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VITTORIO CORDERO DI MONTEZEMOLO MEMORIE SEMISERIE DI UN AMBASCIATORE CON UN SAGGIO DI PAOLA BIANCHI E ANDREA MERLOTTI VITTORIO CORDERO DI MONTEZEMOLO MEMORIE SEMISERIE DI UN AMBASCIATORE I ricordi e le riflessioni di un Ambasciatore che ha rappresentato l’Italia nel difficile periodo della ricostruzione dell’identità di un Paese distrutto dalla guerra e piegato nel morale.Un volume tuttavia ricco di ironia, capace di raccontare momenti difficili della storia internazionale (come la guerra del Kippur) con leggerezza e sense of humour. «Lavorare con Cordero di Montezemolo era gradevole e facilissimo ma al tempo stesso ricco di soddisfazioni. Questo del resto avviene quasi sempre nel rapporto con una persona di acuta intelligenza, che non ha bisogno di cercare il compiacimento di raffronti o di abbandonarsi a suscettibilità o di manifestare ombrosità, perché consapevole delle proprie capacità e quindi sicuro di sé. E questa sicurezza di Cordero di Montezemolo si trasmetteva anche a me... Si lavorava in un clima disteso, perché il “Capo”, con il suo spirito, il suo humour, le sue espressioni amichevoli e talvolta colorite rendeva per tutti l'ambiente gradevole. Sotto un aspetto esterno di bonomia e di signorile semplicità di tratto si comprendeva subito che si trattava di un uomo che sapeva dirigere, comandare, guidare non imponendo autoritariamente la sua volontà e non soffocando le altrui autonomie di lavoro, ma convincendo con una parola, con una frase, talvolta con uno scherzo.» Luigi Vittorio Ferraris Vittorio Cordero di Montezemolo nasce a Venaria Reale il 1° luglio del 1917. Laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche alla Scuola Normale di Pisa, entra in diplomazia nel 1945. Tra il 1949 e il 1955 è Console Generale a Buenos Aires e Mendoza. Viene successivamente nominato Consigliere all’Ambasciata d’Italia a Madrid, dove risiederà per tre anni. Dal marzo 1963 all’aprile del 1967 è Console Generale a New York, nell’ottobre 1967 Ambasciatore a Montevideo e nel 1969 si trasferisce a Caracas con la stessa carica per il Venezuela e Trinidad e Tobago. Dal 1971 alla fine del 1974 ricopre il difficile incarico di Ambasciatore in Israele. Nel 1975 rientra a Roma, al Ministero degli Affari Esteri, come Direttore Generale per la Cooperazione Culturale. Nel giugno del 1977 raggiunge il culmine della carriera con la nomina ad Ambasciatore di grado e quattro mesi più tardi assume la responsabilità dell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Nel luglio del 1979, dopo due anni di lavoro intensissimo, viene trasferito a Ginevra quale Capo della Rappresentanza Permanente d’Italia presso le Nazioni Unite. 19,00 copertina di giacomo mannironi, haunagdesign. nella foto: vittorio cordero di montezemolo (il primo a sinistra) con cinque dei suoi sei fratelli e sorelle. Rubbettino Rubbettino Rubbettino

[con P. BIANCHI] Fra governo di Mondovì e servizio sabaudo. I Cordero di Montezemolo dal Cinque al Novecento, in V. Cordero di Montezemolo, Memorie semiserie di un ambasciatore, Rubbettino,

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VITTORIO CORDERO

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I ricordi e le riflessioni di un Ambasciatore che ha rappresentato l’Italia nel difficileperiodo della ricostruzione dell’identità di un Paese distrutto dalla guerra e piegato nel morale.Un volume tuttavia ricco di ironia,capace di raccontare momenti difficili della storia internazionale (come la guerra del Kippur) con leggerezza e sense of humour.

«Lavorare con Cordero di Montezemolo era gradevole e facilissimo ma al tempo stessoricco di soddisfazioni. Questo del resto avvienequasi sempre nel rapporto con una persona di acuta intelligenza, che non ha bisogno di cercare il compiacimento di raffronti o di abbandonarsi a suscettibilità o di manifestare ombrosità, perchéconsapevole delle proprie capacità e quindisicuro di sé. E questa sicurezza di Cordero di Montezemolo si trasmetteva anche a me...Si lavorava in un clima disteso, perché il “Capo”, con il suo spirito, il suo humour, le sue espressioni amichevoli e talvolta coloriterendeva per tutti l'ambiente gradevole. Sotto un aspetto esterno di bonomia e di signorile semplicità di tratto si comprendeva subito che si trattava di un uomo che sapeva dirigere, comandare,guidare non imponendo autoritariamente la sua volontà e non soffocando le altruiautonomie di lavoro, ma convincendo con una parola, con una frase, talvolta con uno scherzo.»

Luigi Vittorio Ferraris

Vittorio Cordero di Montezemolonasce a Venaria Reale il 1° lugliodel 1917. Laureato in Giurisprudenza e Scienze Politiche alla ScuolaNormale di Pisa, entra in diplomazia nel 1945. Tra il 1949 e il 1955 è ConsoleGenerale a Buenos Aires e Mendoza. Viene successivamentenominato Consigliereall’Ambasciata d’Italia a Madrid,dove risiederà per tre anni. Dal marzo 1963 all’aprile del 1967 è Console Generale a New York, nell’ottobre 1967Ambasciatore a Montevideo e nel 1969 si trasferisce a Caracascon la stessa carica per il Venezuelae Trinidad e Tobago.Dal 1971 alla fine del 1974 ricopreil difficile incarico di Ambasciatorein Israele. Nel 1975 rientra a Roma, al Ministero degli AffariEsteri, come Direttore Generaleper la Cooperazione Culturale. Nel giugno del 1977 raggiunge il culmine della carriera con la nomina ad Ambasciatore di grado e quattro mesi più tardiassume la responsabilitàdell’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede. Nel luglio del 1979,dopo due anni di lavorointensissimo, viene trasferito a Ginevra quale Capo della Rappresentanza Permanented’Italia presso le Nazioni Unite.

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Vittorio Cordero di Montezemolo

Memorie semiseriedi un Ambasciatore

con un saggio di

Paola Bianchi e Andrea Merlotti

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1. Premessa

Il 24 marzo 1944 veniva fucilato alle Fosse Ardeatine il co-lonnello Giuseppe Cordero Lanza di Montezemolo (n. 1901)che nei mesi precedenti aveva svolto un ruolo centrale nell’or-ganizzazione della Resistenza a Roma. Cinque mesi più tardi, il17 agosto 1944, le Brigate nere impiccavano a Giaveno, nei pres-si di Torino, il marchese Felice Cordero di Pamparato (n. 1919),un giovane tenente che nei mesi precedenti aveva comandato labrigata «Campana», formazione di «Giustizia e libertà» fra lepiù attive contro i tedeschi e la Repubblica di Salò.

Il marchese di Pamparato e il colonnello Montezemolo ap-partenevano a due linee, separatesi alla fine del Seicento, diun’antica famiglia patrizia di Mondovì che alla metà del Nove-cento poteva vantare quattro secoli di servizio sotto le insegnesabaude.

Il tragico destino che nel 1944 accomunò i due Cordero as-sume quindi un forte valore simbolico. Molte sarebbero, infatti, leriflessioni da fare sulla partecipazione della nobiltà piemontese al-la Resistenza, un ruolo che è ancora in gran parte da ricostruire.

Nel presentare in queste pagine la storia dei Cordero diMontezemolo e, almeno per un tratto, quella dei Cordero diPamparato, ci è parso utile partire, per così dire, dal fondo: daun passato che non è così lontano da non costituire ancor oggioggetto di dibattito storico e politico, e che rappresenta, insie-me, il punto d’arrivo di un secolare rapporto fra i Cordero (mail discorso varrebbe anche per tanta altra parte delle nobiltà su-

Paola Bianchi - Andrea MerlottiFra governo di Mondovì e servizio sabaudo:

i Cordero di Montezemolodal Cinque al Novecento

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balpine) e la Corona, che neppure l’esito del Referendum del1946 ha potuto interrompere del tutto1.

Quando si studia la storia di una famiglia la prima doman-da – la domanda essenziale, potremmo dire – che uno storicodeve porsi è in che modo essa sia rappresentativa o eccezionaledella storia più generale del gruppo sociale cui essa appartiene.

Nel caso del tema di questo volume – per entrare subito inargomento – la domanda si declina nel chiedersi come la storiadei Cordero si rapporti a quella delle nobiltà piemontesi: se es-sa, cioè, presenti elementi di originalità tali da esser considerataun esempio a sé stante, o se invece sia affine alla maggioranzadella altre risultando, quindi, una vicenda emblematica di unarealtà più generale. In sintesi, la questione è se la storia dei Cor-dero sia la norma o l’eccezione.

A ciò cercheremo di rispondere nelle pagine che seguono.

2. Mondovì, Roma e Torino: i Cordero fra Cinque e Seicento

A chi analizza la vicenda dei Cordero fra Cinque e Seicen-to non possono sfuggire due elementi di particolare importan-za: la lenta costruzione del rapporto con i Savoia e la presenzadi diversi esponenti della famiglia sulla scena romana.

Un primo elemento da tener presente è che quando Ema-nuele Filiberto rientrava in possesso dei suoi Stati e faceva diMondovì una sorta di capitale provvisoria (in attesa di riottene-re Torino), i Cordero erano una delle famiglie che gestivano ilgoverno monregalese già da tre secoli. Lasciando da parte la leg-genda che vorrebbe la famiglia originaria della Spagna e discen-dente da Francisco Corderio, cavaliere alla prima crociata (leg-

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1 Renato Cordero Lanza di Montezemolo (1903-1967), fratello minoredi Giuseppe, aveva svolto anch’egli attività nelle fila della Resistenza. Capodella Segreteria di Umberto II, dopo il referendum istituzionale restò vicinoalla Real Casa e nel 1953 la regina Maria José lo volle quale precettore dell’al-lora quattordicenne principe Vittorio Emanuele (cfr. A.A. MOLA, Declino ecrollo della monarchia in Italia, Mondadori, Milano 2006, p. 320). Su di lui siveda ora A. UNGARI, In nome del re: i monarchici italiani dal 1943 al 1948, Lelettere, Firenze 2004, pp. 136, 142, 144, 155.

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genda analoga a quella dei Ferrero e che ben si inseriva nella co-struzione delle «genealogie incredibili» tipica della cultura no-biliare d’antico regime2), i Cordero compaiono nella storia diMondovì già alla fine del dodicesimo secolo, stabilmente inseri-ti nel Consiglio cittadino. Un Guglielmo Cordero è fra i sindacidella città nel 1196, nel 1206 e nel 1216; un altro Guglielmo Cor-dero ricopre lo stesso incarico nel 1230 e nel 1250. Tale presen-za durerà, con poche interruzioni, per otto secoli, sino all’iniziodel Novecento3.

In questo senso, i Cordero appaiono affini a numerose fa-miglie di città quali Alba, Cuneo, Savigliano, Saluzzo e di altricentri del Piemonte meridionale che espressero patriziati, i qua-li, pur non riconosciuti giuridicamente come quelli di tante areeitaliane, ebbero caratteristiche assai simili a questi ultimi, man-tenendo spesso il controllo del governo cittadino dal Medioevoall’Ottocento, passando più o meno indenni attraverso l’epocanapoleonica.

Il passaggio di Mondovì sotto il controllo di Casa Savoia,fra XIV e XV secolo, non sembra aver incrinato il ruolo dei Cor-dero nelle strutture dell’amministrazione locale4. Fu solo, però,

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2 Su questo tema cfr. R. BIZZOCCHI, Genealogie incredibili. Scritti di storianell’Europa moderna, il Mulino, Bologna 1995. Sulla leggenda spagnola dei Fer-rero cfr. Nobiltà e Stato in Piemonte. I Ferrero d’Ormea, atti del convegno (Tori-no-Mondovì, 3-5 ottobre 2001), A. Merlotti (a cura di), Zamorani, Torino 2003.

3 Cfr. G. COMINO, I Cordero di Mondovì: dal patriziato urbano alla nobiltàdello Stato, in Le carte dell’archivio Cordero di Montezemolo, G. Comino (a cu-ra di), Città di Mondovì, Mondovì 2001, pp. XIX-XXXI. Sul problema storico egiuridico dell’esistenza di un patriziato monregalese si vedano G. CLARETTA,Sui patriziati municipali delle città di Mondovì e di Chieri. Nota presentata allaCommissione araldica piemontese, Civelli, Roma 1992; A. MERLOTTI, Patriziato,«nobiltà civile», feudalità. Le declinazioni del ceto dirigente monregalese fra Seie Settecento in Nobiltà e Stato in Piemonte cit., pp. 83-109.

4 Proprio allora, anzi, una linea acquistò una casa in Mondovì Piazza euna cappella nella chiesa dei minori osservanti, nella quale si trovavano anchequelle delle principali famiglie del patriziato urbano. Il centro del potere deiCordero restava, comunque, Pian della Valle, dove una strada era loro intito-lata e dove, sino almeno alla fine del Settecento, possedettero terreni e mani-fatture. Nonostante la lunga serie di sindaci e consiglieri, tuttavia, i più notipersonaggi quattrocenteschi della famiglia sono oggi i fratelli Baldassarre e

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dopo oltre un secolo da quella data che i Cordero comparveroal servizio dei duchi. Lo stesso canonico Emilio Cordero diMontezemolo, autore, nel corso dell’Ottocento, d’importanti ri-cerche sulla storia di famiglia, non riusciva a risalire a vicendeanteriori a quella del capitano Giovanni Cordero, rimasto fede-le al duca Carlo II durante l’occupazione francese (1536-59/63)e morto in battaglia nel 1553 combattendo sotto le bandiere sa-baude. Nuove ricerche potranno integrare questo dato, ma nonmodificarlo sostanzialmente. Fra Quattro e Cinquecento eranostate altre famiglie monregalesi, del resto, a essere riconosciutecome interlocutrici locali dal potere sabaudo, trovando cosìcollocazione a corte, nelle magistrature e nell’esercito. Fu il ca-so, in particolare, dei Faussone e dei Vivalda5. La differenza fraqueste famiglie e i Cordero si coglieva anche sul piano del siste-ma degli onori: nel 1573 Emanuele Filiberto volle che fra i no-bili scelti per essere i primi cavalieri dell’allora istituito ordinemauriziano comparissero sia alcuni membri della famiglia Faus-sone sia esponenti dei Vivalda. Fu necessario ancora un secolo

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Giovan Tomaso Cordero, cui si deve nel 1472 il primo libro a stampa in Pie-monte. Questi e altri dati genealogici citati sotto partono dagli elementi offer-ti dal Patriziato subalpino di Antonio Manno (voll. I-II, Civelli, Firenze 1895-1906; voll. III-XXVII dattiloscritti nei principali archivi e biblioteche torine-si). Sull’età medievale e il rapporto col patriziato monregalese si veda G. CO-MINO, I Ferrero a Mondovì nel Quattrocento e nel Cinquecento: strategie econo-miche e lotte politiche tra Medioevo e prima età moderna, in Nobiltà e Stato inPiemonte cit., pp. 121-135, in part. p. 125.

5 I Faussone avevano prestato servizio ai Savoia-Acaia già nel secondoTrecento, quando Teobaldo (m. 1390 ca.) e Luchino Faussone (m. 1412) era-no stati capitani d’armi dei principi di Piemonte. Nel Quattrocento avevanoannoverato diverse presenze alla corte ducale, fra cui quella del francescanoGiovanni Faussone, confessore di Amedeo IX e precettore di Filiberto I. Ema-nuele Filiberto, rientrato in possesso dei suoi Stati, aveva nominato Bartolo-meo Faussone di Montaldo (m. 1579) avvocato fiscale generale nel 1560 e loaveva inviato ambasciatore presso papa Paolo III. Quanto ai Vivalda, Emanue-le Filiberto nominò nel 1561 Giovan Giorgio (m. 1569) tesoriere ducale per lacittà e provincia di Mondovì, chiamando un decennio più tardi a Torino i suoifigli: nel 1566 creò Bernardino (1534-1570) senatore di Piemonte; nel 1572 enel 1575 accolse a corte Giovan Battista e Ludovico, nominandoli l’uno gen-tiluomo di camera, l’altro gentiluomo di bocca; nel 1577 inserì a corte ancheil quarto fratello, Giuseppe, facendolo suo elemosiniere.

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perché anche un Cordero fosse creato cavaliere dai Savoia, nel16716. Famiglie come i Faussone e i Vivalda, ma anche i Pensae i Ferrero, fra Cinque e Settecento, espressero numerosi cava-lieri di Malta, mentre nessun Cordero fu ascritto all’ordine gio-vannita durante tutto l’Antico regime7. A questo proposito valela pena notare che negli Stati sabaudi l’ascrizione all’ordine nonera alternativa al servizio della Corona, ma anzi a esso s’intrec-ciava strettamente8.

La prima figura di rilievo presente alla corte sabauda com-parve negli anni del ducato di Carlo Emanuele I (1580-1630). Sitrattava del canonico Gerolamo Cordero (1570ca-1622), che fraCinque e Seicento rivestì il ruolo di teologo ed elemosiniere du-cale, venendo incaricato della stesura di alcune orazioni per even-ti importanti legati alla vita curiale: dai funerali della duchessa Ca-terina nel 15979 alla missione compiuta nel 1600 a Torino dal car-

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6 Sull’ordine mauriziano si vedano A. MERLOTTI, “Un sistema degli ono-ri europeo per Casa Savoia? I primi anni dell’Ordine dei santi Maurizio e Laz-zaro (1573-1604)”, «Rivista storica italiana», CXIV (2002), f. 3, pp. 477-514;ID., Le ambizioni del duca di Savoia. La dimensione europea degli ordini caval-lereschi sabaudi fra Cinque e Seicento, in Guerra y Sociedad en la Monarquía Hi-spánica. Política, Estrategia y Cultura en la Europa Moderna (1500-1700), attidel convegno (Madrid, 9-12 marzo 2005), E.G. Hernán e D. Maffi (a cura di),Ediciones del Laberinto, Madrid 2006, 2 voll., vol. II, pp. 661-690.

7 Per le presenze piemontesi nell’ordine giovannita si veda il ruolo rea-lizzato da Tomaso Ricardi in «Gentilhuomini christiani e religiosi cavalieri».Nove secoli dell’Ordine di Malta in Piemonte, T. Ricardi di Netro e L.C. Gen-tile (a cura di), Electa, Milano 2000.

8 Cfr. A. MERLOTTI, Prima sudditi poi cavalieri: i nobili piemontesi e l’Or-dine di Malta alla fine dell’Antico Regime e I cavalieri di Malta nel Piemontemoderno, in «Gentilhuomini christiani e religiosi cavalieri» cit., pp. 21-28 e 42-44; P. BIANCHI, L’Ordine in difesa del duca. Il reggimento Croce bianca, ivi, pp. 15-20; EAD., “Cavalieri di Malta e ufficiali sabaudi: il reggimento Crocebianca tra prove di fedeltà e statalizzazione delle aristocrazie”, «Rivista stori-ca italiana», CXIV (2002), f. III, pp. 1019-1041. Per il quadro italiano si vedail fondamentale A. SPAGNOLETTI, Stato, aristocrazie e Ordine di Malta nell’Ita-lia moderna, École française de Rome, Roma 1988.

9 Orazioni di G. C. di Mondovì per l’essequie ordinate in Torino alla serenis-sima infante donna Catterina d’Austria duchessa di Savoia, … et al potentissimoFilippo secondo, Fratelli de’ Cavalleri, Torino 1599. Su quest’orazione si vedanoLa femme dans la société savoyarde, actes du XXXIV congrès des Sociétés savan-

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dinal Pietro Aldobrandini per mediare fra il duca e il re di Fran-cia allora in guerra per il possesso del marchesato di Saluzzo. L’o-razione per il cardinal Aldobrandini uscì in almeno quattro diver-se edizioni: testimonianza dell’importanza che il duca vi riponevaper spiegare ai sovrani della penisola la propria politica10. Neglianni successivi Gerolamo Cordero, che era anche canonico peni-tenziere del Duomo di Mondovì, fu uno degli interlocutori mon-regalesi del duca nella costruzione del santuario della Madonnadi Vicoforte, in occasione della quale stese la relazione ufficialedella visita del duca a Vico nel 160111. Gerolamo Cordero fu il pri-mo di una serie di religiosi che, a vario titolo, segnarono la storiadella famiglia. Nell’arco di due secoli diversi Cordero presero, in-fatti, parte alla Curia papale, alle corti cardinalizie, alle missioniinviate da Roma in Cina, India e Giappone.

Per comprendere queste dinamiche familiari bisogna con-siderare che, fra Cinque e Seicento, Mondovì riuscì a esprimereben due cardinali e altri importanti ecclesiastici attivi alla cortepapale: un dato di assoluto rilievo in una realtà come quella sa-

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tes de Savoie (Saint-Jean-de Maurienne, 5-6 septembre 1992), M. Dompnier (acura di), Société d’histoire et d’archéologie de Maurienne, Saint-Jean-de-Mau-rienne 1993, pp. 73-74; A. MANSAU, La femme aux lynx, Centro universitario perle ricerche sul viaggio in Italia, Moncalieri 2002, p. 223.

10 Nella venuta dell’illustrissimo et reverendissimo signor il signor cardi-nale Aldobrandino legato et nepote del santissimo Clemente… alla corte del se-renissimo duca di Savoia… sopra il trattato della pace tra il re di Francia et du-ca di Savoia. Oratione di G.C. di Mondovì, Disserolio Torino; Zangrandi Asti;Ferioli Milano; Bellagamba, Bologna 1600.

11 L’Orazione nell’andata del duca Carlo Emanuele a visitare la Madonnadel Mondovì nell’anno del Santo Giubileo [1600] fu pubblicata a Mondovì nel1601. Sebbene risiedesse più a Mondovì che a Torino, il canonico Cordero ri-mase a lungo un punto di riferimento per il duca, che gli affidò anche la ste-sura di una delle opere con le quali cercava di far rifiorire il culto del beatoAmedeo. Il Ragionamento del regno interiore e regali ornamenti dell’anima inlode del beato Amedeo duca di Savoia, apparso a Torino nel 1612, fu probabil-mente l’ultima opera scritta da Gerolamo Cordero per la corte sabauda. Sullavicenda del santuario di Vico si vedano P. COZZO, «Regina Montis Regalis». Ilsantuario di Mondovì da devozione locale a tempio sabaudo. Con edizione delle«Memorie intorno alla SS. Vergine di Vico», Viella, Roma 2002; ID., La geogra-fia celeste dei duchi di Savoia. Politica, devozioni e sacralità in uno Stato di etàmoderna, secoli XVI-XVII, il Mulino, Bologna 2006.

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bauda, che, invece, stentava a esprimersi come avrebbe volutosullo scenario romano12.

Promotore di questo fenomeno di ascesa fu papa Pio V, al se-colo Michele Antonio Ghislieri, che, prima di salire al soglio pon-tificio nel 1566, era stato per sei anni vescovo di Mondovì. Duran-te il suo pontificato egli chiamò a Roma diversi religiosi che ave-va conosciuto nel periodo dell’episcopato monregalese: fra gli al-tri, i fratelli Giuseppe (1534-1588)13 e Vincenzo Donzelli Bottega(m. 1585). Pio V li creò rispettivamente arcivescovo di Sorrento evescovo di Sulmona. La fortuna di Giuseppe Donzelli proseguìcon Gregorio XIII, il quale si servì di lui sia come governatore diRoma sia come nunzio apostolico presso il granduca di Toscana.Può forse aiutare a capire gli inizi della carriera di Gerolamo Cor-dero il fatto che segretario e stretto collaboratore di monsignorDonzelli fosse stato un Cordero, Donato Agostino.

I Cordero, poi, furono assai legati ai due Cardinali che, co-me si diceva, la nobiltà monregalese espresse nella prima metàdel Seicento. Il primo di essi fu Francesco Adriano Ceva di Mo-nasterolo (1580-1655), nato a Mondovì da uno dei tanti ramidell’antica casa marchionale, che ebbe un ruolo centrale nell’e-lezione del cardinal Barberini a papa come Urbano VIII. Questilo ricompensò facendolo nunzio in Francia dal 1632 al 1634, se-gretario di Stato e cardinale dal 1643. A Mondovì nacque ancheil cistercense Giovanni Bona (1609-1674), abate del Santuariodella Madonna di Vico, tre volte generale del suo ordine e infi-ne cardinale nel 1669.

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12 Cfr. P. COZZO, In seconda fila. La presenza sabauda nella Roma ponti-ficia della prima età moderna, in Il Piemonte come eccezione? Riflessioni sulla«Piedmontese exception», atti del seminario internazione (Reggia di Venaria,30 novembre - 1° dicembre 2007), P. Bianchi (a cura di), Centro studi piemon-tesi, Torino 2008. La situazione mutò solo nel Settecento, quando anche la cor-te sabauda ottenne il diritto alla nomina di un cardinale. Cfr. P. COZZO, Unaporpora «a lustro della real corona». Carlo Vincenzo Maria Ferrero (1682-1742)primo cardinale di corona della monarchia sabauda, in Nobiltà e Stato in Pie-monte cit., pp. 295-320.

13 La sua data di nascita si ricava da un’iscrizione riportata in B. CAPAS-SO, Memorie storiche della chiesa sorrentina, Stabilimento dell’antologia lega-le, Napoli 1854, pp. 91-93.

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Maria Bianchi (m. 1676), nipote ed erede del cardinale Ce-va, sposò intorno al 1640 Giovan Francesco Cordero. Gerola-ma Mansuino, erede di un’altra parte del patrimonio Ceva, spo-sò invece Francesco Bartolomeo Cordero, morto durante laguerra civile. Stretto parente di questi era il canonico GiacomoCordero (1588-1666 ca.), che percorse un’interessante carrierafra Roma e Torino, centrale per la successiva vicenda della lineadei Cordero, da cui sarebbero sorti i marchesi di Pamparato equelli di Montezemolo.

Giacomo Cordero era giunto nella capitale pontificia nel1614 come segretario dell’abate Filiberto Alessandro Scaglia diVerrua (m. 1641), allora nominato ambasciatore sabaudo pres-so il papa14. Quando, dieci anni dopo, l’abate Scaglia fu inviatoa Parigi, Cordero rimase a Roma, continuando a svolgere lemansioni di segretario per il nuovo ambasciatore sabaudo, ilconte Guido Biandrate Aldobrandino di San Giorgio (m. 1630).Negli anni successivi lasciò il servizio sabaudo, passando a quel-lo di alcuni eminenti personaggi della Curia romana, fra cui ilcardinale Orazio Giustiniani. Divenuto protonotario apostoli-co, Giacomo Cordero, grazie all’appoggio del cardinale Ceva,poté sviluppare una propria politica familiare, indipendente-mente dai condizionamenti subiti dalla corte di Torino. Esem-plare quanto accadde nel 1649. La duchessa Maria Cristina e ilduca Carlo Emanuele II avrebbero voluto che la ricca commen-da di Sant’Antonio a Fossano fosse assegnata al cavalier Valeria-no Saluzzo della Manta, che era stato loro vicino nei difficilifrangenti della guerra civile (1638-42)15. La stessa commenda,

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14 Cfr. T. OSBORNE, Dinasty and diplomacy in the court of Savoy. Politicalculture and the Thirty Years’War, Cambridge University Press, Cambridge2002; T. MÖRSCHEL, Buona amicitia? Die Römisch-Savoyischen Beziehungenunter Paul V (1605-1621). Studien zur frühneuzeitlichen mikropolitik in Italien,von Zabern, Mainz 2002.

15 Sulla guerra civile e le lacerazioni prodotte da essa all’interno dei cetidirigenti sabaudi cfr. C. ROSSO, Il Seicento, in AA.VV., Il Piemonte sabaudo. Sta-to e territori in età moderna, Utet, Torino 1994, pp. 236-242; A. MERLOTTI, L’e-nigma delle nobiltà. Stato e ceti dirigenti nel Piemonte del Settecento, Olschki,Firenze 2000, pp. 39-41; P. BIANCHI, A. MERLOTTI, Cuneo in età moderna.Città e Stato nel Piemonte d’antico regime, Angeli, Milano 2002, pp. 155-175.

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tuttavia, era ambita da Giacomo Cordero. Questi si rivolse allo-ra al duca, ricordando le prove di fedeltà che la sua casa gli ave-va dato durante la guerra civile: nel corso di essa, infatti, eranomorti nel campo madamista sia suo padre, il capitano France-sco, sia due suoi fratelli, il colonnello Giovan Francesco e il ca-pitano Bartolomeo16. Poiché la corte sabauda, tuttavia, conti-nuava ad appoggiare il cavalier della Manta, Giacomo Corderosi rivolse al cardinal Ceva, il quale ottenne che la commenda fos-se assegnata al suo protetto. Quali fossero le reazioni a Torino sievince bene da una lettera che il cavalier della Manta inviò a Car-lo Emanuele II, in cui senza troppi giri di parole commentavasconsolato: «io mi stupisco che l’autorità de’ reali patroni ven-ghi così abusata nella corte di Roma»17.

Nel frattempo Giacomo Cordero era riuscito a inserirsi nel-l’entourage di Bona, che avrebbe seguito la carriera del gesuitaPietro Cordero (1645-1714) e dell’abate Simone Cordero, figlidella citata Maria Bianchi, nipote del cardinal Ceva. Pietro Cor-dero divenne rettore del Collegio di Mondovì e partì poi per lemissioni d’Oriente morendo in Giappone18. Simone fu invece

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Sul caso di Saluzzo e sul citato Valeriano Saluzzo della Manta si veda A. MER-LOTTI, Dall’integrazione all’emarginazione. La nobiltà di Saluzzo e lo Stato sa-baudo nel XVII secolo, in L’annessione sabauda del Marchesato di Saluzzo, tradissidenza religiosa e ortodossia cattolica (sec. XVI-XVIII), atti del convegno(Torre Pellice-Saluzzo, 1°-2 settembre 2001), M. Fratini (a cura di), Claudia-na, Torino 2004, pp. 87-118.

16 Cfr. le lettere di Giacomo Cordero a Carlo Emanuele II, datate 3 e 7febbraio 1649, in Archivio di Stato di Torino (d’ora in poi AST), Corte, Let-tere di particolari, C, mz. 93.

17 Si veda la lettera di Saluzzo della Manta, rivolta al giovane Carlo Ema-nuele II, indirizzata alla duchessa Maria Cristina, datata 2 marzo 1649, in AST,Corte, Lettere di particolari, S, mz. 22.

18 Sulla carica al Collegio di Mondovì cfr. La guerra del sale (1680-1699).Rivolte e frontiere del Piemonte barocco, G. Lombardi (a cura di), 3 voll., An-geli, Milano 1986, vol. III, p. 273. Il fatto che Pietro fosse figlio di Maria Bian-chi risulta da un documento dell’archivio Cordero (Carte e memorie, mz. 2, f.h, 1668) oggi conservato presso l’Archivio Storico Comunale di Mondovì: cfr.l’inventario Le carte dell’archivio Cordero di Montezemolo cit. La morte inGiappone è riferita da G. CASALIS, Dizionario geografico storico-statistico com-merciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, vol. X, Maspero, Torino 1842, p. 739.

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per lunghi anni stretto collaboratore di Bona. Nel 1671 il cardi-nale ottenne da Carlo Emanuele che Simone Cordero diventas-se cavaliere mauriziano: il primo Cordero a essere ascritto a unordine cavalleresco sabaudo19. Anche dopo la morte di Bona,l’abate Simone Cordero svolse un ruolo importante fra Roma eTorino, tanto che il duca lo nominò commendatore e «ricevido-re dell’Ordine» a Roma, carica che in passato era stata assegna-ta a esponenti della grande nobiltà sabauda e romana come iconti Scaglia di Verrua e i marchesi Muti. L’abate Cordero en-trò in stretti rapporti anche con il principe Emanuele FilibertoAmedeo di Carignano (1628-1709), che lo creò suo «cavaliere dicamera» e lo inviò quale agente a Roma a nome suo e della cu-gina, la principessa Ludovica di Savoia (1629-1692).

L’abate Simone ebbe probabilmente un ruolo nel favorirel’arrivo a Roma di Giuseppe Ignazio Cordero (1666-1740).Giunto a Roma giovanissimo, questi era nel 1689 fra i parteci-panti alla sceltissima «conversazione de’ letterati» che si radu-nava presso monsignor Giovanni Ciampini, che negli anni pre-cedenti aveva dato vita all’esperienza del «Giornale de’ lettera-ri»20. Commendatore di Sant’Antonio di Fossano dal 1701, l’an-no successivo fu scelto dal pontefice quale segretario di monsi-gnor de Tournon, inviato a Pechino per risolvere la complessaquestione dei riti cinesi21. Giunto in India nel 1703, fu ordinato

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19 G.B. RICCI, Istoria dell’Ordine equestre de’ santi Mauritio e Lazaro, colrolo de’ cavalieri e commende, fatta pubblicare dal cavaliere Giovan Battista R.,ufficiale nel reggimento della Marina, Mairesse, Torino 1714, ad annum; G.CLARETTA, Storia del regno e dei tempi di Carlo Emanuele II duca di Savoia, Ti-pografia del Regio Istituto de’ sordomuti, Genova 1878, vol. 2, p. 492.

20 J.M. GARDAIR, Le «Giornale de’ letterati» de Rome (1668-1681), Ol-schki, Firenze 1984, p. 159. Sul «Giornale de’ letterati» si veda anche G. RI-CUPERATI, Giornali e società nell’Italia dell’«Ancien regime» (1668-1789), in Lastampa italiana dal Cinque all’Ottocento, V. Castronovo e N. Tranfaglia (a cu-ra di), Laterza, Roma-Bari 1980, pp. 79-89.

21 Cfr. L. Von PASTOR, Storia dei papi nel periodo dell’assolutismo, vol.XV, Dall’elezione di Clemente XI sino alla morte di Clemente XII (1700-1740),Desclée, Roma 1933, cap. VII, La decisione della questione rituale su i riti ci-nesi. Legazioni Tournon e Mezzabarba. Le usanze malabariche, pp. 301-374.Sull’affaire Tournon restano fondamentali le pagine di F. VENTURI, Saggi sul-l’Europa illuminista. Alberto Radicati di Passerano, Einaudi, Torino 1954. Cfr.

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prete nel 1706 a Kiang-si. Quando nel 1707 l’imperatore fece ar-restare monsignor de Tournon (che sarebbe morto a Macao do-po tre anni di prigionia), questi affidò a padre Cordero il coman-do della casa di Macao, in cui presero alloggio i religiosi residen-ti in Cina che avevano accettato di obbedire all’editto contro iriti cinesi. Anche Matteo Ripa, che si era recato in Cina fra imembri della missione incaricata di portare a Tournon notiziadella sua nomina a cardinale, conobbe Cordero e alloggiò nellacasa da lui guidata. Nel 1713 Giuseppe Ignazio Cordero fu no-minato procuratore generale delle missioni delle Indie e trasfe-rito a Madras, dove restò sino al 172022. Rientrato in Italia, si sta-bilì a Roma, dove papa Clemente XI lo creò suo prelato dome-stico. Ripa, che dopo il 1720 riprese i contatti con lui, lo ricor-da nella sua autobiografia come «molto amico e pratico dellemissioni in Cina»23. Fu probabilmente tramite Giuseppe Igna-zio che Ripa strinse rapporti con un altro religioso della famigliamonregalese da tempo stabilitosi a Roma: padre Andrea Corde-ro (1649-1732)24. Giuseppe Ignazio Cordero non ruppe mai i

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anche G. DELL’ORO, “‘Oh, quanti mostri si trovano in questo nuovo mondovenuti d’Europa!’. Vita e vicissitudini di un ecclesiastico piemontese tra Romae Cina: Carlo Tommaso Maillard de Tournon (1668-1710)”, «Annali di storiamoderna e contemporanea», IV (1998), pp. 2-33.

22 Traggo questi dati sull’abate Cordero da G. MENSAERT, “FrançoisDrion O.F.M. missionaire en Chine et au Tomkin”, «Archivum franciscanumhistoricum», XLVIII (1955), pp. 3-51 (in part. p. 20, n. 3, p. 33, n. 5, p. 34).Cfr. anche A. DE GUBERNATIS, Storia dei viaggiatori italiani nelle Indie orien-tali, Vigo, Livorno 1875, pp. 60-61.

23 Ripa ricordava anche che Cordero avrebbe voluto che il Collegioorientale avesse sede a Roma anziché a Napoli. Cfr. M. RIPA, Storia della fon-dazione della Congregazione e collegio dei cinesi sotto il titolo della Sacra Fami-glia di Gesù Cristo, scritta dallo stesso fondatore M.R. e dei viaggi da lui fatti,Manfredi, Napoli 1832, t. I, pp. 301-302, 309, 334; t. II, p. 418.

24 Ivi, t. II, pp. 459-460, 462-463, 465. Su Andrea Cordero si veda Dellavita del servo di Dio Giovan Battista Andrea Corderi, sacerdote secolare piemon-tese prete della Congregazione che fu di San Giuseppe in Roma, deputato dellaDottrina Cristiana, canonico della Collegiata di sant’Anastasia e fratello profes-so del terz’ordine de’ secolari di san Francesco, scritta da un sacerdote secolareromano dedicata alla Divina Maestà di Nostro Signore Gesù Cristo, Stamperiadel Komarek, Roma 1759 e R. DAVICO, L’anonimo mondovita e la sua storia:

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contatti con Mondovì, egli seguì da vicino le vicende dei nipotiPamparato e dei cugini Montezemolo, divenendo, anzi, il prin-cipale committente della chiesa dei gesuiti intitolata a san Fran-cesco Saverio, posta sulla piazza centrale della città. Sulla faccia-ta dell’edificio si legge ancor oggi un’iscrizione che ricorda il suoruolo in tal senso, mentre all’interno sono due altari, sotto il pa-tronato l’uno dei Cordero di Pamparato l’altro dei Cordero diMontezemolo25.

Nei decenni, il ruolo dei Cordero era notevolmente cresciu-to, non solo in virtù della fedeltà mostrata ai Savoia durante laguerra civile di metà Seicento, ma grazie a un crescente coinvol-gimento nelle strutture militari dello Stato (terreno per eccellen-za di ogni politica di disciplinamento delle élites) e infine alla ca-pacità di movimento su uno scenario che andava da Mondovì aRoma, passando anche per Torino.

3. Feudatari sabaudi: i Cordero fra Sei e Settecento

La seconda metà del Seicento fu un periodo d’intensa mo-bilità sociale per lo Stato sabaudo. La crisi aperta con la sconfit-ta subita dall’esercito francese di Luigi XIII e Richielieu nel1630, proseguita con la reggenza e giunta al suo acme con laguerra civile fra madamisti e principisti, era destinata a chiuder-si solo con l’azione di Vittorio Amedeo II.

Il celebre provvedimento del 1722 con cui il primo re sa-baudo mise in vendita decine di feudi avocati a famiglie della piùantica nobiltà, così come la precedente politica nobiliare dellostesso sovrano, può considerarsi non tanto un inizio, quanto,piuttosto, una conclusione. Lungi dall’aprire alla borghesia leporte della nobiltà, infatti, esso si rivolgeva alla nobiltà non tito-lata – soprattutto ai ceti patrizi delle città del Piemonte meridio-

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La Relazione de’successi di Giovan Battista Andrea Cordero, in La guerra delsale cit., vol. III, pp. 117-428

25 G. VACCHETTA, La Compagnia di Gesù a Mondovì, C. Bartolozzi (a cu-ra di), Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Provincia diCuneo, Cuneo 1993, pp. 105-107 e 134-135.

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nale – perché entrasse a far parte della feudalità sabauda. Si trat-tava, insomma, di un compattamento di diverse componenti delsecondo stato piuttosto che di un’apertura al terzo. In questa li-nea di condotta, il sovrano ricostruiva un rapporto che la guer-ra civile aveva pesantemente incrinato26.

È questo lo sfondo sociale e politico su cui va collocato l’in-gresso nella feudalità sabauda di ben tre esponenti dei Cordero,tutti discendenti dal capitano Antonio, che diedero vita rispet-tivamente ai Cordero di Pamparato, ai Cordero di Roascio e aiCordero di Montezemolo.

Altre linee dei Cordero compirono questo passaggio suc-cessivamente (i Cordero di Vonzo nel 1755, i Cordero di Belve-dere nel 1756 e quelli di San Quintino nel 1759), a differenza dialtre ancora, che finirono per confondersi con le famiglie dellaborghesia.

Alla metà del Seicento, nonostante il loro progressivo inse-rimento nell’esercito, l’immagine dei Cordero era quella d’unafamiglia del patriziato monregalese, ma non delle principali. Nel1655 monsignor Della Chiesa in quella sorta di grande enciclo-pedia delle nobiltà subalpine che è la sua Corona reale di Savoiascriveva che le più insigni famiglie nobili di Mondovì erano iPensa, i Vivalda, i Faussone, i Ferrero e i Morozzo27. Si trattavadi case che, con l’eccezione dei Ferrero, erano pienamente inse-rite nella feudalità sabauda e rivestivano cariche importanti acorte e nell’esercito. Della Chiesa non citava quasi i Cordero, li-

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26 A. MERLOTTI, L’enigma delle nobiltà cit.; ID., Il ceto dirigente cuneesenel XVIII secolo: da «nobiltà civile» a «nobiltà titolata», in Cuneo in età moder-na cit., pp. 199-251; Disciplinamento e contrattazione. Dinastia, nobiltà e cortenel Piemonte sabaudo da Carlo II alla Guerra civile, in L’affermarsi della cortesabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra Tardo Medioevo e pri-ma età moderna, L.C. Gentile e P. Bianchi (a cura di), Zamorani, Torino 2006,pp. 227-284.

27 F.A. DELLA CHIESA, Corona reale di Savoia, t. I, pp. 196-197. Cfr. MO-ROZZO DELLA ROCCA, Le storie dell’antica città di Monteregale ora Mondovì inPiemonte, Tip. Fracchia, Mondovì 1894. Su Della Chiesa si veda A. MERLOT-TI, Le nobiltà piemontesi come problema storico-politico: Francesco AgostinoDella Chiesa tra storiografia dinastica e patrizia, in Nobiltà e Stato in Piemontecit., pp. 19-56.

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mitandosi a un rapido cenno a monsignor Gerolamo, in relazio-ne alle opere che egli aveva scritto per la corte sabauda. Può dar-si che questa fosse anche una scelta per punire la famiglia delladisinvoltura con cui l’abate Giacomo si era mosso a propositodella commenda di Sant’Antonio (Della Chiesa era amico delcavalier della Manta), ma certo questo silenzio non sarebbe sta-to possibile se i Cordero avessero avuto una qualche presenza aTorino.

Ben diversamente si comportò, un trentennio più tardi, l’in-quisitore di Vercelli Giovan Alessandro Rusca, che nel 1680pubblicò a Torino una nuova versione del Rusco, overo istoriadella famiglia Rusca, di Roberto Rusca, in cui inserì un’appendi-ce che trattava di una serie di famiglie piemontesi, fra cui anchei Cordero:

Essendo… in Mondovì fiorita la nobile famiglia de’ Corderi inpersonaggi meritevoli di sopravvivere alla durata de’ secoli, disdirebbenon impiegarvi al racconto delle sue glorie la penna amica. L’origine deiCorderi viene dalla Spagna, essendo il cognome vocabolo ispano et èvicino al vero che si fermassero nella città del Mondovì ne’ tempi me-desimi, cioè del 1300, che Giacomo Ferrero, capitano di cavalli natura-le di Valenza et della famiglia di san Vincenzo Ferrero, perché haven-do li Corderi imparentato con le principali famiglie della città, quali so-no la Morozza, Pensa, Vivalda e Ferrera, più frequenti però sono statili matrimoni co’ Ferreri. Vanta codesta nobile famiglia de’ Corderi unalonga serie di capitani e giureconsulti et teologi, quelli altrettanto valo-rosi nell’armi quanto questi con la penna e con la lingua felici28.

L’elemento più significativo era, tuttavia, il tentativo di in-serire i Cordero nell’ambito di quelle famiglie che Della Chiesaaveva presentato come le più importanti. Non a caso Rusca ci-

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28 G.A. RUSCA, Serie de’ personaggi d’altre illustri famiglie esposte ai raggidell’immortalità in questi fogli a piacere non meno che a impiego della fedel pen-na del reverendissimo padre G. A. R., inquisitore di Vercelli, in R. RUSCA, Il Ru-sco, overo dell’istoria della famiglia Rusca libri tre descritti a Roberto R. cistercien-se ad Honorato Rusca, suo fratello, Antonio Beltrandi, Venezia-Torino 1680, p.253. Sulla famiglia Ferrero, da cui derivarono in età moderna i marchesi Ferre-ro d’Ormea, si vedano i saggi raccolti in Nobiltà e Stato in Piemonte cit.

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tava l’abate Simone ricordando che suo padre Giovan France-sco era «patricio di Mondovì» e che «visse nobilmente», sotto-lineando inoltre che i principi sabaudi si servivano «della suapersona…, sapendo quanto vale ne la prudenza, ne maneggi etfedeltà». Rusca poteva aggiungere che, nel corso del secolo, di-versi Cordero erano stati chiamati a ricoprire cariche militari dirilievo, in veste soprattutto di governatori di fortezze lungo ilconfine con la Francia e la Repubblica di Genova. L’inquisitorericordava, in particolare, un Giovan Battista Cordero «famosonel maneggio dell’armi… colonello di mille fanti, che havendoper molto tempo et con molto avanti di gloria militato servigiodel duca Vittorio Amadeo I ebbe da esso il governo dell’impor-tante castello di Revello et della valle di Pedo et dopo quello diSusa» e suo figlio Bernardino «il quale, condottiere anch’egli dimille fanti nell’assedio di Crescentino, tenuto con forte presidioda Spagnuoli, havendo in una breve notte con grande ingegnoet meravigliosa diligenza fatto dal suo reggimento asciugare lefosse di quella fortezza e dispostovi senza indugio l’assalto, ri-dusse quel governatore a riportare la resa, riportandone in pre-mio da Carlo Emanuele II il governo del forte di Bardo, nel du-cato di Aosta, e poscia quello di Susa»29.

Rusca insisteva sul servizio sabaudo quale elemento per il-lustrare la gloria dei Cordero. Dagli anni trenta del Seicento, in-fatti, molte cose erano cambiate. Le carriere militari cui s’è fat-to cenno e quella dell’abate Simone avevano preparato il terre-no a cambiamenti più importanti.

All’inizio degli anni Sessanta del Seicento, infatti, il capita-no Giovan Antonio Cordero (1637ca.-1694) e suo cugino Fran-cesco Adriano Cordero (1637-1707), entrambi nipoti dell’abateGiacomo, avevano sposato l’uno Alessandra Bonardo Mangar-da, l’altro Anna Francesca Ferrero, che avevano portato in do-te al primo parte del feudo di Pamparato e al secondo una por-zione del feudo di Roascio. I cugini Cordero avevano, così, fat-to ingresso nella fila della feudalità sabauda, dando origine allelinee dei Cordero di Pamparato e dei Cordero di Roascio. La lo-

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29 Ivi, p. 254. Bernardino Cordero morì nel 1670. Un suo ritratto è con-servato al Santuario di Vicoforte.

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ro fedeltà alla dinastia fu messa presto alla prova. Un ventenniopiù tardi, infatti, Mondovì fu scossa dalla cosiddetta guerra delsale, l’ultima vera e propria rivolta dei ceti dirigenti provincialicontro il governo di Torino prima della crisi e della caduta del-l’antico regime30. I Cordero risultarono una delle famiglie mon-regalesi più fedeli al duca. Nel gennaio 1683 Francesco Adria-no Cordero di Roascio fu eletto sindaco di Mondovì con l’ap-poggio del governatore, il quale, in una relazione al duca, lo de-finiva «gentilhomo honorato et di buone qualità»; l’opposizio-ne di parte della città costrinse, tuttavia, a dichiarare nulla l’ele-zione31. Quindici anni dopo, durante la seconda guerra del sale(1698-99), Vittorio Amedeo II rifondava il Consiglio di Mon-dovì ponendovi quale sindaco Francesco Antonio Cordero diPamparato.

Al servizio del duca figuravano in quegli anni anche i fratelliGiuseppe Bartolomeo (1671-1731) e Adriano Cordero (1680ca.-1753), nipoti di Francesco Adriano Cordero di Roascio (1637-1707), il più giovane dei quali era destinato a essere il primo deiCordero di Montezemolo. Giuseppe Bartolomeo, laureatosi inlegge a Torino nel 1703 (contro la prassi della nobiltà di Mondovìdi laurearsi nell’antico Studio monregalese), entrò nell’Uditoratogenerale di guerra, il tribunale militare di Stato, dove restò nelcorso dell’intera guerra di successione spagnola.

Le nuove strategie dei Cordero si colgono bene nelle vicen-de del ramo di Pamparato. I due figli di Francesco Antonioorientarono le loro scelte su Torino. Clemente Antonio (1698/99-1757) si trasferì nella capitale e qui iniziò una brillante carrieramilitare, che lo vide partecipare alle guerre di successione po-lacca e austriaca, sino a giungere nel 1754 al grado di maggiorgenerale di fanteria. Nel 1724 acquistò il feudo di Roburent el’anno successivo sposò una Faussone. Il matrimonio fu celebra-to nella capitale, prova ulteriore di quale fosse ormai lo scenariod’azione. In questa carriera ebbe un ruolo centrale lo strettorapporto con Giovan Giacomo Fontana, contadore generale

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30 Sulle guerre del sale si vedano i numerosi saggi raccolti in La guerradel sale cit.

31 Ivi, vol. III, pp. 279-280, 378.

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nell’Ufficio del Soldo dal 1709 e poi segretario di Stato alla guer-ra dal 1728 al 1742, col quale Clemente Antonio Cordero pos-sedeva un importante setificio a Mondovì32.

Se l’esercito fu il principale campo d’azione di ClementeAntonio Cordero di Pamparato, la corte lo fu per il fratello mi-nore Giovan Battista Felice (1700ca.-1786). Nominato nel 1732governatore del principe Costantino d’Assia-Rheinfels, fratellodella regina Polissena, nel 1738 fu scelto da Carlo Emanuele IIIquale inviato sabaudo a Venezia. Al termine della missione, nel1743, il re lo richiamò a corte per attribuirgli la carica di mag-giordomo33. Si trattava dell’incarico più prestigioso che un Cor-dero avesse sin allora ricoperto presso la corte torinese. Nel frat-tempo, dopo un primo matrimonio con Violante Beccaria diRoascio, Giovan Battista aveva sposato Marianna Vivalda di Ca-stellino (1731-1791), appartenente a una delle famiglie più im-portanti della nobiltà monregalese. Ai due figli maschi lasciò l’e-redità in modo tale che al primogenito Donato, nato dalla pri-ma moglie, giungesse il feudo di Pamparato e al secondogenitoClemente Gioachino, figlio di Marianna Vivalda, passasse il feu-do di Roburent. L’ascesa a corte dei Cordero di Pamparato ave-va portato a un loro progressivo allontanamento dalla realtàmonregalese. Giovan Battista Felice risultò, non casualmente,l’ultimo Cordero di Pamparato a sedere nel Consiglio della cittàdiventandone sindaco34, e i suoi figli percorsero, come vedremo,carriere tutte interne alla corte sabauda.

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32 Nel 1700 il padre, Francesco Cordero di Pamparato, era stato fra i te-stimoni alle nozze di Giovan Giacomo Fontana con Anna Francesca Fausso-ne di Clavesana. Cfr. C. MORANDINI, L’Anti-Ormea: il marchese Fontana diCravanzana e l’impresa al servizio dello Stato, in Nobiltà e Stato in Piemonte cit.,pp. 427-456, in particolare alle pp. 451 e 459.

33 Su Costantino d’Assia si veda P. BIANCHI, Una palestra di arti cavalle-resche e di politica. Presenze austro-tedesche all’Accademia Reale di Torino nelSettecento, in Le corti come luogo di comunicazione. Gli Asburgo e l’Italia (se-coli XVI-XIX). Höfe als Orte der Kommunikation. Die Habsburger und Italien(16. Bis 19. Jh.), atti del convegno internazionale (Trento, Fondazione BrunoKessler, 8-10 novembre 2007), il Mulino - Duncker & Humblot, Bologna-Ber-lino, in corso di stampa.

34 Fu in Consiglio fra 1750 e 1753 e sindaco nel primo semestre del 1753.Nel 1759 fu nominato direttore dell’Ospedale di Carassone. Cfr. Informazio-

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Diversamente accadde per il ramo destinato ad acquisire ilfeudo di Montezemolo.

Al termine della guerra di successione spagnola, il già cita-to Giuseppe Bartolomeo iniziò una brillante carriera di segreta-rio d’ambasciata, divenendo uno dei personaggi di fiducia diVittorio Amedeo II, che lo inviò prima a Madrid (1713-1718),poi a Roma (1719), infine a Parigi (1720-1728)35. Centrale fu ilsuo eccellente rapporto con il marchese d’Ormea che se neservì, potendo contare sulla sua personale fedeltà36.

Nel frattempo, il fratello Adriano aveva continuato l’attivitànel Consiglio comunale monregalese e si era stabilito nel nuovopalazzo di Mondovì Piazza che sin dal 1706 aveva approntatoper lui lo zio Bartolomeo Cordero (m. 1719), canonico arcidia-cono e vicario generale capitolare37. La scelta della moglie, spo-sata intorno al 1708, non era caduta su una monregalese, ma suVittoria Falletti di Rodello, esponente dell’antica famiglia nobi-le albese che vantava una lunga e importante presenza a corte.Nel 1717, infine, Adriano acquistava il feudo di Montezemolocol titolo di vassallo, anche se, come ci mostrano le lettere invia-tegli dal marchese d’Ormea, era comunemente chiamato col ti-tolo di conte38.

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ni prese sulle parole improprie e minaccie fatte dal conte Cordero di Pamparatoin odio agli amministratori della città di Mondovì, AST, Corte, Città e provin-cia di Mondovì, mz. 5, f. 15.

35 Su di lui si vedano D. FRIGO, Principe, ambasciatori e jus gentium.L’amministrazione della politica estera nel Piemonte del Settecento, Bulzoni,Roma 1991, pp. 189-197; G. COMINO, I Cordero di Mondovì cit., pp. XXVII-XXIX.

36 Nell’archivio Cordero di Montezemolo (mz. 30, ff. 30 e 38) si conser-vano diverse lettere del marchese d’Ormea a Giuseppe Bartolomeo Corderoe a suo fratello Adriano Cordero di Montezemolo che mostrano la familiaritàfra i due personaggi. Fu il marchese d’Ormea, fra l’altro, a informare AdrianoCordero di Montezemolo della morte del fratello (si veda la lettera, in data 16ottobre 1731, in mz. 30, f. 30/1).

37 Cfr. C. BILLA, A. CANGIANO, “Il Palazzo della provincia a MondovìPiazza. Vicende storiche e testimonianze materiali della dimora appartenentein antico alla famiglia Faussone di Germagnano”, «Studi monregalesi», III(1998), f. 1, pp. 42-45.

38 Cfr. per es. la lettera del 25 luglio 1719 in Archivio Storico Comunaledi Mondovì, mz. 30, f. 38/2.

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Giovan Antonio Marcello Cordero di Montezemolo (1718-1786), figlio ed erede di Adriano, percorse inizialmente la car-riera militare, segnalandosi durante la guerra di successione po-lacca, che lo vide, ventiquattrenne, aiutante di campo del re. Do-po la morte del padre, egli si stabilì tuttavia a Mondovì, distin-guendosi sulla scena politica locale e divenendo sindaco per trevolte (1758, 1769, 1779). Il fratello maggiore Giuseppe Emilio(1710-1782), che aveva scelto la via religiosa, era diventato in-tanto una delle personalità religiose preminenti della città, doveesercitava la carica di vicario del Sant’Uffizio39.

Nonostante l’ingresso nella feudalità sabauda e l’inserimen-to a corte dei conti di Pamparato, a metà Settecento i Corderoerano ancora percepiti come una nobiltà differente rispetto aquella delle più antiche famiglie monregalesi. Nel 1753 l’inten-dente Lazzaro Corvesy, egli stesso un homo novus, presentandola nobiltà monregalese, sembrava riprendere quanto era statoscritto un secolo prima da monsignor Della Chiesa:

Le famiglie più nobili sono quelle de’ Faussoni, Vasco, Ferreri,Pensa, Morozzo e Vivalda… vi sono altresì le seguenti famiglie titolate,cioè signor conte Cordero di Pamparato…, commendatore Cordero dilui fratello, conte Cordero di Montezemolo, conte Vitale, conte Perla-sco, conte Blengino, conte Filippone di San Michele… conte Clerico diRoccaforte, conte Clerico di Prazzo, commendatore e vassallo Frangia,conte Belletrutti di San Biaggio…, conte Clerico di Vasco, commenda-tore Curti. Oltre alle suddette famiglie vi sono anche le seguenti moltocivili, cioè quelle de’ Grassi, Gallo, Bava, Dadei, Donzelli40.

Come per tante altre famiglie nobili che avevano avuto per se-coli un carattere patrizio e che erano entrate nella feudalità solo

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39 Cfr. Lettera contenente il racconto degli ultimi giorni di vita e la mortedi G.E.C. vicario generale del Sant’Uffizio (Mondovì, 23.VIII.1782), ArchivioStorico Comunale di Mondovì, Memorie Cordero, mz. 2, f. 62.

40 Cfr. L. CORVESY, Descrizione della provincia di Mondovì (1753), G. Co-mino (a cura di), Centro Studi Monregalesi, Mondovì 2003, in particolare p.8. Il manoscritto di quest’edizione è fra le carte dell’archivio Cordero di Mon-tezemolo; un altro codice della Relazione si trova in Biblioteca Reale di Tori-no, alla collocazione Storia patria 853.

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fra Sei e Settecento, il principale oggetto d’interesse restava la cittào la corte. Il feudo costituiva poco più che un pretesto per ottene-re un titolo. Trattando dell’ormai settantenne vassallo AdrianoCordero di Montezemolo, l’intendente Corvesy scriveva:

La giurisdizione spetta per intiero al signor conte Adriano Cor-deri, abitante in Mondovì, quale non cerca dal pubblico cosa indebi-ta, meno pretende assumersi alcuna ingerenza negli affari comunitati-vi, non usa di prepotenza, meno causa verun aggravio agli abitanti41.

Più presenti nei due feudi che avevano acquisito risultava-no i Cordero di Pamparato. A Pamparato, territorio in cui con-dividevano la giurisdizione con i carignanesi Gianazzo, essi ave-vano comprato il castello del paese, che l’intendente definiva«di disegno vago e moderno, sebben di sole cinque camere percadun piano». Quasi nulla, invece, la presenza a Roburent, do-ve i Cordero non possedevano alcun bene:

La giurisdizione spetta per intiero al signor conte Clemente Anto-nio Cordero di Pamparato della città di Mondovì, brigadiere d’armatae colonnello del reggimento Le Regina, qual non cerca assumersi alcu-na ingerenza negli affari di comunità, non usa di prepotenza, meno cau-sa verun aggravio agli abitanti; il medesimo non possiede in questo luo-go né beni feudali né allodiali, meno qualunque altro reddito42.

Sia i Cordero di Montezemolo sia i Cordero di Pamparatoerano titolari di beni a Morozzo, sui quali continuarono a inve-stire: la chiesa della Madonna Addolorata, scriveva Corvesy, era«mantenuta a spese» del conte di Montezemolo, mentre il con-te di Pamparato vi aveva quattro cascine, che erano escluse dal-la giurisdizione del signore feudale, il marchese Morozzo43.

Del resto, gli stessi titoli dei Cordero su Pamparato e Mon-tezemolo non erano privi di quell’ambiguità che era comune adaltre famiglie della feudalità sabauda più recente. Sia GiovanAntonio Cordero sia Adriano Cordero, infatti, erano stati infeu-

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41 L. CORVESY, Descrizione cit., p. 107.42 Ivi, p. 82.43 Ivi, pp. 72-73.

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dati come vassalli, ma tanto a corte quanto sullo scenario urba-no essi erano abitualmente chiamati conti, il titolo più diffusofra i nobili piemontesi. In seguito alla promulgazione delle Re-gie costituzioni nel 1770, Carlo Emanuele III ordinò, tuttavia, uncensimento dei titoli nobiliari, che portò, fra il 1771 e il 1772, auna verifica dell’uso che i feudatari praticavano rispetto allecondizioni poste all’atto dell’acquisto dei feudi44. I due rami deiCordero si affrettarono a mettersi in regola, ma, per non far ri-saltare di aver sino ad allora usato il titolo senza una piena auto-rizzazione, essi non fecero erigere i rispettivi feudi in comitati,bensì in marchesati, il titolo più raro e prezioso presso la nobiltàsubalpina. Ciò spiega, quindi, perché sia Giovan Battista FeliceCordero di Pamparato (1700ca.-1786) sia Giovan Antonio Cor-dero di Montezemolo (1718-86) siano entrambi divenuti mar-chesi nello stesso volger di tempo45.

Le differenze nelle strategie seguite dai Montezemolo e daiPamparato, cui si faceva cenno sopra, sono confermate anche nel-la generazione successiva. Giuseppe Antonio Cordero di Monte-zemolo (1748-1808) studiò all’Accademia Reale46 dal 1763 al

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44 All’uso dei titoli nobiliari era dedicata un’apposita sezione delle RegieCostituzioni del 1770, De’ titoli, e delle denominazioni de’ feudatari. Sulla que-stione cfr. A. MERLOTTI, L’enigma delle nobiltà cit., pp. 67-69; G. MOLA DI

NOMAGLIO, Feudi e nobiltà negli Stati dei Savoia. Materiali, spunti, spigolaturebibliografiche per una storia. Con la cronologia feudale delle Valli di Lanzo, So-cietà storica delle Valli di Lanzo, Lanzo Torinese 2006, pp. 291-308 (sui Cor-dero p. 298).

45 Si vedano gli atti relativi in AST, Camerale, art. 792, Verbali per abusodi titoli nobiliari (1771-72), Tappa di Mondovì.

46 Sull’Accademia Reale, tipico caso di istituto cavalleresco sul modellodelle Ritterakademien tedesche e delle paggerie italiane e francesi, nata a To-rino nel 1678, ma più volte riformata nel corso del Settecento, cfr. P. BIANCHI,«Quel fortunato e libero paese». L’Accademia Reale e i primi contatti del giova-ne Alfieri con il mondo inglese, in Alfieri e il suo tempo, atti del convegno in-ternazionale (Torino-Asti, 29 novembre-1° dicembre 2001), M. Cerruti, M.Corsi, B. Danna (a cura di), Olschki, Firenze 2003, pp. 89-112; EAD., La for-tuna dell’Accademia Reale di Torino nei percorsi europei del viaggio di forma-zione, in Vittorio Alfieri. Aristocratico ribelle (1749-1803), catalogo della mo-stra (Torino, Archivio di Stato, 5 ottobre 2003 -11 gennaio 2004), R. MaggioSerra, F. Mazzocca, C. Sisi, C. Spantigati (a cura di), Electa, Milano 2003, pp.150-153; EAD. “In cerca del moderno. Studenti e viaggiatori inglesi a Torino

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1766. Donato Felice Cordero di Pamparato (1753-1833) fre-quentò lo stesso istituto dal 1769 al 1772. Per il fratello minoreClemente Gioacchino si aprirono le porte dell’ancor più esclusi-va paggeria di corte. Tutti e tre iniziarono la carriera militare, mamentre Montezemolo decise di percorrerla nel reggimento pro-vinciale di Mondovì (un reggimento di fanteria, di cui divenne al-fiere nel 1767 e poi, grado dopo grado, colonnello dal 1790), i fra-telli Pamparato scelsero la cavalleria, entrando rispettivamentenel reggimento Piemonte Reale e nei Dragoni del Re. Da lì en-trambi fecero un brillante ingresso a corte, che li allontanò dall’e-sercizio delle cariche pubbliche sulla scena monregalese. Alla cittàd’origine restò legato, invece, il secondo marchese di Montezemo-lo, che entrò nel Consiglio comunale e divenne sindaco nel 1786.

Alle soglie della crisi dell’antico regime i marchesi Corderodi Montezemolo e i marchesi di Pamparato, attraverso un per-corso secolare che presentava forti tratti di originalità, erano or-mai pienamente inseriti ai massimi livelli della feudalità sabau-da, il loro scenario d’azione spaziava dal Consiglio di Mondovìalla corte, e il mestiere delle armi costituiva una sorta di requi-sito fondamentale per l’alleanza con la Corona, alleanza che latempesta rivoluzionaria e la guerra delle Alpi avrebbero di lì apoco messo alla prova.

4. Dalla cesura francese al Risorgimento

Nel volgere dal Sette all’Ottocento il profilo militare, eccle-siastico e curiale che Goffredo Casalis47 descriveva indistinta-mente come tipico dei Cordero nel corso dei secoli si definì inmodo più chiaro, evidenziando scelte prevalenti per la carrieradelle armi.

Come per molte famiglie dei ceti dirigenti piemontesi, edel resto non solo per esse, la cesura istituzionale degli anni

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nel Settecento”, «Rivista storica italiana», CXV (2003), fasc. III, pp. 1021-1051; EAD., Una palestra di arti cavalleresche cit.

47 Si veda quanto scritto da Casimiro Danna in G. CASALIS, Dizionariogeografico storico-statistico commerciale cit., vol. X, pp. 738-739.

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francesi, durante la breve stagione del Governo provvisorio(1798-1799), ma soprattutto dopo l’annessione del Piemontealla Francia consolare e poi imperiale (1802-1814), obbligò aprendere posizioni estranee alle strategie consolidatesi ormaida tempo. Non a caso, il periodo compreso fra l’ultimo decen-nio del XVIII e la prima metà del XIX secolo lascia aperte aglistorici molte piste d’indagine. Due generazioni, quella che siera formata in antico regime e quella più giovane cresciuta al-la fine del Settecento o nei primissimi anni dell’Ottocento,convissero seguendo strade che sarebbe riduttivo distinguerein modo manicheo: da un lato i conservatori dall’altro i pro-gressisti, da una parte i filo-francesi dall’altra i legittimisti ereazionari. Le biografie di molti dei testimoni dell’epoca na-poleonica dimostrano che nell’arco di una vita si poteva pre-stare fedeltà anche a più di un governo, senza che ciò costi-tuisse necessariamente una prova di tradimento o di bieco op-portunismo.

I Cordero, già presenti nelle fila dell’esercito sabaudo, fu-rono naturalmente costretti a rimettersi in gioco. Si è accennatosopra alle due figure che frequentarono l’Accademia Reale diTorino nel secondo Settecento. Fieramente realisti furono i Cor-dero di Pamparato. Il marchese Donato Felice Cordero di Pam-parato (1753-1833), che nel 1788 era gentiluomo di camera delre, fu nel maggio 1799 tra i nobili piemontesi arrestati e depor-tati in Francia dai francesi in ritirata di fronte alle armate austro-russe48. Tornato in Piemonte nel marzo 1800, riapparve sullascena alla Restaurazione, rientrando a corte, dove nel 1824 di-venne «grande di seconda classe». Ancora più chiaro il percor-so del fratello minore Clemente Gioachino Cordero di Pampa-rato (1757-1827), che era stato luogotenente nei Dragoni del Ree gentiluomo di bocca dei duchi di Aosta e di Monferrato (1779)nonché primo scudiere di quella corte (1787). Confidente e ami-co di Vittorio Emanuele I, lo aveva seguito in Sardegna venen-do ricompensato con il collare dell’Annunziata nel 1812; alla Re-

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48 Cfr. G. MANACORDA, I rifugiati italiani in Francia negli anni 1799-1800sulla scorta del diario di Vincenzo Lancetti e di documenti inediti dagli archivid’Italia e di Francia, s.n.t., Torino 1907, p. 66, 20 fiorile / 9 maggio, n. 1.

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staurazione divenne gran scudiere e gran maestro (1826) dellacorte di Torino49.

La fedeltà al re fu anche la scelta dei Cordero di Monteze-molo. Il marchese Giuseppe Antonio (1748-1808), che, come siè visto, aveva ricevuto i gradi nel reggimento provinciale diMondovì, non riuscì, comunque, a evitare nel 1799 la contiguitàcon le istituzioni francesi venendo inserito quale consigliere ag-giunto sia nel Consiglio del Dipartimento della Stura sia nelConsiglio comunale di Mondovì, nel secondo dei quali rimaseanche dopo il temporaneo cambio di regime portato dagli au-stro-russi50. Sull’adesione del marchese alla causa dei francesi,peraltro, è più che lecito dubitare. Suo figlio Giacinto (1767-1799), il “marchese figlio”, com’era chiamato in virtù del suoruolo di erede, capitano del reggimento provinciale di Mondovì,era un apertissimo oppositore dei francesi. L’avvocato FeliceBongiovanni, uno dei capi del giacobinismo piemontese, lo de-scrive nei suoi Mémoires d’un jacobin alla testa d’una squadra dicontadini, intento a evitare che venisse piantato l’albero della li-bertà51. Nell’aprile del 1799 Giacinto era stato ucciso durante labattaglia del Pesio, dopo aver guidato un vittorioso attacco con-tro le truppe francesi: notizia che Bongiovanni riportava nei suoiMémoires con accenti che rivelavano tutta la sua antipatia neiconfronti dei Cordero di Montezemolo, da lui ritenuti i veri ca-

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49 Era una delle bestie nere di Brofferio che ne ha lasciato un impietosoritratto ne I miei tempi. Del Roburent come «favorito» del re scrisse anche ilconte della Margherita, non elogiandolo poi così tanto come ci si sarebbe po-tuti aspettare. Cfr. V. SOLARO DELLA MARGHERITA, L’uomo di stato indirizzatoal governo della cosa pubblica, Speirani e figli, Torino 1863, vol. 1, p. 149.

50 Nel maggio 1799, partiti i francesi, oltre a Giuseppe Antonio Corde-ro di Montezemolo furono chiamati in Consiglio comunale anche il conte Ce-sare Cordero di Belvedere e il conte Felice Cordero di San Quintino. In etànapoleonica i Cordero continuarono a far parte del Consiglio di Mondovì: frai notables figuravano, infatti, il marchese Cesare Cordero di Montezemolo e ilconte Felice Cordero di San Quintino. Cfr. M. VIOLARDO, Il notabilato pie-montese da Napoleone a Carlo Alberto, Comitato di Torino dell’Istituto per laStoria del Risorgimento italiano, Torino 1995, pp. 152-153.

51 Li si veda pubblicati in G. VACCARINO, I giacobini piemontesi (1794-1814), Ministero per i Beni culturali e ambientali, Roma 1989, 2 voll., vol. II,pp. 501-747 (cit. da p. 623).

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pi, nemmeno tanto occulti, del partito realista a Mondovì52. Pro-prio le biografie dei fratelli Montezemolo spiegano bene la dif-ficoltà che ha lo storico nel valutare scelte e posizioni senza te-ner conto delle particolari circostanze di quei tempi. Durante laprima occupazione francese i fratelli Massimiliano (1775 ca.-1857) e Demetrio (1778-1855) Cordero di Montezemolo, altrifigli del marchese Giuseppe Antonio, furono arruolati nel reg-gimento Guardie, organizzato dai francesi con ufficiali e solda-ti del disciolto esercito sabaudo. Inviati contro gli austriaci,combatterono entrambi con onore, tanto che Massimiliano fupromosso per il valore che aveva mostrato in battaglia53. Appro-fittando della piccola restaurazione seguita all’arrivo delle trup-pe austro-russe di Suvorov, Demetrio raggiunse la corte, sce-gliendo la via dell’esilio per poi rientrare più tardi in Piemonte,unendosi all’associazionismo segreto cattolico (è legato a lui ilcelebre aneddoto della benedizione di papa Pio VII nel 1809)54.Fu, quindi, assai probabilmente, più il pragmatismo che un’in-tima adesione ideologica a muovere le scelte anche del secondo-genito di Giuseppe Antonio, Cesare Cordero di Montezemolo(1769-1864), che nel 1799 era a capo della Guardia nazionale re-pubblicana di Mondovì55. In seguito egli mantenne posizioni fi-lofrancesi, tanto che nel 1804 fu scelto quale rappresentante diMondovì all’incoronazione di Napoleone. Nel 1808, nuovomarchese di Montezemolo, entrava nel Conseil della città, favo-rito dal fatto che la sorella, Luisa Cordero di Montezemolo(1771-1804), avesse sposato il conte Luigi Vincenzo Serra d’Al-bugnano (1750-1824), già intendente di Mondovì, che non ave-

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52 Ivi, pp. 622, 624, 630, 655, 670. 53 Cfr. V. [CORDERO DI] MONTEZEMOLO, Reminiscenze militari. Il Reggi-

mento guardie e altri piemontesi nell’anno 1799, Antologia italiana di scienze,lettere ed arti, II (1848), t. IV, pp. 177-191, in particolare pp. 181, 188-189.

54 C. BONA, Le «Amicizie»: società segrete e rinascita religiosa, 1770-1830,Deputazione subalpina di Storia patria, Torino 1962, pp. 290, 292, 295.

55 G. GRISERI, I giacobini a Mondovì durante l’occupazione francese (1796-1799), in Mondovì nel periodo napoleonico (1796-1803), A. Mazzucchi e G.Griseri (a cura di), Comune di Mondovì, Mondovì 1994, pp. 95-163, in parti-colare p. 105.

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va esitato a schierarsi con i francesi fungendo più volte da me-diatore fra il governo parigino e la città di Mondovì.

Contrasti e tensioni animarono anche altre linee dei Corde-ro. Esemplare il caso dei Cordero di Vonzo. Mentre il cavalierPietro (1759-1808) si schierò su posizioni ultra-realiste, tanto daesser soprannominato “il Santo” per le sue accesissime convin-zioni religiose, e fu tra i comandanti dell’insurrezione monrega-lese del maggio 179956, il nipote ex fratre Melchiorre (1768-1840) si rivelò fiero sostenitore della causa francese, sfuggendoalle ire dello zio (che aveva dato ordine di ucciderlo) e seguen-do il giacobino Bongiovanni prima a Cuneo, poi in Francia57.

È importante rilevare, comunque, che nessun esponentedelle varie linee dei Cordero chiese titoli in età napoleonica, adifferenza di quanto accadde in numerose altre famiglie dellenobiltà subalpine58.

Alla Restaurazione, nonostante gli sforzi, le cose non torna-rono come prima. Lo si vede bene esaminando le vicende delConsiglio di Mondovì, da sei secoli scenario principale delle at-tività dei Cordero. Fra 1814 e 1848 diversi rami dei Cordero viesercitarono un ruolo centrale, ma non i Cordero di Monteze-molo, né quelli di Pamparato.

Cesare Cordero di Montezemolo rientrò nel Consiglio diMondovì solo nel 1838, restandovi per solo tre anni (nel 1841ricoprì anche la carica di vice-sindaco). Suo figlio Massimo vi se-dette dal 1844 al 1848, all’inizio di una carriera politica che loavrebbe visto assurgere a ben altri incarichi, come si vedrà oltre.Nel 1842 Stanislao Cordero di Pamparato (1797-1863) fu solle-citato dall’intendente a diventare sindaco della città, ma ri-fiutò59. Nonostante Mondovì restasse la loro principale residen-

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56 G. VACCARINO, I giacobini piemontesi cit., vol. I, p. 388; vol. II, p. 621.57 Ivi, vol. II, pp. 627, 639.58 Un elenco dei piemontesi che entrarono nella nobiltà napoleonica è

nel Ruolo dei titoli conferiti da Napoleone in Piemonte e in Liguria allora uni-te all’Impero francese, in G. BASCAPÈ, M. DEL PIAZZO, Insegne e simboli. Aral-dica pubblica e privata, medievale e moderna, Ministero per i Beni e le Attivitàculturali, Roma 1999, pp. 857-882.

59 Sul rifiuto del 1842 cfr. M. VIOLARDO, Il notabilato napoleonico, inOmbre e luci della Restaurazione. Trasformazioni e continuità istituzionali nei

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za, i marchesi di Montezemolo e di Pamparato avevano ormainella corte e nell’esercito il loro principale campo d’interesse.Piuttosto, essi preferivano ora gestire il governo comunale del-le piccole realtà dove erano stati feudatari e dove questo anticoruolo li metteva al riparo da una lotta politica che nelle città sta-va divenendo sempre più accesa. Cesare Cordero di Monteze-molo fu sindaco di Montezemolo dal 1834 al 1840; il figlio Mas-simo dal 1845 al 1849; Stanislao Cordero di Pamparato fu sin-daco di Morozzo dal 1834 al 1848.

Il Consiglio di Mondovì restava il terreno principale, inve-ce, per quei rami dei Cordero meno forti sulla scena torinese epiù compromessi col regime napoleonico. È il caso di GiuseppeFelice Cordero di San Quintino, che era stato filo-francese nel1799, incarcerato dagli austro-russi nel 1800 e maire adjont inetà napoleonica. Alla Restaurazione egli restò una delle figureprincipali della politica cittadina, diventando più volte sindacosino al 183960.

Esercito, corte e un relativo coinvolgimento nell’ammini-strazione dei luoghi di cui erano stati infeudati in antico regime:erano questi ormai i percorsi prevalenti fra gli esponenti ottocen-teschi dei Cordero di Montezemolo e dei Cordero di Pampara-to, non senza continuità rispetto al passato, ma anche con alcu-ne marcate differenze. L’Accademia di Torino stessa, già fre-quentata da un paio di Cordero nel XVIII secolo, era stata ribat-tezzata e profondamente riformata all’indomani della Restaura-zione, perdendo il profilo cosmopolita che aveva caratterizzatola sua popolazione studentesca dalla fine del Seicento agli anniNovanta del Settecento. Dopo la parentesi napoleonica, che ave-va visto sorgere nel palazzo dell’Accademia un Liceo per la «gio-ventù della XXVII divisione francese», la neocostituita Regia Ac-cademia Militare di Torino assunse una connotazione assai diver-sa sul piano didattico e sociale: nel prestigioso istituto torinese

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territori del Regno di Sardegna, Ministero per i Beni culturali e ambientali, Ro-ma 1997, pp. 285-326, in particolare pp. 315-316.

60 In Consiglio fu poi anche, dal 1832, suo figlio Giovanni Antonio, giàguardia d’onore del principe Borghese nel 1810 e poi sottotenente della caval-leria di Napoleone.

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erano accolti ora i membri di un’aristocrazia esclusivamente na-zionale destinati a una carriera professionale da ufficiali61.

Non è privo d’importanza che al ritorno di Vittorio Ema-nuele I la carica di prefetto dell’Accademia fosse assegnata, nel1816, proprio a quel Demetrio Cordero di Montezemolo cheabbiamo visto seguire i Savoia in esilio, dopo una iniziale – e for-zata – militanza nell’esercito franco-piemontese. D’altra parte,furono proprio queste sue posizioni politiche a farlo sceglieredal re, nel 1830, per la carica di riformatore agli studi a Mon-dovì, che avrebbe mantenuto a lungo.

Negli anni successivi furono diversi i Cordero di Monteze-molo a studiare in Accademia e a scegliere la carriera militare,mentre scomparvero quasi del tutto gli ecclesiastici, che invecetanta importanza avevano avuto nelle strategie familiari sino apochi decenni prima. Fra loro vanno ricordati almeno Massimi-liano (1821-1890) e suo cugino Vittorio (1809-1863). Figlio delmarchese Cesare, Massimiliano fu in Accademia dal 1833 al1841, quando ne uscì come sottotenente nei granatieri delleGuardie; tenente nel 1848, ottenne di essere dimesso dopo lesfortunate campagne militari del 1849, ma entrò poi nello Statomaggiore delle Piazze, lasciando infine il servizio nel 1872. Vit-

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61 Sul Sei-Settecento si torni supra, n. 46. Sottoposta alla modifica deipiani di studio dal 1816 al regno carloalbertino, nel 1860, in seguito all’istitu-zione della Scuola di fanteria di Ivrea e della Scuola di cavalleria di Pinerolo,l’Accademia di Torino fu destinata alla preparazione dei soli ufficiali d’artiglie-ria e genio, continuando a licenziare, a livello italiano, un’élite militare d’ec-cellenza sino almeno alle campagne della prima guerra mondiale. Accanto alvecchio F.L. ROGIER, La Reale Accademia Militare di Torino. Note storiche.1816-1870, 2 voll., Bona, Torino 1916, si veda Ufficiali e società. Interpretazio-ni e modelli, G. Caforio e P. Del Negro (a cura di), Angeli, Milano 1988, inparticolare i saggi di P. DEL NEGRO, La professione militare nel Piemonte co-stituzionale e nell’Italia liberale, pp. 211-230, e di P. LANGELLA, L’AccademiaMilitare di Torino nell’età giolittiana, pp. 317-361. Cfr. inoltre P. DEL NEGRO,«Die Tendenz ist die ganze Nation zu militarisiren». Le politiche militari dellaRestaurazione sabauda da Vittorio Emanuele I a Carlo Felice, in Ombre e lucidella Restaurazione cit., pp. 250-251, in cui l’autore sottolinea il ripiegamentonazionale dell’Accademia, ma anche la sua capacità di «incrementare in misu-ra significativa il livello culturale medio dei corpi ufficiali dello stato maggio-re e delle armi dotte».

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torio, figlio del Massimiliano che s’era distinto come ufficialefrancese, alloggiò nell’istituto dal 1818 al 1828, dopo di che, dasottotenente nella brigata Guardie, raggiunse i gradi di tenente(1832) e di capitano (1840); nelle campagne del 1848 ottenne lamedaglia d’argento, prima di doversi ritirare lo stesso anno dalservizio per ragioni di salute.

In un certo senso, il marchese Stanislao Felice Cordero diPamparato (1797-1863), che si è visto rinunciare alla carica di sin-daco di Mondovì nel 1842, rappresentava bene il cambiamentodi orizzonti delle due linee dei Cordero che qui interessano. Uf-ficiale di cavalleria, giunse nel 1848 al grado di aiutante di cam-po del re e alla nomina a senatore del Regno (1848). Dal 1850 al1853 fu anche intendente generale della Lista civile di VittorioEmanuele II, carica che ne faceva una figura centrale fra corte egoverno. Il Consiglio di Mondovì, con le sue beghe interminabi-li fra i borghi della città, doveva apparire un orizzonte ben pocoattraente per chi si muoveva ormai su questo scenario. Non a ca-so, Stanislao aveva posto la sua residenza a Torino, dove fu anchepreside e direttore dell’Accademia albertina, riproponendo uncaso di militare di professione incaricato presso una struttura ac-cademico-scolastica di Stato. Era un modello che si stava affer-mando: solo pochi anni prima un promettente ufficiale del genio,il vogherese Ercole Ricotti, aveva iniziato una fortunata carrieradi storico, che dalla cattedra di Storia moderna all’Università diTorino lo portò alla presidenza dell’Accademia delle Scienze62.

È tuttavia su un’altra scena – quella dello Stato – che trovia-mo il terreno in cui i Montezemolo cercarono e ottennero i prin-cipali successi. Le mutate prospettive politiche dischiudevanonuove possibilità per loro e per altre famiglie delle nobiltà pie-montesi.

Due figure della generazione dei Montezemolo nate neglianni napoleonici meritano attenzione a questo proposito: i fra-

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62 Su Ricotti e il periodo di riforme carloalbertino cfr. G.P. ROMAGNANI,Prospero Balbo. Intellettuale e uomo di Stato (1762-1837), Deputazione subal-pina di Storia patria, Torino 1988-90, 2 voll., vol. II, pp. 668-71; ID., Storiogra-fia e politica culturale nel Piemonte di Carlo Alberto, Deputazione subalpina diStoria patria, Torino 1985, passim.

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telli Massimo (1807-1879) ed Enrico Cordero (1811-1887), figlidel marchese Cesare, entrambi coinvolti nelle vicende risorgi-mentali e nella vita parlamentare del regno.

Massimo, già impiegato presso l’Avvocatura generale di To-rino, non aveva esitato a prendere la via dell’esilio nel 1831, do-po essersi lasciato coinvolgere nella cosiddetta congiura dei “ca-valieri della libertà”. Stabilitosi allora in Francia, a Moulins, siera spinto a combattere in Belgio ed era entrato nella legionestraniera in Portogallo contro don Miguel (1833). Rientrato inPiemonte con l’appoggio di Carlo Alberto, si dedicò agli studidi economia e scienze sociali senza abbandonare l’impegno po-litico, ma rivolgendolo alle attività istituzionali e all’opera diinformazione e divulgazione. Reca la sua firma un saggio cheuscì a Firenze, città in cui si trasferì a vivere per alcuni anni, nel1841: Sul principio di osservazione applicato all’economia agrico-la. Nel 1836 Massimo Cordero di Montezemolo aveva, del re-sto, già fondato la rivista scientifico-letteraria «Il Subalpino»,che dal 1839 fu diretta, sia pur non ufficialmente, sino alla sop-pressione nel 1840, da Lorenzo Valerio e da un tiepido mazzi-niano come Giuseppe Cornero63. Negli stessi anni Massimo col-laborò alle «Letture popolari» inaugurate sul finire del 1836 daValerio, un giornale, rivolto ai ceti sociali più umili, che, sop-presso, fu dal 1842 ribattezzato con il titolo meno inquietante di«Letture di famiglia»64. Direttore, dal 1848 al 1849, della rivista

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63 «Due fogli di carta reale piegati in ottavo, contenenti da 32 a 40 pagi-ne di stampa, con coperta, formeranno un numero. La distribuzione se ne faràogni primo ed ogni quindicesimo giorno di ciascun mese, a cominciare dal me-se di aprile prossimo venturo. Le materie da trattarsi saranno filosofia, storia,archeologia, economia politica, commercio, industria, arti, letteratura e criti-ca». Così Massimo Cordero in una lettera inviata da Torino il 26 gennaio 1836al conte Carlo Beraudo di Pralormo, segretario di Stato agli Interni. Cfr. L. VA-LERIO, Carteggio (1825-1865), raccolto da L. Firpo, G. Quazza, F. Venturi, vol.I, 1825-1841, L. Firpo e A. Viarengo (a cura di), Fondazione Luigi Einaudi,Torino 1991, pp. 109-111. Molti altri riferimenti a Massimo Cordero ivi, pas-sim, e nei voll. II e III dello stesso Carteggio.

64 A. VIARENGO, Associazionismo, giornalismo e politica nella Torino car-loalbertina: gabinetti di lettura e associazioni culturali, in Dal Piemonte all’Ita-lia. Studi in onore di Narciso Nada nel suo settantesimo compleanno, U. Levrae N. Tranfaglia (a cura di), Museo del Risorgimento, Torino 1995, pp. 173-190;

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«L’opinione», sedette nel Consiglio comunale di Mondovì dal1844 al 1848, esercitando quasi contemporaneamente la caricadi sindaco presso la comunità di Montezemolo (1845-49). De-putato dalla prima alla terza legislatura (1848-49), senatore delRegno (1851), Massimo Cordero assunse ripetuti e rilevanti in-carichi politici e diplomatici: commissario generale del re inLombardia nel luglio 1848, ambasciatore straordinario pressoPio IX, allora a Gaeta, nel dicembre 184865, ministro plenipo-tenziario a Pietroburgo, governatore di Nizza, luogotenente delre in Sicilia. Né il suo cursus honorum si sarebbe interrotto do-po l’Unità. Nel 1856 lo si trovava ancora fra i fondatori di un or-gano a stampa, l’«Indipendente», intorno al quale si raccolse ungruppo di esponenti del centro-destra: i fondatori erano stati,oltre a Cordero, il conte Carlo Alfieri di Sostegno e DomenicoBerti. Dalle pagine dell’«Indipendente», nel 1857, MassimoCordero fece sentire la propria voce all’interno di quella che èstata definita un’“opposizione amministrativa”, composta ap-punto da “liberali indipendenti” (accanto a lui erano Pier Car-lo Boggio e Domenico Berti) contrari alle linee politiche del cen-tro-sinistra, in particolare avversari di Rattazzi e Lanza66. Nel1858 Massimo fu nuovamente incaricato di una missione diplo-matica, questa volta presso lo zar67. Il fratello minore, Enrico,aveva puntato invece, più tradizionalmente, alla professione del-le armi in cavalleria, ma dopo il 1848 le aveva affiancato la poli-tica, presentandosi quale candidato al Parlamento e risultandoeletto dal 1853 al 1861.

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ID., “Tra filantropia e progetto politico. Le «Letture popolari» di Lorenzo Va-lerio (1836-1841)”, «Rivista storica italiana», C (1998), pp. 559-668.

65 G. QUAZZA, La missione Riccardi-Montezemolo a Gaeta nel dicembre1848-gennaio 1849: da documenti inediti, S.A.T.E.B., Biella 1942 (estr. da «Illu-strazione biellese», n. 1-2, gennaio-febbraio 1942).

66 C. CAVOUR, Epistolario, vol. XIV (1857), C. Pischedda e R. Roccia (acura di), Olschki, Firenze 1994, pp. 375, 513.

67 Conobbe allora la sua seconda moglie, la contessa Anastasia Lubiano-ski, dama d’onore della zarina.

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5. Nel Regno d’Italia

Dal 1861 sia Massimo sia Enrico proseguirono il loro impe-gno al servizio sabaudo, ma in campi abbastanza particolari, nondel tutto consueti per la nobiltà piemontese. Enrico, uscito dalParlamento, divenne una sorta di commis d’État della Corona innumerosi enti economici e creditizi68. Massimo iniziò una car-riera che lo portò in alcune delle sedi più delicate del neonatoRegno d’Italia. Nel 1860 Vittorio Emanuele II lo nominò suoluogotenente in Sicilia con il non facile compito di gestire latransizione dell’isola dall’esperienza garibaldina a quella del Re-gno costituzionale69. Negli anni successivi egli fu prefetto diBrescia, Bologna, Firenze e Napoli.

È interessante che, dopo la morte di Massimo, Enrico ini-ziasse a riflettere sulla propria vicenda personale, su quella del-la famiglia e sul senso che questa poteva avere nella nuova Italiache si stava costruendo. Nel 1883, tre anni prima della pubbli-cazione di un opuscolo dedicato alle Meditazioni di un vecchioliberale70, uscivano i suoi Souvenirs de jeunesse par un gentilhom-me piémontais71.

È significativo che quasi contemporaneamente un altroesponente di un’antica famiglia piemontese, Emanuele Tappa-relli d’Azeglio (1816-1890), figlio di Roberto e nipote di Massi-

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68 Fu presidente della Società anonima italiana di navigazione adriaticaorientale e della Società anonima per la fabbricazione dei pani da caffè, com-missario governativo della Banca di credito italiano a Torino, della Società ton-tine italiane e della Società industriale e commerciale. Cfr. A. DELL’ACQUA,Annuario statistico del regno d’Italia per l’anno 1865, Dall’Acqua, Milano1865, pp. 432, 443, 461.

69 È forse un’eco della sua presenza nell’isola la scelta da parte di Toma-si di Lampedusa di nominare Chevalley di Monterzuolo (C. di M., come Cor-dero di Montezemolo), il nobile piemontese – «rampollo di una di quelle fa-miglie della piccola nobiltà piemontese che viveva in dignitosa ristrettezza sul-le propria terra», «sbalzato» in Sicilia come segretario di prefettura «drittodritto dalla propria terricciola del Monferrato» – protagonista del celebre in-contro col principe di Salina nel quarto capitolo del Gattopardo.

70 Issoglio, Torino 1886, 15 pagine.71 Forzani, Rome-Turin 1883.

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mo, sentisse il bisogno di riflettere sul proprio passato e in par-ticolare sull’appartenenza a un ceto il cui ruolo risultava messoin discussione dal volgere dei tempi. Profondamente diverse ap-parivano, tuttavia, le due opere: l’una, quella di Enrico Corde-ro di Montezemolo, giocata sul tenue legame fra il diario di fa-miglia e il resoconto autobiografico della propria formazionemilitare e politica, l’altra, quella di Emanuele Tapparelli volta aconcentrarsi sulle memorie dei propri antenati; una proiettataverso il futuro e la nuova dimensione nazionale, l’altra, in sinto-nia con gli insegnamenti ricavati dai Ricordi dello zio Massimo,presentata come una sorta di «autopsia morale» per «gettare losguardo sulla via scorsa»72. Un elemento che sarebbe erroneo ri-tenere soltanto formale accomunava i due scritti: l’uso della lin-gua francese. Era una dichiarazione – neanche tanto implicita –di appartenenza alla koinè aristocratica, ma anche uno strumen-to che si piegava a trasmettere Weltanshauung non riconducibi-li a un’unica, indistinta matrice.

Il testo dei Souvenirs di Enrico Cordero lasciava appenapercepire il punto di vista sulle dinamiche che avevano attraver-sato la società aristocratica piemontese e, nello specifico, l’am-biente in cui erano vissuti gli antenati. Non più che un frettolo-so cenno si trovava, all’inizio del libro, all’idea della discenden-za da lombi spagnoli, da un «père de race espagnole grefée depuisdes siècles sur l’italienne». Stringata era la notizia sul servizioprestato in gioventù dal padre come paggio del re di Sardegna.Al centro del discorso erano, piuttosto, alcuni momenti di crisi:l’occupazione francese di fine Settecento, i moti degli anni Ven-ti e Trenta, l’avvio del Risorgimento sino all’unificazione nazio-nale. A fine Settecento la situazione internazionale aveva spintoil padre di Enrico a sospendere temporaneamente la fedeltà ver-so i Savoia, mosso, secondo il figlio, da «aspirations de patriotede couer et d’âme», che lo avevano distinto dagli atteggiamenti

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72 Cfr. E. TAPPARELLI D’AZEGLIO, Une famille piémontaise au moment des’éteindre, Imprimerie Héritiers Botta e Jean Bruneri, Turin 1884. Se ne vedaanche la recente edizione italiana: Una famiglia piemontese in via d’estinzione,R. Roccia (a cura di), Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici del-la Provincia di Cuneo, Cuneo 2001.

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di altri Cordero73. Gli anni francesi erano tratteggiati da Enricoin maniera da salvare, insieme, la scelta del padre di accostarsial nuovo regime e la sua volontà di non colpire alle spalle i pro-pri parenti. Dopo la Restaurazione, del resto, nel 1823, i genito-ri di Enrico si erano trasferiti ad abitare a Torino ed Enrico erastato iscritto prima al «petit séminaire de Pignerol», poi all’ate-neo torinese, nella classe di filosofia74. La descrizione degli annidella propria giovinezza era punteggiata, di qui in poi, da unaserie di cammei dedicati, in chiave strettamente privata, alle fi-gure del padre, della madre, dell’amata fidanzata scomparsaprematuramente, infine della moglie, e ai periodici rientri nellacasa di Torino quando ormai Enrico aveva iniziato la carriera at-tiva nell’esercito, trascorrendo periodi di stanza in varie città:Vigevano, Nizza, Chambéry, Vercelli, Arona, Cannobio, Aosta,Alessandria. Dettagliate erano le informazioni offerte sul mon-do dei salotti e dei cenacoli nobiliari frequentati in particolare aNizza e a Vercelli: una serie di notazioni che costituiscono forsel’aspetto più interessante dei Souvenirs e che meritano di esseresegnalate allo storico della sociabilità dei ceti dirigenti di queglianni. Da Nizza, Enrico aveva assistito alla diffusione delle ideedella Giovane Italia nella vicina Marsiglia; negli anni della gio-vinezza e della maturità era stato testimone del ruolo svolto daCarlo Alberto, un sovrano che, secondo lui, aveva sicuramentecommesso nel 1821 gravi errori sottovalutando i condiziona-menti della situazione politica in Europa, ma che aveva poi di-mostrato animo generoso e grande orgoglio75. A Carlo Albertosi doveva, in fondo, quella libertà di stampa da cui erano matu-rate le esperienze giornalistiche condivise anche dal fratelloMassimo. L’ultimo capitolo dei Souvenirs rifletteva sui principa-li attori della scena politica che da sabauda era diventata italia-na, scena della quale Enrico, come parlamentare, aveva cono-sciuto da vicino la trama. I giudizi erano qui rivolti a Cavour e aGaribaldi, i due volti del Risorgimento, verso i quali il “vecchio

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73 E. CORDERO DI MONTEZEMOLO, Souvenirs de jeunesse par un gen-tilhomme piémontais cit., p. 8.

74 Ivi, p. 15.75 Ivi, pp. 117-129.

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liberale” aristocratico piemontese, per diverse ragioni, provavarispetto. Cavour, fine politico e diplomatico, era considerato un«génie créateur et le plus habile ouvrier», Garibaldi un coman-dante militare eroico e già quasi leggendario. Ciò che preoccu-pava Cordero erano, piuttosto, le nuove idee repubblicane e so-cialiste, ancora minoritarie, ma in grado di compromettere l’u-nità e la libertà conquistate da poco dall’Italia; il suo auspicioera che il governo sapesse contenerle entro la «stricte observa-tion de la loi»76.

L’interesse verso la ricerca storica compare anche in altriesponenti dei Cordero: sia per la storia della famiglia sia perquella del vecchio Piemonte (categoria che si andava elaboran-do nei decenni post-unitari e che ebbe non poca rilevanza nellacultura subalpina fra Otto e Novecento). Ci limitiamo a ricor-dare qui l’attività dell’abate Emilio Cordero di Montezemolo(1817-1890), canonico della cattedrale di Mondovì, il quale fufine cultore di storia patria, venendo ascritto come socio corri-spondente alla Società di Archeologia e Belle Arti e alla RegiaDeputazione sovra gli Studi di Storia Patria. Egli scrisse ancheuna lunga storia familiare destinata a restare manoscritta77.

L’interesse per la storia si riscontra anche in uno dei più im-portanti esponenti del ramo dei Cordero di Pamparato, il mar-chese Stanislao (1858-1932), nipote dell’omonimo marchese ches’è visto nel 1842 rifiutare la carica di sindaco di Mondovì. Uffi-ciale degli Alpini, egli s’interessò soprattutto – ma non solo – distoria della musica negli Stati sabaudi, scrivendo studi che si pos-sono considerare piccoli classici78. È difficile non scorgere die-tro questo interesse per la storia, che unisce più generazioni tro-vatesi a vivere la transizione fra il vecchio Piemonte e l’Italia li-berale, la consapevolezza che un’epoca si stava chiudendo per

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76 Ivi, pp. 164-172.77 Su di lui cfr. Le carte dell’archivio Cordero di Montezemolo cit., passim,

in particolare p. XXVII. 78 Su Stanislao Cordero di Pamparato, figura ancora oggi di riferimento

per gli studiosi di storia della musica negli spazi subalpini, manca purtroppoun’indagine, che meriterebbe di essere compiuta in omaggio alla vastità e allaprofondità dei temi da lui affrontati.

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sempre. D’altra parte, non può esser considerato certo un casoche l’amore autentico per la riflessione su una storia che oggi so-lo ingenerosamente potremmo definire locale fosse maturato inEmilio di Montezemolo e in Stanislao di Pamparato quando ilrapporto dei rami della famiglia con Mondovì era ancora unarealtà sentita e talvolta vissuta, ma che si stava esaurendo.

Raccontare, giunti a questo punto, la storia dei Cordero du-rante il Regno d’Italia richiederebbe uno spazio e un’analisi nonproponibili. Troppe risulterebbero le figure da presentare e il ri-schio sarebbe di cadere nei toni del centone o del bozzetto. Quel-lo che ci pare importante notare è che l’esercito si rafforzò comeprincipale, se pur non esclusivo, campo d’alleanza fra la famigliae la Corona. Una caratteristica – questa – propria di molte altrefamiglie dell’aristocrazia sabauda, ma vissuta con un’intensitànon comune e con una particolarità: mentre «i nobili piemonte-si tendevano a concentrarsi nella cavalleria, corpo di antico e tra-dizionale prestigio, e nei reggimenti d’élite della fanteria», i Mon-tezemolo si dispiegarono in quasi tutti i corpi delle forze armate.Se, poi, come scrive Cardoza, «in linea di massima la nobiltà pie-montese evitò i corpi del genio e dei carabinieri»79, è pur veroche, fra i pochi che vi entrarono, vi fu Giulio Cordero di Monte-zemolo (1834-1921), che giunse al grado di tenente colonnello80.

Piuttosto che per la cavalleria, si riscontra un’interessantepredilezione per l’artiglieria, arma tecnica e dotta per eccellen-za. In questa servirono il marchese Carlo Cordero di Monteze-molo (1858-1943) e i suoi fratelli minori Vittorio (1862-1950),Demetrio (1868-1935), capostipite dei Cordero Lanza, e Mario(1888-1960). Una scelta che venne ripresa anche da alcuni deiloro figli: il marchese Mario (1888-1960), figlio di Carlo, e Al-berto (1892-1978), figlio di Vittorio. Fu dall’artiglieria e daglistudi di ingegneria che alcuni Montezemolo passarono all’avia-zione, di cui il già citato Vittorio fu uno dei pionieri. GiuseppeCordero Lanza, figlio di Demetrio, combatté nella prima guer-

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79 A. CARDOZA, Patrizi in un mondo plebeo. La nobiltà piemontese nell’I-talia liberale, Donzelli, Roma 1997, p. 151.

80 Si tratta del padre del celebre pittore Guido Cordero di Montezemo-lo (1878-1941).

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ra mondiale fra gli Alpini, quindi si laureò in ingegneria e passòal genio, altra scelta rarissima per un nobile piemontese81. Nu-merosi altri esponenti della casa servirono in marina. Non vi fuquasi arma dell’esercito in cui non figurassero ufficiali di casaMontezemolo, con la parziale eccezione appunto, ed è una par-ticolarità ben interessante, della cavalleria82.

Questo legame con il mondo militare, che nell’Ottocento,come si è visto, rappresentava solo uno dei terreni possibili peril servizio, divenne così totalizzante da cancellare quasi la me-moria delle altre storie dei Cordero. In anni recenti, AdrianaCordero di Montezemolo (1931), figlia del colonnello Giusep-pe, nel descrivere brevemente la famiglia l’ha presentata unica-mente come «una famiglia di tradizione militare, [con] molti uf-ficiali di marina [e] ufficiali dell’esercito»83.

Chi esamini la vicenda dei Cordero di Montezemolo fra Ot-to e Novecento non può non notare, del resto, anche altre par-ticolarità come una politica matrimoniale che spesso superava iconfini di ceto – cui, invece, restava fedele la gran parte della no-biltà piemontese – e una nel complesso limitata partecipazionea quelle forme di sociabilità aristocratica che erano, invece, unodei principali terreni di autorappresentazione dell’aristocraziasubalpina. Basti un dato: fra 1841 e 1941 i Montezemolo ebbe-ro appena tre soci nel Circolo del Whist, il più importante cir-colo aristocratico torinese, e tutti e tre gli iscritti furono accoltidopo la prima guerra mondiale84.

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81 Secondo i dati forniti da Cardoza nel 1914 su 207 ufficiali provenien-ti dalla nobiltà piemontese, 101 erano in cavalleria, 52 in artiglieria e nessunonel genio.

82 I dati sono ricavati da una memoria familiare scritta da Massimo Cor-dero di Montezemolo nel 2005 per uso interno alla famiglia, che abbiamo po-tuto leggere grazie alla cortesia di Luigi Vittorio Ferraris.

83 A. PORTELLI, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse ardeatine, lamemoria, Donzelli, Roma 1999, p. 37.

84 Si tratta del cavalier Cesare, socio dal 1922, e dei fratelli Giuseppe eRenato Cordero Lanza, soci rispettivamente dal 1939 e dal 1931. Questo da-to si ricava dagli elenchi approntati in La società del Whist - Accademia filar-monica. Torino 1814 - 1841 - 2004. I Circoli - il palazzo - i soci, Allemandi, To-rino 2004, pp. 128-129. Sul tema rimando ai saggi raccolti in questo volume eal libro di A. CARDOZA, Patrizi in un mondo plebeo cit., pp. 156-166.

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Una scelta militare così attiva e profonda non poteva non ac-centuare progressivamente l’allontanamento della famiglia daMondovì, ora che lo scenario del servizio alla Corona era l’Italiae non più il vecchio Piemonte. Si può dire, infatti, che più si avan-zava nel Novecento più il rapporto con Mondovì diveniva unascelta residuale, senza voler ascrivere a tale espressione valore ne-gativo. Negli anni dell’Italia liberale i fratelli Emilio (1860-1924),ingegnere, e Umberto (1864-1949), ufficiale di marina, continua-rono a risiedere a Mondovì partecipando alla vita politica dellacittà. Entrambi sedettero in Consiglio, ricoprendo anche altre ca-riche amministrative, e Umberto riuscì, nel 1909, a farsi eleggeredeputato. Ma ormai, a otto secoli di distanza dal Guglielmo Cor-dero che era stato sindaco nel 1196, si trattava degli ultimi segnidi un legame, in lento, non traumatico, scioglimento. Non è uncaso, forse, che nel secondo dopoguerra la figura più in vista deiCordero a Mondovì sia stata un’insegnante e un’appassionata stu-diosa di storia del Piemonte sabaudo: Emilia Cordero di Monte-zemolo (1893-1964), figlia dell’ingegner Emilio appena citato85.

Come già fra Sette e Ottocento, le vicende della secondaguerra mondiale posero i Montezemolo di fronte a scelte com-plesse. Nei terribili anni fra il 1943 e il 1945 il marchese MarioCordero di Montezemolo, che abbiamo visto ufficiale d’artiglie-ria, non ebbe esitazioni a restare fedele al re, rifiutandosi di ser-vire la Repubblica Sociale e prestando, anzi, cospicuo aiuto allaResistenza. La scelta di Giuseppe Cordero Lanza di Monteze-molo, del fratello Renato, del lontano cugino Felice Cordero diPamparato non fu diversa, ma sarebbe un errore pensare che es-sa nascesse solo dalla necessità di offrire una rapida risposta al-la crisi improvvisa dello Stato.

Siamo giunti così a innestare la lunga vicenda dei Corderoal punto da cui avevamo preso le mosse. E ci piace chiudere ri-prendendo le pagine di un’autrice che è stata riscoperta in tem-

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85 Su Emilia Cordero cfr. P. CAMILLA, “Emilia Cordero di Montezemolo1893-1964”, «Bollettino della Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Ar-tistici della Provincia di Cuneo» n. 55, 1966, f. II, pp. 75-85 ed ora G. LOM-BARDI, “Ricordando una studiosa e un’educatrice: Emilia Cordero di Monte-zemolo”, ivi, n. 72, 1975, f. 1, pp. 133-136.

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pi recenti per la sua sensibilità nel cogliere le pieghe della societàpiemontese fra gli anni del fascismo, quelli della seconda guer-ra mondiale e infine del dopoguerra.

Nel 1930 Barbara Allason, una liberale che aveva già paga-to il suo antifascismo con la perdita dell’insegnamento e che po-chi anni dopo avrebbe scontato la sua opposizione al Duce condiversi mesi di carcere alle Nuove di Torino, veniva presentatada un ufficiale del genio, loro comune amico, a Montezemolo.Questi era allora un ufficiale non ancora trentenne, animato daun anti-fascismo non minore di un altrettanto schietto anti-co-munismo (quello stesso che lo avrebbe portato di lì a qualche an-no a partecipare alla guerra di Spagna). La Allason, provenienteda una famiglia di ufficiali liberali e monarchici e il cui padre erastato precettore del duca d’Aosta, negli anni precedenti aveva as-sistito con sgomento alla deriva fascista di tanta parte della no-biltà piemontese: una storia che nel dopoguerra avrebbe descrit-to in due libri oggi un po’ dimenticati, ma ancora affascinanti, leMemorie di un’antifascista (1946) e Vecchie ville e vecchi cuori(1950)86. Dell’incontro con Montezemolo scrisse:

Tanferna mi fece pure conoscere alcuni ufficiali del suo corso, chetutti si mostrarono pieni d’entusiasmo e di fede. Uno di questi ufficia-li fu Montezemolo, il futuro martire. Non ho mai dimenticato quellasera d’ottobre: errando lungamente per i nebbiosi viali torinesi, Mon-tezemolo, Tanferna e io si parlò di tutti i mali che desolavano la nostrapatria, di ciò che si doveva fare, che tutti dovevano fare per destarladal sonno in cui scivolava verso la sua rovina. Ma specialmente un par-ticolare io ricordo e voglio qui segnare, a monito dei troppo tepidiamanti della libertà: Tanferna accennò a un certo punto al fatto che lamonarchia, essendosi vincolata al fascismo, aveva compromesso il suoavvenire, e per atterrar quello forse si sarebbe stati costretti a marcia-re anche contro la monarchia. Montezemolo restò a lungo pensoso:«Io amo la monarchia, – disse alfine, – vorrei poterle restare fedele …

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86 Di entrambi i testi sono recentemente uscite nuove edizioni: B. ALLA-SON, Memorie di un’antifascista 1919-1940, M. Novelli (a cura di), Spoon ri-ver, Torino 2005; EAD., Vecchie ville e vecchi cuori, G. Jori, (introduzione e cu-ra di) Aragno, Torino 2008. Alla densa introduzione di Jori rimandiamo perun inquadramento della figura della Allason (1877-1968).

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Ma se la patria e la dignità umana lo richiedessero, ebbene … quandmême!». Quando all’angolo di corso Umberto e corso Vittorio lasciaiMontezemolo avevo il cuore pieno di speranze: «Se ce ne saranno cen-to come lui…» – pensavo. Ma le tempre eroiche come quella di Mon-tezemolo son rare in tutti i paesi; e guai alle nazioni che, per marciaresulla via normale dell’onestà e del buon senso, han bisogno che il po-polo sia fatto di eroi87.

Troppo a lungo, però, le sorti del fascismo e della Coronaerano state intrecciate perché la rottura del 1943 evitasse, tre an-ni più tardi, la caduta di quest’ultima, dopo quasi un millenniodi sovranità ininterrotta88.

Per le nobiltà piemontesi – e per i Cordero – si pose allorail problema del ruolo da scegliere nella nuova realtà italiana. Sitratta di una storia che è in buona parte ancora da scrivere e checostituisce un tratto – crediamo non il meno significativo – delproblema della costruzione dell’élite nell’Italia repubblicana.

Non è privo di interesse, in tal senso, che negli orizzonti diquesto nuovo ruolo l’esercito sia praticamente scomparso, men-tre abbia mantenuto (nel caso dei Cordero sarebbe più giustodire ripreso) un ruolo la diplomazia. È questo lo sfondo, quin-di, su cui va collocata l’esperienza dei cugini Andrea CorderoLanza di Montezemolo (1925)89 e Vittorio Cordero di Monteze-

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87 B. ALLASON, Memorie di un’antifascista cit., pp. 112-113. Mario Tan-ferna (n. La Spezia, 1898), allora giovane capitano del genio, era stato volon-tario nella prima guerra mondiale. Avverso al fascismo, alla fine degli anni ven-ti aderì al movimento «Giustizia e libertà», per conto del quale si occupò del-la propaganda fra i militari. Nel 1932 era capo dell’Ufficio difesa del primocorpo d’armata a Torino. Proseguì la sua carriera militare durante la Repub-blica, concludendola con il grado di generale del genio.

88 Sulle peculiarità della dinastia, fra cui, in primis, la sua lunga e quasiunica continuità di regno, si vedano i saggi raccolti nei recenti I Savoia. I seco-li d’oro di una dinastia europea, W. Barberis (a cura di), Einaudi, Torino 2007,e La reggia di Venaria e i Savoia. Arti, magnificenza e storia di una corte euro-pea, catalogo della mostra, E. Castelnuovo e a. (a cura di), Allemandi, Torino2007, 2 voll.

89 Nunzio apostolico in Papua Nuova Guinea (1977-80), Honduras e Ni-caragua (1980-86), Uruguay (1986-90); Cipro (1990-98); Israele (1994-98) eItalia (1998-2001), è stato creato cardinale da Benedetto XVI nel 2006. Fra1990 e 1994 fu delegato apostolico a Gerusalemme, in Palestina e Giordania,

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molo (1917-1982)90, diplomatici come diversi loro antenati, manon più al servizio di un sovrano sabaudo, bensì, rispettivamen-te, dello Stato del Vaticano e della Repubblica d’Italia. Nuoviorizzonti per antiche competenze.

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divenendo artefice dell’apertura di relazioni diplomatiche fra Stato del Vatica-no e Israele.

90 Fu, tra l’altro, ambasciatore d’Italia presso la Santa Sede dal 1977 al1979. Vent’anni dopo, come visto, il cugino Andrea sarebbe stato nunzio apo-stolico della Santa Sede in Italia.

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È questo il mio Paese?, di Alessandra Corderodi Montezemolo p. 5

Un personaggio a tutto tondo,di Luigi Vittorio Ferraris 9

1. Infanzia e giovinezza (1917-1945)

Le mie radici 13Tripoli 15La mia scelta: la diplomazia 18Gli esami 21La bocciatura 22Intermezzo militare 24Lotta contro i tedeschi 28Prime bandiere rosse 30Montenegro 31Comando Supremo 32Il tramonto della monarchia 36Ritorno in famiglia 37

2. Primi passi in carriera (1945-1949)

La revisione del concorso 41Oublier Palerme 43L’ambasciata 44

Indice

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3. L’Argentina: una vita da giovani in un paesegiovane (1949-1955)

Il lavoro e gli ex-colleghi 47Viaggiare nella pampa 48Il passato e l’avvenire 50Italiani a Mendoza 52La Fiat e il Governatore 54La fine di Peron 55Una missione esemplare 56

4. Madrid (1955-1957)

Alla ricerca di un blasone 59I Monsignori 61I misteri della politica spagnola 62

5. Ritorno in Italia (1957-1962)

Lavoro al Ministero 65Il muro di Berlino 68

6. Console generale a New York (1963-1967)

Un’esperienza vivificante 71New York e la musica 73Arti plastiche 75Nenni scopre l’America 77La “caduta” di Fanfani 79Bob Kennedy in Italia 83The Marquesa lost and found 84Un Re a New York 87La spesa da Manganaro 89Arte italiana classica 91Italiani in Vietnam 95Alla scuola dei gangsters 99

7. Di nuovo in sudamerica (1967-1971)

Montevideo e l’Uruguay 103Fare un Presidente 106

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Padre Cocco 110Credenziali in Costarica 112Ambasciatori “corazzati” 114

8. Israele: una difficile missione (1971-1974)

L’importanza di chiamarsi Tito 117La Dea d’Israele 118Ben Gurion, una figura biblica 120Massada 122La Via Maris e il monastero di Santa Caterina 124Il cammeo di Alessandro il Grande 126La sposa venduta 127Un cardinale in pectore 129L’incontro con Dossetti 131Guerra del Kippur 133

9. La Direzione Generale degli Affari Culturali(1974-1977)

A Mosca con il Presidente Leone 137Un grande mistero: la Cina 140Siad Barre e le miserie della Somalia 144Cina e occidente: un incontro fecondo 146

10. La Santa Sede (1977-1979)

La «rivoluzione» dell’11 febbraio 149Pontefici 151Paolo VI 154Revisione del concordato 155I funerali di Aldo Moro 158Paolo VI e Pertini 159Lo scandalo 162Giovanni Paolo I 165Il secondo Conclave 167Giovanni Paolo II 170Un ultimo saluto al nuovo Papa 172

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11. Ginevra: le Nazioni Unite e il disarmo (1979-1982)

Una macchina enorme e inefficiente 179La vecchina della C.R.I. 181Sanscrito alle Nazioni Unite 182La Regina in esilio 183Qualcosa di nuovo 184Visitatori in Svizzera 186La mancata colazione con Kissinger 187I fantasmi di Ginevra 189

Genealogia dei Cordero di Montezemolo 191

Fra governo di Mondovì e servizio sabaudo: i Cordero di Montezemolo dal Cinque al Novecentodi Paola Bianchi - Andrea Merlotti 193

1. Premessa 1932. Mondovì, Roma e Torino:

i Cordero fra Cinque e Seicento 1943. Feudatari sabaudi: i Cordero fra Sei e Settecento 2044. Dalla cesura francese al Risorgimento 2145. Nel Regno d’Italia 224

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