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Campo intellettuale, potere e identità tra contesti locali, "pensiero meridiano" e "identità meridionale" Author(s): Berardino Palumbo Reviewed work(s): Source: La Ricerca Folklorica, No. 43, L'alpeggio e il mercato (Apr., 2001), pp. 117-134 Published by: Grafo s.p.a. Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1479796 . Accessed: 09/04/2012 08:47 Your use of the JSTOR archive indicates your acceptance of the Terms & Conditions of Use, available at . http://www.jstor.org/page/info/about/policies/terms.jsp JSTOR is a not-for-profit service that helps scholars, researchers, and students discover, use, and build upon a wide range of content in a trusted digital archive. We use information technology and tools to increase productivity and facilitate new forms of scholarship. For more information about JSTOR, please contact [email protected]. Grafo s.p.a. is collaborating with JSTOR to digitize, preserve and extend access to La Ricerca Folklorica. http://www.jstor.org

Campo intellettuale

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Campo intellettuale, potere e identità tra contesti locali, "pensiero meridiano" e "identitàmeridionale"Author(s): Berardino PalumboReviewed work(s):Source: La Ricerca Folklorica, No. 43, L'alpeggio e il mercato (Apr., 2001), pp. 117-134Published by: Grafo s.p.a.Stable URL: http://www.jstor.org/stable/1479796 .Accessed: 09/04/2012 08:47

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INTERVENTI

Cainpo intellettuale, potere e identitA tra contesti locali, "pensiero meridlano" e "identita merddionale"

"Gli intellettuali e gli specialisti italiani erano cosmopoliti e non italiani, non nazionali. Uomini di stato, capitani, ammiragli, scien- ziati, navigatori italiani non avevano un carattere nazionale ma cosmopolita. Non so perche questo debba diminuire la loro gran- dezza o menomare la storia italiana, che ~ stata quello che 6 stata, e non la fantasia dei poeti o la retorica dei declamatori". Gramsci, Gli intellettuali e I'organizzazione della cultura, 1996a: 74

"In realta in Italia esistono molte lingue 'popolari' e sono i dialetti regionali che vengono solitamente parlati nella conversazione intima, in cui si esprimono i sentimenti e gli affetti piO comuni e diffusi". Gramsci, Letteratura e vita Nazionale, 1996b: 164

"Colonial Williamsburg defends its credibility every day on the streets of the reconstructed capital, but its defenses are not perfect. Mistakes happen. Visitors complain". Handler & Gable, The New History in an Old Museum, 1997: 46

1. Turbolenze1 struito, da un punto di vista "Is There a Way to Talk about etnografico, i processi di ogget-

Making Culture without Making tivazione culturale attraverso i Enemies?", si chiedeva in uno quali intellettuali, politici, scien- scritto di oltre dieci anni fa Jean ziati sociali del Quebec avevano Jackson (1989) antropologa fornito un contenuto sostanziale statunitense che aveva indagato alle rivendicazioni politico-identi- le politiche culturali in Colombia. tarie della "propria" "nazione". Quattro anni piu tardi, Richard Non diversa, anche se forse Handler, studioso delle politiche meno nota, la sorte toccata al della cultura in Nord America, lavoro di James Faubion che, nel scriveva un saggio (Handler 1993, aveva dedicato una 1993) per reinscrivere nel monografia all'analisi delle stra- progetto della sua ricerca sul tegie retoriche di costruzione del nazionalismo e sulla costruzio- passato e delle identita tra le ne del localismo in Quebec le elites ateniesi della meta degli critiche, a suo awiso nazionali- anni Ottanta 2. Elites che non ste e localiste, formulate al suo hanno molto gradito il quadro Nationalism and the Politics of disegnato dall'antropologo Culture in Quebec (1988). In statunitense. tale testo Handler aveva deco- Cosa succede quando "loro

Ringrazio Franco Benigno, Luigi menti, talvolta fortemente critici, 2 Devo questa notizia a una comu- Piccioni, Gianni Pizza e Valeria hanno contribuito a migliorare un nicazione personale di Michael Siniscalchi per aver letto prece- testo del quale resto, owiamen- Herzfeld. denti versioni di questo scritto. te, il solo responsabile. Le loro letture e i loro suggeri-

leggono quello che noi scrivia- mo", si chiedeva, del resto, nello stesso anno, Caroline Brettell (1993), anche lei antropologa, anche lei statunitense. Mi sembra evidente che tali situa- zioni siano in qualche misura connesse all'attuale quadro poli- tico-economico mondiale e al fatto che si tratta di studiosi, tutti appartenenti al centro del mondo e portatori di un ordine discorsivo "occidentale", che guardano luoghi "periferici" o "semiperife- rici" con uno sguardo critico e "demistificante". Sarebbe possi- bile, e forse utile, interrogarsi su questo. Credo, pero, che i proble- mi in gioco siano ben piu complessi di quanto non lasci pensare una lettura riduttiva- mente politologica e "terzomon- dista". E credo che essi non possano essere colti senza una precisa conoscenza delle poste in gioco nel dibattito, fuori dall'ltalia ormai serrato e pubbli- co, tra saperi "scientifici" critici e sempre piu sensibili alle vicende della contemporaneita, societa civili percorse da dinamiche complicate e non lineari, e politi- che della cultura e dell'identita spesso radicali e non sempre facili da leggere.

Qualche mese fa, nei corso della presentazione di un recente scritto Sull'identitg meridionale (Alcaro 1999) - fondato sul- I'estremizzazione di quelle logi- che essenzialiste che molti antro- pologi, oggi, mettono in discus- sione - ho chiesto all'autore, che

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constatava la buona accoglienza del suo libro da parte della stam- pa e di intellettuali nazionali, come spiegasse, in termini politi- ci, tale successo. E, parallela- mente, come spiegare che le letture decostruttive delle piu aggiornate antropologie critiche provocassero, nei lettori "locali", le turbolenze cui ho appena fatto cenno. Ovviamente, la mia domanda non ha ottenuto rispo- sta.

2. "Anthropology contra Herder", owero fuori dalla tradizione roma,iuica A partire dalla prima meta

degli anni Ottanta del Novecento, le antropologie anglofone e fran- cofone si sono costruite all'inter- no di un radicale rinnovamento dei quadri teorico-concettuali, legato evidentemente ai dibattiti contemporanei "intorno al carat- tere della struttura sociale" e alla "problematizzazione delle idee sull'appartenenza, cui non e immune nessun europeo dei nostri giorni - scienziato sociale o comune cittadino" (Faubion 1996: 69, 89)3. Le etnografie degli ultimi venti anni hanno prestato un'attenzione crescen- te e sempre piu raffinata ai rapporti tra forme di rappresenta- zione storiografica e/o antropo- logica, potere, strategie di costru- zione delle identita, della memo- ria, all'interno di processi politico economici ormai globali e locali insieme4. Attraverso uno sguardo

3 Wolf (1982, 1988, 1990), Fabian (1983), Ortner (1984), Clifford e Marcus (1986), Marcus e Fisher (1986), Herzfeld (1987), Clifford (1988), Strathern (1988), Rosaldo (1989), Amselle (1990), Comaroff e Comaroff (1992), Fabre (1996), Abeles e Jeudy (1997). Cfr. anche Palumbo (1992). 4 Handler (1988), Ortner (1989), Ohnuki-Tierney (1990), Comaroff e Comaroff (1991), Herzfeld

(1991, 1992), Abeles e Rogers (1992), Hastrup (1992), Kilani (1992), Shryock (1997), Jarman (1997). 5 Oltre ai lavori cui ho fatto riferi- mento, in una letteratura ormai smisurata, si puo rinviare anche a Boissevain (1992), Stewart e Shaw (1994), Goddard, Llobera e Shore (1994), Kertzer (1996), Briggs (1996), Auge (1997), Macdonald (1993, 1997).

ittento alle pratiche "di persone 'oncrete che fanno cose concre- e" (Ortner 1984), alle dimensio- ii espressive (poetiche e retori- 'he) di tali pratiche (Herzfeld L985, Faubion 1993, Fabian L996), ai contesti che a tali azio- li conferiscono sensi e pongono imiti (Comaroff e Comaroff L991), i rapporti tra politica, ;enso del passato, memoria e neccanismi di "immaginazione" Anderson 1983), "invenzione" Hobsbawm e Ranger 1987), inversione" (Thomas 1992), costruzione" (Kilani 1992) della radizione e delle identita sono livenuti temi dominanti della icerca 5. Dopo le lezioni di :oucault (1967, 1972) e Bour- lieu (1972, 1978, 1980), gli intropologi cercano oggi di ;omprendere come, attraverso luali strategie retoriche, quali )oetiche e dunque grazie a quali neccanismi di potere intemi agli )rdini del discorso simbolico ;tesso, specifici attori sociali gente comune, politici, intellet- uali di vario tipo, compresi stori- :i, filosofi, sociologi e gli stessi intropologi) costruiscono, rece- )iscono, rielaborano, manipola- io simboli all'interno di contesti Ji diversa ampiezza e rilevanza. oome, all'interno di quali relazio-

ii di potere e perch6, per quali nteressi politici ed economici, ali operazioni, sui simboli e attraverso i simboli, consentano a "costruzione" di livelli diversi e Jiversamente oggettivati, di

6 Sia pure in forme peculiari e "autarchiche", una discussione su problemi in parte simili a questi e stato condotta, tra gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, anche all'inter- no della tradizione antropologica italiana: cfr. Cirese (1974), Lombar- di Satriani (1980, I ed. 1974), Clemente, Meoni, Squillacciotti (1974-1975), Pasquinelli (1977), Problemi del Socialismo (1979a, b), Remotti (1986).

comunita e di identita. Al di 1 dei molti approcci e delle differenti letture fornite, le diverse antro- pologie dei poteri e delle pratiche hanno ormai chiarito che, per affrontare simili problemi, occor- rono apparati concettuali elastici, articolati, lontani dall'assunzione di dicotomie meccaniche e rigide (Ortner 1989, Ohnuki-Thierney 1990)6. Molte etnografie degli ultimi due decenni hanno indaga- to lo spazio, denso e stratificato, disegnato dall'intrecciarsi dei rapporti tra scarti di potere (lo Stato, le Chiese, le comunita locali, le classi), processi di costruzione/manipolazione delle identita (chi definisce, e attraver- so quali simboli, I'idea di "comu- nita", di "gruppo parentale", di "individuo"), produzione di azioni rituali e/o cerimoniali dotate di senso (dove e da chi sono elabo- rati quei simboli? Come sono usati nel momento in cui ci si appropria di essi?) ed efficaci in differenti scenari politici. Ad esempio, e possibile leggere la credenza nel diavolo di braccian- ti proletarizzati colombiani, mettendola in rapporto con il processo di mercificazione di oggetti e persone cui e stato sottoposto il loro sistema socio- culturale (Taussig 1980)? In che modo, nel corso dell'ultimo seco- lo, i fedeli di chiese indipendenti protestanti del Sud Africa hanno decostruito e ricostruito, attra- verso performances rituali, la percezione del proprio corpo e quella della propria collocazione all'interno di un mondo che imponeva loro cambiamenti socio-politici e vincoli economici estremi (Comaroff 1985)? Come e chi definisce I'autenticita di una "danza popolare" o di una "vero stile di vita contadino" nel Quebec dei primi anni Settanta (Handler 1988) o la tipicita di un formaggio francese (Faure 1999)

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

7 Catalfaro, il nome e inven- tato, e un centro di medie dimensioni (10.000 abitan- ti) posto in un'area collinare interna della Sicilia sud- orientale.

e di un torrone campano (Sini- scalchi s.d.)? Puo, infine, la partecipazione alla vita religiosa costituire un elemento perno della ridefinizione dell'identit3 "gaelica" degli abitanti di un'isola scozzese e come la differenzia- zione cultuale tra le varie Chiese protestanti in quell'area esprime gradi diversi di adesione a un universo che ci si sforza di imma- ginare "tradizionalmente gaelico" (Macdonald 1997)?

Domande simili hanno guidato la ricerca etnografica da me condotta a Catalfaro7, cittadina della Sicilia orientale, nella quale sono vissuto da marzo 1995 a settembre 1997, cercando di indagare i rapporti tra campo reli- gioso-cerimoniale, campo politico e campo intellettuale. Tra le diver- se strategie di costruzione della comunit3 e delle identit3 (Brow 1990), le pratiche cerimoniali e religiose si sono rivelate quelle dotate di una maggiore stratifica- zione storica e di una piO marca- ta efficacia politica e forza emozionale. Ancora oggi, la defi- nizione di dimensioni nodali di molti livelli di identit3 (I'individuo, la famiglia, le parrocchie/fazioni, il paese, I'area, la diocesi, la provincia, la regione) passa attra- verso il discorso "religioso". La forte e antica conflittualit3 che connota i diversi campi indagati e la consapevolezza delle sue diver- se valenze da parte degli attori sociali, hanno reso subito eviden- te il ruolo giocato dagli intellet- tuali nella realizzazione di tali processi di modulazione delle identita e dunque nella manipola- zione e nella messa in atto dei simboli ("religiosi" e/o "politici") che le esprimono. In linea con le tendenze teoriche sopra traccia- te, ho infatti analizzato le strate- gie retoriche di costruzione/esibi- zione della memoria attraverso le quali professori universitari, stori-

ci locali e non, sacerdoti, giornali- sti, amministratori comunali, provinciali, regionali ed europei, ma anche "cuntastorie" e "artisti popolari", dando vita sociale allo spazio-tempo catalfarese (Boya- rin 1994), modellano conflittual- mente e contrattualmente le identit3 locali. Ho cercato di cogliere le continuit3 nel tempo e le rotture di simili "modi di dire e di fare" (Verdier 1979) e di seguir- ne il costante variare del senso. La ricerca condotta ha, da un lato, reso esplicito il carattere costruito, non essenziale, arbitra- rio, politico di ogni forma di iden- tita; e ha sottolineato, dall'altro, la capacita di presa che simili identit3 "inventante" mostrano di avere sui concreti attori sociali. Piuttosto che "smascherare" il carattere ideologico o le comples- se operazioni strumentali che simili operazioni di "invenzione" possono nascondere, una lettura critica ha il compito, credo, di soffermare la propria attenzione sui processi, sempre politici, di costruzione/decostruzione delle identita, sulle rivendicazioni, le pretese e le contese per I'auten- ticit3, I'originalita, la priorita, I'ortodossia, la "correttezza filo- logica" delle tradizioni (Handler 1988, Handler e Gable 1997, Herzfeld 1997a, 1998, Palumbo 1997, AA.W. 1999). Ha ancora il compito di mostrare come i simboli religiosi giochino un ruolo centrale sia nel realizzare quella naturalizzazione di ordini sociali, politici e cosmologici cui, gi3 trent'anni fa, faceva riferimento Bourdieu (1971, pp. 328-329), sia nel rendere possibile quella continua opera di contestazione, di ideologizzazione, che alcune riletture antropologiche delle categorie gramsciane (Comaroff e Comaroff 1991, Alonso 1992) ritengono fondamentale per la comprensione del carattere dina-

mico e conflittuale della prassi umana.

Uscite definitivamente dalla tradizione romantica e dalla sua rappresentazione olistica, essen- ziale e integralista della cultura, della societa, dell'identita (la cultura e I'identita come entita sostanziali e specifiche di popoli e nazioni), le attuali antropologie sostengono che tutti i livelli di identita, sempre impuri, sempre relativi, sono costruiti all'interno di molteplici spazi di contrattazio- ne politica. I simboli che li espri- mono acquistano significati diffe- renti a seconda dei contesti all'interno dei quali vengono messi in atto, delle strategie reto- riche di volta in volta adoperate, del grado di abitudinarieta (dunque di non consapevolezza) o del livello di consapevolezza (dunque di contestabilita) che i loro molteplici significati hanno per i protagonisti delle diverse scene. Le identita, tutte le iden- tita e i diversi ordini discorsivi che le esprimono, si costruiscono sempre in uno spazio concettua- le e ideologico plastico. Uno spazio topologico del quale fanno parte i vari saperi disciplinari, compreso quello antropologico, lo Stato e la Chiesa, con i loro apparati istituzionali e classifica- tori, i campi intellettuali e le scene perfomative locali. La "comunita" (Cohen 1985, Knight 1994, Mitchell 1998), il "paese" (Clemente 1997), la "regione" (Cavazza 1997, Fincardi 1998), la "tradizione" (Boyer 1989) sono "immagini" prodotte dal confronto e dallo scontro tra isti- tuzioni, ordini discorsivi, spazi della rappresentazione e del- I'azione interconnessi, sovappo- sti. Piu che inventati e imposti dall'alto, come vorrebbe il model- lo proposto quasi vent'anni fa da Hobsbawm e Ranger (1987, ed. ingl. 1982); piu che "armi a

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disposizione dei deboli" e stru- menti retorici di resistenza locale alle dominazioni globali (Scott 1985, 1990), questi livelli di aggregazione delle identita e i simboli attraverso i quali essi vengono immaginati, si struttura- no, prendono forma e mutano all'interno di una complessa dialettica tra alto e basso, tra globale e locale, tra poteri ester- ni e contropoteri o forme di resi- stenza intemi. Lo Stato, la Chie- sa o altre grandi istituzioni hanno indubbiamente un ruolo nel- I'invenzione di "tradizioni", simboli, identita, ma questo non spiega la loro efficacia e il loro radicamento. Inventate e costrui- te dall'alto o contro I'alto, queste costruzioni simboliche possono essere adoperate da diversi atto- ri sociali "locali", piu o meno deboli, come strumenti di resi- stenza, ma a sua volta questo non rende conto della utilita e della funzionalita che simili rappresentazioni disemiche - capaci, cio6 di significare cose molto diverse in ciascuno dei due versanti della linea di demarca- zione tra interno e esterno- possiedono per gli stessi poteri esterni. Come ha mostrato Herz- feld (1992, 1997) i modelli, le immagini, i simboli adoperati dagli Stati-Nazione per classifica- re e controllare I'altro, il locale, hanno "radici simboliche" che affondano nella pratica della vita quotidiana degli stessi contesti locali. Gli attori sociali che vivono in tali contesti hanno in questo modo a loro disposizione ampi

8 Santino (1995: 59, 156), Bevi- lacqua (1999: xix), Armao (2000: 105). E interessante notare come in tutti questi autori il riferimento a tale "dimensione" venga fatto in maniera velata, quasi accidentale e, per questo, piu interessante. Emblematico il caso di Armao che argomenta, a ragione, contro tesi

che sostengono una rappresenta- zione della mafia come "stato d'animo e/o dato culturale, antro- pologico" (cit., p. 105). Ma la sua critica si rivolge all'identificazione mafia = dato antropologico, e non certo all'idea stessa che esista qualcosa come "un dato antropolo- gico". Piuttosto che analizzare le

pazi di manovra all'interno dei luali mettere in atto strategie di lefinizione della propria identita Diu intima (I'intimita culturale, osi la chiama Herzfeld: 1997), e lunque di esclusione e/o inclu- ;ione dell'altro. Strategie, pero, he presuppongono una sorta di acito accordo con le logiche e le lsigenze di controllo degli Stati- lazione. Sottili e reciproche )oetiche di sfruttamento degli tereotipi (Herzfeld 1992), stra- egie di oggettivazione e di ride- erminazione del senso della radizione (Handler 1988), uso di mmagini piu o meno nostalgi- he, comunque retoricamente ,ostruite, del passato (Herzfeld .991, 1997, Faubion 1993, 'alumbo 1997): tutto questo, [razie all'azione di intellettuali e ;tudiosi, lega in un inscindibile e luridimensionale rapporto 'aese e paesi, Stato e comunita, .gemonico e subalterno.

Muoversi in un quadro simile, linamico e criticamente destrut- urato, conferisce alle nostre inalisi etnografiche, oltre ad una :omplessita a volte difficile da sestire, una liberta solo pochi inni fa impensabile. Se voglio omprendere il senso e, soprat- utto, I'efficacia politica di un leterminato cerimoniale "laico" nesso in scena a Catalfaro tra .995 e 1998, devo far si che Ilcuni importanti storici profes- ;ionali, alcuni politici regionali, lazionali ed europei, le loro scel- e di politica culturale, I'etno- ,rafo, un antropologo fisico di na Universita del Nord, una

politiche e le poetiche che, nel caso della mafia, hanno portato alla "invenzione" di tale "dato", egli preferisce proporre un'immagine (quella del mafioso come individuo mancato e come personalita crimi- nale (Armao 2000: 27-54), frutto evidente di precise strategie di potere.

mummia seicentesca, un parro- co e un Vescovo, alcuni storici locali, studiosi di folklore del- I'area, un falegname che costrui- sce modellini di monumenti del passato, un contastorie locale che vive a Milano, un notissimo presentatore televisivo, nato a Catalfaro, due fazioni poli- tico/religiose, tutti entrino in un medesimo contesto analitico e narrativo. Da un certo punto di vista, ogni ricerca etnografica, oggi, non pu6 non essere (anche) un'antropologia politica della produzione culturale. Non esiste una dimensione antropologica della realta umana, come in Italia sembrano credere alcuni sociolo- gi, storici, psicologi o filosofi8; oggi pratichiamo una disciplina etnografica e critica interessata a cogliere i meccanismi politici che portano diversi attori sociali, in forme di volta in volta specifiche, a immaginare dimensioni natura- lizzate, essenziali, "astoriche", "ur-originarie", "antropologiche", appunto, del comportamento sociale. Se faccio etnografia in un centro italiano (o greco, scoz- zese, canadese, statunitense, dello Sri Lanka o del Ghana) non posso non interrogarmi sui processi di produzione degli "oggetti" che ho intenzione di indagare, sia nella storia politica della realta in esame, sia nella mia stessa vicenda disciplinare. Oggi non studiamo piu nei "villag- gi", ma i processi politici che ci portano a (poter) osservare dei "villaggi" e che portano, in deter- minati contesti, gli abitanti di quei "villaggi" ad immaginarsi conno- tati da una medesima e sostan- ziale identit3. Non ci interessano i comportamenti tradizionali, ma le retoriche politiche di produzio- ne della tradizionalita. Dopo un ventennio di decostruzione del carattere olistico ed essenziale dei nostri concetti guida (cultura,

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

societa, etnia, gruppo, genere, persona, individuo) e delle loro radici cartesiane ed herderiane, sappiamo oggi che la "tradizio- ne" e una invenzione della "modernita" (Boyer 1989). Oggi non ci incuriosiscono piO (tanto o soltanto) i fatti, ma le strategie politiche, le poetiche di costru- zione e di rivendicazione della fattualita (Herzfeld 1998). Non pensiamo di cogliere delle iden- tit6 sostanziali o originarie e non ci basta piO interpretare delle culture. Siamo invece interessati alle retoriche e alle pratiche dell'inclusione e dell'esclusione, alia produzione della somiglianza e della differenza, ai tentativi di costruire "cose", "identita" origi- narie e autentiche, o a quelli di attribuire ad altri lo stigma dell'inautenticita. "Identita", "culture", "tradizioni", gli "ogget- ti" classici dell'antropologia - la nostra stessa disciplina- ci appaiono ormai presi all'interno di meccanismi di oggettivazione e di rivendicazione, di dichiarazio- ne ideologica e riflessiva che, strutturandosi nei rapporti tra poteri, istituzioni, e attori delle diverse scene politiche, ne connotano lo status e li trasfor- mano sempre piu spesso in commodities, beni giocati all'interno del mercato delle diffe- renze.

La tendenza de-essenzializ- zante e critica dello sguardo etno- grafico attuale, la sua predilezio- ne per I'analisi dei meccanismi, sempre politici, di produzione del senso, della "cultura" e quindi delle identita, espongono I'antro- pologia ad alcuni rischi. Da un lato, questa linea di riflessione porta ad interrogarsi, attraverso ricerche sofisticate e inevitabil- mente di lunga durata, sul valore politico della stessa antropologia all'interno della crisi della moder- nita e sulla natura stessa della

modernit3 (Faubion 1993). Porta inoltre a sottolineare gli spazi di manovra a disposizione degli attori sociali anche all'intemo del piu rigido e cupo processo di globalizzazione. Dall'altro, pero, adottare una prospettiva "vicina all'esperienza", critica e insieme de-essenzializzante, significa dover indagare da vicino lo spazio politico di produzione, costruzio- ne, rivendicazione delle "iden- tita"; implica un'analisi attenta dei meccanismi e delle strategie di manipolazione/costruzione della memoria e delle rappresen- tazioni della storia; comporta lo studio delle procedure di essen- zializzazione, di irrigidimento delle somiglianze e delle diffe- renze. Significa, in altre parole, entrare dentro il meccanismo della produzione delle "cose culturali" e guardare le logiche di potere che lo muovono. Significa pensare di potersi porre nello spazio creativo tra globale e loca- le, tra Stato e comunita, tra prete- se naturalizzanti di ordini discor- sivi egemonici, rivendicazioni oggettivanti messe in atto da diversi discorsi locali e capacita di lettura di una scienza sociale critica e, se si vuole, politica- mente impegnata (Herzfeld 1998), guardando "oggetti", processi, "dati" che altre letture ritengono non a caso irrilevanti, marginali, esotici. Forse anche per questo e cosi difficile trovare "modi di scrivere della produzio- ne della cultura che non siano anche modi di farsi dei nemici".

3. Identita sostanziali e riven- dicazioni politiche Su un traghetto tra Messina e

Villa San Giovanni, proprio sotto un cartello che dice "Vietato Fumare", un uomo di circa cinquant'anni, probabilmente un dipendente dell'Universita - lo intuisco dai suoi discorsi - discu-

te con un vicino. Entrambi fuma- no. Situazione quotidiana, questa, sui traghetti dello Stret- to, che normalmente scivola al di sotto della mia soglia percettiva nel settimanale pendolarismo Roma-Messina-Roma. In quei giorni, pero, stavo tornando dal campo, dopo alcuni mesi di permanenza a Catalfaro, per una breve visita a Roma. In paese stavo imparando a muovermi nella sfera pubblica locale, passaggio ineludibile per cercare di comprendere quella peculiare configurazione che la modernit6 assumeva tra le pietre barocche di uno spazio dilaniato, negli anni Ottanta, da mafia, cavalieri del lavoro e sinistra DC. Forse per stanchezza, forse per giocare con lo spazio pubblico, questa volta scelgo di indicare ai due fumato- ri il cartello sopra le loro teste, chiedendogli di smettere, visto - aggiungo indicando il cartello - che c'e una legge che consente a chi non ha voglia di fumare di non respirare il fumo altrui. A questa mia osservazione, espressa in termini ironici, la reazione e piut- tosto dura. 11 piu anziano dei due fumatori, forse assumendo dal mio italiano in apparenza non dialettale il mio non essere meri- dionale, ostentando un marcato accento calabrese e continuan- do a fumare, mi dice: "Qui al Sud siamo fatti cosi. Le regole ce le facciamo da noi, lo Stato siamo noi. Voi non potete capire". Gli rispondo. Dico che faccio fatica a capire cosa voglia dire essere del Sud, ma se questo significa essere nati, cresciuti e lavorare in qualche parte d'ltalia geografi- camente a sud di Roma, bene allora - al di la della lingua: nel mio italiano e facile cogliere assonanze vocaliche proprie della costa adriatica pugliese - anch'io penso di potermi definire, da un qualche punto di vista, del

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sud. Forse, aggiungo, sono semplicemente un meridionale un po' piu educato, visto che non mi ostino a fumare in presenza di persone a cui il fumare altrui d3 fastidio. A questo punto entram- bi spengono le sigarette.

La scena, solo in apparenza banale, meriterebbe un'analisi attenta e porterebbe, credo, a riflessioni utili sulla conformazio- ne dello spazio pubblico, nello spazio di mare fluido che separa le terre tra Scilla e Ganzirri. Al di 1 di questo, per6, quello che mi colpisce 6 il carattere evidente- mente paradossale della situa- zione. Ad un "cittadino" che e, per caso, un antropologo e che reclama il rispetto di alcuni elementari principi della "moder- nitY" politica, risponde un indivi- duo che legittima il suo non (voler) aderire a tali principi, esibendo ed usando come arma retorica di "resistenza" una visio- ne herderiana, dunque "antropo- logica", della cultura. Un antro- pologo relativista, per quanto cittadino di uno Stato che, tra Archi e Capo d'Orlando, fa fatica ad imporre anche il rispetto del divieto di fumare, non potrebbe non concordare con la risposta fornita dal mio casuale interlocu- tore, vero "resistente" per i diritti della subaltema cultura dei fuma- tori del Sud. In realt3, nonostan- te tutti i limiti e i pochi meriti del discorso antropologico dei primi sei decenni del secolo scorso, se la ricostruzione delle piu recenti riflessioni sulla "costruzione" delle identita fatta in precedenza ha un senso, uno sguardo etno- grafico aggiornato pu6 fomire utili elementi di riflessione sul nostro apparentemente banale "social drama".

II comportamento del mio interlocutore esprime con estre- ma chiarezza I'esistenza e il modo di attivarsi di quel piano di

costruzione dell'identit3 che Herzfeld (1997: 3) ha definito "intimit3 culturale", ossia:

"il riconoscimento di quegli aspet- ti dell'identita culturale che sono considerati fonte di imbarazzo rispetto all'estemo, ma che non di meno fomiscono a chi e intemo una garanzia di comune socialita, quella sorta di familiarita con i fondamenti del potere che pu6, in un dato momento, garantire a chi viene costretto un certo grado di irriverenza creativa e, un attimo dopo, puo rinforzare la concretez- za dell'intimidazione".

Comportamenti, pratiche, simboli, adoperati all'interno di relazioni di potere per stereotipiz- zare e classificare I"'altro", collo- candolo in una condizione di subalternita, possono essere adoperati dalla parte meno forte come strumenti per sowertire la stessa relazione di potere. Attra- verso un'accettazione, esplicita o implicita, comunque apparente, del carattere "negativo" che quel- la pratica assume nella relazione di potere (ad esempio, I'abigeato a Creta, il clientelismo in Corsica, o il fumare in aree interdette su un traghetto siciliano) si mette, infatti, in scena la possibilita di definire un'identita intima (noi, purtroppo - detto in senso ironico - facciamo questo) che si contrappone all'identit3 ufficiale (che ci dice di non farlo e dichiara di fare altro). Si fissano un "noi" e un "loro", un "dentro" e un "fuori" necessariamente stereo- tipati, con i quali 6 sempre possi- bile giocare attraverso strategie retoriche che variano a seconda dei contesti e delle posizioni rela- tive dei diversi protagonisti. Le possibilit3 di sowersione delle relazioni di potere, I'individuazio- ne di una "intimit3 culturale" da adoperare come antidoto al "nazionalismo culturale" (Herz- feld 1997: 14), implica, per6, che

le parti in gioco accettino lo stereotipo stesso e le logiche riduttive che lo definiscono. Esiste un terreno comune, simbo- lico e retorico, tra le sowersioni resistenti delle categorizzazioni "statali", operate dagli apparte- nenti a contesti "locali", e l'impor- si della macchina statale di produzione di identita immagina- te essenziali, rigide, subalterne, tradizionali, arcaiche, residuali. L'analisi delle strategie di resi- stenza, di accomodamento, di ac- cettazione o di imposizione deve darsi nella lettura delle poetiche sociali di volta in volta messe in scena dai concreti attori. Una lettura critica, per6, non pu6 mai ignorare il legame profondo tra la pratica degli stereotipi (costruzio- ne continua di piani sovrapposti di identita piu o meno intime) e la stereotipizzazione delle pratiche (messa in atto da ordini discorsi- vi vicini al potere).

II fumatore-resistente si muove, nella scena, come un abile stratega del gioco della pratica degli stereotipi, ma all'interno di uno spazio retorico, fondato sulla stereotipizzazione "sowersiva" delle proprie prati- che e sulla stereotipizzazione "ghettizzante" di quelle altrui, comune tra "il se" e "l'altro", tra la "comunita locale" e lo "Stato", tra "intimita" e "distanza" cultu- rale. Egli, infatti, legge la mia richiesta come il riferimento ad un ordine etico-politico, statale ed esterno: esiste una legge, indicata dal cartello. Uno Stato che, nella sua risposta, viene immaginato integralmente unito, astratto, lontano, capace solo di stigmatizzare chi non gli appar- tiene. Un'entita monolitica e negativa in opposizione alla quale definirsi in termini positivi, ma certo non meno monolitici e stereotipati di quelli che la sovversione dello stereotipo

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

intenderebbe decostruire. II mio interlocutore, inoltre, mi identifi- ca interamente e sostanzialmen- te con tale ordine, mi definisce come "altro" in termini rigidi e stereotipati. Suppone che io sia un "non meridionale", uno del nord. In realta sono nato in Puglia, quando questa era consi- derata la "Lombardia del Sud", da genitori garganici, terra - il Gargano - sempre marginale rispetto alla Bari levantina e socialista; poi sono vissuto in Ciociaria, area che negli anni Settanta era considerata indu- striale e quindi quantomeno "centro Italia", ma che nei decen- ni successivi si dice si sia sempre piO "campanizata". Ho studiato a Roma, dove oggi vivo, che era per me, senza ombra di dubbio, la Capitale d'ltalia dalle Alpi a Mazara del Vallo, come dicevano i sussidiari delle mie elementari, e che ora, qualcuno al di la del Po, immagina come Capitale-Ladrona di uno Stato nemico; da sette anni, infine, lavoro a Messina, sulla cui natu- ra di "verminaio" meridionale pochi, in questi ultimi mesi, sembrano avere dubbi. II discor- so del fumatore suppone, insom- ma, un'immagine integralista, essenziale, schematica di me, nella quale assolutamente non mi riconosco. Un'immagine che, come sottolinea Herzfeld (1997), ricorda molto da vicino le catego- rie attraverso le quali la disciplina che pratico ha per decenni cerca- to di classificare e spiegare gli "altri". Situazione paradossale, questa, che mostra con evidenza quanto sia mutato, nel corso degli ultimi anni, il rapporto che donne e uomini che vivono in Stati-Nazione hanno con i mecca- nismi di definizione delle proprie e delle altrui identita. II fumatore mette, dunque, in atto una forma di "resistenza" che opera attra-

verso la trasformazione in segno identitario di una sua pratica (fumare in spazi non consentiti) il cui valore "negativo", per il conte- sto statale al quale mi associa, egli riconosce, ma alla quale non attribuisce lo stesso valore nel proprio contesto locale. Sower- tendo lo stereotipo, attraverso la pratica del fumo, quella persona definisce un piano identitario esterno, altro e statale, al quale si contrappone, e un piano iden- titario interno, intimo e locale, dal quale mi esclude. In questo modo puo stabilire definizioni stereotipate di s6 e di chi gli sta di fronte.

Si tratta chiaramente di stra- tegie di resistenza e di sowersio- ne di rapporti di potere, adopera- bili tanto per questioni (in appa- renza) banali, come la contratta- zione sul senso da attribuire ad una dimensione ridotta e parzia- le dello spazio pubblico, quanto in situazioni piu delicate, come, ad esempio, quelle legate ai rapporti tra ideologia sicilianista e spiegazioni culturaliste della Mafia (Schneider 1994, cit. in Herzfeld 1997: 16). Strategie che e necessario collocare all'interno dell'economia politica dei simboli e delle pratiche che struttura i rapporti tra piani dell'identita negli Stati-Nazione contemporanei. Ha poco senso, a mio awiso, chiedersi se il valo- re contestativo, o di resistenza, di questo o quel comportamento, di questa o quella pratica, sia positivo, o meno - progressivo o regressivo, si sarebbe detto negli anni Cinquanta (cfr. Pasquinelli 1977)- in questo o quel conte- sto, in questo o quel caso. Piu utile, credo, sottolineare come entrambe le strategie - quella semiotizzante e quella contesta- trice - si giochino in scene sempre contestuali, all'interno delle quali - se si vuole mante-

nere un obiettivo conoscitivo e politico - vanno di volta in volta individuati i concreti rapporti di forza. Detto altrimenti, per quan- to tendenzialmente legate, I'una all'azione dello Stato e di poteri forti, I'altra alle procedure di protezione e sowersione di iden- tita "locali", non e possibile defi- nire I'uso di tali strategie in termi- ni assoluti e rigidi. Se il mio inter- locutore fosse stato un mercante di diamanti sudafricano che, su quella nave, picchiava il rappista nero, ed io I'amico del musicista che gira per raccogliere le offerte, o se quello fosse stato un boss, che mi intimava di allontanarmi dalla sala riunioni, le mie rivendi- cazioni universaliste - semiotiz- zanti- e le loro resistenze locali- ste-contestatrici: accetto lo stereotipo che tu hai di noi "pove- ri" mercanti di diamanti boeri, o di noi "poveri" boss siciliani, martirizzati dai discorsi di tanti sociologi culturalisti, ma sai, la nostra Cultura e questa - avreb- bero avuto valenze politiche ironi- camente opposte. Per uscir fuori da simili strettoie concettuali, lo sguardo antropologico - e direi anche una pratica politica complessa - non possono non indagare con estrema attenzione le dimensioni poetiche e retori- che delle strategie di costruzione delle identita, tra "globale" e "locale", individuando le "radici simboliche" che le accomunano.

Alla base di simili poetiche troviamo alcune strategie che e possibile rinvenire sia nelle prati- che sociali di tutti noi, occasionali maestri di locali scene quotidia- ne, sia nelle scelte conoscitive e narrative di intellettuali e scien- ziati sociali pronti a "immaginare comunita", a fissare identita, a individuare "Pensieri". Tra simili strategie, fondamentale, come detto, e la costruzione di stereo- tipi, immagini schematiche e

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denigranti I'"altro", che compor- tano I'immobilizzazione in model- li rigidi delle identita molteplici di ciascun soggetto sociale. Insie- me a tale costruzione, importan- te e la sowersione degli stereoti- pi, pratica, anche questa, che si fonda sull'attribuzione di un carattere sostanziale e olistico a determinate identita, le proprie, pensate pero come positive. Quindi la riduzione a schemi dico- tomici, rigidi e immobilizzanti, delle complesse dinamiche poli- tico-culturali all'intemo delle quali prendono forma, in maniere sempre contestuali e relative, le diverse identita sociali. Legata a questa, la costruzione di rappre- sentazioni nostalgiche e "ogget- tivanti" del passato e la riduzione dei processi storici a scontro tra entita, "cose" concrete, che, pensate nel presente, sono raffi- gurare sempre identiche a se stesse nel corso del tempo.

Tutte queste strategie emer- gono con chiarezza quando tentiamo una lettura antropologi- co-politica di alcuni recenti testi che hanno "immaginato" I'e- sistenza di identita meridionali e di pensieri del sud. Al saggio II pensiero meridiano, pubblicato da Franco Cassano nel 1996 e piu volte riedito, va riconosciuto il merito di aver contribuito a rilan- ciare, e a porre su basi diverse, piu aggiomate e meno anguste, i dibattiti politici sul Sud d'ltalia. Un buon numero degli scritti che in questi ultimi anni hanno cerca- to di ripensare in termini politica- mente e socialmente critici i problemi, le "questioni meridio- nali" (Donolo 1999), hanno trova- to nel libro di Cassano un punto di partenza e di riferimento. II saggio in questione parte dalla constatazione della centralita dei processi di periferizzazione, del sud Italia come dei molti sud del mondo, rispetto al centro di un

sistema politico-economico globale (Cassano 1998: 4). Intrappolato all'interno di mecca- nismi di potere e di logiche economiche, studiati in realta gia da alcuni decenni (Wolf 1982, Schneider e Schneider 1989, ed. ing. 1976), il sud d'ltalia appare a Cassano caratterizzato da forti contraddizioni. Queste, pero, piuttosto che come elementi di freno allo sviluppo di una piena modernita, devono essere letti - a ragione - come conseguenze della particolare declinazione che I'idea e la pratica della modernita hanno assunto nello specifico contesto storico-politico (Cassa- no 1998: 34). Modemita specifi- ca, quella del sud, che e inoltre alla base dell'elaborazione delle immagini, entrambe stereotipa- te, entrambe false, che del Mezzogiorno italiano vengono fornite da rappresentazioni ester- ne che su di esso scrivono o riflettono (ibid.: 4). A queste forme di destrutturazione, indotte da un tacito accordo tra elites esterne e interne, e agli ordini discorsivi dominanti che, leggen- do i processi storici in corso, fissano ed ascrivono identita, status, parametri e livelli di sviluppo, Cassano propone di opporre, come antidoto filosofi- co-esistenziale, I'elaborazione di un pensiero meridiano:

"Un pensiero del sud, un sud che pensa il sud, vuol dire guadagna- re il massimo di autonomia da questa gigantesca mutazione, fissare criteri di giudizio altri rispetto a quelli che oggi tengono il campo, pensare un'altra classe dirigente (...). Questa radice, questi luoghi che oppongono una resistenza alla tecnicizzazione, sono ancora piO preziosi per il pensiero meridiano. Nella sua ottica rovesciata infatti non solo le patologie meridionali non nascono da un deficit di moder- nita, ma sono il sintomo di

un'infezione che nasce nel centro del sistema, le spie della ferocia nuova e unidimensionale del "turbo-capitalismo" (Cassano 1998: 5).

Occorre, dunque, "non pensa- re il sud alia luce della moderita ma al contrario pensare la moder- nita alla luce del sud" (ibid.: 3). Sono molte le letture che, tra i primi anni Ottanta e i primi anni Novanta, hanno cercato di inda- gare quei processi antisistemici e quelle forme di resistenza che tentavano di complicare I'imporsi di un sistema politico-economico mondiale (cfr. Palumbo 1992). Cassano, nel 1996, propone di assumere la "diversitY" dei sud, rispetto ai criteri ideologici che guidano i processi omologanti della globalizzazione, come spazio di elaborazione di un pensiero (meridiano) critico di quegli stessi criteri, come ambito di sperimentazione di nuove forme di aggregazione politica e identitaria e luogo di riflessione sul senso stesso della moder- nita. In prima battuta, un simile progetto non puo non trovare d'accordo quanti si collochino all'interno del percorso critico delineato nelle pagine preceden- ti. Alcuni evidenti distanze, pero, sorgono quando ci chiediamo attraverso quali strumenti concettuali elaborare una simile riflessione e, soprattutto, quando proviamo a interpretare le cate- gorie e le operazioni retoriche attraverso le quali il pensiero di Cassano costruisce quel pensie- ro meridiano che intende consen- tire al Sud di pensare se stesso. Quello di Cassano 6, evidente- mente, un pamphlet politico. Non e, dunque, ne I'attenta decostru- zione etnografica delle specifiche forme che la modernita assume in un contesto storico preciso (le 6lites ateniesi di Joannes Faubion - 1993 - o lo scontro tra

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

storia eroica e storia critica in un sito museale statunitense -Hand- ler & Gable 1997), n6 il tentativo di elaborare un "antropologia dei mondi contemporanei", proposto qualche anno prima da Marc Aug6 (1994, trad. it. 1997), capace di sfruttare il sedimentar- si, anche nelle societa civili euro- pee e nord-americane, di un senso comune antropologico e di direzionarlo verso una critica delle stesse idee di modernita e di post-modernit3. Diversamente da tali percorsi, il lavoro di Cassa- no mi sembra risentire del carat- tere filosofico, o politologico, di parte della cultura "alta" italiana, che da a volte la sensazione di non trovarsi del tutto a proprio agio quando si tratta di elaborare modelli interpretativi capaci di abbandonare, sia pure per un attimo, il piccolo cabotaggio tra alcuni sempre meno sicuri appro- di della propria "tradizione" stori- cista e idealista.

Cassano sembra rendersi conto dei fraintendimenti cui il suo progetto politico puo andare incontro:

"Ma pensiero meridiano non vuol dire neanche apologia del sud, di un'antica terra assolata o orien- tale, non e la riscoperta di una tradizione da ripristinare nella sua integrita. Pensiero meridiano e quel pensiero che si inizia a sentir dentro laddove inizia il mare, quando la riva interrompe gli inte- gralismi della terra (in primis quel- lo dell'economia e dello sviluppo), quando si scopre che il confine non e un luogo dove il mondo fini- sce, ma quello dove i diversi si toccano e la patria del rapporto

9 Come detto, anche le nozioni di "persona", di "individuo", di "gene- re", di "credenza", sono state ampiamente discusse e decostrui- te, in antropologia, a partire dai primi anni Ottanta. Per una rifles- sione che ritiene importante pensa- re all'esistenza di esseri "dividui"

(in Melanesia, ad esempio: Strathem 1981) e non soltanto "in- dividui", la metafora di un "pensie- ro" geograficamente collocato e connotato e costruzione densa di significati politici che e necessario analizzare e che, quindi, difficilmen- te puo divenire un utile strumento di

con I'altro diventa difficile e vera. II pensiero meridiano infatti e nato proprio nel Mediterraneo, sulle coste della Grecia, con I'apertura della cultura greca ai discorsi in contrasto" (Cassano 1998: 5).

Certo Cassano (1998: 43) ensa in termini di aperture, scri- e per rivendicare logiche anti- jentirarie, scissioni, identita ammentarie e pratiche frattali. e sue intenzioni e le sue scrittu- e si dichiarano anti-essenziali- te. A un pensiero del pieno, :assano dichiara di preferire un ensiero della differenza, dello carto, della frattura. Forse per uesto sceglie un linguaggio enso di metafore: il mare, il onfine, la Grecia. In tal senso leidegger e null'altro che una netafora, speculare e contrap- osta ad un'altra metafora, la Irecia. Nietzsche e il suo "ritorno I sud", al mare e alla nave costi- uiscono una diversa metafora, ) sradicamento costante e tota- e, che serve a definire l'intellet- uale (I'antropologo-flaneur?) ,enjaminiano e disancorato bid.: 32-42). Al disancoramento sistenziale e all'ancoramento )ntologico, all'apolidismo e alla 'atria, Cassano contrappone il avigare tra terre diverse e il ornare a Itaca, per poi cercare di partire e ricostruire ponti (ibid.: t5-47). Si tratta di immagini ;uggestive che esprimono inten- ioni con le quali non si puo non lssere d'accordo. Alle loro spal- e, del resto, e facile cogliere ilcuni temi classici del discorso intropologico: I'etnocentrismo :ritico demartiniano (De Martino

indagine edi azione politica. Dove e infatti lo scarto di genere nella nozione di "pensiero meridiano"? E come, ad esempio, questa nozione puo aiutare a pensare I'idea di un'identita gay nelle societa del sud?

1977: 389-395, al quale Cassa- no non fa riferimento) e i fonda- menti stessi, da molti decenni, dei piO classici lavori etnografici (Levi Strauss 1960, Geertz 1973). II problema, pero, e un altro. Al di la delle intenzioni dichiarate, Cassano fa uso di strategie retoriche - e dunque politiche - che sembrano reintro- durre categorie del pieno, dell'essenza, poco divisorie, poco "greche" potrei dire, adot- tando, per un solo istante, una sua metafora. Metafora che nel discorso di Cassano resta, come molte altre, non analizzata e che, dunque, un'antropologia intesa come critica culturale (Marcus e Fisher 1986, Herzfeld 1987: 4) non puo non usare con estrema cautela. In altre parole I'antidoto proposto ai pericoli di "ideologiz- zazione", di "orientalizzazione" del sud rischia di produrre distor- sioni maggiori di quelle che inten- de esorcizzare. Innanzitutto, per una riflessione antropologica che, da qualche tempo, ha sempre maggiori difficolta a costruire immagini nette, olisti- che, dei singoli soggetti sociali, la scelta retorica - e dunque politi- ca - di oggettivare, di entizzare uno spazio di riflessione, addirit- tura rappresentandolo come un "Pensiero", appare problemati- ca9. Ma, al di la di questo, fa problema l'uso di strategie retori- che che collocano il "Pensiero meridiano" in un rapporto cosi stretto, intimo e duraturo con un "uomo mediterraneo" (ibid.: 44), con una "cultura mediterranea" che, quantomeno nel discorso antropologico, sappiamo essere costruzioni ideologiche, essen- ziali e stereotipate, prodotte tra meta Ottocento e meta Novecen- to all'interno di operazioni di clas- sificazione e di dominio messe in atto da quegli stessi ordini econo- mici e politici che il "Pensiero

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meridiano" dichiara, con forte e condivisibile passione civile, di voler mettere in discussione10. Analogo il discorso per la "Grecia". Anche questa "realth", infatti, cosi come la rappresenta Cassano -metafora del pensiero polemico e del pensiero tragico, luogo della critica, dell'ancora- mento e del disancoramento, spazio di "incrocio-scontro di terra e di mare" (Cassano 1998: 41), confine che fonda la liberta critica dell'Europa - e una costru- zione "immaginaria". Come mostrano alcuni lavori etnografici e antropologici (Herzfeld 1987, Faubion 1993), essa si forma in epoca romantica, parallelamente al costituirsi di uno Stato-Nazione ellenico. In quegli anni, all'intemo di uno scontro-incontro tra discor- si egemonici e politiche imperia- liste nord-europee, da un lato, e strategie di costruzione identita- ria di intellettuali e politici nazio- nalisti "greci", dall'altro, si elabo- ra I'immagine di un'identita "clas- sica", "pura", "ellenica" che dovrebbe garantire al nuovo Stato una difficile compartecipa- zione al sistema politico europeo (Herzfeld 1987: 49-76). A questa identita per I'esterno, ellenica, pubblica, maschile, si contrappo- ne un'identita interna, Romaica, contaminata dall'oriente, intima, femminile (Herzfeld 1987: 102- 118). Le poetiche dell'identita dei concreti attori sociali greci, oggi osservabili etnograficamen- te, si disegnano nel continuo giocare tra entrambe queste costruzioni stereotipate e "dise- miche". Presi tra un discorso pubblico, che ricorda il loro esse- re (come) Ulisse o Penelope e impone loro di presentarsi all'esterno come "Greci (classi-

ci)"; e un'immagine privata, che li porta a rappresentarsi come Romios, a parlare il demotico o a mettere in atto pratiche "illegali", owiamente introdotte dai Turchi, i Greci possono cosi identificarsi all'Europa, mantenendo spazi di resistenza. E proprio a partire da questa tensione tra stereotipo e strategie di rappresentazione che Herzfeld (1987: 4546) ha elabo- rato il concetto di "intimita cultu- rale". Inoltre, solo smontando il gioco delle reciproche e duplici operazioni di costruzione degli stereotipi e delle metafore dell'appartenenza, solo mostran- done gli usi nei concreti contesti politici e discorsivi (incluso quel- lo antropologico, quello folklorico e, perche no?, quello socio-filo- sofico) e possibile giungere ad una lettura critica dei processi di definizione identitaria.

A fronte della decostruzione etnografica di categorie naziona- listicamente colluse, come quella di "Grecia" e di "Mediterraneo", le eleganti metafore di Cassano sembrano invece rinviare a quegli stessi meccanismi di costruzio- ne di identita stereotipate ed essenziali che abbiamo visto alla base delle politiche di produzione dell'intimita e dell'estraneita nei moderni Stati-Nazione. Naturaliz- zazione: "l'ipotesi che sta alla base delle nostre riflessioni e che esista un'omologia strutturale tra la configurazione geografica della Grecia (ed in particolare il rappor- to tra terra e mare) e la sua cultu- ra" (Cassano 1998: 21); "in questo esercizio, nella confiden- za con la grammatica dell'acqua c'e un'antica saggezza, il sugge- rimento della possibilita di un altro tempo" (ibid.: 17). De-stori- cizzazione dell'altro o di un "s6",

10 Nel corso degli anni Ottanta il di "Antropologia del Mediterraneo" (1984,1987), Llobera (1986), Piia dibattito intorno alla decostruzione e stato molto acceso. Per un primo Cabral (1989), Gilmore (1990). delle categorie di "Mediterraneo" e orientamento, si vedano: Herzfeld

da costruire come differenza radi- cale e positiva, proiettato in un tempo fuori dal tempo, in un passato anch'esso ridotto a schema e a modello semiotiz- zante: "Andare lenti e il filosofare di tutti, vivere ad un'altra velocita, piO vicini agli inizi e alle fini, laddo- ve si fa I'esperienza grande del mondo, appena entrati in esso o vicini al congedo" (ibid.; p. 14). Un tempo stereotipicamente cicli- co, istintivamente vicino al pulsa- re dei ritmi vitali, proprio come spesso immaginano il tempo degli "altri" i vari discorsi "orien- talisti" (Gupta 1994). Un tempo lento, lontano da una percezione "economica" e "razionale" del mondo: "bisogna essere lenti come un vecchio treno di campa- gna e di contadine vestite di nero, come chi va a piedi e vede aprirsi magicamente il mondo..." (Cas- sano 1998: 13). Una temporalita magica, un'appercezione magica del mondo che sembra alludere, fraintendendone il senso intellet- tuale e la scandalosita politica, al progetto demartiniano. E che, nostalgica, si inscrive comunque all'interno di una rappresentazio- ne classica, filosofica, idealista e continuista della storia, dove: "non abitano soltanto il passato e la nostalgia ma anche il futuro: al pensiero meridiano spetta di mostrare questa continuita tra il passato e il futuro senza nessun disprezzo o risentimento per il presente" (ibid.: 8).

II testo di Cassano - le cui intenzioni, come detto, mi sento di condividere - si fondano su immagini del tempo, della storia, su implicite concezioni dell'iden- tita, su analisi dei rapporti tra potere, simboli e rappresentazio- ni che mi sembrano internamen- te contraddittorie con il progetto politico proposto. E che quindi, a mio awiso, rendono evidente la difficolta di dialogo tra un certo

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

bagaglio teoretico "classico" e le attuali etnografie critiche, mostrando, inoltre, il carattere ristretto, talvolta etnocentrico, dell'idea di "politica" ad essi soggiacente. In altri scritti, collo- cati nella medesima linea d'onda, indubbiamente meno brillanti e, spesso, meno control- lati, le contraddizioni ora sottoli- neate e i meccanismi sui quali mi sono soffermato si manifestano in forme ben piu evidenti e, dunque, piu facilmente criticabili. E questo il caso del recente saggio di Mario Alcaro Sull'iden- tita meridionale. Forme di cultura mediterranea (1999) nel quale quelle procedure di costruzione dell'intimita e dell'alterit6 cultu- rale, che un'antropologia politica, critica e aggiornata, non pub non scegliere come oggetti d'indagi- ne, vengono adoperate con una disciplina, un impegno e una consequenzialita tali da lasciare, a volte, sorpresi.

Quello di Alcaro 6 un saggio che, pur dichiarandosi scritto politico diverso da un lavoro sociologico o antropologico (1999: 4), svolge una serie di riflessioni e sostiene tesi che un'antropologia politica non pub non considerare con estrema attenzione. Nello stesso tempo, Alcaro, pur sostenendo che - in linea con la tradizione filosofica - i materiali non vengono dalle scienze umane, ma dalla sua soggettiva percezione e rappre- sentazione di una realta vissuta, fa continuo riferimento a (pochi) studi sociologici e antropologici, adoperati, per6, senza alcuna possibilita di contestualizzazione rispetto alla tendenze attuali della riflessione antropologica. Gli obiettivi politico-culturali dello scritto sono resi espliciti da Bevi- lacqua, in una presentazione partecipe ed elogiativa:

"(Alcaro) vuole addirittura mostrare, con I'analisi circo- stanziata, che tutti quei compor- tamenti, valori, attitudini, denun- ciati come le piaghe del Mezzo- giorno sono in realta le sue virtu, le ragioni del suo orgoglio, i punti di forza di una ritrovata identita, i segnavia di un possi- bile nuovo sentiero per il futuro. Per quale ragione, si chiede Alcaro, il legame familiare, la parentela, I'amicizia, la pratica consuetudinaria del dono, I'attaccamento al luogo natio, il ruolo della madre nella vita sociale, il culto dei santi e dei morti dovrebbero costituire delle tare storiche della societa meri- dionale, I'ostacolo culturale che le ha impedito e le impedisce di approdare alla modernita?" (Bevilacqua 1999: xi).

Alcaro, secondo Bevilacqua, predica un'inversione radicale dei giudizi di valore attraverso i quali il Mezzogiorno d'ltalia e i suoi abitanti sono stati a lungo, a ancora sono, stigmatizzati, condannati, etichettati, margina- lizzati. Ad un discorso stereotipiz- zante e ghettizzante, il filosofo calabrese risponde invertendo il senso dello stereotipo e consi- derando positivi quei tratti che altri, piu potenti, dichiarano nega- tivi. Ancora una volta un progetto politico e intellettuale con il quale non posso non dirmi d'accordo e una pratica di resistenza a modelli egemonici che, un antro- pologo, oggi, non puo non ritene- re politicamente rilevante. Del resto, qualche anno prima, Jane Schneider (1994) aveva parlato, a proposito degli atteggiamenti verso il Mezzogiorno, di "Orienta- lismo all'interno di uno stesso Paese". II problema, pero, anco- ra una volta, e comprendere attraverso quale apparato discor- sivo, e con quale consapevolez- za, si mettono in gioco tali stra- tegie di resistenza, tali "pratiche degli stereotipi". Bevilacqua,

anche in questo caso, apre utili squarci sugli assunti di Alcaro. Secondo lo storico calabrese il discorso di Alcaro si definisce all'interno della crisi della moder- nita (Bevilacqua 1999: xi):

"E, piu precisamente e limitata- mente, e da tale minacciosa prospettiva di distruzione delle connessioni e delle "istituzioni" della societa industriale che viene progressivamente facendosi stra- da un diverso giudizio sulle forme precapitalistiche dei legami e delle relazioni sociali. Laddove esse - anche a dispetto dei profondi mutamenti subiti - sono ancora soprawissute al passag- gio distruttivo e ricompositivo della modernizzazione, oggi appaiono in una nuova luce. Non hanno piu I'aspetto dei vecchi cascami del passato. Sempre piu a fatica si riesce a pensarli come residui arcaici soprawissuti a un mondo che nel frattempo celebra trionfi di progresso e d'indefinito benessere. II disagio e il profondo smarrimento del nostro tempo incomincia a indicarli come alcuni degli antichi e ora nuovi beni che possono aiutare gli uomini e le societa a trovare cio di cui piu acutamente awertono la mancan- za: il senso della vita". (Bevilac- qua 1999: xiv, corsivi miei).

Nelle parole di Bevilacqua esistono cose, fatti sociali, appartenenti a fasi "pre" della storia dell'Occidente, che posso- no soprawivere anche in fasi "post". Oggi, date le mutate condizioni storiche di fine moder- nita, non possiamo piu pensarli come residui arcaici. Essi posso- no trasformarsi in antichi e nuovi beni che, sulla base di una stra- tegia universalizzante, divengono valori universali che esprimono nientedimeno che il senso della vita. In effetti, ci dice ancora Bevi- lacqua (1999: xviii):

"Alcaro compie in realta una operazione molto piu sofisticata. Egli tende a mostrare il carattere

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culturalmente e spiritualmente universale dei valori presenti nelle societa tradizionali e che ancora durano in molte aree del Mezzo- giorno: esito di un processo mille- nario di civilizzazione che precede e in certi casi resiste anche alla breve e travolgente fase della civi- lizzazione industriale".

Dal punto di vista dell'etno- grafia critica da me praticata faccio una certa fatica a comprendere cosa sia il "carat- tere culturalmente e spiritual- mente universale" di determinati valori. Faccio, in realta, fatica anche a comprendere cosa signi- fichi "spiritualmente" e adopero con una certa cautela "cultura". Soprattutto, poi, non riesco a spiegarmi il meccanismo storico in base al quale i "valori del sud" possano definirsi come "univer- sali" e, soprattutto, come sia possibile quel processo di decan- tazione esistenziale che porte- rebbe tali valori, meridionali e universali, a permanere nel tempo, rimanendo identici a se stessi. A meno di non pensare alla possibilita che il Sud (come tutti i Sud?) sia - magicamente, direbbe forse Cassano - sinto- nizzato sulla frequenza d'onda dell'universalita, debbo supporre che questo, per Cassano, Bevi- lacqua e Alcaro, sia semplice- mente e puramente un fatto, un dato, un po' come il carattere naturalmente sano della dieta mediterranea e I'evidente strut- turazione logica del latino. Fatti, appunto, "oggetti" costruiti all'interno di ben precisi orizzonti discorsivi e politici. Le parole di Alcaro e la lettura che ne fa Bevi- lacqua ci portano al cuore dei problemi, e dunque dei meccani- smi culturali di produzione di simili fatti.

Fin dalle prime pagine Alcaro non sembra avere alcun dubbio sul carattere reale, oggettivo, di

quell'identita e di quei valori meri- dionali che altri si accaniscono a criticare, alla luce di un'autorita, quella della modernita, oggi sempre piO in crisi, e che lui, intellettuale meridionale, non nostalgico e munito di solidi stru- menti concettuali, si sforza di rivalutare. Parla, infatti della necessita di contrapporre, agli effetti perversi della globalizza- zione, "la rivitalizzazione delle culture locali, la riscoperta e la reinvenzione delle 'radici storiche comuni', la riaffermazione delle proprie identita collettive" (Alcaro 1999: 3). La scelta di ri-vitalizza- re culture locali, re-inventare radi- ci storiche comuni per individua- re strategie di riappropriazione cultuale, ha indubbiamente un valore politico. Quello che fa problema e il modo acritico con il quale viene fatta passare I'idea, per nulla owia, che esistano, o siano esistite, cose, oggetti, culture "tradizionali", ora un po' affaticate, che e necessario re- inventare e ri-vitalizzare. Occorre, forse, inventare e re-inventare "culture", per evitare brutali appiattimenti su modelli egemo- nici "altri",, ma, politicamente, e altrettanto utile ribadire che, come suggerisce tutta la ricerca etnografica contemporanea, al di fuori degli ordini discorsivi che ne postulano I'esistenza non esisto- no ora, n6 mai sono esistite in passato, cose come le culture locali o le radici storiche. E sempre piu difficile pensare all'esistenza di mondi immobili, o semplicemente lenti, poi disgre- gati da un'accelerazione etero- indotta della storia. Non esiste un paradiso terrestre che viene perduto dalla modernita'. Quel mondo, quelle radici, quel para- diso sono immagini prodotte dalla stessa modernita'. Quando qualcuno dice che occorre re- inventare, ri-vitalizzare, perch6 in

questo modo ci si puo utilmente, e forse giustamente, contrappor- re alla globalizzazione, si sta ponendo come operatore (consa- pevole o inconsapevole) di un processo immaginativo e inventi- vo. Non sta solo immaginando il futuro, sta anche, necessaria- mente, costruendo il passato. Un simile processo di "invenzione" puo avere valenze creative - e dunque portare ad immaginazio- ni, a "finzioni" spendibili nella scena pubblica ("immaginare comunita": Anderson 1983). Ha comunque sempre un carattere politico, che pu6 essere dichiara- to e adoperato per "fini politica- mente corretti" - le "radici" che voglio rivitalizzare sono "finzioni", non cose vischiose e sostanziali, attraverso le quali e possibile aggregare gruppi, proporre iden- tita e strategie d'azione. Ma che, nello stesso tempo, puo essere "mistificato" e usato per opera- zioni, a mio awiso, meno condi- visibili - lottiamo (cittadini, came- rati, lumbard, reggini, ecc.) perch6 queste nostre sante, eter- ne e universali tradizioni non siano intaccate da logiche, prati- che, persone impure e meticce. Al di la delle pur importanti opzio- ni etiche e politiche, pero, ci si rende immediatamente conto della identita strutturale e retori- ca delle due opzioni e, soprattut- to, del loro essere inscritte nell'ordine discorsivo che, negli Stati-Nazione, rende pensabili e dunque dicibili insieme le iden- tita globali e le identita locali, I'altererit3 e l'intimita, il potere centrale e la comunita. E che, nello stesso tempo, ne occulta I'intima compenetrazione, strut- turando tall piani identitari in termini dicotomici. Quei mondi locali, quelle radici cui Alcaro intende dare nuovo vigore, sono "inventati", costruiti nel momen- to stesso in cui ci si propone di

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

riportarli in vita. Non esistono, in quei termini, che all'intemo del discorso politico-culturale che si sta cercando di costruire. Sono lo specchio, oggettivato e spesso naturalizzato, del quale la critica della modemita ha assoluto biso- gno quando deve immaginare un'alterita, positiva o negativa, da contrapporre a se stessa. Sono inevitabili stereotipizzazio- ni, semplificazioni arbitrarie di pratiche, simboli e dinamiche storiche complesse, sempre inte- ressanti per una lettura delle poli- tiche della cultura; sono sche- matizzazioni - analoghe a quelle adoperate dal nostro "fumatore resistente" - che si inscrivono nel gioco della pratica degli stereotipi e che, dunque, hanno il valore di operatori retorici dell'identita: noi/loro, inti- mo/pubblico, socialita prima- ria/societ3, comunita/Stato, locale/globale. Opposizioni produttrici di aggregazione (e di disgregazione) che hanno I'evidente effetto di non (far) prendere in considerazione il "terreno comune" (Herzfeld 1997), il comune ordine discorsi- vo che le produce.

Certo, quello adoperato da Alcaro e il meccanismo "norma- le" di produzione delle identita, all'interno della modemita e dei suoi ordini istituzionali; e allora, perch6 criticare? La critica che sto muovendo non riguarda soltanto la contraddizione, evidente, del voler mettere in discussione la modernita serven- dosi del meccanismo retorico e politico di produzione di identita (essenzializzate) tipico della modernita. Riguarda anche I'adoperare tale meccanismo senza alcuna (apparente) consa- pevolezza, ossia di non prendere assolutamente in considerazione quella tendenza critica delle scienze umane ("oggettivare

I'oggettivazione", indicava Bour- dieu nel 1982) che ha da tempo soffermato la sua attenzione su simili meccanismi. Non si tratta, ammesso che ne esistano, di una pura questione intellettuale, ma di un problema decisamente politico. 11 fatto che Alcaro (o Cassano, o altri) scrivendo un pamphlet politico, non compiano quest'opera di oggettivazione delle procedure da loro stessi adoperate per oggettivare le "identita" puo voler dire due cose. 0, conoscendo bene il meccanismo, ritengono inutile, forse dannoso, renderlo esplicito nel momento in cui sono spinti dal dichiarato interesse politico di creare resistenze, di aggregare azioni, di individuare spazi di pensabilita; oppure, semplice- mente, non percepiscono tale problema. In quest'ultimo caso dobbiamo immaginare chei meccanismi politici di produzione delle identita non ricadano nell'ambito dell'analisi della poli- tica, opzione che escluderebbe dallo spazio della riflessione una serie di fenomeni decisivi per comprendere i processi storici della contemporaneita. Nel primo caso, invece, assisteremmo ad una operazione di sottrazione del meccanismo di produzione dell'"intimita culturale" - noto ail'intellettuale impegnato - allo sguardo inconsapevole dell'atto- re sociale comune. Opzione, questa, che escluderebbe la quasi totalita dei "cittadini" dalla sfera dell'azione politica consa- pevole. Credo che I'ipotesi piu probabile, nel nostro caso, sia quella della non consapevolezza e che i limiti insiti in tale posizio- ne siano, in fondo, superabili attraverso una decisa apertura, in direzione etnografica e antro- pologica, delle idee sulla "cultu- ra" e le "politiche culturali" circo- lanti nel dibattito pubblico italia-

no. Credo invece che, nel caso dei professionisti della politica, quantomeno di alcuni di essi, debba essere applicata la secon- da ipotesi (consapevolezza e mistificazione). Se questo, come temo, e vero, allora una scienza sociale critica, come quella che ha reso il lavoro di Handler (1988) inviso a intellettuali e poli- tici nazionalisti del Quebec, ha un fondamentale valore politico. E diventano forse piu chiare anche alcune delle motivazioni del successo editoriale e politico, in ambienti della Sinistra, degli scritti di Alcaro e Cassano.

I problemi posti dalle loro lettu- re di pensieri e identita meridio- nali, mi sembrano, a dire il vero, ancora piu complessi. Nel tenta- tivo di rivendicare identita e di fondare pensieri, sia Alcaro che Cassano, non si limitano a "costruire" delle comunita o a dare forma sostanziale e rigida a identita "resistenti", certo, ma fluide, relazionali, relative. "Imma- ginando" delle comunita e delle identita, senza oggettivare gli impliciti presupposti "orientalisti" (Said 1978) e "occidentalisti" (Carrier 1992, 1995) del loro discorso, essi finiscono per elaborare rappresentazioni della realta nelle quali e possibile scoprire, incorporate, non dichia- rate e dunque sottratte all'analisi, assunzioni ideologiche che cela- no scarti fondamentali di potere. L'idea, ad esempio, che esista una "famiglia meridionale" (Alca- ro 1999: 26-27), o quella di una "cultura del sud" connotata dalla prevalenza di un modello "mater- no"-"femminil "-"matriarcale" (Alcaro 1999: 77, e Cassano cit. in Alcaro, id.) non sono semplice- mente smentite dalla ormai signi- ficativa mole di studi empirici su tali problemi. Nel criticare il "fami- lismo", senza decostruire il nesso teorico tra famiglia, paren-

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11 Editori che difficilmente pubblicano etnografie.

tela e Stato (cfr. Palumbo 1997b), entificano la famiglia; nel mostrare - a ragione - le incon-

gruenze di un "pensiero" maschi- le, virile, bellico, senza passare per il laborioso processo di deco- struzione delle categorie di gene- re tentato da oltre vent'anni dagli antropologi, hanno bisogno di immaginare una societa meridio- nale "matriarcale". Immagini, entrambe, non tanto o non soltan- to "false", ma soprattutto prodot- ti emblematici di quella moder- nita e delle sue volonta classifi- catorie e gerarchizzanti che la condizione postmoderna consen- tirebbe, invece, di oggettivare e di pensare criticamente. Nel far questo, da un lato, indubbiamen- te, come molti altri (artisti, politici locali, talvolta intellettuali, piO spesso gente concreta nel corso delle proprie esistenze quotidia- ne) mettono in atto uno sforzo - apprezzabile per intenzioni e spin- ta etica, necessario per dare nuovi sensi alle pratiche quotidia- ne - di trovare spazi per una

immaginazione politica innovati- va. Dall'altro, pero, questi intel- lettuali mostrano di possedere una immaginazione "etnografica" (Comaroff e Comaroff 1992) angusta, e si adeguano esatta- mente a quello che I'analisi antro- pologica della produzione identi- taria negli Stati-Nazione mostra essere il compito di politici e intel- lettuali "organici": fornire mate- riali simbolici attraverso i quali costruire quel "terreno comune", dare sostanza a quelle "radici simboliche" (Herzfeld 1992) che consentono insieme I'esercizio del potere, la creazione del consenso e I'individuazione di spazi di resistenza. In questo, nulla di male. I problemi sorgono, invece, se si presenta una simile operazione come dotata di forza critica e di valore politico innova- tivo. In tal caso, simili letture

appaiono, piuttosto, come tenta- tivi (non consapevoli) di preserva- re e di proteggere da sguardi inti- mamente critici i meccanismi di produzione e di legittimazione simbolica dei rapporti di potere. Pur senza voler attribuire ecces- siva importanza ai discorsi degli intellettuali, ma senza nemmeno prendere sottogamba opinioni espresse in testi pubblicati da due delle piu importanti case editrici italiane11, i Sud immagi- nati rischiano di essere non solo rappresentazioni stereotipate, essenzialiste, naturalizzate di identita, piu o meno "resistenti" da rivendicare, ma modelli stereotipati, essenzialisti, natura- lizzati, per rivendicazioni iden- titarie politicamente manipolabili.

Piuttosto che pensare in termi- ni critici e decostruttivi, Alcaro, come il fumatore resistente nel traghetto sullo Stretto, ha biso- gno di produrre stereotipi che si adeguino perfettamente ai mec- canismi di gerarchizzazione delle identita propri della politica cultu- rale negli Stati-Nazione. Crea continuita, "genealogie incredibi- li" (Bizzocchi 1995):

"Nel Sud I'ospitalita ha una tradi- zione antica: risale alla cultura greco-latina e alla civilta mediter- ranea (...) Sono molti gli episodi, lontani e vicini nel tempo, che attestano che le popolazioni meri- dionali sono ospitali ..." (Alcaro 1999: 24)

"Non mi pare esagerato afferma- re che il meridionale awerte disa- gio a stare dentro I'ottica delle relazioni sociali proprie della modernita. (...)

Questa propensione peri rapporti amicali e per le relazioni di fiducia di tipo interpersonale trova le sue lontane origini nel mondo greco, dove I'amicizia ha "un ruolo egemonico", e in quel- lo latino" (ibid.: 28).

Ribadisce, inconsapevolmen-

te, gerarchie etnocentriche:

"Per concludere, vorrei richiamare I'attenzione sul tipo di solidarieta che prevale nei rapporti sociali delle popolazioni meridionali. Si tratta di una solidarieta umana, esistenziale, e cioe di una solida- rieta precivica e prepolitica, che per lo piu non si traduce in orga- nizzazione economica e politica: stenta a farsi impresa produttiva (cooperativismo, ecc.) e a trasfor- marsi in impegno civile" (ibid. 31- 32, corsivi miei).

Opponendosi, a ragione, alle fantasmizzazioni neo-lombrosia- ne di opinionisti nazionali, costrui- sce lui stesso i fantasmi di un carattere nazionale, naturalizza- to, addirittura inconscio, e di una societa meridionale femminile:

"In realta, se e corretto riportare la tendenza all'indulgenza dell'uomo medio italiano al modello femminile-matriarcale, risulta altresi doveroso ricondurre anche il Nuovo Testamento all'archetipo materno. Ma se si fa questo, si ha una riprova dell'irri- nunciabilita di tale modello anche nel mondo di oggi. Senza di esso si cadrebbe in un infernale fonda- mentalismo dell'autorita (...).

Anche Franco Cassano in Peninsula riscontra la presenza di una cultura materna nella mentalita degli italiani. I difetti, i limiti e i vizi del carattere nazio- nale sono da lui segnalati e criti- cati, ma non interpretati come conseguenze inevitabili della centralita della figura della madre. Al contrario, da questa centralita discendono, a suo parere, proprio le doti positive del nostro popolo...". (Alcaro 1999: 77)

Quando Alcaro fa queste affer- mazioni, non sembra rendersi conto del fatto che entrambi i fantasmi evocati sono tra le piO

CAMPO INTELLETTUALE, POTERE E IDENTITA

classiche metafore adoperate dai discorsi nazionalisti e orientalisti dell'Occidente per immobilizzare gli "altri" in stereotipi gerarchiz- zanti ed etnocentrici (Said 1978, Herzfeld 1987, 1992). Del resto tutte le dicotomie alla base di simili modulazioni retoriche (prati- che) del potere sono lasciate libe- re di operare nel tentativo di riabi- litazione politica della gente del Sud messo in atto da Alcaro: occi- dente/oriente, nord/sud, Euro- pa/ltalia, centro/periferia, pote- re/resistenza, loro/noi, maschi- le/femminile, patriarcale/matriar- cale, calvinismo/cattolicesimo, colpa/confessione, punizio- ne/perdono, esaltazio- ne/autocritica. Queste, pero, sembrano essere osservazioni prive di peso, per Alcaro, che appunto sostiene:

"Che sui lidi mediterranei, in Italia e, in modo piu accentuato, nel Sud del Bel Paese, I'ordine simbolico della madre dia una particolare angolatura alla menta- lita e ai costumi vigenti, non ci dovrebbero essere dubbi" (Alcaro 1999: 79).

4. Cautele indiane Introducendo un volume

collettivo nel quale molte delle questioni poste da Alcaro e Cassano sono affrontate da stori- ci, sociologi e antropologi, Jane Schneider mostra come, a parti- re dalla seconda meta dell'Otto- cento:

'Italians have reified their intemal difference in relation to a much wider context for defining diffe- rence: the context set by domi- nant colonial and neo-colonial powers (...)" (1994: 3).

Durante quegli anni, secondo Schneider, si assiste a un processo di naturalizzazione e

criminalizzazione della questione e delle persone meridionali (ibid.: 8-9), in risposta al quale molti intellettuali meridionali misero a punto una essenzializzazione, difensiva ed encomiastica, della cultura meridionale (ibid.: 11). Queste operazioni di stereotipiz- zazione sono espressione di una piu generale attitudine "orientali- sta" legata, anche in Italia, all'imporsi di nuovi ordini neo- coloniali mondiali. I in relazione, dunque, alla posizione che lo Stato italiano ha occupato e occupa nel sistema mondo che va, per Schneider, idagato:

"(...) how these cultures become delineated-symbolized in a few images, constructed or defined" (Schneider 1994: 3).

All'interno di tale progetto, la studiosa statunitense, soffer- mandosi su quei saggi del volu- me da lei curato che analizzano i percorsi conoscitivi di Gramsci e De Martino, nota come entrambi questi intellettuali, al di la delle pur rilevanti distanze, inserisca- no i problemi del Mezzogiorno all'interno di ipotesi interpretative che non li separano mai n6 dai rapporti politici con le elites nazionali e regionali, n6 dalla grandi vicende della storia italia- na ed europea. Questo differen- zia le posizioni di De Martino e, soprattutto Gramsci, da quelle di intellettuali di paesi non occiden- tali, come Cuba o I'lndia, pure influenzate, qualche decennio dopo, dalle tesi gramsciane 2. Per Partha Chatterjee, intellet- tuale indiano, ad esempio:

"resistance (...) means detecting the limits, the contradictions, the- ideological implications, of Libe- ral projects to build "civil society", rather than welcoming such

12 All'intemo di percorsi intellettua- no, ad esempio, per De Martino la 12); per Gramsci, (1991: 9-10, 19; li estremamente articolati, si veda- Prefazione a Sud e magia (1989: 7- 1996a, b).

projects, or cultivating alliances within them, as De Martino and Gramsci were inclined to do. (...) To insist on cultural differences with them in the 'inner domain' of religion, language, and family life (if not in the 'outher domains' of statecraft, economy, and admini- stration) was the colonized way of claiming historical agency" (Schneider 1994: 17).

Pur muovendosi, dunque, in un campo intellettuale connotato dall'applicazione di un "orientali- smo interno", alcuni tra i maggio- ri intellettuali italiani non hanno pensato ai problemi del Sud elaborando posizioni radicali, divaricanti e "resistenti". Per questo, nel concludere il suo saggio, Schneider si chiede il perch6 in Italia non siano state proposte posizioni di quest'ulti- mo tipo. La risposta (I'assenza, fino agli inizi dello scorso decen- nio, di forti movimenti regionalisti che potessero mobilitare istanze identirarie contro-egemoniche, ibid.: 18), mi sembra particolar- mente utile nel fornire alle tesi di Cassano e Alcaro un piu che plausibile contesto storico-cultu- rale. In questo caso diverrebbe realmente centrate la cautela con la quale Akhil Gupta, giovane antropologo indiano, solo due anni prima del libro di Cassano, invitava tutti noi a guardare ai meccanismi di produzione e di rivendicazione delle identita:

"What we have to see is that the construction of the self-evident differences between Self and Other grew out of, and served, a particular project. In rejecting this project, we have to be carefully not merely to invert its evaluation for difference while preserving its categories of difference so as to arrive at a genuinely antiimperiali- st and non Eurocentric critical practice" (Gupta 1994: 180).

agosto 2000

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