuto cancellati i

propri peccati. Patrizio decise così di costruire un'abbazia nei pressi della fossa che si trovava vicino

al cimitero, ad est, circondata da un muro interrotto solo da una porta tenuta però sempre chiusa a

meno che non fornisse lui stesso il permesso di entrarvi. Il luogo divenne subito celebre e molti vi si

recarono lasciando poi, su consiglio del santo, una testimonianza di ciò che avevano visto.

Il Tractatus si incentra poi nel rituale di ingresso al Purgatorio: per prima cosa si doveva chiedere

permesso al vescovo e a questo confessarsi. Il prelato tentava poi di convincere il penitente a non

andare: molti infatti vi erano entrati per non tornare più. Se colui che voleva sostenere la prova

rimaneva saldo nel suo proposito, sarebbe stato mandato dal priore dell'abbazia che di nuovo

avrebbe esortato il pellegrino a non retrocedere dai propri propositi e fare una penitenza in questo

mondo. Se ancora una volta il penitente fosse rimasto fedele al proprio progetto, sarebbe stato

condotto nella chiesa e lì per quindici giorni sarebbe stato in preghiere, digiuni e veglie. Passati i

quindici giorni il priore doveva convocare il clero del paese per cantare una messa e il pellegrino

avrebbe ricevuto sull'altare la comunione e la benedizione. Dopo aver ricevuto l'acqua benedetta,

venivano infine condotti alla porta del Purgatorio in processione. Qui il priore doveva ancora una

volta ricordare i tormenti a cui sarebbe stata sottoposta l'anima del penitente e che alcuni che vi

erano entrati non ne erano più usciti per poi aprire la porta in cui il pellegrino entrava dopo essersi

fatto il segno della croce. Il priore avrebbe poi richiuso la porta e tutti sarebbero tornati nella chiesa

per pregare per coloro che erano entrati. Il giorno seguente di nuovo in processione si sarebbero

tutti diretti lì, ove avrebbero accolto con gioia coloro che, superata la prova, erano riusciti a tornare,

con l’ulteriore obbligo di mettere iscritto la propria avventura nei successivi quindici giorni, da

trascorrere in preghiera nella chiesa.

Compiendo un salto temporale si passa ai tempi del regno di Stefano di Blois, tra il 1135 ed il 1154.

In questi anni in Irlanda si ambienta la vicenda del cavaliere di Owain. Questo confessando al

vescovo della diocesi del Purgatorio i propri peccati e ritenendoli troppo gravi, chiede di avere la

possibilità di entrare dentro il Purgatorio di San Patrizio, per ripulire così la propria anima. L'uomo

di chiesa prova subito a dissuaderlo ma Owain è fermo nel proposito e rifiuta anche il seguente

consiglio: quello di farsi monaco per superare con maggiore sicurezza la prova. Il vescovo consegna

quindi all'irlandese una lettera per il priore che prova a sua volta, senza successo, a far desistere il

cavaliere. Owain effettua così il cerimoniale previsto per accedere a quel luogo. Portato davanti alla

porta il priore effettua come di consueto l'ultimo discorso, mettendolo nuovamente in guardia dai

pericoli ed affermando che la causa per cui tanti si persero fu che la visione di tormenti così crudeli

53

ed aspri, sommati ad una poca saldezza di fede, li fece incorrere nella disperazione e nell’oblio di

Dio. Il priore gli spiega come avverrà il suo viaggio: una volta entrato dovrà procedere nelle cavità

della terra finché non giungerà ad un prato verde ove troverà un grande edificio. In esso dei messi

divini lo conforteranno e gli spiegheranno ciò che succederà; dopodiché sarà assalito dai diavoli.

Owain risponde di essere pronto e senza timore, e ,fattosi il segno della croce, entra nella fossa

permettendo al priore di chiudere la porta e tornare con tutti in processione al monastero. Inizia così

ad addentrarsi all'interno della fossa, saldo nella fede, senza alcun timore: è proprio un eroe

cavalleresco, ben diverso dal pavido Tungdal. Ad un tratto arriva al grande edificio che gli era stato

descritto: è una costruzione spettacolare, simile ad un monastero, troppo bella e perfetta per essere

opera umana. Mentre è là entrano quindici persone dai bianchi abiti e fresche di tonsura; quello che

pare essere il loro maestro prende la parola e, dopo aver lodato il cavaliere per il grande proposito

che l'ha condotto lì, lo mette in guardia dai pericoli, rinnovando l'invito a restare saldo nella fede.

Dopo che saranno andati via, continua, una gran turba di diavoli verrà da lui ed egli dovrà

conservare la fede in Dio nel cuore: credere ai loro inganni, lasciarsi sopraffare dalle loro minacce o

torture è la strada per smarrire la salvezza ed essere perduto per sempre. Vedrà i dolori a cui i

peccatori sono sottoposti e la pace e la dolcezza degli eletti: quando sarà tormentato e si sentirà

perso dovrà invocare più volte il nome di Gesù Cristo e grazie alla forza di quel nome sarà libero

dalle grinfie dei diavoli. Abbiamo qui la consegna del “mezzo magico”: infatti i quindici gli donano

il potere di un nome e di una invocazione grazie alla quale sarà subito libero dai malefici artigli dei

diavoli. La particolarità è che da ora Owain sarà solo: non avrà nessuna guida o accompagnatore a

proteggerlo ed a spiegargli quel che si troverà di fronte,infatti terminato di parlare, i messi divini

spariscono.

Questo binomio, la forza della preghiera paragonabile al “mezzo magico” delle favole e la

mancanza di una guida, sarà una costante in tutte le avventure e gli scritti riguardanti il Purgatorio

di San Patrizio.

Tornando al cavaliere, questi si ritrova solo in quel luogo, ma con coraggio indomabile si prepara

alla nuova battaglia spirituale che lo attende con la stessa precisione e la stessa cura con le quali

precedentemente si apprestava agli scontri armati:

Li chevalers remis sutis,

apparillez e ententis

de novele bataille emprendre,

par quei puisse a Seu l'alme rendre.

Cil <qui> se combati sovent

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par prouesce contre le gent,

aprestez s'est e convenables

de combatre contre diables.

Bonement en Deu esperant atent li quel vendrunt avant.

Des armes <Deu> s'est bien armez:

hauberc de justise out vestu,

par quei le cors out defendu

de l'engin de ses enemis;

e l'escu de fiance out pris,

haume out, fait de ferme creance,

l'autre armeüre d'esperance.

Espeie ad del Seint Espirit,

si cum[e] <li> livres le nus dit,

c'est la parole JhesuCrist,

ki de sun nun nomer l'aprist.83

vv. 787-808

In questo passo si osserva bene come la spiritualità con cui il cavaliere vive questo nuovo scontro

sia accostata ed assimilata ai preparativi con cui si approntava per le battaglie fisiche. Il mondo

cavalleresco da cui provengono la spada, l'usbergo, lo scudo e lo stesso Owain ha infatti legami

molto stretti con tutta l'ideologia connessa al Purgatorio di San Patrizio: questo viaggio spirituale è

difatti un'avventura vissuta in questo caso proprio da un cavaliere che invece che con la spada

d'acciaio, combatte i diavoli con la spada della fede affilata dalle parole sacre. Il percorso seguito e

tutta la vicenda ricordano da vicino alcune storie cavalleresche nelle quali i protagonisti effettuano

un percorso iniziatico e, dopo alcuni cerimoniali fissi, vivono un'avventura pericolosa dalla quale

riusciranno però a trarre vantaggio e ad uscire con una nuova consapevolezza di sé o nuove forze.

83 “Il cavaliere rimase solo, preparato e pronto a intraprendere una nuova battaglia che gli consentisse di tornare nella grazie di Dio. Egli, che spesso combatté per prodezza contro gli uomini, si è opportunamente approntato a combattere contro i diavoli. Confidando devotamente in Dio attende chi gli si farà incontro. Si è ben armato delle armi di Dio, ben provvisto ed equippiato: aveva indossato l'usbergo della giustizia, con cui proteggere il corpo dall'inganno dei suoi nemici e aveva preso lo scudo della fede; aveva l'elmo, fatto di salda fiducia [in Dio] e il resto dell'armatura di speranza; ha la spada dello Spirito Santo, come di dice il libro, cioè la parola di Gesù Cristo che gli insegnò ad invocare il suo nome”

55

Ad un tratto Owain sente un rumore fortissimo tale che se non fosse stato preparato sarebbe

impazzito al solo sentirlo. Subito dopo entrano i diavoli, più orribili di ogni altra creatura mai vista,

completamente deformi che dopo averlo schernito lo invitano a seguirli, libero di uscire

nuovamente da quel luogo, altrimenti condannato per l'eternità a terribili tormenti. Ma Owain,

«cavaliere di Cristo», non cede né alle lusinghe né alle minacce degli orribili esseri, senza nemmeno

degnarli di una risposta. I diavoli allora dopo aver acceso un grande fuoco nell'edificio e avergli

legato le mani ed i piedi, ve lo gettano con uncini di ferro. Provando un grande dolore l'irlandese

invoca allora il nome di Dio e grazie ad esso si difende dal primo tormento. Si tratta, come

accennato sopra, di una prova solitaria: solo Owain è presente, e la sua salvezza, raggiungibile solo

attraverso il nome di Dio, dipende unicamente dalla forza della sua fede. I diavoli gridando tutto

intorno a lui e lo conducono fuori, in una valle desolata, nera ed oscura ove soffia un vento gelido e

tagliente. Immagine questa, che ricorda la contrapposizione caldo/freddo che abbiamo visto essere

molto frequente nelle descrizioni infernali. Subendo tale tormento viene condotto dove il sole sorge

in estate, fino alla fine del mondo: «ou li soleil neist en esté./ A la fin del siecle le meinent».

Giungono così all'Inferno, un luogo oscuro pieno di grida che aumentano sempre di più

all'avvicinarsi. Nel primo campo vede gente d'ogni tipo, che, nuda, fissata a terra supina, con chiodi

conficcati nelle mani e nei piedi, battuta dai diavoli, morde la terra per il gran dolore a cui è

sottoposta. Gli orrendi esseri minacciano nuovamente il cavaliere di atroci tormenti se non li avesse

seguiti ma l'irlandese, memore di come precedentemente l'invocazione del nome di Dio l'avesse

aiutato, non li degna di uno parola; al che i diavoli subito lo prendono e, buttatolo a terra cercano di

inchiodarlo. Owain invoca prontamente il nome di Dio mettendo in fuga i demoni.

Entrano così in un altro campo: anche qui sono tutti inchiodati, ma sul ventre, mentre sono

tormentati da draghi e serpenti apparentemente impegnati a strapparli viscere e cuori. Vi sono anche

dei rospi immensi ed infuocati che con i rostri dilaniano anch'essi le carni dei peccatori. I diavoli

tornano a chiedere ad Owain di venire con loro ma di nuovo assistiamo alla realizzazione del

medesimo schema: il cavaliere li sdegna ed essi provano a sottoporlo invano ai tormenti,

inutilmente a causa della sempre tempestiva invocazione del nome di Gesù Cristo.

È la volta del terzo campo: vi trova gente inchiodata a terra con chiodi in ogni parte del corpo. I

peccatori sono tormentati inoltre dal vento gelido, e battuti anch'essi dai diavoli che ancora una

volta tentano inutilmente Owain, che li rifiuta protetto dal magico nome di Dio.

Nel quarto campo vede gente appesa per ogni parte del corpo, con catene infuocate o uncini

incandescenti: per gli occhi, orecchie, collo, mammelle, mento, bocca, guance, genitali; e tutte

pendono nelle fiamme eterne. Altri sono invece messi su graticole ed altri ancora su degli spiedi. I

diavoli aumentano le loro pene picchiandoli con mazze di ferro e gettandoli sopra metalli fusi. In

56

questa parte degli inferi il cavaliere riconosce molti dei suoi compagni che avevano gravemente

peccato da vivi. Ovviamente i diavoli riprovano a prendere Owain che si salva ancora una volta

grazie all’invocazione sacra. Arriviamo così alla pena forse più scenografica: con un richiamo

all'immagine presente nell'Apocalisse di Paolo, l'irlandese si trova davanti ad un'immensa ruota

infuocata piena di aguzzi uncini che ha al di sotto un grande fuoco. Appesi ad essa, vorticante sulle

fiamme, i dannati sono trascinati nel moto infuocato nel quale anche lo stesso Owain è assorbito,

ma da cui viene liberato prima di bruciare invocando il nome di Dio.

Libero anche da questa pena procede il cammino fino ad un grande edificio: sono delle terme entro

le quali ci sono fosse molto grandi che ospitano una gran quantità di persone immerse in ogni sorta

di liquido bollente e metallo fuso. Viene qui introdotto il concetto della proporzionalità anche se,

mancando una guida, non abbiamo una chiara spiegazione: Owain vede difatti delle differenze tra i

dannati: alcuni sono immersi completamente, altri fino alla pancia e vi sono una moltitudine di

variazioni. Dopo il solito vano tentativo dei diavoli il cavaliere viene ora condotto ad una montagna,

immagine che, come abbiamo potuto vedere, ha una lunga storia. Su di essa gli empi sono trascinati

da un forte vento in un fiume gelido e maleodorante nelle cui acque sono sospinti dagli uncini

infuocati dei diavoli . Lo stesso Owain viene trasportato nel fiume dal forte vento ma invocando

nuovamente Gesù, si salva.

I diavoli lo conducono a sud finché non si trovano davanti ad un gradissimo pozzo fiammeggiante

in cui le anime salgono in alto con le fiamme, come scintille, per poi ricadere nel fuoco e nel fetore:

è la bocca dell'Inferno che i demoni gli preannunciano come sua destinazione qualora egli non li

segua Anche se all'ultimo istante («tant fud de cel torment hastez,/pur poi k'il ne s'ert obliez/ de

nomer le non sun Seignur»84), il pellegrino riesce invocando Dio a salvarsi. Atterrato lì vicino, altri

diavoli gli si accostano spiegandogli che è stato ingannato: quella non era la bocca dell'inferno ma

solo una bugia per attirarlo; ma ora essi gli mostreranno il vero inferno. Lo menano ad un fiume

orribile ed infuocato: è il fiume che trae il proprio ardore direttamente dall'inferno e che, si intuisce,

conduce direttamente ad esso. Sopra tale rivo infuocato si trova un ponte: i diavoli ve lo pongono

sopra, ed egli deve così riuscire a passare o finirà dritto all'inferno. Ma attraversarlo non è semplice:

il ponte è scivolosissimo, sottilissimo e apparentemente senza fine. Evitati gli infausti consigli dei

diavoli, il cavaliere, una volta invocato il nome di Dio, avanza un passo dopo l'altro sul ponte che si

allarga sotto i suoi passi.85

84 “Fu tanto oppresso da quel tormento che per poco non si era dimenticato di invocare il nome del suo Signore”85 Come si nota, si ritrova anche il questa visione il ponte, elemento della cui importanza abbiamo già detto (vedi nota

46)

57

Il narratore inserisce a questo punto un ammaestramento morale, ricordando la varietà e la quantità

delle pene infernali, numerose quanto i granelli di sabbia, ed invitando i lettori a ricordare che le

punizioni del purgatorio sono passeggere, a differenza di quelle infernali. Rammenta inoltre il

nostro ruolo fondamentale nell'aiutare coloro che si stanno purgando grazie ai suffragi.

Dopo tale parentesi, H. ritorna a trattare di Owain: dopo aver attraversato il ponte, si trova davanti

ad un muro immenso di fattura celestiale per la maestria e il materiale usato, interrotto da una porta

magnificamente ornata di pietre e metalli preziosi. Avvicinandosi sente un profumo talmente dolce

che gli fa dimenticare il dolore dei tormenti patiti. Il muro ricorda ovviamente la Visio Tungdali, in

questo caso però abbiamo anche una porta meravigliosa e non solo un altissimo muro divisorio.

Ancora lontano da essa, il cavaliere vede una processione di religiosi di ogni ordine recanti croci,

candelabri e stendardi, che lo accolgono con dolci canti. Due arcivescovi si fanno avanti per

mostrargli tutto il paese e gli splendidi giardini in cui si trovano. È una regione la cui luminosità

porterebbe a pensare al sole come un'ombra. Come per l'inferno il cavaliere vede solo una parte in

quanto il luogo è talmente vasto che non si riesce nemmeno ad abbracciarlo tutto con un unico

sguardo. Ha l'aspetto di un prato rigoglioso con fiori e profumi, frutti dolcissimi ed erbe

meravigliose. Vi sono un gran numero di persone, distribuite in vari gruppi e tutti felici e gioiosi

inneggianti al Signore, contraddistinti ciascuno dalle vesti opportune secondo l’appartenenza

sociale terrena. Dopo avergli mostrato tutti i gaudi e le gioie delle anime in quel luogo i due

arcivescovi si rivolgono ad Owain spiegandogli dove si trovi: quel giardino altro non che è il

Paradiso terrestre da cui fu scacciato Adamo per aver mangiato il frutto proibito. Per colpa sua ora

l'uomo è costretto a nascere lontano dalla grazia di Dio, ma grazie alla fede in Gesù, al battesimo e

ad una retta via è possibile tornarvi dopo aver espiato i propri peccati «seluc <i>co ke faitavon»

cioè per un tempo che cambia a seconda di quanto abbiamo commesso: ecco nuovamente in questa

frase l'idea della proporzionalità e della giustizia che come abbiamo visto è uno dei valori centrali

per il XII secolo. È un concetto su cui ritorna subito dopo per evidenziarne l'importanza: i tormenti

cambiano per durata ed entità a seconda della colpe commesse. Le anime non sanno quanto

rimarranno tra i tormenti o in attesa nel Paradiso terrestre ma, si ripete, è possibile aiutarle a

superare le pene purgatorie con suffragi compiuti nel nostro mondo. Le anime in quel luogo sono in

attesa di passare dal Paradiso terrestre a quello celeste. Owain viene condotto dagli arcivescovi su

un'alta montagna dalla quale può vedere il cielo nel suo splendore che par essere oro

fiammeggiante: è l'ingresso del Paradiso celeste.86 Ad un tratto scende dall'alto il fuoco dello Spirito 86 In un immagine che ricorda da vicino quella riportata nella Visio Tungdali, che aveva a sua volta una lunga

tradizione

58

Santo che permea tutto e penetra dentro le anime colmandole di immensa letizia: è il nutrimento

degli eletti ed anche il cavaliere ne riceve beneficio. Owain viene invitato, ora che ha visto tutto ciò

che doveva, a tornare indietro per la via dalla quale è giunto, ma i diavoli non potranno toccarlo; gli

arcivescovi gli consigliano di seguire una vita proba che lo riporti in quel luogo e gli eviti i tormenti

che ha visto precedentemente. Il cavaliere vuole restare ma i due lo accompagnano fuori; il ritorno

si compie così come detto: i diavoli si allontano e non lo toccano, lasciandolo così giungere

velocemente allo splendido edificio ove incontra di nuovo i messi celesti, che dopo reso grazia a

Dio e lodato il cavaliere per essere rimasto saldo e fedele, lo informano che egli ora è purificato dei

propri peccati e gli consigliano di andarsene rapidamente poiché sulla terra sta facendo giorno.

Torna alla porta da cui era entrato dove trova il priore che lo accoglie con gioia, e, portatolo in

chiesa, lo fa sostare là in preghiera tra digiuni, veglie e prosternazioni per i canonici quindici giorni.

Messa per iscritto la propria avventura Owain può uscire e diventa subito un crociato e partendo alla

volta di Gerusalemme. Una volta tornato, chiede consiglio al proprio re su cosa gli convenga fare e

se prendere o meno l'abito monastico; il re risponde saggiamente di continuare a servire Dio come

cavaliere. Un giorno un monaco cistercense di nome Gilberto, mandato dal proprio abate Gervasio,

chiede al re consiglio su dove poter fondare un monastero. Egli però non conoscendo la geografia

dell'isola né la lingua, ha necessità di una guida; il re incarica così Owain di scortarlo che accetta di

buon grado avendo constatato che nell'aldilà erano spesso i cistercensi ad essere in maggior stato di

grazia. I due fondano un monastero e Owain condusse per il resto della propria vita un'esistenza

santa e retta.

Nel suo arrangiamento poetico Maria di Francia inserisce, dopo aver terminato il racconto

dell'avventura vissuta da Owain, alcune considerazioni morali compiute da Gilberto. Egli ritiene

che le pene provate nel Purgatorio siano anche di natura corporale ed a dimostrazione di tale idea,

racconta di un monaco che, rapito per tre giorni e tre notti da dei diavoli che lo torturarono con

ferocia, riportò sul proprio corpo orribili piaghe e ferite, che parevano sempre fresche e che lo

stesso Gilberto aveva visto con i propri occhi.

Si apre ora l'appendice conclusiva: il primo capitolo, riguarda la conferma dell'esistenza del

Purgatorio data da due abati irlandesi; mentre il secondo è relativo ancora una volta all'affermazione

dell'esistenza reale di tale luogo fornita da Florenziano, vescovo nella cui diocesi si trovava

l'accesso al Purgatorio. Questo continua dicendo che nelle vicinanze di quel luogo, vi è un eremita

che conduce una santa vita e che sente ogni sera ritrovarsi i diavoli che si riuniscono lì vicino per

parlare tra loro e con il loro “maestro” . Ascoltando tale conversazioni il santo eremita è venuto a

59

sapere della condotta ben poco retta di tanta gente. I racconti dell'eremita, forniti dal cappellano di

Florenziano, sono i capitoli conclusivi di questa appendice finale; il primo riguarda un altro eremita

che i diavoli erano riusciti a corrompere, mentre quello successivo il comportamento scorretto di un

contadino che nega l'elemosina a due chierici pur potendo fornirla. L'ultimo è infine a proposito di

santissimo prete che i diavoli provano invano a fuorviare tentandolo con una fanciulla che lui

stesso, per loro progetto, aveva trovato ed allevato come una figlia.

Maria termina il proprio arrangiamento poetico con una propria conclusione nel quale rivela il

proprio ruolo nella traduzione del testo latino e rammenta il motivo per il quale ha compiuto tale

lavoro:

Jo[e], Marie, ai mis, en memoire,

le livre de l'Espurgatoire

en romanz, k'il seit entendables

a laie genz e convenables.

Or[e] preiom Deu ke pur sa grace de nos pechiez mundes nus face87

Amen

Il successo del Purgatorio di San Patrizio

Come abbiamo avuto modo di dire, il Tractatus de Purgatorio sancti Patricii ebbe, come molti altri

testi relativi alle visioni, una grande diffusione in tutta l'Europa medievale. Infatti oltre ai grandi

numeri di manoscritti giunti fino a noi contenenti tale testo, la grande circolazione di questa

leggenda è attestata dalla gran moltitudine di pellegrini che ebbero come tappa finale Lough Derg.

Infatti il pellegrinaggio a Lough Derg, nonostante vari ostacoli incontrati nel corso della storia, è

attivo ancora oggi 88, tanto che moltissime persone vi si dirigono ogni anno, ripetendo un rituale

87 “Io, Maria ho tradotto il volgare il libro del Purgatorio, perché se ne mantenga il ricordo, in modo che sia comprensibile ed accessibile ai laici. Ora preghiamo Dio che con la sua grazia ci mondi dai nostri peccati”88 Si consiglia la visita del sito ufficiale http://www.loughderg.org/ se si volesse avere maggiori informazioni

sull'odierno complesso religioso presente a Lough Derg ed i pellegrinaggi organizzati.

60

che, seppur ridotto, ricalca l'ideologia di quello antico che abbiamo trovato descritto nel Tractatus: i

pellegrini difatti possono scegliere tra varie formule, ma generalmente il pellegrinaggio si svolge in

tre giorni (riduzione dei quindici giorni rituali per ovvi motivi) che terminano comunque anch'essi

con una veglia di ventiquattr'ore.

Il Tractatus venne quindi tradotto e volgarizzato in molti dialetti e diffuso tra tutti gli strati della

popolazione, è infatti molto probabile che tra i cantari religiosi dei poeti di strada e dei trovatori

medievali fosse incluso, oltre al Viaggio di San Brandano e ad altre visiones, anche la ricerca della

salvezza da parte del cavaliere Owain all'interno del Purgatorio. Contando solo i volgarizzamenti

nei dialetti italiani, Mario degli Innocenti ha rintracciato ben sette diverse redazioni di cui cinque

sembrano essere nate da una traduzione del testo latino ed altre due invece farebbero capo ad un

testo francese.89 Esse mantenendo quasi sempre fissa la struttura centrale operano però molti

cambiamenti: ad esempio nella redazione G, il nome del cavaliere non è più Owain, ma viene

cambiato in Alvise, oppure abbiamo la contaminazione tra più leggende diverse che portano

cambiamenti anche notevoli nel succedersi degli eventi.

Ma il Tractatus, per quanto importante e testimone esso stesso dell'importanza e della diffusione

che ebbe nel medioevo questa leggenda, non è l'unico testo che riporta avventure vissute all'interno

del Purgatorio di San Patrizio. Infatti prendendo in considerazione il tempo tra la sua “scoperta” e il

1497, quando, su ordine pontificio , viene distrutto, per colmo di ironia, proprio il giorno di San

Patrizio; si contano diversi pellegrini dei quali abbiamo, per fortunate circostanze, gli scritti relativi

a questa loro esperienza. Tutti riportano il Purgatorio di San Patrizio situato nel lago di Lough Derg,

convalidando la credenza riportata da Giraldo Cambrense nel testo di cui abbiamo trattato

precedentemente.90 Lough Derg era un luogo già pieno di magia: era infatti qui che si situavano

alcune leggende celtiche ed una di queste era proprio relativa al cambiamento del nome: oggi noto

come Lough Derg (ovvero Lago Rosso) a causa della caratteristica colorazione rossastra delle sue

acque, precedentemente tale lago era conosciuto come Lough Fen. Le sue acque hanno infatti un

colore rossastro dovuto sia alla confluenza di ruscelli che scorrono attraverso paludi e brughiere sia

ai moti delle maree che fanno sì che le acque del lago entrino in contatto con la flora presente

intorno al lago, ricca di minerale ferroso; ma questa spiegazione naturale e credibile era ben lontana

dalla mente dei celti che vi costruirono sopra una leggenda. Secondo tale mito c'era un tempo una

89 M. degli Innocenti, Redazioni italiane, cit.90 Si veda il paragrafo La nascita di una credenza posto ad inizio del II Capitolo.

61

strega, madre di un gigante, che insieme al figlio devastava i territori irlandesi portando morte e

distruzione. Il re, deciso a riportare la pace sulle sue terre decise di ricorrere all'aiuto dei propri

druidi, e, grazie a loro, apprende che la strega poteva essere vinta solo da una freccia d'argento

scagliata da un Fian91. Finn MacCumhaill, accompagnato da alcuni fidi compagni, si mise alla

ricerca della perfida strega, finché giunti nel Munster la trovarono intenta a raccogliere erbe mortali.

Il gigante scorgendo i guerrieri cercò di mettere in salvo la madre, e caricatosela sulle spalle iniziò a

scappare. Ma prima che si allontanassero, Finn scagliò la freccia d'argento, colpendo la strega nel

cuore. Il gigante non se ne accorse e continuò perciò a correre, arrivando fin nel Donegal, dove

fermandosi per recuperare il respiro, si accorse che della madre erano rimasti solo dei resti

scheletrici, di cui si liberò gettandoli a terra. Qualche anno dopo quegli stessi resti furono ritrovati

da alcuni Fianna impegnati in una battuta di caccia. Apparve loro un nano che li avvertì di non

rompere per nessun motivo il femore in quanto al suo interno era nato un verme velenosissimo, che

se avesse trovato dell'acqua, avrebbe potuto devastare l'intero mondo. Conan Maol nonostante il

savio consiglio ricevuto, ruppe l'osso e trafitto il lungo verme che ne uscì con una lancia, lo gettò

nel lago per affogarlo. Ma così facendo, diede vita ad un terribile mostro che iniziò a divorare

centinaia di persone. Finn scoprì che il mostro aveva un solo punto vulnerabile, nel fianco sinistro, e

così, armato della propria spada, affrontò la bestia, riuscendone ad avere ragione. Il sangue rosso

che uscì dal gigantesco verme colorò l'acqua del lago di rosso, che cambiò così nome in Lough

Derg.92

La leggenda del Purgatorio di San Patrizio dovette presumibilmente anche molta della propria

notorietà ai religiosi che la usavano nei loro sermoni e predicazioni, quale esempio atto ad

intimorire l'uomo ed evitare che mettesse in pericolo la propria anima peccando e conducendo una

vita poco giusta. A sostegno di questa tesi abbiamo un importante documento: la leggenda del

cavaliere Owain si ritrova infatti in una delle più estese e famose raccolte di storie, aneddoti e

91 Fian, al plurale Fianna è una parola che denota una classe di guerrieri irlandesi che sono spesso presenti nelle favole e leggende irlandesi. Questa è la definizione riportata dal Dictionary of the Irish Language, Royal Irish Academy, disponibile online (http://edil.qub.ac.uk/dictionary/advsearch.php ): “a band of roving men whose principal occupations were hunting and war, also a troop of professional fighting-men under a leader” , nello specifico la pagina relativa alla voce fian: http://edil.qub.ac.uk/dictionary/index2.php?letter=F&&column=117 (data di consultazione 2/09/2013)

92 La leggenda è riportata dal Villari, Antiche leggende e tradizioni che illustrano la Divina Commedia, 1865, pag. 32. Un'altra versione più accurata la si può trovare invece in St. J. D. Seymour, Saint Patrick's Purgatory, a medieval pilgrimage in Ireland, Dundalk 1918, pp. 7-10 . Questa leggenda è contenuta inoltre anche in T. Wright, J. Russel Smith, St. Patrick's Purgatory, an essay on the legends, , London, 1844, pp. 2-13. Seymour riporta anche altre varianti della leggenda: in una di esse è lo stesso Conan Maol a combattere la bestia, le cui ossa una volta sconfitta diventano magicamente pietra; queste rocce sono visibili tutt'ora in una parte di Station Island.

62

racconti, che dovevano aiutare nel loro compito i frati predicatori: il De septem donis spiritus

sancti, redatto dal celebre Stefano di Bourbon, frate domenicano nato a Belleville-sur-Saone

nell'ultimo decennio del XIII secolo e morto all'incirca nel 1261. Nella prima parte dell'opera,

dedicata al dono del timore, al capitolo V, si ritrova appunto la nostra leggenda. La si ritrova anche

nel trattato seguente scritto da Umberto da Romans, Generale dell'ordine domenicano, nato circa nel

1200 e morto nel 1277: il Tractatus de septemplici timore, che altro non è, se non una nuova libera

elaborazione delle prima parte del trattato di Stefano da Bourbon. 93

Cavalieri e pellegrini, l'avventura cavalleresca e il Purgatorio

Consideriamo quindi la moltitudine di pellegrini che si sono avvicendati nella visita e nella veglia

durante il Medioevo: la maggior parte vi giunge per motivi penitenziali, ma sono rintracciabili

anche motivi ed ispirazioni diverse, connesse magari al desiderio di conoscenza effettuate con lo

spirito di un'avventura cavalleresca.94 Un esempio è sicuramente Malatesta, come vedremo a breve,

che vi si dirige non tanto per rassicurarsi del destino dell'amata nell'altra vita quanto per una

semplice nostalgia perfettamente umana e per il desiderio di poterla rivedere ancora una volta.

L'avventura di Owain, quasi una forma di ordalìa, è strettamente collegata alle antiche tradizioni

celtiche. Cardini ad esempio, focalizzandosi sul comportamento tenuto dal vescovo e dal priore che

sconsigliano al cavaliere di procedere nell'impresa, vede il Purgatorio come l'eredità di un

nekyomanteion , un passaggio verso il mondo delle ombre dei defunti presente nella letteratura e

credenze celtiche. Quello che è certo, come abbiamo potuto leggere dallo stesso testo riferito ad

Owain, è che l'avventura cavalleresca è strettamente collegata a questa credenza, anche se

certamente, non ai livelli della caverna della Sibilla, altro luogo di pellegrinaggio che aveva però un

carattere unicamente magico e pagano, di cui si legge in molte avventure cavalleresche e che, per

questo, molti hanno ipotizzato essere stato solo un'invenzione letteraria. In realtà la caverna sul

Monte Vettore c'è davvero ed alcuni reperti archeologici ne mostrano una frequentazione antica. 95

Anche il rituale per poter accedere al Purgatorio di San Patrizio ha parecchie analogie con il mondo

93 L. Frati, Il Purgatorio di San Patrizio secondo Stefano di Bourbon e Umberto da Romans, “Giornale Storico della letteratura italiana”, vol. 8 (1886), pp. 140-17994 F.Cardini, L'acciar dei cavalieri, Le lettere, 1997; pag 35-60.95 Ibidem

63

cavalleresco e, più precisamente, ricorda quello descritto da Andrea da Barberino nel libro del

Guerrin Meschino. Guerrino, il protagonista di questo testo, viene a sapere dell'esistenza della savia

Sibilla e decide così di inoltrarsi nella visita nonostante riceva più volte avvertimenti di non

procedere nelle proprie intenzioni: prima da chi gli indica il luogo e poi dai monaci che ne

custodivano l'entrata, in un modo molto simile a quello che ritroviamo nel Tractatus.96

Così probabilmente, oltre ai predicatori, che usavano le storie sul Purgatorio di San Patrizio per

infondere un timore reverenziale in Dio e per convincere il popolo a condurre una retta vita,

mediante le visioni prima delle pene infernali, poi della gioia degli eletti, in un modo

sorprendentemente simile al cosiddetto “prima il bastone e poi la carota”; ad incrementare il

successo di questa leggenda avranno contribuito molto i cantori medievali, i quali, oltre ad avere nei

propri repertori anche religiosi riguardanti la bibbia o relativi alle imprese cavalleresche di Artù e di

Orlando, ne avevano altri che trattavano della leggenda del Purgatorio o Pozzo di San Patrizio così

come dell'avventura di Tungdal e di S. Brandano.

Pellegrini in cerca di salvezza: testimonianze dall'aldilà

Vi sono molte testimonianze susseguenti riguardo ad altre esperienze avute da pellegrini nel

Purgatorio di San Patrizio. Procedendo in ordine temporale97 dopo l'avventura di Owain narrata da

H. ritroviamo la discesa che vi compì Malatesta da Rimini, detto l'Ungaro in seguito alla sua

nomina a cavaliere, fatta da Ludovico re d'Ungheria nel 1347, che assieme a Niccolò de Beccari

intraprese questo insidioso pellegrinaggio nel 1358. Una fonte per questo viaggio si ritrova nel

Fons memorabilium universi, di Domenico di Bandino d'Arezzo, che però, si mostra scettico al

riguardo. La conferma invece che tale visita fu compiuta dal celebre condottiero italiano, proviene

da un documento presente nella raccolta del Rymer, nel quale con sicurezza viene nominato il

grande condottiero ed il suo relativo viaggio al Purgatorio di San Patrizio. Il documento porta con

sé la data in cui fu rilasciato: 24 ottobre, del 1358.98 La storia di Malatesta in realtà non finisce qui:

96 Andrea da Barberino, Guerrin Meschino, Libro V, Capitoli 1-5.97 Per scrivere questo paragrafo ho basato il lavoro su quanto contenuto in L. Frati, Tradizioni storiche, cit., in St. J. D.

Seymour, Saint Patrick's Purgatory, cit. , e in T. Wright, St. Patrick's Purgatory,cit.98 Il documento che proviene da Rymer, Foedera, Conventiones, Literae, etc., t. II, P.1, p.174 è riportato,

semplificandone così di molto la ricerca,nella prima appendice dell'articolo redatto da Frati, Tradizioni storiche, cit. pag. 74

64

a quanto riportano alcune fonti egli intraprese questo viaggio per amore della bella Viola Novella,

un viaggio il cui scopo non era semplicemente vedere il destino riservato alla sua amante,

tristemente uccisa dal marito, ma comunicare con essa, ed ottenere nuovamente anche solo per poco

tempo, un prolungamento del rapporto d'amore avuto in vita99. I pellegrinaggi erano esperienze

frequentemente vissute nelle grandi e potenti famiglie italiane. Lo stesso Malatesta aveva già

viaggiato,quasi dieci anni prima, nel 1349, alla volta di Gerusalemme accompagnando in

pellegrinaggio Galeotto Malatesta, all'epoca signore di Rimini.100

Altra conferma della veridicità di tale visita in Irlanda da parte del condottiero di Rimini proviene

da un altro pellegrino: Lodovico di Sur. Egli infatti si dirigerà alla volta dell'Irlanda, in

pellegrinaggio verso il fatidico luogo, nel quale avrà una visione che ci è stata tramandata dal

codice 3160 (cart. 259a – 261b) della Biblioteca Palatina di Vienna.101 E proprio in questo testo,

Lodovico afferma di aver visto all'uscita del Purgatorio dopo la visione avuta il 17 settembre

Malatesta l'Ungaro seguito da una grande processione. Anche la data riportata si trova ad essere in

linea con i dati in nostro possesso, avendo la patente rilasciata a Malatesta da Edoardo III che attesta

la riuscita del pellegrinaggio, data 24 ottobre.

Abbiamo così conosciuto un altro pio pellegrino che si diresse in questo luogo: Lodovico di Sur.

Egli ci narra che dopo quindici giorni di penitenza, duranti i quali si era nutrito solo con una

scodella d'orzo mescolato con il latte, accompagnato o da semplice acqua o da altro latte, venne

condotto da dodici monaci ad una grotta, lunga sette passi, larga due ed alta solo quattro palmi e

chiuso qui dentro. È questa probabilmente una descrizione reale di quello che doveva essere il

Purgatorio di San Patrizio: una fossa, caverna od altro, nel quale il pellegrino dopo quindici giorni

di stenti, veniva rinchiuso per un giorno intero. Da qui il testo diventa più letterario e meno

realistico, recuperando la visione di Owain e facendola propria: dopo mezz'ora che era all'interno

del Purgatorio venne da lui un uomo vestito di bianco che lo esortò ad intraprendere il viaggio: con

grande splendore apparirono delle scale che, percorse, lo condussero dopo circa due miglia ad una

gran sala con una splendida cattedra. Verso di lui si diresse un bianco frate con una croce in mano,

seguito da due monaci dei quali uno aveva una mitra in testa. Il frate fattosi il segno della croce

sembrò quasi rimproverarlo per aver scelto questa difficile via di redenzione, ma continuò dicendo

99 Cardini, L'acciar dei cavalieri, Le Lettere, 1997 pag. 43100 Ibidem, pag 42101 Queste informazioni risultano essere datate: sono i rimandi compiuti da Frati nel 1891 (L. Frati, Tradizioni storiche,

cit.). Fortunatamente anche in questo caso, riuscendone ad ottenere una copia dei testi di cui parla ne ha potuta pubblicare in appendice all'articolo, una parte: pp.76-79

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che Dio avrebbe avuto pietà di lui ma che sarebbe comunque stato messo alla prova dalle tentazioni

di donne e donzelle bellissime. Ogni volta che si sarebbe trovato in pericolo si sarebbe dovuto

segnare per tre volte in fronte dicendo verbum caro factum est et habitavit in nobis; così facendo

non avrebbe avuto niente da temere. Si ritrova dunque un elemento di novità: la tentazione di

bellissime donne. Si noti poi come il visionario continua e continuerà sempre ad essere solo, senza

guida, ma che vi saranno sempre questi frati bianchi ad inizio del cammino che forniranno all'eroe

di turno il “mezzo magico”: per Owain il nome di Gesù, per Ludovico una preghiera da

pronunciare. La differenza tra le due visioni sta negli attimi immediatamente dopo l'incontro con i

monaci: Owain venne infatti assalito da una turba di demoni, Lodovico invece, venne avvicinato da

molte donne che cercarono di sedurlo accogliendolo cortesemente con ogni possibile lusinga.

Queste tentazioni femminili continueranno anche successivamente quando Lodovico affronterà le

visioni delle pene infernali che nel primo e nel secondo campo saranno identiche a quelle descritte

nel Tractatus. Il terzo campo sarà invece differente: infatti nella propria visione Lodovico si trovò

davanti ad un pieno di monache e li vicino vide una fossa piena d'acqua bollente entro la quale

trovavano il loro castigo gli avari: ai quali veniva versato nella bocca oro ed argento fuso. Il

pellegrino proseguì trovandosi davanti, esattamente come Owain, prima la ruota infuocata, poi

un'immensa fornace, castigo per gli invidiosi e per coloro che avevano compiuto falsi sacramenti,

ed infine il ponte. Mentre era impegnato nell'attraversarlo incontrò un uomo che portava con sé un

cavallo baio e fu per questo costretto a tornare indietro: episodio questo che pare una chiara

contaminazione da parte della Visio Tungdali ; nel quale il visionario, che portava con sé una

mucca, aveva trovato mentre attraversava il ponte chiodato, un contadino con un sacco di grano.

Dopo il ponte al contrario di quanto scritto nel Tractatus apparve a Lodovico un uomo vestito di

bianco che lo portò a vedere altri tormenti e solo dopo la visione di molti altri peccatori fu libero di

procedere su una strada che dopo altre venti miglia lo condusse ad una città circondata da un muro

d'argento in cui venne guidato da due vescovi che gli si fecero innanzi. All'interno entrò in una gran

sala con cattedre e panche d'oro dove vide molte nobili persone che tenevano cappelli d'oro in

mano. Continuando il viaggio giunse a giardini circondati da mura d'oro e ad una città anch'essa con

mura d'oro che conteneva altri giardini. Più che si procede, come in quasi tutte le visioni, più che i

gradi di gioia, bellezza, luminosità aumentano. Dall'alto di una torre vide una grande pianura che

superava tutto ciò che aveva visto fino ad ora per bellezza; elemento che ha un che di originale ma

che può ricordare da vicino ciò che è raccontato nella Visio Tungdali102. Quella valle era riservata a

102 Si fa riferimento a quanto a Tungdal è permesso di osservare dall'alto tutto l'aldilà

66

coloro che avevano osservato fino alla morte la legge di Dio. Dopo tale vista Lodovico fu libero di

ritornare indietro e, all'uscita del Purgatorio, trovò, come anticipato, la processione che stava, oltre

che venendo a riprendere lui, accompagnando Malatesta e Niccolò alla loro veglia.

Due anni dopo, il 25 aprile lo excelentisimo chavaliero miser Lodovico de Franza de la cità de

Anchiopdia, homo, chomo conpresi nel mio aspecto, non molto parlante, despriziando el mondo e

astegniandose da li pechati, peligranando, vegliando et orando; abiando molte persone ditoli fra

Tadio di Gualandi da Pissa, indegno fra menor, letor de Santa Maria de Aracelli, partito di Roma,

essere stato nel purgatorio di San Patrizio in Bretania, el dito chavaliero fu preso dal desiderio

d'imitare l'esempio di fra Taddeo Gualandi andando al purgatorio di S. Patrizio per penitenza de'

suoi peccati. 103 Quindi Lodovico di Francia nel 1360 si imbarca nell'impresa dopo aver saputo che

un frate minore di Pisa, tal Taddeo Gualandi, aveva visitato con successo tal luogo. La visione che

abbiamo qui descritta è molto simile a quella di quel Lodovico di Sur di cui si è trattato poc'anzi. Il

Frati sostiene che non vi sono basi per sostenere che i due fossero in realtà un'unica persona, in

quanto, oltre alle evidenti differenze di ordine cronologico, è molto più semplice sostenere che tali

visionari tendevano a copiarsi.104

È il 1397 quando abbiamo notizia di un altro importante visitatore: è Raimondo Visconte di

Perilhos, cavaliere di Rodi e ciambellano del Re di Francia, che dopo la morte di Giovanni I re

d'Aragona nel 1395, si dice abbia avuto il desiderio di scoprire quale sorte fosse toccata al proprio

re dopo la morte e decise così di entrare nel Purgatorio di San Patrizio; quasi come se fosse una

specie di Enea medievale 105. Le uniche differenze tra questa visione, che è stata riportata anche nel

Compendium historiae catholicae Iberniae di O'Sullevan106, e quella di Owain è che i monaci che lo

accolsero all'inizio del percorso furono dodici e non quindici, e che nel quarto campo, quando più

brevemente Owain trovò alcuni suoi compagni che aveva conosciuto in vita, Raimondo incontrò

Giovanni I d'Aragona, riuscendo così nell'intento. O'Sullivan situa l'avventura nel 1328, ma questo

ovviamente non è possibile: sia perché nel 1328 Giovanni I non era ancora nemmeno nato e quindi

non poteva minimamente essere già morto ed andato nell'aldilà, sia perché nella raccolta compiuta

103L.Frati, Tradizioni storiche , cit.. Frati fa riferimento al codice 384, classe I, del Museo Correr, scritto in volgare veneto della fine del XIV secolo.

104 Ibidem, pag 55105 Ibidem, pp. 47-48. Cfr. C. Di Fonzo, La leggenda del Purgatorio di S. Patrizio nella tradizione di commento

trecentesca, online: http://www.disp.let.uniroma1.it/fileservices/filesDISP/053-072_DI-FONZO.pdf (data di consultazione 20/07/2013) In quest'ultimo saggio il viaggio di Raimondo è datato erroneamente al 1328.

106 Lisbona, 1621, p.14. Purtroppo non sono riuscito a trovare il testo, la citazione proviene da quanto ci riferisce L. Frati, Tradizioni storiche, cit. pag. 47

67

dal Rymer,107 il salvacondotto per Raimondo, i suoi venti uomini e i trenta cavalli fu concesso

appunto nel 1397.

Un'altra testimonianza curiosa deriva dal cronista francese Froissart che nel suo viaggio in Irlanda

compiuto nel 1394 con William Lisle, parlando con quest'ultimo, affrontò l'argomento relativo al

Purgatorio di San Patrizio. Il Lisle risponse con sicurezza che la caverna esisteva davvero in quanto

lui stesso vi era andato restandoci, come da rituale, per una notte intera. Froissart gli chiese se

all'interno di questa avesse effettivamente avuto delle visioni e Lisle rispose che nella grotta un

caldo vapore gli fece perdere i sensi, cosicché dormì fino al mattino facendo dei sogni meravigliosi.

Questo è un particolare degno di nota in quanto introduce all'interno della vicenda relativa al

Purgatorio di San Patrizio la possibilità che alcune di queste visioni, oltre che alla depravazione

sensoriale108, derivassero da fumi allucinogeni. Siamo a fine del XIV secolo ed una piccola crepa

inizia ad apparire nella fiducia della realtà di tali visioni.

Ad inizio del nuovo secolo, più precisamente nel 1409, si trova documentata all'interno del ms. Reg.

17.B. XLIII (fol.133) del Museo Britannico, un'altra visione: quella avuta da Guglielmo di Stauton.

Questa esperienza è per la maggior parte simile a quella dei precedenti visionari, appare quindi

inutile soffermarsi nuovamente a descrivere i medesimi schemi e luoghi.109

Una delle più curiose ed al tempo stesso interessanti fonti proviene da una lettera che Antonio

Mannini spedisce a Corso di Giovanni Rustici, raccontatogli ciò che gli era accaduto nel proprio

viaggio. La lettera è riportata tra le ricordanze del fratello Salvestro110. Antonio inizia la lettera

citando Dante e più precisamente i versi:

Un solo punto m'è maggior letargo,

107 L. Frati, Tradizioni storiche ,cit. pag.48. Nell'appendice, a pag. 75 è poi riportato tale documento108 L'inganno dei sensi in un luogo nel quale in solitudine non abbiamo nessun possibile riferimento, come una grotta

buia, una stanza oscura insonorizzata o altri luoghi simili, è noto appunto come depravazione sensoriale.109 Per una migliore conoscenza al proposito cfr. St. J. D. Seymour, Saint Patrick's Purgatory, cit., pp 45-53110 Consiglio vivamente di leggere l'intera lettera che fortunatamente il Frati riporta in appendice in un altro suo

articolo: cfr. Frati, Il Purgatorio, cit., pp. 154-162. Devo segnalare purtroppo che i due articoli citati di Frati si contrappongono riguardo l'identificazione di quale fratello eseguì il pellegrinaggio: Nell'articolo del 1886 propende, dopo una buona spiegazione anche riguardo le vicende familiari della famiglia Mannini e del testo in cui tale lettera si trova, alla soluzione che ho riportato in testo: identifica il pellegrino in Antonio. Nell'articolo del 1891 invece indica Salvestro come pellegrino senza però fornire ulteriori spiegazioni: per cui nonostante sia cronologicamente più vecchio propenderei a seguire l'articolo del 1886. Inoltre nella suddetta lettera chi scrive raccomanda a Corso di far sapere alla moglie di raggiungerlo tramite il proprio fratello Salvestro, che di conseguenza è impossibilitato ad esserne l'autore.

68

Che venticinque secoli alla 'mpresa

Che fe' Nettuno ammirar l'ombra d'Argo111

L'intenzione del Mannini è quella di far capire a Corso quando sarà meraviglioso ciò che gli

racconterà:

Tu ti meraviglierai più, quando avrai letto questa mia lettera che forse non fe' Nettuno Iddio del

mare, che per ammirazione andò 2500 anni drieto ammirando quando prima vide la prima nave sul

mare navicare ch'avea fatta vela; ma de[h], Corso non ne avere maraviglia, chè la divina

misericordia è innumerabile.

Chiamando a testimone Dio ci informa della mala sfortuna che lo costrinse a restare a Dublino

impossibilitandolo a raggiungere l'amico a Londra. Ad un certo punto però il Mannini incontrò un

cavaliere ungherese, tal M. Lorenzo Rattoldi che si stava dirigendo in pellegrinaggio proprio al

Purgatorio di San Patrizio. Il Mannini aveva già avuto modo di pensare di intraprendere quel

pellegrinaggio, ma un prete, Antonio da Focha lo aveva fatto desistere dall'impresa dicendogli che

era troppo debole per affrontarla. L'incontro con il cavaliere cambiò però le idee del Mannini che

decise quindi di dirigersi là. Il 25 settembre il Mannini insieme al suo compagno partì così alla volta

di Lough Derg in un viaggio che lo avrebbe tenuto occupato per oltre tre mesi.

Antonio descrive quindi il luogo ove si trovava il Purgatorio e non ci sono dubbi sul fatto che tale

descrizione faccia riferimento al lago di Lough Derg:

La dov'è il Purgatorio è un lago intra altissimi monti, il qual'è propiamente come un pozzo, largo

dieci miglia intorno intorno, nel quale à 34 isole tra piccole e grandi. Nel detto lago, nell'isola

dov'è la Prioria, giungnemmo salvi giovedì a dì 4 di novembre, la quale isola è di lunge all'isola in

che [è] il Purgatorio dove gl'è,un miglio misurato per acqua; e la detta isola del Purgatorio è

lunga 129 passi, e larga 30 e a punto nel mezzo del detto lago.

Abbiamo quindi la descrizione del lago, e dell'isola nel quale sarebbe stato situato il Purgatorio. I

pellegrini iniziarono così, arrivati nella chiesa, il consueto cerimoniale: essi dovettero digiunare a

pane ed acqua. Nonostante il rito e la volontà dello stesso Antonio il priore non lasciò che egli

111 Dante, Divina Commedia, Par. Canto XXXIII, vv. 94-96

69

compisse il digiuno per più di tre giorni consecutivi a causa della stagione ed del grande freddo. Il

priore cercò di distoglierlo dalle sue intenzioni ma il Mannini rimase saldo nei suoi proponimenti e

così il 7 novembre 1411 si svegliò prima dell'alba e, detta la messa, fu comunicato dal priore e,

dopo un'ulteriore messa, fuaccompagnato da un frate, il cui nome era Giovanni, ad un piccolo

battello, che avrebbe contenuto a malapena quattro persone, con il quale essi avrebbero dovuto

raggiungere l'isola. Prima di partire ricevette i baci e la benedizione del priore, scalzo e senza

copricapo. Frate Giovanni iniziò a remare ma giunti a mezzo tiro d'arco dall'isola il Mannini vide

d'improvviso:

levarsi a volo un uccello nero più che carbone sanza niuna penna o coda su tutto il dosso, salvo il

vero, 4 o vero 5 penne in ciascuna alia, fatto propriamente alla forma d'uno Aghirone, salvo

alquanto più grande;

Subito una grande paura si impossessò del suo cuore accelerandone i battiti mentre i capelli gli si

drizzarono in testa. Il frate sapendo cosa rappresentava l'uccello si segnò 4 o 5 volte e alle prime

domande di Antonio su cosa fosse quell'uccello, rispose solo con Nihil, nihil est, non queritis, non

queritis, salvo poi raccomandargli di tenere salda la fede, particolare che aggiunse terrore e curiosità

al Mannini che iniziò a supplicare Giovanni di rivelare quanto sapeva in nome di Dio. Infine riuscì a

convincere il frate che raccontò che quando a San Patrizio venne rivelato questo accesso all'aldilà

molti vi entrarono senza fare più ritorno; cercandone la causa il nobile santo scoprì che era colpa di

un perverso dimonio, il quale si chiama Corna, che tentando i pellegrini, li conduceva alla morte.

Al che Patrizio iniziò a pregare molto Dio affinché togliesse al demonio le sue forze: ed infine Dio

apparve al santo dicendogli che aveva esaudito le sue preghiere; il demonio sarebbe stato da quel

momento legato nella forma di un uccello, non avrebbe potuto posarsi se non su roccia o alberi

secchi, né rimanere nell'isola del Purgatorio quando un pellegrino vi fosse arrivato ma sarebbe

rimasto per sempre confinato all'interno del lago. Il Frate aggiunse che quando Corna con il becco

aveva prodotto il suono di un corno, tal segno aveva sempre indicato la perdizione di colui che era

entrato nel Purgatorio.

Il battello si era ormai appressato all'isola e così il nocchiero si alzò per condurla sulla riva;

vedendolo, subito il Mannini fece la stessa cosa finendo però in acqua. Mentre andava a fondo si

ricordò di cosa gli aveva detto il priore: nei momenti di difficoltà egli avrebbe dovuto dire Domine

Jesu Christe fili Dei vivi, miserere peccatori. È ancora una volta una preghiera, la chiave per

risolvere le difficoltà. La particolarità è che trovandosi Antonio già in seri problemi, l'invocazione e

la preghiera venne effettuata prima ancora dell'entrata nel Purgatorio. Detta la preghiera con il

70

cuore, non potendoparlare sotto l'acqua, l'italiano tornò subito a galla e venne tratto in salvo

sull'isola dal frate che gli intimò di inginocchiarsi e pregare Dio per il pericolo appena scampato. In

modo miracoloso il Mannini nonostante la caduta fuori programma non si era bagnato, tanto che

ritrovò il libro che teneva sempre nella manica, completamente asciutto. Guardandosi intorno vide

una cappella:

In su la detta isola del Purgatorio ha una divotissima e piccola cappella, la quale è lunga 15

braccia e larga 7 ½.

Raggiunta la quale il frate scongiurò il pellegrino di non procedere oltre ma egli rimase saldo nelle

sue intenzioni e così il frate procedette in un rituale che troviamo qui descritto minuziosamente. Si

pose in ginocchio davanti all'altare, che aveva al di sopra un crocifisso intagliato, un'immagine della

Madonna con Gesù in braccio ed infine un'icona di San Patrizio:

E postomi in ginocchione mi trasse di dosso la gonna, il farsettino, la ove solo in camicia e in pani

di gamba rimasi, scalzo e sanza niente in capo. Di poi mi misse in dosso una veste bianca,

benedicendola prima con l'acqua benedetta, la quale è lunga sino a' piedi e più ½ braccio, fatta

come la veste bianca con che il prete va all'altare, che si chiama Dalmetica, e dette molte e certane

orazioni, ispargendomi adosso acqua benedetta, mi fece levare in pie' e per la mano dritta mi menò

sino all'uscio di detta Cappella, avendo in mano una croce suvi il Crocefisso; e puostomi supino a

giacere, come se fussi morto, mi serrò gli occhi, e comandommi non gli dovessi aprire sino a tanto

l'uficio fusse detto; le braccia mi pose in croce, e sopra 'l petto la croce, e detto sopra a me la

vigilia e tutto l'ufficio de' morti tre volte mi segnò con l'acqua benedetta con le propie orazioni e

solennità si fanno sopra un morto, né più né meno; onde di poi con le sue mani m'aperse gl'occhi e

la croce mi mise nella mia destra mano, e fecemi levare.

Il Mannini venne quindi trattato come una persona che in punto di morte, il che certamente deve

avere avuto su di lui un notevole peso psicologico sommandolo a tutto il resto a cui era già stato

sottoposto. Specifica, continuando a scrivere, quello che potevamo facilmente immaginare e cioè:

io era sì debole che sanza il suo aiuto non poteva stare su. La debolezza mostrata è probabilmente

autentica se si pensa agli stenti a cui era stato sottoposto e lo stress psicologico a cui era soggetto.

Prima di essere condotto alla porta del Purgatorio Antonio dovette dire altre orazioni guidato dal

frate, mentre compivano una processione compiendo tre volte il giro della cappella. La porta del

Purgatorio, ci rivela, è circa a cinque passi di costa a essa (si riferisce alla cappella) dalla parte

71

della Tramontana. Qui Giovanni cercò ancora una volta di distogliere l'italiano dal suo progetto

ricordandogli quanti vi erano morti o che per il terrore avevano perduto la memoria; ma Antonio fu

determinato e così tenendo la croce con la destra e pregando Dio entrò dentro il Purgatorio. Appena

fu entrato, viene riportato un altro curioso particolare: vide infatti un ragno grandissimo che sparì

dopo che ebbe pronunciato ancora una volta l'orazione. Venne poi chiuso a chiave lì dentro:

il quale luogo è largo tre piedi e lungo nove et alto tanto che un huomo vi puote stare ginocchione

ma non dritto Raxiona che gl'è a punto come un sepolcro, chè disopra è in volta ed è di verso il

mezzogiorno, cioè di verso la Cappella a una tornata di tre piedi lunga là ove il Priore mi disse

stessi.

È questa probabilmente una descrizione veritiera delle dimensioni del pozzo. Antonio qui ci

racconta fatti realmente accaduti: non c'è nulla di strano in un ragno o una caduta nel lago, anzi essi

appaiono molto probabili e realistici, così come l'uccello la cui stazza è probabilmente

un'esagerazione unita ad una possibile reale superstizione del luogo, che, abbiamo visto, era già da

tempo ambientazione di molte leggende. Inoltre dobbiamo ricordare che questa è una lettera privata

quindi non destinata alla pubblicazione e per questo acquista un ulteriore valore di verità. Più che

grotta o caverna ci troviamo quindi davanti, viste le dimensioni così ridotte, ad un “sepolcro”, una

“fossa”, definibile quasi, usando un termine ben poco colto ma che rende bene l'idea, un “buco”.

Tornando ad Antonio, egli iniziò a pregare secondo le disposizioni del Priore: i sette salmi

penitenziali ed un “Salve Regina” con quindici “Ave Maria”. Dette queste preghiere e affidandosi a

Dio per la salvezza della sua anima si addormentò.

(…) e così orando m'addormentai, o se in estasi l'anima mi fu tratta dal corpo, o se pure andai col

vero corpo, o come, io non te lo saprei dire; quello vidi e quello mi fu mostrato e quel feci non te lo

posso scrivere per lettera, né posso 'l dire se non in confessione; ma se mai a Dio piacerà ti

riveggia, tutto per ordine ti dirò.

Con queste parole Antonio spiega perché non tratterà delle visioni avute entro il Purgatorio; ma

sempre usando tali parole ci rivela i suoi dubbi: sogno o realtà? Il Mannini non lo sa, si mostra

cauto e non esclude niente; tenendo aperta sia la strada di una visione avuta solo con l'anima sia

quella che lo avrebbe portato a girovagare per i regni dell'aldilà con il proprio corpo. Saltando tutta

la visione, di cui non vuole parlare in lettera, ci narra dunque direttamente della riapertura della

porta: frate Giovanni tornò a riaprire la porta alla sera, e lo ritrovò come senza vita:

72

mi trovò sanza niuno spirito, o sanza alitare, e col capo appoggiato alla croce avea nella mia

destra mano; tutto il viso e le mani e gambe e piedi e quasi tutta la persona dice mi cercò, e

trovandomi più freddo che ghiaccio, dice dubitò della mia vita e presemi per lo braccio mancho,

scotendomi forte mi risvegliò.

A quanto pare le condizioni estreme avevano influito pesantemente sul nostro pellegrino che in fin

dei conti rischiò veramente la vita in questa avventura. Venne quindi portato con grande gioia nella

cappella dove, dopo aver ringraziato il Dio, fu libero di rimettersi i propri vestiti, e tornare all'isola

ove si trovava il monastero. Qui tutti si rallegrarono con lui per il buon esito dell'impresa. Ma, come

mai Giovanni tornò a riprenderlo la sera e non la mattina seguente come voleva la tradizione?

Antonio ci spiega che ritiene di esservi rimasto solo cinque ore e questo perché per il gran freddo

era pericoloso rimanervi di più; anche perché, ricordiamo, il pellegrino vi entrava quasi nudo. Fu

quindi il saggio ordine dato dal priore che salvò la vita del Mannini. A questo punto Antonio prega

Corso affinché scriva a sua moglie e suo figlio chiedendogli di raggiungerlo in quanto durante la

visione aveva ricevuto la conoscenza di come recuperare il suo stato e il suo onore e per questo

avrebbe dovuto fondare una chiesa, in un paese chiamato Doverano. Dopo qualche altra

raccomandazione fatta nei confronti del cavaliere M. Lorenzo Rattoldi cavaliere del re d'Ungheria,

che si capisce essere il portatore della missiva, Antonio saluta Corso, chiudendo la lettera.

Finisce in questo modo una delle più curiose e, a mio avviso, importanti testimonianze sul

Purgatorio di San Patrizio. È infatti probabile che sia una testimonianza relativamente veritiera di

un pellegrinaggio medievale in questo luogo: il freddo, la fame, gli stenti, la condizione psicologica,

emergono bene da questa missiva; così come i rituali ed allo stesso tempo le eccezioni ad essi. Non

è difficile pensare quindi che effettivamente alcune persone potessero aver perso la vita in questo

viaggio né che avessero delle visioni dovute alle estreme condizioni in cui si trovavano.

Il pellegrinaggio continua ad attirare fedeli da tutta l'Europa ma a fine del XV secolo vi giunge un

pellegrino particolare: è un monaco olandese del monastero di Eymstadt. Questi nel 1494 affronta il

pellegrinaggio al Purgatorio di S. Patrizio, una volta giunto però, il Priore lo informa che per

accedere serve il permesso del vescovo. Ma il vescovo per fornire la licenza chiede un pagamento,

che il monaco, essendo povero, non può fornire. Dopo molte preghiere riesce ad ottenerlo ma le

difficoltà da superare sono ancora molte: deve ora presentarsi al proprietario delle terre su cui si

trova l'isola ed anch'egli chiede un compenso per fornirgli la licenza. Ottenuta infine anche questa, è

73

il priore del monastero che domanda altro denaro al povero monaco per farlo accedere a quel luogo.

Passate tutte queste difficoltà è finalmente libero di accedere al celebre Purgatorio. Dalla

descrizione sembra un posto differente rispetto a quello visitato dal Mannini e da quello descritto da

Lodovico di Sur: per accedervi infatti il monaco di Eymstadt vi ci è calato dentro. Lì trascorre una

notte intera a tremare per il freddo e la paura senza che né la sua anima né il suo corpo effettuino

alcun viaggio di redenzione nei regni dell'aldilà e una volta uscito si incammina alla volta di Roma,

sdegnato da una simile truffa: pensa infatti che il Purgatorio sia realmente esistito ma essendo ormai

l'Irlanda interamente cattolica non vi è più necessità di mostrare le pene ed i gaudi che sono riservati

alle anime post mortem, e per questo Dio si è ripreso ciò che aveva dato; ma gli irlandesi, per poter

guadagnare, continuano a sfruttare la leggenda e a rendere tale luogo meta di pellegrini. Come fu di

questo informato, Alessandro VI ordinò immediatamente che tale luogo venisse distrutto: e così nel

1497 durante il giorno di San Patrizio venne demolito.

Una credenza a prova di distruzione

Non si deve credere però che la distruzione della caverna abbia determinato la fine del Purgatorio di

San Patrizio. Il Frati riporta infatti che negli annali dell'Ulster del 1497112, oltre ad esservi presente

la descrizione della distruzione della grotta ad opera del guardiano di Donegaul e da persone del

Decanato di Lough Dirn inviate appositamente dal vescovo secondo gli ordini papali, vi è riportato

di come l'accesso al Purgatorio venne spostato ad un'altra isola nel medesimo lago. Oltre a cambiare

punto d'accesso cambiarono anche altre cose: infatti mentre prima era permesso il pellegrinaggio

solo a persone di alta estrazione sociale, ora diventò libero, attirando così pellegrini di ogni classe

sociale e di ogni età. Inoltre non era più richiesto alcun tributo da depositare presso il vescovo ma

solo una donazione da effettuare a beneficio del custode del luogo. Nonostante l'ordine papale

quindi il pellegrinaggio al Purgatorio rimase molto presente tra la popolazione, anzi, con la nuova

apertura a tutte le classi sociale è probabile che la notorietà del luogo sia aumentata tanto da attirare

l'attenzione della corona inglese, che vide tutte le attenzioni e il potere che aveva tale luogo come

un possibile pericolo. Cosi servendosi dei lords justices d'Irlanda ordinò che fosse nuovamente

112 L. Frati, Tradizioni storiche , cit., pag. 63

74

demolito e proibì ad ogni convento di ricevere ed ospitare pellegrini113. Era il 13 settembre del 1632;

ma non bastò nemmeno questo: infatti sappiamo di un ulteriore ordine di distruzione relativo al

Purgatorio di San Patrizio datato nel 1703 durante il regno della regina Anna. Questo ci indica che

probabilmente gli effetti subiti nel 1632 non riuscirono a cancellare la forza di questa credenza che

continuò nonostante i divieti e le proibizioni a crescere di notorietà. A dimostrazione di questo

abbiamo la descrizione delle cerimonie di ingresso, evidentemente all'epoca ancora presenti,

nell'opera Treatise of Patrick's Purgatory del Dr. Jones, vescovo di Clogher, datata al 1647. Nel

1636 tale leggenda aveva fatto da sfondo scenico per un'opera teatrale redatta dal poeta Calderon,

opera che a sua volta fu di ispirazione per una ballata spagnola, La cueeva de San Patricio,

impressa a Madrid nel 1764. Addirittura accenni a questo luogo si ritrovano in Shakespeare,

quando Amleto incontra nel I atto, scena IV, il fantasma di suo padre. Il pellegrinaggio è rimasto in

vita fino ad oggi, e nella stagione estiva accoglie ancora migliaia di visitatori; ai tempi in cui L.

Frati scriveva, lui stesso ci informa che erano così tanti che si potevano tranquillamente vedere

intenti nel pellegrinaggio novecento o mille viaggiatori. Ad oggi come detto, è rimasta ancora

qualche traccia del cerimoniale medievale: il pellegrinaggio si svolge in tre giorni e termina con una

veglia di ventiquattr'ore che tenderebbe a riprendere la veglia che gli antichi viaggiatori dovevano

intraprendere all'interno del Purgatorio.

113 Ibidem pp 64-65

75

Tabella Cronologica dei pellegrini

Piccola tabella cronologica relativa alle visite documentate al Purgatorio di San Patrizio di cui si è

trattato:114

Cavaliere Owain 1135-1154

Malatesta da Rimini e Niccolò de Beccari 1358

Lodovico di Sur 1358

Lodovico di Francia 1360

Raimondo Visconte di Perilhos 1397

William Lisle Fine '300

Guglielmo di Stauton 1409

Antonio Mannini 1411

Monaco di Eymstadt (che porta alla distruzione) 1494

114 Raccomando a chi volesse approfondire l'argomento relativo a tutti i pellegrini di cui ci è arrivata notizia, l'ottimo elenco redatto da St. Jhon D.Seymour, Saint Patrick's Purgatory, cit., pp 21-24.

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