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Dimore sacre e luoghi del tempo: appunti per uno studio della percezione dello spazio sacro nella Sicilia dell'antica età del Bronzo, in Papers in Italian Archaeology VI, P. Attema,

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DIMORE SACRE E LUOGHI DEL TEMPO:

APPUNTI PER UNO STUDIODELLA PERCEZIONE DELLO SPAZIO SACRONELLA SICILIA

DELL' ANTICA ETA DEL BRONZO

Massimo Cultraro

Abstract: The paper focuses on the importance of 'sacred areas' - or, on a different scale, of sanctuaries - in the territorial organisation of EBA Sicily. Both the location and the function of three of the most important Sicilian EBA sanctuaries (Monte Grande, S. Giuliano and La Muculufa) may be interpreted as markers within large regions, playing the role of boundary shrines between cultivated and uncultivated areas. The investigation ofthe sanctuary at Monte Grande indicates that this sacred area was a significant 'frontier' between two different areas, the agricultural landscape and the unploughedfields on its northern side. Monte Grande also acquired the role as communication centre for different social and political groups through the complex ritual activities that took place, including animal sacrifice and food consumption.

INTRODUZIONE

II considerevole incremento, nell'ultimo decennio, di acquisizioni sul sistema insediativo e sulla organizzazione territoriale nella Sicilia dell'eta del Bronzo Antico offre I'opportunita di indagare un tema rimasto ancora sostanzialmente negletto nell'ambito della letteratura paletnologica siciliana: la definizione dei modi di percezione dello spazio antropizzato in preistoria.

All'intemo di questo nuovo quadro di riferimento che ingloba insediamenti di diverso ordine di grandezza e con differenti modalita nella struttura intema e nelle scelte ubicative (McConnell-Bevan 1999; Doonan 2001), spicca una specifica categoria di siti che rivela una stretta relazione con l'espletamento di attivita cerimoniali, quali il complesso di Monte Grande, presso Palma di Montechiaro (Castellana 1998), e il c.d. 'santuario' a La Muculufa, nel territorio di Licata (Holloway & Lukesh 1990). Questi due siti si legano ad un terzo complesso, quello sul colle di San Giuliano, presso Caltanissetta, parzialmente esplorato alla fine degli anni '60 e rimasto per lungo tempo isolato nel panorama delle forme di insediamento dell'eta di Castelluccio (Orlandini 1968).

Si tratta di complessi dei quali conosciamo assai poco, con la sola eccezione di Monte Grande che offre una gamma di informazioni maggiore e meglio verificabile (Castellana 1998). E proprio la ricca evidenza di quest'ultimo deposito che impone di indagare con maggiore chiarezza la relazione, 0 l'insieme di relazioni, che legano in modo diacronico e sincronico questi off-site areas alle diverse stratificazioni del paesaggio di riferimento. Per ragioni di brevita non e possibile analizzare, per ciascun complesso, i singoli indicatori archeologici che permettono di qualificare tali complessi come spazi 0 strutture funzionali all'attivita cultuale. In questa sede esufficiente menzionare i principali elementi di identificazione che possono sostanzialmente essere ricondotti alle seguenti categorie:

1) Presenza di figurine antropomorfe, zoomorfe e di altri fittili, in molti casi riferibili a tipi non attestati in contesto domestico, come i c.d. 'modellini di

capanna' da Monte Grande (Castellana 1998, 178, figs. 95-98) (Fig. 3:E);

2) Ceramica fine da mensa che include fogge selezionate, in prevalenza vasi potori, spesso riconducibili a tipi presenti in ambito domestico (Castellana 1998, 138-173) (Fig. 3:A-D);

3) Scarichi di ossa di animali, comprendenti mammiferi che, per il sistema di selezione delle specie e di macellazione, presentano significative differenze con le faune domestiche (Cultraro 2004);

4) Strutture e apprestamenti connessi con la manipolazione di cibi, come le grandi piastre fittili di Monte Grande (Castellana 1998,54, figs. 33-34).

E' chiaro che non possiamo attribuire uno specifico carattere cultuale a ciascun singolo elemento, rna solo l'attribuzione e la combinazione dei diversi correlati all'intemo di uno specifico contesto archeologico spazialmente definito permettono di identificare le aree connesse alla sfera del sacro.

LADEFINIZIONE DEL CEREMONIAL LANDSCAPE

Stabilito che si tratta di luoghi organizzati sul piano spaziale e architettonico in modo differente dai coevi insediamenti e lasciando da parte per il momento il problema della ricostruzione dell'attivita rituale, cominciamo col definire quali sono i gradi di interrelazione funzionale tra ciascun sacred place e il territorio di riferimento.

In anni recenti, nell'ambito della letteratura paletnologica post-processuale, si e sviluppato, grazie ai nuovi orientamenti dell' antropologia religiosa (Rappaport 1999, 214-215, 257-258), 10 studio degli aspetti semiologici del paesaggio antico, che viene interpretato come il prodotto di una manipolazione dello spazio, sia a livello tecnico che simbolico, da parte di una determinata comunita. Questo approccio, definito nella letteratura anglosassone a 'Perception of ritual landscape' (Hodder & Orton 1987, 73-80), ha prodotto, nel caso della ricerca italiana, due interessanti filoni di ricerca che, pur operando nell'ambito della medesima tematica, non hanno trovato alcun punto di convergenza. II primo, maturato nel settore

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MASSIMO CULTRARO: DIMORE SACRE E LUOGHI DEL TEMPO

dell' antropologia religiosa e dell' etnografia (Remotti, Scarduelli & Fabietti 1989), offre interessanti spunti di riflessione alIa comprensione dello spazio 'sacro' nella sua complessita, evidenziando il ruolo dei centri rituali come elemento strutturante di un territorio, non solo suI piano socio-economico, rna anche su quello ecologico e simbolico. II secondo filone di ricerca, operando suI terreno della ricerca archeologica, ha consentito di definire il modello del ritual landscape nelle societa complesse dell'ltalia centrale nella prima eta del Ferro, mettendo in luce il ruolo esercitato da alcuni poli religiosi nella formazione dei centri protourbani nel comprensorio etrusco-latino (Zifferero 2002).

In ambito paletnologico, tale metodica ha trovato una felice applicazione in alcuni recenti studi elaborati da un gruppo di ricercatori spagnoli nella Galicia dell'eta del Bronzo, dove la fitta concentrazione di strutture megalitiche, insediamenti e luoghi di culto, in Sierra Barbanza, rappresenta il terreno ideale per la definizione del concetto di ceremonial landscape (Criado Boado & Fabregas Valcarce 1994; Criado Boado et al. 2001). Tale investigazione si basa sulla ricostruzione di quelle procedure attraverso Ie quali un determinato paesaggio sociale risulta preordinato a vantaggio di uno 0 piu gruppi di individui che usano il medesimo codice visivo e simbolico, mettendo in atto un vero e proprio catchment visual. Tuttavia, per quanto tale sistema di lettura appaia seducente, esso - per acquisire un maggiore grado di coerenza - deve andare ben oltre Ie metodiche elaborate dall'archeologia dei paesaggi e mettere in campo alcune delle piu significative acquisizioni raggiunte, nell'ultimo ventennio, nel campo delle scienze cognitive e neurobiologiche della scuola francese (Changeux 2004). L'idea su cui si incardina l'intero approccio epistemologico e assai semplice: sfruttando a diversi livelli funzionali il meccanismo della selezione all'interno di repertori di strutture neuronali, 10 spazio fisico di azione dell'uomo agirebbe alIa stessa maniera dei cosiddetti 'spazi di lavoro' del cervello, entro cui confluiscono e vengono integrati e valutati i dati elaborati selettivamente, per esempio, dai sistemi percettivi. In pratica, come il nostro sistema nervoso costruisce spontaneamente delle pre-rappresentazioni, ovvero dei repertori di attivita neurali che vengono selezionate dal confronto con l' ambiente, alIa stessa maniera una comunita antica stabilisce una rete di connessioni sensoriali con 10 spazio di riferimento. Traducendo l'impostazione in termini archeologici, alle tre tradizionali dimensioni dello spazio, ovvero quella fisica, quella sociale e quella culturale, si unisce anche la dimensione simbolica che incarna l'idea del modo come questo spazio fosse percepito da parte di quegli individui che, in un determinato contesto, hanno costruito, utilizzato e manipolato tale paesaggio.

E' bene peril chiarire che uno studio impostato in tal modo rischia di essere soggettivo e soggettivante dal momento che, nel tentativo di ricostruire la percezione dello spazio elaborata dai membri di una comunita

preistorica, si corre il pericolo di leggere il paesaggio antico usando categorie ermeneutiche moderne. II ricorso ai principi delle neuroscienze, gia impiegato nell'interpretazione di alcuni comportamenti umani in ambito religioso (Rappapport 1999,225-230), deve avere solo un valore di strumento euristico per meglio chiarire il sistema di formazione, organizzazione e connessione dei processi di percezione umana in relazione alle conformazione ambientale. E' chiaro, dunque, che uno studio della percezione su piccola scala non risulta in alcun modo fattibile, ne tanto meno vantaggioso ai fini della ricostruzione del paesaggio antico; occorre piuttosto che esso sia esteso ad altri correlati, quali il rapporto tra i singoli siti, la funzione assunta da questi sacred-places, la lettura delle trasformazioni sincroniche e diacroniche del territorio di riferimento.

In termini di strategia operativa, la ricostruzione della percezione dello spazio dei santuari castellucciani deve essere ricondotta ai seguenti parametri:

1) relazione del complesso cultuale con l'ambiente geofisico;

2) ricostruzione del catchment visual; 3) relazione del sito in rapporto con Ie vie naturali di

movimento dei gruppi umani; 4) relazione del sito con gli insediamenti circostanti.

L'analisi di ciascun parametro e l'interrelazione funzionale con gli altri permettera di isolare alcuni specifici trends che, a livello piu generale, consentono di qualificare la natura e il ruolo di questi siti intercomunitari in rapporto al palinsesto territoriale di riferimento.

Partendo da tali premesse metodologiche, in questa sede risulta preferibile focalizzare l'attenzione solo su uno dei tre principali sacred places della Sicilia di eta castellucciana, Monte Grande (Castellana 1998) (Fig. 2). La scelta risulta condizionata dal fatto che il complesso in esame risulta meglio indagato e presenta, per la particolare qualita delle informazioni, maggiori elementi di analisi per la ricostruzione della percezione del paesaggio.

MONTE GRANDE E IL SUO CONTESTO GEOFISICO

II complesso di Monte Grande si estende su un'altura prossima al mare e di modesta altezza (267 m s.l.m.), ai margini della spiaggia di Punta Bianca, dominando la sottostante piana costiera e la linea di colline poste nell'entroterra (Fig. 1). L'intera area rivela una ricca concentrazione di sorgenti d' acqua sulfurea che si alternano a depositi di giacimenti di zolfo, sfruttati in antico (Castellana 1998, 74-77). Dal punto di vista topografico la dislocazione del sito appare di una certa rilevanza perche ricade alIa confluenza di una serie di profondi valloni, perpendicolari alIa linea di costa, che rappresentano il punto di collegamento tra l'entroterra e la fascia costiera. Se applichiamo il secondo parametro,

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PAPERS IN ITALIAN ARCHAEOLOGY VI

Mare Medlferraneo

Eneolilleo D

BronzoAntico 0

Fig. 1. II comprensorio di Monte Grande: carta di distribuzione dei siti dell'Eneolitico e del Bronzo Antico. 1. Castello di Chiaromonte; 2. Piano Vento; 3. Fumarolo; 4. Falcone; 5. Naresette; 6. Castellazzo; 7. Piano Gaffe; 8. Monte del Bosco; 9. Cipolla; 10. Cassarino; 11. Galia; 12. Ragusetta; 13. Trappeto; 14. Grotta Zubbia; 15. S. Leonardo; 16.

Grotta Infame Diavolo; 17. Cignana; 18. Suttafari.

quello del catchment visual, il complesso di Monte Grande risulta dotato di una spiccata visibilita e puo essere avvistato anche a 5 Km di distanza avendo come punto di osservazione i pianori dell'entroterra. E infatti, nelle vallate interne, attraversate da profondi valloni che in antico convogliavano corsi d'acqua a regime torrentizio, sono stati segnalati piccoli insediamenti occupati almeno fin dal Neolitico Finale.

Risulta, tuttavia, di un certo interesse far rilevare che l'attivita di ricognizione, condotta in modo sistematico e intensivo dalla Soprintendenza Archeologia di Agrigento fm dagli anni '80 (Castellana 1982), non ha permesso di identificare tracce di frequentazione antropica nell'area direttamente a nord-ovest dell'altura di Monte Grande (Fig. 1). Tale situazione non sarebbe imputabile alla natura dell'attivita ricognitiva, rna andrebbe letta in relazione alla conformazione fisica del paesaggio che comprende una continua cerniera di basse alture di formazione gessosa, con suoli poco fertili e limitate fonti d' acqua. Se infatti sovrapponiamo la carta di distribuzione dei siti con quella pedologica, risulta evidente che Monte Grande si colloca ai margini di un vasto territorio collinare che ad est, in direzione della valle del fiume Palma, e dominato da una sequenza di alture, ricche di suoli dall'alto potenziale agricolo e

dominate da fonti d'acqua, mentre la zona direttamente ad ovest del santuario castellucciano risulta impervia, povera di risorse e scarsamente antropizzata nel corso dell'eta del Bronzo. Non ecerto un caso che ancora in epoca arcaica e classica l'area con la maggiore densita di popolazione fosse quella del basso corso del Palma, dove i due centri fortificati di Castellazzo e Piano della Citta (Fig. 1:6) dominavano strategicamente l'intera vallata, sbarrando l'accesso dal mare e controllando la via di collegamento verso l'interno (Adamesteanu 1963,45-46).

Dal punto di vista delle scelte insediative, i siti dell'eta del Rame risultano concentrati sulle propaggini meridionali del grande sistema collinare che si sviluppa alle spalle di Monte Grande, con la sola eccezione dei siti in contrada Fumarolo e Falcone che, in entrambi i casi, dominano la bassa valle del Palma (Fig. 1:3-4). II panorama relativo all'eta del Bronzo rivela chiari segni di cambiamento nelle modalita ubicative. II primo dato di una certa rilevanza e offerto dal limitato numero di siti che presentano una continuita con le fasi di occupazione dell'eta del Rame: i siti di S. Leonardo e Piano Gaffe (Fig. 1:7) risulterebbero, allo stato attuale della documentazione, i soli insediamenti che non presentano alcuna cesura con il precedente orizzonte eneolitico. II secondo elemento di novita puo essere riconosciuto

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nell'emergere di numerosi insediamenti di modesta entita nella zona dell' alto corso del Palma, lungo le vallate dei Monti della Galia e di Pizzo Ragusetta (Fig. 1:11-12), vera cemiera di collegamento tra la zona costiera e la regione montuosa intema. 11 vasto numero di insediamenti, che furono oggetto di una vasta campagna di esplorazione (De Miro 1961) pub essere messo in rapporto con la particolare ricchezza dei suoli e con l'abbondanza di sorgenti, mentre la dispersione a macchie di leopardo di gruppi di tombe a grotticella artificiale sui fianchi delle alture lascia sospettare modalita di occupazione del territorio mediante piccole comunita sparse su un vasto raggio.

Se analizziamo l'area ad ovest di Monte Grande (Fig. 1), risulta evidente che questi ampi altipiani dominati da argille mioceniche e da suoli impermeabili difficilmente potevano prestarsi allo svolgimento di attivita agricole, risultando invece piu adatti ad altre forme di sussistenza, quali ad esempio la pastorizia. Questo potrebbe spiegare la scarsa antropizzazione del territorio, dove di fatto sembrano mancare, fin dall'eta del Rame, tracce di insediamenti stabili. Le possibilita di sussistenza, pertanto, restano ampiamente affidate all'attivita pastorale e aIle innumerevoli sorgenti e corsi d'acqua che assicuravano ottimi pascoli durante le stagioni piu calde, mentre i terrazzi prossimi al mare offrivano opportunita peculiari per l' esercizio di attivita produttive e di scambio.

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Fig. 2. Monte Grande: planimetria del complesso dei recinti (da Castellana 1998).

MASSIMO CULTRARO: DIMORE SACRE E LUOGHI DEL TEMPO

Ricomponendo i dati finora esaminati sulle modalita insediative e sulle strategie di sfruttamento del territorio, si pub agevolmente concludere che il complesso architettonico di Monte Grande rivelerebbe una particolare dimensione spaziale, caratterizzandosi come demarcatore di due comprensori con differenti attitudini e con diverse soluzioni insediative. 11 polo cultuale, infatti, risulta posto ai margini della fertile vallata del fiume Palma, in un'area di contatto tra una vasta zona densamente popolata e un ampio sistema collinare a nord­ovest, completamente deserto. Se proiettiamo quest'immagine nel palinsesto territoriale di riferimento, Monte Grande assumerebbe la funzione da un lato di punto di riferimento di un complesso sistema insediativo stabile a maglie larghe, dall'altro di linea di frontiera verso una realm non occupata in modo permanente.

I CORRELATI DELLO SPAZIO SACRO

Monte Grande si configura come una sequenza di ampi terrazzi che culminano sulla spianata di Baffo Superiore, sulla quale e stato identificato un gruppo di strutture a pianta circolare (Fig. 2). Si tratta di un complesso di recinti che presenta almeno due distinte fasi costruttive, entrambe riferibili all'orizzonte di Castelluccio. Al primo momento costruttivo (strato 2) appartengono i resti della capanna 5, messa in luce al di sotto del grande recinto centrale, alcuni focolari di argilla indurita e una piccola porzione di un recinto (Castellana 1998, 27-28). Nell'ultima fase (strato 1) si assiste al riassetto

planimetrico dell'intero complesso, con la costruzione dei recinti centrali e di un articolato sistema di canalette in pietra e alcune fomaci funzionali alIa lavorazione dello zolfo (Castellana 1998, 19-27).

... ~.~ In generale, nonostante la forte lacunosita nella documentazione stratigrafica e la non sempre agevole lettura della planimetria degli edifici, il gruppo di strutture di Monte Grande si presenta come un insieme di recinti di pietrame a secco, open-air che, in qualche caso, includono piccoli recessi a pianta ellittica con copertura straminea. Inoltre, all'intemo di queste strutture, chiamate dallo scavatore 'capanne', sono stati messe in luce alcune piastre di argilla indurita dal fuoco, in un caso conservante sette livelli di rifacimento (Castellana 1998, 28-29). La presenza, nelle immediate adiacenze, di scarichi di ossa di animali e di carboni assicura l'interpretazione di tali apprestamenti come piastre per la manipolazione di cibi.

Per quel che riguarda la composizione delle ceramiche recuperate all'intemo

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dei recinti, e possibile isolare due principali categorie: una classe di grandi contenitori per derrate e l'altra di fine vasellame da mensa, decisamente piu numerosa, che include in prevalenza tazze e vasi per la consumazione di sostanze liquide. Nel primo gruppo rientrano olle a corpo biconico (Castellana 1998, 152, figs. 79-80), e alcuni pithoi con la superficie estema riccamente decorata con motivi dipinti (Castellana 1998, 170-173, figs. 90-91) (Fig. 3:D). Nell'ambito delle forme atte alIa distribuzione di cibi e bevande, risulta di un certo interesse la presenza del tipo della tazza-attingitoio (Castellana 1998, 138-144, figs. 72-75) (Fig. 3:A) e, all'incirca nelle medesime quantita, quello dell'olla biansata di piccole dimensioni (Castellana 1998, 144-151, figs. 76-78) (Fig. 3:B). La costante associazione dei due tipi vascolari si ripete in alcune necropoli del comprensorio di Palma, ad esempio a Ragusetta (De Miro 1961, 52, fig. 17), dove il sistema dei vasi funzionali al banchetto funebre ecostituito dal binomio olla biansata e tazza-attingitoio. Esisterebbe, pertanto, una precisa relazione, almeno a livello di elementi compositivi, tra il sistema del banchetto 'funebre' e quello della consumazione di pasti rituali nel santuario di Monte Grande, secondo una pratica cerimoniale che trova ampie attestazioni nei complessi castellucciani della Sicilia orientale (Maniscalco 1999, 187-188). All'intemo del medesimo sistema di pratiche rientra l'impiego del bacino su alto piede che, nel caso di Monte Grande, include una varieta di esemplari con una decorazione dipinta (Castellana 1998, 160-168, figs. 84­89) (Fig. 3:C).

Ancora un altro elemento merita di essere sottolineato: a fronte di un ampio numero di esemplari di vasellame fine da mensa, si registra la totale assenza di ceramica da fuoco e di tutti quegli altri instrumenta domestica che generalmente sono presenti in contesti domestici del Bronzo Antico. L'unica eccezione e rappresentata da un gruppo di alari fittili, di un tipo ampiamente attesto in altri contesti castellucciani dell'isola, che potrebbero essere interpretati come sostegni per spiedi (Castellana 1998,204-207, figs. 114-115).

Sempre ai fini della ricostruzione del sistema del banchetto sacro, appare utile menzionare il gruppo di macine e pestelli litici rinvenuti nell'area del recinto 5 che, diversamente dalle altre strutture, presenta un piano pavimentale di argilla cotta, forse i resti di piastre per la cottura di cibi (Castellana 1998, 27). Inoltre, la presenza, nella stessa area, di numerosi contenitori fittili lascia sospettare che questa struttura fosse funzionale alIa lavorazione di cereali che venivano successivamente stivati nei vasi di grandi dimensioni.

AlIa luce di queste breve osservazioni, possiamo pertanto ricostruire due differenti sistemi di manipolazione dei cibi: il primo ela triturazione di cereali, forse in relazione alIa preparazione di cibi solidi, come focacce che potevano essere cotte sulle piastre fittili. II secondo e il consumo di carne animale che poteva essere arrostita, mediante l'impiego di spiedi indiziati dagli alari fittili,

oppure bollita ricorrendo all 'uso di alcune singolari vaschette fittili con presa intema, interpretate come pentole per la cottura a bagnomaria (Cultraro 2004, 207, fig. 4).

L'insieme di questi dati permette di concludere che il complesso di Monte Grande non venne occupato in modo permanente e regolare, rna solo periodicamente, in occasione di particolari cerimoniali religiosi che coinvolgevano un ampio numero di personaggi.

LoSPAZIO SACRO E IL suo PALINSESTO TERRITORIALE

Definiti i caratteri strutturali del complesso vediamo adesso di ricostruire la funzione di questo luogo in relazione al palinsesto territoriale entro il quale risulta inserito.

L' elemento certamente piu significativo e che il grande complesso con funzione cultuale di Monte Grande non presenta indizi di frequentazione nel corso dell'eta del Rame. I pochi frammenti di ceramica della classe S.Cono-Piano Notaro, recuperati suI terrazzo superiore di Pizzo Italiano (Castellana 1998, 31) permettono solo di stabilire una sporadica presenza nel corso dell'Eneolitico iniziale, cui sarebbe seguito l' abbandono del sito. I materiali finora editi, infatti, convergono nell'assegnare l'impianto dei recinti ad una fase media del Bronzo Antico e con chiari segni di continuita fino ad un momento iniziale del Bronzo Medio, come testimonia il gruppo di ceramiche rinvenute in localita Vincenzina (Castellana 1998, 110-123).

La fondazione del 'santuario' di Monte Grande corrisponde, in termini di cronologia relativa, ad un significativo cambiamento nei caratteri del popolamento e nella dislocazione degli insediamenti. Da una occupazione concentrata ai margini degli altipiani intemi, generalmente in aree poste in corrispondenza di terreni cerealicoli, si passa ad un'occupazione piu capillare delle sommita delle alture e dei pianori intemi, che nel corso dell'Eneolitico erano rimasti sostanzialmente deserti. Essendo quest 'ultima un'area che, per Ie sue caratteristiche pedologiche e morfologiche, mal si presta a coltivazioni seminative, appare dunque assai verosimile che il mutarnento nelle scelte occupazionali sia in qualche modo da ricollegare ad un nuovo e piu intenso ruolo dell'allevamento. Questa ricostruzione acquista un valido elemento di supporto nelle analisi delle faune raccolte all'intemo dei recinti di Monte Grande, dove e stato accertato che il gruppo piu numeroso erappresentato dai capri-ovini (41,4%), seguito dai bovini (32,6%) e infine i suini (22,1%) (E. Bedini in Castellana 1998, 432-458; Cultraro 2004).

Come ho avuto modo di dimostrare in un altro lavoro dedicato aIle faune della Sicilia del Bronzo Antico come indicatore per la ricostruzione di attivita rituali (Cultraro 2004), nel caso di Monte Grande si registrano alcuni elementi di un certo significato: il primo eche gli scarichi

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Fig. 3. Monte Grande: selezione dei principali tipi vascolari: A. Tazze-attingitoio; B. Olle biansate; C. Bacini su piede; D. Grandi contenitori; E. Oggetti votivi: 1. modellino di capanna (?);

2. statuinefittili; 3. comi fittili (rielaborata da Castellana 1998).

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di ossa animali, in molti casi con tracce di arrostimento, vanno interpretati come i resti di pasti che venivano consumati tra coloro che partecipavano ad attivita rituali. 11 secondo punto comprende i parametri della macellazione che, nel caso dei capriovini, include un numero abbastanza alto di esemplari uccisi nei primi mesi di vita. Si puo, quindi, pensare a comunita di allevatori che disponevano di numerosi capi di bestiame e in grado di privarsi periodicamente di un certo numero di animali, sottraendo al gruppo una pur sempre utile fonte di cibo e di prodotti secondari, come latte e lana. 11 terzo punto, infine, riguarda la natura del sacrificio che, come si ricava dall' analisi dei dati di macellazione, prevedeva la selezione di determinate parti dell'animale. Tutti questi dati portano a concludere che Monte Grande viene a qualificarsi come un luogo ben definito sul piano architettonico e funzionale, in cui si concentrano specifiche attivita cultuali che avrebbero coinvolto un numero assai elevato di individui.

CONCLUSIONI

Riprendendo i parametri di valutazione territoriali esposti in precedenza, Monte Grande appare il punto di riferimento di un nuovo sistema di assetto insediativo che, a partire dal Bronzo Antico 2, avrebbe interessato l'intero distretto tra i fiumi Platani e Palma (Fig. 1). Un'analisi dettagliata del sistema di dislocazione degli abitati e del loro rapporto con il bacino di visibilita del santuario porta ad evidenziare che esisteva una rete di percorsi il cui centro simbolico e reale era rappresentato dalluogo di culto, collocato sul punto piu alto dell'intero sistema, apparendo anche come elemento di proiezione dalla forte valenza scenografica. Non puo certo sfuggire che 10 spazio sacro venga anche a coincidere con un'area di ricchi giacimenti solfiferi che, come ha dimostrato G. Castellana (1998, 72-91), risulterebbero sfruttati fin dal Bronzo Antico.

Le marcate diversificazioni - in termini di dislocazione dei siti e di vocazione economica delle singole comunita dell'area palmese - sottolineano con maggiore efficacia la centralita del complesso religioso di Monte Grande all'intemo di un nuovo modello di occupazione territoriale, che presuppone una stretta interdipendenza funzionale tra i singoli villaggi. In altre parole, la funzione di Monte Grande e la sua proiezione sul territorio circostante possono essere comprese solo in relazione al vasto processo di mutamento delle scelte ubicative che, nel corso del Bronzo Antico, coinvolge la regione in esame e, probabilmente, anche altri comprensori della Sicilia centro-occidentale, come la media e bassa valle del Platani (Gulli 2000; Ianni 2004). Tale fenomeno di appropriazione di nuove risorse e di redistribuzione delle comunita per diverse fasce ecozonali dovrebbe strettamente legarsi, da un lato ad un nuovo e piu intenso ruolo dell'allevamento e all'introduzione di nuove colture, dall'altro ad un chiaro incremento demografico. Monte Grande, pertanto, verrebbe a porsi come centro gravitazionale tra aree che appaiono

differenti non solo in termini di strutturazione geomorfologica, rna anche per vocazione e prestazione economica. Sulla base di tali dati, verrebbe da pensare che l'intero comprensorio fosse organizzato in microdistretti, costituiti da piccoli gruppi umani. Un'ottima esemplificazione in tal senso eofferta dall'area della media valle del Palma, dove i siti ubicati sui Monti della Galia (Fig. 1:11) rivelano spiccate attitudini tattico­strategiche di controllo sulla via fluviale, disponendosi lungo il percorso di collegamento tra l' entroterra e la fascia costiera.

Se leggiamo la dislocazione di Monte Grande in relazione alle diverse nicchie ecologiche, che contemplano soluzioni stanziali nella valle del Palma (aree a coltivazioni seminative) e occupazioni periodi sugli altipiani, il santuario avrebbe rappresentato una sorta di centro di ancoraggio sul territorio, indispensabile per quei gruppi caratterizzati da una forte mobilita e dispersione. 11 processo di controllo simbolico dello spazio, e quindi delle sue risorse, trova un ulteriore punto di forza nel sistema di cerimoniali che si espletavano nell'area dei recinti, dove i protagonisti erano i membri delle comunita attive nel territorio che, attraverso la distribuzione di pasti collettivi, rinsaldavano i legami del gruppo e favorivano la coesione sociale. E' il caso di sottolineare che dall'area dei recinti proviene un discreto quantitativo di ceramiche della classe matt-painted ware di produzione egea (Castellana 1998,92-109; 224-313), che mettono a fuoco l'intensita e la precocita dei rapporti che i gruppi emergenti dell'area agrigentina mantenevano con altre regioni del Mediterraneo.

In conclusione, Monte Grande si configura come una sorta di spazio strutturato con funzioni speciali che agiva sul paesaggio circostante a piu livelli, da punto di riferimento per gli abitati circostanti, a luogo di incontro e di integrazione tra diversi gruppi umani, compresi gli e1ementi allogeni non integrati, quali i prospectors elladici.

11 passaggio alla success iva eta del Bronzo Medio segnera la fine della frequentazione del santuario, rna anche la scomparsa di un complesso assetto territoriale di cui Monte Grande rappresentava il cardine e, al tempo stesso, 10 specchio dei processi di trasformazione socio­economica in atto nelle comunita castellucciane.

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