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MANFREDI MERLUZZI Considerazioni su Cesare Baronio e la Spagna, tra controversia politica e ricezione erudita Affrontare la questione delle relazioni tra Cesare Baronio e il mondo ispa- nico vuol dire soffermarsi su una pluralità di situazioni differenti, appro- fondire un clima culturale affascinante e complesso, le cui declinazioni appaiono pienamente in linea con la poliedricità del cardinale oratoriano, ma significa anche inserirsi in un contesto politico e diplomatico articolato su scala europea, in cui le relazioni tra la Curia romana e la Corte di Madrid si fanno particolarmente fitte e vivaci, in cui la posta in gioco è quella della prevalenza all’interno dello schieramento cattolico, in un’Europa ancora lacerata dalla Riforma protestante e profondamente segnata dallo spirito di reazione cattolica al protestantesimo. L’oggetto del nostro contributo si focalizzerà soprattutto su Cesare Baronio e la Spagna, piuttosto che sull’eco dell’opera del cardinale orato- riano nel mondo iberico, di modo che si possa meglio sottolineare un rap- porto dialettico, in cui il Sorano non risulti protagonista solamente grazie alla ricezione delle sue opere e alla reazione che esse suscitano, ma emerga anche come un attore rilevante nella definizione di un divenire di posizio- ni che meglio esprimono la complessità e l’evoluzione di questa relazio- ne con il mondo ispanico, ma, soprattutto, con la Monarquía. Essa viene progressivamente definendosi attraverso l’intreccio delle vicende politiche europee con la pubblicazione delle opere scritte dall’Oratoriano. L’effetto prodotto dalle scelte politiche, storiografiche e personali del cardinale de- terminerà sensibilmente la ricezione delle sue opere nella penisola iberica e l’atteggiamento della Corona di Castiglia nei suoi confronti. Tale impo- stazione ci permette di comprendere meglio il rapporto tra l’Oratoriano e la corte di Madrid come fenomeno in evoluzione, dando ragione del situarsi del nostro personaggio nel crocevia di alcuni snodi fondamentali del pe-

“Cesare Baronio e la Spagna, tra controversia politica e ricezione erudita”, in G.A. Guazzelli, R. Michetti, F. Scorza Barcellona (a cura di), Cesare Baronio tra santità e scrittura

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Considerazioni su Cesare Baronio e la Spagna,tra controversia politica e ricezione erudita

Affrontare la questione delle relazioni tra Cesare Baronio e il mondo ispa-nico vuol dire soffermarsi su una pluralità di situazioni differenti, appro-fondire un clima culturale affascinante e complesso, le cui declinazioni appaiono pienamente in linea con la poliedricità del cardinale oratoriano, ma significa anche inserirsi in un contesto politico e diplomatico articolato su scala europea, in cui le relazioni tra la Curia romana e la Corte di Madrid si fanno particolarmente fitte e vivaci, in cui la posta in gioco è quella della prevalenza all’interno dello schieramento cattolico, in un’Europa ancora lacerata dalla Riforma protestante e profondamente segnata dallo spirito di reazione cattolica al protestantesimo.

L’oggetto del nostro contributo si focalizzerà soprattutto su Cesare Baronio e la Spagna, piuttosto che sull’eco dell’opera del cardinale orato-riano nel mondo iberico, di modo che si possa meglio sottolineare un rap-porto dialettico, in cui il Sorano non risulti protagonista solamente grazie alla ricezione delle sue opere e alla reazione che esse suscitano, ma emerga anche come un attore rilevante nella definizione di un divenire di posizio-ni che meglio esprimono la complessità e l’evoluzione di questa relazio-ne con il mondo ispanico, ma, soprattutto, con la Monarquía. Essa viene progressivamente definendosi attraverso l’intreccio delle vicende politiche europee con la pubblicazione delle opere scritte dall’Oratoriano. L’effetto prodotto dalle scelte politiche, storiografiche e personali del cardinale de-terminerà sensibilmente la ricezione delle sue opere nella penisola iberica e l’atteggiamento della Corona di Castiglia nei suoi confronti. Tale impo-stazione ci permette di comprendere meglio il rapporto tra l’Oratoriano e la corte di Madrid come fenomeno in evoluzione, dando ragione del situarsi del nostro personaggio nel crocevia di alcuni snodi fondamentali del pe-

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riodo in cui egli si trovò ad agire, non solo come storico, ma anche come oratoriano, cardinale, confessore del pontefice Clemente VIII, suddito del re di Napoli e quindi di Spagna. La ricerca di una migliore comprensione di tale complessità di ruoli e di situazioni appare indispensabile per la rico-struzione di un’epoca segnata da una contrapposizione profonda a livello politico e religioso: prospettiva che, se da un lato ci riporta in quello che è stato definito “il secolo di ferro” dallo storico britannico Henry Kamen, mutuando, per l’arco cronologico dal 1550 al 1650, una definizione che la storiografia aveva elaborato per il secolo X,1 dall’altro ci permette di considerare la centralità politica che la Curia romana rivestiva all’interno del “teatro del mondo”, in un complesso sistema di costruzione e di elabo-razione di linguaggi politici alimentati dalla cultura barocca.2

1. Una fortuna alterna o una relazione in divenire?

Nel 1910 Francesco Ruffini apriva un volume significativamente ti-tolato Perché Cesare Baronio non fu papa. Contributo alla storia della Monarchia Sicula e del Jus Esclusivae, ostentando una perentoria certezza: «le cagioni del volere, o meglio, del malvolere spagnuolo sono limpide e sicure». Il Ruffini riteneva che l’«inimicizia degli Spagnuoli» contro il Baronio fosse dovuta principalmente alla «questione della Monarchia Sicula».3 Egli fondava le sue argomentazioni a partire da una fonte coeva, una relazione anonima del primo Conclave del 1605, svoltosi tra il 14 mar-zo e il 1 aprile, che elesse come successore di Clemente VIII papa Leone XI (Alessandro de’ Medici). La relazione era curiosamente inedita, benché, come osservava il Ruffini, fosse «diffusa assai nelle Biblioteche e negli

1. H. Kamen, The Iron Century. Social Change in Counter Reformation Europe. 1550�1650, London 1971 (trad. it.: Il secolo di ferro, 1550�1650, Roma-Bari 1985³).

2. I linguaggi del potere in età moderna, a cura di F. Cantù, 2 voll., Roma 2009; La corte di Roma tra Cinque e Seicento teatro della politica europea, a cura G. Signorotto, M.A. Visceglia, Roma 1998; sul complesso sistema della cerimonialità romana si vedano anche Cérémoniel et rituel à Rome (XVIe�XIXe siècle), a cura di C. Brice, M.A. Visceglia, Rome 1997; M.A. Visceglia, La città rituale. Roma e le sue cerimonie in età moderna, Roma 2002.

3. F. Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa. Contributo alla storia della Monar-chia Sicula e del Jus Esclusivae, Perugia 1910, p. 9.

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archivi d’Italia».4 La diffusione di questa anonima relazione ci fa supporre che anche il suo contenuto fosse largamente circolato e che, in parte, fosse condiviso nella penisola, contribuendo all’affermazione di questa interpre-tazione dei rapporti tra il cardinale sorano e la Monarchia di Spagna. Del resto, esistono numerose altre relazioni e fonti coeve, tra cui anche alcuni resoconti di diplomatici francesi e veneziani, a cui il Ruffini fa riferimento e che sembrano tutte ricostruire un medesimo quadro, da cui emerge niti-damente un’ostilità della Corona spagnola nei confronti del Sorano.5 L’im-pressione sembra essere condivisa anche da illustri contemporanei, come il cardinale francese Du Perron,6 e risulta in alcuni dispacci dell’Ambascia-tore veneto;7 lo stesso emerge in diverse occasioni anche dalla corrispon-denza dello stesso Baronio.8 Dovremmo, quindi, considerare la questione chiusa, accettando l’impostazione e la lettura date dal Ruffini?

La situazione ci appare più complessa, e, a nostro parere, necessita di una lettura che consideri una prospettiva diacronicamente più ampia rispetto a quella adottata dal Ruffini, tendenzialmente schiacciata sugli av-venimenti dei conclavi del 1605. In realtà, la fortuna di Cesare Baronio in Spagna a cavallo tra XVI e XVII secolo è alterna e sembra assumere con-torni nettamente diversificati a seconda della ricezione dei diversi aspetti dell’opera del poliedrico cardinale oratoriano. Possiamo affermare, senza dubbio, che nella penisola iberica non vi fu indifferenza per la sua produ-zione, tuttavia è possibile distinguere nettamente tra la ricezione del Baro-nio erudito e l’accoglienza riservata al Baronio difensore delle prerogative giurisdizionali della Chiesa (in un momento storico in cui la relazioni tra la Curia romana e la Corte degli Asburgo di Madrid erano particolarmente sensibili a tali questioni), tra il Baronio del Martyrologium Romanum e dei primi volumi degli Annales Ecclesiastici e l’azione politica e di Curia del Baronio cardinale, membro del Concistoro i cui interventi furono aperta-mente in contrasto con i diritti rivendicati dalla Monarquía Hispana.

Inoltre, è anche possibile tentare una cronologia della fortuna spagnola di Cesare Baronio, articolandola in varie fasi, segnate da una divaricazione

4. Ibidem, pp. 9-10.5. Ibidem, pp. 11-12, 20-24.6. Lettera del cardinal Du Perron al re, Roma 25 gennaio 1605, in C. De Ligny, Les

Ambassades et négotiations de l’Ill. et rev. Cardinal Du Perron, Paris 1623, p. 274.7. Cfr. R. Alberici, Venerabilis Caesaris Baronii … Epistolae et Opuscula pleraque

nunc primum ex archetypis in lucem eruta, 3 voll., Romae 1759-1770, in part. III, p. 85.8. Ibidem, pp. 111 ss., si vedano due lettere del febbraio 1599 al Talpa.

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crescente tra le posizioni degli Asburgo di Spagna, letta anche attraverso la sua azione diplomatica presso la Santa Sede, e quella dell’Oratoriano, che si trova progressivamente sempre più coinvolto nella difesa delle prerogative della Chiesa nei confronti della Monarchia, ponendo in evidenza un conflitto di doppia fedeltà, tra la sua condizione natale, che lo rendeva suddito del so-vrano di Napoli e quindi di Spagna, e il suo magistero all’interno della Chie-sa romana. Indubbiamente, il 1605 sarà l’anno che segnerà l’apice della osti-lità spagnola nei confronti del Baronio: essa si manifesterà in occasione dei due Conclavi, nel corso dei quali l’atteggiamento di diffidenza nei confron-ti del Sorano emerse con nitidezza; ma sarà anche l’anno di pubblicazione dell’undicesimo volume degli Annales Ecclesiastici, nel quale l’Oratoriano trattò della vexata quaestio relativa alla Legazia di Sicilia. Egli stesso decise di porre alla sua dissertazione la soprascritta «Hic auctor aggreditur serio admodum tractare de male instituta Monarchia Sicula, occasione diplomatis Urbani papae hoc anno dati Rogerio Siciliae comiti».9

Come è stato ricordato, gli Annales non sono da considerarsi un’opera storiografica di carattere “statico”, al contrario, va loro riconosciuta una importante valenza politica. Basterebbe ricordare il loro legame con le ten-sioni religiose nella Francia di fine XVI secolo, con le complesse vicende legate alla questione dell’ascesa al trono di Enrico IV di Borbone e alla sua conversione al cattolicesimo, che ebbe forte impatto sia sull’ambiente calvinista che sul resto della cristianità. Sarebbe anche sufficiente ricordare la ricezione che gli Annales ebbero nel mondo protestante.10 Tuttavia, è lo stesso autore ad esplicitarne la valenza politica nell’interessante dedica-toria del terzo volume al sovrano spagnolo Filippo II. La stessa viene poi ribadita dal Baronio nella dedicatoria del nono volume al sovrano francese; viene poi confermata in più occasioni nella sua corrispondenza.11 La lettura degli Annales non può, dunque, essere condotta isolandoli dalle vicende storiche del periodo in cui essi vennero concepiti e scritti dall’Oratoriano,

9. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, XI, Romae, Ex Typographia Vaticana, p. 677.10. Si vedano, tra gli altri, S. Zen, Baronio storico. Controriforma e crisi del meto�

do umanistico, Napoli 1994; E. Norelli, L’autorità della chiesa antica nelle Centurie di Magdeburgo e negli Annales del Baronio, in Baronio storico e la Controriforma, Atti del Convegno internazionale di studi, Sora 6-10 ottobre 1979, a cura di R. De Maio, L. Gulia, A. Mazzacane, Sora 1982, pp. 253-308.

11. In particolare, in una lettera al sovrano francese, egli promette che avrebbe inserito nei prossimi volumi degli Annales le azioni meritorie che Enrico IV avrebbe compiuto in favore della Chiesa, cfr. Alberici, Venerabilis Caesaris Baronii … Epistolae, I, p. 279.

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vicende che vedevano il loro autore profondamente partecipe e schierato politicamente e ideologicamente, ma altrettanto possiamo dire per la rice-zione dell’opera, che a sua volta, risentì delle stesse vicende.

Nella penisola iberica, come nel resto d’Europa, la fortuna del Baronio “erudito” presso la Corte e gli ambienti eruditi che attorno ad essa ruotava-no può esser testimoniata (oltre che dai riferimenti citati da Agostino Bor-romeo), dal rilievo che l’opera del Sorano ha in Luis Cabrera de Cordoba, autore dell’importante Historia de Felipe II, rey de España.12 La citazione ci appare rilevante perché trattandosi di un libro dedicato al sovrano, da questi commissionato, si presenta come una pubblicazione particolarmente in linea con gli interessi della Monarquía. Il Cabrera de Cordoba cita due volte Cesare Baronio. La prima nel capitolo IX, intitolato Reformación del año con el calendario gregoriano, sus razones y causas.13 Qui, ana-lizzando le ragioni del cambiamento di calendario, l’autore motiva anche i significati più remoti di tale scelta attraverso l’autorità degli Annales del Baronio per riferire su come al Concilio di Nicea si discusse di stabilire la data delle festività pasquali. La seconda, nel riferire sulla traslazione delle spoglie della martire santa Leocadia a Toledo, sua città di origine e luogo del suo martirio, l’autore cita in questo caso il Martyrologium Romanum del Baronio come riferimento autorevole.14 In entrambe le circostanze, il cardinale è portato ad esempio in qualità di autore erudito, ma anche di autorità incontestabile in materia.

Del resto, il cardinale godeva della massima stima come studioso e del rispetto dei letterati spagnoli, come testimoniano diverse attestazioni, anche successivamente ai suoi dissapori con la Corona. Recentemente, Francesca Cantù ha illustrato le fonti italiane di uno dei maggiori trattatisti ispanici del XVII secolo, Juan de Solórzano Pereira, autore della Politica Indiana e del De Indiarum Iure,15 evidenziando come Cesare Baronio, Roberto Bellarmi-no e Tommaso Bozio fossero tra i riferimenti teologici più frequentemente

12. L. Cabrera de Cordoba, Historia de Felipe II Rey de España, a cura di J. Martínez-Millán y C.J. De Carlos Morales, 4 voll., Salamanca 1998.

13. Ibidem, II, pp. 980-985.14. Ibidem, III, pp. 1055-1058.15. J. de Solórzano Pereira, De Indiarum iure, Liber I: De inquisizione Indiarum,

a cura di C. Baciero, L. Baciero, A.M. Barrero, J.P. García Añoveros, J.M. Soto, Madrid 2001, e Idem, Política Indiana, prólogo de F. Tomas y Valiente, Madrid 1996.

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adottati dal giurista spagnolo, anche quando trattava dell’analisi della natu-ra giuridica della Monarquía Hispana.16

La disapprovazione della Corona di Spagna nei confronti degli scritti del Baronio è legata alle conseguenze di natura politica che alcune delle posizioni contenute nelle opere del Sorano comportavano. Proprio l’au-torevolezza internazionalmente riconosciuta allo studioso amplificava il timore che alcune delle sue affermazioni potessero essere utilizzate come leva contro gli interessi politici della Monarquía nel complesso gioco po-litico e diplomatico che veniva in quegli anni costruendosi tra i principali poli della cristianità. Inoltre, l’importante ruolo che il cardinale ricopriva all’interno della Curia romana giustificava i timori spagnoli che le sue af-fermazioni fossero espressione di posizioni maturate e condivise ai massi-mi livelli nella corte papale.

Non si tratta tanto di una ostilità alle opere del cardinale in quanto tale, ma di alcune contestazioni puntuali, anche se di carattere non trascurabile, che vennero sollevate in seguito ad alcuni dei suoi scritti. Fermo restando l’apprezzamento che ebbero i suoi testi, nella penisola iberica e nel mon-do culturale ad essa collegato, la questione delle controversie sorte tra il Sorano e la Monarchia di Spagna rimane una delle chiavi di lettura della mancata elezione dell’Oratoriano, nei due Conclavi del 1605.17 Tuttavia, si tratta solamente di uno degli aspetti della questione, che nell’insieme appare più complessa e articolata.

2. Cesare Baronio e la politica internazionale: tra Roma, Madrid e Parigi

Se è impossibile affrontare questo argomento prescindendo dagli scrit-ti del Ruffini, altrettanto si dovrebbe dire per il prezioso studio di Agostino Borromeo dedicato a Baronio e la Corona di Spagna, condotto in occasione

16. F. Cantù, Monarchia cattolica e governo vicereale tra diritto, politica e teologia morale: da Juan de Solórzano Pereira (e le sue fonti italiane) a Diego de Avendaño, in Las cortes virreinales de la Monarquía española: América e Italia, a cura di Eadem, Roma 2008, p. 566. Su Solórzano Pereira si veda, tra gli altri, il recente E. García Hernán, Con�sejero de ambos mundos. Vida y obra de Juan de Solórzano Pereira (1575�1655), Madrid 2007.

17. Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa.

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del Convegno tenutosi a Sora nel 1979 e pubblicato nel 1982, negli atti curati da Romeo De Maio, Luigi Gulia e Aldo Mazzacane.18

Il saggio di Borromeo è, infatti, molto documentato e ben articolato. In esso, l’autore offre una grande ricchezza di fonti e di letture nel com-plesso difficilmente superabile, arricchendo notevolmente la prospettiva dell’analisi rispetto agli studi antecedenti. Esso, tra l’altro, ha il pregio di smentire su base documentale (grazie ad una accurata indagine archivistica condotta in Vaticano e in Spagna) alcuni luoghi comuni in precedenza ac-cettati dalla storiografia e che avevano confermato l’ostilità spagnola alla candidatura del Baronio al soglio di Pietro in occasione dei Conclavi del 1605, che avrebbero poi visto emergere prima papa Leone XI Medici, can-didato considerato filo-francese, il cui magistero durò soli 27 giorni, poi, papa Paolo V Borghese, pontefice più gradito alla Spagna.

Se, come abbiamo visto, sin dal 1605 si sostenne che tra le cause del-la mancata elezione al soglio pontificio del Baronio la controversia sulla Legazia di Sicilia abbia rivestito un ruolo considerevole,19 per una piena comprensione del rapporto tra Baronio e il mondo ispanico è necessario ampliare la prospettiva, considerando ulteriori aspetti e tracciando giudizi meno netti. Il rapporto tra Baronio e la Spagna, come abbiamo anticipato, non può esser letto solamente in chiave di aperta ostilità e focalizzando l’attenzione sulle due infelici circostanze nelle quali il cardinale oratoriano vide sfuggirgli l’opportunità di salire al soglio di Pietro,20 elemento che emerge anche nel saggio di Borromeo, che, spingendosi oltre, illustra ul-teriori aspetti e questioni rilevanti per la comprensione del tema. Tuttavia, tale contributo, proprio grazie a tutti i pregi ricordati, non può esser con-siderato come approdo finale della questione, quanto piuttosto come un significativo punto di partenza, dal momento che presenta una serie consi-derevole di risposte indicando alcune linee interpretative, ma, allo stesso

18. A. Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio e la Corona Spagnola, in Baronio storico e la Controriforma, pp. 55-165.

19. Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa, in part. pp. 16-22. Cfr. G. Catalano, Baronio storiografo e la «Regia Monarchia» di Sicilia, in Baronio storico e la Controrifor�ma, pp. 347-359, in part. 349-350.

20. Tra l’altro sia Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa, che Catalano, Il cardi�nale Cesare Baronio e la «Regia Monarchia» sicula, in Raccolta di scritti in onore di A.C. Jemolo, I/1, Milano 1962, pp. 167-183, che lo stesso Borromeo, Il Cardinale Cesare Ba�ronio, forniscono argomentazioni per provare il disinteresse del cardinale oratoriano verso la mitra papale.

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tempo, suscitando anche una serie di nuovi interrogativi che non sembrano trascurabili.

Un aspetto su cui occorre soffermare l’attenzione, a nostro parere, è quello della doppia fedeltà. Sappiamo che in tutto l’ancien régime si ebbe la compresenza di quelle che possono essere definite “fedeltà multiple”, al proprio sovrano, al proprio signore locale, alla propria chiesa o credo re-ligioso, alla propria comunità cittadina, al proprio ordine di appartenenza, e così via.21 L’Oratoriano si trovava diviso tra una doppia lealtà: quella del suddito o “vassallo” (come giustamente ci fa notare Agostino Borromeo, impiegando la terminologia utilizzata allora in Spagna) verso il suo sovra-no, in quanto suddito del Re di Napoli (quindi di Filippo II e Filippo III), e la fedeltà alla Chiesa, al papa, al proprio magistero e ai propri voti; un doppio vincolo che in quel momento si dimostrava essere per alcuni aspetti insostenibile per il divergere dei reciproci interessi.22 Inoltre, la famiglia di Baronio era stata nobilitata dagli Angiò e tale elemento potrebbe, forse, rappresentare un legame ulteriore con l’orbita francese rispetto ai succes-sori di Ferdinando d’Aragona, che erano stati la dinastia rivale al trono di Napoli.

Il caso di Baronio può essere interessante proprio perché tale fedeltà multipla si trova ad entrare in conflitto con se stessa, sollecitata dagli even-ti e da una delle parti che la reclama nei confronti dell’altra. Benché il car-dinale oratoriano avesse ormai dimostrato nei fatti, con la sua pluridecen-nale attività di Curia, di sentirsi impegnato soprattutto nei confronti della Chiesa di Roma – al punto da essere giunto a rivestire incarichi che per loro natura erano una dichiarazione di adesione assoluta, quali ad esempio il ruolo di confessore del pontefice – la Corona di Spagna si indignava che un proprio suddito esplicitasse così apertamente posizioni difformi rispetto

21. Sui meccanismi e le implicazioni di tale sistema culturale in età moderna si veda-no R. Ago, La feudalità in età moderna, Roma-Bari 1994, in part. pp. 138-145 che amplia e attualizza per l’età moderna gli studi compiuti da M. Bloch, La società feudale, Torino 1949 (ed. orig. 1940); A.M. Hespanha, Vísperas del Leviatán: istituciones y poder político (Por�tugal siglo XVI), Madrid 1989 e Idem, La gracia del derecho: economía de la cultura en la edad moderna, Madrid 1993. Si vedano, inoltre, le considerazioni relative alla “doppia appartenenza”, formulate in P. Prodi, Il sacramento del potere. Il giuramento politico nella storia costituzionale dell’Occidente, Bologna 1992, p. 552, secondo il quale nel giuramento si evidenzia la specificità della nostra cultura cristiana occidentale; nonché l’interessante studio di G. Agamben, Il sacramento del linguaggio. Archeologia del giuramento, Roma-Bari 2008 (Homo Sacer, II, 3).

22. Cfr. Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, p. 61.

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ai suoi interessi. L’evidente presenza di un partito filo-spagnolo in seno alla Curia romana, nelle possibili occasioni di divergenza di interessi rispetto al soglio di Pietro, portava spesso la Monarchia iberica a considerare anche un porporato della Curia innanzitutto come proprio suddito, aspettandosi da lui la fedeltà dovuta al proprio sovrano.23 Ciononostante, la reazione spagnola nei confronti delle opere del cardinale oratoriano, come emer-ge dai documenti esaminati e fino ad oggi rinvenuti, sembra essere abba-stanza tollerante, oserei dire quasi paziente, sino al momento della rottura, occasionata dalla pubblicazione del volume undicesimo degli Annales e dalla censura ad esso comminata nei territori della Monarquía Hispana.24 Appare plausibile che parte dell’attività politica filo-francese del cardinale oratoriano sia sfuggita, almeno in parte, allo sguardo della Corona spagno-la. Essa, infatti, sembrerebbe essere legata principalmente a momenti ed attività riservate, quali lo svolgimento del ruolo di confessore di Clemente VIII, oppure la corrispondenza personale con i suoi confratelli napoletani (il Talpa, ad esempio) e con Federico Borromeo, dopo la sua nomina all’ar-cidiocesi ambrosiana. Queste considerazioni renderebbero credibile che la condotta anti-spagnola del Baronio all’interno della Curia sia in gran parte, se non in tutto, sfuggita alla conoscenza degli informatori di Madrid.

Viene, tuttavia, da chiedersi se sia possibile che tale attività, conside-rata la rilevanza del personaggio e la sua influenza nei confronti del ponte-fice, sia potuta sfuggire del tutto e così a lungo, fino almeno al volgere del secolo, alla diplomazia spagnola e alla sua rete di informatori, oltre al co-siddetto partito filo-spagnolo presente nel collegio cardinalizio, quasi che il ruolo del Baronio non avesse quella rilevanza che siamo abituati a credere sulla base delle nostre conoscenze dei meccanismi di funzionamento della Curia romana e della comunicazione politica tra Cinque e Seicento. Tale lacunosa percezione delle attività e delle posizioni politiche di un perso-naggio così rilevante da essere il confessore del pontefice depone a sfavore del sistema informativo della potenza iberica, in particolare nella figura dell’ambasciatore Sessa. Esso non sembrerebbe essere poi così efficace, così funzionale, così acuto, così capace di cogliere appieno i meccanismi

23. Si veda X. Gil Pujol, Un rey, una fe, muchas naciones. Patria y nación en la España de los siglos XVI�XVII, in La Monarquía de las naciones. Patria, nación y natura�leza en la Monarquía de España, a cura di A. Álvarez-Ossorio Alvariño, B. García García, Madrid 2004, pp. 39-76.

24. Cfr. Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, pp. 111-121.

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romani, come, invece, saremmo portati a credere. Tale considerazione ci porterebbe a ribadire la necessità di ulteriori approfondimenti degli studi in quest’ambito, che proprio recentemente hanno trovato un rinnovato in-teressamento da parte della storiografia.25 In alcuni casi, il confronto con la diplomazia veneziana mette in luce come quest’ultima sia dotata di mag-giori capacità di penetrazione e di analisi della realtà romana (e non solo), di quanto non lo fosse quella spagnola.26 A riguardo abbiamo anche da con-siderare, come fonte che pone una prospettiva dissonante, proprio quelle relazioni del conclave del 1605 che il Ruffini ebbe il pregio di identificare e analizzare. In esse viene apertamente considerata l’attività filo-francese del Baronio e puntualmente collegata con il malumore spagnolo per quelle «cose che haveva (sic) dette, operate, et scritte in argumento di Francia, et in diminuzione di Spagnoli».27 Del resto, è lo stesso Baronio a spiegare nella celebre lettera del giugno 1605, Non ante creationem novi pontificis, indirizzata a Filippo III d’Asburgo,28 come il suo Tractatus de Monarchia fosse da considerarsi non già come il frutto delle pressioni francesi, quanto scritto in relazione ad «un preciso disegno diplomatico della Santa Sede», il cui obbiettivo non era tanto la distruzione della Legazia sicula, quanto piuttosto un suo ridimensionamento, per il quale la Santa Sede intendeva esercitare una «crescente pressione perché la Corona di Spagna accettasse

25. Un importante contributo è stato recentemente offerto da Diplomazia e politica della Spagna a Roma. Figure di ambasciatori, a cura di M.A. Visceglia, in «Roma Moderna e Contemporanea», 15/1-3 (2007), e da S. Giordano, Introduzione, in Istruzioni di Filippo III ai suoi ambasciatori a Roma 1598�1621, a cura di Idem, Roma 2006. Per gli studi com-piuti in ambito ispanico si vedano M.A. Ochoa Brun, Historia de la diplomazia española, 5 voll., Madrid 2003; M. Rivero Rodríguez, Diplomacia y relaciones exteriores en la Edad Moderna. De la cristiandad al sistema europeo, 1453�1794, Madrid 2000.

26. Cfr. S. Andretta, L’arte della prudenza. Teoria e prassi della diplomazia nell’Italia del XVI e XVII secolo, Roma 2006; A. Contini, L’informazione politica sugli Stati italiani non spagnoli nelle Relazioni veneziane a metà Cinquecento (1558�1566), in L’informazio�ne politica in Italia (secoli XVI�XVIII), a cura di E. Fasano Guarini, M. Rosa, Pisa 2001, pp. 1-57; Ambasciatori e Nunzi. Figure della diplomazia in età moderna, a cura di D. Frigo, in «Cheiron», 30 (1999).

27. Conclavi de’ Pontefici romani quali si sono potuti trovate fin a questo giorno, s.l., 1667, p. 313 citata in Ruffini, Perché Cesare Baronio non fu papa, p. 11, e la relazione anonima del 1605, Roma impaziente di lunghi domini, in Ibidem, pp. 11-12.

28. Non ante creationem novi pontificis, lettera di Baronio a Filippo III, 13 giugno del 1605, subito diffusa venne pubblicata da Adriano Beys, in appendice alla Monarchia Siciliae tractatus Caesaris cardinalis Baronii, Parigi 1609; per un commento cfr. Catalano, Il cardinale Cesare Baronio e la «Regia Monarchia sicula», pp. 180-183.

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questa soluzione pattizia, e quindi di compromesso, a suo tempo respinta da Filippo II».29 Venuto a conoscenza del testo della missiva, il viceré di Si-cilia Feria dedusse che l’atteggiamento del Baronio fosse stato ispirato da «espiritu mundano» e che egli avesse agito in modo non del tutto «libre e desapegado de efectos».30 Questo parere fu in parte condiviso dal Consejo de Estado di Madrid, il quale, però, come osserva Borromeo, non possede-va alcun elemento di giudizio fondante a riguardo.31

Da una lettura attenta di quanto è stato sino ad oggi posto in evidenza dalla storiografia, sembrerebbe che non siano emersi con la necessaria ni-tidezza elementi documentali attestanti i motivi d’imbarazzo della Corona, le cui reazioni sembrano essere troppo tenui rispetto a quanto avveniva solo alcuni decenni prima, in un altro ambito territoriale appartenente alla Mo�narquía Cattolica, il vicereame di Nuova Castiglia. Qui, per molto meno, si era mossa una durissima campagna di censura nei confronti dei religiosi che si ispiravano alla dottrina di Bartolomè de las Casas, o nei confronti del cronista de Indias Diego Fernández el Palentino, nel cui testo si riteneva si insinuassero critiche nei confronti dell’operato degli agenti del re e della loro autorità.32 La prudenza della Spagna nella sua reazione “antibaronia-na” può essere interpretata, a nostro parere, proprio considerando il ruolo e l’influenza del cardinale in Curia, e quindi in una prospettiva che tenga conto dell’importanza delle relazioni tra Roma e Madrid e della delicatez-za di tale rapporti in quel momento. Per quanto riguarda lo specifico caso della Legazia sicula, ci sembra che la reazione della Spagna sia stata tutto sommato abbastanza tenue, considerando l’importanza della questione, ri-guardante sia l’ambito della difesa delle prerogative regie nei confronti del pontefice, sia l’importanza dell’isola nello scacchiere mediterraneo (anche in relazione alla difesa dell’insieme dei possedimenti della Corona). Tale disparità di reazione, sarebbe in parte comprensibile valutando la diversa scala e la diversa natura del conflitto e degli attori coinvolti. Nel caso peru-viano si trattava di una questione che toccava l’ambito interno al governo

29. Catalano, Baronio storiografo e la «Regia Monarchia» di Sicilia, pp. 350-351.30. Il viceré Feria a Filippo III, Palermo 29 settembre 1605, in AGS (Archivo Gene-

ral de Simancas), Estado, Leg. 1161 n. 271 (lettera citata in Catalano, Il cardinale Cesare Baronio e la «Regia Monarchia sicula», p. 173, e Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, p. 134).

31. Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, p. 134.32. Cfr. M. Merluzzi, Politica e governo del Nuovo Mondo. Francisco de Toledo vice�

ré del Perù (1569�1581), Roma 2003, pp. 133-150.

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del regno, mentre nel caso della Legazia sicula erano coinvolte le relazioni internazionali della Corona con la Curia romana.

3. I cardinali Ascanio Colonna e Cesare Baronio, sudditi di Spagna con differenti appartenenze in Curia

Si è accennato di come Cesare Baronio, essendo per nascita suddito del Regno di Napoli, si trovasse ad essere vassallo degli Asburgo di Spa-gna. Recentemente Carlos Hernando Sánchez ha studiato le problematiche legate alla doppia appartenenza ispano-italiana che connotava i sudditi del Regno napoletano nell’epoca delle Guerre d’Italia,33 tuttavia, non è diffi-cile supporre che alcune delle questioni sollevate possano essere estese anche all’epoca successiva. La questione diviene interessante e ancora più evidente se la situazione del Baronio si pone a confronto con quella di un altro suddito della Corona spagnola che si trovò in quegli anni a svolgere un ruolo di primo piano nell’ambito della Curia romana e ad essere coin-volto nelle relazioni tra Madrid e Roma.34 Nel periodo in esame, il cardinal Ascanio Colonna fu il principale riferimento per il partito filo-spagnolo in Curia. Il Colonna, nato a Marino nel 1560, figlio di Marcantonio principe di Paliano, aveva fatto la sua fortuna seguendo le orme paterne in Spagna già nel 1576. Addottoratosi a Salamanca in utroque iure, si dedicò alla carriera ecclesiastica. Accrebbe la propra fama grazie a diverse orazioni che ebbero il gradimento del sovrano di Spagna, in cui venivano sottoli-neate le qualità di Filippo II e la sua fedeltà ai papi.35 Come ricorda il Pe-trucci, «la sua fama di studioso e la devozione verso il sovrano spagnolo indussero quest’ultimo a chiedere un degno riconoscimento per il dotto e

33. C.J. Hernando Sánchez, Españoles e italianos. Nación y lealtad en el Reino de Napoles durante las Guerras de Italia, in La Monarquía de las naciones. Patria, nación y naturaleza en la Monarquía de España, pp. 423-482.

34. Un caso analogo può essere considerato quello studiato in A. Serio, Servitore di due padroni: Jerónimo Vich e le diplomazie spagnole a Roma, in Diplomazia e politica della Spagna a Roma, pp. 29-62.

35. A. Colonna, Oratio ad Philippum II catholicum, Hispaniarum, et Indiarum regem potentissimum, habita VIII Kal. Febr. cum is eo die Complutensem Academiam inuiseret, Romae, Ex Officina Francisci Zanetti, 1585; Idem, Oratione … recitata alla maestà cattoli�ca di re Filippo II, re della Spagna e delle Indie, quando visitò l’Academia d’Alcalà d’Ena�res, Milano, per Pietro Tini, 1586; Idem, Oratio in funere Philippi 2. cat.ci Hispaniarum, et Indiarum regis potentissimi, Romae, Apud Nicolaum Mutium, 1599.

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giovane abate e Sisto V non mancò di dare risposta favorevole». Ascanio Colonna divenne cardinale diacono nel novembre del 1586 e successi-vamente fu anche protettore del Regno di Napoli e dell’abbazia di Mon-tevergine.36 Non ci deve, dunque, stupire la constatazione che nelle loro attività in Curia, il Colonna e il Baronio si trovarono a incontrarsi in di-verse occasioni, in particolare dopo il 1595. Il Sorano sottopose proprio al Colonna il testo del suo undicesimo volume degli Annales, in cui veniva negata la validità giuridica della Legazia sicula. Il Colonna, nell’autunno del 1605, stese una risposta alle argomentazioni del Baronio nella quale non si criticavano nel merito le trattazioni dell’erudito oratoriano, ma ne venivano attaccati l’eccessivo ardore e irruenza, ritenendo opportuno che in tali circostanze ci si esprimesse con maggiore moderazione. Inoltre, giudicando come falsa la bolla di papa Urbano II, nella quale si concedeva a Ruggero d’Altavilla il privilegio, secondo il Colonna, Baronio finiva per dubitare anche dell’operato della Santa Sede.37 Il testo venne poi pubbli-cato in appendice proprio all’undicesimo volume dell’opera baroniana.38 Il cardinale Colonna venne trasferito pochi mesi dopo, il 30 gennaio 1606, al titolo di S. Croce in Gerusalemme e, il successivo 5 giugno, divenne cardinale vescovo prenestino.

Dal confronto tra questi due personaggi, alquanto differenti per pro-venienza familiare e per percorsi biografici, si nota come essi si trovino ad interpretare anche le proprie esistenze in modo sensibilmente divergente, pur condividendo per molti aspetti il medesimo contesto socio-culturale. Essi, infatti, rappresentano due modi discordanti di percepire la propria appartenenza, i propri legami con la Spagna e con il pontefice, con gli inte-ressi di ciascuno di essi, con la propria condizione di suddito, di porporato, nonché di intellettuale all’interno della Chiesa di Roma.39 Sono due esem-

36. F. Petrucci, Colonna, Ascanio, in Dizionario Biografico degli Italiani, XXVII, Roma 1982, p. 275. Si veda anche L. Cardella, Memorie storiche de’ cardinali della Santa Romana Chiesa, Roma, Stamperia Pagliarini, 1793, V, pp. 265-267.

37. Petrucci, Colonna, Ascanio, pp. 276-278. Cfr. Borromeo, Il Cardinale Cesare Ba�ronio, pp. 135-149.

38. Caesaris Baronii cardinalis Tractatus de monarchia Siciliae; accessit Ascanii Co�lumnae cardinalis De eodem tractatu judicium; cum ejusdem cardinalis Baronii Responsio�ne apologetica adversus cardinalem Columnam; nec non Epistola ad Philippum 3. Regem Hispaniae, Lugduni Batavorum, Sumptitibus Petri Vander Aa, 1723.

39. Del Colonna ricordiamo anche una Sententia Contra Reipublicae Venetae episco�pos Ss. dd. n. Pauli papae V interdicto non obtemperantes, Romae et Mediolani, 1606.

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pi, tra i tanti possibili, di come si potessero seguire diversi percorsi biogra-fici all’interno di quelle che abbiamo chiamato fedeltà multiple senza che ciò destasse particolari turbamenti nel contesto in cui essi si trovavano ad agire.

Tornando a considerare la questione da un punto di vista cronologico, sarebbe interessante impostarla sotto una prospettiva più ampia. Sino ad oggi, infatti, è prevalsa una eccessiva focalizzazione sugli ultimi anni di vita del Baronio, esponendoci al rischio di interpretare il mutare dell’at-teggiamento del cardinale oratoriano verso la potenza spagnola e i suoi dissidi con la corte di Madrid, quasi fossero principalmente un problema legato alla senescenza del cardinale. Al contrario, sembrerebbe, a nostro parere, che Baronio sviluppi progressivamente una posizione sempre più distante dagli interessi della Corona spagnola e che questa si rifletta nel-le sue opere: dagli Annales, all’Apologeticum, alle questioni di Milano e Napoli, alla Monarchia sicula. Parallelamente, non pare si possa guardare all’erudito oratoriano come ad un personaggio indifferente alle questioni internazionali, dedito fondamentalmente allo studio e alla vita religiosa e quindi indifferente agli effetti che i propri scritti potessero avere negli ambienti politici e diplomatici. Al contrario, sembrerebbe che egli (forse su richiesta diretta di Clemente VIII – come in parte sostiene- o, forse, coinvolto negli eventi) si trovi a costruire un’articolata serie di strumenti che vennero utilizzati dalla Santa Sede nella propria politica di relazioni internazionali come strumenti efficaci per indebolire le posizioni della po-tenza castigliana e progettare una nuova fase nelle proprie relazioni con la Francia in un’ottica di rafforzamento delle ambizioni a un nuovo rilancio dell’universalismo e della centralità politica della Chiesa di Roma. Il pon-tificato di Clemente VIII, infatti, vide il tentativo di restituire alla Chiesa romana la sua autorità universale: il progetto prevedeva non solo la difesa delle immunità e dei privilegi della Santa Sede, ma soprattutto la riaffer-mazione del suo prestigio politico e culturale. Tre personaggi di particolare rilevanza, in quest’ambito, furono Cesare Baronio, Roberto Bellarmino e Tommaso Bozio; essi si distinsero per l’affermazione della «monarchia pontificia come elemento centrale di questa costruzione, con l’assimilazio-ne nel sovrano pontefice del nuovo modello di sovranità».40

40. P. Prodi, Una storia della giustizia. Dal pluralismo dei fori al moderno dualismo tra coscienza e diritto, Bologna 2000, p. 315.

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L’ipotesi che in Spagna non si ebbe immediatamente la percezione del ruolo del Baronio nelle questioni affrontate parrebbe poco plausibile, vista la visibilità della figura dell’Oratoriano e considerata la fitta trama di relazioni diplomatiche, ufficiali e non, tra Roma e Madrid in quegli anni. Tuttavia, è interessante rilevare che, nella valutazione del coinvolgimento del Baronio e della sua influenza nelle decisioni controverse rispetto alla linea politica di Madrid, giocarono diversi fattori: ci fu una sovrapposi-zione tra l’immagine accreditata dello studioso, dell’erudito e dello sto-rico. Tutti aspetti che contribuirono a costruire presso il mondo ispanico l’immagine «del viejo y santo que solo es bueno para escribir historias», come si legge nelle relazioni diplomatiche coeve. Dopo il suo rientro in patria da Roma, il duca di Sessa, nel riferire al sovrano un parere sui car-dinali al fine di preparare un orientamento spagnolo nell’eventualità di un conclave, descriveva il Sorano come «conocido en todo el mundo por los Anales eclesiasticos que á compuesto, i siempre va escriviendo, pero no es tenido ni por teologo, ni por canonista, ni por persona que tenga platica ni otras partes necessarias para governar, si bien en lo que es virtud i buen exemplo, no se le puede negar».41 Oppure, come si legge in una consulta del Consejo de Estado castigliano, del 1604, come «hombre ordinario» e «por la parte de historiador, libre, como lo suelen ser los que profesan aquella ocupación».42 A questa immagine di studioso andava ad aggiun-gersi la fama guadagnata dal Baronio per la sua integerrima condotta e la sua austerità di vita. Queste sue caratteristiche, accompagnate dal buon rapporto personale e dalla stima dell’Ambasciatore spagnolo a Roma Ses-sa, portarono a considerarlo lontano dall’ambito politico e diplomatico. Tale erronea valutazione potrebbe spiegare l’atteggiamento non ostile de-gli spagnoli nei suoi confronti, in un primo periodo.

Nelle istruzioni di Filippo III all’ambasciatore Gastón de Moncada, Marchese di Aytona, date in Madrid il 25 marzo del 1606, si legge al punto 72:

El cardenal Aldobrandino (Pietro) muestra desseo de poner su persona y co-sas debaxo de mi protección, y tiene razón, porque es lo que a él y su casa le puede estar mejor. Estaréis muy atento a ver con que pie entra en estas ma-

41. Relazione del Duca di Sessa a Filippo III, 1 dicembre 1604, in AGS, Estado, 1870, n. 100 (citata in Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, pp. 109-110).

42. Consulta dell’agosto 1601, senza indicazione precisa di data, in AGS, Estado, Leg. 1857, n. 39 (Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, p. 108).

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terias, y les podréis dezir y assigurar que, si él cumpliere de su parte lo que ofresce, podrá esperar de mi la protección y merced que dessea, y assigurarle séis en mi servicio, sin mostrar desseo de traerle a él.43

Il documento continua, fornendo, al punto successivo, una definizione poco lusinghiera del Baronio e mostrando anche la natura dei servizi che Pietro Aldobrandini aveva offerto a Filippo III:

El cardenal Baronio ha andado tan desalumbrado, como lo muestran sus scri-tos en la materia de la monarquía de Sicilia. Dizen que Aldobrandino a (sic) dado intención de reduzirle a mi servicio, haziendole revocar lo que ha scrito. Estaréis atento a lo que sobre esto se podrá hacer, tratándolo con autoridad y sin mostrar ningún cuidado ni desseo.44

Emergeva allora chiaramente il desiderio della Corona spagnola di correggere una situazione ritenuta sgradevole e poco opportuna ed il ten-tativo esplicito di influenzare le opinioni e le attività dell’Oratoriano, che vedeva impegnato il cardinal Pietro Aldobrandini a ricondurre il Sorano al “servizio” del re di Spagna. Difficilmente si possono conciliare le istru-zioni di Filippo III al proprio ambasciatore con l’immagine di un anziano cardinale totalmente avulso dalle dinamiche di potere che legano, alle volte contrapponendole, Roma e Madrid.

Per cercare di comprendere meglio, dobbiamo abbozzare un primo tentativo di cronologia, distinguendo nel rapporto tra Baronio e la Spagna diverse fasi: una prima che arriva fino al 1594; una seconda dal 1595 fino al 1605; e infine una terza, che va dal 1605 al 1607, anno di morte dell’Ora-toriano. È interessante segnalare come in più occasioni il Baronio apparve convinto di essersi inimicato la Spagna: si pensi alla mancata risposta di Filippo II alla dedica del terzo volume degli Annales; alla ritardata risposta alla missiva allo stesso sovrano in cui Baronio comunicava la sua elezio-ne a cardinale nel 1596. Tale opinione veniva anche espressa diverse vol-te nella corrispondenza con Federico Borromeo, come in occasione della controversia avutasi a Tortona nel 1599, tra il vescovo Matteo Gambara e il podestà cittadino (su una citazione di un laico in un tribunale eccle-siastico); altrettanto dicasi per una lettera al confratello Talpa nel 1599, quando, riferendo del proprio intervento in Concistoro, il cardinale scrisse

43. S. Giordano, Istruzioni di Filippo III ai suoi ambasciatori a Roma, Roma 2006, p. 63.

44. Ibidem.

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di essersi «concitato l’odio degli spagnoli. Ma di questo non curo punto, né curerò mai, né per rispetto humano tacerò mai di dir la verità et mi sarìa di gran consolatione per questa verità metter ancora la vita»;45 per il Sorano, infatti, «non era possibile ammettere un contrasto tra verità storica e verità teologica».46

Per comprendere il ruolo di Baronio nel contesto delle relazioni tra Roma e Madrid, non si può prescindere dal considerare un terzo polo, ov-vero Parigi. Tuttavia, se volessimo rispondere agli interrogativi riguardo ai margini di autonomia che ebbe il Baronio nel determinare un atteggiamen-to filo-francese della politica romana, ovvero se le sue posizioni fossero frutto di una aderenza totale alle iniziative del pontefice, occorrerebbe rile-vare che lo storico sorano, in quanto religioso, erudito influente in Curia e in più confessore del papa Clemente VIII, si trovava a dover perseguire il riavvicinamento con la Francia. Ciò avvenne con evidenza nella questione della conversione di Enrico IV, i cui termini furono molto rilevanti nel contesto internazionale. Poteva Roma rischiare di perdere la Francia in caso di scisma qualora non fosse stata accolta la conversione del Navarra? Oppure conveniva transigere sulle ragioni religiose di Enrico di Borbone, sulla condizione di “relapso” del nuovo sovrano francese, per recuperare pienamente la Francia alla cattolicità?

Simon Ditchfield ci ha ricordato come dalla lettura degli Annales emer-ga quella che egli ha definito una «ossessione» del Baronio nell’elencare e confutare le dottrine eretiche.47 Ciononostante, l’Oratoriano si dimostrò molto favorevole al sovrano di Francia Enrico di Borbone, facilitandone anche le relazioni con Roma al momento della sua conversione al catto-licesimo. Addirittura, come abbiamo visto, gli dedicò il nono volume dei suoi Annales. Per valutare correttamente le posizioni del Baronio in merito alla questione della conversione di Enrico di Navarra, per spingerlo ad ammorbidire le posizioni inizialmente diffidenti di Clemente VIII, occorre comprendere appieno la portata della posta in gioco. Bisogna anche consi-derare che in caso di accoglimento della conversione del sovrano francese, Roma sarebbe stata molto meno dipendente dalla Spagna anche nella sua azione di difesa della cattolicità; inoltre, si sarebbe allargato il fronte an-

45. Baronio a Talpa, Roma 6 febbraio 1599, in Alberici, Venerabilis Caesaris Baronii … Epistolae, III, p. 111.

46. Cantù, Monarchia cattolica e governo vicereale, p. 572.47. Cfr. S. Ditchfield, infra, pp. 3-21.

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tiprotestante e la Chiesa avrebbe potuto trovare una sponda diplomatica e politica anche a Parigi, recuperando una maggiore autonomia nell’ambito della politica estera.

4. Cesare Baronio e diritti della Corona Spagnola

Del resto, se Baronio riferisce ripetutamente, come ha notato anche Borromeo, di esser disposto a versare il proprio sangue per difendere la verità, ed in particolare per sostenere i diritti della Chiesa nelle contro-versie giurisdizionali nei confronti della Monarchia cattolica, non c’è da stupirsi che egli intervenga più volte, anche pubblicamente, in tal senso. Le vicende legate alla relazione tra Baronio e la Spagna sembrano, dunque, arricchirsi di un ulteriore capitolo, legato ai diritti della Corona spagnola in Italia, e abbracciano diverse aree geografiche coinvolgendo diversi aspetti, non solo i diritti della Monarchia spagnola nel Regno di Sicilia. La peni-sola rappresenta l’area geografica dove vi era forse maggiore interazione con gli interessi diretti della Sede Apostolica e dove si decise di attaccare ripetutamente la Monarquía. Non deve sfuggire che la collocazione tut-ta italiana dell’ambito delle controversie sui diritti della Corona ci porta a tornare su questioni che avevano avuto una ragguardevole importanza anche nelle relazioni tra la Francia e la Spagna, e il cui riattualizzarsi non può essere letto in maniera del tutto svincolata dall’inclinazione progressi-vamente filo-francese del successore di Pietro. Nell’ambito del Ducato di Milano, ad esempio, un lungo contenzioso oppose Juan Fernando Velasco, duca di Haro, conestabile di Castiglia, al suo primo mandato come gover-natore del Ducato, dal 1592 al 1601; contenzioso incentrato inizialmente sulla renitenza del governatore a dare il placet alla nomina di Federico Borromeo alla sede diocesana ambrosiana, a cui fecero seguito anni di ten-sioni.48 Tali episodi vanno considerati in una prospettiva più ampia, inse-

48. Cfr. A. Galante, Il Diritto di placitazione e l’Economato dei benefici vacanti in Lombardia, Milano 1894, pp. 78 ss. Un caso analogo era avvenuto già nel 1558, quando il governatore Juan de Figueroa e le autorità milanesi si opposero alla nomina all’arcivesco-vato di Milano di Filippo Archinto, considerato troppo filo-francese, cfr. M.C. Giannini, Fortune e sfortune di un ambasciatore. Il fallimento della missione a Roma di Juan de Figueroa (1558�1559), in Diplomazia e politica della Spagna a Roma, pp. 95-129. Per il contesto milanese si vedano G. Signorotto, Milano spagnola. Guerra, istituzioni, uomini di governo (1635�1660), Milano 1996; P. Fernández Albaladejo, De “llave de Italia” a

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rendoli nelle vicende che videro in quell’epoca Roma e Madrid coinvolte in dispute legate al tentativo della Sede Apostolica di affermare il proprio primato politico-religioso su scala europea (in modo preferenziale nella penisola italica) ed extra-europea (le Americhe), che perdurarono anche nei primi decenni del Seicento, contrapponendosi alle pretese regalistiche di Madrid.49

Visto il rilievo che la questione ha assunto nell’opinione dei contem-poranei e nella storiografia,50 non possiamo esimerci dal trattare, seppur brevemente, il caso più eclatante, ovvero quello siciliano. Nel 1605, come anticipato, Baronio criticò il privilegio della Legazia sicula nel volume un-dicesimo dei suoi Annales.51 La Legazia sicula era un privilegio concesso nel 1098 da Urbano II al conte Ruggero d’Altavilla e ai suoi successori, confermato successivamente da Adriano IV nel 1156, secondo il quale ai sovrani di Sicilia era concesso di fungere da legati pontifici nel loro regno. Il sovrano otteneva così diverse prerogative nei confronti del clero sicilia-

“corazón de la monarquía”: Milan y la monarquía católica en el reinado de Felipe III, in Idem, Fragmentos de monarquía, Madrid 1992, pp. 185-237; A. Álvarez-Ossorio Alvariño, Milán y el legado de Felipe II. Gobernadores y corte provincial en la Lombardia de los Austrias, Madrid 2001; Lombardia Borromaica. Lombardia spagnola (1554�1659), a cura di P. Pissavino, G. Signorotto, 2 voll., Roma 1995.

49. Troppo complesso riferire in questa sede degli studi su queste questioni, possiamo indicare alcune direttrici lungo le quali essi si muovono, limitandoci a segnalare, tra gli altri: sullo sviluppo dello Stato pontificio M. Caravale, A. Caracciolo, Lo Stato Pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978; P. Prodi, Il sovrano pontefice. Un corpo e due anime: la monarchia papale nella prima età moderna, Bologna 1982. Sulle dinamiche fazionarie, le carriere curiali, le reti e le dinamiche clientelari M.A. Visceglia, La nobiltà romana in età moderna. Profili istituzionali e pratiche sociali, Roma 2001; I. Fosi, La giustizia del papa: sudditi e tribunali nello Stato pontificio in età moderna, Roma-Bari 2007; R. Ago, Carriere e clientela nella Roma Barocca, Roma-Bari 1990; A. Menniti Ippolito, Il tramonto della Curia nepotista. Papi, nipoti e burocrazia curiale tra XVI e XVII secolo, Roma 1999. Sull’importanza dell’azione svolta dagli ordini religiosi Religione, conflittualita e cultura: il clero regolare nell’Europa d’antico regime, a cura di M.C. Giannini, in «Cheiron», 22 (2005); Identità religiose e identità nazionali in età moderna, a cura di M. Caffiero, F. Motta, S. Pavone, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (2005); F. Motta, Bellarmino. Una teologia politica della controriforma, Brescia 2005.

50. Catalano, Il cardinale Cesare Baronio e la «Regia Monarchia sicula», pp. 167-183; Idem, Baronio storiografo e la «Regia Monarchia» di Sicilia, pp. 347-59; J. Pérez Villanueva, Baronio y la Inquisición española, in Baronio storico e la Controriforma, pp. 3-53.

51. C. Baronio, Annales Ecclesiastici, XI, Romae, Ex Typographia Vaticana, 1605, pp. 677-710, nn. 18-44.

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no; in particolare, aveva la facoltà di inviare ai concili celebrati fuori del Regno i prelati che egli riteneva si potessero assentare senza pregiudizio per le rispettive chiese, privilegio che poteva avere importanti conseguen-ze sugli esiti degli stessi concili. Tuttavia, il privilegio della Legazia sicula non venne esercitato con continuità dai sovrani di Sicilia; infatti, Federico II di Svevia, nonostante i suoi turbolenti rapporti con la Sede Apostolica, vi rinunziò una prima volta nel 1213 e successivamente nel 1219, dichia-rando liberi gli appelli a Roma. Tuttavia, la Legazia sicula fu nuovamente esercitata dai sovrani di Sicilia a partire dalla metà del Quattrocento. Que-sta ripresa dell’antico privilegio rese possibile un suo utilizzo nel corso del Cinquecento, quando le controversie con Roma ripresero, inizialmente sotto Ferdinando il Cattolico, per proseguire con i suoi successori Carlo II d’Asburgo (Carlo V Imperatore, Carlo I di Castiglia) e suo figlio Filippo I (Filippo II di Castiglia).52 Se da una parte la considerazioni sottolineate da Pérez Villanueva ci invitano a considerare le potenzialità strumentali che la Legazia sicula poteva offrire alla Corona nell’esercizio del controllo sul clero, anche attraverso l’utilizzo dell’Inquisizione,53 lo studio di Ca-talano ci porta a ripercorrere la controversia nei suoi termini filologici, considerando come le posizioni storiografiche di Baronio vengano a co-struire un inciampo nella politica degli Asburgo di Spagna.54 È evidente che il tentativo di limitare le prerogative del re di Sicilia e di rafforzare la posizione del pontefice nei confronti del sovrano spagnolo non potevano lasciare indifferente la Corona di Castiglia, che accolse con disappunto il testo baroniano. Nella disputa venivano coinvolte, oltre al prestigio di una Corona che ambiva a innalzarsi al grado di Monarchia universale, ragioni di carattere geopolitico legate alla posizione chiave occupata dalla Sicilia, e in generale dall’intero Mezzogiorno d’Italia, all’interno del quadro dei possedimenti spagnoli.55

52. Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, p. 67. Il privilegio venne poi abolito nel XVIII secolo con una bolla del febbraio 1714, in cui si devolvevano l’appello e le at-tribuzioni di giudice agli ordinari dell’isola, ma venne ristabilito già nel 1728, addirittura ampliandolo nel 1846. Abolito poi da Pio IX nel 1864, il re d’Italia vi rinunciò nel 1871 con la legge delle Guarentigie.

53. Pérez Villanueva, Baronio y la Inquisición española, pp. 3-53.54. Catalano, Il cardinale Cesare Baronio; Idem, Baronio storiografo e la «Regia

Monarchia» di Sicilia.55. La cosiddetta “Italia spagnola” ha, inevitabilmente, attirato molta attenzione da

parte della storiografia, che ha recentemente riformulato i paradigmi interpretativi prece-

Considerazioni su Cesare Baronio e la Spagna 361

5. San Giacomo: una questione d’identità nazionale

Come se le controversie sino ad ora affrontate non fossero sufficienti a segnare il percorso di una crescente ostilità nella relazione tra l’Oratoriano e la Monarquía Hispana, dobbiamo necessariamente ricordare un’altra im-portante causa di attrito, quella legata alla questione di san Giacomo.

La revisione del Breviario ad opera di una commissione della quale fecero parte sia il Baronio che il Bellarmino,56 su richiesta di Sisto V, che intendeva portare a termine un’iniziativa già avviata sotto Pio V nel 1568 con la bolla Quod a nobis, si dimostrò strettamente improntata a criteri storici e filologici, portando a sopprimere il testo in cui si parlava della predicazione dell’apostolo Giacomo in Spagna, giungendo in tal modo a negarne il viaggio e l’opera evangelizzatrice in Spagna.57 Un’affermazione che per la sensibilità della Chiesa di Spagna e della Corona ispanica as-sunse una valenza totalmente differente a causa del fondamentale valore simbolico che la figura del santo aveva assunto nella penisola iberica. Visto dalla prospettiva di Madrid, si trattava sicuramente di un ulteriore affronto alla Corona di Spagna, alla fede del popolo spagnolo e ai servigi che nel corso dei secoli essi avevano tributato alla cristianità.

Il culto tributato a san Giacomo il Maggiore, Santiago per gli Spagnoli, fu uno dei più diffusi in tutto l’Occidente. Esso si affermò particolarmente nella penisola iberica a partire dal IX secolo, in particolare a Compostela,

denti, di questa ampia produzione citiamo per brevità: D. Sella, Sotto il dominio della Spa�gna, in Lo Stato di Milano dal 1535 al 1796, a cura di C. Capra, D. Sella, Torino 1984, pp. 3-151; L’Italia degli Austrias. Monarchia cattolica e domini italiani nei secoli XVI e XVII, a cura di G. Signorotto, in «Cheiron», 9 (1992); G. Galasso, La periferia dell’impero, Torino 1993; Idem, Il sistema imperiale spagnolo da Filippo II a Filippo IV, in Lombardia Borromaica. Lombardia spagnola, I, pp. 13-40; Nel sistema imperiale: l’Italia spagnola, a cura di A. Musi, Napoli 1994; Idem, L’Italia dei viceré. Integrazione e resistenza nel siste�ma imperiale spagnolo, Cava de’ Tirreni 2000; A. Spagnoletti, Prìncipi italiani e Spagna nell’età barocca, Milano 1996; Sardegna, Spagna e Stati italiani nell’età di Carlo V, a cura di B. Anatra, F. Manconi, Roma 2001; M. Fantoni, Carlo V e l’Italia, Roma 2000; L’Italia di Carlo V. Guerra, religione e politica nel primo Cinquecento, a cura di F. Cantù, M.A. Visceglia, Roma 2001; C.J. Hernando Sánchez, El reino de Nápoles en el Imperio de Carlos V. La consolidación de la conquista, Madrid 2001.

56. L. von Pastor, Storia dei Papi, XI, Roma 1958, p. 486.57. Il Breviario di Pio V diceva: «Mox peragrata Hispania ibique predicato Evangelio

redit Hierosolymam», cfr. Z. García Villada, Historia eclesiástica de España, I, Madrid 1929, p. 35; Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, pp. 104-105.

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nell’estremo nord-ovest della penisola, dove, a partire dal ritrovamento di quello che venne creduto essere il sepolcro dell’apostolo,58 si stabilì un flusso devozionale che può essere considerato non inferiore a quello dei principali luoghi della cristianità (quello diretto al sepolcro del Cristo a Gerusalemme e quello per i santi Pietro e Paolo a Roma).59 Egli divenne il patrono di Spagna e una figura dalla fortissima rilevanza simbolica in un contesto ancora fortemente legato alla memoria e all’eredità culturale della Reconquista, compiuta al grido di «¡Santiago! ¡Cerra España! ». Conside-rato uno dei compagni più prossimi a Gesù, egli ricevette l’appellativo di Boanerghés (figlio del tuono);60 secondo le Scritture egli venne chiamato da Cristo subito dopo Pietro e il fratello di questi, Andrea. Ritenuto fratello di Giovanni (Mc 6,3 e Gal 1,19), secondo talune interpretazioni (contenute nei Vangeli Apocrifi) anche imparentato con la Vergine Maria, rivestì un ruolo importante all’interno della comunità degli apostoli, essendo uno dei tre (con Giovanni e Pietro) che assistette alla trasfigurazione di Gesù e an-che al pianto nell’Orto del Getsemani. Il culto di san Giacomo il Maggiore acquisì progressivamente rilevanza in ambito ispanico, soprattutto a partire dal 1064, quando la devozione iacobea assunse una marcata connotazione militare.61 Esso «era strettamente legato alla tradizione del suo intervento risolutivo nelle battaglie tra cristiani e musulmani nella lunga stagione del-la Reconquista, durante la quale Santiago sarebbe apparso in non meno di trentotto episodi di guerra contro i mori».62 L’apostolo fu la figura attorno alla quale l’intera Spagna si riconobbe nel corso della sua plurisecolare lotta contro i musulmani (al punto da ottenere una rappresentazione come Santiago Matamoros), finendo per raffigurare, assieme alla Monarchia,

58. J. Guerra Campos, Roma y el sepulcro de Santiago. La Bula “Deus Omnipotens” (1884), Santiago de Compostela 1985; L. Mascanzoni, San Giacomo: il guerriero e il pelle�grino. Il culto iacobeo tra la Spagna e l’Esarcato (secc. XI�XV), Spoleto 2000, p. 15.

59. Santiago. L’Europa del pellegrinaggio, a cura di P.G. Caucci Von Saucken, Mila-no 1993; G. Cherubini, Santiago di Compostella. Il pellegrinaggio medievale, Siena 1998, pp. 289-337.

60. Primo tra gli apostoli ad essere martirizzato, tra il 42 e il 44, sotto Erode Agrippa, al momento del supplizio patito per decapitazione, egli avrebbe convertito il suo accom-pagnatore, cfr. J. Fernández Alonso, Giacomo il Maggiore, apostolo, santo, in Bibliotheca Sanctorum, VI, Roma 1965, coll. 364-388.

61. Mascanzoni, San Giacomo, pp. 3-7.62. F. Cantù, La Conquista spirituale. Studi sull’evangelizzazione del Nuovo Mondo,

Roma 2007, p. 369. Si veda anche A. Castro, España en su historia: cristianos, moros y judíos, Madrid 1948, pp. 107 ss.

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uno degli emblemi della propria identità religiosa e nazionale. Santiago, tuttavia, ebbe un’importanza che travalicò i confini della penisola iberi-ca, non solo per gli aspetti legati al già menzionato pellegrinaggio verso Compostela, che assunse dimensioni rilevanti in tutta Europa soprattutto a partire del XII secolo,63 ma anche per quanto riguarda l’espansione della Corona di Castiglia nel Nuovo Mondo. Nel XVI e XVII secolo il culto iacobeo si diffuse nei territori americani della Monarquía Católica acqui-sendo una crescente importanza e trasformandosi nelle raffigurazioni in Santiago Mataindios;64 mentre le schiere dei Tercios spagnoli continuarono a combattere in tutta l’Europa, inneggiando al santo patrono di Spagna che aveva guidato le schiere cristiane nell’impresa della Reconquista.

Ha osservato Francesca Cantù come:il culto di Santiago alimentò in America un immaginario polimorfo nel quale confluivano la predicazione e il culto della Chiesa, antiche credenze iberiche veicolate dalla tradizione orale ed esse stesse già espressione di sincretismo religioso, saperi popolari e interpretazioni indigene mosse dal desiderio dei nativi di condividere il potere dei vincitori e di addomesticarne le divinità. I conquistadores seppero far ricorso alla visione mistica per piegarla al ser-vizio della loro impresa di conquista e di colonizzazione, mentre gli indiani interpretarono le inspiegabili ragioni della loro sconfitta con l’asservimento delle loro divinità – e di tutte le loro armi soprannaturali – al dio cristiano. Sublimazione delle ragioni della vittoria o legittimazione delle cause della sconfitta, l’apparizione di Santiago veniva chiamata in causa per dare signifi-cato al corso drammatico degli eventi.65

In queste circostanze, il sovrano di Spagna Filippo III, appena avuta la notizia del cambiamento del Breviario che si stava preparando a Roma, intervenne presso il suo ambasciatore, il duca di Sessa, incaricandolo di supplicare il pontefice affinché non vi fossero modifiche riguardanti san Giacomo.66 Per sostenere le argomentazioni spagnole, venne anche fatta preparare, a Diego del Castillo, una relazione da presentare al pontefice,

63. Mascanzoni, San Giacomo, pp. 507-508.64. Cantù, La Conquista spirituale, pp. 365-406.65. Ibidem, pp. 372-373.66. Filippo III a Sessa, Madrid 11 febbraio 1600, Archivo del Ministerio de los Asun-

tos Exteriores, Madrid, S. Sede, Leg. 54 (la lettera è pubblicata in García Villada, Historia, pp. 32-33). Dobbiamo ad Agostino Borromeo il rinvenimento di diversi documenti sulla questione in AGS, Estado, leg. 977, oltre a una Relación de la historia del breviario romano sobre la yda i predicación de Santiago en España, AGS, Estado, Leg. K. 1631, n. 96.

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successivamente pubblicata con il titolo Defensa de la venida y predica�ción evangelica de Santiago en España.67 L’intervento del sovrano spa-gnolo fece mutare lievemente la nuova edizione del Breviario, ma non in misura tale da soddisfare pienamente le richieste di Madrid. La questione si protrasse negli anni successivi durante i quali l’ambasciatore Sessa in-sistette più volte per ottenere dal pontefice che il suo signore avesse sod-disfazione.68 In questa circostanza, però, l’intervento del Baronio a favore delle richieste spagnole fu decisivo per convincere il papa ad assecondarle nel 1603, come ricorda l’ambasciatore spagnolo Del Castillo.69 Il ruolo dell’Oratoriano nel superare le tensioni, la sua partecipazione alla commis-sione responsabile delle modifiche al breviario, le motivazioni prettamente storico-filologiche che erano state addotte sono tutti fattori che spiegano come sino al 1604 non vi fossero evidenti motivi di insoddisfazione della Corona spagnola nei confronti del cardinale.

6. Osservazioni conclusive

Per concludere, dunque, vorremmo sottolineare come l’esame del complesso e, come abbiamo visto mutevole, rapporto tra Cesare Baronio e la Spagna non sia da considerarsi solamente sotto il profilo della ricezione erudita delle opere dell’Oratoriano, ma come proprio alla luce di una pro-spettiva incentrata sulla controversia politica possano emergere ulteriori spunti per lo studio e la comprensione di un personaggio che, a quattro-cento anni dalla sua scomparsa, continua a stupirci per la sua statura e la sua complessità. Abbiamo una ulteriore conferma di come la sua opera di storico e la sua azione siano da leggersi in relazione ad una molteplicità di piani che vanno dalla reazione alle cosiddette Centurie di Magdebur�go, alla riaffermazione delle prerogative giurisdizionali e di azione politi-ca della Chiesa romana nei confronti di quella che era allora la maggiore potenza europea, la Monarchia di Spagna, ma che era nel contempo anche depositaria della Corona di Sicilia, di Napoli e del Ducato di Milano un

67. D. Del Castillo, Defensa de la venida y predicación evangelica de Santiago en España, Zargoza 1608.

68. Sessa a Filippo III, Roma 20 marzo 1603, in AGS, Estado, leg. 977, ff. non nu-merati, (il documento è citato in Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, pp. 105-108 e in García Villada, Historia, p. 35).

69. Borromeo, Il Cardinale Cesare Baronio, p. 107.

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complesso di rapporti che ponevano Madrid e Roma all’interno di rela-zioni di diversa natura, ma che avevano, per Cesare Baronio, una unica lettura: la prevalenza della Sede Apostolica e dei suoi interessi su quelli della Corona di Spagna.

Se dunque si dovesse trarre un bilancio delle relazioni tra Cesare Baro-nio e il mondo ispanico bisognerebbe sottolineare che si ebbe un crescendo di divergenze le quali, tuttavia, furono recepite solo con ritardo da parte degli agenti della Monarchia cattolica. Diversamente si deve dire per quanto ri-guarda l’Oratoriano che, come abbiamo visto, affermava di percepire un’ini-micizia crescente della Corona di Spagna già dal 1596, circa un decennio in anticipo rispetto alle pubbliche dimostrazioni di disappunto della corte di Madrid. Sarebbe riduttivo, a nostro avviso, ricondurre le tensioni legate agli Annales Ecclesiastici, alla Monarchia Sicula e al Martyrologium Romanum (specificamente nel caso dell’apostolo san Giacomo) alla mancata elezione del Baronio al soglio pontificio, ma sembrerebbe più convincente l’ipotesi che nell’insieme dei fattori che influenzarono tale avvenimento sia da ri-condursi l’inclinazione del Baronio per una politica filo-francese da parte del pontefice e soprattutto per il coinvolgimento del cardinale sorano in quel rafforzamento delle posizioni giuridiche e politiche della Chiesa di Roma all’interno del mondo cattolico a cui Clemente VIII si ispirava.