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Costantinopoli non è Bologna La nascita del Digesto fra storiografia e storia DARIO MANTOVANI Università di Pavia 1. La genesi del Digesto di Giustiniano coinvolge due aspetti, tecnico l’uno, l’altro cul- turale. Il profilo tecnico, ossia il metodo seguito dai compilatori per spogliare la lette- ratura giuridica e ricomporla in un’antologia, è il più esplorato, da Bluhme che lo chia- rì in modo già pressoché definitivo nel 1820 a Honoré che, di recente, ha rinnovato le sue ipotesi circa la divisione e il ritmo di lavoro dei commissari. 1 Segnano il passo, invece, gli studi sulla genesi culturale, cioè sulle condizioni intel- lettuali che suggerirono e resero possibile un’operazione sofisticata quale fu compiuta, in breve tempo, dai commissari giustinianei. 2 Se una situazione di stallo storiografico ha un vantaggio, è che consente di prendere le distanze dalle opinioni e di riesamina- re più liberamente l’impostazione data ai problemi. 3 Oltre alla dispersione delle fonti, su cui torneremo, a rendere impervia l’esplorazio- ne delle premesse culturali dell’opera giustinianea è, infatti, lo stato della storiografia giuridica. Al tempo dell’interpolazionismo, il clima era per alcuni versi più favorevole (non sorprende che risalga a quella stagione il tentativo più ambizioso di spiegare la «genèse du Digeste»): 4 era l’ipotesi stessa che stava alla base di quel metodo, ossia che 1 T. HONORÉ, Justinian’s Digest. Character and Compilation, Oxford 2010; il volume raccoglie i risultati di alcuni studi preliminari, sui quali avevo avuto modo di esprimere alcune osservazioni, alle quali rimando: ‘Tanta legum com- positio’: la compilazione del Digesto di Giustiniano in una conversazione tra Tony Honoré e Dario Mantovani, in Alberico Gentili: l’uso della forza nel diritto internazionale. Atti del convegno, undicesima Giornata gentiliana, San Ginesio, 17-18 settembre 2004, Milano 2006, 295 ss., 324 ss.; Aggiornamenti sull’Appendix e i tempi di compilazione del Digesto, in Fides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna V, Napoli 2007, 3181 ss. 2 Ovviamente, oltre ad appoggiarsi su basi culturali, l’impresa di codificazione era mossa da volontà politica e da impulsi socio-economici (a cominciare dal desiderio di prolixitatem litium amputare : Const. Haec pr.), Sono fattori di grande rilievo per una valutazione complessiva dell’azione di Giustiniano, che esula tuttavia dalla presente ricognizio- ne: per una messa a punto di questi aspetti, vd. per tutti J. HALDON, Economy and Administration: How Did the Empire Work?, in M. MAAS (a c. di), The Cambridge Companion to the Age of Justinian, Cambridge et al. 2005, 28 ss. 3 Per un utile quadro bibliografico rinvio al recente volume di A.M. GIOMARO, Sulla presenza delle scuole di diritto e la formazione giuridica nel tardoantico, Soveria Mannelli 2011, spec. 13 ss. 4 P. COLLINET, Études historiques sur le droit de Justinien, I. Le caractère oriental de l’oeuvre législative de Justinien et les

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Costantinopoli non è BolognaLa nascita del Digesto fra storiografia e storia

DARIO MANTOVANIUniversità di Pavia

1. La genesi del Digesto di Giustiniano coinvolge due aspetti, tecnico l’uno, l’altro cul-turale. Il profilo tecnico, ossia il metodo seguito dai compilatori per spogliare la lette-ratura giuridica e ricomporla in un’antologia, è il più esplorato, da Bluhme che lo chia-rì in modo già pressoché definitivo nel 1820 a Honoré che, di recente, ha rinnovato lesue ipotesi circa la divisione e il ritmo di lavoro dei commissari.1

Segnano il passo, invece, gli studi sulla genesi culturale, cioè sulle condizioni intel-lettuali che suggerirono e resero possibile un’operazione sofisticata quale fu compiuta,in breve tempo, dai commissari giustinianei.2 Se una situazione di stallo storiograficoha un vantaggio, è che consente di prendere le distanze dalle opinioni e di riesamina-re più liberamente l’impostazione data ai problemi.3

Oltre alla dispersione delle fonti, su cui torneremo, a rendere impervia l’esplorazio-ne delle premesse culturali dell’opera giustinianea è, infatti, lo stato della storiografiagiuridica. Al tempo dell’interpolazionismo, il clima era per alcuni versi più favorevole(non sorprende che risalga a quella stagione il tentativo più ambizioso di spiegare la«genèse du Digeste»):4 era l’ipotesi stessa che stava alla base di quel metodo, ossia che

1 T. HONORÉ, Justinian’s Digest. Character and Compilation, Oxford 2010; il volume raccoglie i risultati di alcunistudi preliminari, sui quali avevo avuto modo di esprimere alcune osservazioni, alle quali rimando: ‘Tanta legum com-positio’: la compilazione del Digesto di Giustiniano in una conversazione tra Tony Honoré e Dario Mantovani, in AlbericoGentili: l’uso della forza nel diritto internazionale. Atti del convegno, undicesima Giornata gentiliana, San Ginesio, 17-18settembre 2004, Milano 2006, 295 ss., 324 ss.; Aggiornamenti sull’Appendix e i tempi di compilazione del Digesto, inFides Humanitas Ius. Studii in onore di Luigi Labruna V, Napoli 2007, 3181 ss.2 Ovviamente, oltre ad appoggiarsi su basi culturali, l’impresa di codificazione era mossa da volontà politica e daimpulsi socio-economici (a cominciare dal desiderio di prolixitatem litium amputare: Const. Haec pr.), Sono fattori digrande rilievo per una valutazione complessiva dell’azione di Giustiniano, che esula tuttavia dalla presente ricognizio-ne: per una messa a punto di questi aspetti, vd. per tutti J. HALDON, Economy and Administration: How Did the EmpireWork?, in M. MAAS (a c. di), The Cambridge Companion to the Age of Justinian, Cambridge et al. 2005, 28 ss.3 Per un utile quadro bibliografico rinvio al recente volume di A.M. GIOMARO, Sulla presenza delle scuole di diritto ela formazione giuridica nel tardoantico, Soveria Mannelli 2011, spec. 13 ss.4 P. COLLINET, Études historiques sur le droit de Justinien, I. Le caractère oriental de l’oeuvre législative de Justinien et les

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le opere dei giuristi classici fossero giunte alterate ai commissari giustinianei, a pre-supporre la vitalità della cultura giuridica tardo-antica.5 Proprio mentre ci si propone-va di recuperare il diritto classico, si dava, infatti, corpo al suo antagonista postclassi-co, portatore di quei valori, metodi e persino linguaggi che avrebbero guidato la famo-sa ‘mano’ responsabile di tante alterazioni. Quest’implicazione era, in molti casi, soloinvolontaria; ciò non toglie che vi fosse il giusto sentore, in chi praticava il metodo cri-tico, che il mondo del diritto non fosse bruscamente cessato dopo l’età severiana.

Attenuatasi la convinzione che i testi classici siano stati massicciamente rielaborati,non s’è tuttavia del tutto dissipata l’impressione (quasi una vittoria postuma dell’in-terpolazionismo) che l’età compresa fra Diocleziano e Giustiniano abbia assistito alcrollo della scienza dei giuristi, nei due sensi quantitativo e qualitativo: il diritto – sisostiene – prese la strada della legislazione imperiale, smarrendo al contempo la formaargomentativa di pensiero, che era stata l’emblema dei giuristi per almeno cinque seco-li, dal tempo delle guerre puniche alla fine del III secolo d.C.6

Seguendo questa linea, è diventato ancora più ostico spiegare perché Giustinianoabbia avvertito l’esigenza di mettere ordine negli scritti di una letteratura che avrebbeinvece dovuto considerare priva di vitalità e, soprattutto, comprendere di dove venisse-ro ai commissari la confidenza con tale letteratura e l’abilità nel venire a capo del com-pito. Una contraddizione da cui non si è potuti uscire se non attribuendo a Giustinianodi avere dato vita, con il Digesto, a una ‘rinascita’, cioè di avere compiuto un’impresa chenon corrispondeva (in tutto o in parte) al suo tempo, con il recupero di una letteraturaormai fuori corso. In effetti, l’interpretazione del Digesto (e delle Istituzioni) in terminidi ‘rinascita’ è oggi la più diffusa, seppur con varie sfumature, che, dipendono anche dalconfluire in essa di due vettori ideologici sostanzialmente distinti (ma non sempre con-siderati tali) ossia l’‘arcaismo’ e il ‘classicismo’, che conviene ora mettere a fuoco.7

destinées des institutions classiques en Occident, Paris 1912; II. Histoire de l’école de droit de Beyrouth, Paris 1925; ID.,La genèse du Digeste, du Code et des Institutes de Justinien, Paris 1952.5 Sull’emersione dell’indirizzo che attribuiva le interpolazioni non solo a Triboniano, ma all’età pregiustinianea, vd.la sintesi di F. WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte I, München 1988, 46 ss.6 Era, per portare un esempio autorevole, la posizione di S. RICCOBONO, Lineamenti della storia delle fonti e del dirittoromano, Milano 1949, 174: dal IV secolo in poi «il disordine e l’ignoranza imperavano nel campo delle discipline giu-ridiche» (l’affermazione è tanto più significativa, in quanto lo studioso si trovava su questo punto d’accordo con ilPringsheim, dal quale lo divideva invece l’interpretazione dell’atteggiamento di Giustiniano: vd. infra); nello stessosenso, ancora recentemente, vd. ad es. L. DE BLOIS, Roman Jurists and the Crisis of the Third Century A.D. in the RomanEmpire, in ID. (a c. di), Administration, Prosopography and Appointment Policies in the Roman Empire. Proceedings of theFirst Workshop of the International Network Impact of Empire (Leiden, June 28 - July 1, 2000), Amsterdam 2001, 132 ss.7 Istruttiva sotto il profilo della storia della storiografia è la discussione concettuale sulla nozione di classicismo (sullosfondo del volgarismo), ora che, stemperatasi la polemica, è divenuto più chiaro quanto vi fosse di dissenso solo appa-

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All’origine di questa lettura sta l’«archaistische Tendenz Justinians» concepita nel1930 da Fritz Pringsheim.8 L’insigne romanista riteneva che Giustiniano, nel corsostesso dei lavori, avesse deciso di ampliare il raggio della codificazione, dapprima limi-tato alle sole leges imperiali, estendendolo agli scritti dei giuristi, sotto una spinta chearrivava dalle scuole giuridiche d’Oriente, Berito in prima linea. Dunque, un’opera-zione «unpractical and in many ways obsolete».9 Torneremo più avanti sulla ricostru-zione a tappe dell’«Enstehungszeit des Digestenplanes» che costituisce il presuppostodi questa concezione, le cui basi testuali sono fragili. Per il momento, è sufficiente nota-re che la concezione di Pringsheim, fondata su un presunto dualismo fra teoria e pras-si, sembra ricalcare quella lotta fra «das gelehrte römische Recht» e «die Rechtspraxis»con cui fin dai tempi di Savigny ci si è rappresentati la ‘rinascita’ bolognese del dirittoromano e l’affermarsi del ius commune come diritto dell’impero: è questo modello di‘Renaissance’ che, con il Pringsheim, viene riproiettato sull’età di Giustiniano.10 Lo

rente fra le varie posizioni, e quanto invece di reale distanza. Vd. per tutti F. WIEACKER, Vulgarismus und Klassizismusim römischen Recht der ausgehenden Antike (1956), ora in ID., Ausgewählte Schriften I, hrsg. v. D. SIMON, Frankfurt amMain 1983, 205 ss.; M. KASER, s.v. Vulgarrecht, in RE IXA/2 (1967) 1283 ss.; M. TALAMANCA, L’esperienza giuridicaromana nel Tardo-Antico fra volgarismo e classicismo, in Le trasformazioni della cultura nella Tarda Antichità. Atti delConvegno tenuto a Catania, Università degli Studi, 27 sett. 2 ott. 1982 I, Roma 1985, 27 ss. e, di recente, l’ottima sto-ria degli studi tracciata da D. LIEBS, Roman Vulgar Law in Late Antiquity, in B. SIRKS (a c. di), Aspects of Law in LateAntiquity Dedicated to A.M. Honoré on the Occasion of the Sixtieth Year of His Teaching in Oxford, Oxford 2008, 35 ss.8 Vd. F. PRINGSHEIM, Die archaistische Tendenz Justinians, ora in ID., Gesammelte Abhandlungen II, Heidelberg 1961,10 ss. (che avviò la nota discussione con Riccobono, il quale concepiva l’evoluzione del diritto romano, anche in epocatardo-antica e poi giustinianea, come graduale e continua, dunque rivolta tendenzialmente alla modernizzazione, enon al recupero del passato). Vd. la nitida discussione dell’allievo del Pringsheim, K.-H. SCHINDLER, Justinians Haltungzur Klassik. Versuch einer Darstellung an Hand seiner Kontroversen entscheidenden Konstitutionen, Köln-Graz 1966, 5ss., anche se non condivisibile nella conclusione (la scuola di Berito non riuscì a contenere le tendenze ‘volgari’ emer-se anche in Oriente dopo Costantino, e fu solo Giustiniano a invertire la rotta). Sulla personalità del Pringsheim, vd.il magnifico ritratto tracciato da T. HONORÉ, Fritz Pringsheim (1882-1967), in J. BEATSON - R. ZIMMERMANN (a c.di), Jurists Uprooted: German-Speaking Emigré Lawyers in Twentieth Century Britain, Oxford 2004, 205 ss.9 Vd. il saggio conclusivo F. PRINGSHEIM, The Character of Justinian’s Legislation, ora in ID., Gesammelte Abhandlungencit. (nt. 8) II, 76. Le contraddizioni in cui si dibatte quest’interpretazione costringono l’A. a mantenersi sul filo del-l’ossimoro, là dove, dopo avere dichiarato che l’opera è impregnata di arcaismo e obsoleta, deve ammettere «the main-fold character of Justinian’s work»; infatti esso «was intended not only to sum up the past and to provide somethingfor the future, but also to meet the needs of the present». Su un piano più strettamente analitico, la maggiore con-traddizione sta nel fatto che Pringsheim parte dal presupposto che da Diocleziano in avanti la letteratura giurispru-denziale «was gradually moved to the background» (art. cit., 73); poi afferma che gli scritti di giuristi «having slowlyacquired the force of law, they had to be adjusted in the course of time to the law then prevailing». Quest’ultima affer-mazione implica, se presa alla lettera, che Giustiniano non fece nessuna operazione arcaistica, bensì continuò sullastrada intrapresa fin dal IV secolo di usare e adattare al proprio tempo la letteratura giurisprudenziale classica.10 Non a caso, il PRINGSHEIM aveva in precedenza sviluppato il tema Beryt und Bologna, in ID., Gesammelte Ab-handlungen I, Heidelberg 1961, 395 ss.

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schema continua ad aleggiare, come vedremo, su molte delle letture del tardo anticogiuridico.11

L’abbandono (o meglio il superamento) dell’interpretazione in termini di arcaismosi deve a un allievo del Pringsheim, Franz Wieacker, che nel secondo dopoguerra haintrodotto la nozione di classicismo giustinianeo (ossia di conservazione, più che direcupero retrospettivo), collegando l’operato di Giustiniano a una rinascita più gene-rale della cultura orientale nella seconda metà del V secolo, che per il diritto culminanella scuola di Beirut.12 La modifica non è secondaria, bensì un vero e proprio cambiodi paradigma, perché (almeno in teoria) conferisce maggiore peso alla cultura giuridi-ca del V secolo e, al tempo stesso, attenua la sensazione che il Digesto fosse fuori sin-tonia rispetto alla propria epoca. Il Wieacker ha osservato che solo la svalutazione del-l’operato dei compilatori ha impedito, a lungo, di comprendere «welche Beherrschungder klassischen Feinstrukturen und welche Urteilsfähigkeit die Auswahl, Verknüpfungund gegenseitige Abstimmung der Exzerpte der Kompilatoren ermöglichte».13 La pa-dronanza delle strutture concettuali che attraversavano i testi classici e la capacità di sele-zionare e riorganizzarne gli estratti furono appunto, secondo lo studioso, il portato della

11 Naturalmente, questo modello trova – anche inconsapevolmente – un sostegno nell’ideologia di restitutio o reno-vatio che viene attribuita all’azione politico-militare di Giustiniano. A parte il fatto che si tratta di fenomeni che simuovono su piani distinti, occorre tenere conto del cambio di prospettiva compiuto al riguardo dalla storiografia piùrecente: M. MEIER, Das andere Zeitalter Justinians. Kontingenzerfahrung und Kontingenzbewältigung im 6. Jahrhundertn. Chr., Göttingen 2003, 101 ss., spec. 165-180, ha precisato che negli anni della codificazione (527-533) non vi sonotracce di un’ideologia legata alla restauratio, che compaiono solo a partire dal trionfo sui Vandali del 534; ancor piùradicalmente, P. KREUTZ, Romidee und Recht in der Spätantike. Untersuchungen zur Ideen- und Mentalitätsgeschichte,diss. Berlin 2008, spec. 253 ss., ha mostrato che l’idea di ripiegamento verso l’antico è estranea alla codificazione; nellostesso senso, M. SHANE BJORNLIE, Politics and Tradition between Rome, Ravenna and Constantinople. A Study ofCassiodorus and the Variae, 527-554, Cambridge 2013, spec. 67 ss., considera la codificazione «a massive overhaul ofthe Roman legal tradition never before attempted on this scale» con l’intento di ridurre la discrezionalità di giudicie burocrazia. 12 Per una prima compiuta formulazione, F. WIEACKER, Vulgarismus und Klassizismus im Recht der Spätantike,Heidelberg 1955 (testo di una relazione tenuta nel 1953); vd. poi ID., Vulgarismus und Klassizismus im römischenRecht der ausgehenden Antike (1956), ora in ID., Ausgewählte Schriften I, hrsg. v. D. SIMON, Frankfurt am Main 1983,205 ss.; ID., Römische Rechtsgeschichte II, München 2006, 263 ss.: per ‘classicismo’ viene inteso l’atteggiamento di chiassume una tradizione passata come norma di condotta per il presente. In realtà, nell’elaborare la sua interpretazio-ne ‘classicista’, Wieacker (vd. ad es. Vulgarismus und Klassizismus im römischen Recht der ausgehenden Antike cit., 220),ha accolto i risultati di Pringsheim, sia quanto alla connessione fra codificazione e «Restaurationsprogramm» diGiustiniano, sia specificamente quanto alla correzione del piano della compilazione sotto la pressione delle scuole. Lacompresenza di questi elementi crea, a mio avviso, la tensione e ambiguità di fondo fra l’interpretazione che pone ilDigesto in linea con lo stato culturale del secolo precedente e quella che ne fa un anacronismo mosso da un intentoarcaistico di restaurazione.13 WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte cit. (nt. 12) II, 279.

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crescente cultura scolastica sviluppatasi nel corso del V secolo a Berito e negli altri cen-tri di formazione. Di qui la conclusione, espressa dal Wieacker con la consueta icastici-tà, che il Digesto sia stato «die Frucht der älteren Rechtschule».14 Quest’impostazionegode oggi d’una fortuna pressoché unanime (si può dire che manca una spiegazionealternativa), anche se si oscilla fra attribuire la ‘rinascita’ al V secolo o solo all’età giu-stinianea: un’oscillazione sintomatica, causata, a mio avviso, proprio dal nesso irrisol-to fra la teoria del classicismo e la sua origine, la tendenza arcaistica di Giustiniano,con le differenze che esse in realtà implicano.15

2. L’opinione secondo cui «la compilazione degli iura è l’opera della corrente culta pre-sente tra i collaboratori di Giustiniano»16 sembra ispirata – come s’è detto – alla distin-zione fra «Rechtstheorie» e «Rechtspraxis», che è servita a spiegare la rinascita bolognesedel diritto romano. La riproposizione di uno schema elaborato per un’altra epoca e con-testo dovrebbe di per se stessa indurre a prudenza, tanto più se le differenze strutturalifra i fenomeni che vengono comparati sono macroscopiche (basti pensare al ruolo total-mente diverso avuto dal potere politico nei due momenti: decisivo per la codificazionedi Giustiniano, al traino delle scuole nella rinascita comunale del diritto romano).17

È il modo stesso in cui Pringsheim ha formulato l’ipotesi che nel progetto diGiustiniano vi sia stata una svolta – segnata da una sopravvenuta più marcata influ-

14 WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte cit. (nt. 12) II, 263-286. Consonante M. KASER, Das römische Privatrecht II,München 19752, 33: «Die Gesetzgebung Justinians, die das Werk dieser Schulen krönt, bedeutet mit dem Hö-hepunkt dieser Entwicklung zugleich ihren Abschluß». I due insigni studiosi coincidono nell’attribuire una ten-denza classicistica (cioè di conservazione) alle scuole orientali, ma divergono circa il classicismo di Giustiniano, chesecondo Kaser fu solo una delle componenti, in un atteggiamento che invece mirava a un adattamento del diritto allecondizioni attuali, molto più marcato di quello scolastico (vd. op. cit., 34 s.). 15 H. HAUSMANINGER (- W. SELB), Römisches Privatrecht, Wien-Köln-Weimar 20019, 52: «Die oströmische Rechts-wissenschaft des 5. Jh. schafft damit die stofflichen und geistigen Voraussetzungen der großangelegten Kompila-tionen Justinians»; R. BONINI, in M. TALAMANCA (a c. di), Lineamenti di storia del diritto romano, Milano 19892,652: Giustiniano fu «più l’erede che l’ideatore» della visione tardo-antica che considerava non eliminabili le operegiurisprudenziali dall’ordinamento; secondo P. GARBARINO, in A. SCHIAVONE (a c. di), Storia del diritto romano elinee di diritto privato, Torino 2005, 240: «nel sesto secolo si ebbe una fioritura della cultura giuridica, come mo-stra la stessa riuscita del progetto compilatorio di Giustiniano»; op. cit., 244: il Digesto è il risultato «di una felicecombinazione tra un rinnovato interesse per la cultura giuridica antica (il cd. classicismo di Giustiniano) e la ricercadi maggiore efficienza dell’ordinamento giuridico»; secondo A. PETRUCCI, Corso di diritto pubblico romano, Torino2012, 258: la possibilità di realizzare il disegno di Giustiniano «è certamente dovuta al rifiorire della cultura giuridi-ca nelle Scuole di Costantinopoli e Berito agli inizi del VI secolo».16 Così, con la consueta eleganza, G.G. ARCHI, Studi sulle fonti del diritto nel Tardo Impero Romano. Teodosio II eGiustiniano, Cagliari 1987, 157.17 Vd. le opportune riserve in WIEACKER, Römische Rechtsgeschichte cit. (nt. 12) II, 264.

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enza delle scuole – a denunciare la dipendenza da schemi anacronistici: «vor die-sem Wendepunkte stand man im Banne praktischer Tendenzen, nachher in dem derRechtsschulentheorie; vorher war maßgebend die Übung der Notare und Gerichte vonByzanz, nacher die Überzeugung der Professoren; vorher war man viel moderner alsnachher; vorher wollte man geltendes Recht für seine eigene Zeit schaffen, nacher das,was groß am römischen Rechte ware, allen Zeiten überliefern»; il lettore odierno avver-te di essere di fronte a uno schema condizionante, che difficilmente sarebbe disposto asottoscrivere.

Ma anche quando si scenda a un tentativo di verifica nelle fonti, si vede presto chenon regge la maggior parte degli indizi addotti – a partire dal Pringsheim – per darecorpo a questa svolta.18 In particolare, nessuna delle affermazioni che si leggono nellecostituzioni introduttive dei tria volumina può essere piegata fino a dimostrare che ilpiano di raccogliere le opere della giurisprudenza sia stato concepito solo dopo che siera messo mano alle leges (un décalage temporale che, a sua volta, sarebbe indicativodell’influenza crescente dei professori).19 Tantomeno vale come argomento la presenzadella legge delle citazioni nel primo Codex (attestata con buona probabilità da P. Oxy.1814): anche se il Digesto fu progettato fin dal principio (che è l’ipotesi più verosimi-le ed è conforme alle affermazioni giustinianee), fino al suo compimento era indi-spensabile mantenere in vigore il sistema della recitatio delle opere classiche regolatodalla costituzione di Valentiniano III.20

18 F. PRINGSHEIM, Die Entstehungszeit des Digestenplanes und die Rechtsschulen, in ID., Gesammelte Abhandlungen cit.(nt. 8) II, 41 ss. (ivi, 52 s. il brano citato). Tralascio la parte dimostrativa basata su pretese interpolazioni e modifichedi significato rinvenibili prima e dopo il 530. La scansione proposta da Pringsheim – senza tuttavia entrare nel meri-to della dimostrazione – è accettata ad es. da G.G. ARCHI, Giustiniano legislatore, Bologna 1970, spec. 181 ss.; M.G.BIANCHINI, Osservazioni minime sulle costituzioni introduttive alla compilazione giustinianea, in Studi in memoria diGuido Donatuti I, Milano 1973, 121 ss.; C. HUMFRESS, Law and Legal Practice in the Age of Justinian, in M. MAAS (ac. di), The Cambridge Companion to the Age of Justinian, Cambridge et al. 2005, 165; più cauta M. CAMPOLUNGHI,Potere imperiale e giurisprudenza in Pomponio e in Giustiniano II/1, Perugia 2001, spec. 9 s., 30 s., spec. 98 ss., 129 ss.19 PRINGSHEIM, Die Entstehungszeit cit. (nt. 18), 43 ss. Per un’esegesi analitica rinvio a CAMPOLUNGHI, Potere impe-riale e giurisprudenza in Pomponio e in Giustiniano cit. (nt. 18) II/1, spec. 5 ss., la quale conclude che l’esame dellecostituzioni introduttive fa emergere «la volontà giustinianea di rappresentare l’iter compilatorio come lo svolgimen-to, l’attuazione per momenti, di un progetto unitario» (op. cit., 123 nt. 16): questa conclusione è tanto più signifi-cativa in quanto l’Autrice, nel lasciare aperta la possibilità che Giustiniano abbia modificato il progetto in corsod’opera, non si sente di escludere che si tratti di una falsa rappresentazione, con ciò confermando che i testi non offro-no conferme in questo senso. 20 PRINGSHEIM, Die Entstehungszeit cit. (nt. 18), 43; in senso critico, vd. CAMPOLUNGHI, Potere imperiale e giurisprudenzain Pomponio e in Giustiniano cit. (nt. 18) II/1, 101 ss. (ove bibl.); il punto non è esplicitamente toccato nell’approfon-dita analisi di S. CORCORAN, Justinian and His Two Codes. Revisiting P.Oxy. 1814, in JJP 38 (2008) 73 ss., spec. 95 ss., ilquale ricorda opportunamente la presenza nel titolo della prima edizione (C. 1.15.2) di una seconda costituzione, diret-

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S’aggiunga che – nonostante i lodevoli tentativi di chiarire il ruolo delle singole per-sonalità all’interno della commissione – nulla si può dire di certo sui compiti effetti-vamente svolti dai due professori di Costantinopoli, Teofilo e Cratino, e dai due diBerito, Doroteo e Anatolio. La commissione – non appaia superfluo ricordarlo – com-prendeva altri tredici membri, due funzionari e undici patroni causarum della corte delprefetto del pretorio d’Oriente21 e non v’è modo di determinare quale sia stato il con-tributo di tutti e di ciascuno.22

Già la prevalenza numerica dei patroni causarum suggerisce cautela nel privilegiareil ruolo dei professori nella commissione, proprio per non restare vittime dello schemache contrappone artificiosamente scuola e prassi. La contrapposizione è tanto più ina-deguata per l’epoca di Giustiniano, in quanto i funzionari e gli avvocati erano comun-que usciti dalle scuole giuridiche di Costantinopoli e di Beirut, e dunque ne condivi-devano metodi e conoscenze.23 Per usare l’espressione di una nota costituzione diLeone, chi avesse voluto praticare come avvocato presso la prefettura del pretorioavrebbe dovuto dimostrare di essere peritia iuris instructum, esibendo fede giurata didoctores (C. 2.7.11, a. 460).24

Mettere in risalto la mancanza di riscontri all’ipotesi di un’elaborazione a tappe delprogetto giustinianeo; ricordare la presenza – almeno numericamente prevalente – deimembri non accademici fra i compilatori del Digesto, scelti da Triboniano tam ex facun-dissimis antecessoribus quam ex viris disertissimis togatis fori amplissimae sedis ad socian-dum laborem (Const. Deo auctore 3); ricordare che nulla si conosce per certo del ruolo

ta da Giustiniano al prefetto del pretorio Mena, di contenuto ignoto, che rende ulteriormente ipotetico trarre conclu-sioni circa la presenza della legge delle Citazioni (art. cit., riflessioni sul cambio di personale fra le due commissioni).21 Qui il tema della tecnica di compilazione si collega a quello della genesi culturale. Sull’attribuzione del ruolo essen-ziale ai professori, vd. per tutti HONORÉ, Justinian’s Digest cit. (nt. 1), 18 s. 22 Sarebbe ovviamente un difetto di prospettiva valutare l’apporto dei professori considerando ex post i commentiscolastici dedicati all’opera giustinianea (come se dimostrassero che la compilazione aveva trovato accoglienza nellostesso ambiente che l’aveva prodotta). Difatti, non altrove se non nelle scuole – dove erano oggetto di studio – pote-vano sorgere opere di (più o meno articolato) commento della nuova codificazione, senza che ciò dimostri alcunchésulle forze culturali o pratiche che avevano dato l’impulso alla codificazione (non molto diversamente da quel cheaccade oggi dopo che un parlamento abbia emanato un nuovo Codice, che diventa oggetto di commento soprattut-to in ambiente accademico).23 È interessante notare che l’ipotesi di Pringsheim è fatta propria da T. HONORÉ, Tribonian, London 1978, 48 s.,con la variante che il cambio di rotta viene attribuito al ruolo più importante assunto dal nuovo quaestor Triboniano,che era «a scholar»: la posizione è significativa della unitarietà dell’ambiente, che non può essere artificiosamente con-trapposto in correnti.24 Su questa misura, e sull’avvocatura presso la prefettura del pretorio, vd. ora l’analisi accurata di G. SIEBIGS, KaiserLeo I. Das oströmische Reich in den ersten drei Jahren seiner Regierung (457-460 n. Chr.) I, Berlin 2010, 566 ss., cheintende che gli attestati fossero rilasciati dopo quattro anni di studi giuridici a Costantinopoli o a Berito.

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svolto da ciascuno nello spogliare le masse e comporre i titoli; sottolineare infine chefunzionari e patroni causarum erano formati da quegli stessi professori cui li si vorrebbecontrapporre, non significa affatto negare – naturalmente – il ruolo che le scuole giuri-diche hanno avuto nella cultura tardoantica e nella stessa compilazione del Digesto.Significa invece invitare a una valutazione più equilibrata delle varie componenti.Funzionari, avvocati e professori erano portatori di conoscenze ed esperienze comuni,operavano all’interno di uno stesso orizzonte teorico e applicativo: fu Giustiniano a darel’impulso e il sostegno politico necessari perché si potesse realizzare la nuova sintesi.Proprio perché l’operazione fu compiuta sotto il segno del potere imperiale (che tra-sformava la natura stessa dei brani prescelti, come con lucidità teorizzava lo stesso impe-ratore: quasi et eorum studia ex principalibus constitutionibus profecta et a nostro divinofuerint ore profusa. Omnia enim merito nostra facimus, quia ex nobis omnis eis impertieturauctoritas: Const. Deo auctore 6) essa si svolse con piglio e con mezzi nuovi. Ciò che eraprecluso ai professori, di intervenire sui testi classici, era ora addirittura imposto; lavarietà delle opinioni, che per i patroni causarum era ghiotto anche se indigesto alimentodi liti, doveva essere ora ridotta a unità. Tutto questo è il proprium della codificazionein quanto atto normativo: ma è la cultura giuridica e (la precisazione è indispensabile)l’assetto delle fonti del diritto fino ad allora vigenti che ne costituiscono i presuppostinecessari. Paragonare Costantinopoli a Bologna rischia di confondere i due aspetti.

3. Oltre a fondarsi su una discutibile contrapposizione fra teoria e prassi, l’attuale con-cezione che considera il Digesto frutto della rinascita delle scuole giuridiche avvenutanel V secolo, sotto il segno del classicismo (cioè del mantenimento del diritto dei giu-risti come modello di riferimento da applicare per quanto possibile al presente), rive-la, se considerata con l’opportuna prudenza storiografica, un’ulteriore debolezza.

Questa concezione – proprio perché è nata retrospettivamente, cercando a ritrosonel tempo le condizioni che giustificano l’operato di Giustiniano – non si fonda su unaricostruzione completa della scienza giuridica tardoantica, che finora manca. Non stu-pisce perciò che – condizionata dall’idea della ‘rinascita’ che ne costituisce l’esito – essatenda a rappresentarsi la giurisprudenza tardoantica come divisa in almeno due fasi,una di decadenza, fino all’età teodosiana, e una di rifioritura (esclusivamente orienta-le) culminata nel Digesto (con le incertezze cronologiche già viste circa il punto in cuicollocare questa rifioritura). Anche in questo caso, occorre interrogarsi se la rappre-sentazione corrisponda alla realtà storica oppure se sia condizionata dalla sua genesistoriografica. Le testimonianze relative alla scuola di Berito,25 com’è noto, rimontano

25 Si sono moltiplicati gli studi su Berito nell’ultimo decennio: i più specifici sono ora L. JONES HALL, Roman Berytus.

Dario Mantovani 113

già al III secolo, quando ne parla autobiograficamente l’autore dell’In Origenem (1.7)26

per un’epoca intorno al 230 e se ne interessa poi la tetrarchia, concedendo l’esenzionedai munera personalia agli studenti fino ai venticinque anni (C. 10.50.1: Diocletianuset Maximinus AA. Severino et ceteris scholasticis arabiis).27 Si tratta di testimonianzeesterne, è vero, che ancora poco dicono sull’irraggiamento e i metodi della scuola; maa chiarire senza equivoci che già nel IV secolo essa era assurta a centro d’eccellenza è laripetuta testimonianza di Libanio.28 L’eloquenza del retore è tale che sono sufficientipoche citazioni per chiarire la rilevanza che egli riconosceva alla scuola giuridica feni-cia. Nel 364, quando al suo mentore Giuliano succedono Valentiniano e Valente,Libanio scrive a Megezio: «tutti, giovani e adulti e vecchi vanno a Berito, per mare, perterra e per aria», perché «secondo un’opinione diffusa, chi non ha bevuto a quellafonte, sarà un avvocato impotente».29 Vent’anni dopo, nella sua autobiografia, dirà: «lenostre lettere greche, invece, sono inferiori alle altre, peggio che in passato, così che iotemo la loro scomparsa totale per effetto del diritto» (novmou tou'ton poiou'nto").30

Beirut in Late Antiquity, Abington 2004, 196 ss.; e soprattutto M. SCHUOL, Die Rechtsschule in Berytus: römischeJurisprudenz im Vorderen Orient, in R. ROLLINGER - B. GUFLER - M. LANG - I. MADREITER (a c. di), Interkulturalitätin der Alten Welt. Vorderasien, Hellas, Ägypten und die vielfältigen Ebenen des Kontakts, Wiesbaden 2010, 161 ss.; piùin generale sull’insegnamento nella Tarda Antichità, vd. A.J.B. SIRKS, Instruction in Late Antiquity, the Law andTheology, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana. XV Convegno internazionale in onore di Carlo Castello,Napoli 2005, 493 ss.; G. DAREGGI, Sulle sedi delle scuole di diritto nella ‘pars Orientis’ nella Tarda Antichità, in Attidell’Accademia Romanistica Costantiniana. XVI Convegno Internazionale in onore di Manuel J. García Garrido, Napoli2007, 103 ss.; GIOMARO, Sulla presenza delle scuole di diritto cit. (nt. 3), 13 ss.26 Cfr. in Orig. 5.56-72 (l’orazione è attribuita a Gregorio il Taumaturgo); sugli studi giuridici di Gregorio il Tau-maturgo, cfr. Hier. vir. ill. 65; Socr. h.e. 4.27; Cassiod. hist. 8.8; vd. JONES HALL, Roman Berytus cit. (nt. 25), 203 s.27 JONES HALL, Roman Berytus cit. (nt. 25), 205 s., dove sono citate anche altre possibili testimonianze di III seco-lo; di IV secolo sembrerebbe l’epitaffio pubblicato da J.F. GILLIAM, A Student at Berytus in an Inscription fromPamphylia, in ZPE 13 (1974) 147 ss.28 Oltre agli studi citati in nt. 25, vd. L. DE SALVO, Formazione giuridica e attività codificatoria nel quadro della culturatardoantica. Libanio, la retorica, il diritto, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana. XVI Convegno Internazionalecit. (nt. 25), 53 ss. e il sempre utile P. WOLF, Vom Schulwesen der Spätantike. Libanius-Interpretationen, diss. Basel 1951.29 Ep. 1203.1 a Meghetius. In Or. 62.21, Libanio parla di studenti figli di commercianti che frequentano la scuoladi diritto. «In precedenza, si vedevano figli di artigiani, che dovevano preoccuparsi per il loro sostentamento, che viag-giavano in Fenicia per studiare il diritto; i giovani di famiglie benestanti, di origine elevata, con un patrimonio decu-rionale, rimanevano nelle scuole di retorica. E quelli che studiavano diritto, sembravano meno fortunati degli altri,che non ne avevano bisogno. Ora invece è iniziata una corsa generale verso questo obiettivo: giovani che sanno par-lare e ottenere l’approvazione dell’uditorio, corrono a Berito, nella convinzione di dovere ancora imparare qualcosa.Non si rendono conto che, invece di guadagnare, fanno uno scambio. Infatti la retorica non la mantengono, mentrerimane solo la giurisprudenza. […]. Avrebbero fatto meglio a studiare tutto il tempo solo giurisprudenza. Se poi laconoscenza del diritto sia più redditizia, non è il caso di discuterne qui». Sugli effettivi vantaggi che l’educazione giu-ridica offriva nelle carriere pubbliche e forensi, vd. JONES HALL, Roman Berytus cit. (nt. 25), 197 s.30 Or. (Bios) 1.234 (a. 385): «E senz’altro questo non è l’effetto d’una legge o di un decreto, ma questo viene dal fatto

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia114

È lo stesso momento, la metà del IV secolo, in cui l’Expositio totius mundi, sotto ilregno di Costanzo, descrive Berito come civitas valde deliciosa et auditoria legum habensper quam omnia iudicia Romanorum stare videntur. Inde enim viri in omnem orbem ter-rarum adsident iudicibus et scientes leges custodiunt provincias, quibus mittuntur legumordinationes (§ 25). Una descrizione tanto più incisiva, in quanto presenta la scuola comecentro propulsore della prassi nell’intera ecumene, attraverso la diffusione di esperti chefungono da assessori nelle province, sia nell’attività giudiziaria sia in quella di governo.

Non è facile, a fronte a queste testimonianze, difendere l’opinione che solo il V seco-lo abbia conosciuto una fioritura della scuola di Berito, la cui parabola ascendentesarebbe infine culminata nel Digesto. L’impressione è piuttosto quella di una conti-nuità nel corso del IV e del V secolo d.C.

La più recente storiografia, del resto, ha iniziato ad avvertire le angustie in cui sidibatte l’opinione che considerava l’epoca postclassica sinonimo di smarrimento dellacultura del diritto.31 Che dopo l’età severiana si sia rapidamente esaurita la letteraturagiuridica articolata nei tradizionali generi è fuori di dubbio, tanto quanto è assodato ilpiù largo spazio che le costituzioni imperiali vennero assumendo nella produzione dinuovo diritto. La questione è se il mutare delle forme esteriori equivalga a una modi-fica sostanziale della forma di pensiero o, ancora più radicalmente, al venire meno toutcourt di una cultura giuridica.32

Una risposta esauriente richiederebbe la disamina di almeno due formanti giuridici(quindi due classi di testi), la legislazione imperiale e la letteratura giurisprudenziale:33

che la considerazione e il potere vengono a quelli che conoscono la lingua dell’Italia» (cfr. Or. 43.4-5; 2.44). Sul livel-lo della conoscenza del latino nelle scuole di diritto, reputato piuttosto basso, anche perché l’insegnamento era tenu-to verosimilmente in greco, vd. R. CRIBIORE, The School of Libanius in Late Antique Antioch, Princeton, N.J. - Oxford2007, 210 («it is possible, of course, that Latin was the language of instruction for law, but, if so, no evidence exists»).31 Vd. per tutti B.H. STOLTE, A Crisis of Jurisprudence? The End of Legal Writing in the Classical Tradition, in O.HEKSTER - G. DE KLEIJN - D. SLOOTJES (a c. di), Crises and Roman Empire. Proceedings of the Seventh Workshop of theInternational Network Impact of Empire (Nijmegen, June 20-24, 2006), Leiden 2007, 355 ss.; in senso analogo, D.MANTOVANI, in E. GABBA et al., Introduzione alla storia di Roma, Milano 2000, 505 ss.; ID., Diritto e storia tardoan-tica. Tavola rotonda, in U. CRISCUOLO - L. DE GIOVANNI (a c. di), Trent’anni di studi sulla Tarda Antichità: bilanci eprospettive. Atti del convegno internazionale Napoli, 21-23 novembre 2007, Napoli 2009, 396 ss. Vd. anche C. ANDO,Law, Language and Empire in the Roman Tradition, Philadelphia 2011, spec. 19 ss., «Justinianic law emerges as sur-prisingly classical» (p. 36).32 Così opportunamente STOLTE, A Crisis of Jurisprudence? cit. (nt. 31), 355 ss.33 La prassi giudiziale e negoziale (quando sia per avventura documentata fuori dei testi giurisprudenziali e legislati-vi) rappresenta un livello troppo disomogeneo per potere essere realisticamente integrato in un quadro volto a indi-viduare la sopravvivenza della cultura di tipo giurisprudenziale. Per l’effettivo impatto della codificazione giustinia-nea nella prassi (verificata per ragioni documentarie in Egitto) vd. J. BEAUCAMP, Byzantine Egypt and Imperial Law,in R.S. BAGNALL (a c. di), Egypt in the Byzantine World, 300-700, Cambridge 2007, 271 ss.

Dario Mantovani 115

non per ricercarvi la continuità oppure la modifica dei contenuti normativi rispetto aisecoli precedenti, bensì per accertare in che modo pensassero i giuristi burocrati auto-ri delle leges, i giudici che li impiegavano, gli scrittori di opere e commenti. Il compi-to attende ancora in larga parte d’essere svolto.34

Mi limito qui a un breve saggio. Rispetto alle due classi di testi sopra richiamate –la legislazione e la giurisprudenza – il tentativo si concentra sull’ambito giurispruden-ziale, e geograficamente sull’Oriente ellenofono. Pur limitato, si tratta, ovviamente, diun terreno particolarmente propizio per esaminare la genesi del Digesto.

4. Il primo punto da chiarire, quando si parli di giurisprudenza fra il IV e il VI secolod.C., è che le sue tracce non si trovano soltanto nelle rare opere che ci siano giunte piùo meno integre da questo periodo, che pure mostrano un elevato livello di conoscen-za del diritto classico,35 come i Fragmenta Vaticana – raccolta di V secolo, organizzataper materie, di lectiones tratte da opere giurisprudenziali e da leges 36 – oppure come laConsultatio (probabilmente della seconda metà dello stesso V secolo), opera di tagliopiù didattico che avvia allo stesso metodo delle lectiones.37 Tantomeno conviene valu-tare il livello raggiunto da teoria e prassi giuridica utilizzando come parametro un’ope-ra come la Collatio (scritta verosimilmente poco dopo il 390), il cui scopo era apolo-getico, dunque indirizzato altrove rispetto al campo giuridico.38

34 Si vedano in questo stesso volume i saggi di S. Puliatti e F. Bono. 35 Vd. D. LIEBS, Rechtskunde im römischen Kaiserreich. Rom und die Provinzen, in Iurisprudentia universalis. Festschriftfür Theo Mayer-Maly, Köln 2002, 383 ss.36 Su cui vd. l’esatta valutazione di KREUTZ, Romidee und Recht in der Spätantike cit. (nt. 11), 212 ss., secondo ilquale «bei der Kompilation der Fragmenta ein sublimes Maß an gelehrter Rechtskunde und Material- und Stoff-beherrschung am Werke war». Il ms. reca anche sporadici scolii marginali e interlineari, in latino, tendenzialmenteconsistenti in brevi e precise summae della disposizione cui accedono, e trascritti dall’archetipo (cfr. sch. ad Fragm.Vat. 315, che non ripete la lezione errata nel testo portionem): vd. TH. MOMMSEN, in Collectio librorum iuris anteiusti-niani in usum scholarum III, Berolini 1890, 16 s. Di analogo tenore sono i summaria al Codex Theodosianus conser-vati dal ms. Vat. Reg. lat. 886, ma di maggiore envergure, sia per lo stile, sia per l’attenzione a mostrare similitudinie antinomie fra le leges, come richiedeva la natura del Theodosianus. Quanto alla provenienza dello scoliaste, benchél’origine orientale non possa essere del tutto esclusa (vd. gli argomenti di A.J.B. SIRKS, The ‘Summaria Antiqua CodicisTheodosiani’ in the ms. Vat. Reg. lat. 886, en ZSS (RA) 113 [1996] 257 ss.), la formulazione in latino (oltre alla loca-lizzazione del ms.) fanno propendere per l’Occidente: D. LIEBS, Roman Law, in The Cambridge Ancient History XIV,Cambridge 2000, 256.37 Convincente la caratterizzazione didattica che ne propone G. ZANON, Indicazioni di metodo giuridico dellaConsultatio veteris cuiusdam iurisconsulti, Napoli 2009, spec. 76 ss.38 R.M. FRAKES, Compiling the Collatio Legum Mosaicarum et Romanarum in Late Antiquity, Oxford 2011, 140 ss.,sostiene persuasivamente che il Collator sia un cristiano che opera all’interno della tradizione dell’importanza dei dieciComandamenti e tende a dimostrare nell’intera sua opera che le norme romane hanno precedenti ebraici e ha come

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia116

Al di là delle loro caratteristiche, ciò che rende questi testi poco indicativi delle con-dizioni culturali in cui maturò il Digesto è ovviamente che sono tutti di verosimile ori-gine occidentale (così come le varie rielaborazioni delle Institutiones di Gaio).39

Se ci volgiamo all’Oriente, bisogna evitare di farsi sviare dall’apparente mancanza diopere originali; innanzitutto perché, come vedremo, opere nuove in realtà non manca-rono; poi, perché la traccia più vistosa della sopravvivenza del sapere giuridico sta nellatrascrizione e circolazione manoscritta delle opere stesse della giurisprudenza classica,segnale inequivocabile dell’esistenza di un pubblico interessato e in grado di fruirne.

Un recente censimento, svolto da Serena Ammirati, ha portato all’eclatante risulta-to che «tra i testimoni di contenuto letterario di provenienza archeologica databili trail I sec. a.C. e il VI-VII sec. d.C., numericamente scarsi se paragonati ai corrispondentireperti greci, quasi la metà sono di contenuto giuridico».40 Se si considera che la mag-gior parte di questi frammenti è stata copiata dopo il III secolo ed è di origine orien-tale, questo significa che nell’Oriente tardo-antico i frammenti di opere giuridicheerano diffusi quasi quanto i testi della letteratura artistica latina.

La centralità della letteratura giurisprudenziale è stata poi confermata da rilievi dicarattere paleografico e bibliologico: proprio i testi giuridici furono infatti i propulso-ri di una innovazione che portò a una sorta di standardizzazione, che si svolse fra IV eV secolo in modo continuo.41 Se, in un primo tempo, i libri dei giuristi presentavanouna notevole varietà di grafie (seppur con prevalenza di una «scrittura latina più omeno inclinata a destra e dal tracciato piuttosto squadrato»)42 si adottò in seguito l’on-ciale, che andò progressivamente verso la tipizzazione BR. Sul piano librario, fu anco-ra l’editoria giuridica a dare impulso alla pratica di allestire codici di grande formato,che permettevano l’inserimento di apparati di glosse: una pratica che dal settore giuri-dico si trasmise ad altri, come quello dei commenti religiosi o letterari. Questa ten-

scopo «to show pagan jurists that his religion thus has intrinisc worth in that such laws anticipated similar legislationof the Romans» (p. 143). L’autore della Collatio potè peraltro fare ricorso a buon materiale giuridico (sempre secon-do il sistema delle lectiones); soprattutto, la scelta che egli fece del tema mostra l’importanza che il diritto aveva assun-to come fenomeno culturale, rispetto al quale ci si poneva degli interrogativi che, secondo i nostri schemi, potrem-mo definire di filosofia del diritto e che, sotto questo profilo, non sfigurano rispetto ai pochi precedenti classici, daCicerone al dialogo fra Favorino e Africano.39 Sulla letteratura destinata all’insegnamento, vd. per tutti D. LIEBS, Esoterische römische Rechtsliteratur vor Justinian, inAkten des 36. Deutschen Rechtshistorikertages (Halle an der Saale, 10. - 14. September 2006), Baden-Baden 2008, 40 ss. 40 S. AMMIRATI, Per una storia del libro latino antico. Osservazioni paleografiche, bibliologiche e codicologiche sui mano-scritti latini di argomento legale dalle origini alla tarda antichità, in JJP 40 (2010) 55. Parlando di «testimoni di con-tenuto letterario» l’A. esclude ovviamente dal computo i documenti della prassi giudiziale e negoziale.41 AMMIRATI, Per una storia del libro latino antico cit. (nt. 40), 55 ss.42 AMMIRATI, Per una storia del libro latino antico cit. (nt. 40), 72.

Dario Mantovani 117

denza all’uniformità nell’allestimento grafico e librario è stata posta in connessione daAmmirati con la codificazione (in particolare, con quella teodosiana): l’impressione sipuò forse precisare ascrivendo questa tendenza all’insieme del campo giuridico, nelsenso che la progressiva canonizzazione anche delle opere dei giuristi classici (primaancora della raccolta di leges) ha agito come impulso a tipizzarne anche i manoscritti.In altri termini, le raccolte di leges sono da considerare più come una della manifesta-zioni di questa canonizzazione, piuttosto che come il movente.

Proprio la vivacità dell’editoria giuridica fra Costantino e Giustiniano ha portato auna conclusione importante: «bisogna riconsiderare l’idea di un decadere delle scuoledi diritto e dell’interesse per la lingua latina a esso connessa, a partire dal IV secolo: letestimonianze […] evidenziano un processo evolutivo visibile e costante nel continuumtemporale tra IV e VI secolo, costituendo una prova più che sufficiente per dimostra-re che tale decadimento di interessi non vi fu affatto».43

I risultati scaturiti dagli studi paleografici e bibliologici devono ora essere integratida riflessioni sul contenuto, perlomeno a livello di una scansione tipologica.44

Sotto questo profilo, le testimonianze giurisprudenziali su papiro e pergamena di pro-venienza orientale mi pare possano essere suddivise in due grandi tipologie: a) le copie diopere classiche (talune delle quali recanti segni di lettura interlineari o marginali) e b) itesti greci di argomento giurisprudenziale. Questi ultimi sono, in taluni casi, sicuramentecommenti lemmatici a scritti di giuristi classici (sullo stile degli Scholia Sinaitica); altrevolte, per lo stato frammentario in cui si presentano, la loro natura è incerta, potendositrattare di commenti lemmatici oppure di trattati che pur basandosi su opere di giuristiclassici (di cui talora citano brani), rielaborano più liberamente la materia (come è sicura-mente il caso per la raccolta di regulae iuris e significationes verborum di PSI 1348 o per ilcd. dialogus Anatoli di P. Berol. inv. 11866). In taluni casi, i testi greci si presentano a lorovolta provvisti di glosse marginali greche, il che può essere segno della loro autonomia.45

43 AMMIRATI, Per una storia del libro latino antico cit. (nt. 40), 100.44 La tipologia che qui propongo adotta criteri diversi rispetto alla raccolta del collega J.M. COMA FORT, La juris-prudencia de la Antigüedad Tardía. Las bases culturales y textuales del Digesto, in questo volume, supra, 31 ss.45 Poiché trattiamo di testi giurisprudenziali, sono esclusi dall’elenco i papiri che riproducono leges e codici di leges,come il rescritto di ignota provenienza tradito da P. Amh. 2.27 (R. SEIDER, Paläographie der lateinischen Papyri, II.Literarische Papyri, 2. Juristische und christliche Texte, Stuttgart 1981, 2, n. 15; ovviamente non si può escludere chefosse contenuto in un’opera giurisprudenziale, ma è improbabile, tanto più che mi pare si tratti di un rescritto attri-buibile a Diocleziano, come suggerisce l’espressione aditus rector provinciae e il riferimento a extraordinaria iudicia; peril nome del destinatario, cfr. Fragm. Vat. 281). Viene escluso per la stessa ragione il testimone del Codex Gregorianusrecentemente reso noto da S. CORCORAN - B. SALWAY, Fragmenta Londinensia Anteiustiniana: Preliminary Observations,in Roman Legal Tradition 8 (2012) 63 ss. Sul genere di P. Gen. inv. lat. 6 (MP3 2963.01), che non è un’interpretatio,rinvio al mio commento, di prossima pubblicazione. Non sono inclusi nella lista anche alcuni testi la cui condizione

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia118

Secondo queste linee, propongo una del tutto provvisoria panoramica, divisa per generiletterari, dei testi giurisprudenziali di diritto romano su papiro e pergamena, in latino e/ogreco, di provenienza orientale (fra parentesi il numero di riferimento Mertens-Pack3):46

a1) OPERE DI GIURISTI CLASSICI47

P. Mich. 7.456 (inv. 5604br) + P. Yale inv. 1158r (MP3 2987): I-II sec. d.C.; autore ignoto;pertinente al processo formulare;

P. Aberd. 130 inv. 2 c (MP3 2983): I-II sec.; contenuto dubbio;P. Monac. inv. L 2r (MP3 2993.6): II sec.?; contenuto dubbio;P. Fay. 10 (Bodl. Libr. inv. Lat.cl.g.5 [P]) + P. Berol. inv. 11533 (MP3 2961): II-III sec.?; P. Fay.

contiene il caput mandatorum traianeo relativo al testamentum militis; P. Berol. tratta dellabonorum possessio ex testamento militis; si può dubitare se si tratti di un estratto da Ulp. 45ad ed. D. 29.1.1 pr. (e del seguito del commento ulpianeo) oppure di un diverso testimonedella stessa normativa;

P. Heid. Lat. 3, olim 1000 (MP3 2972): II-III sec.; autore ignoto; pertinente alla quarta Falcidia; P. Oxy. 17.2103 (MP3 2954): II-III; Gaius, Institutiones;Leiden, BPL 2589 (MP3 2956): III-IV sec.; Paulus, Sententiae; P. Vindob. inv. L 59 A+B e 92 (MP3 2993.2): IV sec.; autore ignoto; cita una costituzione di

Severo e Antonino e contiene una rubrica de tutore honorario;P. Arangio-Ruiz s.n. + P. Haun. 3.45 (inv. L 1 + G 169 c-e + 172 b-c) (MP3 2991): IV-V sec.;

autore incerto, probabilmente di III secolo; sui legati e fedecommessi;P. Oxy. 17.2089 (MP3 2975): IV-V sec.; autore ignoto; in tema di usufrutto in relazione alla

lex Iulia et Papia;

inedita o frammentaria preclude al momento ipotesi sul contenuto, come P. Berol. inv. 6758 = CLA VIII, 1034 (MP3

2992); P. Berol. inv. 6759 + P. Berol. inv. 6761 = CLA VIII, 1035 (MP3 2992), sui quali vd. AMMIRATI, Per una storiadel libro latino antico cit. (nt. 40), 94; CLA Add. 1857 (P. Louvre inv. E 10295, partim) (MP3 2973.1); P. Ant. 3.155(MP3 2979.3); P. Bloomington s.n. (MP3 2982.1), definito commento greco-latino sul diritto romano di IV sec. daLOWE, CLA XI, 1648; P. Mich. 7.431 (MP3 2986: già considerato giuridico, ma esercizio di scrittura: vd. P. FIORETTI,Ordine del testo, ordine dei testi, Strategie distintive nell’Occidente latino tra scrittura e lettura, in Scrivere e leggere nell’AltoMedioevo, Spoleto 2012, 527 nt. 36, con bibl.); P. Berol. inv. 11323 (MP3 2989, inedito di IV/V sec.); CLA X, 1524(P. Vindob. inv. L 26; MP3 2993.1); CLA X, 1535 (P. Vindob. inv. L 95; MP3 2993.4, VI sec.). Nonostante L.E. SIERL,Supplementum, in O. LENEL, Palingenesia Iuris civilis II, Graz 1960, 5 n. I, è dubbio che sia riferibile a Gaio P. Ness. II11 (anche a causa della sua datazione probabile al tardo VI sec.): vd. AMMIRATI, art. cit., 95 nt. 128.46 L’edizione critica di tutti questi testi (e di altri eventuali inediti) è oggetto del progetto di ricerca europeo da mediretto «Redhis» (ERC advanced grant - SHS 6). Nell’elenco non sono inclusi testi di provenienza occidentale comei già menzionati Fragmenta Vaticana, Consultatio, Collatio, il Gaio di Autun, i Tituli ex Corpore Ulpiani nonché ilCodice di Gaio, Verona, Bibl. Cap. XV (13), se di origine occidentale; ignota è anche l’origine dei cd. Fragmenta deiure fisci (Verona, Bibl. Capitolare, I Append. Fragm. IV). È considerato di provenienza occidentale P. Vindob. inv. L1b (MP3 2960; V sec.; Ulpianus, Institutiones).47 Com’è chiaro dalla breve descrizione, l’attribuzione del testo a opere di giuristi classici è in alcuni casi sicura, inaltri una semplice possibilità.

Dario Mantovani 119

P. Grenf. 2.107 (Bodl. Libr. inv. Lat.cl.g.1[P]) (MP3 2972): IV/V sec.; Paul. 32 ad ed.; P. Berol. inv. 6757 (MP3 2985): IV sec.; autore ignoto, forse Ulpianus, ad edictum; de iudiciis

liber II;BKT 9.200 (P. Berol. inv. 21294) + P. Berol. inv. 11753 + P. Vindob. inv. L 90 (MP3 2957): IV

sec.; autore ignoto; sulla formula Fabiana, i sui heredes, la b.p. dei liberi capite deminuti;P. Amh. 2.28 (Pierpont Morgan, inv. Pap. G 28) (MP3 2978): IV sec.; autore ignoto; sulle liber-

tates; BKT 10.30 (P. Berol. inv. 11324 + 21295 [BKT 9.201]) (MP3 2990): IV-V; sul diritto crimi-

nale: corruzione giudiziaria; iudicia publica nelle province, come lo skopelismos; citazioni diopinioni di Nerazio, forse Aristone e Giuliano;

P. Stras. L 3 + 6B (MP3 2962): V/VI sec.; Ulpianus, Disputationes II-III; P. Ryl. 3.480 (MP3 2980): V/VI sec.; autore ignoto e contenuto incerto; come per il seguente,

l’identificazione con una copia di opera di giurista classico è basata sulla grafia e sulla pre-senza di lessico compatibile;

P. Ryl. 3.481 (MP3 2980): V/VI sec.; autore ignoto e contenuto incerto;P. Vindob. inv. L 94 (MP3 2993.3): V sec.; «frammento di diritto pregiustinianeo» (AMMIRATI,

Per una storia del libro latino antico cit. [nt. 40], 77); P. Stras. L 9 (MP3 2983.01): V/VI sec.; sulla lex Papia; propone prudentemente l’attribuzione a

Gaio l’editore J. Gascou, in E. LÉVY, La codification des lois dans l’antiquité, Paris 2000, 285 ss.; P. Berol. inv. 16987: V sec.; in materia di testamenti e fedecommessi (inedito, cfr. AMMIRATI,

Per una storia del libro latino antico cit. [nt. 40], 73 s.);P. Heid. Lat. 2, olim 317 (MP3 2976): V/VI?; incerto se opera giuridica; sulla successione ere-

ditaria; P. Vindob. inv. L 95 (MP3 2993.4): VI sec.; ritenuto di argomento giuridico per la presenza di

notae iuris.

a2 ) OPERE DI GIURISTI CLASSICI CON GLOSSE INTERLINEARI O MARGINALI48

P. Ant. 1.22 (MP3 2979): IV sec.; sul processo intentato contro un pupillo falso tutore auctore;a margine segno horaios;

PSI 1449 (MP3 2960): IV-V secolo; il recto corrisponde in parte a Ulp. 32 ad ed. D. 19.2.13.4,il verso a Ulp. 32 ad ed. D. 19.2.15.1-2, situati nella pars de rebus creditis; con due glossemarginali greche al recto, che rinviano al titolo sulla lex Aquilia nella pars de iudiciis dellastessa opera;

P. Berol. inv. 6762 + 6763 + P. Louvre inv. E 7153 (MP3 2955): IV-V sec.?; Papinianus,Responsa, con note di Paolo e Ulpiano; scoli marginali greci, che sembrano avere natura disommari; è possibile, ma non sicura, la citazione di passi paralleli;49

48 Vd. K. MCNAMEE, Annotations in Greek and Latin Texts from Egypt, Chippenam 2007, 493 ss.49 Riconosce nelle abbreviazioni riferimenti a citazioni di Paolo, MCNAMEE, Annotations in Greek and Latin Texts cit.(nt. 48), 500 ss. Qualche riserva su questa lettura nasce dal fatto che di solito i titoli delle opere citate sono in latino(qui sarebbero abbreviate con lettere greche): inoltre già il testo latino di Papiniano reca le note apposte da Paolo,

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia120

P. Vindob. inv. L 110 (MP3 2984): ca. 400; incerto se si tratti di un’opera giurisprudenziale o,come suggerirei, di un liber mandatorum per un governatore, articolato in k(apita); con dueglosse latine di sommario, sulla custodia in catene e non in carcere, e sul dovere del praesesdi rimandare l’esecuzione della sentenza di chi presenta appello;

P. Ryl. 3.474 (MP3 2974): V sec.; brano di Ulp. 26 ad ed., cfr. D. 12.1.1; con glossa margina-le greca, con traduzione di una parola del testo; summa marginale latina;

PSI 11.1182 (MP3 2953): ca. 500; Gaius, Institutiones, con annotazioni greche interlineari,con traduzione di singole parole, e glosse greche marginali, contenenti sommari oppure cita-zioni di passi paralleli: Paulus, Ad edictum; Sententiae; De iure singulari.

b1 ) GLOSSA GRECA MARGINALE A TESTO GIURIDICO NON IDENTIFICATO

P. Berol. inv. 6758 = LOWE, CLA VIII, 1034 (MP3 2992): nota marginale hor (aios) e glossamarginale in greco contenente il lemma latino pagano.50

b2 ) TESTI GRECI (O GRECOLATINI) EDITI AUTONOMAMENTE, A COMMENTO DI TESTI LATINI

P. Vindob. inv. L 164 (ed. Mitthof, 2006, LDAB 111306): V sec.; summa del codice teodosia-no in greco; in latino i titoli e la sigla R(ubrica);51

Scholia Sinaitica (MP3 2958): 438-529; commento lemmatico a vari titoli di Ulpianus, AdSabinum 35-38, con citazioni del Codex Gregorianus; Hermogenianus; Theodosianus; Paulus,Ad Sabinum, Responsa; Ulpianus, Ad edictum; Marcianus, Ad formulam hypothecariam; Mo-destinus, Regulae, Differentiae.

b3 ) TESTI GRECI (O GRECOLATINI) DI CUI È INCERTO SE SIANO COMMENTI A TESTI LATINI O

TRATTATI AUTONOMI

PSI inv. CNR 132 = IPV 3239 (MP3 2277.1): IV-VI; inedito (ed. in corso a cura di L.Migliardi Zingale); «commento greco ad un testo giuridico latino non ancora più precisa-mente identificato»: Papiri dell’Istituto Papirologico G. Vitelli (Quaderni dell’Accademia delleArti del Disegno I), Firenze 1988, 16;

PL II/38 (MP3 2955.1): V sec.; digrafico, con citazioni da Papiniano e Paolo (cfr. A.M. BAR-TOLETTI COLOMBO, Prime notizie su un nuovo frammento giuridico, in Istituto Papirologico‘G. Vitelli’. Comunicazioni 1 [1971] 7 ss.);

P. Vindob. inv. G 29291 = MPER III, 38 = A. CHRISTOPHILOPULOS, in ZSS 63 (1943) 414 s.(MP3 2286): V sec.; sull’arricchimento ingiustificato;52

P. Vindob. inv. L 101 + 102 + 107 (MP3 2993.5): V-VI sec.; inedito, accostato da LOWE, CLAX, 1536 agli Scholia Sinaitica;

PSI 1349 (MP3 2278) = VI sec.?; testo greco, con citazione di Paulus, Ad edictum.

dunque il glossatore greco aggiungerebbe argomenti tratti dal corpus delle opere paoline, che Paolo stesso non avevaritenuto opportuno inserire.50 Cfr. MCNAMEE, Annotations cit. (nt. 48), 512; AMMIRATI, Per una storia del libro latino antico cit. (nt. 40), 93.51 Per i summaria traditi da Vat. Reg. lat. 886, d’origine più probabilmente occidentale, vd. supra, nt. 36.52 Sembra essere considerata una glossa a un testo perduto da MCNAMEE, Annotations cit. (nt. 48), 506.

Dario Mantovani 121

b4 ) TESTI GRECI (O GRECOLATINI) CON GLOSSE GRECHE

P. Ryl. 3.476 (MP3 2282): IV-V sec.; bilingue; riferimenti frequenti a costituzioni imperiali,con citazione di lemmi latini e annotazioni in greco;

P. Berol. inv. 16976 + 16977 (MP3 2281): IV/V sec.; sulla longi temporis praescriptio e l’excep-tio non numeratae pecuniae, con citazione di Modestino; al verso lungo scolio con citazionedi Paulus, Regulae; al recto tracce di scolio;53

P. Ryl. 3.475 (MP3 2280): V sec.; bilingue; libertates fideicommissariae; dote; glossa in grecomarginale, a commento di alcune parole latine; si menziona un «Sab[…» (l. 16, forse unoscoliaste) e «Vivianus» (ll. 11-12);

P. Ant. 3.152 (MP3 2979.1): VI sec., forse post-giustinianeo; trattato sulla restituzione delladote, con due glosse grecolatine apparentemente numerate e introdotte dalla abbreviazioneR (esponsum) (?);

P. Ant. 3.153 (MP3 2979.2): V-VI secolo, grecolatino, sul diritto delle persone e delle succes-sioni, con testo greco e margine con richiami in greco e latino.

b5 ) TESTI GRECI (O GRECOLATINI) LETTERARIAMENTE AUTONOMI (ANCHE SE BASATI SU OPERE

DI GIURISTI CLASSICI)PSI 13.1348 (MP3 2982): V-VI sec.; breve raccolta in greco di regulae iuris o significationes di

verba giuridici latini, numerate, ciascuna tratta da un passo di un giurista classico: nei fram-menti superstiti sono utilizzati Iavolenus, Papinianus, Responsa (?), Paulus, Quaestiones,Brevia, Ad municipalem (?), Ulpianus, Ad Sabinum, De appellationibus, Modestinus;54

P. Berol. inv. 11866 (MP3 2277) = E. SCHÖNBAUER, in ZSS 53 (1933) 451 ss.: VI sec.; dialo-go fra Anatolio e un allievo; legati; accessione; citazioni di Paolo; reca note marginali ingreco che segnalano punti di interesse o l’inizio della domanda del tiro.55

5. La scansione per generi della letteratura giurisprudenziale su papiro e pergamena diorigine orientale, per quanto provvisoria e approssimativa, suggerisce alcune riflessioni.

53 Forse un commento al Codice Gregoriano? E. SCHÖNBAUER, Ein wichtiger Beispiel der nachklassischen Rechtsliteratur,in Studi in onore di Vincenzo Arangio Ruiz nel XLV anno del suo insegnamento III, Napoli 1953, 501 ss.54 L’ipotesi di V. ARANGIO-RUIZ, Frammenti di giurisprudenza Bizantina (PSI. 1348-1350 ), in ID., Studi epigrafici epapirologici, a c. di L. BOVE, Napoli 1974, 392, che si tratti dell’allegato a una elaborata memoria defensionale, nelquale si riportavano «le opportune citazioni di testi classici» non pare possa essere seguita. La recitatio in giudiziorichiedeva che i testi fossero allegati nel loro tenore originale in latino (o in greco se si trattava di costituzioni impe-riali greche): l’ovvio principio è spiegato da Mod. 1 excus. D. 27.1.1.1 e testimoniato in concreto dalla Consultatio.55 A proposito del Libro siro-romano di diritto, che presenta in mss. a partire dal sec. VIII versioni in lingua siriaca,araba e aramaica di un trattato risalente al tardo V o al VI sec., composto di 130 brani di giurisprudenza e leges delIV e V secolo fino al 472; delle Sententiae Syriacae, di autore ignoto, che sopravvivono in traduzione siriaca, da unoriginale greco (102 proposizioni tratte per lo più da costituzioni di Diocleziano e dalle Pauli Sententiae e da leggi diCostantino, ma anche di Leone) e del trattato greco De actionibus (ed. F. SITZIA, De actionibus, edizione e commen-to, Milano 1973, spec. 75 ss.), rinvio a LIEBS, Roman Law cit. (nt. 36), 255 s.

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia122

Le opere dei giuristi classici erano copiate fin dal III secolo, ma con maggiore fre-quenza nel corso del IV e del V secolo.56 Il fatto che pochi dei frammenti papiracei opergamenacei coincidano con passi del Digesto (o con passi di giuristi contenuti inaltre raccolte tardo-antiche) da una parte rende spesso impossibile determinare l’auto-re e il titolo dell’opera (e talora rende dubbia la stesse attribuzione alla letteratura giu-risprudenziale); d’altra parte conferma che quel che rimane nel Digesto (e nella tradi-zione indiretta) è una porzione minima della massa circolante (il che era del resto affer-mazione dello stesso Giustiniano: Const. Tanta 1).

Erano gli stessi contemporanei a dare atto dell’abbondanza dei libri dell’antica giu-risprudenza, per la quale avevano coniato una definizione, antiquae sapientiae libro-rum copia.

Compare (copia immensa librorum) per la prima volta nella lex con cui Teodosio IIrilancia, nel 438, il progetto di Codice:57 è l’abbondanza contraddittoria di opere degliantichi giuristi che l’imperatore identifica come principale causa di tanta incertezza deldiritto, perché la farraginosità dava il destro ai giureconsulti del suo tempo per daremaggiore peso al proprio monopolio professionale (severitate mentita, dissimulata scien-tia).58 Sono i metodi dei giureconsulti notoriamente biasimati da Ammiano Marcellino(con lo sguardo probabilmente all’Occidente), che promettono di far conseguire l’asso-luzione al (presunto) matricida invocando multas […] lectiones reconditas (30.4.12).

Possono sembrare dichiarazioni ad effetto. Ma che corrispondano alla realtà del Vsecolo e che una controversia potesse arenarsi nelle secche di una troppo abbondantecitazione di pareri diversi trova ripetuti riscontri nelle costituzioni imperiali che adot-tano come fulcro della motivazione un’opinione giurisprudenziale.

56 Secondo WIEACKER, Textstufen Klassischer Juristen, rist. Göttingen 1975, 144 vi fu nella prima età postclassica la«scomparsa sorprendentemente rapida» della letteratura giurisprudenziale, che fu definitiva in Occidente e fu rime-diata solo dalla «risurrezione della scienza giuridica» in Oriente. Nel contesto, critica l’idea che la letteratura in pos-sesso dei compilatori del Digesto fosse stata sempre disponibile nei tre secoli precedenti.57 L’espressione di Teodosio (Nov. Theod. 1.1: copia immensa librorum) nel contesto si riferisce precisamente alla let-teratura necessaria ai giuristi che volessero dotarsi di una completa iuris civilis scientia. L’espressione è invece ritenu-ta un topos non realistico da WIEACKER, Textstufen cit. (nt. 56), 162 lett. a.58 Vd. A. LOVATO, Teodosio II e i prudentes, in Studi per Giovanni Nicosia I, Milano 2007, 531 ss.: «l’amministrazionedella giustizia era stata ostacolata dal cumulo delle fonti di cognizione sovrappostesi nei secoli» (p. 539). Si può farerisalire quasi a un secolo prima questa esigenza, come appare dal noto passo de reb. bell. 21: De legum vel iuris confu-sione purganda. [1] Divina providentia, sacratissime imperator, domi forisque rei publicae praesidiis comparatis, restat unumde tua serenitate remedium ad civilium curarum medicinam, ut confusas legum contrariasque sententias, improbitatis reiec-to litigio, iudicio augustae dignationis illumines. [2] Quid enim sic ab honestate consistit alienum quam ibidem studiaexerceri certandi ubi, iustitia profitente, discernuntur merita singulorum? Vd. da ultimo le equilibrate considerazioni diP. BIANCHI, Confusio e obscuritas iuris: testimonianze dell’esperienza giuridica tardoantica, in Annaeus 2 (2005) 17 ss.

Dario Mantovani 123

Fra i molti esempi, una fondamentale testimonianza si trova, a mio avviso, in unacostituzione di Leone, del 473 (C. 6.61.5 pr.),59 che rende merito al magister militumDalmatiae, in un caso di ius controversum, per avere ritenuto preferibile consultare l’im-peratore: Magnitudo tua diversis legibus ex utraque parte prolatis nostram credidit consu-lendam esse clementiam.60 Il caso che aveva spinto il magister militum Nepote a propor-re la sua consultatio ante sententiam era una donazione nuziale e un’istituzione di erede,disposte dal fidanzato (sponsus) nei confronti della sponsa (tam sponsaliciam donationemquam hereditatem, quam […] sponsus suam sponsam lucrari voluit). La questione è se alcaso si applichi o meno la costituzione di Valentiniano III (CTh. 8.19.1 = C. 6.61.1)secondo cui quidquid maritus vel uxor in potestate constituti invicem sibi reliquerint, nonpatri adquiri, sed ad eorum ius pertinere; più precisamente, tutto quello che al coniugein potestà provenisse dall’altro coniuge rimaneva in sua titolarità, mentre il padreacquistava solo l’usufrutto.61 Il dubbio se la costituzione di Valentiniano si applichianche alle attribuzioni patrimoniali fra fidanzati (quando non siano seguite le nozze)nasceva dal fatto che – come si vede dal brano sopra riportato – la lex non faceva men-zione degli sponsi, bensì parlava di maritus e di uxor. Che si applicasse anche ad essi, è

59 C. 6.61.5 pr.: Non sine ratione de negotio, quod inter matrem familias, cuius vestra suggestio meminit, et germanum eiusvertitur, magnitudo tua diversis legibus ex utraque parte prolatis nostram credidit consulendam esse clementiam, cum mulierdiversis iuris lectionibus idem intellegi maritum et sponsum niteretur probare, germanus mariti nomen illi soli, qui nuptiascontraxerit, recitatione constitutionis divorum retro principum Theodosii et Valentiniani, qua cavetur, quidquid maritus veluxor in potestate constituti invicem sibi reliquerint, non patri adquiri, sed ad eorum ius pertinere, impon<i opponeret>[Krüger, ad h.l.]. Quamvis ergo significatione nominis maritus vel uxor post coeptum matrimonium intellegatur, ex quovidelicet inducta est dubietas, attamen, quia consequens est ambiguas atque legum diversis interpretationibus titubantes cau-sas benigne atque naturalis iuris moderamine temperare, non piget nos in praesenti quoque negotio, de quo sublimitas tuasuggessit, aequitati convenientem Iuliani tantae existimationis viri atque disertissimi iuris periti opinionem sequi. Qui cumde dotali praedio tractatu proposito idem ius tam de uxore quam de sponsa observare arbitratus sit, licet lex Iulia de uxoretantum loquatur: qua ratione tam sponsaliciam donationem quam hereditatem, quam memoratus sponsus suam sponsamlucrari voluit, non adquiri patri, sed ad eam pervenire benignum esse perspeximus. Sulla attribuzione della costituzione alsolo Leone (essendo allora già morto Antemio) e sulla provenienza dalla cancelleria orientale, nonché su Nepos, all’epo-ca molto legato all’imperatore, vd. accuratamente A.S. SCARCELLA, La legislazione di Leone I, Milano 1997, 28 nt. 58.60 Il testo non rientra cronologicamente nella rassegna di V. MAROTTA, La recitatio degli scritti giurisprudenziali traIII e IV secolo d. C., in Philia. Scritti per Gennaro Franciosi III, Napoli 2007, 1643 ss.61 Vd. KASER, Das Römisches Privatrecht cit. (nt. 14) II, 193 ss., 216 ss.; P. VOCI, Il diritto ereditario romano nell’età deltardo impero, II. Le costituzioni del V secolo, in ID., Studi di diritto romano II, Padova 1985, 220-222; La ‘patria potestas’da Costantino a Giustiniano, in op. cit., 509-520. Il regime dei bona materna fu introdotto da Costantino (CTh. 8.18.1= C. 6.60.1 del 315?) ed esteso ai bona materni generis da CTh. 8.18.6 Grat. Valent. Theod. (379). L’estensione delregime dei bona materna ai bona ex matrimonio è dovuta appunto alla costituzione di Valentiniano III e Teodosio II del426 (CTh. 8.19.1); una messa a punto della disciplina in C. 6.61.2 di Teodosio, che distingue l’ususfructus del padredal dominium del figlio; garantisce al padre 1/3 come praemium emancipationis; il regime non si applica a beni che pro-venivano dal padre (es. la dos profecticia, sciolto il matrimonio, torna pienamente al padre e non è acquistata alla figlia).

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia124

quanto sosteneva la donna coinvolta nel caso, i cui avvocati esibirono in giudizio diver-se iuris lectiones per dimostrare che lo sponsus era da equiparare al marito. Si opponevail fratello (il quale, si può facilmente supporre, mirava a fare rientrare gli acquisti dellasorella nel patrimonio paterno, di cui sarebbe stato coerede), evidentemente facendoleva su un’interpretazione letterale dei verba della costituzione di Valentiniano III.62

L’imperatore Leone, investito della questione dalla relatio del magister militum, dopoavere riconosciuto che si trattava di un caso dubbio, si esprime a favore dell’equipara-zione, dapprima invocando vaghi criteri di giustizia (titubantes causas benigne atquenaturalis iuris moderamine temperare), quindi rifacendosi a una decisione del giuristaGiuliano, che colma d’ogni elogio (tantae existimationis viri atque disertissimi iuris peri-ti).63 Benché non sia detto esplicitamente, è più che probabile che il passo di Giulianofosse uno di quelli compresi fra le iuris lectiones prodotte in giudizio dall’avvocato delladonna.64 Oltre a testimoniare la perdurante rilevanza posseduta nella prassi dalle operedei giuristi classici, la costituzione di Leone fa trasparire una padronanza profondadelle rationes iuris. Il parere di Giuliano è infatti il fulcro di una complessa operazioned’interpretazione analogica, dato che il giurista classico s’era occupato del diverso casodel divieto posto dalla lex Iulia di alienare il fondo dotale. Nonostante la lex Iulia par-lasse di uxor il giurista aveva proposto di estendere il divieto anche a tutela della spon-sa.65 Dunque, non solo Leone appoggia la sua decisione all’auctoritas di un giurista, maopera una analogia: il trattamento della sponsa viene equiparato a quello dell’uxor pren-dendo spunto da un caso diverso; l’interpretazione della lex publica serve come model-lo per l’interpretazione di una lex imperiale.

Un’ulteriore considerazione per caratterizzare la cultura tardoantica: il passo diGiuliano invocato dalla donna e fatto proprio dall’imperatore non è stato conservatonel Digesto, dove invece si legge un passo di analogo contenuto di Gaio (D. 23.5.4).È significativo che l’imperatore (o la parte), potendo scegliere, abbia preferito a GaioGiuliano, che non era uno dei cinque della Legge delle citazioni:66 nel menzionarlo,

62 Si può immaginare che la controversia sia sorta al momento della morte del comune padre, in sede di successio-ne ereditaria.63 Si esprime con efficacia contro i dubbi di interpolazione avanzati a proposito di questa menzione di GiulianoSCARCELLA, La legislazione di Leone I cit. (nt. 59), 146 nt. 213.64 Si veda, similmente, il responso di Papiniano quod precibus insertum est menzionato da Gordiano (C. 6.37.12, a.240) e da Diocl. et Maximian. C. 5.71.14, a. 293: utere viri prudentissimi Papiniani responso ceterorumque, quorumprecibus fecisti mentionem, sententiis […].65 Cfr. Gai. D. 23.5.4; R. ASTOLFI, Il fidanzamento nel diritto romano, Padova 1989, 98.66 CTh. 1.4.3. Com’è noto, i pareri di Giuliano venivano recuperati in seconda battuta (come quelli degli altri giu-risti menzionati dai cinque eletti).

Dario Mantovani 125

l’imperatore lo gratifica anzi del più alto encomio, segno ulteriore della persistenteconsapevolezza dei meriti relativi dei giuristi. Insomma, questa costituzione ci riportauno spaccato del funzionamento della giustizia tardo antica, da cui trapela un pienodominio della letteratura classica, delle sue forme argomentative e persino della suastoria interna. Possiamo riprendere l’espressione di Diocleziano, secondo cui le opi-nioni messe per iscritto dai giuristi valgono ad perennem scientiae memoriam.67

Vi è dunque una precisa corrispondenza fra la circolazione della letteratura giuri-sprudenziale che abbiamo visto attestata dai manoscritti recensiti poco sopra, e il qua-dro che emerge da questa controversia. Sessant’anni dopo, la Const. Tanta, § 17, descri-ve l’amministrazione della giustizia come ancora governata dalla recitatio dei testi giu-risprudenziali:68 una recitatio, tuttavia, che faticava a far capo all’insieme delle operedella giurisprudenza (una multitudo antiqua, nella quale multae leges fuerant positae) eper la inopia librorum s’accontentava di risolvere le liti ex paucis. Il quadro sembrameno roseo, ma il punto essenziale è che gli scritti dei giuristi continuano ad essere alcentro del meccanismo, e che l’inopia librorum, quos comparare eis impossibile erat ri-guarda i pratici (qui lites agebant). Accanto a questi continuavano a operare eruditissi-mi homines, cioè il livello di conoscenza era ancora perfettamente mantenuto. Quelloche occorreva fare era appunto sfruttare questo livello di conoscenza per raccogliere inun compendio più maneggevole la antiqua prudentia.69

6. La panoramica sui frammenti giurisprudenziali circolanti fra III e VI secolo fa emer-gere un secondo dato rilevante, ossia la presenza, accanto agli scritti dei giuristi roma-ni, di una letteratura greca, che possiamo chiamare approssimativamente di commen-to, anche se appare probabilmente più differenziata per stile e funzione di quanto l’at-tuale nostra conoscenza permetta di accertare.

Non si tratta qui di riprendere la questione della diffusione del latino o del greconelle scuole di diritto d’Oriente nel IV e V secolo: questi testi sono per così dire l’ac-compagnamento intellettuale dei testi classici, il sedimento di spiegazioni e lezioni, che

67 Diocl. et Maxim. C. 9.41.11, a. 290.68 E ovviamente imperiali (Const. Tanta 14: constitutionum recitatione).69 Le dichiarazioni di Giustiniano si possono anzi meglio comprendere paragonandole a quelle espresse nel 527 daPrisciano, che lamenta anch’egli la decadenza degli studi propter inopiam scriptorum (gramm. 1.2, GL II.1.13-2.1 K.).Sulle analogie fra i programmi di Prisciano (che costituisce «sul piano della sistematizzazione della tradizione lingui-stica» il pendant della codificazione giuridica) e di Giustiniano, vd. M. DE NONNO, Ars Prisciani Caesariensis. Pro-blemi di tipologia e di composizione, in M. BARATIN - B. COLOMBAT - L. HOLTZ (éd.), Priscien. Transmission et refon-dation de la grammaire. De l’antiquité aux modernes. État des recherches à la suite du colloque international de Lyon, ENSLettres et Sciences Humaines, 10-14 octobre 2006, Turnhout 2009, 250 ss., spec. 260-268.

Costantinopoli non è Bologna. La nascita del Digesto fra storiografia e storia126

provano il costante contatto con i giuristi antichi, i cui nomi (e la cui terminologia)affiorano continuamente dai commenti greci.70

È in questa confidenza con i testi giurisprudenziali che, da una parte, si fonda la pre-parazione degli avvocati che producono le loro lectiones (come nella causa portata all’at-tenzione di Leone di cui si è appena detto) e, d’altra parte, si radica la genesi del Digesto.

Nel nostro censimento tipologico, sotto la lettera b), di questi ‘commenti’ greci nesono annoverati ben quindici, per lo più di V secolo, ma con qualche propaggine ante-riore e posteriore; sarebbe facile, e forse anche giustificato, attribuirli ai didavskaloi diBerito, ma il giudizio deve ovviamente restare sospeso.71

Per osservarne più da vicino il tipo di rapporto intrattenuto con la letteratura giuri-sprudenziale classica possiamo rivolgerci al commento forse più interessante, quellocontenuto negli Scholia Sinaitica.72

Com’è noto, il testo (digrafico) – noto solo tramite l’apografo che ne trasse GregoriosBernardakis – si riferisce, commentandoli, a passi dei libri 36-38 di Ulpianus, ad Sa-binum, in materia di dote (ll. 36 in.) e di tutela (ll. 36 f. - 38). La corrispondenza conquanto ci è pervenuto del commento ad Sabinum di Ulpiano tramite il Digesto si puòriscontrare testualmente a partire da sch. Sin. 6.12 (che corrisponde a Ulp. 36 ad Sab. D.24.3.12, fr. 2803 Lenel). È comunemente ammesso che gli Scholia precedenti (1-5.11),benché manchino riscontri diretti a passi ulpianei conservati nel Digesto, possano rife-rirsi a materie che erano contenute nel libro 35° ulpianeo, anch’esso in materia di dote,73

la cui trattazione iniziava al l. 31°. Proprio al libro 31° (titolo I) fa del resto riferimentoretrospettivo lo scoliaste stesso (sch. Sin. 10.26), rinviando il lettore a quanto aveva osser-vato in tal luogo (per noi perduto) a proposito della dos adventicia. Il commento sinaiti-co ai libri ad Sabinum doveva iniziare perciò almeno al libro 31° di Ulpiano.74 V’è però

70 Per una serie di manoscritti che testimoniano «un interesse da parte della scuola e delle élites dei Romanid’Oriente, ossia di Greci o di orientali ellenizzati, per il latino come lingua del diritto e della burocrazia civile e mili-tare», vd. P. RADICIOTTI, Romania e Germania a confronto: un codice di Leidrat e le origini medievali della minuscolacarolina, in Scripta. An International Journal of Codicology and Palaeography 1 (2008) 138.71 Impeccabile la discussione in proposito di COLLINET, Histoire de l’école de droit de Beyrouth cit. (nt. 4), 279 ss.,che ritiene probabile l’ascrizione a Berito, ma indimostrabile. 72 Adotto l’edizione di P. KRÜGER, in P. KRUEGER - TH. MOMMSEN - G. STUDEMUND (edd.), Collectio librorum IurisAnteiustiniani in usum scholarum III, Berolini 1890; cfr. E.O. WINSTEDT, Notes from Sinaitic papyri, in CPh. 2 (1907)201 ss. Altra bibl. in L. WENGER, Die Quellen des römischen Rechts, Wien 1953, 550 nt. 208 (edizioni) e 209 (inter-pretazioni); adde P.E. PIELER, Byzantinische Rechtsliteratur, in H. HUNGER (a c. di), Die hochsprachliche profaneLiteratur der Byzantiner II, München 1978, 341-380; N. VAN DER WAL, Die Schreibweise der dem lateinischen ent-lehnten Fachworte in der frübyzantinischen Juristensprache, in Scriptorium 37 (1983) spec. 29-38.73 In effetti, sch. Sin. 12.34 rinvia il lettore alla esposizione già compiuta a proposito dei titoli II e III del libro 35.74 Che si estendesse almeno fino al libro 38 è confermato da sch. Sin. 17.45.

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di più: il commentatore che pone i suoi interventi sotto la sigla «Sab.» afferma (sch. Sin.13.35) di avere trattato l’aumento e la diminuzione della dote in costanza di matri-monio già nella XXXII paragraphé del titolo de in integrum restitutione dei prota diUlpiano (che corrispondono ai libri 11-12 ad edictum di tale giurista). A conti fatti, gliScholia Sinaitica sono il residuo di un’opera di commento che di per se stessa abbrac-ciava sicuramente una porzione più ampia di quella che ora possiamo constatare deilibri ad Sabinum; inoltre quest’opera non era un prodotto isolato, ma proveniva (alme-no in parte) da un autore («Sab.») che aveva steso un commento sistematico anche(almeno) ai prota di Ulpiano ad edictum. L’impressione è dunque che appartenga a ungenere letterario ben sviluppato e di carattere pianificato.

Gli Scholia Sinaitica, come si sa, non contengono la trascrizione integrale del testo diUlpiano ad Sabinum che vanno annotando; in questo senso, sono un commento separa-to, non una glossa marginale. Tuttavia, il commentatore riprende di volta in volta (anchese non del tutto sistematicamente) una o più parole del testo del giurista severiano, cuipoi appone le proprie annotazioni: talvolta in forma di sintesi del contenuto del passo diUlpiano (index), altre volte diffondendosi in una più ampia spiegazione (paragraphé ),provvista anche di richiami ad altri passi giurisprudenziali (e costituzioni). Proprio ilfatto che questi ultimi siano citati con riferimenti precisi al libro di provenienza e spes-so alle sue ulteriori partizioni interne,75 mentre i riferimenti ai passi di Ulpiano avven-gono citando semplicemente il nome dell’autore, è la più chiara conferma che il testoulpianeo aveva uno status diverso, costituiva l’oggetto diretto del commento lemmatico.

Naturalmente, come subito notò lo Zachariae,76 quest’autonomia del commento,che non incorpora se non brevi lemmi del testo ulpianeo, presuppone che i manoscrittidei libri ad Sabinum di Ulpiano che si trovavano in circolazione fossero compostisecondo le regole della sticometria, così da corrispondere non solo pagina per pagina,

75 Restituisco in latino secondo la versione di Krüger: sch. Sin. 2.4: Paulus libro XV responsorum (il testo è poi corrot-to, si legge de stipulation[e]); sch. Sin. 4.6: compare responso poi un nome indecifrabile; ancora un libro V tou' diplou'

aujtou' ro tivtlw/ de sponsalibus; sch. Sin. 5.11: Marcianus in hypothecaria (il testo è mutilo e non contiene altri riferimen-ti interni); sch. Sin. 6.11: Modestinus libro II differentiarum titulo VI (= D. 42.1.20); sch. Sin. 8.18: Paulus libro VII adSabinum titulo XXXV; sch. Sin. 11.31: Paulus libro VIII responsorum duobus ante finem foliis […] tituli de liberis adgnos-cendis (forse da identificare con D. 23.3.72.1: così K.E. ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Papyrusblätter vom Sinai-Klos-ter mit Bruchstücken griechisch-römischer Jurisprudenz, in Monatsberichte der Königlich Preussischen Akademie derWissenschaften zu Berlin.1881, Berlin 1882, 625); sch. Sin. 12.34: Paulus libro VII ad Sabinum titulo XXXIII; sch. Sin.13.35: Ulpianus, ad edictum (prota), titulus de in integrum restitutionum; ivi: Florentinus libro III institutionum circa finemlibri quinque foliis a fine : ivi: Modestinus libro I regularum ante XVII regulam a fine libri in regula quae incipit ‘Dotis etc.’ ;ivi: Paulus libro V ad Sabinum; sch. Sin. 14.36: forse è citata un’opera giurisprudenziale diversa da Ulpiano che ripete adue fogli di distanza una costituzione dei divi fratres; sch. Sin. 16.42: libro I de tutelis (è caduto il nome dell’autore).76 ZACHARIAE VON LINGENTHAL, Papyrusblätter vom Sinai-Kloster cit. (nt. 75), 623.

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bensì riga per riga; se questo era il caso, le annotazioni potevano essere lette comeaccompagnamento di una qualsiasi copia di quest’opera.

La complessità del commento, e il suo interesse per gli spiragli che apre sulla cultu-ra pregiustinianea, è incrementata dalla citazione di costituzioni tratte dai tre codici, ilGregoriano (sch. Sin. 1.2: Greg. 5.17; sch. Sin. 5.9: Greg. 5, titulo paenultimo, c. 3; sch.Sin. 5.10: Greg. 11.11.12),77 l’Ermogeniano (sch. Sin. 3.5: Herm. tit. 69 c. 120; tit. 41c. 14) e il Teodosiano (sch. Sin. 1.1 e 2: CTh. 3.15.15; sch. Sin. 19.52: CTh. libro incer-to, c. 126).78 Di per sé, la citazione dei tre codici, proibita da Giustiniano, fissa la data-zione in un anno compreso fra il 438 e il 529.

Sull’uso che il commentatore compie delle costituzioni imperiali desidereremmo cheil testo fosse più prodigo di informazioni. In un punto (sch. Sin. 19.52) lo scoliaste «Sab.»invita il lettore a leggere la costituzione 126 di un libro e titolo per noi non identificabi-le del Teodosiano, donde trarre notizie circa la competenza dei vicari dei praesides, cheavrebbero completato quel che si leggeva appunto in Ulpiano sulla competenza dell’agensvices magistratuum in tema di nomina del tutore. Abbiamo qui un’operazione di integra-zione informativa, non strettamente necessaria all’esegesi, che dimostra tuttavia la com-plementarietà che lo scoliaste avverte fra il testo ulpianeo e il Codice delle costituzioni.

Più sofisticata è la citazione delle costituzioni in sch. Sin. 1.2-3. Dobbiamo muove-re – salvo smentita – dalla ipotesi che anche qui come ovunque nel resto degli Scholial’oggetto diretto del commento fosse un passo di Ulpiano ad Sabinum, che non siamoin grado né di ritrovare nel Digesto né di ricostruire. Forse è una sintesi di quel che sileggeva nel testo ulpianeo la proposizione ajkivndunon ei\nai th;n paravbas[in] th/' mnhsth/'kai; tw/' mnhsth'ri (sch. Sin. 1.2) ossia periculosam violationem non esse sponso vel sponsae.A questo punto, dopo una sigla Pts non decifrabile, viene introdotta, con valore di cri-tica alla proposizione appena citata, una costituzione del Codice Teodosiano (3.15.15)che – così ne rende il contenuto lo scoliaste – kratuvne[i] ta;~ peri; sustavsew" tw'ngavmwn poenas kai; mevcri tou' diplou' ossia confirmat poenas de nuptiis contrahendis et qui-dem usque ad duplum. Sembrerebbe dunque che lo scoliaste leggesse nel testo ulpianeola regola classica della libertà matrimoniale, che consiste nel considerare illecita la spon-sio con cui si promette una somma di denaro in caso di rottura del fidanzamento (e lasponsio di contrarre matrimonio) e si curasse perciò di avvertire che una novella legi-slativa aveva mutato la disciplina.79

77 Qui anche un riferimento, lacunoso, a una costituzione posteriore al Codice Gregoriano.78 Per la lacunosità del testo, non è attribuibile con sicurezza a uno dei tre codici la citazione delle costituzioni VI eVII de dote in sch. Sin. 5.8.79 Vd. infra, nt. 81, circa il rapporto fra stipulatio poenae e negozio arrale.

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A questo punto l’intreccio interpretativo si fa più complesso, perché prende la paro-la uno scoliaste che si sigla «Sab.», e osserva che la costituzione del Teodosiano soprarichiamata si applica in realtà solo alla fidanzata che rifiuta le nozze, poiché solo di leiparla; per quanto riguarda il fidanzato, si applica invece un’altra costituzione, Greg.5.17, che – sempre secondo «Sab.» – pare confermare la regola classica, secondo cui ilfidanzato non è tenuto alla pena promessa (ejperwthqevnta provstimon) nel caso sia diimpedimento al matrimonio. Il contesto, nell’insieme, solleva alcuni problemi che nonoccorre qui affrontare, in particolare circa l’identificazione della costituzione delTeodosiano citata dagli Scholia Sinaitica (3.15.15): essa infatti non compare nell’at-tuale titolo 3.15 (rectius 3.5) del Codice Teodosiano.80 Lo stesso vale per il problemasostanziale, che resta dubbio: ci si potrebbe, infatti, chiedere se la fattispecie presa inconsiderazione dai commentatori sia un negozio arrale, mentre il testo classico parreb-be fare riferimento alla (illecita) stipulatio poenae.81

Quel che è per noi significativo è che in sch. Sin. 1.2-3 trapelano due caratteristichedel lavoro interpretativo dei commentatori greci.

80 In realtà, gli Scholia Sinaitica indicano, per il titolo, il numero 15 (leæ) che corrisponde a un titolo de fideiussori-bus dotium che contiene una sola costituzione; viene perciò generalmente inteso come riferentesi al titolo 5, de spon-salibus et ante nubtias donationibus. Il titolo CTh. 3.5 contiene tuttavia solo 13 costituzioni, e nessuna del contenu-to evocato dagli Scholia Sinaitica. TH. MOMMSEN, nell’ed. del Codex Theodosianus (rist. Dublin-Zürich 1971) I, 139,accetta come fededegna la citazione degli Scholia Sinaitica, con la ulteriore correzione di considerare la costituzionela 14a (e non la 15a) di CTh. 3.5; quanto al contenuto, Mommsen attribuisce a tale lex (considerata posteriore al428, data di CTh. 3.5.13) l’aver ridotto al doppio la pena che incombeva su quello dei fidanzati che avesse ricevutole arre e non avesse acconsentito alle nozze (in precedenza stabilita al quadruplo secondo CTh. 3.5.1 e CTh. 3.6.1del 380). Diversamente, per tutti, R. ASTOLFI, Il fidanzamento nel diritto romano, Padova 1989, 155 ss., identifica inuna costituzione di Leone I del 472 (C. 5.1.5) la norma secondo la quale, in caso di recesso non giustificato, la donnasui iuris di 25 anni (o con venia aetatis) che abbia concluso fidanzamento arrale risponde nel doppio delle arre (e nellastessa misura risponde per la fidanzata alieni iuris colui che l’abbia in potestà o la madre che abbia concluso il nego-zio arrale). Se si accoglie questa identificazione, la composizione degli Scholia Sinaitica dovrebbe datarsi, in tutto oin parte, posteriormente al 472, ma bisognerebbe anche ammettere che lo scoliaste, invece di citare la costituzione diLeone, abbia inserito mevcri tou' diplou' attribuendolo alla costituzione del Teodosiano.81 La storiografia presuppone che gli Scholia Sinaitica, menzionando la costituzione del Teodosiano, si riferisca allearrae (e ad esse si riferiscono CTh. 3.5.11; 3.6.1 e C. 5.1.5, che vengono solitamente introdotte nella discussione):in questo senso induce la misura del duplum che lo scoliaste attribuisce alla costituzione stessa: kratuvne[i] ta"; peri;

sustavsew" tw'n gavmwn poenas kai; mevcri tou' diplou'. Il testo ulpianeo (e dunque il commento che ne scaturisce) potreb-be tuttavia riferirsi alla stipulatio poenae. La stipulatio poenae era infatti considerata ancora esplicitamente illecita daLeone, nella stessa costituzione che sancisce invece il doppio per la restituzione delle arre da parte di chi ricusa lenozze (C. 5.1.5: extra definitionem autem huius legis si cautio poenam stipulationis continens fuerit interposita, ex utra-que parte nullas vires habebit, cum in contrahendis nuptiis libera potestas esse debet, vd. per lo stesso principio già Diocl.et Maxim. C. 5.4.14). Che la stipulatio poenae fosse presente allo scoliaste è del resto provato da sch. Sin. 2.4, che laconsidera invalida in quanto contra bonos mores, in un brano che ricalca esplicitamente Paul. 15 resp. D. 45.1.134 pr.

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Dapprima il testo del giurista classico (se muoviamo appunto dall’ipotesi verosimi-le che l’incipit dello scolio contenga una sintesi del brano di Ulpiano) viene commen-tato alla luce di una costituzione che introduce una nuova disciplina (rendendo appa-rentemente valida fino al doppio la poena /arra per la conclusione del matrimonio).Dunque, lo scoliaste propone un aggiornamento, che avviene peraltro non già attra-verso una negazione del contrasto o un intervento sul testo classico, ma attraverso lacitazione della novella legislativa.

Il secondo fenomeno di un certo interesse è che si vedono qui all’opera due com-mentatori: se il primo aveva opposto alla disciplina classica la costituzione del Teo-dosiano, il secondo compie una distinzione, facendo notare che la costituzione si appli-ca solo alla fidanzata; se il fidanzato è di sesso maschile, vale ancora quel che si leggenel Codice Gregoriano, ossia che non è obbligato.82 Questo secondo commentatore sicontrassegna con una sigla «Sab.», che compare ancora in vari punti degli Scholia.83 Èdunque probabile l’ipotesi, avanzata in modo particolarmente acuto dal Riccobono,che fossero all’opera almeno due autori.84 Potremmo aggiungere che questa modalitàricorda, seppure alla lontana, le notae che i giuristi classici apponevano alle opere diloro predecessori; sotto un altro profilo, abbiamo a che fare con una ‘catena’, di quel-le che diventeranno tipiche nei commentari filologici e biblici. Si tratta di una moda-lità che implica la tendenza al consolidamento attorno al testo di un patrimonio inter-pretativo, segno anch’esso di una cultura non effimera.

La seconda mano, quella siglata «Sab.» sembra prediligere le citazioni di altri giuri-sti, quasi a provvedere il lettore di una serie di rimandi che gli permettessero di amplia-re la sua preparazione; mentre la prima voce è più legata all’illustrazione del rhetónulpianeo.

Difficile è dire quale sia il criterio di selezione con il quale i commentatori procedo-no, soffermandosi su alcuni testi, e invitando invece a omettere la lettura di interi capi-

82 Come ulteriore segno distintivo, si noti, con S. RICCOBONO, Gli Scolii Sinaitici, in BIDR 9 (1896) 225 ss., che ilprimo annotatore per indicare la pena convenzionale usa il termine latino poena, «Sab.» usa il greco provstimo".83 In 5.9, ancora con una precisazione basata sul Codice Gregoriano; in 6.12, ove generalizza una proposizione delprimo scoliaste richiamando a tale scopo un passo di Modestino, e la costituzione che vi è contenuta; poi in 9.22 e10.25, 11.30; 15.40 dove propone brevi sommari del contenuto del capitolo; in 13.35 il sommario è completato dauna serie di rinvii sia ad un suo altro commento, sia a varie letture che trattano dell’aumento e diminuzione delladote; in 16.44 invita a saltare 50 versi del testo commentato.84 RICCOBONO, Gli Scolii Sinaitici cit. (nt. 82), 217 ss., con osservazioni fondamentali. Non entro nella più com-plessa distinzione – proposta dall’insigne autore – di quattro mani, di cui una post-giustinianea. L’idea che la sigla«Sab.» si riferisse invece a lemmi sabiniani dell’opera commentata era stata sostenuta in particolare da I. ALIBRANDI,Sopra alcuni frammenti greci di annotazioni fatte da un antico giureconsulto ai libri di Ulpiano ad Sabinum (1882), orain ID., Opere giuridiche e storiche, Roma 1896, 449.

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toli. Si ha tuttavia la sensazione che non si trattasse di omissioni del tutto grossolane,poiché, ad esempio, nell’invitare a tralasciare i capitoli XVII e XVIII del libro 36, loscoliaste osserva che l’essenziale in proposito era stato già da lui spiegato commentan-do i titoli II e III del libro 35 (sch. Sin. 34). D’altra parte, non mancano riferimenti aistituzioni sicuramente obsolete, come la tutela cessicia (sch. Sin. 18.49-51) e la costan-te distinzione della disciplina fra tutor Atilianus e tutor ex lege Titia (18.48; 20.53-54).

Se nell’insieme una impressione si ricava è che il commento rifletta un tentativo dicomprendere il testo classico nella sua integralità, mettendolo in connessione con altritesti giurisprudenziali, e tentando qualche coordinamento con la legislazione imperia-le. Vi è una tendenza a cercare regole generali, piuttosto che a sottolineare l’eventualecasistica o il ius controversum. Ne abbiamo alcuni notevoli esempi: il primo è in sch.Sin. 6.12, quando la (presunta) prima mano ripete da Ulpiano la regola secondo cui ilmarito risponde per la dote in id quod facere potest;85 interviene «Sab.» parafrasandofedelmente un passo delle Differentiae di Modestino che generalizza il beneficio nonsolo alla dote, ma a ogni contratto per cui il marito sia convenuto dalla moglie: il passoè accolto anche nel Digesto.86

Sempre «Sab.» propone una regola (un kanwvn), in materia di repudium (sch. Sin. 3.5).Un’attenzione particolare verso l’estrazione di un regola, anzi di un canone genera-

le (kanovna genikovn, tiv ejsti necessaria dapan[hvma]ta) si ha infine nel contesto forsemeglio conservato degli Scholia, dedicato alle spese compiute dal marito sulle res dota-les. L’interpretazione degli intenti del commentatore è favorita (o almeno non troppopenalizzata) dal fatto che è qui possibile anche un confronto con il passo di Ulpianocommentato, che è conservato per larghi tratti in D. 25.1. È necessaria una premessadi ordine testuale: il frammento VIII (nella numerazione Krüger) prende contatto conil testo di Ulpiano relativo alle impensae in res dotales factae solo a livello delle parolenos generaliter, che, nel testo di Ulpiano, si trovano in un punto piuttosto avanzatodella trattazione, nel fr. 3 D. 25.1. Il cospicuo tratto che precedeva ci è anch’esso noto,essendo conservato nel fr. 1 dello stesso titolo del Digesto; qui si trovava in particola-re la distinzione Impensarum quaedam sunt necessariae, quaedam utiles, quaedam verovoluptariae. Necessariae hae dicuntur, quae habent in se necessitatem impendendi; ceterumsi nulla fuit necessitas, alio iure habentur (D. 21.1.1 pr.-1).

85 Il passo è conservato in Ulp. 36 ad Sab. D. 24.3.12: Maritum in id quod facere potest condemnari exploratum est:sed hoc heredi non esse praestandum.86 Mod. 2 diff. D. 40.12.20: Non tantum dotis nomine maritus in quantum facere possit condemnatur, sed ex aliis quo-que contractibus ab uxore iudicio conventus in quantum facere potest, condemnandus est ex divi Pii constitutione: quod etin persona mulieris aequa lance servari aequitatis suggerit ratio (l’ultima parte non è ripresa dallo scoliaste).

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Fatta questa precisazione, non si può dire se il commento dello scoliaste iniziasse solonel punto in cui comincia per noi ora (8.16), là dove enuncia il kanovna genikovn, o ini-ziasse in precedenza (in un foglio di papiro ora perduto) e si occupasse anche della primaparte del frammento ulpianeo (che può parere la soluzione più probabile).87 Sta di fattoche, per come lo si legge ora, il commento presenta appunto la definizione generale dellespese necessarie (kanovna genikovn, tiv ejsti necessaria dapan[hvma]ta) in questo modo:[N ]ecessaria ejstin dapanhvmata, w|n mh; ginomevnwn katedikavzeto oJ ajnh;r ejnagovmeno"th/' rei uxoriae; questa definizione in realtà non è ripresa da Ulpiano, ma è ricalcata dalloscoliaste con precisione su una definizione di Paolo, che doveva sembrargli efficace (36ad ed. D. 25.1.4): Et in totum id videtur necessariis impensis contineri, quod si a maritoomissum sit, iudex tanti eum damnabit, quanti mulieris interfuerit eas impensas fieri eqs.

È a questo punto che il commentatore si volge (o torna a volgersi) al testo diUlpiano che è l’oggetto del suo commento diretto e ne riprende il lemma Nos genera-liter, cui appone questo commento:

oJra'/", pw'" kai; Ulpianos kanon[ivzei] hJmi'n, o{sa dapanhvmata pepoivhken oJ ajnh;r[p]rovskaira tw'nkarpw'n e{neken, tau'ta toi'["] [k]arpo[i'"] compensateuetai, ouj mh;n poiei' th;n retentiona. o{sad[e;] dihnekh' h|/ kai; ejpi; [p]olu;[n crovnon] parevcei th;n creivan, oi|on mw'lo[" h]] ajrtokopei'on h]to; futeu'sai, tau'ta neces[sa]ria ejsti kai; meioi' th;n proi'ka. tou'tov fhsi kai; oJ Paulos biblivw/ z ætw'n ad Sabinum aujtou' tivtlw/ leæ.88

Il commentatore, che come ricordiamo aveva già presentato una definizione di spesenecessarie (tratta da Paolo, Ad edictum) sottolinea che anche Ulpiano ne offriva una(kai; Ulpianos kanon[ivzei] hJmi'n). Il testo greco, in realtà, compie una sintesi stringata,ma appropriata, non solo del brano ulpianeo che esordisce con Nos generaliter, maanche del tratto che lo precede, che ha un andamento casistico (Ulp. 36 ad Sab. D.25.1.1.3):

Inter necessarias inpensas esse Labeo ait moles in mare vel flumen proiectas. sed et si pistrinum velhorreum necessario factum sit, in necessariis impensis habendum ait. proinde Fulcinius inquit, siaedificium ruens quod habere mulieri utile erat refecerit, aut si oliveta reiecta restauraverit, vel exstipulatione damni infecti ne committatur praestiterit, (h.t. 3) vel si vites propagaverit vel arbores

87 Qui si trovava la definizione ulpianea (D. 25.1.1.1): Necessariae hae dicuntur, quae habent in se necessitatem inpen-dendi: ceterum si nulla fuit necessitas, alio iure habentur, che potrebbe avere dato motivo al commentatore di accostarviquella tratta da Paolo88 Trad. Krüger: «Nos generaliter] vides, quomodo etiam Ulpianus regulam nobis ponit: quas impensas pro tempo-re fructuum causa vir fecit, eas cum fructibus compensat nec retentionem facit; quae vero perpetuae sunt et in lon-gum tempus utilitatem praebent, velut moles vel pistrinum vel plantatio, eae necessariae sunt et dotem minuunt.Idem dicit etiam Paulus libro VII ad Sabinum titulo XXXV».

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curaverit vel seminaria pro utilitate agri fecerit, necessarias inpensas fecisse videbitur. Nosgeneraliter definiemus multum interesse, ad perpetuam utilitatem agri vel ad eam quae non adpraesentis temporis pertineat, an vero ad praesentis anni fructum: si in praesentis, cum fructibushoc compensandum: si vero non fuit ad praesens tantum apta erogatio, necessariis inpensiscomputandum.

Il commentatore greco si limita a pochi esempi fra quelli portati da Labeone, la diga,il mulino, e da Fulcinio, la piantagione. Rende poi merito ad Ulpiano di avere tenta-to di offrire una regola generale, che mette in relazione la necessità della spesa con lasua funzione destinata ad avere ricadute che vanno al di là della attuale produzione deifrutti (visto che le spese compiute per la produzione dei frutti si compensano con ilguadagno così percepito).89 Quello che può ricavarsi, in sintesi, è che il commentatore(sicuramente quello che si presenta come «Sab.», ma forse anche la mano che paredistinta e più antica) mira a trarre per quanto possibile regole e definizioni dal mate-riale classico. Da questo punto di vista, il modo di lettura che emerge dagli ScholiaSinaitica appare senz’altro consono al progetto del Digesto; ciò che i commentatoripotevano ambire a realizzare coordinando i testi e estrapolando regole, nel rispetto for-male dei testi, diventa sotto l’egida imperiale un’operazione di riduzione anche mec-canica della pluralità delle opinioni e delle contraddizioni.

7. Fra storiografia e storia, la genesi del Digesto sembra non avere ancora esaurito lepossibili prospettive di ricerca. L’impostazione storiografica consolidata, che intende laraccolta dei testi giurisprudenziali come un’operazione (in tutto o in parte) fuori sinto-nia rispetto alle correnti pratiche del presente, e frutto quasi anacronistico di una spin-ta degli ambienti scolastici, non sembra rendere in pieno la complessità dei moventi edel quadro culturale. Forse è un’interpretazione che risente del modello offerto dallarinascita bolognese del diritto romano, e dalla scissione che vi era sottesa fra prassi escuola, quest’ultima artefice del rinnovato studio del Digesto nell’XI-XII secolo.

Sul piano della storia, vi sono molti segnali che anche nei secoli anteriori a Giusti-niano la letteratura giurisprudenziale avesse continuato a svolgere la sua capillare in-fluenza. L’intensa circolazione delle opere dei giuristi classici, attestata da papiri e per-gamene pregiustinianee, in formato addirittura standardizzato con criterio sticometri-co; il ricorso sagace alla recitatio di brani giurisprudenziali in giudizio – promosso dalle

89 Non occorre, ai nostri fini, riprendere qui la discussione circa la genuinità del testo ulpianeo. Ritenuta una aggiun-ta post-giustinianea da RICCOBONO, Gli scolii sinaitici cit. (nt. 82), 262 ss., è stata in seguito considerata un’altera-zione introdotta nella copia di Ulpiano prima del momento che giungesse al commentatore greco degli Scholia oppu-re una interpolazione giustinianea ispirata da sch. Sin. 8.18: si vd. per tutti WIEACKER, Textstufen cit. (nt. 56), 313.

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parti e accettato dalla cancelleria – anche per l’interpretazione delle costituzioni impe-riali; la presenza di una letteratura di commento scritta in greco, ancora in gran parteinesplorata, da cui trapela l’effettiva lettura e comprensione dei testi classici; la ten-denza che emerge dagli Scholia Sinaitica non solo a favorire il commento ampio (allimite, integrale) dei grandi trattati ulpianei, ma anche a sfruttare la conoscenza siste-matica di un numero ampio di testi classici, e al tempo stesso ad estrarne per quantopossibile regole non contraddittorie; l’integrazione, compiuta sia in sede di giudizio siadi commento, fra testi giurisprudenziali e costituzioni imperiali: sono tutti fattori chepreludono in modo armonico alla compilazione del Digesto, attenuando l’impressio-ne che si sia trattato di un’operazione non corrispondente alle condizioni culturali deltempo. Lo stesso metodo di compilazione, basato secondo la dimostrazione di Bluhmesu un effettivo spoglio delle opere, e sulla lettura parallela dei grandi commentari (chetrova riscontri anche negli Scholia Sinaitica, dove il trattato di Paolo Ad Sabinum vienerichiamato in parallelo a quello di Ulpiano)90 implica e dimostra il sicuro dominio suitesti acquisito da una lunga tradizione, che ora s’accingeva a trasformare il propriooggetto sotto l’impulso del potere politico.

90 Sch. Sin. 8.18; 12.34; 13.35.