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Feuilles détachées 12 Collana diretta da Gerardo Fortunato

Blaise Pascal, Discorso sulle passioni d'amore, Napoli, La Scuola di Pitagora, 2014

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Feuilles détachées

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Collana diretta da Gerardo Fortunato

Discorso sullepassioni d’amoreattribuito a Blaise Pascal

a cura di Bruno Nacci

La scuola di Pitagoraeditrice

© 2014 La scuola di Pitagora editriceVia Monte di Dio, 5480132 [email protected]

isbn 978-88-6542-382-0 (versione cartacea)isbn 978-88-6542-383-7 (versione elettronica in formato PDF)

Printed in Italy - Stampato in Italia

Collana promossa dalla Società di studi politiciScuola di Alta Formazione dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici

Indice

Introduzionedi Bruno Nacci 9

Nota editoriale 29

Discorso sulle passioni d’amore 31

A Maria Pia

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Introduzionedi Bruno Nacci

Il 15 settembre 1843 apparve sulla «Revue des deux mondes» un saggio di Victor Cousin intitolato Un frag-ment inédit de Pascal1. Solo un anno prima il filosofo francese aveva perorato la causa di una nuova e più com-pleta edizione delle Pénsées, quella che sarebbe uscita nel 1844 a cura di Prosper Faugère, inaugurando così la storia moderna del più famoso testo pascaliano.

Il breve scritto di Cousin descriveva l’eccezionale scoperta della copia manoscritta di un Discours sur les passions de l’amour2 (il cui testo integrale veniva riportato subito dopo le pagine introduttive), che egli attribuiva senza alcuna incertezza a Pascal. Cousin aveva trovato il manoscritto alla Bibliothèque Royale, presso un fondo detto Résidu de Saint-Germain, proveniente dall’abazia di Saint- Germain-des-Prés. Il manoscritto faceva parte, insieme ad altri, di un in-quarto che recava sul dorso

1 Victor Cousin, Un fragment inédit de Pascal, in «Revue des deux mondes», 15 settembre 1843, pp. 991-1007.

2 D’ora in poi D.

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l’indicazione (abbreviata): Nicole, de la grace, autre pièce manuscrite. L’indice della raccolta elencava i seguenti titoli:

– Système de M. Nicole sur la Grace;– Si la Dispute sur la Grace universelle n’est qu’une

dispute de nom;– Discours sur les passions de l’amour, de M. Pas-

cal;– Lettre de M. de Saint-Evremond sur la dévotion

feinte;– Introdution à la chaire.

Sulla prima pagina del Discours la stessa mano di chi ha copiato il testo aveva scritto: Discours sur les passions de l’amour. On l’attribue à M. Pascal. L’intera raccolta di manoscritti recava l’indicazione ex-libris di B. H. de Fourcy, abate commendatario di Saint-Waudrille nel 1690, morto nel 1754.

Cousin non aveva dubbi: si trattava del più esteso e rivoluzionario inedito di Pascal: «Dès la première phra-se, je sentis Pascal»3. Non gli sfuggiva certo l’importanza di un documento che, non solo avrebbe confermato l’e-sistenza di un periodo «mondano» nella vita di Pascal, ma avrebbe aggiunto elementi inoppugnabili a favore di una sua progressiva adesione a prospettive familiari e di carriera4. Ma se dietro un’esplicita allusione del

3 V. Cousin, op. cit., p. 993.4 Non è questa la sede per affrontare la controversa questione

dell’effettiva portata del cosiddetto periodo mondano di Pascal

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trattatista, egli poteva cogliere il riflesso di un’esperienza personale: «je crois sentir comme les battemens d’un coeur encore troublé [...] le charme secret de ce qu’il appelle une haute amitié»5, e nei vaghi accenni teorici il rimando metafisico a un «platonisme fort tempéré»6, neppure Cousin riusciva a mascherare del tutto l’imba-razzo per un Pascal tanto diverso dal feroce e divertito polemista di Les Provinciales o dal severo chiosatore di S. Agostino, che aveva dunque affrontato un’opera «dont le sujet semble plutôt emprunté à l’hôtel de Rambouillet qu’à Port-Royal»7.

(1647-1654) e delle sue motivazioni. Il maggior studioso vivente di Pascal, Jean Mesnard, ritiene comunque che questa fase della sua vita sia stata caratterizzata da quattro circostanze: 1) l’impegno nelle ricerche scientifiche; 2) alcuni disagi finanziari; 3) un affievolirsi del-la fede, almeno rispetto alla cosiddetta prima conversione del 1646; 4) concreti progetti matrimoniali (J. Mesnard, Pascal, L’homme et l’oeuvre, Paris 1951). Un testimone insospettabile, la sorella Gilberte, ha scritto a tal riguardo: «Eccolo dunque nel mondo. Più volte si trovò a Corte, dove persone che vi erano di casa osservarono come egli ne assumesse subito l’aria e l’aspetto, con una facilità tale come se ne fosse stato nutrito da tutta la vita [...] Fu il tempo della sua vita peggio impiegato» (Pascal, Oeuvres complètes, I, Paris 1964, p. 612). E più esplicitamente ancora la nipote Marguerite: «fu costretto a rientrare nel mondo [dopo la grave malattia dovuta all’intensità degli studi e delle pratiche religiose], a giocare e a divertirsi. Questo all’inizio avvenne con moderazione; ma insensibilmente ci provò gusto, cessò di essere una medicina. Ecco cosa gli capitò» (Ibidem, p. 1100).

5 V. Cousin, op. cit., p. 992.6 Ibidem.7 Ibidem, p. 991.

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Nonostante qualche perplessità sulle tesi di Cousin8, l’attribuzione della copia manoscritta non venne conte-stata (ma neppure verificata), fino a quando Augustin Gazier9 scoprì nel 1907 un’altra copia manoscritta, priva di indicazioni sull’autore. Da questo momento gli studi sul Discours si moltiplicano, dando luogo a un processo storico-filologico destinato a dividere ulteriormente gli studiosi di Pascal (già divisi dalle tormentate e inter-minabili vicende delle Pensées). Nel 1911 sarà Emile Faguet10, sostenitore dell’attribuzione a Pascal, il pri-mo a concentrare l’attenzione sulle forme interne del Discours. Se il riferimento a Pascal presente in C11 non è assolutamente probante, altrettanto poco convincenti gli appaiono gli argomenti come lo strano silenzio che avrebbe avvolto lo scritto fino alla scoperta di Cousin, o la difficoltà ad ammettere un Pascal teorico dell’amore se non addirittura innamorato. Sinteticamente Faguet osservava: «Les arguments prouvant qu’il n’est pas prouvé

8 J. B. Flottes, Études sur Pascal. Étude sur l’esprit de la foi de Pas-cal, Montpellier 1844; F. Brunetière, Études critiques sur l’histoire de la littérature française, Paris 1887.

9 Gazier (Les prétendues amours de Pascal et de M.lle de Roannez, in «Revue politique et littéraire», 24 nov. 1877) si era già opposto all’utilizzazione del Discours, da parte del Faugère, come pretesto per ipotizzare un amore tra Pascal e Charlotte de Roannez. Ma sui rapporti tra Pascal e la famiglia Roannez vedi J. Mesnard, Pascal et les Roannez, Bruges-Paris 1965, 2 voll.

10 E. Faguet, Discours sur les passions de l’Amour, attribué à Pas-cal, Paris 1911.

11 Con C e G si indicano usualmente la copia di Cousin e quella di Gazier.

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que Pascal soit l’auteur du Discours sur Les Passions de l’Amour sont excellents [...] Les arguments prouvant qu’il n’est pas vraisemblable que le Discours soit de Pascal me paraissent faibles»12. Ma poi, pur portando come indizio testuale una sola presenza in D del pronome personale je (e ciò in perfetta sintonia con l’avversione pascaliana per l’io), concludeva con il solito ricorso cousiniano alla «convinzione» en connaisseur: «Pour moi je ne suis pas sûr du tout que le Discours sur les Passions de l’Amour soit de Pascal; mais je le crois très fort; parce que quand je le lis je me trouve à toutes les lignes en plein Pascal [...] Mais ceci n’est aucunement scientifique»13.

A un altro convinto sostenitore del D come opera di Pascal, G. Lanson14, va il merito di avere chiarito i termini della questione: o D è di Pascal, o di qualcuno che Pascal imita, o di qualcuno che imita Pascal. Una attenta compa-razione dei testi portava Lanson a ritenere plausibile solo la prima ipotesi, soprattutto in considerazione del fatto che in certi passi D riprende espressioni delle Pensées non quali vennero conosciute grazie all’edizione del 1670, detta di Port-Royal, ma secondo il testo manoscritto, che dunque solo Pascal poteva conoscere. Al Lanson rispondeva un illustre pascalista, Fortunat Strowski15, che, dopo aver

12 Faguet, op. cit., p. 9.13 Ibidem, p.12.14 G. Lanson, Le – Discours sur les passions de l’Amour – est-il de

Pascal?, in «The French Quarterly», gennaio-marzo 1920, pp. 7-26.15 F. Strowski, L’énigme de Pascal et du – Discours sur les passions

de l’amour –, in «Le Correspondant», agosto 1920, pp. 603-616.

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contestato l’eccessiva disinvoltura nel mettere a con-fronto passi apparentemente simili, denunciava quello che, fin dall’inizio della querelle, sembrava essere un dogma metodologico: l’esame del D in relazione alle Pensées: «Si le Discours sur les passions de l’amour est authentiquement de Pascal, à quelle date se place-t-il? Unanimement on répond: à la période mondaine de sa vie. Et l’on voudrait qu’il ressemblât aux Pensées, aux Pensées écrites, elles, huit ou neuf ans après, dans con-ditions toutes particulières, sous la menace de la mort, sous le poids de la maladie, après l’affaiblissement de la mémoire, mais aussi après la conversion, après les Provinciales, après Arnauld et Nicole, après les disputes de la Signature, après l’expérience de la vie religieuse la plus intense!»16. Ora, concludeva Strowski, il Pascal del periodo mondano è uno spirito inquieto ma profon-damente educato all’ordine e alla logica, caratteristiche non proprio riscontrabili nel D: «Placez cela entre la lettre sur la mort de M. Pascal le père, et l’entretien avec M. de Sacy (ces deux colonnes entre lesquelles s’enca-dre la vie mondaine de Pascal), et qui sont des pages si puissamment raisonnées et déduites; comparez-le aux ouvrages de cette période, qui sont tous de prodigieux modèle d’unité de pensée et de force intellectuelle. Vous concluerez que cette incohérence et ce galimatias ne son pas imputables à Pascal et que le Discours n’est donc pas de Pascal»17. Alla fine Strowski, che non negava in

16 Ibidem, p. 611.17 Ibidem, p. 613.

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assoluto la presenza di Pascal nel D, si diceva d’accordo con il parere di L. Brunschvicg, curatore insieme a Bou-troux e Gazier della più completa edizione delle opere di Pascal (1904-1914), nel ritenere il D un resoconto, approssimativo e maldestro, di conversazioni tra amici, a cui certo aveva partecipato anche Pascal.

Nel 1921 Ferdinando Neri18 respingeva con vigore ogni ipotesi di un Pascal diverso da quello che emerge dagli scritti e dalla tradizione biografica: «è lecito chie-dersi se quell’uomo tormentato e malato, cresciuto fra il rigore dello studio e l’angoscia religiosa, ha potuto così d’un tratto adagiarsi in questa riposata mollezza; se un cuore come quello di Pascal, urtando contro l’amo-re improvviso, che sovvertiva tutto il severo noviziato della sua giovinezza; se uno spirito, ad ogni sua prova esigente e impetuoso, al quale ogni mezzo termine era un supplizio, ha proprio dovuto acquetarsi per il diletto delle dame di Clermont-Ferrand [...] o di Parigi [...], a raffinare sui luoghi comuni dell’amore senza sentirlo, oppure a ridurre in formule galanti la nuova fiamma, irrompente in un animo deserto, e pur sempre vigilato dalla dottrina giansenista»19.

Se l’autore del D non poteva essere Pascal, di quell’au-tore Neri cercava di disegnare un profilo intellettualmen-te credibile: «Ma no: qui c’è uno spirito che conosce le passioni – maestre – di La Rochefoucauld, l’ambizione e l’amore, senza volerne penetrare l’amarezza nativa e il

18 F. Neri, Un ritratto immaginario di Pascal, Torino 1921.19 Ibidem, p. 18.

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graduale corrompersi attraverso l’atmosfera dell’egoismo e della vanità sociale; uno spirito che conosce la dottrina cartesiana delle passioni, e la comprime, non senza una cotal mondana malizia, fino ad attribuire alla ragione, nella sua integrità luminosa, tutto il corso della passione d’amore; ma ne ricusa ogni azione direttrice della volon-tà, e snatura lo stesso concetto cartesiano della passione, uno spirito infine che conosce i Pensieri di Pascal, e li adatta argutamente alla conversazione delle dame»20.

Le analisi del Neri non si limitavano però a indicare una serie di incongruenze culturali tra l’opera e il pre-sunto autore, e scendendo sul terreno della critica storica accertava due fatti importanti:

– nel D, più che un’influenza cartesiana, ci sono chia-ri riferimenti alla Recherche de la verité di Malebranche, pubblicata dodici anni dopo la morte di Pascal;

– i riferimenti alle Pensées sono desunti dall’edizione di Port-Royal, non dal testo manoscritto, come sostene-va Lanson. Inoltre Neri osservava la stranezza (qualora fosse stato l’autore del D) di un Pascal che in tutte le sue opere, tranne che nel D, attaccava la metafisica di Car-tesio e non la sua morale. Una “dimenticanza” davvero curiosa per chi avrebbe scritto l’Entretien e l’Apologie.

Un altro studioso italiano, Luigi Foscolo Benedetto21, rispondeva indirettamente al Neri rivalutando il concetto di mondanità, togliendo ad esso ogni carattere di episo-

20 Ibidem, p. 23.21 L. F. Benedetto, Il “Discorso” di B. Pascal “sulle amorose pas-

sioni”, Foligno 1923.

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dicità, indicando nell’ideale dell’honnêteté una costante del pensiero e della formazione pascaliana: «Honnête homme egli è per nascita, per educazione, per tenore di vita»22. Inserito dunque il D in una delle tematiche vitali del pensiero di Pascal (e non meno in contrasto con il suo talento scientifico delle esigenze religiose), restava da su-perare l’accusa forse più consistente: la scarsa organicità del D. Per questo Benedetto, nel suo lungo commenta-rio, si sforzava di riportare a unità le contraddizioni, di attenuare le pur vistose smagliature logico-concettuali, al punto da poter rovesciare uno dei luoghi comuni del D, che fosse un testo tra i tanti della letteratura galante e libertina: «Per convincersi della sua unità e della sua compattezza, dello spirito profondamente geometrico che lo ispira, basta confrontarlo colle cicalate saltellanti che il Méré intitola parimenti Discorsi»23.

Se il Benedetto aveva difeso l’attribuzione del D a Pascal sforzandosi di riavvicinare l’autore e l’opera (in un doppio movimento che finiva con il confronto tra un Pascal mondano e un D pascaliano), Ch. H. Boudhors24, nel 1933, riprendeva tutta la disputa con un’analisi pu-ramente testuale, da cui emergevano le seguenti con-clusioni:

22 Ibidem, p. 29.23 Ibidem, p. 193.24 Ch. H. Boudhors, Observations et recherches sur le – Discours

sur les passions de l’amour – attribué à Pascal, in «Revue d’histoire littéraire de la France», 1933, pp. 1-16; 355-383.

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– l’origine del caso era pretestuosa, in fondo se fosse stata scoperta per prima la copia G, nessuno avrebbe pensato a Pascal;

– se fossero circolati manoscritti pascaliani fin dal XVII secolo, come spiegare l’assoluto silenzio che li avrebbe circondati?;

– ci sono nel D tracce inoppugnabili di Malebranche, come aveva suggerito il Neri;

– il testo è opera di più scrittori; – è riconoscibile, tra gli altri, anche una mano fem-

minile.

Le argomentazioni di Boudhors non convincevano del tutto E. Henriot25 che, senza scendere sul piano filologico, attribuiva il rifiuto di Boudhors e di tanti altri a due pregiudizi: non saper riconoscere nel D un capolavoro letterario (dunque con l’onere di rintracciarne un autore degno del testo), inferire dal tema del D un Pascal preda di quelle passioni di cui discute: «L’amour qui y est défini est d’ordre spiritualiste, intellectualiste et idéal. Il n’implique, de la part de son auteur, aucune expérience pratique et matérielle»26.

Nel 1938, Henri Jacoubert27 rifaceva per l’enne-sima volta la storia della controversia. Schierandosi

25 E. Henriot, De qui est le – Discours sur les passions de l’amour attribué à Pascal, (193), ora in XVII siècle, Paris 1958, pp. 248-254.

26 Ibidem, p. 253.27 H. Jacoubert, Le Discours sur les passions de l’amour peut-il

être rendu à Pascal?, in «Revue d’histoire littéraire de la France»,

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apertamente, e per gli stessi motivi, con il Cousin, tor-nava alla tripartizione proposta dal Lanson, ritorcendo contro i sostenitori della terza ipotesi (un imitatore di Pascal) le loro stesse argomentazioni: «Le discours n’est pas d’un janséniste, d’un dévot, mais d’un bel-esprit, d’un mondain. Pourquoi celui-ci serait-il allé chercher dans Pascal son modèle? Comment serait-il à ce point nourri et possédé des expressions du janséniste? N’aurait-il pas recouru plutôt à Mlle de Scudéry, à La Rochefoucauld, à n’importe qui, d’ail-leurs, plutôt qu’à l’auteur des Pensées?»28. Contro ogni analisi filologica, concludeva, aggiornando la formula cousiniana: «je ne dirai pas que je sens, mais que j’entends Pascal»29.

Nel dopoguerra, se si eccettua A. Ducas30, la critica sembra decisamente orientata a respingere la paternità pascaliana del D.

È Louis Lafuma31, uno dei maggiori filologi pasca-liani del Novecento, a cui va il merito di aver restituito una lezione delle Pensées quanto più vicina a quella ori-ginaria, che riassume e completa gli argomenti contro il D, in modo pressoché definitivo:

XLV, 1938, pp. 1-22.28 Ibidem, p. 9.29 Ibidem, p. 22.30 A. Ducas, Discours sur les passions de l’amour de Pascal, Alger

1953.31 L. Lafuma, Recherches pascalienne, Paris 1949.

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– «Dans les fragments laissés par Pascal on ne rencontre aucune note rédigée en vue du Discours. Avant 1843 per-sonne ne l’a mentionné»32.

Si tratta della vecchia obiezione del “silenzio” che avrebbe inspiegabilmente circondato per quasi due secoli il D, silenzio di Pascal, prima di tutto, e silenzio degli altri. Perché, se anche fosse vero, come afferma Gustave Michaut33, che attorno al D fu ordita una congiura del silenzio da parte dei giansenisti (pre-occupati, insieme ai famigliari, della divulgazione di un Pascal così poco ortodosso), rimane da spiegare il silenzio degli ambienti antigiansenisti (ad esempio Rapin).

– «Tous les passages du Discours qui rappellent certains passages des Pensées sont pris dans l’édition de 1670»34.

Confermando le ipotesi del Neri, Lafuma ritiene però che l’autore del D non abbia una grande conoscenza delle Pensées;

– «Certains passages du Discours sont inspirés par des textes dictés ou écrits par Pascal en 1660 (et publiés en 1670), alors que les partisans de Pascal-auteur du Discours fixent sa date de composition vers 1652-1653»35;

32 Ibidem, p. 103.33 G. Michaut, Pascal, Molière et Musset, Paris 1942.34 Lafuma, op. cit., p. 110.35 Ibidem, p. 115. Lafuma cita i pensieri 32, 33, 41 (ed. Brunsch-

vicg), certamente scritti tra il settembre del 1659 e il maggio del 1660.

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– «Dans le Discours, le dessin de la phrase est celui d’avant 1660. Certains mots ne font pas partie du vocabu-laire de Pascal»36.

Punto chiave della tesi sostenuta dal Lanson, l’ar-gomento stilistico viene ribaltato da Lafuma, il quale sostiene che il D potrebbe benissimo essere stato scritto da un contemporaneo di Pascal, ma verso il 1680-85;

– «L’auteur du Discours a consulté d’autres ouvrages que l’édition de 1670 des Pensées»37.

Un minuzioso esame del testo porta Lafuma a con-fermare e precisare quel reperimento di fonti già iniziato da Neri e da Strowski, da cui risulta che l’autore del D deve aver letto: le Maximes di La Rochefoucauld (1665), Mme. de Sablé (1678), l’abate di Ailly, le Oeuvres di De Meré (1668-1677) e la Recherche de la Verité di Male-branche (1674-75);

– «Le Discours est pour une grande part un recueil de réponses faites aux -questions d’amour- que l’on posait dans les salons à l’occasion de conversations de bel esprit»38.

Anche in questo caso Lafuma accoglie i sospetti sulle origini galanti e madrigalesche del D, accostandolo a un’opera fortemente simile come il Recueil des pièces galantes en prose et en vers de Madame la Comtesse de la Suze (1663).

36 Ibidem, p. 119.37 Ibidem, p. 121.38 Ibidem, p. 128.

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L’ultimo lavoro impegnativo e organico sul D risale al libro di Georges Brunet del 195939. Brunet, che si era già occupato del D40, torna sull’argomento con una tale massa d’indagini, che sarebbe arduo riassumerle. Suddividendo però i campi di esplorazione, è possibile indicare gli elementi di maggiore novità:

– a proposito del tema del “silenzio”, Brunet tra l’altro osserva che la copia C è stata fatta sull’originale, come spiegare dunque l’incertezza dell’attribuzione, qualo-ra l’originale fosse stato davvero di Pascal? Per quanto riguarda poi la copia G, o essa riproduce a sua volta l’originale, o dipende da una copia X intermedia, fatta sull’originale, perché il silenzio sull’autore in entrambi i casi?;

– in merito alla datazione del D, Brunet osserva due concordanze tra il D e i Caractères (5a edizione 1690) di La Bruyère: il tema amore/ambizione e l’uso di l’on (sconsigliato dall’Académie come difetto di purismo) al posto di on: «Les deux ouvrages obéissent donc à la même mode, et le second, qu’il soit ou non tributaire du premier, doit dater de la même époque»41. Oltre a ciò Brunet ricorda come lo stesso copista di C abbia copiato nella medesima raccolta la Lettre sur la dévotion feinte, pubblicata nelle Oeuvres meslées di Saint-Evremond nel

39 G. Brunet, Un pretend traité de Pascal. Le Discours sur les pas-sions de l’amour, Paris 1959.

40 G. Brunet, in «Revue d’histoire littéraire de la France», aprile-giugno 1947.

41 G. Brunet, op. cit., p. 13.

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1705, restringendo in questo modo il periodo di copiatu-ra del manoscritto agli anni ottanta e novanta del ’600;

– fondandosi su un’analisi interna del testo (e rag-gruppando i pensieri sulla base delle contraddizioni e delle affinità), Brunet individua ben quattro fonti diver-se, di cui una certamente di mano femminile. I quattro interlocutori avrebbero risposto a un questionario di quesiti galanti, quesiti e risposte sarebbero poi stati rac-colti in modo un po’ confuso e arbitrarlo: «Finalement, textes travaillès et notes prises sur place auront été versé aux archives de la compagnie, pour y constituer le dossier de l’Amour, sans qu’il soit nécessaire, d’ailleurs, d’y voir les pierres d’attente d’un –discours - prémédité»42.

Le analisi di Brunet approdano a una sorta di com-promesso tra chi ha sempre sostenuto la coerenza del testo (attribuendola a un unico autore: tesi sostenuta per lo più da chi ritiene Pascal l’autore del D) e chi ha sot-tolineato la frammentarietà del D (motivazione cardine per negarne la paternità pascaliana): «Le Discours est autre chose qu’un assemblage incohérent de fragments disparates»43. In sostanza, è proprio una certa unità te-matica (unità all’interno dei singoli temi) che esclude l’ipotesi di Pascal autore unico.

In tempi più recenti, Antonio Frescaroli44 in uno stu-dio attento ed informatissimo, non solo ha ripercorso

42 Ibidem, p. 42.43 Ibidem, p. 29.44 A. Frescaroli, Ancora su Pascal e il – Discours sur les passions de

l’amour–, in «Aevum», XXXVIII, 1964, pp. 393-409.

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le linee salienti di una discussione ormai più che se-colare, ma ha fornito un contributo di rara chiarezza ed equilibrio. Prima di tutto riconducendo la presunta contraddittorietà del testo al suo reale significato (più retorico che sostanziale): «Buona parte di quelle che lo Strowski prima, il Brunet poi, hanno preso per delle con-traddizioni di fondo, portando quest’ultimo ad affacciare l’ipotesi di una pluralità di autori nella composizione del Discours, non sono in realtà che delle contraddizioni for-mali, delle antitesi. L’antitesi è senza dubbio una costante nel Discours»45. Il che non significa, ovviamente, negare discrepanze e discontinuità evidenti: «Il Discours, così come si presenta, denuncia infatti uno sforzo, se pur non sempre felice, di unire pensieri dispersi»46.

In secondo luogo, sulla base di uno spoglio dei “temi” ricorrenti nel D (ben 40), egli osserva come essi si ripe-tano al di fuori di una logica discorsiva, attestando, al di là di ogni dubbio, il carattere compilatorio del D. Ciò induce a formulare due ipotesi ugualmente plausibili:

«O l’autore delle massime, o meglio di queste pensées sull’amore, è Pascal, e qualcuno, trascrivendole, le ha or-dinate, o piuttosto compilate, com’è avvenuto pressapoco per le Pensées; oppure l’autore non è Pascal, e le massime, uscite da discussioni, conversazioni, o questions d’amour (così frequenti nei salotti del tempo) sono state raccolte e ordinate da un oscuro compilatore»47.

45 Ibidem, p. 398.46 Ibidem, p. 402.47 Ibidem, p. 404.

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Ma tutto ciò non è sufficiente per trarre una conclu-sione: «Gli echi della letteratura galante e psicologica non mancano dunque nel Discours. E con questo?»48.

Frescaroli conclude con un suggestivo parallelo tra il D e le Pensées, teso a mostrare come l’accanirsi di storici e filologi sul D parta da un pregiudizio che, se conser-vato, sarebbe sufficiente a incrinare l’attribuzione stessa dell’Apologie pascaliana: «Anche le Pensées mancano d’esprit de suite. Anche le Pensées riecheggiano motivi di un’epoca: basti ricordare la presenza inconfondibile di Montaigne. E perché non potrebbe essere accaduto al Discours ciò che accadde alle Pensées? La compilazione è evidente, ma come non scorgere dietro quel procedere a bâtons rompus un filo conduttore unico, tracciato dalla stessa mano? Certo, dai lavori di Lafuma non appare alcuna prova che deponga per il pour. E tuttavia dopo i lavori del Brunet, non appare alcuna prova che deponga decisamente per il contre»49.

L’analisi più dettagliata della possibile attribuzione del testo a Pascal è infine quella di Jean Mesnard50, che ricostruisce fin dove possibile l’origine della prima copia manoscritta attraverso le diverse acquisizioni di biblioteche private e ne fissa la datazione a un periodo non posteriore al 1697. Anche Mesnard però deve ar-rendersi alle insufficienti prove documentali per una

48 Ibidem, p. 407.49 Ibidem, p. 409.50 Blaise Pascal, Oeuvres complètes, a c. di Jean Mesnard, Paris

1992, t. IV, pp. 1628-1654.

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identificazione sicura dell’autore ma dedurla dall’analisi interna del testo che lo porta, non senza una dose di approssimazione e gusto investigativo-filologico, a esclu-dere Pascal, proponendo al suo posto il nome di Louis-Henri de Loménie (1636-1698), bizzarro personaggio, i cui Mémoires mostrerebbero molte affinità con il testo del Discours. Comunque stiano le cose, il testo ha una sua importanza intrinseca, che Mesnard riconosce citando le parole di Jacques Chevalier, secondo cui, anche se il Discours non fosse di Pascal: «bisognerebbe aggiungere alla lista dei maestri del XVII secolo un altro grande scrittore sconosciuto»51.

Al termine di questa sommaria ricostruzione delle vicende critiche del D, possiamo dire che tutte le prove, interne o esterne, a favore o contro l’attribuzione a Pa-scal, sono puramente indiziarie (per usare un linguaggio giuridico). Ma forse il vero problema del D non consiste nella possibilità di determinarne le fonti. L’unica certez-za, cioè che appartenga alla seconda metà del Seicento, è più che sufficiente per ricordarci che è contemporaneo di una prodigiosa fioritura di romanzi o novelle storico-galanti come Le journal amoureux (1669) e Les désordres de l’amour (1675) di Mme de Villedieu, o Les amours du Palais Royal (1663) di Bussy-Rabutin, le Nouvelles galantes du temps et à la mode (1680) di Préchac.

51 Blaise Pascal, Oeuvres complètes, a c. di J.Chevalier, Paris 1954, p. 537.

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L’amore come gioco di società, codice allusivo delle gerarchie aristocratiche, specchio deformato su cui sfilano il guanto ornato di pizzo che cade alla dama incipriata, o il biglietto fatale che scivola dalla tasca al visdomino di Chartres. La galanteria come esercizio di crudeltà. La forma che cela gelosamente il potere, i suoi riti orrendi e delicati. Di questo mondo fatuo e perverso il Discours ambisce a essere il gran maestro delle danze. Trattatello melanconico e scaltro, porta dentro di sé il presagio della fine. Il lettore che non voglia a tutti i costi giocarsi una carriera accademica non può rimanere indifferente alla sua quieta e algida bellezza: «La passion ne peut pas être belle sans excès». La regola, ogni regola, contiene la sua trasgressione, e per questo la domina, può contemplarla a suo piacimento, non ha il dovere di temerla. Come non essere d’accordo con Sainte-Beuve, il principe dei lettori: «je ne trouve pas cette petite marque»52. Non riusciva a trovare nel Discours l’impercettibile segno della vita. E a ragione. Ma non perché l’Autore abbia o meno avuto esperienza della passione d’amore. Perché non è quello che importa. Anzi, l’Autore prova un singolare disprezzo nel proporsi come soggetto della propria pagina. Al centro del Discours non c’è l’amore con il suo corteo di fantasmi e passetti di morte, l’amore senza pietà della principessa di Clèves e del duca di Nemours che non arretra neppure davanti al limite estremo dell’amore, la sua negazione. No, al centro del Discours c’è la finzione, la maschera

52 Ch. A. Sainte-Beuve, Port-Royal, Paris 1953, I, p. 911.

intesa come convenzione. Il corpo non esiste, il desiderio non esiste. È solo una meccanica spirituale, un sistema di contrappesi e bilancieri e molle ben oliate. È l’argine che la vecchia società costruisce in gran fretta davanti al dila-gare dei nuovi barbari che proibiranno tutto perché non crederanno in niente. Cartesio e Mme de La Fayette non esitano: la verità deve trionfare. All’Autore del Discours la verità, intesa come tirannica esclusione, appare una ridu-zione insensata, l’uomo non sopporta il pensiero puro, ha bisogno di svago, e le cose d’amore (tutte le cose?) sono e non sono (razionali, irrazionali, innate, acquisite, ecc.) e alla fine: «on le sent mieux qu’on ne peut le dire». Da qui il fallimento di ogni lettura illuministica del Discours, lo scandalo per le sue contraddizioni, le vane ricerche di rammendi per sanare smagliature e punti deboli. Mentre, per stare al gioco, il lettore illuminista dovrebbe tenere sul comodino, accostati uno all’altro, il Discours e Justine, ou les malheurs de la vertu di Sade: scelga, il minuetto filoso-fico di un Autore che cerca di imporre un po’ di decoro nello spaventoso incombere del destino umano («La vie de l’homme est misérablement courte»), o la coerenza sanguinaria del candido marchese.

In questi pensieri, così lontani dalla smagliante su-perbia delle massime di La Rochefoucauld, c’è come un sentimento d’addio, a un secolo, a una civiltà. Amore e ambizione, una grandezza che si sta perdendo, che si è già persa, che nessuno vuole e può difendere, un tempo oltre il quale ci saranno solo le passioncelle di Mme Bovary e l’avido rancore di Julien Sorel.

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Nota editoriale

L’edizione franceseseguita per la traduzione è quella stabilita da Jean Mesnard, Blaise Pascal, Oeuvres com-plètes, Desclée de Broower; Paris 1992, IV, pp. 1655-1668.

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Discorso sulle passioni d’amore

1.L’uomo è nato per pensare, e non può stare un solo

momento senza farlo. Ma quei pensieri puri che lo ren-derebbero felice se fosse in grado di sostenerli sempre, in realtà lo affaticano e lo distruggono. Non si rassegna a una vita monotona, ha bisogno di novità e di azione, in altre parole gli è necessario ogni tanto che le passioni, di cui avverte nel cuore la sorgente viva e profonda, lo scuotano.

2.Le passioni che più si addicono all’uomo e che ne

racchiudono molte altre, sono l’amore e l’ambizione. Pur non avendo legami, spesso tuttavia si mescolano con il risultato di indebolirsi vicendevolmente, quando non si annullano.

3.Per quanto vasta sia la nostra anima, siamo capaci

di una sola grande passione. Perciò, quando amore e

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ambizione s’incontrano, uno dimezza l’altro rispetto a quello che sarebbe se fosse solo.

4.L’età non ha niente a che vedere con l’inizio e la fine

di queste passioni. Esse si manifestano fin dai primi anni, e molto spesso durano fino alla tomba. Tuttavia, poiché richiedono una grande foga, i giovani vi sono maggiormente predisposti, mentre con il tempo sembra che esse rallentino. Ma questo è molto raro.

5.La vita dell’uomo è miserabilmente breve. Si è soliti

misurarla da quando veniamo al mondo, ma io la farei iniziare piuttosto dall’uso della ragione, da quando essa inizia a scuoterci, cosa che di solito non accade prima dei vent’anni. In precedenza siamo bambini e un bambino non è un uomo.

6.Felice quella vita che inizia con l’amore e finisce con

l’ambizione! Se potessi, è quella che sceglierei. Finché abbiamo vigore possiamo piacere, ma il vigore si spegne, si perde: allora si crea un posto bello e grande per l’am-bizione! Gli animi grandi amano una vita tumultuosa, mentre quelli mediocri non vi trovano alcun piacere, sono automi perfetti. Per questo, se all’inizio e alla fine della vita ci sono l’amore e l’ambizione, realizziamo il massimo di felicità di cui la natura umana è capace.

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7.Le passioni sono tanto più grandi quanto più grande

è lo spirito, perché essendo le passioni nient’altro che sentimenti e pensieri, cioè momenti dello spirito per quanto occasionati dal corpo, è evidente che coincidono con lo spirito esaurendone ogni capacità. Sto parlando delle passioni pure, perché le altre si mescolano sovente tra loro creando una spiacevole confusione. Ma questo non avviene in chi è intelligente.

8.In un’anima grande tutto è grande.

9.Qualcuno si chiede se dobbiamo amare! Non è una

cosa da chiedere: la si deve sentire. In questo caso non c’è scelta, veniamo trascinati, e se ci riflettiamo è per il piacere d’ingannarci.

10.La purezza dell’anima causa la purezza della passio-

ne. Per questo un’anima grande e pura ama ardentemen-te e distingue con chiarezza ciò che ama.

11.Ci sono due tipi d’intelligenza, una geometrica e

l’altra che si potrebbe definire concreta.

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12.La prima ha modi lenti, duri e inflessibili, la seconda

ha una duttilità di pensiero che la fa aderire simultane-amente alle diverse parti desiderabili di ciò che ama. Dagli occhi va fino al cuore, e dai movimenti esteriori riconosce ciò che accade all’interno.

13.Solo quando si possiedono entrambe queste forme

d’intelligenza l’amore procura piacere! Perché abbiamo la forza e insieme la flessibilità dell’intelligenza, cosa assolutamente indispensabile per la comprensione tra due persone.

14.Fin dalla nascita amore lascia nei nostri cuori la sua

impronta che cresce col compiersi dello spirito, spingen-doci ad amare ciò che appare bello, senza che nessuno ci abbia mai detto cos’è. Chi può dunque mettere in dubbio di essere al mondo per altro che non sia l’amore? Anche se cerchiamo di negarlo a noi stessi, noi amiamo sempre. Perfino nelle cose che sembrano più lontane ritroviamo l’amore, segretamente nascosto. Non è possibile che un uomo possa vivere un solo momento senza di esso.

15.All’uomo non piace rimanere solo con se stesso. Tut-

tavia ama: deve dunque cercare altrove qualcosa d’ama-re. Solo nella bellezza può trovarlo, ma dal momento

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che è egli stesso la più bella creatura che Dio abbia mai plasmato, è inevitabile che trovi interiormente il modello di quella bellezza che cerca fuori di sé. Ciascuno può os-servarne in sé i primi barlumi; e a seconda di come vede ciò che si trova fuori convenire o allontanarsene, si forma le idee del bello e del brutto di tutte le cose. Tuttavia, benché l’uomo cerchi di riempire il grande vuoto causato dall’uscita da se stesso, nessuna realtà lo può soddisfare. Il suo cuore è troppo vasto. Deve trattarsi di qualcosa che gli assomiglia, e che gli sia il più vicino possibile. Per questo motivo l’unica bellezza in grado di soddisfare l’uomo deve consistere non solo nella convenienza ma anche nella somiglianza: e ciò lo troviamo contenuto e racchiuso solo nella differenza sessuale.

16.A tal punto la natura ha impresso questa verità nelle

nostre anime, che troviamo ogni cosa già predisposta, non occorrono né abilità né studio. È come se ci fosse nei nostri cuori uno spazio da riempire, uno spazio che poi realmente si riempie. Ma è più facile sentirlo che espri-merlo. Solo quelli che sanno complicare con disprezzo le proprie idee non se ne accorgono.

17.Per quanto questa idea generale di bellezza sia im-

pressa in fondo alle nostre anime a caratteri indelebili, individualmente si possono manifestare differenze molto grandi, ma ciò accade solo per quanto riguarda i modi

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di considerare ciò che piace. Noi non desideriamo la nuda bellezza, vogliamo anche le mille circostanze che dipendono dalle condizioni in cui ci troviamo. In questo senso possiamo dire che ciascuno custodisce l’originale di quella bellezza di cui cerca la copia in giro per il mon-do. Tuttavia le donne contribuiscono spesso a caratteriz-zare questo originale. Dal momento che esse esercitano un assoluto dominio sull’animo degli uomini, possono incidervi quegli aspetti della bellezza che appartengono a loro o quelli che a loro piacciono, aggiungendo così alla bellezza assoluta un tocco di soggettività. Così c’è il secolo delle bionde e quello delle brune, e ciò che divide le donne sulla scelta migliore tra di loro, divide al tempo stesso anche gli uomini.

18.Anche la moda e gli stati fanno spesso da regola a ciò

che chiamiamo bellezza. È curioso come il costume possa mescolarsi in modo così prepotente alle nostre passioni. Ciò non toglie che ciascuno abbia una sua idea della bel-lezza in base alla quale giudica le altre, e a cui le confronta. In base a questo principio ogni innamorato trova che la sua amante sia la più bella, e la propone come esempio.

19.La bellezza si offre sotto mille aspetti diversi. Ma essa

si rivela meglio nella donna, che quando è intelligente sa infonderle vita ed esaltarla in modo stupendo.

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20.Se una donna vuole piacere e possiede, anche solo in

parte, i privilegi della bellezza, vi riuscirà. E per quanto poco gli uomini le prestino attenzione e lei non si sforzi, si farà amare. Nei loro cuori c’è il luogo di un’attesa dove lei troverà posto.

21.L’uomo è nato per il piacere: non ha bisogno di prove,

gli basta sentirlo. Dedicandosi al piacere segue dunque la ragione. Ma spesso avverte nel cuore la passione e non capisce da dove viene.

22.Vero o falso il piacere può colmare l’anima. Ha im-

portanza che un piacere sia falso, quando si è persuasi che è vero?

23.A forza di parlare d’amore ci s’innamora. Non c’è

nulla di più facile, è la più naturale delle passioni umane.

24.L’amore non ha età. Rinasce ogni volta. Ce l’han-

no detto i poeti, per questo lo rappresentano come un bambino. Ma anche se non lo chiedessimo loro, lo sentiamo.

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25.L’amore genera spirito ed è sostenuto dallo spirito. Ci

vuole accortezza per amare. Ogni giorno c’industriamo in mille modi per piacere, e tuttavia bisogna piacere, e riusciamo a piacere.

26.C’è in noi come una fonte d’amor proprio che ci fa

credere di essere capaci di colmare molti vuoti fuori da noi, per questo siamo così contenti di essere amati. Poiché lo desideriamo ardentemente, quando accade ce ne accorgiamo subito e lo riconosciamo dagli occhi della persona che ama. Perché gli occhi sono l’espres-sione del cuore, ma solo chi è coinvolto ne comprende il linguaggio.

27.L’uomo solo è qualcosa d’imperfetto, per essere felice

è necessario che trovi un’altra creatura. Molto spesso la cerca nel proprio ceto, perché le occasioni sono più libere e più facili. Qualche volta tuttavia ci spingiamo al di sopra delle nostre possibilità, e sentiamo crescere a dismisura la passione, pur non osando manifestarla a colei che l’ha generata.

28.Quando si ama una donna di condizione superiore,

all’inizio l’amore può essere accompagnato dall’ambi-zione, ma in breve la domina. In realtà è un tiranno che

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non sopporta compagnia, vuole essere solo, tutte le altre passioni si devono prostrare davanti a lui e obbedirgli.

29.L’amicizia con una persona superiore soddisfa molto

più di una comune e tra eguali: il cuore umano è gran-de, le piccole cose galleggiano sulla sua superficie, solo quelle grandi vi si fermano e mettono radici.

30.Spesso scriviamo cose che non si possono provare

se non costringendo gli altri a riflettere su se stessi, trovando così la verità di cui si parla. A questo tipo di persuasione appartengono le prove di ciò che dico.

31.È l’amore a rendere sensibile l’animo umano in

una o nell’altra delle sue parti. Quando infatti viene colpito da qualcosa fuori di sé, se ripugna alle sue idee, quando se ne accorge la fugge. La regola di questa sensibilità è una ragione nobile, pura e sublime. Così ci possiamo ritenere sensibili senza esserlo effettivamente e gli altri hanno diritto di biasimarci per questo; in fatto di bellezza ognuno ha la sua norma sovrana e indipendente da quella degli altri. Tuttavia, a proposito di essere o non essere sensibili, dobbiamo ammettere che il solo desiderio di essere sensibili fa sì che un po’ lo siamo davvero. Alle donne piace trovare negli uomini la sensibilità, e questa mi sembra la via più

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dolce per conquistarle: in questo modo è facile far loro vedere come gli altri siano insignificanti, e noi soli desiderabili.

32.Le doti spirituali non si acquisiscono con l’educazio-

ne, possiamo solo perfezionarle. Da ciò comprendiamo come la sensibilità sia un dono di natura, non il frutto di un esercizio.

33.Più siamo spirituali e più bellezze originali troviamo.

Dunque non dobbiamo innamorarci, perché quando amiamo sappiamo vederne una sola.

34.Quando una donna esce da se stessa per imprimersi

nel cuore altrui, non si ha forse l’impressione che fac-cia posto nel proprio cuore agli altri? Conosco tuttavia alcune donne che lo negano. Dovremmo chiamarla in-giustizia? È naturale rendere quanto si è preso.

35.Concentrarsi su un unico pensiero stanca e abbat-

te l’animo umano. Per questo, se vogliamo conservare compattezza e durata ai piaceri d’amore, qualche volta è meglio ignorare che siamo innamorati. Ciò non significa essere infedeli, infatti non amiamo un altro, ma solo riprendere forza per amare di più. Ciò accade senza

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bisogno di pensarci, ci pensa lo spirito. È una necessità naturale, rientra nell’ordine della natura.

36.Dobbiamo però confessare che è una miserabile

conseguenza della natura umana, e che saremmo più felici se non fossimo costretti a mutare pensiero. Ma non esiste rimedio.

37.Amare senza avere il coraggio di dirlo è un piacere

fatto di pene e di dolcezze. Che sensazione di trasporto accordare tutte le proprie azioni allo scopo di risultare graditi a qualcuno che stimiamo infinitamente! Ogni giorno ci preoccupiamo per trovare il modo di dichia-rarci, e nel far ciò impieghiamo un tempo non inferiore a quello che trascorreremmo conversando con lei. Un lampo si accende e si spegne nei suoi occhi. E per quanto non traspaia se colei che è all’origine di questo turba-mento se n’è accorta, siamo contenti di provare simili emozioni per una persona così degna. Vorremmo saper parlare cento lingue per farci conoscere, ma poiché non possiamo servirci della parola, dobbiamo ridurci all’e-loquenza dei gesti.

38.Fin qui si continua a provare della gioia e si è molto

impegnati. Siamo felici, perché il segreto di coltiva-re una passione consiste nel non lasciare alcun vuoto

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nell’animo, obbligandolo ad occuparsi incessantemente di ciò che lo tocca in modo così piacevole. Ma quan-do ci si trova nelle condizioni che ho descritto, non possiamo rimanerci a lungo, e questo perché, essendo gli unici attori in una passione che ne reclama due, è difficile non esaurire in breve la gamma dei sentimenti da cui siamo agitati.

39.Benché la passione sia sempre la stessa ci vuole della

novità, piace all’animo e chi sa procurarla sa farsi amare.

40.Dopo questo cammino, con il sentimento di una pie-

nezza in parte affievolita, e non ricevendo soccorso da parte di chi l’ha suscitata, si va a un miserabile declino, e le passioni nemiche s’impadroniscono del cuore, stra-ziandolo in mille brani. Ma c’è sempre un raggio di spe-ranza che, per quanto abbattuti, ci riporta in alto, dove eravamo prima. È il capriccio caro alle donne. Eppure, qualche volta, fingendo di avere compassione, l’hanno veramente. E da quale felicità non veniamo rapiti allora!

41.Un amore saldo e sicuro inizia sempre da qualche

gesto significativo. Gli occhi fanno la parte del leone. Eppure è necessario indovinare, e non poco.

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42.Anche quando due persone provano gli stessi sen-

timenti, esse non se ne accorgono, o almeno una delle due intuisce quello che vuole l’altra, ma l’altra non lo sa o non osa saperlo.

43.Quando siamo innamorati appariamo a noi stessi del

tutto diversi da quello che eravamo prima d’innamo-rarci. Per questo, pur non essendoci niente di più falso, siamo convinti che anche gli altri se ne accorgano. Ma dal momento che la ragione è offuscata dalla passione, non ne siamo sicuri e restiamo perennemente sospettosi.

44.Quando si ama siamo convinti di saper riconoscere

la passione di un altro: e così abbiamo paura.

45.Più lungo è il cammino che porta all’amore, più un

animo sensibile ne ricava piacere.

46.Ci sono anime sensibili a cui la speranza va centel-

linata. Altre più rozze che non sanno resistere troppo a lungo alle difficoltà. Le prime amano più a lungo e con maggior piacere, le altre sono più sbrigative, più spregiudicate, e in poco tempo la fanno finita.

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47.La prima conseguenza dell’amore è che ispira un

grande rispetto. Noi veneriamo ciò che amiamo. In fondo è giusto: per noi è la cosa più grande che ci sia al mondo.

48.Nessuno scrittore può descrivere esattamente ciò che

provano i suoi eroi quando sono innamorati: dovrebbe essere lui stesso un eroe.

49.L’aberrazione di coltivare più amori è una mostruosità

equivalente all’ingiustizia per lo spirito.

50.In amore il silenzio vale più delle parole. Lo stupore

è un fatto positivo, esiste un’eloquenza del silenzio più espressiva di ogni discorso. Un innamorato interdetto sa come persuadere la sua amante, ed è tutt’altro che privo d’intelligenza! Per quanto si sia esuberanti, ci sono circostanze in cui è meglio mostrarsi spenti. E tutto ciò avviene al di fuori di ogni regola e rifles-sione, la coscienza vi arriva d’istinto. Ciò accade per necessità.

51.Spesso adoriamo chi ignora il nostro sentimento, e

benché sia all’oscuro di tutto gli serbiamo un’inviolata

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fedeltà. Ma perché questo accada è necessario che l’a-more sia davvero puro e delicato.

52.La conoscenza dell’animo umano, e dunque delle sue

passioni, ci viene dal confronto con gli altri.

53.Sono d’accordo con chi diceva che l’amore fa di-

menticare i propri interessi, i genitori e gli amici: anche le grandi amicizie arrivano a tanto. Ciò che spinge così lontano in amore è che si pensa di non aver bisogno d’altro se non di colui che amiamo: l’animo è colmo, non c’è posto per preoccupazioni o inquietudini. La bel-lezza della passione sta nei suoi eccessi. Per questo non ci curiamo di ciò che dice la gente, che non può certo condannare il nostro comportamento dal momento che è secondo ragione. Dove c’è una pienezza di passione non ci può essere un principio di riflessione.

54.Non dipende dai costumi, è una necessità della na-

tura che gli uomini corteggino una donna per ottenere il suo amore.

55.L’oblio causato dall’amore e l’attaccamento all’amato

fanno nascere qualità mai possedute prima. La magni-ficenza, prima di tutto, anche quando non ci apparte-

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neva. Un avaro innamorato si trasforma in prodigo, e dimentica di avere avuto abitudini opposte. La causa risiede nel fatto che ci sono passioni capaci di contrarre l’anima paralizzandola, altre che la dilatano, facendola traboccare.

56.

A torto si è voluta separare la ragione dall’amore, in una contrapposizione senza fondamento, perché amore e ragione sono la stessa cosa. L’amore è uno slancio del pensiero che sceglie senza aver considerato ogni cosa, ma è pur sempre ragione, e non dobbiamo, non possiamo desiderare che sia altrimenti, per non diventare degli sgradevoli automi. Non escludiamo la ragione dall’a-more, poiché è inseparabile.

57.Hanno avuto torto i poeti a dipingere l’amore come

un cieco, dobbiamo togliergli la benda, rendergli final-mente la gloria degli occhi.

58.Le anime fatte per amare reclamano una vita d’a-

zione prodiga di avventure. Se c’è movimento interiore, questo deve rivelarsi anche all’esterno, così che la vita diviene lo splendido ingresso della passione. Perciò in amore i cortigiani la spuntano sui borghesi, perché i primi sono appassionati, mentre gli altri conducono una

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vita monotona e poco attraente: una vita tempestosa sorprende, affascina e conquista.

59.Quando un’anima è innamorata sembra completa-

mente diversa da quando non lo è. La passione ci eleva, tutto in noi è grandezza. Il resto dunque deve essere proporzionato, altrimenti va perso il decoro e si diventa sgradevoli.

60.La seduzione e la bellezza sono la stessa cosa. Tutti

lo sanno. Parlo della bellezza morale, che consiste nelle parole e nelle azioni. Ci sono regole per diventare pia-cevole, e la conformità del corpo è necessaria, ma non si può acquisire.

61.Gli uomini amano farsi un’idea così elevata di ciò che

è seducente, che nessuno può arrivarvi. Se ci pensiamo bene, sono l’aspetto fisico e una vivace leggerezza dello spirito che ci sorprendono. In amore queste due qua-lità sono indispensabili: niente deve essere eccessivo o debole. L’abitudine fa il resto.

62.Amore e rispetto devono stare in un equilibrio ben

bilanciato, senza che il rispetto soffochi l’amore.

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63.Non è grande l’anima di chi ama più frequentemente,

parlo di un amore passionale: è grande chi ha bisogno di essere invaso dalla passione per scuotersi e venire colmato. Ma costui, quando inizia ad amare, lo fa in modo superbo.

64.Si dice che vi siano popoli più portati per l’amore di

altri. Non è esatto, o non del tutto. Poiché l’amore non è che un’inclinazione del pensiero, deve essere uguale in ogni luogo. Ma è anche vero che realizzandosi in qualcosa di diverso dal pensiero, il clima può influire, sia pure solo sul corpo.

65.Si può dire dell’amore quello che si dice del buon

senso: in fatto di senno e di amore crediamo di essere uguali altri. Tuttavia, più si è intelligenti, più si è in grado di amare fino all’ultima sfumatura, il che non è possibile agli altri. Bisogna essere molto sottili per cogliere questa differenza.

66.È quasi impossibile fingere d’amare se non si è sul

punto di amare davvero, o non si ama già almeno in parte, perché per fingere occorre avere l’anima e la men-te piene d’amore, altrimenti come fare a parlarne in modo appropriato? Fingere la verità delle passioni non

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è facile come fingere una verità di pensiero. Ci vuole ardore, attività e una naturale scioltezza d’animo per la prima: per nascondere l’altra è sufficiente una studiata scaltrezza, ed è più facile.

67.Quando si è lontani dalla persona che amiamo, siamo

pronti a fare e dire una quantità di cose, ma quando siamo vicini diventiamo irresoluti, perché? Il fatto è che quando siamo lontani la ragione non è così turbata, men-tre, curiosamente, lo è alla presenza dell’amato. Poiché per essere decisi bisogna essere fermi e il turbamento incrina proprio la fermezza.

68.In amore non si ha il coraggio di azzardare, perché

si teme di perdere ogni cosa, dobbiamo avanzare, ma chi può dire fino a che punto? Siamo tutto un tremore finché non troviamo quel punto. Ma quando l’abbiamo trovato la prudenza non fa niente per fermarsi lì.

69.L’imbarazzo maggiore, quando siamo innamorati, è

di scorgere uno spiraglio favorevole e non avere il corag-gio di credervi: diventiamo preda al tempo stesso della speranza e della paura. Ma la seconda ottiene la vittoria.

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70.Se siamo davvero innamorati, vedere la persona che

amiamo è sempre un fatto nuovo: l’assenza di un istante scava un vuoto nel nostro cuore. Che gioia ritrovarla! L’inquietudine cessa immediatamente.

71.Ma perché questo accada l’amore deve trovarsi a uno

stadio avanzato. Perché quando è agli inizi e non fa alcun progresso, viene meno sì l’inquietudine, ma per lasciare il posto ad altri turbamenti.

72.Benché i mali si succedano gli uni agli altri, non

smettiamo di desiderare la presenza della persona amata, nella speranza di soffrire di meno, ma quando la vedia-mo ci sembra di soffrire di più. I mali trascorsi non ci colpiscono più, quelli presenti al contrario ci toccano, e noi giudichiamo solo in base a ciò che ci tocca. Se questa è la realtà, non è degno di compassione l’amante?