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Università LUMSA ROMA FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIA A.A. 2008/2009 Disciplina: STORIA DEL TEATRO E DELLO SPETTACOLO L.ART/05 Prof. Claudio A. D’Antoni DISPENSE Corso monografico 2 CLAUDIO A. D’ANTONI Drammi per musica al Teatro dell’Opera Claudio A. D’Antoni 1

Drammi per musica al Teatro dell'Opera

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Università LUMSAROMA

FACOLTA’ DI LETTERE E FILOSOFIAA.A. 2008/2009

Disciplina: STORIA DEL TEATRO E DELLO SPETTACOLO L.ART/05

Prof. Claudio A. D’Antoni

DISPENSECorso monografico 2

CLAUDIO A. D’ANTONI

Drammi per musica al Teatro dell’Opera

Claudio A. D’Antoni 1

2 Drammi per musica al Teatro dell’Opera

CLAUDIO A. D’ANTONI

Drammi per musica al Teatro dell’Opera Pur cognizione diffusamente accettata, continua a sorprendere lo spettatore odierno che

nella struttura del ‘dramma settecentesco’ vada supposta un’entità media tra le manifestazio-ni estetiche che nel nostro presuntuoso evo (presuntuoso poiché è nella mentalità comune che la naturale diacronia implichi pensiero necessariamente più avanzato del preesistente) vengono specializzate negli ambiti esclusivi del ‘dramma’ e della ‘musica’, convenzional-mente aspetti del fenomeno sonoro diversi e solo parzialmente tra loro conciliabili. Abbiamo già dedicato al problema alcune riflessioni di base critica, per cui si passerà in medias res senza ulteriori digressioni1 .

Fino agli anni ‘30 del Novecento la Capitale ebbe nel Teatro Apollo2 il palcoscenico idea-le per il melodramma, istituzione della quale s’è persino perduta la memoria. In crescendo dalla fine dell’Ottocento, il Teatro Costanzi venne a imporsi come sede d’eccellenza per la rappresentazione d’opera lirica, un’attitudine palese anche nella denominazione assunta dopo la riedificazione. Con tale gesto d’impegno Roma tornò ad avere un teatro adatto alla rappresentazione d’opera, idealmente in continuità con i fasti bicentenari del Teatro Argenti-na.

La denominazione stessa dell’istituzione romana deputata al teatro musicale chiarisce la vocazione drammaturgica insita nella prospettiva della produzione, che in forme spettacolari esprime le specifiche inclinazioni ambientali verso determinate peculiarità della rappresenta-zione. Teatro moderno, edificato al concludersi dell’800 e riedificato tra il 1926 e il 1928, periodo in cui nella composizione operistica è un proliferare di capolavori, il Teatro del-l’Opera si propone sulla ribalta internazionale come istituzione di qualità, dall’elevato stan-dard di realizzazione, dalla proposta ampia e innovativa. Nel dopoguerra la crisi che interes-sa la composizione musicale si riflette in primo luogo sul dramma lirico, innesco d’un deca-dimento progressivo verso l’inevitabile essiccarsi dell’aspetto scenico, che avrà in esito la definitiva separazione di ruolo tra drammaturgia e spettacolo lirico.

I lavori di ristrutturazione che avrebbero reso il Teatro Costanzi un palcoscenico in grado di rivaleggiare con i più moderni teatri internazionali vennero intrapresi nel 1927 dalla so-cietà “Stin”, acronimo di ‘Società Teatrale Internazionale’, impresa diretta dal governatore principe Ludovico Spada Potenziani. La realizzazione andò avanti con la massima solerzia. Le condizioni poste alla ditta esecutrice comportavano una serie d’obblighi. Oltre alla parte edilizia, la “Stin“ era obbligata anche sotto l’aspetto dell’impresa teatrale; per statuto era im-pegnata a produrre ogni anno una stagione lirica d’alto livello. Il contratto contemplava un numero di messinscene non inferiore a sedici il primo anno e diciotto i successivi, e almeno novanta recite per stagione3.

Impedita la diffusione di qualsiasi notizia concernente l’avanzamento dei lavori, per la presentazione del restauro, il 21 febbraio 1928, veniva convocata la stampa internazionale, relatori il governatore di Roma e l’architetto Piacentini. Il 27 febbraio 1928, data d’apertura della prima stagione ufficiale, andò in scena il Nerone di Boito, scelta da cui s’induce una programmazione calibrata sull’incontro tra le diverse arti.

1 Cfr. CLAUDIO A. D’ANTONI, Prima la musica, poi le parole ovvero il realismo estemporaneo di Giovan Battista Casti, in “Nuova Rivista Musicale Italiana”, III/2005, Roma, ERI/RAI, 2005, pp. 350-369.2 Voci popolari ne riferiscono lo smantellamento alla costruzione dei muraglioni del Lungotevere; altre parlano d’una demolizione definitiva nel 1888. Ospitò le ‘prime’ di numerose opere, tra cui Un ballo in maschera e Il trovatore di Verdi, come ricorda la targa apposta in loco nel 1925.3 VITTORIO FRAJESE, Dal Costanzi all’Opera (Cronologia completa degli spettacoli 1880-1960) Roma, Edi-zioni Capitolium, 1978, vol. III, pp. 7-30.

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Diversamente che per l’opera lirica ottocentesca la messinscena di ‘drammi per musica’, in particolare i settecenteschi e i preromantici, implica un lavoro tarato preminentemente sul-la dimensione recitativa.

I drammi italiani sono di spirito autenticamente tragico o appaiono commedie ricche d’azione, pregevoli particolarmente per ciò che concerne il profilo del dialogo, cui una mu-sica appropriata funge da sottolineatura psicologica. Per le loro qualità recitative e vocali al-cuni cantanti ebbero sul pubblico una presa di forza tale da indurre all’identificazione dello specifico registro vocale con il personaggio interpretato.

Dal loro canto, quando intendevano sollecitare passioni a tinte accese i compositori era-no inclini a rappresentare gli oggetti avvalendosi di contrasti accesi. Nel caso d’emozioni violente, avendo chiaro che ciò che è estremo non è durevole e che passato un certo limite occorre che la passione declini o che il soggetto trasferisca ad altro le attenzioni, per gli au-tori era prassi scrivere arie prive di cadenze che dessero l’idea di declinare alla conclusione. Inferendo nel contesto un’idea d’analogicità, gli strumenti erano deputati all’assolvimento d’una funzione patetica. Fino al concludersi del ‘700 si riteneva che le varie componenti dell’orchestra dovessero imitare la voce, ampliandone la spazialità, intensificandone il colo-re, conferendole spessore. Nel periodo in cui la musica inizia a prevalere sul dramma s’affer-ma il concetto contrario, che dovesse essere la voce a imitare gli strumenti. Va verosimil-mente motivata con tale maniera di figurare la ricaduta del connettere le parole a piacimento sulla melodia, con la conseguente frantumazione dell’unità metrica, motivo che portò allo smantellamento della coerenza mensurale. Da ciò s’arguisce che i compositori fossero soliti lavorare alle arie prima di sottoporre il suono alle esigenze della versificazione, cagione del-la mancanza di coerenza che nel Traité anonimo del 1772 spinge i puristi pre-Rivoluzione a bollare la pronunciata dialettica delle arie moderne come «pasticchio»4.

Nel suo saggio l’Algarotti5 sostiene che in rapporto all’aspetto scenico il melodramma è in sé un’arte autonoma; toccato l’apice con la ripresa dei Classici, data commistione in cui sono compendiate le forme espressive conosce una rapida decadenza. Prefiggendosi d’in-dividuarne le cause, i critici dell’epoca focalizzano nel disfacimento formale quattro princi-pali motivi. Il primo va inquadrato nei difetti congeniti della melodia. Un movimento melodi-co che non si confà al flusso delle parole è aspetto che nuoce all’eufonia, giacché la trasmis-sione di referto passionale è aspetto intimamente connesso al rapporto tra significante e af-fetto suscitato. Risultato del mancato incontro tra suono e parola è un canto che non riesce a coinvolgere, che rimane una sollecitazione confinata al puro aspetto sensoriale. Il secondo limite riscontrato nei drammi settecenteschi è l’impiego eccessivo di passaggi brillanti. Data la velocità d’emissione tali passaggi si risolvono in interruzioni nel flusso della musica che snaturano il discorso complessivo, talvolta rendendolo anche involontariamente comico. Il terzo difetto è da cogliersi nelle ripetizioni di parole negli scontri sillabici, che risultano inutili distorsioni del senso e appesantimenti della melodia, che in tal modo viene a esprimere solo l’aspetto epidermico della passione, semplificandosi in «capriccio». Ne è prova l’introduzio-ne del ‘da capo’, invenzione settecentesca non apprezzata dagli ideali continuatori del Clas-sicismo. Caratteristica fondamentale del ‘da capo’ è contrariare il bandolo delle idee e mette-4 Traité du Mélo-Drame ou Réflexions sur la musique dramatique [Non è riportato alcun dato riferibile al-l’autore] A Paris Chez Vallat-La Chapelle, Libraire, fut le Perron de la Saint Chapelle, M.DCC.LXXII Avec Approbation et Privilége du Roi [Biblioteca del Burcardo, Roma], p. 347. In merito al concetto imitativo voce-strumento cfr. p. 325 seg.5 FRANCESCO ALGAROTTI, Saggio sopra l’opera in musica M.DCC.LXIII Livorno, Marco Coltellini [Biblioteca Vallicelliana, Roma], p. 83 seg.: «Moltissime cose ci sarebbero state da aggiungere in una ma-teria come è la presente, composta di tante parti, ciascuna importante per sè [sic] ampia, nobilissima. A me basterà di averne accennato quel tanto, che s’è fatto fin qui; non altro essendo stato l’intento mio, che di mostrar la relazione, che hanno da avere tra loro le varie parti costitutive dell’Opera in musica, perché ne riesca un tutto regolare, ed armonico».

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re lo spirito in condizione di fare una marcia retrograda. Il quarto difetto va colto nello stra-volgere le parole proferendole in modo che il senso proprio venga confuso, così che la coe-renza del discorso venga interessata da quella variabilità che tradotta in sorpresa sia apporto d’interesse. Già d’Alembert sostiene che il solo genere rimasto incorrotto vada individuato nel melodramma italiano di genere «burlesque et comique»6, opinione su cui l’Algarotti è concorde.

In questa rete di relazioni stanti tra forme e loro prodotti va inquadrato anche il ruolo del cantante-attore. Algarotti sostiene che i ’cantanti’ non hanno alcuna capacità che comporti automaticamente una loro dignità d’attori7. Va tenuto presente che nel Settecento erano facil-mente costretti a recitare in una lingua diversa dalla loro, per cui pronunciavano male le pa-role, con la conseguente alterazione della natura del verso. Le diverse inflessioni, la durata delle sillabe, i silenzi, gli accenti, sono elementi del melodramma germinati dall’antica trage-dia. La parte in cui l’attore deve venir fuori è il ‘recitativo’, aspetto trascurato dagli Italiani al punto che nel Traité sono biasimati i cantanti Tesi e Nicolini, considerati «modèles immortels de la déclamation du chant»8 ma limitati quanto a movenze sceniche.

Quasi ci si scandalizza quando dai testi del ‘secolo dei Lumi’ s’apprende che durante i re-citativi nei palchi si parlava. E’ ancor più spaesante leggere che tale atteggiamento spinse il pubblico ad apprezzare le ‘ariette’. Ne venne fuori una teoria discussa con tutte le armi della dialettica e della logica. Né va dimenticato che l’usanza di spegnere le luci in sala divenne prammatica solo dopo la sua introduzione nel 1843 presso il Teatro Carignano di Torino e che soltanto con Verdi l’azione melodrammatica tornò a essere considerata anche un pro-dotto dell’azione degli attori.

Il poeta tragico deve avvalersi di soggetti che consentano un canto nobile, patetico, pas-sionale. Dal suo canto il poeta comico si rifà a soggetti vivi, gioiosi, pittoreschi. L’esigenza principale è individuare tratti nettamente delineati che consentano d’esprimere le più forti impressioni. La musica offre, tutto sommato, un numero ridotto di segni che rappresentano gli affetti che riusciamo a descrivere e quindi non è l’elemento che consente di mettere in evidenza i dettagli che differenziano le emozioni.

I ragionamenti di certe passioni, la calma momentanea d’altre, la scala di progressione dei loro moti, le gradazioni e degradazioni impercettibili, il loro accostarsi e discostarsi, la loro separazione, certe sfumature delicate che non possono essere espresse altrimenti che con il gesto o con l’inflessione, tutto ciò è indiscutibilmente fuori dalle possibilità rappresentative della musica. Quinault fece monologare e dialogare troppo le passioni, motivo per cui gli venne preferito Metastasio. L’Italiano mette in scena le sue passioni trasferendole nel concre-to delle azioni. Aggiunge poco ragionamento e alcuna descrizione. Assomma tratti taglienti, frasi incisive, disordine apparente, una marcia brusca, pause, esclamazioni, cose che po-trebbero fare brillare persino un musicista di mestiere.

La diatriba tra Italiani e Francesi arrivò al punto da rendere motivi di differenza anche ele-menti semplicissimi. Nell’opera francese il poeta rappresenta cose che alimentano il canto pittoresco, vivente di descrizioni e immagini. La finezza, l’antitesi, ciò che viene detto spirito è un’astrazione che non lascia alcuna presa al musicista. Metastasio è preferito a Quinault in quanto la passione da lui espressa nelle figure è più efficace in ragionamento.

Non è opinione gratuita che la storia del melodramma nella sua accezione più vasta (favola in musica, dramma in musica, dramma musicale, opera seria, opera comica, ecc.) origini dalla somma della critica oltre che dalla composizione personale del drammaturgo

6 Traité..., cit., p. 351.7 Cfr. Della maniera del cantare, e del recitare, in ALGAROTTI, Saggio..., cit., pp. 40-51.8 Traité..., cit., p. 355.

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creatore dell’espressione verbale musicale9. La funzione della melodrammaturgia, nel con-cetto minoritario affermatosi particolarmente presso l’estetica tedesca, non va intesa come pratica dell’inscenare bensì attitudine all’esprimere in musica drammi concepiti per la scena realizzandovi un trasferimento delle relazioni estetiche tra poesia e musica. Il divenire meta-forico dell’espressione lessicale significante si tramuta in in parola poetica, quindi in espres-sione del poeta, che inventa un’originale determinazione lirica.

La considerazione critica del melodramma va necessariamente incentrata sull’aspetto for-male del libretto, sulla sua entità tecnica e letteraria. E’ aspetto di pregevolezza melodramma-tica la flessibilità, in quanto le forme diverse e la differenza tra i concetti artistici e la loro so-stanza consentono l’affermazione e l’idealizzazione continua della parola, e viceversa del li-bretto nell’espressione musicale10. Le contrastanti teorie della denominazione dell’arte verba-le e della musicale comportarono che i primi monodisti, pur dando per scontata la premi-nenza del “concetto” e del “sentimento della parola”, non approfondirono la funzione lin-guistica della significazione, pratica e poetica. Il criterio d’attribuzione del senso rispondeva a semplice arbitrarietà. Dato l’apporto del contrappunto nella composizione musicale, il cui non sempre congruente sovrapporsi di suoni rende difficile la comprensione, la parola e la poesia nella musica monodica poterono coesistere, pur restando di valore acustico secon-dario nella composizione corale e da camera, e per alcuni teorici, persino nel melodramma. La questione del valore della parola passò in subordine alla questione della primazia del li-bretto sul rivestimento musicale11. Nel Settecento si trattò con acceso spirito dialettico del rapporto tra testo e musica, a scapito dell’indagine sulla consistenza della “poesia per musi-ca”, ovvero la catena di relazioni d’un poema, d’una strofa, d’una romanza, di un’ode, d’una lirica e persino delle composizioni sacre, il cui aspetto problematico va inquadrato nella consistenza estetica del suono. S’è spesso ponderato l’insito divario e contrasto della stesura in generale e della versificazione in particolare, e del moto dei sentimenti, di cui il poema consta con la proprietà e necessità della composizione musicale, con esito la constatazione dell’incongruenza tra verbo e musica. Per il Della Corte12 la cosa va affrontata secondo un punto di vista differente. La composizione su un testo non è un a priori né un organismo staccato dal suo contesto né indifferente a esso. Tra l’altro va evidenziato che il musicista non è costretto a comporre in un modo non intonato al suo spirito e non confacente alla sua tecnica, trattandosi di comporre su un testo, non contro13. Il testo è una suggestione verbale che interessa l’artista della musica, ne eccita la creatività, ne promuove l’espressione. La creazione verbale diviene metafora al pari della musica che ne amplifica il valore dilagante oltre la congruenza del significato. A tal punto l’accennato conflitto tra le due forme espres-sive viene meno. Oggetto della critica diviene la perfezione o l’imperfezione della singola ri-uscita. A contrario di Della Corte, riteniamo elusivo l’atteggiamento di chi voglia evitare l’analisi del contrasto tra forma musicale e forma verbale.

Probabilmente l’evento, il tempo, il personaggio che ebbero realtà virtuale necessitano di un’interpretazione. L’artista non crea dati culturali, né eventualità; egli ha in mente la realtà dell’opera d’arte. Il libretto considerato indipendentemente dalla destinazione afferisce alle unità della poesia e della critica poetica. In relazione alla musica sarà allora oggetto della cri-tica melodrammatica. Un romanzo o un dramma storico sono testi in cui prevale non il ri-spetto del dato storico bensì l’esercizio della fantasia su esso, e analogamente in un libretto

9 Sull’entità del libretto, in Drammi per musica dal Rinuccini allo Zeno, a cura di ANDREA DELLA CORTE, Torino, UTET, 1958, p. 9.10 FRANCO PIPERNO, Le novità del linguaggio musicale, in ALBERTO BASSO, Musica in scena, Torino, UTET, 1996, p. 191.11 Ivi, p.192 .12 DELLA CORTE, Sull’entità..., cit., p. 10.13 Ivi, p. 11.

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l’esercizio della fantasia sarà elemento di trasformazione del fatto, e più che nel dramma non vi si vorrà riconoscere alcuna realtà storica. Tra l’altro, il melodramma elide le ambiguità fre-quenti nel teatro letterario. La discussione sugli ordini morali, politici, sociali e riprese paro-distiche di echi storici e altro pervadono il senso palese o nascosto di molte commedie o tra-gedie letterarie, o ne sono il fine. Nella sfera dell’arte musicale, quindi del melodramma, tale finalità è se non mancante quanto meno d’importanza secondaria. La derivazione o riduzio-ne d’un libretto da un dramma letterario o da un romanzo o altro, quindi la relazione d’un li-bretto con il dramma musicale che lo assorbe, implica la confutazione del concetto di ‘interpretazione’. In primo luogo il confronto tra lavoro letterario originario e traslazione sce-nica. L’attitudine letteraria relativa a un argomento e la passionalità vertono sulla liricizzazio-ne dei sentimenti latenti nel libretto allo stato di concetto. La conoscenza e la distinzione di melodrammi provano come le tesi letterarie siano state trasferite nella lirica. I librettisti del Sei e Settecento che si rifecero alla storia proponevano quasi sempre una premessa di rimando alle opere di Tito Livio o di Erodoto, Svetonio, con ciò intendendo contestualizzare in una rete d’accadimenti documentati quanto essi andavano a inventare14.

Non senza una punta d’acredine Della Corte osserva che la richiesta della fedele interpre-tazione di fatti storici e le eventuali critiche in genere siano venute da chi dovrebbe essere indifferente al problema dell’autenticità, cioè l’esecutore. Sembrerebbe constatazione ovvia, ma il librettista compie un’operazione di vero e proprio editing che nasce dall’esigenza pra-tica d’una versione scenica che possa rendere agevoli passaggi e azioni sul palcoscenico. Quindi la trasposizione in libretto è nient’altro che un lavoro di ritaglio, ricavo, estrazione, aggiunta di didascalie, esposizione di dialoghi cui si dà conformazione adatta alla messa in musica, predisposizione dei versi che conforma il dramma su cui verrà composta la musica. Va chiarito che anche un lavoro puramente estrattivo nel momento in cui acquisirà vita pro-pria e verrà apprezzato per le sue peculiarità sarà da considerarsi una creazione originale. In modo apparentemente contraddittorio, sicuramente paradossale, in genere sono considerati libretti apprezzabili quelli che non solo sono più vicini nel testo e nell’azione al lavoro d’ori-gine, ma quelli che riescono a trasferirne lo spirito sul palco. Del resto, il musicista può crea-re la sua musica liberamente, può essere o non essere mosso alla creazione dal testo da un suo particolare. La reminescenza logica e psicologica può portare all’associazione del meta-personaggio con il suo essente originario traslato nelle linee della narrazione.

Si possono distinguere in un libretto l’azione esterna, che consta di vicenda scenica e di episodi culminanti o secondari, dall’azione interna, liberazione del sentimento dei perso-naggi. Nell’azione esterna vanno individuati i personaggi, i maschili e i femminili; l’eventua-le presenza del coro o dei cori, in gruppi impersonati o indistinti; la scansione in atti e in scene; l’eventuale prologo o monologo o dialogo; la varietà dei versi, l’alternanza della stro-fa e dei versi sciolti; la collocazione di quella e di questi in ciascuna scena; il numero totale dei versi; la sequenza degli episodi solistici o corali nel corso di ciascun atto; i modi della prosa (se il libretto è in prosa o se alternata ai versi); la quantità e la qualità delle didascalie; il cambiamento e il numero e la varietà delle scene; il gusto della scenografia; l’intervento della coreografia, la prescrizione dei costumi storici.

Nell’azione interna s’osservano i caratteri di ciascun personaggio, serio o comico, veristi-co o simbolico (storici o borghesi, fantastici, leggendari o mitici); lo svolgimento dei senti-menti e degli eventi, continuo o discontinuo; l’intreccio lineare o avviluppato delle passioni, concordi o opposte; la concentrazione o l’espansione del discorso; la rappresentazione o il racconto degli avvenimenti, il crescendo dinamico degli episodi culminanti in una scena mediana o in quella finale, la risoluzione dell’intreccio. Tale analisi andrà corredata da un approfondimento sull’autonomia o derivazione del libretto da un romanzo o da drammi

14 DELLA CORTE, Sull’entità..., cit., p. 11.

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scenici, se pensato dal librettista o suggerito dal musicista15.Andrebbe dissipata la convinzione per cui la partitura musicale è intesa come il copione

di regia per la messinscena. Per ragioni pratiche che emergono dal divenire scenico l’indi-rizzo fornito dalle prescrizioni musicali non è il solo da seguire. La musica esprime l’azione interiore e solo parzialmente l’azione esteriore, venendo tratteggiata nella storicità del senso musicale soltanto una porzione d’astratto di realtà.

In genere la parte orchestrale concorre a uno spostamento della prospettiva drammaturgi-ca in quanto agisce sulla coscienza percettiva del tempo. Nel teatro drammatico viene enfa-tizzato non tanto ciò che avviene nella realtà istantanea, bensì quanto rientra nell’accaduto e nel dovere accadere, alimenti della dialettica dell’attimo scenico. La parola è soggetta alle leggi della significazione e va riportata a forme in cui si delinea il progredire dell’atto sceni-co. Le condizioni poste dal prima e dal dopo guidano la connessione degli accadimenti che tendono a un fine e spiegano l’efficacia drammatica del discorso, vincolato a due condizioni imprescindibili da Wagner denominate ’rimembranza’ e ’presentimento’. Nel teatro dram-matico classico o d’ispirazione classica l’azione si svolge non esclusivamente in divenire scenico di senso spaziale, temporale o in ambedue. A una morfologia drammatica conclusa corrisponderà un’eventualità scenica basata su una minore quantità d’azioni. Il parlato di-scorsivo del teatro drammatico sopravanza quanto lo spettatore può effettivamente percepi-re. Immerso nella realtà eziologica del dramma esteriore la narrazione dell’antefatto traccia lo svolgimento da sviluppare nella rappresentazione d’atti nella realtà momentanea della sce-na.

Criteri compositivi musicali

I compositori di musica per melodramma si sono sempre attenuti a indicazioni empiriche da cui s’è tentato d’estrarre una teoria compositiva che, in fin dei conti, rimane una forzata indistinzione formale in contraddizione con la realtà degli atteggiamenti stilistici individuali, tra loro anche incongruenti. Superando anche la difficoltà dell’uniformazione, nella compo-sizione musicale dei melodrammi gli studiosi individuano una serie di ricorrenze16.

Gli artisti d’ogni epoca hanno visto nella musica qualcosa d’irrazionale, dice efficacemen-te e con sincerità Wagner «qualcosa per metà selvaggio e per metà sciocco»17 . La crisi del dramma nella seconda metà del secolo decimonono va motivata anche con i tentativi d’im-pedimento dei rapporti intersoggettivi e la spinta verso l’isolamento che ne derivò. Lo stile drammatico è messo in crisi da tale spinta all’isolamento e con difficoltà ritrova vitalità data la mancanza di condizioni per il ritorno al dialogo intersoggettivo, situazioni cui corrispondo-no il silenzio e il monologo. Tale senso di costrizione è alla base dei drammi moderni in cui si parla d’eventi accaduti che rientrano nella narrazione epica. S’afferma una drammaticità interna speculare a un’epicità di superficie. La ’Guckkastenbühne’ ovvero il ‘palcoscenico stereoscopico’ del dramma classico ha consentito di sperimentare una drammaturgia ‘di compressione’ mediante l’apporto di valori diminutivi18 che ritagliano intorno all’oggetto una virtualità per cui è osservato come attraverso le lenti d’un cannocchiale rovesciato.

Per velocizzare i passaggi di scena specialmente i compositori del secondo Settecento presero ad adottare profili ritmici non quadrati, non articolati in periodi regolari, resi can-gianti dalla classica prospettiva dell’accentuazione dei metri settenari e endecasillabi, allora ritenuti di particolare eufonia. Soppiantata la fissità dei ‘modi ritmici’ s’afferma il tempo im-15 Date enumerazioni sono desunte da DELLA CORTE, Sull’entità..., cit., p. 10.16 Cfr. Storia dell’opera italiana, a cura di Lorenzo Bianconi e Giorgio Pestelli, Torino, EDT, 1988.17 RICHARD WAGNER, Musikdrama, Pordenone, Studio Tesi, 1988, p. 18.18 PETER SZONDI, Teoria del dramma moderno, Torino, Einaudi, 1962, p. 82.

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perfetto quaternario, la cui possibilità di divisione per progressione binaria consente figura-zioni complesse, quindi facilità di passaggio tra tempi di diversa natura ritmica. Attenendosi a un elementare principio della prosodia, nelle linee della melodia venne privilegiata una modularità basata sul grado congiunto, più vicino al passaggio di toni del parlato. In note-vole anticipo, Peri aveva sperimentato una conduzione melodica estesa nell’ambito di quin-ta e Caccini di sesta, toccando estensioni fino all’ottava in punti di particolare tensione o nel-le formula di chiusa.

Data la necessità di sintesi, la melodia che riveste funzioni di complemento scenico deve corrispondere alle unità sintattiche, dovendo esaurirsi non solo figuratamente nello spazio del respiro consentito al cantante dalla frase melodica, in coincidenza con la frase-verso. L’inizio e la fine della formulazione sono delimitate dalla legatura fraseologica imposta dal cadenzare del basso continuo. In analogia con i dettami del parlato della lingua italiana la ritmica vocale era soggetta alla preponderanza delle sillabe toniche. I valori più lunghi assu-mevano rilevanza maggiore rispetto a quelli associati alle sillabe atone e perciò venivano posti sul tempo forte della battuta e in consonanza con il basso. Nelle battute secondarie il moto veniva preparato mediante il passaggio da un grado inferiore e con discese repentine del moto melodico e del volume sonoro. Vocalizzi e spostamenti nell’accentuazione erano metodi praticati per l’ondulazione del modello ritmico. Nel Settecento si ricorre meno fre-quentemente alle ripetizioni verbali, che dove inserite acquistano un più intenso valore di sottolineatura emotiva.

Da tali premesse risulta un’organizzazione discorsiva basata sulla subordinazione a una frase-idea principale, data dalla somma di frammenti della scansione intervallare desunti dal-le linee che inducono la movenza melodica. Per analogia morfologica e sintattica i punti di cadenza seguono la scansione fraseologica determinata dall’interpunzione. I principali punti di cadenza sono per quanto possibile collegati alla virgola e ai due punti, con una melodiz-zazione tendente a evidenziare l’accento principale su un basso prevalentemente statico; al-tri metodi adottati sono l’introduzione di cadenze imperfette e il ritmo di chiusa femminile. Le cadenze corrispondenti al punto e virgola o al punto del parlato corrispondono a cadenze maschili, che apportano al basso più ampie possibilità di risoluzione nonché una certa fles-sibilità armonica. In Compendio del Trattato de’ generi e de’ modi della musica con un di-scorso sopra la perfettione de’ Concenti 19 il teorico Doni mette in evidenza l’azione multili-vello della melodia. Per la semplicità in esso presupposta un primo livello è considerato adatto alla narrazione, in quanto attinente all’evocazione dell’oggetto in assenza dello stes-so. Caratterizzato da un’emissione tendente a uniformità melodica, per alcuni teorici costitui-rebbe il recitativo vero e proprio. A un diverso livello viene riferita l’esatta osservanza degli accenti e dell’inflessione della voce funzionali al parlato scenico. A un ulteriore livello è ascritto il parlato patetico, la particolare maniera di parlare in quantità misurata con ascese e discese di tono prive d’altezza definita.

Paradossi della regia melodrammatica

Grazie all’azione esercitata dalla musica sulla psiche il dramma trasporta immediatamente verso una dimensione di pura idealità. Il più semplice tratto dell’azione appare trasfigurato e il motivo che simboleggia il singolo affetto parla come un richiamo al patetismo soggettivo. La regia di un’opera lirica non è univoca, ma come sostiene Ronconi può avere un numero di realizzazioni esattamente pari alle occasioni di palcoscenico.

Ronconi dice:19 GIOVAN BATTISTA DONI, Compendio del Trattato de’ generi e de’ modi della musica con un discorso sopra la perfettione de’ Concenti in Roma, per Andrea Fei, MDCXXXV, p. 79 seg., e ancora p. 102 segg.

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Da sempre il compito di un regista d’opera è di mettere in scena insieme degli elementi dati, senza determinare la scelta di quegli elementi. Quando la Scala decide di fare l’Aida inaugurale per l’inaugurazione deve tener conto di quel che significa la cerimonia “inaugurazione della Scala“, che in qualche modo prevarica l’idea di Aida come opera teatrale e musicale20.

Ronconi non ha problemi a sostenere persino la non esistenza d’una regia teatrale per l’opera:

Già la definizione di regia d’opera in generale mi dà ai nervi, perché credo sia artificio-

sa. Non penso affatto che esista una regia d’opera, come ho detto tante volte, come non credo esista una regia di prosa, ma esistono tanti modi di fare regia quanti sono i testi, quanti sono gli spettacoli e quante sono le circostanze e le commissioni21. Un simile impostazione relativista dimostra che è forzatura della critica pertinente sostene-

re che, trascorso l’Ottocento, nella regia d’opera non si sarebbero sviluppati modi e tecniche specifici. Gli indirizzi dovrebbero sorgere da una serie di fattori che alcuni individuano in un elenco di tendenze interpretative, suggestioni critiche, o d’aspetti complementari, la musica, il libretto, i personaggi, la coreografia, la recitazione, il dramma musicale. Va da sé che il contributo di attori-cantanti capaci di sostenere la recitazione drammatica condiziona la re-gia, che nel caso di cantanti “puri” va calibrata sulla musica. Lo spettacolo si gioca non solo sulla ripresa in scena dell’azione, ma forse, e in maggior misura, nella dimensione della me-moria, e nella guida alla percezione che da essa si ricava, per cui diviene teatro il dubbio che viene allo spettatore quando l’attesa non riceve conferma e assiste a quanto la logica forse escluderebbe, ovvero alla sorpresa che rende fantastica l’imitazione della realtà.

Lo stile dell’opera da rappresentare condiziona le scelte registiche. Alcune opere possono indurre un tipo di regia che esige cura per il personaggio, per il tratteggio delle situazioni, che richiedono un’attenzione privilegiata per l’aspetto portante della rappresentazione tea-trale. Allo stesso modo esistono opere in cui è plausibile un trattamento del personaggio esclusivamente musicale, caso in cui la regia passa in secondo piano nonostante alcuni per-sonaggi vadano caratterizzati, specie in Donizetti. La composizione scenografica è uno dei pochi ambiti in cui il regista lirico può spaziare in autonomia. Nonostante la scenografia operistica rimanga soggetta a codici di prammatica, l’eliminazione o il mantenimento d’ele-menti scenici tradizionali può determinare un capovolgimento di tradizione o di situazione. In genere nelle opere del Settecento e dell’Ottocento s’utilizzano le scenografie del normale repertorio, condizionamento dettato dalla disponibilità produttiva, la linea da seguire; come detto a chiare lettere da alcuni registi, le scenografie rientrano nella dotazione di materiale delle singole istituzioni. Data la crisi nella composizione operistica, per economia di produ-zione la scenografia di repertorio sopravvive solo nei maggiori teatri. Ne consegue che il rapporto tra spazio e scenografia va determinato a ogni nuova messinscena.

Parlando di regia non può mancare un riferimento alla regia cinematografica. Lo spazio d’azione del cantante è dato dal rapporto tra personaggio e ambiente, cioè dalla sua collo-cazione e dal piano della figura nell’ambiente. In quanto soggetto al vincolo musicale, luo-go definito per l’azione del cantante è la ribalta. Per l’abitudine visiva s’è costruito un discor-so di piani recitativi differenziati, essendo nella coscienza percettiva dello spettatore comune concepire la ricomposizione d’immagine in base a un primo piano o a un campo lungo, as-soluti che comportano il riconoscimento dell’oggetto. Questa coscienza comporta la rico-

20 LUCA RONCONI, Inventare l’opera, Milano, Ubulibri, 1986, p. 15.21 Ivi, p. 18.

10 Drammi per musica al Teatro dell’Opera

struzione teatrale dei vari giochi visivi, ad esempio il ’primo piano’, che può essere sintetiz-zato mediante l’allontanamento della figura e l’avvicinamento della scenografia. Il movimen-to della scena non è solamente un espediente per riportare l’attività d’un personaggio ma è anche un aspetto oggettivo della costruzione del discorso scenico che nel cinema corri-sponde al montaggio, parti dell’inventabilità del campo e del controcampo visivo. Date con-statazioni dimostrano che il modo percettivo è distorto dall’osservazione cinematografica; tale modo di porsi nei confronti della scena teatrale vale per l’opera quanto per la prosa. Va anche detto che nell’economia dell’immagine deve prevalere il senso della continuità tra i vari tempi dell’azione. Le relazioni ambientali vengono stabilite dalla presenza in scena d’elementi che fungono da costanti indici di richiamo a luoghi che definiscono le situazioni. Alcuni registi sono portati a selezionare gli elementi che in un dato momento non servono, anche perché in tal modo nel loro essere ripresentati acquistano una nuova forza pur senza cambiare esteriormente. E’ compito del regista dissimulare quanto delle attrezzature possa disturbare la realtà momentanea in scena22.

La teoria stanislavskijana concernente l’attività interiore dell’attore postulava l’annullarsi nel personaggio, il divenire e vivere in quello, quindi escludeva la recitazione e non consi-derava il pubblico destinatario del messaggio. Tali dettami ottemperavano al concetto di ‘пе-реживание’ (reviviscenza), termine d’indirizzo che sopravvive fino agli anni ’70 del Nove-cento, contrapposto all’idea di ’представление’ (rappresentazione)23. Il Teatro dell’Arte di Mo-sca nel ’900 abolì del tutto la musica allegra in quanto ritenuta non confacente allo spirito di drammaticità implicito nel gesto scenico. In anticipo su altri teatri moderni, in quel teatro la figura del regista acquistò una preponderanza che fece parlare gli avversatori di “assolutismo registico”. L’ondulazione della regia per Le tre sorelle di Čechov esemplifica l’attuazione d’una regia melodrammatica in assenza di canto lirico. Diviene musicale il gesto connesso alla ricerca fonica, elementi che in complemento sono validi attivatori del passag-gio da una sommessa dimensione psicologica a un universo acustico in cui acquisiscono senso espressivo anche le pause e le fermate. Il naturalismo stanislavskijano è ritagliato sulla passione per l’oggetto in sé in quanto parte del tutto, vivendo dato teatro dell’amplificazione degli atti24.

Prefiggendosi il conseguimento dell’unità artistica nelle varie dimensioni della realizza-zione teatrale Appia analizza le eventuali cause che ostacolano il loro legarsi in organismo e rileva che la rappresentazione scenica impegna la percezione visiva in merito a tre aspetti spaziali tra loro tendenzialmente incongruenti, la tridimensionalità dell’attore in movimento, la perpendicolarità della scena, l’orizzontalità del suolo25. Dovendo operare sui volumi Ap-pia concepiva la luce complemento sensoriale della sollecitazione uditiva che con questa andava orchestrato.

Accettando che la musica strumentale fosse nata nella cultura greca come abbassamento di grado dell’arte tragica e che in tale specializzazione vada colta l’origine e il progredire della psicologia sonora, s’induce che i cori tragici offrano materia d’approfondimento. Costi-tuitesi forme d’espressione prive di dramma, di poesia, di gesto, la ricerca si spostò all’inter-no del suono emancipandosi in espressione autonoma. Anche quando considerato dal solo aspetto dell’azione esteriore il senso dello spettacolo teatrale riferisce d’una rappresentazio-ne d’antefatti e di motivi di chiarimento all’excursus che automaticamente coinvolge l’inte-resse dello spettatore. Diversamente, un’azione di sola declamazione mancante d’un rap-22 RONCONI, Inventare..., cit., p. 19.23 ANGELO MARIA RIPELLINO, Il trucco e l’anima: i maestri della regia nel teatro russo del Novecento, Tori-no, Einaudi, 2002, p. 79.24 Ibidem.25 La regia teatrale: Appia, Craig, Stanislavskij, Dančenko, a cura di Silvio d’Amico, Roma, Belardetti, 1947, p. 33.

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porto d’eventi può risultare priva di comunicatività. Nell’opera v’è il vantaggio di un’effettisti-ca che ottiene la sollecitazione dell’attentività mediante contrasti, con effetto un’azione com-prensibile pur se aleatoria. Su tale presupposto risulta di più efficace presa un testo da rap-presentare in opera basato su un rapporto non evidente ma presente tra la temporalità del fatto narrato e l’attualità della composizione. La manipolazione del contenuto e la modalità della sua trasmissione influiscono sulla portanza comunicativa della composizione lirica; Wagner, ad esempio, evidenzia che il pubblico recepì diversamente la trasposizione scenica del Faust e l’opera di Gounod26. Si sottolinea così un limite congenito nella rappresentazione scenica, l’impossibilità di riportare nell’azione visibile l’impianto ideale del dramma. Nel se-condo Ottocento nell’opera emerge il decadimento che interessa la cultura, e l’opera dram-matica inizia a trasformarsi in melodramma. A differenza di quanto avviene nel teatro france-se, nel teatro tedesco viene rivisto il caratteristico concetto di ’correttezza’. Ripercorrendo le tappe del ’pathos’ teatrale s’evidenzierebbero i motivi che indirizzano il dramma moderno verso gli obiettivi che nel Novecento sembrano risolversi in annullamento del valore del-l’espressione e nell’inutilità della comprensione.

Recepito il patrimonio preesistente, gli autori italiani si rifecero a forme e strutture antiche, per cui il dramma recitato quasi non ebbe possibilità di sussistenza; inebriati dalla perfezione classica, tentarono una risorgenza del dramma antico nelle commistioni della lirica musica-le. Lo spirito arcaizzante dei letterati non ebbe la stessa capacità vitalizzante in paesi d’aper-tura modernista, particolarmente Inghilterra e Spagna, culture in cui il patrimonio popolare fu base per il nuovo spettacolo teatrale. L’originale maniera realistica, che ebbe in Lope de Vega uno dei massimi, indirizzò la drammaturgia di Calderón verso un idealismo non così difforme dallo spostamento verso la mitologia praticato dagli italiani, da Wagner ritenuto in-dividuazione d’attitudine all’opera. Alcuni critici reputano che anche il dramma inglese avrebbe conosciuto un’evoluzione analoga qualora Shakespeare non avesse riportato in spettacolo realistico le astrazioni della storia e del mito dando vita a un’epica della moderni-tà. Tale epos significò una riconsiderazione dei classici, delle forme da essi sperimentate, la confutazione delle teorie del dramma, viziate da preconcetti che, secondo Wagner, addirit-tura ne stabilivano la fine in seguito alla morte di Mozart.

Nel tentare una comprensione delle suggestioni che spingono a considerare la realtà at-tuale o possibile attraverso il suono, parola o voce, musica o teatro, fattori di più linguistiche specializzate, si deve inevitabilmente risalire all’origine cultuale delle forme di rappresenta-zione, che rende plausibile l’instaurarsi di rapporti necessari mediante cui si conformano elementi necessari per la comunicazione. L’esigenza di dare un ordine ai vari livelli della tra-smissione del senso ha in esito nuove leggi del discorso basate su una logica che nel proce-dere del tempo si sviluppa in appropriata retorica.

Quanto del senso si può inferire nella musica affiancata all’espressione del dramma evi-denzierebbe un limite nella sostanza poetica, astratto che si trasforma in concreto all’atto della rappresentazione. Il poeta antico ideava i miti, cantati nell’epos recitato in pubblico e rappresentati nel dramma. Platone fece ricorso a tale aspetto nella dialettica d’alcune scene, forse all’origine della poesia letteraria didascalica, particolarmente I dialoghi e Il sofista. Le forme della poesia spontanea sono trattate in modo da semplificare l’esposizione di tesi filo-sofiche altrimenti per pochi, ricondotte a un livello discorsivo insieme popolare e astratto corrispettivo all’osservazione della vita, di cui agevola una presa di coscienza. L’introspezio-ne insita nella rappresentazione drammatica venne recepita dai maggiori poeti sistema effi-cace per conferire all’espressione teatrale popolare una contenutistica svincolata dalla piace-volezza dell’espressione melliflua. L’esigenza di risultare comprensibile al pubblico, che con il suo gradimento decretava successi e insuccessi, per l’autore antico significò dovere bilan-ciare con accortezza apollineo e dionisiaco. Tale condizionamento si riflesse nella morfolo-26 WAGNER..., Musikdrama..., cit., p. 11.

12 Drammi per musica al Teatro dell’Opera

gia risultante dalla connessione tra la primigenia lirica e il ditirambo dionisiaco, cui Wagner e Nietzsche fanno risalire le strutture patetiche che s’evolsero fino al delinearsi della tragedia. Attraverso l’attualizzazione dell’epos, ciò che in fondo fu la narrazione delle vicende degli Atridi, in forme adatte alla stimolazione delle facoltà sensoriali veniva sollecitato l’impegno dello spettatore all’attività critica soggettiva, vera educazione del polites.

Superata la fase primordiale del naturalismo che individuava nell’imitazione della natura la finalità della propria sussistenza, nella musica si registra una spontanea espansione lingui-stica; come evidenziato anche dal Sachs27, la ripresa dei ritmi della vita si complica gradata-mente in canto su uno sfondo d’accompagnamento che, in un percorso calcolato in oltre sessantamila anni, diviene armonia entro cui chi serve del suono esplica autoreferenzial-mente le possibilità dell’essere.

Musica e vincoli

La convenienza estetica obbliga il compositore musicale a una serie di ricorrenze. Nel caso specifico della musica per dramma, tra le tante, nel ‘ritornello’ emerge la questione del-la priorità tra musica e dramma, che nel Settecento provocò estenuanti dibattiti. In musica quanto compiace l’udito è distribuito, mediante sollecitazioni sonore corrispondenti, a un ri-chiamo dell’attenzione su personaggi, dialogo, entrate, azione, intrigo. All’atto dell’unione del testo con la melodia ciò si traduce nel riportare nella parte verbale quanto delineato dal complesso delle frasi e dalle singole parole per verosimiglianza. I puristi del Classicismo obiettavano che il ritornello, da eseguirsi nelle scene dove l’azione è interrotta o dove l’inte-resse dello spettatore non è soggetto a particolari sollecitazioni, avesse funzione di riempiti-vo e fosse efficace quando l’attore è solo sulla scena e quando l’aria è all’inizio d’un atto. Del ritornello venne giustamente colta l’incongruenza che può presentare nel caso in cui sulla stessa melodia vengano esposte azioni di diverso carattere momentaneo. Non è infrequente che in una stessa aria, con la stessa musica, esprimano i loro sentimenti contrastanti un eroe e una fanciulla, un vincitore e un vinto e così via. Ulteriore vincolo fu la limitazione dei ‘gorgheggi’ o virtuosismi vocali che dir si voglia, ritenuti mancanti di definizione espressiva e d’individualità, e per la genericità anche cadenze e punti coronati28. Ovviamente le propor-zioni tra le parti dovevano rispondere a un criterio d’equilibrio affinché l’interesse per l’azio-ne restasse costantemente vigile. Fino all’ultimo Settecento vengono tenute in conto le indi-cazioni concernenti il ’recitativo’ riportate dal Peri nella prefazione all’Euridice. Tramite la no-tazione musicale viene fissato il modo di pronunciare e di declamare voluto dall’autore in ri-ferimento a due serie d’aspetti fonetici essenziali. Nella prima serie vanno considerate la du-rata delle sillabe del discorso, gli intervalli, le pause; nella seconda le espressioni dei vari ac-centi emotivi, gioia, dolore, tenerezza, sostenute musicalmente da un basso d’accompagna-mento. Nel momento storico in cui il ‘recitativo’ si complica per il passaggio della voce a un registro diverso si ha il definirsi del ’recitativo obbligato’29.

Morfologie

27 CURT SACHS, La musica nel mondo antico. Oriente e Occidente, Firenze, Sansoni, 1963, p. 141e p. 227. 28 Va ricordato che nelle ‘cadenze’ i cantanti potevano improvvisare a loro piacimento su formule melodi-che basate su scale e arpeggi in tempo aperto riformulando spunti motivici essenziali su basso di quarta e sesta. I ‘punti coronati’, fermate su singole note che potevano essere prolungate ad libitum, interrompeva-no la continuità ritmica della scena.29 Maestri nella tessitura d’accompagnamento di recitativi furono ritenuti Marcello, Astorga, Porpora, Vin-ci, Leo.

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Come abbiamo visto, la prospettiva eclettica cui è improntato il repertorio proposto al Teatro dell’Opera è effetto d’un preciso impegno assunto verso l’amministrazione della città, un obbligo a un impegno produttivo qualificato e in linea con le espressioni più nuove.

Per una definizione delle caratteristiche delle singole forme melodrammatiche s’è reso ne-cessario circoscrivere l’attenzione ai lavori realizzati dall’Istituzione in merito a cui esiste do-cumentazione disponibile, ampiamente illustrata nei volumi del Frajese30, che forniscono una messe di dati relativi al periodo 1880-1960, cui sono di complemento gli Indici Genera-li31 dell’Archivio Documentario del Teatro dell’Opera, che coprono il periodo delle rappre-sentazioni date tra il 1978 e il 1996. Dei titoli presenti sono stati considerati quelli rispon-denti a forme nel cui livello denominativo si palesa la preminenza di un’attività scenica che indirizza il senso musicale connotativo del carattere generale dell’opera. A una consultazio-ne dei due volumi s’evidenzia un’attenzione a precise funzioni sceniche che danno luogo a corrispettive morfologie. Potendosi intendere il formalismo somma d’indagini sulla forma, v’è da mettere a fuoco che formalismo è anche corrispondenza della forma in cui si riesce a rappresentare il rappresentabile con le strutture che riescono a veicolare possibilità di com-prensione, ovvero corrispondenza di forme sintetiche a forme preordinate della percezione. Nel Settecento la distinzione tra le varie strutture della narrazione scenica rispondeva alla precisa esigenza d’una connotazione spettacolare che potesse chiarire già alla lettura della locandina il carattere della rappresentazione, il tono recitativo e persino l’impostazione della musica, in effetti mero accompagnamento. Numerosi scritti testimoniano d’una querelle in atto nell’estetica e nella critica dell’epoca, il cui risultato fu la perpetuazione per l’interesse verso la tragedia, inevitabilmente ritenuta la più compiuta delle forme espressive.

Nel Dictionnaire historique et pittoresque du théâtre et des arts qui s’y rattachent relativa-mente alla voce ’dramma’ Pougin32 tentando di chiarire l’espressione ‘opera buffa’ propone una definizione onnicomprensiva. Ne fa risalire l’utilizzo agli autori francesi del secolo deci-mottavo e solo in seconda istanza alla pratica in voga ancora alla fine dell’Ottocento di de-nominare genericamente ’dramma giocoso’ alcune opere di carattere comico. Con il sottoli-neare idealmente la continuità con i modelli classici, lo studioso sostiene che la natura pate-tica delle forme di spettacolo moderno fa sì che esse vadano considerate versioni sintetizzate della tragedia e del dramma satiresco.

In anticipo su tali chiarimenti, nella prefazione al Cromwell Hugo aveva distinto nel dram-ma due aspetti complementari, prima di tutto che è forma di rappresentazione e secondaria-mente che è forma scritta. La rilevanza di tale distinzione è da cogliersi nella ricaduta sulla dimensione connotativa e descrittiva dell’esposizione, in quanto nella recitazione vengono riprese le qualità del mondo, belle o brutte che siano, in analogia con quanto si ricava dal-l’analisi degli eventi, peculiare della parte scritta:

le sublime à coté du grotesque, le laid a coté du beau...33

Non v’è una specifica voce ’dramma’ in The Reader’s Encyclopedia of World Drama by John Gassner e Edward Quinn34, in cui il termine staccato dalla tragedia viene ascritto al pre-

30 FRAJESE, Dal Costanzi all’Opera..., cit., p 17.31 Cfr. Indice generale Stagioni Liriche dal 1928 al 1996 Teatro dell’Opera di Roma [senza datazione] e Indice generale Stagioni Liriche-Le stagioni liriche 1978-1996 Teatro dell’Opera di Roma [senza datazione].32 ARTHUR POUGIN, Dictionnaire historique et pittoresque du théâtre et des arts qui s’y rattachent, Paris, Didot, 1885, pp. 305-309.33 Ivi, p. 308.34 The Reader’s Encyclopedia of World Drama by John Gassner & Edward Quinn, London, Methuen, 1975, pp. 183-187.

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ciso contesto di An Essay of Dramatic Poesy di John Dryden, scritto nel 166535.Nella Histoire universelle du théâtre scritta nel 1878 da Alphonse Royer36 un capitolo vie-

ne dedicato all’evoluzione del teatro italiano che delle forme drammatiche connesse al-l’espressione musicale s’alimentò, il propriamente denominato ‘Théâtre italien de Paris’.

Più articolata è la descrizione nel37 Deutsches Theatre-Lexikon di Wilhelm Kosch del 1951, che all’interno dell’unità terminologica stacca diverse tipologie:

Charkterdrama, Schicksaldrama, Lustspiel, Schauspiel, Komödie und Tragödie, Mono-drama, Duodrama und Melodrama.

Per lo studioso tedesco38 l’origine del dramma va colta nelle ascendenze greche ascrivibili a quanto è ‘canto’ e quanto è ’epos’ e all’inevitabile degradazione dei canali di comunica-zione da essi attivati e percorsi.

In39 The new Grove - Dictionary of Music and Musicians vengono riportate tre dizioni, ’drame lyrique’, ’dramma giocoso’, dramma per musica’, che a un livello connotativo più squisitamente musicale ritagliano nella singolarità del dramma aspetti connessi alla storia più che all’intima definizione estetica. La locuzione ’Drama lyrique’ tra XVIII e XIX secolo desi-gnò composizioni altrimenti definite ‘opéra’ o ‘opéra comique’. L’introduzione della dicitura ’dramma giocoso’ viene individuata nella prefazione a L’ipocondriaco di G.C. Villifranchi, verosimilmente divenuta dizione abituale con Goldoni. ’Dramma per musica’ è invece la de-finizione che si riscontra nella massima parte dei libretti, espressione la cui più antica com-parsa è sinora ritenuta l’intitolazione di L’Erismena, opera del 1645 di Aurelio Aureli40.

In Pougin41 il termine ’drame lyrique’ segnala il carattere serio, patetico d’una composizio-ne lirica in cui la pulsività del sentimento è aspetto prioritario:

C’est la qualification qu’on donne souvent à un opéra serieux, dans lequel le sentiment dramatique, pathétique, passionné, est poussé à sa plus grande puissance.

Una concezione monodimensionale s’è trascinata per inerzia da Wagner a oggi, con ec-cezioni sottolineate più dai critici che dai registi42. Nel saggio di Kerman43 è individuata nella prospettiva storica la determinazione d’una congiuntura percettiva di carattere prevalente-mente recettivo, che consente d’accogliere persino in modo ampio e immaginativo l’aspetto filologico connaturato nei lavori del passato.

Il dramma poetico risulta comparabile al dramma per musica in quanto ciò che distingue i due modi di comunicare è, al livello più elevato, differenziato dall’elemento acustico che de-termina una precisa dimensione psicologica. La poesia drammatica inferisce nella forma i si-gnificati che riportano alla coscienza del fruitore i contenuti dell’opera, conformando in modo appropriato la recezione del senso specifico. Ne consegue che le singole denomina-zioni non sono semplici espressioni diverse, variazioni denominative d’un unico oggetto, bensì aspetti della composizione differenziati.

Forme drammatiche desunte dalle intitolazioni originali in cui la dicitura ‘dramma’ com-pare in forma anche composta sono le seguenti:35 Ivi, p. 186.36 ALPHONSE ROYER, Histoire universelle du théâtre, Paris, Paul Ollendorf, 1878, pp. 172-176. 37 WILHELM KOSCH, Deutsches Theatre-Lexikon, Klagenfurt-Wien, Kleinmayr, 1951, pp. 347-350.38 Ivi, p. 347.39 The new Grove - Dictionary of Music and Musicians, New York, Macmillan Publishers, 2001, pp. 557.40 Ivi, p. 557.41 POUGIN, Dictionnaire..., cit., p. 309.42 JOSEPH KERMAN, L’opera come dramma, Torino, Einaudi, 1990.43 Ivi, p. 47.

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Dramma comicoDramma giocosoDramma buffoDramma per musicaMelodrammaMelodramma giocosoMelodramma tragico

Dramma comico. A livello puramente nominale sembrerebbe precedere gli altri, essendo-vi chiara un’indulgenza semantica al retaggio rappresentativo delle forme legate alla com-media latina. E’ ’dramma comico’ una delle messinscene realizzate con maggior frequenza presso il Teatro dell’Opera, Il barbiere di Siviglia di Rossini.

Dramma giocoso. E’ un termine prettamente settecentesco in cui si configurano, ad esem-pio, i lavori del Casti messi in musica da Salieri e Paisiello; celeberrimo è Prima la musica, poi le parole, in cui, appunto, si tratta della questione della priorità dell’una o dell’altra dimen-sione comunicativa.

Dramma buffo. Opera esplicitamente denominata ’dramma buffo’ è il Don Pasquale di Donizetti.

Dramma per musica. V’è nel termine un ideale riferimento alla tragedia, seppure con certa attenuazione di senso. Sono in tale forma Giulio Cesare di Haendel, L’incoronazione di Pop-pea di Monteverdi, Otello di Rossini.

Melodramma (melodramma giocoso, ad esempio L’Elisir d’amore di Donizetti, melodram-ma tragico, ad esempio Semiramide di Rossini, Maria di Rohan o Il conte di Calais di Do-nizetti). E’ un termine generico. L’aggiunta del prefisso ’melo’, dal greco ’melos’, ’melodia’, implica una compresenza dell’elemento musicale inscindibile dal contesto scenico. Relativa-mente al termine ’melodramma’ in The Reader’s Encyclopedia of World Drama44 è proposta una definizione in cui s’evidenzia il potere d’amplificazione del valore patetico di tale strut-tura, il cui germe viene inquadrato in Pigmalione di J.J. Rousseau, scritto nel 1770, in cui convergono pantomimo, musica, azione teatrale, tutte espressioni comunque preordinate dal senso della congruenza semantica del testo. Pougin45 lo suppone una “forme exagérée du drame“ consolidatosi all’inizio dell’Ottocento come prodotto di successo dei ‘théâtres du boulevard’. Il melodramma presenta dei moduli precostituiti sia a livello narrativo che agogi-co. Non difformemente dalla tragedia, ivi le trame ottemperano a uno schema precostituito quasi sempre emanato da una coscienza moralistica le cui conclusioni rientrano in un ordi-ne censorio. In genere data forma comporta un accompagnamento musicale di sottolineatu-ra, a un fatto qualsiasi o all’entrata o uscita d’un personaggio.

E’ importante evidenziare che nel secondo Settecento il melodramma poteva presentarsi in due forme, parlato o sopra la musica. Nel primo caso viene detto anche ’melologo’. Non concordiamo con i critici che parlano di nuova drammaturgia nel teatro musicale dopo Me-tastasio46, e sarebbe forse anche il caso di citare la ‘tramelogedia’ pensata ma non praticata da Alfieri. Nella mentalità dei teorici ante-Rivoluzione si prefigura come dovere del composi-tore di musica per scena l’assolvimento d’un doppio compito. La teoria delle forme gravita attorno le seguenti richieste:

Le devoir du Musicien, dans le Dramatique, embrasse deux objets: premièrement ce qu’il doit dire; en second lieu, la manière dont il le doit dire. L’expression, à ces deux égards, consiste à voir le sujet, l’intrigue et l’action du Drame, les passions, les tableaux et

44 GASSNER e QUINN, The Reader’s..., cit., p. 558 seg.45 POUGIN, Dictionnaire..., cit., p. 510 segg.46 Cfr. PIPERNO, L’opera..., in BASSO..., cit., pp. 185-190.

16 Drammi per musica al Teatro dell’Opera

les détails de la Scène, des même yeux dont les a vus le Poète, afin de leur donner le même ton de couleur, de rendre l’effet de ces coleurs identique, de connaître les ombres pour les fuivre, et les vuides pour les remplir, de fixer à chaque chose son caractére, son énergie, sa durée, propre.

Le condizioni prospettate come basi per la comunicazione creativa non possono disco-starsi dal modo di concepire la cosa secondo Aristotele, se non altro per l’ovvia mediazione tra fatti e percezione postulata dal filosofo. Per essere comprese, le cose devono essere pre-sentate mediante definizioni precise e particolari, in modo da ritagliare la porzione di rico-noscibilità che affiora alla mente come sintesi della realtà. Il soggetto, l’intrigo, l’azione sono elementi del dramma che pur prospettandosi come espressione dell’inconscio affettivo con-sentono di ripercorrere per analogia la realtà momentaneamente rivissuta dallo spettatore, il soggetto47. La musica, nell’inafferrabilità della sua semantica, è pensata strumento d’imitazio-ne della realtà, ovvero è oggetto, che ha come fine il piacere, ovvero lo scopo. La specie di sentimento che si manifesta nelle parole, sia dell’Aria che del Recitativo, è l’elemento cui la melodia si deve intonare. La melodia, pertanto, non rimane una semplice inflessione musi-cale dell’Aria, bensì è un aspetto del discorso che deve concorrere a rendere partecipe l’ascoltatore della situazione di colui che canta. I teorici sono concordi nell’asserire che il musicista non deve agire da mero compilatore di note che osserva la natura, l’uomo, le sue passioni, il delirio, i conflitti, i suoi movimenti, la lingua. Ciò che si deve percepire nella mu-sica è la congruenza della libertà espositiva dell’Aria con la delimitazione d’eventualità stabi-lita nel Recitativo e viceversa. La melodia descrive e nel Traité è citato l’autore della Preface nell’Encyclopédie riprendendo un concetto fondamentale che chiarisce il senso della signifi-cazione musicale: “La musique qui ne peint rien n’est que du bruit”.

Viene in soccorso della melodia il riempimento conferito all’espressione generale dall’ar-monia. L’armonia interviene in due modi; dapprima concorrendo alla modulazione verso un dato accordo48, per cui raddoppia il piacere acustico. In secondo luogo, come nel Traité si fa sostenere a Rousseau49, ritagliando un’autonoma dimensione psicologica, conclusa in sé:

l’expression elle même. En donnant plus de justesse et de precision aux intervalles mélo-dieux, elle anime leur caractère, et marquant exactement leur place dans l’ordre de la modulation, elle rappelle ce qui procéde, annonce ce qui doit suivre, et lie ainsi les phrases dans le chant, comme les idées se lient dans le discours.

Il movimento è ciò che più d’ogni altro aspetto della composizione differenzia l’espressio-ne di sentimenti gradevoli dall’espressione di sentimenti spiacevoli. V’è una “verità triviale“ cui si conviene una veloce espressione di gaiezza, e v’è una lentezza che si conviene alla tristezza. Ne consegue che il movimento possa esprimere un solo sentimento, gioia o tristez-za, a seconda di come queste passioni entrino nella composizione unitamente agli altri; il rit-mo può ottenere un’influenza indiretta sul movimento dell’affettività soggettiva mediante l’ondulazione della sua portata apparente. Il movimento può, in seguito alle circostanze del Dramma, produrre un effetto contrario al principale, al punto che il tempo lento diventa il più conveniente per la gioia e il tempo rapido per la tristezza. Altresì il musicista non deve ignorare che le sfumature dei sentimenti portano ad altri sentimenti. Tra tutte le convenienze apportate al dramma dal ritmo la più grande è la variabilità, che può consentire di mutare fa-cilmente il carattere della scena50:

47 Traité..., cit., p. 306 seg.48 Ivi, p. 303.49 Ibidem.50 Traité..., cit., p. 309.

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Si la tristesse est profonde, invéterée, elle empruntera le largo, qui est la plus lente de toutes les mesures; s’il n’est pas poussé à l’excès, le larghetto lui conviendra mieux; si c’est une tristesse modérée, elle employera l’adagio et l’andantino, s’il faut relâcher encor l’ex-pression de cette tristesse; mais si la passion est vive, l’allegro.

A seconda dell’impulso emotivo il musicista dovrà incrementare o diminuire gradatamen-te la velocità. Per un grado debole d’agitazione ricorre solitamente l’allegretto; in base alla stessa codificazione non scritta, a un grado maggiore corrisponde l’allegro, a gradazioni an-cora più intense l’allegro molto, il presto, il prestissimo. Se il personaggio esprime tranquilli-tà il compositore adotta il moderato o l’andante, che vanno messi in relazione al termine ’andare’, ’marciare a passo ordinario’. Se il personaggio è scosso agitato o vivace. Se il pen-siero è importante maestoso, grave. Affettuoso per le idee di sentimento, lamentabile per le emozioni di pianto, con brio per le arie brillanti.

L’opera buffa rese comuni le scene raffiguranti ambienti domestici e rustici e tra XVIII e XIX secolo si diffusero scene su fondali dipinti chiuse da tre lati con un tetto in vista che sostitui-vano le quinte laterali e le arie superiori.

In sintesi, la musica di teatro risponde a cinque esigenze differenti: l’espressione dramma-tica, l’espressione poetica, l’espressione musicale, l’espressione sinfonica, l’espressione degli esecutori.

L’espressione drammatica è quella che abbraccia il piano generale, il dettaglio delle sce-ne, i caratteri e le azioni di ciascun personaggio d’un dramma. Non consiste solo della con-venienza delle parole con ciascuna delle parti del soggetto, bensì della convenienza d’esse in rapporto al profilo generale del dramma che si trasforma in opera51. Tra le cose che vanno rappresentate sono da selezionare quelle del cui carattere la musica può da sola rendere idea. Nella stessa misura, il testo deve tenere conto del rivestimento musicale che verrà con-ferito dal musicista. Il compositore, chiarite le precedenze e le impellenze del dramma, dovrà anche considerare di scrivere in modo che ai cantanti sia dato agio per sfoderare tutti gli ab-bellimenti del canto. Quinault, giudicato facile, toccante, ingegnoso, si scostava frequente-mente da tali indicazioni, e con tale spirito trasgressivo contribuì a relegare Lully al fondo della teoria drammatica, avviando il decadimento del teatro francese del quale evidentemen-te non fu il solo responsabile. I fondamenti delle leggi del ‘melodramma’ sono dettati da una serie di cose. Tra le altre, gli effetti che il poeta si deve proporre non devono essere in con-trasto con le intenzioni del musicista. Semplicisticamente si potrebbe ridurre tutto a emozio-nare e descrivere. La poesia delimita in immagine ciò che la musica è capace di rappresenta-re in suono. Nel De Oratione, libro III, Cicerone dice che la musica non ha altro oggetto che ritrarre le passioni del cuore umano e i movimenti che hanno luogo nel mondo fisico. Nel creare il poeta si deve attenere a questi due principi. Tali precetti spesso vengono interpretati confondendoli, giacché nell’esecuzione vengono appiattiti, anche perché avendo una base comune, o ancora, perché si prefiggono un’espressione imitativa, in generale i teorici del Settecento ritenevano che la prima unità afferisse all’Opera Tragica e la seconda all’Opera Comica. Lo scopo principale della Tragedia è sollecitare l’anima, come quello della Comme-dia è dipingere lo spirito. Le leggi proprie dell’una e dell’altra devono convenire all’opera in ciascun genere.

Il Metastasio regista nei melodrammi include numerose didascalie che rapportano gli aspetti di ritualità descritti nelle creazioni originali all’idea di rappresentazione cortigiana. Nei finali d’opera, che dalle origini avevano mantenuto l’originale conclusione lieta, si tende a superare il livello arcadico ancora baroccheggiante. Forse anche per questo Metastasio denomina ’azione’ i suoi drammi anche quando tratta soggetti sacri. L’autore si prefigge un 51 Traité..., cit., p. 62.

1 8 Drammi per musica al Teatro dell’Opera

ritorno alla naturalità in quanto simbolo dello stato originario della società umana, ripresa simbolicamente nella dimensione vocale. Per un rovescio di senso, tale naturalità essenziale veniva rappresentata con raffigurazioni artificiose che rendevano caricaturale il tratteggio delle figure. Si prova a sanare tali contraddizioni formali nell’Ottocento conformando una vera e propria ’opera storica’, indirizzo del ’grand-Opéra’ francese, che dalla tragedia greca assorbe il coro ancora una volta richiamato a esporre le ragioni della coscienza collettiva. La musica diviene codificazione in struttura ideale. E’ in rapporto all’agogica, pertanto, che vie-ne stabilito il quid che differenzia un carattere espressivo dall’altro, con il conseguente defi-nirsi di morfologie specifiche che stabiliscono strutture specializzate. Ne consegue che le forme drammatiche siano funzioni dirette per la rappresentazione.

Nella definizione teorica quanto nella pratica prevale una flessibilità formale della scena che intende rendere mobile il sostanziale alternarsi di aria e recitativo. La scansione del fluire degli accadimenti viene esposta con proprietà di sintesi mediante forme che riprendono la velocità degli atti. Ciò è in fondo quanto consente di distinguere tra le forme che rientrano in un’unica denominazione, che si differenzia in vari aspetti unicamente per l’aggettivazione. Quindi, melodramma è dramma cantato, che consta d’elementi morfologici dello stesso tipo, la cui differenza viene sancita dalla velocità dell’elemento melodico. La più viva mutabilità emotiva è corrisposta da un’attitudine agogica che imita il verificarsi, sempre più teso, meno elastico. La somma delle emozioni viene ordinata dall’intelletto in serie di funzioni in cui il prodotto dell’una funge da generamento per l’altra.

La virtualità dei nuovi media rischia di far passare in secondo piano che il teatro è pratica-mente52

l’unica forma d’attività umana rimasta a parlare dell’uomo all’uomo, mediante la realtà dell’uomo.

Documenti

Per un confronto con precisi stili e strutture vengono riportati a seguire i titoli dei drammi per musica rappresentati presso il Teatro dell’Opera di Roma. Come criteri per la selezione per prima cosa s’è considerata la produzione originale dell’Istituzione. Non sono compresi i drammi messi in musica da Mozart, in quanto ampiamente studiati, evidenziandosi la neces-sità di corredare d’opportuna critica lavori di pari rilevanza spettacolare. In particolare, nella selezione dei titoli è valso l’utilizzo del testo in senso drammaturgico, la dipendenza della musica dal testo, l’intercambialità dell’elemento musicale. Dallo schema proposto si ricava una prevalenza di lavori dei primi decenni dell’Ottocento, forme in cui si concretizza un modo di sentire il teatro ancora legato all’espressione unica su cui la recitazione s’impone come atteggiamento affettivo prioritario.

Drammi per musica rappresentati presso il Teatro dell’Opera (divisi per tipologie)

Dramma comico, giocoso, buffo, tragicoIl Barbiere di Siviglia (Almaviva ossia L’inutile precauzione) Dramma comico in due atti, m.

Rossini, lib. C. Sterbini, Roma, Teatro Argentina, 20.2.1816 1928-29 dir. Bavagnoli, reg. Cel-lini; 1932-33 dir. Guarnieri, De Angelis, reg. Govoni; 1934-35 dir. Serafin, De Fabritiis, reg. Govoni; 1937-38 dir. Bellezza, reg. Govoni; 1940-42 dir. Serafin, Rossi, reg. Nofri, Saxida Sassi; 1943-48 dir. Salfi, Ricci, reg. Picozzi; 1949-50 dir. De Fabritiis, reg. Saxida Sassi; 1951-52 LUCA RONCONI, Inventare l’opera, Milano, Ubulibri, 1986, p. 15.

Claudio A. D’Antoni 19

52 dir. Bellezza, Ricci, reg. Nofri; 1955-56 dir. Questa, Paoletti, reg. Enriquez; 1959-60 dir. De Fabritiis, Catania, reg. Lanfranchi; 1964-65; 1971-72; 1986-87 dir. Panni; 1991-92 (non reperito); 1991-92; 1984-85

La Cecchina ossia La buona figliola Dramma giocoso in tre atti, m. Piccinni, lib. C. Goldo-ni, Roma, Teatro delle Dame, 6.2.1760; 1941-42 dir. Serafin, reg. Picozzi; 1980-81 (non classificato)

La Cenerentola ossia La bontà in trionfo Dramma giocoso in due atti, m. Rossini, lib. J. Fer-retti, da Perrault, Roma, Teatro Valle, 25.1.1817; 1941-42 dir. Rossi, reg. Labroca; 1953-55 dir. Gui, reg. Ebert; 1962-63; 1967-68; 1972-73;1983-84 (non classificato); 1984

Don Pasquale Dramma buffo in tre atti, m. Donizetti, lib. G. Ruffini, Paris, Théâtre Italien, 3.1.1843; 1929-30 dir. Marinuzzi, reg. Govoni; 1931-32 dir. Santini, reg. Govoni; 1939-40 dir. De Fabritiis, reg. Nofri e Saxida Sassi; 1943-45 dir. De Fabritiis; 1949-50 dir. Questa, reg. Stabile; 1964-65; 1971-72; 1974-75; 1978-79 dir. Machado, Leone, reg. Menotti, Ventura; 1984-85 reg. Sequi, dir. De Bernart, Gelmetti; 1986-87 reg. Sequi, dir. Argiris; 1993-94

Giulio Cesare Dramma per musica in tre atti, m. Haendel, lib. F. Haym, London, King’s Theatre, 20.2.1724); 1955-56; 1984-85 reg. Fassini, dir. Ferro

La gazza ladra Melodramma in due atti, m. Rossini, lib. G. Gherardini, Milano, Teatro alla Scala, 31.5.1817; 1941-42; 1973-74 dir. Gavazzeni, reg. Wallmann

L’Elisir d’amore Melodramma giocoso in due atti, m. Donizetti, lib. F. Romani, Milano, Teatro alla Scala, 12.5.1832; 1928 dir. Bavagnoli, Marinuzzi, reg. Cellini; 1930-31 dir. Santi-ni, Messina; 1936-37 dir. Bellezza, reg. Govoni; 1941-42 dir. Serafin, Bellezza, reg. Govoni; 1943-45 dir. Bellezza ; 1947-48; 1952-53 dir. De Fabritiis, reg. Frigerio; 1957-58 dir. Santini, reg. Azzolini; 1962-63; 1973-74; 1979-80; 1985-86; 1994-95

L’incoronazione di Poppea Dramma per musica in un prologo e tre atti, m. Monteverdi, lib. G.F. Busenello, Venezia, Teatro SS. Giovanni e Paolo, carnevale 1643; 1942-43 dir. Se-rafin, reg. Venturini

L’italiana in Algeri Dramma giocoso per musica in due atti, m. Rossini, lib. A. Anelli, Vene-zia, Teatro S. Benedetto, 22.5.1813; 1935-36 dir. Serafin, De Fabritiis, reg. Govoni; 1941-42 dir. De Fabritiis, reg. Govoni; 1947-48 dir. Gui, reg. Frigerio

Lucia di Lammermoor Dramma tragico in tre atti, m. Donizetti, lib. S. Cammarano, da Scott, Napoli, Teatro S. Carlo, 26.9.1835; 1928 dir. Marinuzzi, reg. Cellini, sc. Benois, cant. Pasini, Schipa, Weiberg et al.; 1928-29; 1930-31 dir. Messina, reg. Govoni; 1933-34 dir. Marinuz-zi, De Fabritiis, reg. Govoni; 1936-37 dir. De Fabritiis, reg. Nofri, Saxida Sassi; 1938-1939 dir. Bellezza, reg. Nofri, Saxida Sassi; 1941-42 dir. Bellezza, reg. Saxida Sassi; 1944-45 dir. Ziino, reg. Nofri; 1952-53 dir. Gavazzeni, reg. Azzolini; 1958 dir. Bellezza, reg. Frigerio; 1960-61; 1972-73; 1977-78; 1992-94; 1937 dir. De Fabritiis, reg. Nofri; 1948-49 dir. Bel-lezza; 1955 dir. Bellezza, reg. Manetti; 1986

Il matrimonio segreto Dramma giocoso in due atti, m. Cimarosa, lib. G. Bertati, Wien, Bürgtheater, 7.2.1792; 1929-30 dir. Marinuzzi, reg. Govoni; 1935-36 dir. Serafin, De Fabri-tiis, reg. Govoni; 1947-48 dir. De Fabritiis, Picozzi;1975-76; 1995-96 dir. Lu Jia, reg. Cobelli, Guerra

Lucrezia Borgia Dramma tragico in un prologo e due atti, m. Donizetti, lib. F. Romani, Mi-lano, Teatro alla Scala, 26.12.1833; 1933-34 dir. Marinuzzi, reg. Sanine; 1966-67; 1979-80 dir. Bonynge, dir. Copley, Renshaw

Otello Dramma per musica in tre atti, m. Rossini, lib. F. Berio di Salsa, Napoli, Teatro del Fondo, 4.12.1816); 1963-65; 1974-75; Semiramide Melodramma tragico in due atti, m. Ros-sini, lib. G. Rossi, Venezia, La Fenice, 3.2.1823)

1982-83 dir. Ferro, reg. Guicciardini

Drammi per musica di autori del Novecento

20 Drammi per musica al Teatro dell’Opera

Antigone (Liviabella) 1951-52; Arianna a Nasso (R. Strauss) 1934-35, 1961-62, 1990-91; La Bisbetica Domata (Persico M.) 1930-31, 1937-38; Il Campiello (Wolf-Ferrari) 1936-37, 1941-42, 1975-76; Cassandra (Gnecchi V.) 1941-42; Dafni (Mulè) T.O. 1928, 1929-30, 1936-37; Debora e Jaele (Pizzetti) 1931-32, 1952-53; Ecuba (Malipiero) 1940-41; Ecuba (Rigacci); Elettra (Strauss R.) 1939-40, 1951-52, 1964-65, 1979-80; Ero e Leandro (Mancinelli); Enea (Guerrini) 1952-53; Fedra (Pizzetti) 1934-35, 1940-41, 1965-66; Giuditta (Honegger) 1959-60; Gli Orazi (Porrino) 1952, Il finto Arlecchino (Malipiero) 1938-39; Isaias (Mancinelli); La locandiera (Persico M.) 1940-41; Le donne curiose (Usiglio); Medea (Cherubini) 1954-55; Mirra (Alaleona); Stabat mater (Perosi); I quattro rusteghi (Wolf-Ferrari) 1933-34, 1939-40, 1947-48, 1958, 1968-69; Il voto (Vallini)

Drammi non classificati come ’drammi per musica’Le Astuzie femminili (Commedia per musica in due atti) (m. Cimarosa lib. G. Palomba); Al-

ceste (Tragedia per musica, m. Gluck, lib R. de’ Calzabigi, Vienna, 1767 Bürgtheater) 1936-37 Dir. T. Serafin, reg. Piccinato; 1940-41 Dir. Serafin, reg. e cor. Milloss; 1966-67; L’assedio di Corinto (Tragédie lyrique m. Rossini, lib. Balocchi e Soumet, Paris Opéra 9.10.1826); 1950-51 Dir. Santini, reg. Frigerio; Il ballo delle ingrate (m. Monteverdi, lib. Rinuccini, Man-tova, teatro di Corte 4.6.1608); 1955-56 Dir. Santini, reg. e cor. Wallmann; 1969-70; 1974-75; Didone ed Enea (Dido and Aeneas) (m. Purcell, lib. N. Tate, London, Collegio Josias Prest, ?.1689); 1948- 49, 1964-65; Ifigenia in Aulide (Iphigénie en Aulide) (Tragédie opéra in tre atti) (m. Gluck, lib. du Roullet) 1953-54; Il mondo della luna Festa teatrale comica in un atto, m. Paisiello, lib. Coltellini, Pietroburgo, Teatro di Corte, 10.10.1784, dir. Lualdi, reg. Pi-cozzi; 1952-53; Maria di Rohan o Il conte di Calais (Melodramma tragico in tre atti) (m. Do-nizetti); Maria Stuarda (Buondelmonte) (Tragedia lirica) (m. Donizetti) 1969-70; Mosè (Azione tragico-sacra in tre atti) (m. Rossini, lib. A.L. Tottola) 1987-88; L’Orfeo (Favola in mu-sica in cinque atti) (m. Monteverdi, lib. A. Striggio) 1934-35; Orfeo ed Euridice (Azione tea-trale in tre atti) (m. Gluck, lib. R. de’ Calzabigi) 1932-33, 1940-41, 1966-67; Poliuto (Tragedia lirica in due atti) (m. Donizetti, lib. S. Cammarano, Napoli, Teatro S. Carlo 30.11.1848); 1942-43, 1988-89 T.C. 1955; Saffo (m. Pacini); Il signor Bruschino (Farsa gio-cosa per musica in un atto) (m. Rossini, lib. G. Foppa, Venezia, Teatro San Moisè, 27.1.1813); 1941-42; La vestale (Tragédie lyrique in tre atti) (m. Spontini, lib. de Jouy); 1972-73

Grand opéraLa favorita (m. Donizetti) 1934-35, 1939-40, 1946-47, 1950-51, 1953-54, 1970-71Linda di Chamonix (m. Donizetti) 1942-43/42 Dir. Serafin, reg. Sanine

Registi in Indice Generale, Teatro dell’Opera, Roma Avati Pupi 1995-96, Alberti Luciano 1985-86, Avogadro Mauro 1994-95, Barbieri Lucia-

no 1978-82, Battiato Franco 1991-92, Bausch Pina 1991-92, Bene Carmelo 1986-87, Bolo-gnini Mauro 1979-85, 1986-87, 1988-92, 1994-95, Borrelli Vittorio 1992-93, Bockhaus Henning 1987-88, Bruson Renato 1983-84, Busse Peter 1983-84, Bussotti Sylvano 1979-81, 1982-83?, 1984-88, Caciuleanu Gigi 1981-82, Calenda Antonio 1985-87, Carutti Giu-seppina 1981-83, Cassini Silvia 1981-82, 1986-93, 1994-95, Cobelli Giancarlo 1995-96, Copley John 1990-91 Corti Angelo 1990-91, Crivelli Filippo 1978-80, 1981-82?, 1991-92, Damiani Luciano 1982-83, 1985-86, De Ana Hugo 1990-91, 1995-96, De Lullo Giorgio 1980-81, De Simone Roberto 1990-91, Di Mattia Maurizio 1991-92, Eichner Walter 1978-79, Eira D’Onofrio Maria 1979-80, Everding August 1978-79, Fabbri Marisa 1995-96, Fag-gioni Piero 1978-79, Fassini Alberto 1978-79, 1980-81, 1983-91, Friedrich Gotz 1980-81, Frisell Sonja 1983-84, Giacchieri Renzo 1990-91, 1992-93, Giuliano Giuseppe 1978-79,

Claudio A. D’Antoni 21

Gottschalk Frank Berdt 1994-95, Gregoretti Ugo 1991-92, Grisostomi Travaglini Vincenzo 1992-93, Guerra Ivo 1995-96, Guicciardini Roberto 1982-83, Hi Kim-Yong 1979-80, Hopkins Tim 1994-95, Imbach Paul 1979-80, Job Enrico 1987-88, Kelling Wolfram 1984-85, Kremer Wolfram 1983-85, 1988-89, Leibrecht Florian 1995-96, Lloyd Davies John 1993-94, Madau Diaz Antonello 1980-82, 1985-87, Marchini Simona 1995-96, Martone Mario 1988-89, Meliva Guram 1991-92, Menegatti Beppe 1981-82, Menotti Gian Carlo 1978-79, 1993-94, Micol Pino 1989-90, Miller Jonathan 1994-95, Missiroli Mario 1978-79, Montaldo Giuliano 1992-93, Monti Stefano 1995-96, Montresor Beni 1989-90, Nunziata Italo 1991-92, Pizzi Pier Luigi 1978-80, 1983-84, 1987-88, 1995-96, Ponnelle Jean-Pierre 1983-84, 1988-89, Pountney David 1980-81, Pressburger Giorgio 1986-87, Proietti Gigi 1994-95, Puecher Virginio 1981-82, 1995-96, Puggelli Lamberto 1981-84, Quartullo Pino 1987-88, Renshaw Cristopher 1979-80, Ronconi Luca 1980-81, 1985-86, 1987-88, 1990-91, 1995-96, Sagi Emilio 1990-91, Salveti Lorenzo 1986-87, Samaritani Pier Luigi 1985-86, Sanjust Filippo 1988-89, Savary Jerome 1983-85, 1990-91, Scaglione Massimo 1987-88, Sequi Sandro 1981-82, 1984-85, 1986-88, 1989-90, Siciliani Maria Francesca 1978-81, 1982-83, Stefanò Bruno 1989-90, Stefanutti Ivan 1994-96, Stetka Boris 1989-90, Terlacky Roman 1993-94, Tessitore Ugo 1987-88, Trionfo Aldo 1982-83, 1986-87, 1989-90, 1994-95, Ventura Gianfranco 1978-79, 1993-94, Verdone Carlo 1991-92, Visnevskaja Galina 1987-88, Vizioli Stefano 1994-95, Wekwerth Manfred 1988-89, Wilson Robert 1983-84, Zambello Francesca 1988-89, 1990-91, Zeffirelli Franco 1991-94.

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Indice generale Stagioni Liriche dal 1928 al 1996 (Teatro dell’Opera, Roma)Indice generale Stagioni Liriche - Le stagioni liriche 1978-1996 (Teatro dell’Opera, Roma)Traité du Mélo-Drame ou Réflexions sur la musique dramatique [Non è riportato alcun dato

riferibile all’autore] A Paris Chez Vallat-La Chapelle, Libraire, fut le Perron de la Saint Chapelle, M.DCC.LXXII Avec Approbation et Privilége du Roi (Biblioteca del Burcardo, Roma)

Si ringrazia il Teatro dell’Opera di Roma per avere consentito la consultazione degli Indici

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