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I 900 ANNI DELLA BASILICA DELLA SS. TRINITÀ DI SACCARGIA a cura di Giovanni Strinna e Massimiliano Vidili Atti del convegno di Saccargia (Codrongianos) 15 dicembre 2012 e des EDITRICE DEMOCRATICA SARDA

I vescovi della provincia ecclesiastica di Torres e gli Ordini monastici (1060-1216)

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I 900 ANNI DELLA BASILICADELLA SS. TRINITÀDI SACCARGIA

a cura di Giovanni Strinna e Massimiliano Vidili

Atti del convegno di Saccargia (Codrongianos)

15 dicembre 2012

edesEDITRICE DEMOCRATICA SARDA

ISBN 978-88-6025-330-9

edesEditrice Democratica SardaPiazzale Segni, 1 - Tel. 079.262236

07100 Sassari

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2014

Con il contributo di

Fondazione Banco di Sardegna

Regione Sardegna

Comune di Codrongianos

Progetto Alle radici dell’identità. Linguaggi

e rappresentazioni del potere nella Sardegna medievale

(CRP-26114). Legge Reg.le 7 agosto 2007, n. 7, Annualità 2010.

Quaderni di Sandalion 14

Massimiliano Vidili

I VESCOVI DELLA PROVINCIA ECCLESIASTICA DI TORRES E GLI ORDINI MONASTICI (1060-1216)

I primi contatti tra i vescovi della provincia ecclesiastica turritana e gli Ordinimonastici sono attestati agli esordi del XII secolo in relazione all’insediamento deiCassinesi, dei Camaldolesi e dei Vallombrosani nel regno turritano. Infatti, la Chro-nica Casinensis non menziona i vescovi del giudicato di Torres riguardo ai primicontatti con Montecassino, che furono avviati e condotti dal giudice Barisone at-torno al 10631, e gli stessi presuli non sono presenti nemmeno quando la secondaspedizione cassinese fu portata a termine con la donazione di S. Maria di Bubalise S. Elia di Montesanto (1065): è molto probabile che, in assenza di una provinciaecclesiastica di Torres – la cui istituzione è collocabile entro il 1073, durante un si-nodo riunito nell’Isola da un legato pontificio2 –, i vescovi del regno turritano nonavessero ancora l’influenza e la visibilità che avrebbero mostrato a partire dalsecolo successivo negli atti di donazione a favore degli Ordini monastici.

L’obiettivo del presente lavoro consiste nell’esaminare il ruolo svolto dall’epi-scopato turritano nelle donazioni monastiche del XII secolo e i conflitti sorti tra ilclero secolare e quello regolare; in seguito, tratteremo brevemente la posizione as-sunta dai pontefici verso i monasteri sardi e la presenza di monaci nelle cronotassi

1 Chronica Monasterii Casinensis, ed. H. Hoffmann (Monumenta Germaniae Historica, Scriptores34), Hannover 1980, pp. 387-389. Sui motivi che determinarono la diffusione delle fondazioni monastichenell’Isola, cfr. TURTAS, Storia della Chiesa cit., pp. 214-216.

2 Riguardo alla modifica della mappa ecclesiastica sarda e alla creazione delle province ecclesiastichedi Torres e di Arborea (anni ’60-’70 dell’XI secolo), si vedano R. TURTAS, Storia della Chiesa in Sardegna.Dalle origini al Duemila, Roma 1999, pp. 179-188 e M. VIDILI, Per una mappa ecclesiastica della Sardegnadal V all’XI secolo, in c.d.s.

Per un quadro generale delle fondazioni monastiche nell’Isola, si veda il fondamentale TURTAS, Storiadella Chiesa cit., pp. 213-245, con ampia bibliografia. Si vedano inoltre ID., La Chiesa sarda all’epoca dell’arrivodei Camaldolesi, nel presente volume; ID., Monachesimo medievale in Sardegna (metà sec. XI – metà sec. XII),in Per Sardiniae insulam constituti. Gli ordini religiosi nel Medioevo sardo (Vita regularis. Abhanlungen 62),P. Piatti - M. Vidili (Eds), Münster - Berlin - Wien - Zürich - London 2014, pp. 73-103; G. COLOMBINI, DaiCassinesi ai Cistercensi. Il monachesimo benedettino in Sardegna nell’età giudicale (XI-XIII), Cagliari 2012. Sulcontesto della riforma gregoriana, si vedano, per un inquadramento generale, F. MAZEL, Pour une redéfinitonde la réforme «grégorienne». Élements d’introduction, «Cahiers de Fenjeaux», 48 (2013), pp. 9-38, e, per laSardegna, M. LAUWERS, Reforme, romanisation, colonisation? Les moines de Saint-Victor de Marseille en Sar-daigne (seconde moitié XI siècle-première moitié XII siècle), ivi, pp. 229-282.

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vescovili della provincia turritana. L’arco cronologico di riferimento è compresotra i pontificati di Alessandro II e Innocenzo III (1060-1216)3.

1. I vescovi della provincia turritana e le donazione monastiche

Attorno al 1112 Furato de Gitil e sua moglie Susanna Dezzori accordaronouna ricca dotazione di terre, servi, beni mobili e immobili alla chiesa di S. Nicolade Soliu4, fatta costruire dagli stessi coniugi e unita anni prima alla chiesa di S.Maria de Soliu dal giudice Costantino e da sua moglie Marcusa5. Con un secondodocumento contemporaneo o immediatamente successivo al primo, Furato e Su-sanna la donarono a Montecassino con tutte le sue pertinenze6. Entrambi gli attifurono emanati «cun boluntate» del giudice, di sua moglie Marcusa e dell’arcive-scovo turritano Attone7. Nel secondo, il sostegno vescovile alla donazione è testi-moniato anche dal consenso di Bonu, «piscopu […] ci lu teneat tando su piscopiude Inpuriu», ovvero di Ampurias, nella cui diocesi era ubicata la chiesa di S.Nicola8. Prima del dicembre 1112, lo stesso metropolita turritano e Nicola, vescovodi Ampurias, acconsentirono alla donazione della chiesa di S. Pietro de Simbranos,

3 La scelta dell’arco cronologico è giustificata da due eventi: le prime fondazioni cassinesi durante ilpontificato di Alessandro II e l’ultima notizia sulla controversia con S. Pietro di Nurki, attestata duranteil pontificato di Innocenzo III.

4 A. SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale : note storiche e codice diplomatico sardo-cassinese.Montecassino 1927, doc. XVI , pp. 162-165, 1122; M.G. SANNA, Osservazioni cronotattiche e storiche sualcuni documenti relativi all’espansione cassinese nella diocesi di Ampurias fino alla metà del XII secolo, inCastelsardo. Novecento anni di storia, a cura di A. Mattone - A. Soddu, Roma 2007, p. 226: «<paulo anteo contemporanea a 1101>, comunque <paulo ante o 1112> aprile 25» (per i documenti editi da Saba, siadotteranno le datazioni proposte da Sanna); E. BLASCO FERRER, Crestomazia sarda dei primi secoli, 1,Nuoro 2003, pp. 160-164, dove il documento è datato «ca. 1122».

5 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XIX, pp. 170-172, 1127 settembre 13;SANNA, Osservazioni cronotattiche cit., p. 226: «<1098-1099>, comunque <ante o 1111> settembre 13».

6 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XII, pp. 153-155, 1122(?) aprile 25; SANNA,Osservazioni cronotattiche cit., p. 226: « <1101>, comunque <ante o 1112> aprile 25, Ardara».

7 Nella cronotassi degli arcivescovi di Torres nella prima metà del sec. XII sono attestati tre metropolitidi nome Attone, il primo dei quali in sede nel 1112-ante 1116: cfr. M. VIDILI, La cronotassi documentatadegli arcivescovi di Torres dal 1065 al 1298, «Bollettino di studi sardi», I (2008), pp. 84-86. In rettifica allavoro appena citato, bisogna osservare che molto probabilmente l’Attone menzionato nella donazionedi S. Nicola de Soliu fu lo stesso Attone attestato dal 1112, come da me supposto (ivi, pp. 85-86, nota 16),il cui episcopato sarebbe da retrodatare al 1101 in forza della presenza di Bonu di Ampurias. Sembra dif-ficile che quest’ultimo abbia potuto governare la diocesi immediatamente a ridosso dell’episcopato diNicola, attestato al 1112 (vedi nota 9). Pertanto, in questa sede si assume come data del documento didonazione il 25 aprile 1101, come suggerito da Sanna, da preferire alla seconda data proposta (ante o1112 aprile 25).

8 Per l’episcopato di Bonu, si veda la nota 7.

sita nella diocesi ampuriense, compiuta da Costantino de Carbian e sua moglieGiorgia de Zzori a favore dei Cassinesi9.

Il 30 aprile 1112 il giudice turritano Costantino, con il consenso di sua moglieMarcusa, donava la chiesa di S. Pietro di Scano, sita nella diocesi di Bosa, a S. Sal-vatore di Camaldoli con la conferma e la sottoscrizione del vescovo Pietro («EgoPetrus episcopus Bosane ecclesie confirmo et manu mea subscribo»)10. Il 13 di-cembre 1112 il metropolita turritano Attone, nel confermare la stessa donazione aGuido, priore dell’eremo di Camaldoli, aggiunse privilegi di natura giurisdizionalee finanziaria a favore della chiesa: immunità di tutti i beni da qualsiasi autoritàtemporale o spirituale, diritto di conservare le decime e di ricevere donazioni, te-stamenti e sepolture e divieto per qualsiasi ecclesiastico di celebrare la messa nellachiesa senza il consenso del rettore. L’atto fu seguito, il 16 dicembre 1112, da unintervento analogo di conferma ai Camaldolesi della donazione della chiesa dellaSS. Trinità di Saccargia, sita nella diocesi di Ploaghe, compiuta anch’essa dalgiudice Costantino con il consenso della moglie, con il quale l’arcivescovo di Torresconcesse all’abate e ai monaci l’esenzione dalla giurisdizione episcopale, il liberoesercizio della cura animarum all’interno delle chiese del monastero e la facoltà diricevere decime e donazioni11. Il metropolita turritano rinunciò ad alcuni dirittitipici della potestas episcopale – amministrazione del sacramento dell’ordine, con-sacrazione degli altari, facoltà di scomunicare, di sospendere dall’ufficio e di con-vocare al sinodo l’abate, i monaci e i sacerdoti –, accordando privilegi più ampi diquelli concessi a S. Pietro di Scano, che resero l’abbazia di Saccargia un ente ec-clesiastico autonomo dall’episcopato: di fatto, agendo come garante dei diritti delmonastero, Attone accordò al cenobio camaldolese la ‘protezione episcopale’, lacui precisa definizione giuridica può essere compresa solo se considerata in relazioneallo sviluppo della ‘protezione apostolica’ (tuitio) e della cosiddetta ‘esenzionemonastica’ durante i secoli XI e XII, sulle quali ritorneremo più avanti12.

Il metropolita Attone agì con il pieno consenso dei suoi vescovi suffraganei:Marino di Bosa, Pietro di Ploaghe, Nicola di Ampurias e Pietro di Bisarcio sotto-scrissero entrambi i documenti, Giacomo di Sorres e Giovanni di Ottana solo ilsecondo. La conferma della donazione di Saccargia fu compiuta con un atto par-

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9 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. IX, pp. 147-148, 1120; SANNA, Osservazionicronotattiche cit., p. 226: «<ante 1112 dicembre 3>».

10 Annales Camaldulenses, a cura di G.B. Mittarelli - A. Costadoni, III, Venezia 1758, Appendix doc.CLXI, coll. 233-235.

11 Per le due conferme di Attone di Torres, cfr. G. VEDOVATO, Camaldoli e la sua congregazione dalleorigini al 1184. Storia e documentazione, Cesena 1994, pp. 260-264.

12 Per i due concetti giuridici si veda infra, cap. 3. Per la protezione accordata dai vescovi ai monasteri,si veda F.J. FELTEN, Protezione episcopale, in Dizionario degli Istituti di perfezione, a cura di G. Pelliccia –G. Rocca, VII, Roma 1983, coll. 1036-1038.

ticolarmente solenne, al quale intervennero quasi tutti i vescovi della provincia –risulta assente solo il presule di Castra –, come se si fosse riunito un vero e propriosinodo provinciale. La solennità dell’evento lascia intendere che molto probabil-mente il giudice Costantino e il metropolita Attone considerassero le donazioni diScano e, soprattutto, di Saccargia come due passaggi cruciali del progetto di inse-diamento dei Benedettini nel giudicato.

Nelle successive donazioni compiute fino al 1116, il consenso esplicito diAttone è assente in due atti del 1113 a favore dei Cassinesi13 e nella donazione diS. Nicola di Trullas all’eremo di S. Salvatore di Camaldoli, compiuta il 28 ottobre111314 ancora per iniziativa di alcune famiglie aristocratiche turritane – i de Athen,i de Carbia e i de Thori –, con il consenso di Costantino e di sua moglie Marcusa,e «cun voluntate et cun consilio» del vescovo Pietro de Canneto, di cui non è pre-cisata la sede, del presbitero Giovanni, rettore di S. Pietro di Sorres, e di Elia,rettore di S. Gavino; Attone, nonostante fosse ancora al governo della sede metro-politana, fu rappresentato dal rettore di S. Gavino e l’atto fu confermato e sotto-scritto solo da Alberto, vescovo di Sorres. Molto probabilmente la presenza ca-maldolese a Trullas sorse alcuni anni prima del momento in cui fu ufficializzata esembra che la donazione sia stata gestita dall’aristocrazia turritana in maniera piùdecisa rispetto ai precedenti interventi a favore dei Cassinesi. I riferimenti ai beniin dotazione alla chiesa, alla necessità di avere dei chierici per la cura animarum ealla presenza di eremiti presso il luogo di culto sono validi indizi di una gestionecondotta integralmente dalle famiglie donatrici con il consenso del giudice turritano:come ha rilevato Raimondo Turtas, si può ipotizzare che S. Nicola di Trullas fosseuna ‘chiesa propria’, ovvero fondata, dotata e amministrata dalle famiglie aristo-cratiche, le quali solo in seguito donarono il complesso monastico a un Ordine re-ligioso che ne potesse garantire il servizio liturgico e pastorale15.

Durante l’episcopato di Vitale di Torres (1120-1122) si rileva una continuitàcon la linea del suo predecessore Attone riguardo al ruolo svolto dall’arcidiocesi

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13 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. X, pp. 149-151, (datato <1120>, dacorreggere in «<1113> marzo 24» secondo SANNA, Osservazioni cronotattiche cit., p. 227: Comita deAzzen e sua moglie Musconiana Dezzorri donano la domo di Bosove al monastero cassinese S. Maria deIscala con il consenso del giudice Costantino e di sua moglie Marcusa) e doc. XIV, pp. 157-159 (datato<1122>, da correggere in «<1113>» secondo SANNA, Osservazioni cronotattiche cit., p. 227: Vera deThori dona la domo di Cocina a Montecassino con il consenso del giudice Costantino, della moglieMarcusa e della propria madre Susanna de Thori).

14 P. TOLA, Codex diplomaticus Sardiniae, I, Torino 1861-1868 (Historiae patriae monumenta, X),pp. 189-191, n. 17; Annales Camaldulenses cit., Appendix doc. CLXVI, coll. 241-243; BLASCO FERRER,Crestomazia sarda cit., pp. 33-40.

15 Cfr. TURTAS, Storia della Chiesa cit., pp. 222-224; si veda anche A. SODDU - S. DE SANTIS, Signoriemonastiche nella Sardegna medievale: il priorato camaldolese di S. Nicola di Trullas, «Annali della Facoltàdi Lettere e filosofia dell’Università di Sassari», 1 (2009), pp. 353-378.

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nelle donazioni16. Il 20 agosto 1117, Pasquale II aveva posto sotto la protezionedella Sede apostolica le chiese di S. Pietro di Nurki, S. Nicola di Nulvi e S. Elia diSedini, site tra la diocesi di Torres e quella di Ampurias e fatte edificare dal donni-cello Gonnario di Torres17. Con due atti pressoché identici e datati poco tempoprima del 1120, il primo, e il 24 maggio 1120, il secondo, il donnicello Gonario deLaccon, dopo aver unito le chiese di S. Nicola di Nulvi, S. Elia di Sedini e S. Pietrodi Nulvi alla chiesa di S. Pietro di Nurki, sita nell’arcidiocesi turritana, donò iluoghi di culto a Montecassino. In entrambi i documenti Gonario precisò che S.Nicola di Nulvi era di sua proprietà e S. Elia di Sedini e S. Pietro di Nulvi glierano state donate dal giudice Costantino «cun voluntate» dell’allora arcivescovoAttone – «ki be fuit tando» – e di Nicola, vescovo di Flumen (Ampurias); inoltre,entrambe le donazioni furono compiute «cun voluntate» di Vitale, arcivescovo diTorres, e la seconda anche con il consenso del citato «episcopum de Flumendonnu Nikola», nella cui diocesi si trovavano le chiese di Nulvi e di Sedini18.

A differenza delle donazioni fin qui menzionate, il primo insediamento sardodei monaci vallombrosani fu voluto dai canonici di S. Maria di Pisa, che il 18marzo 1082 avevano ricevuto la chiesa di S. Michele di Plaiano, sita nell’arcidiocesiturritana, con tutte le sue pertinenze dal giudice turritano Mariano19 e nel 1115 neavevano affidato la gestione all’abbazia pisana di S. Zeno, conservandone la pro-prietà20. Il 3 settembre 1127 gli stessi canonici affidarono la gestione di S. Micheledi Plaiano ai Vallombrosani con il consenso dell’arcivescovo Costantino Berrica edei suoi vescovi suffraganei21. Il successore di Costantino, Attone, il secondo me-tropolita con tale nome, confermò l’atto del 1134 con il quale Giovanni, vescovodi Sorres, donava quattro chiese all’eremo di Camaldoli22.

Riguardo ai monasteri cistercensi, conosciamo solo l’atto del 1205 con il qualePietro, monaco cistercense e vescovo di Sorres, rese nota la costruzione di S.Maria de Paulis (o de Padulis) fatta da Comita, giudice di Torres, che aveva ac-

16 Per Vitale di Torres, cfr. VIDILI, La cronotassi documentata cit., p. 88.17 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. IV, pp. 138-139. Riguardo a S. Pietro di

Nurki, cfr. A. SODDU, Sulla localizzazione dell’abbazia cassinese di S. Pietro di Nurki, «Sacer», 6 (1999),pp. 101-123.

18 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XV, pp. 159-162 (datato <1122>, da correg-gere in «<post 1116-ca. 1120>» secondo SANNA, Osservazioni cronotattiche cit., p. 227) e doc. V, pp. 140-142 (24 maggio 1120).

19 B. FADDA, Le pergamene relative alla Sardegna nel ‘diplomatico’ Coletti dell’Archivio di Stato diPisa, «Archivio Storico Sardo», XLII (2002), pp. 114-116.

20 TOLA, Codex diplomaticus cit., pp. 194-195, n. 22.21 Archivio di Stato di Pisa, Fondo Coletti, n. 11. Per Costantino Berrica di Torres, cfr. VIDILI, La cro-

notassi documentata cit., pp. 88-89. 22 G. ZANETTI, I Camaldolesi in Sardegna, Cagliari 1974, pp. XI-XIII, n. 4.

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cordato una ricca dotazione di terre e beni e ottenuto l’invio di monaci e conversidall’abbazia di Clairvaux23. Nonostante l’abbazia di Paulis fosse situata nell’arci-diocesi di Torres, non lontana dai confini con la diocesi di Sorres24, fu Pietro, enon l’arcivescovo turritano, a rendere pubblico l’insediamento dei Cistercensi aPaulis e ad anticipare le spese di viaggio e di sostentamento dei monaci finchénon avessero effettuato il primo raccolto. Sembra molto probabile che sia statolo stesso vescovo di Sorres a condurre le trattative con Clairvaux per conto diComita di Torres e a promuovere il nuovo insediamento monastico anche tramiteun gravoso impegno finanziario, configurando in questo modo una ‘protezioneepiscopale’ sui generis in quanto esercitata su un monastero sito fuori dei confinidiocesani25.

2. Gli arcivescovi di Torres e le controversie con il monastero di S. Pietro di Nurki

Dopo alcuni decenni dall’inizio della seconda ondata di donazioni si verificò ilprimo contrasto tra clero secolare e comunità benedettine, relativo alla proprietàdelle chiese di S. Giorgio di Barai e di S. Maria di Gennor. Secondo un documentonon datato di Benedetto, abate di S. Pietro di Nurki, la chiesa di Barai era stataunita allo stesso monastero di Nurki con il consenso di Pietro di Canneto, arcive-scovo di Torres, del giudice Gonario di Torres, «dessos clericos dessu archiepisco-patu» e dell’arciprete Costantino de Lella26. L’iniziativa del metropolita fu impugnatadai canonici di S. Gavino e dai vescovi suffraganei, che accusarono Pietro di Can-neto di avere acconsentito alla donazione giudicale senza il loro consenso e nel1135 si appellarono a Uberto, arcivescovo di Pisa e legato apostolico, durante ilconcilio da questi presieduto ad Ardara, al quale parteciparono gli arcivescovi, ivescovi, il clero e gli abati dell’Isola. Uberto esaminò la posizione dei Cassinesi,

23 TOLA, Codex diplomaticus cit., pp. 307-308, n. 5. Per la presenza cistercense, si vedano G. ZANETTI,I Cistercensi in Sardegna: le abbazie di S. Maria di Corte, di Paulis, e di Coros, in Archivio storico sardo diSassari, Vol. 2-2 (1976), pp. 5-24 e I Cistercensi in Sardegna (Atti del convegno di studi. Silanus 14-15 no-vembre 1987), a cura di G. Spiga, Nuoro 1990.

24 Rationes decimarum Italiae nei secoli XIII e XIV. Sardinia, a cura di P. Sella, Città del Vaticano1945 (Studi e testi, 113), 10, 756, 1757, 2467, 2478 e 2747.

25 Riguardo alle esenzioni monastiche di cui godette l’Ordine cistercense e al Privilegium commune,che veniva solitamente esteso a tutte le filiazioni, si veda G. CARIBONI, Esenzione cistercense e formazionedel Privilegium commune. Osservazioni a partire dei cenobi dell’Italia settentrionale, in Papato e monachesimo“esente” nei secoli centrali del medioevo, a cura di N. D’Acunto (Reti Medievali E-Book 4, alla paginahttp://www.rm.unina.it/rmebook/index.php?mod=none_D_Acunto), Firenze 2003, pp. 136-227.

26 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XX, pp. 173-174, privo di data eassegnato al 1134. Per l’arcivescovo Pietro di Canneto, cfr. VIDILI, La cronotassi documentata cit., pp. 90-91.

che risposero all’accusa presentando una «cartam dationis a iudicem factam», edei canonici turritani, secondo i quali l’atto non poteva essere ritenuto validosenza il loro consenso. Pur giudicando illegittima la donazione, l’arcivescovoUberto emise una sentenza che salvaguardò lo status quo, confermando la proprietàdelle due chiese ai Cassinesi di Nurki, «salva tamen Sancti Gavini reverentia»: S.Giorgio di Barai avrebbe dovuto versare un censo pari a quello che era pagatodalla chiesa di S. Nicola de Thathar o dalla chiesa di S. Giorgio de Oliastreto in oc-casione del viaggio dell’arcivescovo a Roma o dell’arrivo di un legato pontificio inSardegna, S. Maria di Gennor era tenuta a versare a S. Gavino una somma pro-porzionata alla sue rendite e il priore di Nurki era obbligato a presenziare ai sinodie alle ordinazioni. Uberto stabiliva inoltre che nessun arcivescovo o canonicoavrebbe potuto «molestare prefatas ecclesias» finché i monaci avessero rispettatola sentenza27.

Il 20 maggio 1136 Costantino di Athen donò la chiesa di S. Michele de Thericellua Montecassino con il consenso del giudice Gonario e di sua moglie e dopo che ilmetropolita turritano aveva concesso la chiesa «cum voluntate dessos clericos deSanctu Gavinu»28. Pietro di Canneto aveva evidentemente imparato la lezione diArdara e intendeva evitare eventuali rimostranze da parte dei canonici turritani eun nuovo appello all’autorità superiore. Nel 1139, Ugo, vescovo di Ottana, donòla chiesa di S. Pietro di Ollin con tutte le sue pertinenze all’eremo di S. Salvatoredi Camaldoli: l’atto dovette rivestire una particolare solennità poiché vi presenzia-rono e sottoscrissero il metropolita Pietro di Canneto, i vescovi Gualfredo di Ploa-ghe, Giovanni di Sorres e Mariano di Bisarcio29. La presenza di quattro dei settevescovi suffraganei fu probabilmente voluta a garanzia della validità dell’atto, inmodo che nessuno potesse impugnarlo come era accaduto per la vertenza risoltadal lodo di Uberto.

La controversia con S. Pietro di Nurki, giunta a un livello talmente critico darichiedere l’intervento della Sede apostolica tramite il suo legato, testimonia ilprogressivo mutamento dei rapporti tra autorità politica ed ecclesiastica del giu-dicato, nel quale il clero della cattedrale turritana e i vescovi suffraganei assumevanoun ruolo sempre meno marginale rispetto alle decisioni assunte dall’arcivescovo.I contatti in corso da alcuni decenni tra il clero turritano e quello della penisolaitaliana, in particolare toscano, avviarono probabilmente un lento processo di

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27 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XXI, pp. 175-177.28 Ivi, doc. XXII, pp. 177-179; BLASCO FERRER, Crestomazia sarda cit., pp. 170-173. 29 TOLA, Codex diplomaticus cit., p. 213, n. 50. La donazione fu successivamente confermata da Bal-

dovino, arcivescovo di Pisa e legato pontificio, e da Attone, successore di Pietro di Canneto alla cattedrametropolitana (vedi nota 40).

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presa di coscienza da parte dei vescovi suffraganei e dei canonici riguardo al lororuolo30. Nel regno turritano, infatti, si registra una certa influenza della Chiesapisana ai massimi livelli della gerarchia con la promozione di due suoi canonici algoverno della sede metropolitana: Manfredi nel 1116 e Bandino tra il 1196 e il119831.

Il processo che condusse alla richiesta di un nuovo ruolo per il clero turritano,di cui conosciamo gli effetti attraverso il lodo di Ardara ma non l’evoluzione,dovette comunque avviarsi quando l’aumento della donazioni a favore dei Bene-dettini creò di fatto una conflittualità con il clero secolare sul piano pastorale e suquello finanziario. Per la prima volta dall’inizio delle donazioni monastiche, sorseun aperto contrasto all’interno della gerarchia ecclesiastica della provincia, chevide i vescovi suffraganei impegnati nel difendere i patrimoni diocesani da unlento ma progressivo depauperamento, dovuto in parte all’espansione dei posse-dimenti monastici e, parallelamente, all’espansione delle proprietà pisane e geno-vesi32. Citando Gabriel Le Bras, «la causa della rivalità fra secolari e religiosi è che[…] i religiosi contendono ai regolari [così per secolari] terra e uomini»33.

Nel 1170 l’obbligo di versare il censo per le due chiese cassinesi fu rimessodal metropolita turritano Alberto, in carica tra il 1170 e il 1178: nello stesso do-cumento egli si definì «monacu», e fu monaco benedettino secondo una schedadel condaghe di Barisone II e le testimonianze di Fara e Mattei, i quali lo diconoproveniente da Montecassino34. Alberto mostrò di conoscere la controversia risoltacon il lodo del 1135: in seguito ad un’esplicita richiesta di Rainaldo, abate diMontecassino, e dopo essere ritornato nell’Isola dal continente, dove molto pro-babilmente aveva ricevuto la suddetta richiesta, avviò una consultazione con ilgiudice turritano, i suoi sette vescovi suffraganei, l’arciprete e tutti i canonici di S.

30 Per i rapporti tra vescovi e canonici a Pisa e in Toscana, cfr. M. RONZANI, La Chiesa e il clerosecolare, in Storia della civiltà toscana. I: Comuni e Signorie, a cura di F. Cardini, Firenze 2000, pp. 261-292 e ID., Vescovi e città a Pisa nei secoli X e XI, in Vescovo e città nell’alto Medioevo: quadri generali erealtà toscane (Convegno Internazionale di Studi, Pistoia, 16-17 maggio 1998), a cura di G. Francesconi,Pistoia 2001, pp. 93-132.

31 Cfr. VIDILI, La cronotassi documentata cit., pp. 86-87 e 95. 32 Per la questione delle proprietà pisane e genovesi nell’Isola, si vedano M. TANGHERONI, La Sardegna

prearagonese: una società senza feudalesimo?, in Structures féodales et féodalisme dans l’Occident méditer-ranéen (Xe-XIIIe siècles). Bilan et perspectives de recherches. Actes du Colloque de Rome, 10-13 octobre1978 (Publications de l’École française de Rome 44), Rome 1980, pp. 523-550; TURTAS, Storia dellaChiesa cit., pp. 249-254; A. SODDU, Donnicàlias e donicalienses (XI-XII secolo): un’anticipazione di conces-sioni feudali in Sardegna?, in Tra diritto e storia. Studi in onore di Luigi Berlinguer promossi dalle Universitàdi Siena e Sassari, I-II, Soveria Mannelli (CZ) 2008, II, pp. 1057-1080.

33 G. LE BRAS, Le istituzioni ecclesiastiche della cristianità medievale, edizione italiana a cura di L.Prosdocimi - G. Pelliccia (Storia della Chiesa dalle origini ai nostri giorni, XII/2), p. 721.

34 Per le attestazioni sull’arcivescovo Alberto, si veda VIDILI, La cronotassi documentata cit., pp. 93-94.

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Gavino, in seguito alla quale il censo dovuto da S. Pietro di Nurki fu condonatoin cambio di cinque servi e alcuni terreni35. È molto probabile che la provenienzamonastica di Alberto abbia determinato la decisione favorevole ai Cassinesi,mentre i vescovi suffraganei e i canonici di Torres avevano ormai assunto un ruoloche condizionava il potere decisionale del metropolita: una situazione impensabilecirca sessant’anni prima, quando Attone di Torres aveva agito con il solo consensodel giudice Costantino.

La controversia sulle due chiese appartenenti a S. Pietro di Nurki ebbe un se-guito con la sentenza notificata il 5 maggio 1205 da Ricco, arcivescovo di Cagliari.Il metropolita turritano Biagio si era appellato a Innocenzo III contro i monaci diNurki, che «per aliquod tempus dictum censum negligerent exhibere»: dalla letteradi Ricco veniamo a sapere che il censo per S. Maria di Gennor era di venti monetepisane e quello di S. Giorgio di Barai di una libbra d’argento, da versare entrambiin occasione della consacrazione del nuovo arcivescovo o dell’arrivo del legatodella Chiesa di Roma. Affidata l’inchiesta all’arcivescovo di Cagliari, questi convocòle parti presso la chiesa di S. Maria di Ardara, dove i Cassinesi esibirono l’attoemesso trentacinque anni prima dall’arcivescovo Alberto e Biagio di Torres protestòl’ingiustizia subita. In seguito alla decisione dei monaci di versare il censo arretrato,Ricco stabilì di condonare il versamento per S. Maria di Gennor ma non quelloper S. Giorgio di Barai36. La vertenza è indicativa degli instabili equilibri che sierano instaurati nella provincia turritana, dove Biagio lamentò il vulnus arrecato aisuoi diritti episcopali nonostante il condono accordato dal suo predecessore37. Ilrisultato, in questo caso, fu una soluzione salomonica, che, per quanto ci è dato sa-pere, pose termine a circa settant’anni di dispute.

La posizione critica assunta dal clero secolare verso i privilegi concessi ai Be-nedettini è evidente anche nella seconda controversia relativa alle proprietà di S.Pietro di Nurki, che come si è visto, nel 1120 aveva ricevuto dal donnicello Gonariole chiese di S. Pietro di Nulvi e S. Elia di Sedini con il consenso dell’arcivescovoVitale e del vescovo ampuriense Nicola. Tra il 1139 e il 1142, Innocenzo II incaricòAttone, terzo arcivescovo di Torres con tale nome, di occuparsi della vertenzasorta nella diocesi di Ampurias, dove il vescovo deteneva illecitamente le duechiese citate, dal suo predecessore «per violentiam occupatas»: poiché le duechiese «beati Petri iuris existunt» e Callisto II ne aveva confermato la proprietà aMontecassino «sub annuo censu», il papa ordinava che fossero restituite ai Cassi-

35 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XXXV, pp. 198-200.36 Ivi, doc. XL, pp. 208-209; Innocenzo III e la Sardegna. Edizione critica e commento delle fonti sto-

riche, a cura di M. G. SANNA, Cagliari 2003, pp. 76-77, n. 69.37 Per le attestazioni sull’episcopato di Biagio, si veda VIDILI, La cronotassi documentata cit., pp. 98-

106. Riguardo alla sua attività di legato pontificio e di longa manus di Innocenzo III in Sardegna, si vedaInnocenzo III e la Sardegna cit., pp. LII-LXVIII.

nesi38. Mentre nella prima vertenza i canonici turritani e i vescovi suffraganei ave-vano optato per il ricorso all’arcivescovo di Pisa, in questo caso bisogna rilevare lanovità della violenza usata dal presule ampuriense, che provocò il risoluto interventodi Innocenzo II in seguito ad una probabile denuncia cassinese: le parole del papa– «perlatus est clamor ad aures nostras» – rivelano lo scalpore suscitato dalla deci-sione del vescovo, che andava contro i diritti acquisiti dai monaci circa vent’anniprima e, soprattutto, contro la conferma di Callisto II. Dopo l’iniziale sostegnoalla donazione in favore di S. Pietro di Nurki, la diocesi di Ampurias mutò dunquela propria politica nei confronti dei Cassinesi, forse a causa di contrasti relativi alversamento del censo. Il 13 aprile 1149 Eugenio III comunicò a Rainaldo, abate diMontecassino, la soluzione della disputa con la restituzione delle due chiese a S.Pietro di Nurki, dopo che Innocenzo II aveva prima confermato e poi respinto lasentenza emessa a favore del vescovo di Ampurias dal defunto Ruggero, a queltempo arcivescovo di Pisa e legato pontificio39.

Il ruolo svolto nella vicenda dal metropolita Attone si comprende alla luce diuna scheda del condaghe di S. Nicola di Trullas, databile tra il 1139 e il 1146, in cuiRodolfo, prete di S. Nicola, ha una contesa con il giudice Gonario riguardo a unservo e si rivolge all’arcivescovo «donnu Athu, ki fuit monacu de Camaldula»: dopoessere stato redarguito dal metropolita («Male fakes et peccatu, ki li lu levas a sSanctuNichola»), Gonario rinunciò al servo40. Si tratta della prima testimonianza su un ve-scovo della provincia proveniente dall’Ordine camaldolese, che inaugurò una serie,forse ininterrotta, di monaci eletti alla sede metropolitana: Attone, PietroManacu, ilcui nome sembra essere l’indizio della sua provenienza da una comunità monastica41,Alberto, di cui si è già detto, ed Erberto. L’elezione di Attone al governo dell’arci-diocesi sembra indicare una posizione autorevole conquistata dai Camaldolesi a di-stanza di alcuni decenni dai loro primi insediamenti nell’Isola, testimoniata inoltredalle parole che rivolse al giudice Gonario, e la sua provenienza monastica influìprobabilmente sulla politica del suo episcopato, tesa – come dimostrerebbe la schedaappena menzionata – a conservare i beni del monastero camaldolese di Trullas.

3. Gli interventi pontifici a favore dei monasteri tra ‘protezione apostolica’ ed ‘esenzione’

Come osserva Gabriel Le Bras riguardo alla ‘emancipazione progressiva’ dei mo-nasteri benedettini, «lo scopo dei diplomi di esenzione è la sottrazione completa alla

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38 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XXIV, pp. 180-181. Per il privilegio di con-ferma di Callisto II, cfr. infra, cap. 3

39 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XXVII, pp. 186-187.40 Cfr. Il condaghe di San Nicola di Trullas, a cura di P. Merci, Nuoro 2001, pp. 116-117, n. 150. Per

le attestazioni sull’episcopato di Attone, si veda VIDILI, La cronotassi documentata cit., pp. 91-92.41 Per l’arcivescovo Pietro, si veda ivi, p. 92.

giurisdizione episcopale. Nel XII secolo, la “libertà” concessa ad un monastero com-porta la completa esenzione. Alessandro III e Innocenzo III rifiutano di confondereesenzione con protezione: esigono che si interpreti ogni termine dei privilegi»42. Ipontefici intervenivano a difesa dei diritti dei monasteri accordando loro la protezione(tuitio) o l’esenzione43 e anche le fondazioni della provincia turritana furono interessatedai pronunciamenti emanati dai papi: per valutare la tipologia di privilegio accordataloro, si presterà particolare attenzione alla terminologia utilizzata negli atti pontifici,tenendo presente che il passaggio progressivo dalla protezione pontificia all’esenzionesi sviluppò tra la fine dell’XI secolo e la seconda metà del XII44.

Il 4 novembre 1113, a distanza di un anno dalle donazioni della chiesa di S.Pietro di Scano e del monastero di Saccargia, Pasquale II elencava le fondazionidipendenti dall’eremo di Camaldoli, comprese le due sarde. Nel precisare chetutte dovevano costituire «corpus unum sub uno capite, id est sub priore Camal-dulensis eremi», il privilegio pontificio le poneva «sub apostolice sedis tutela» inmodo che nessun vescovo potesse scomunicare o colpire con l’interdetto dagliuffici divini nessuno di quei monasteri senza il consenso del priore di Camaldoli ola licenza della Sede apostolica, concedendo inoltre ai monaci la facoltà di scegliereun vescovo per ricevere le consacrazioni e le ordinazioni, rifiutando quindi l’ordi-nario del luogo45. Non si trattava dunque di una ‘protezione apostolica’, ma di una‘esenzione monastica’ che limitava la giurisdizione vescovile.

Il 16 settembre 1122 Callisto II concedeva a Gerardo, abate di Montecassino,la protezione di tutti i monasteri dell’Ordine, compresi quelli acquisiti in Sardegna,posti «sub solius Sanctae Romanae Ecclesiae iure ac defensione perpetuo»46: in

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42 LE BRAS, Le istituzioni ecclesiastiche cit., p. 710.43 In questa sede si intende offrire solo una sintetica trattazione dei complessi rapporti giuridici tra

le diocesi della provincia turritana e i monasteri alla luce dei privilegi pontifici di protezione ed esenzione:si ritornerà sul tema con uno specifico studio storico-giuridico. Sui rapporti tra vescovi e monasteri inaltre regioni europee, si vedano: il fondamentale LE BRAS, Le istituzioni ecclesiastiche cit., pp. 707-716;Dictionnaire de droit canonique, publié sous la direction de R. Naz, V, Paris 1953, coll. 646-650; H.H.ANTON, Protezione pontificia, in Dizionario degli Istituti di perfezione, a cura di G. Pelliccia - G. Rocca,VII, Roma 1983, coll. 1045-1052; J. DUBOIS, Esenzione monastica, ivi, III, Roma 1976, coll. 1295-1306;Papato e monachesimo “esente” nei secoli centrali del medioevo cit.; M. MACCARRONE, Primato romano emonasteri dal principio del secolo XII ad Innocenzo III, in Romana ecclesia cathedra Petri, a cura di P.Zerbi - R. Volpini - A. Galluzzi, II, Roma 1991 (Italia Sacra, 48), pp. 871-895; L. FALKENSTEIN, Lapapauté et les abbayes francaises aux XIe et XIIe siècles. Exemption et protection apostolique, Paris 1997.

44 Cfr. ANTON, Protezione pontificia cit., coll. 1050-1051.45 Annales Camaldulenses cit., Appendix doc. CLXVII, coll. 243-245. I successivi privilegi pontifici

confermarono l’esenzione ai monasteri dipendenti dall’eremo di Camaldoli (Ivi, 7 marzo 1125, coll. 306-308, 22 aprile 1136, coll. 353-356, 6 febbraio 1147, coll. 437-439, 16 giugno 1153, coll. 464-465, 14marzo 1155, coll. 475-478).

46 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., doc. XIII, pp. 155-156. Nell’elenco delle proprietàcassinesi nell’Isola sono presenti chiese delle quali non conosciamo gli atti di donazione. La protezione ac-cordata da Innocenzo II fu confermata nel 1153-1154 da Anastasio IV (Ivi, doc. XXXIII, pp. 196-197).

80 Massimiliano Vidili

questo caso, la terminologia utilizzata configura una tuitio e mancano le concessionitipiche dell’esenzione. Il 6 luglio 1139 Innocenzo II incaricava arcivescovi e vescovidella Sardegna di proteggere i beni dei monasteri cassinesi – che spettavano «adius beati Petri» – siti nelle loro diocesi47. Anche il privilegio di Alessandro III del7 novembre 1159 indirizzato a Rainaldo, abate di Montecassino, si limitava a con-fermare le concessioni di Callisto II e Anastasio IV a tutti i monasteri cassinesi,compresi quelli sardi48.

Se i documenti sui Cassinesi fin qui citati sembrano configurare una protezioneapostolica, il successivo intervento di Alessandro III rivela un cambiamento nei rap-porti giuridici tra vescovi e monaci della provincia turritana. Il 25 febbraio 1180 ilpontefice ordinava agli arcivescovi e ai vescovi dell’Isola di porre fine agli abusisubiti dai monasteri cassinesi: i presuli pretendevano il giuramento di fedeltà e lapartecipazione ai sinodi dal clero dei monasteri, lanciavano l’interdetto sulle lorochiese, si rifiutavano di consegnare l’olio santo e il crisma ai monaci e proibivano ailavoratori delle proprietà monastiche di versare le decime alle stesse chiese49. Dall’attopontificio emerge un conflitto ampio, esteso a tutta le diocesi sarde in cui erano pre-senti monasteri cassinesi, in cui il pomo della discordia era, ancora una volta, la ge-stione delle rendite ecclesiastiche e la cura animarum, per la quale era necessaria ladecima versata da coloro che lavoravano nelle proprietà monastiche. Il cambiamentorispetto ai precedenti privilegi è rivelato dalla terminologia, poiché Alessandro III siriferisce espressamente alla «libertatem ecclesiarum et clericorum suorum [di Mon-tecassino]», in cui il termine libertas indica specificamente il concetto giuridico diesenzione: anche per la Sardegna, dunque, si era completato il processo di evoluzionedalla protezione apostolica all’esenzione50. Il pontefice, nel precisare che gli abusierano commessi dai vescovi con il pretesto dei decreti emanati in un recente concilio,non poteva che riferirsi al Lateranense III, celebrato il 19 marzo 1179, al quale par-teciparono anche i vescovi Giovanni di Bisarcio e Comita di Ampurias: nel nono de-creto conciliare, si era fatto divieto a Templari, Ospitalieri e altri religiosi di applicarel’esenzione in termini troppo estesi, attentando così all’autorità dei vescovi51. I presulisardi tentarono dunque di appellarsi a quel decreto per recuperare diritti che ormai,almeno sul piano giuridico, stavano definitivamente perdendo.

47 Ivi, doc. XXIII, pp. 179-180.48 Ivi, doc. XXXIV, pp. 197-198.49 Ivi, doc. XXXVI, pp. 201-202.50 Cfr. ANTON, Protezione pontificia cit., coll. 1050-1051.51 Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura di G. Alberigo - G. L. Dossetti - P.-P. Joannou - C.

Leonardi - P. Prodi, Bologna 1996, pp. 215-216. Sul Lateranense III si vedano R. FOREVILLE, Latran I, II,III et Latran IV. 1123, 1139, 1179 et 1215 (Histoire des conciles oecuméniques VI), pp. 132-162 e I. GA-GLIARDI, Concilio Lateranense III (1179), in Storia dei concili ecumenici: attori, canoni, eredità, a cura diO. Bucci - P. Piatti, Roma 2013, pp. 219-225.

Nonostante i successivi privilegi del 25 luglio 1208 (Innocenzo III a Roffredo,abate di Montecassino) e del 12 agosto 1216 (Onorio III a Stefano, abate diMontecassino) confermino i beni cassinesi – compresi quelli sardi – ponendolisotto la protectio della Chiesa di Roma, è molto probabile che quella tuitio, in virtùdel precedente intervento di Alessandro III e del citato processo di evoluzionedella protezione pontificia, fosse ormai intesa come una vera e propria esenzione52.

4. I monaci nelle cronotassi della provincia turritana

Riguardo alle successioni vescovili della provincia, si rileva una presenza dimembri degli Ordini monastici nelle diocesi di Torres (quattro vescovi su diciassettenoti), Castra (due su cinque), Ottana (due su otto) e Sorres (tre su nove), dovutamolto probabilmente alla difficoltà nel reperire candidati sufficientemente adeguatitra le fila del clero secolare e, allo stesso tempo, alla radicata presenza dei religiosiin quei territori: quest’ultimo dato, tuttavia, non può essere generalizzato poichénessun vescovo fu eletto al governo delle diocesi di Ampurias, Bisarcio, Bosa ePloaghe, dove non mancarono gli insediamenti monastici. Sin dalla donazione diMariano, giudice di Torres, a S. Maria di Pisa del 18 marzo 1082 siamo a conoscenzadello stato di decadenza morale e culturale in cui versava il clero diocesano: neldonare la chiesa di S. Michele di Plaiano e altre quattro chiese site presso Sassarialla cattedrale pisana, Mariano di Torres addebitava la grave situazione in cui ver-savano le chiese del suo regno alla «colpevole negligenza degli ecclesiastici e ilgenere di vita dei loro signori simile a quello dei laici»53. Quello stato di decadenzaè testimoniato, tra l’XI e il XII secolo, da alcune schede dei condaghi di S. Pietrodi Silki e S. Maria di Bonarcado relative a preti uxorati54. Pertanto, non desta me-raviglia il fatto che ben presto alcuni capitoli ricorsero all’elezione di regolari. Allostato delle attuali conoscenze, Ottana fu la prima sede a essere governata da unmonaco, il cassinese Omodeo, menzionato nella Chronica Casinensis come vescovoin Sardegna, senza precisarne la sede, per il 112355 e identificabile con l’Omodeo

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52 SABA, Montecassino e la Sardegna medioevale cit., docc. XLII e XLIII, pp. 211-214; Innocenzo IIIe la Sardegna cit., pp. 132-134, n. 121; Onorio III e la Sardegna (1216-1227), a cura di M.G. Sanna,Cagliari 2013, pp. 5-7, n.2. Per i monasteri vallombrosani (tra cui il citato S. Michele di Plaiano), ilprivilegio di Innocenzo III del 4 gennaio 1199 confermò a Vallombrosa i diritti tipici dell’esenzione,simili a quelli accordati ai monasteri camaldolesi (cfr. Innocenzo III e la Sardegna cit., pp. 12-15, n. 4).

53 B. FADDA, Le pergamene relative alla Sardegna nel ‘diplomatico’ Coletti dell’Archivio di Stato diPisa, «Archivio Storico Sardo», XLII (2002), pp. 114-116. Riguardo al significato dell’espressione “deiloro signori”, si veda il lavoro di Raimondo Turtas nel presente volume.

54 Cfr. TURTAS, Storia della Chiesa cit., pp. 202-204 e ID. nel presente volume.55 Chronica Monasterii Casinensis cit., p. 544

«Hortelliensis Dei gratia episcopus» che sottoscrisse il citato atto del 3 settembre1127 a favore dei Vallombrosani. Zaccaria, vescovo di Ottana tra il 1160 e il 1170,sembra essere stato camaldolese, in quanto menzionato in un necrologio dell’abbaziapisana di S. Zeno, redatto tra la seconda metà del XII secolo e gli inizi del XIII56.La diocesi di Castra fu governata dal camaldolese Attone tra il 1162 e il 1176 e dalvallombrosano Raimondo agli inizi del XIII secolo57. Un frequente ricorso all’ele-zione di regolari e una certa influenza esercitata dalle fondazioni monastiche sulcapitolo diocesano si riscontra nella cronotassi della sede metropolitana, con unasuccessione, forse diretta, di tre monaci (Attone, Pietro Manacu e Alberto, deiquali si è già scritto), seguiti dal cistercense Erberto, arcivescovo dal 1181 al 119658.Risulta infine emblematico il caso della diocesi di Sorres, governata tra il 1171 e il1211 da tre cistercensi, Goffredo, Augerio e Pietro, forse in diretta successione traloro, unico caso di una sede episcopale sarda governata da monaci per un cin-quantennio59.

5. Conclusioni

Durante il XII secolo, i rapporti tra i vescovi della provincia ecclesiastica diTorres e i monasteri del giudicato attraversarono tre fasi. Nella prima, compresatra gli esordi del secolo e il 1135, i vescovi diedero il consenso alle donazioni mo-nastiche o le sottoscrissero in accordo con il giudice, accogliendo le comunità be-nedettine nelle rispettive diocesi. Nel caso della SS. Trinità di Saccargia, l’arcivescovodi Torres Attone accordò un’ampia esenzione al monastero, che trovò riscontronel privilegio di Pasquale II del 1113, in cui la terminologia giuridica configuravauna vera e propria ‘esenzione monastica’. La seconda fase fu inaugurata dal lododell’arcivescovo di Pisa del 1135, che segnò una netta frattura rispetto ai decenniprecedenti: il metropolita turritano non sarebbe più stato l’unico attore delle do-nazioni ai monaci e avrebbe dovuto ricevere il consenso previo dei vescovi suffra-ganei e dei canonici di S. Gavino, che iniziarono a ricoprire un ruolo di contrappesorispetto all’autorità arcivescovile. Inoltre, nell’arcidiocesi e nella diocesi di Ampurias,sorsero conflitti giurisdizionali tra clero secolare e regolare, che rivelano uno stato

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56 Per il necrologio, si veda F. PANARELLI, Il necrologio si San Zeno in Pisa, in Memoria. Ricordare edimenticare nella cultura del Medioevo, a cura di M. Borgolte - C.D. Fonseca - H. Houben, Bologna2005, pp. 235-253, in particolare la p. 243. Per i due vescovi di Ottana, cfr. TURTAS, Storia della Chiesacit., pp. 870-871.

57 Cfr. TURTAS, Storia della Chiesa cit., p. 877.58 Per le attestazioni sull’episcopato di Erberto di Torres, si veda VIDILI, La cronotassi documentata

cit., pp. 94-95.59 Per i tre vescovi di Sorres, si veda TURTAS, Storia della Chiesa cit., pp. 854-855.

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di rivalità per il controllo della pastorale e delle decime. La terza fase si aprì conl’intervento di Alessandro III del 1180 sui gravi abusi subiti dai monasteri cassinesi,in seguito al quale anche per questi ultimi si delineava uno status giuridico di‘esenzione’. Alle soglie del XIII secolo i presuli della provincia turritana, i cui pre-decessori avevano approvato gli atti di donazione, erano ormai stati privati, intutto o in parte, della potestas sui monasteri: all’interno di questo scenario, si com-prende la posizione di Biagio, arcivescovo di Torres, che nel 1205 – forte della suaposizione di legato pontificio ma, allo stesso tempo, estraneo alle dinamiche deirapporti giuridici tra le diocesi e i monasteri della provincia – tentò di riacquisireil diritto al censo dovuto da S. Pietro di Nurki, del quale censo «iniuste fuerat ex-poliatus»60.

60 Vedi testo in corrispondenza alle note 36 e 37.