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Virgola / 15

Babele americana introduzione

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Virgola / 15

Sara Antonelli, Anna Scacchi, Anna Scannavini

LA BABELE AMERICANA

Lingue e identità negli Stati Uniti d’oggi

A cura di Anna Scacchi

DONZELLI EDITORE

© 2005 Donzelli editore, RomaVia Mentana 2b

INTERNET www.donzelli.itE-MAIL [email protected]

ISBN 88-7989-984-8

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Introduzionedi Anna Scacchi

I. Il giardino di Babele: paradiso multiculturale o caos etnico?di Anna Scacchi

1. Sono un krapfen con la marmellata2. Una bandiera, una lingua3. «Speak English! This is America!»4. La lingua come strumento e come simbolo5. L’American English e l’identità nazionale6. Il sogno americano funziona solo in inglese7. I bambini americani parlano spagnolo?8. Il vero problema sono gli intellettuali9. Dal melting pot al quilt

10. Lo hanno detto i padri fondatori

II. La lingua del nuovo inizio: l’inglese americanodi Anna Scacchi

1. Due lingue?2. «Ci giustificherà la storia, non la grammatica»3. La differenza americana e la libertà di parola4. La mitologia dell’American English5. Il silenzio della costituzione6. La lingua come melting pot7. «Americans All»?8. Una nazione a mosaico

III. Il Black Englishdi Sara Antonelli

1. Una definizione di Black English2. Il Black English e la diaspora

p. 3

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Indice

LA BABELE AMERICANA

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La Babele americana

3. Storie di contatti4. La pronuncia 5. La traccia africana: il sistema verbale 6. Il Black English e la retorica della libertà7. La conquista della scrittura8. Le imitazioni: il minstrel9. Il Black English e il «Will to adorn»

10. Swing: dal verbo al nome

IV. «Enclave/in chiave»: il bilinguismo spagnolo-inglesedi Anna Scannavini

1. Spanglish?2. I latinos negli Stati Uniti3. Fondazioni disciplinari4. Bilinguismo e varietà di lingua5. L’idea di repertorio linguistico6. Differenze7. Spagnolo e inglese8. Mescolanza9. Conservazione o perdita dello spagnolo?

10. Il significato della commutazione11. Grammatica della mescolanza

Appendice

Bibliografia

Sitografia

Indice dei nomi

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La Babele americana

Avvertenza

Le traduzioni dei passi citati, ove non indicato diversamente, sono delle autrici.

Introduzionedi Anna Scacchi

Il dibattito sulla lingua degli Stati Uniti ruota da sempre intorno adue domande: quali trasformazioni subirà l’inglese in America? Ed èproprio l’inglese la lingua degli americani? Mentre la prima è appar-sa più di frequente negli anni di fondazione, quando il paese eraimpegnato nel costruire la propria differenza culturale rispetto allaGran Bretagna, la seconda è stata posta con insistenza a partire dallaseconda metà dell’Ottocento, con l’arrivo di numeri ingenti di immi-grati da paesi non anglofoni. Ma entrambe erano contenute nellavisione imperiale di Thomas Jefferson, che immaginava una repub-blica estesa dall’Atlantico al Pacifico e popolata da cittadini america-ni che parlavano la stessa lingua. O nella riforma dello spelling auspi-cata dal lessicografo Noah Webster, il quale sperava di cancellare laconflittualità degli anni turbolenti che seguirono alla Rivoluzione eli-minando gli accenti regionali e di classe dalla voce della nazione. O,ancora, nel nazionalismo anglofono di Theodore Roosevelt, che rite-neva l’assimilazione linguistica la prima misura da prendere per evi-tare che gli Stati Uniti si trasformassero in un «ingarbugliato altercodi nazioni». Ed entrambe sono implicite nelle recenti proposte dimisure legislative in difesa della lingua dominante, apparentementeminacciata dalla presenza di americani che rivendicano il diritto aconservare la propria alterità linguistica.

Alla fine del Settecento gli inglesi contestavano la legittimità deicambiamenti introdotti dai coloni ribelli nella loro lingua, il King’sEnglish, accusandoli di provocarne l’imbarbarimento e di produrreuna nuova Babele. Perché trasformare il significato di certe parole(come mad usato nel senso di angry, o clever nel senso di good-na-tured) o la loro funzione morfologica (to opinion), utilizzare formedialettali al posto di quelle standard, andare a ripescare termini arcaici,inventarne di nuovi (come to belittle e lenghty) o prenderne in presti-to da altre lingue (come boss o bluff, dall’olandese), quando la linguainglese parlata dalla corte britannica rispondeva perfettamente a ogni

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LA BABELE AMERICANA

esigenza della comunicazione? Gli americani rispondevano sostenendoil loro diritto a usare la lingua in modo nuovo, adeguato alle mutate cir-costanze nelle quali vivevano. «La necessità ci costringe a inventareneologismi», scriveva Jefferson nel 1813. Non si trattava solo di intro-durre parole per esprimere fatti e concetti ignoti al Vecchio Mondo,però. Bisognava estendere il cambiamento linguistico al livello dellostile, perché il popolo di una repubblica non poteva parlare con la lin-gua di una monarchia e i rappresentanti del popolo dovevano averecome obiettivo principale la trasparenza e l’accessibilità delle loroparole a tutti i cittadini. Entrambe le parti, parlando di lingua, discute-vano della propria legittimità politica e culturale e per gli americanianche il linguaggio faceva parte del progetto di rifondazione sociale dicui si ritenevano alfieri.

Così come in passato, nella discussione contemporanea – che, dopol’11 settembre 2001, ha ricevuto nuovo vigore dalla percezione diffusadi uno stato di emergenza nazionale – la questione della lingua degliStati Uniti è strettamente legata all’idea che l’inglese d’America sia l’e-spressione insostituibile e lo strumento di diffusione principale deivalori sui quali il paese si fonda. Le due domande iniziali, in apparen-za diverse, convergono in molti punti: la valutazione dei cambiamentilinguistici e del desiderio di continuare a parlare la propria lingua diorigine da parte degli immigrati, per esempio, o il rapporto tra lavarietà parlata dalla maggioranza e le varietà non standard, o ancora lafunzione delle istituzioni – dalle scuole alle amministrazioni locali, agliorgani di governo – nelle questioni di lingua.

Più in generale, terreno comune a entrambe le domande è la rifles-sione sul ruolo svolto dalla lingua nella creazione e preservazione diuna comunità nazionale. Le problematiche linguistiche, in realtà, sonosolo lo strato superficiale di una querelle che ha a che fare, a livelloprofondo, con un’altra domanda: che cosa è l’America? L’interrogati-vo vero, allora, non riguarda mere questioni di lingua, come, per esem-pio, la liceità degli americanismi, l’importanza di uno standard nazio-nale per il buon funzionamento di un paese di immigrati, il valore delBlack English come lingua della comunità afroamericana e di codicilinguistici ibridi nei quali lo spagnolo e altre lingue si mescolano conl’inglese, o il successo del bilinguismo nell’addestramento linguisticodei bambini non anglofoni. Riguarda, piuttosto, il significato stessodell’America e dell’essere americani, e la questione di chi abbia l’auto-rità di decidere in merito a tale significato. Qual è la lingua degli Stati

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Anna Scacchi

Uniti, allora? Dalla risposta che si deciderà di dare a livello istituziona-le dipende molto. Saranno coinvolti la pubblica istruzione, il sistemagiudiziario e quello elettorale, la sanità, la pubblica sicurezza. Saràcoinvolta, soprattutto, l’identità culturale del paese, che sceglierà for-malmente se nel motto nazionale l’enfasi sia sull’unità o sulla diversità.

Come va interpretato l’allarme sullo stato di salute della linguanazionale lanciato sempre più spesso dai mass media negli Stati Uni-ti? Un fatto virtualmente indiscusso nella società contemporanea èche la diffusione dell’inglese come lingua del mondo globale ha sìfacilitato la comunicazione internazionale e interculturale, ma a sca-pito della varietà linguistica. L’Unione Europea, che ha fatto del plu-rilinguismo il proprio carattere distintivo riconoscendo venti lingueufficiali, ha avviato politiche culturali ed economiche a sostegno del-le lingue minoritarie, minacciate dal continuo espandersi dell’inglese1.Il Consiglio d’Europa, che promuove ufficialmente la diversità lin-guistica e culturale contro l’intolleranza e la xenofobia, ha istituito lagiornata europea delle lingue (26 settembre) per celebrare il plurilin-guismo europeo2. Organismi transnazionali come l’Unesco sostengo-no la necessità di politiche di salvaguardia del diritto alla diversità lin-guistica e di protezione del patrimonio linguistico dell’umanità. Tut-tavia, una buona parte dei cittadini degli Stati Uniti ritiene che l’in-glese americano sia in pericolo. Vuole che il governo adotti misureufficiali in difesa della lingua nazionale e ritiene che il mantenimento dialtre lingue, di varietà non standard come il Black English, o la nascitadi codici ibridi come lo Spanglish, nei quali l’American English simescola alle lingue dei ghetti, sia un potenziale veicolo di conflittua-lità sociale e divisione politica, oltre che una minaccia di corruzionedell’identità nazionale. Si chiede, come fa Samuel Huntington nellasua opera più recente (Who Are We? The Challenges to America’sNational Identity, 2004), se gli Stati Uniti rimarranno una nazioneangloprotestante, unita dalla lingua, o si trasformeranno in un paesecon due lingue e due popoli culturalmente alieni.

Altri americani la pensano diversamente. Molti credono che i dirit-ti di cittadinanza non debbano essere pagati rinunciando alla lingua

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Introduzione

1 L’inglese, secondo i dati più recenti, è studiato dall’89 per cento della popolazione stu-dentesca europea. L’italiano, invece, è scelto come seconda lingua dall’1 per cento degli stu-denti. Si veda, a questo proposito, il portale dell’Unione Europea, che dedica diverse paginealla questione delle lingue (http://europa.eu.int).

2 www.coe.int.

madre e che la possibilità di mantenere la propria differenza culturalesia uno dei principi basilari di una nazione fondata sull’unità nelladiversità. Aspirano a una definizione di identità americana che nonabbia contenuti predeterminati per ciò che riguarda, oltre alla razza ealla religione, la lingua e sono convinti che si possa essere fedeli ai valo-ri dell’American way of life anche in altri idiomi. Altri ancora ritengo-no che le nozioni di identità fondate su categorie geopolitiche supera-te non siano più utili per interpretare e affrontare i fenomeni che ine-vitabilmente scaturiscono dai flussi diasporici contemporanei; che l’i-bridazione sia la caratteristica fondamentale di tutti i prodotti umani el’autenticità culturale soltanto un mito di nascita recente; che il fruttoinevitabile del contatto interculturale sia il cambiamento linguistico ela nascita di nuove lingue. E, soprattutto, sono convinti che l’idea chegli Stati Uniti siano un paese bianco e anglofono – se mai essa è statabasata sui fatti – tra breve sarà totalmente obsoleta.

Secondo proiezioni derivanti dai dati del censimento del 1990,infatti, entro il 2050 gli Stati Uniti saranno il secondo paese di linguaspagnola delle Americhe. Lo U.S. Census Bureau, elaborando i dati del2000, ha annunciato che nel 2059 i bianchi di etnia non ispanica saran-no meno del 50 per cento della popolazione totale. Secondo altre ipo-tesi, tra meno di quarant’anni i cittadini statunitensi che si definisconolatinos o ispanici raggiungeranno i cento milioni. In passato molteproiezioni relative ai latinos si sono rivelate fallaci, mettendo in evi-denza quanto la velocità di crescita demografica e altri comportamentidel gruppo siano diversi dalle aspettative. Se si tiene conto del fatto che,come dichiara lo stesso U.S. Census Bureau, i censimenti tendono asottostimare i dati relativi alle minoranze e che, nonostante l’invito del-le associazioni ispaniche a «farsi contare», molte famiglie sono sfuggi-te ai rilevatori, è probabile che tale traguardo venga raggiunto moltoprima. Questo secolo, quindi, vedrà trasformazioni importanti nel tes-suto socioculturale degli Stati Uniti, che porranno in discussione il loromonopolio ideologico sulle Americhe.

In alcune città degli Stati Uniti con una forte presenza di parlantinon anglofoni – come a New York, dove i cittadini di lingua spagnolasono più del 25 per cento della popolazione, o in piccole comunità del-la California, dove i latinos o gli asiatici costituiscono la maggioranza –il bilinguismo è stata una scelta obbligata per il funzionamento quoti-diano della comunità. Dai segnali stradali alle istruzioni sui mezzi ditrasporto, dagli annunci pubblicitari ai mass media, la sfera pubblica ha

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Anna Scacchi

dovuto riconoscere de facto l’esistenza di consistenti gruppi di cittadi-ni con cui è necessario comunicare in lingue diverse dall’inglese.

Oggi lo sguardo emisferico – ossia l’approccio continentale allo stu-dio delle Americhe, che è di per sé un rifiuto consapevole dell’eccezio-nalismo statunitense3 – si sta imponendo nelle università per studiare ifenomeni culturali, sociali ed economici del border, la frontiera con ilMessico, che appare sempre meno una linea che divide realtà nazionaliautonome e sempre più una contact zone caratterizzata da fenomeni diinterpenetrazione replicati in ogni metropoli degli Stati Uniti4. L’ap-proccio pan-americano sarà l’unico possibile per comprendere un pae-se nel quale, come scrive Mike Davis in Magical Urbanism, una partesignificativa della popolazione è formata da comunità transnazionaliche articolano la propria identità nello spazio diasporico e sono con-traddistinte dal sincretismo culturale5. Nella prospettiva emisferica, che«americano» significhi «maschio bianco, borghese e anglofono» è piùche mai lontano dal vero. Come ha dichiarato il leader afroamericanoJesse Jackson in una recente intervista, «La maggioranza della popola-zione di questo emisfero è di colore, è giovane, parla un’altra lingua, èdonna e povera»6. Ciò che lo scrittore chicano Richard Rodriguez, nelsuo ultimo volume autobiografico (Brown: The Last Invention of Ame-rica, 2002), ha definito «the browning of America» – ossia il supera-mento della linea del colore, che W. E. B. DuBois aveva indicato comeil problema del XX secolo, nella mescolanza etnica – sembra essere unesito prossimo e inevitabile a livello demografico, se non a quello ideo-logico. La miscegenation, ossia l’ibridizzazione delle razze e delle cul-ture, scrive lo studioso Ilan Stavans, sarà il leitmotiv del XXI secolo7.

Come interagiranno la demografia e l’ideologia non è facile da pre-vedere, anche se le categorie di appartenenza etnica usate nei questio-nari dei censimenti appaiono già obsolete. Ma, intanto, il fatto che ilatinos siano un mercato in grande espansione, e che i teenagers ispani-ci abbiano un interessante potenziale di consumo, ha portato al rico-

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Introduzione

3 Per «eccezionalismo» si intende il paradigma interpretativo per il quale gli Stati Uniti,a causa di una serie di contingenze storiche, sono una nazione diversa dalle altre, dal destinounico e irripetibile. In questa visione, per esempio, la democrazia è un prodotto culturalepeculiarmente legato alla storia dell’America anglofona e non può appartenere, in tipologie emodi autonomi, ad altri contesti nazionali.

4 Sulle trasformazioni in atto negli American Studies, cfr. Izzo - Mariani 2004.5 Davis 2001, p. 15.6 «L’Espresso», 9 ottobre 2003, p. 91.7 Stavans 2001, p. 16.

noscimento della lingua spagnola e dello Spanglish in molti ambiti del-l’industria culturale americana, dalle trasmissioni televisive a quelleradiofoniche, dal cinema alla musica, dalle riviste per adolescenti aInternet ai menù delle catene di ristoranti. La catena Hallmark ha lan-ciato una nuova serie di biglietti di auguri dove si usa la lingua ibridache domina le interazioni quotidiane di molti ispanici. Un esempio:«Feeling sick? No te sientes bien?», dice un biglietto per augurare unapronta guarigione a un amico influenzato. «Watch un poco de televi-sión. Drink your té con miel y limón. Habla on the telephone. Beforeyou know it, y de repente, you’ll be feeling ¡excelente!».

I temi principali di questo volume sono l’interrogativo riguardoall’identità nazionale che sta alla base del discorso sulla lingua negli Sta-ti Uniti e i rapporti tra il plurilinguismo del paese – una costante sin dalperiodo coloniale – e la sua produzione culturale. Particolare attenzio-ne viene dedicata alla letteratura, in cui il dialogo con le altre lingue,sotterraneo o esplicito che sia, è oggi – ma lo è stato sin dagli esordi –una marca distintiva. D’altro canto, come scrive Alessandro Portelli inCanoni americani, «[u]na letteratura che nasce senza una lingua nazio-nale separata, che anzi usa una lingua con una gloriosa e imponente tra-dizione letteraria come l’inglese, può uscire dalla subalternità solo sericostruisce i propri linguaggi sul terreno e sull’esperienza di chi ci abi-ta»8. La letteratura americana ha non soltanto messo in scena sin dagliesordi la diversità linguistica – facendo dell’incontro/scontro tra l’in-glese e le altre lingue un elemento narrativo che attraversa la produzio-ne letteraria di tutti i gruppi etnici, wasp compresi – ma le ha dato spa-zio espressivo, anche quando, come nei romanzi di James FenimoreCooper, la pluralità di idiomi serviva principalmente allo scopo di farrisaltare la superiorità del modo di parlare dell’eroe americano.

Gli scrittori hanno utilizzato innumerevoli varietà linguistiche, daquelle definite «standard» ai dialetti regionali, alle diverse lingue stori-che, ai codici ibridi nei quali, nello sforzo di rappresentare l’alterità lin-guistica attraverso la lingua dominante, il contatto interlinguisticodiventa vera energia creativa. Si pensi all’inglese innervato di yiddish discrittori come Anzia Yezierska e Abraham Cahan, o agli idiomi stra-niati di Maxine Hong Kingston e Sandra Cisneros. Da James Fenimo-re Cooper agli scrittori latinos che impiegano una lingua ibrida per

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8 Portelli 2004, pp. 4-5.

esprimere l’unicità della loro condizione biculturale, agli afroamerica-ni che hanno dato al Black English dignità letteraria, la letteratura ame-ricana ha fatto della rappresentazione del contatto tra lingue o dialettidiversi un elemento strutturante della scrittura, che opera ai più varilivelli del testo, da quelli del significante, a quelli del significato. Comeha osservato Mario Maffi a proposito della letteratura etnica dei primidel Novecento, la reinvenzione della lingua «non si limita alla sempli-ce introduzione e dispersione di termini ed espressioni “altre” nel cor-po dell’inglese americano, ma opera più in profondità, fin dentro allestrutture grammaticali e sintattiche»9.

I vari capitoli che compongono questo volume, inoltre, aprono del-le prospettive sulle «language wars» che caratterizzano la storia ameri-cana, rintracciando i legami tra la creazione di una mitologiadell’American English come lingua della libertà e della democrazia e ildibattito attuale sulla necessità di un emendamento costituzionale cherenda l’inglese idioma ufficiale della nazione. L’intento è quello dioffrire strumenti utili per avvicinarsi ad altre questioni che negli ultimidecenni hanno impegnato gli americani a riflettere sull’identità nazio-nale sub specie linguae. Tra di esse, il movimento per la political cor-rectness, che si è sviluppato negli anni ottanta per contrastare il razzi-smo e la discriminazione nel linguaggio e ha imposto, per esempio, ter-mini ormai di uso corrente come chairperson. E ancora, la «guerra allateoria» sferrata dai conservatori contro l’invasione delle universitàamericane da parte di «astruse terminologie» provenienti dall’Europa,che dopo gli eventi dell’11 settembre 2001 non appaiono più semplice-mente estranee all’identità della nazione, ma profondamente ostili aessa e in potenziale collusione con il terrorismo islamico. Tanto da averprovocato fenomeni gravi di censura come Campus Watch, un sitoweb destinato al monitoraggio delle attività di docenti universitari chehanno a che fare, per motivi di studio o di origine, con il Medio Orien-te.

O anche, per fare altri esempi: il caso Hill/Thomas e il processo aO. J. Simpson, nei quali la comunità si è divisa non soltanto lungolinee di razza e genere che si intersecano in modo problematico, maanche per modi diversi di parlare; la risoluzione del consiglio scolasti-co di Oakland, nella quale all’idioma parlato dagli afroamericani siassegna un nome, Ebonics, e con esso lo statuto di lingua autonoma,

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Introduzione

9 Maffi 2001, p. 98.

che ha causato uno scandalo nazionale e ha riempito i mass media dicommenti apertamente razzisti; la profonda revisione concettuale deiprocessi attraverso cui gli immigrati entrano a far parte del main-stream10, soprattutto tra i membri della minoranza ispanica, che fa del-l’ibridismo culturale e della mescolanza di codici linguistici strumentipotenti di resistenza all’ideologia dell’americanizzazione come assimi-lazione dei valori wasp. Nell’ideologia dominante l’inglese americanoè inestricabilmente legato all’identità nazionale e ai valori – individua-lismo, pragmatismo e democrazia – sui quali essa si fonda, cui vengo-no attribuite qualità di universalità e modernità che li rendono sovra-nazionali. È tale differenza a spingere gli americani a esportare fuoridai confini del paese, insieme con la loro costituzione, la lingua:entrambe sono strumenti di democratizzazione del mondo. È tale dif-ferenza a rendere l’apprendimento della lingua da parte degli immi-grati una misura della loro adesione ai valori americani e l’accento chemarca il loro inglese il simbolo di una imperfetta o mancata america-nizzazione. O a far apparire il Black English, nonostante l’abilità reto-rica e la passione per le sfide verbali di chi lo parla, un dialetto rozzoe inarticolato, prova della volontà della comunità afroamericana dinon integrarsi nel mainstream o della sua incapacità culturale di entra-re a far parte del sogno americano.

Per ragioni di spazio, di competenze specifiche e, soprattutto, diimportanza nella discussione contemporanea, le comunità di parlantidi cui si traccia il profilo storico-culturale sono quella che si riconoscenell’American English e le due minoranze più numerose, i neri e gliispanici. Per quanto riguarda altri gruppi, non meno interessanti dalpunto di vista dei loro rapporti con la lingua dominante e dell’uso del-la letteratura come spazio di creazione ed esplorazione delle contrad-dizioni dell’identità etnica, si rimanda alla bibliografia finale. I primi

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10 Mainstream indica ciò che in una società è dominante: in altre parole, la norma controla quale valori, storie, tradizioni e culture minoritarie sono costrette a definirsi come «ecce-zione». Nel termine è presente una connotazione quantitativa, che, nel rispetto dei diritti del-le minoranze, giustificherebbe l’egemonia ideologica e autorizzerebbe l’identificazione delgruppo dominante con la nazione. L’equazione mainstream=maggioranza, però, è discutibi-le, perché non di rado la maggioranza cambia a seconda della prospettiva da cui si guarda aun problema. Spesso l’egemonia di un gruppo dura ben oltre il periodo storico in cui esso èstato anche numericamente dominante. La compattezza ideologica del mainstream, inoltre, èpiù un effetto del modo in cui un gruppo si rappresenta che un dato reale: si pensi alle innu-merevoli suddivisioni (genere, classe, orientamento sessuale, età, provenienza regionale) cheframmentano l’intero degli «americani bianchi».

due capitoli (Scacchi) presentano il dibattito contemporaneo sulla lin-gua ufficiale e analizzano la mitologia della lingua americana dalla fon-dazione della repubblica a oggi, mettendo in luce la peculiarità del-l’American English, profondamente segnato a livello ideologico e reto-rico dalla storia culturale del paese e dal suo plurilinguismo. Il terzocapitolo (Antonelli) offre un’introduzione al Black English, traccian-done la storia dalle radici nella schiavitù, alla stereotipizzazione delminstrel, al suo imporsi come espressione insostituibile della storia cul-turale dei neri americani, fino alla sua recente trasformazione in unsimbolo di ribellione della controcultura giovanile e in un prodottodella cultura di massa che attraversa la linea del colore. Il quarto capi-tolo (Scannavini) si occupa dei latinos11, discutendone la profonda dif-ferenziazione interna per storia culturale e origine etnica e mettendo inluce gli aspetti problematici dell’omogeneizzazione del gruppo sullabase della lingua spagnola. Presenta, inoltre, il fenomeno più distintivodel loro comportamento come parlanti e della loro produzione lettera-ria, il code-switching, e introduce il lettore alla dibattuta questione del-lo Spanglish, per alcuni una nuova lingua in formazione, per altri –come per esempio il presidente dell’Academia Norteamericana de laLengua Española – un miscuglio deforme e corrotto.

Roma, luglio 2005

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Introduzione

11 Come per i neri americani (i quali hanno usato termini diversi per autodefinirsi nel cor-so del tempo: Negroes, Blacks, Afro-Americans, African Americans), esiste anche per le mino-ranze ispaniche un problema di definizione, per il quale si veda infra, cap. IV (cfr. anche Sta-vans 2001, pp. 22-6; per i chicanos, si veda Corti 1997). Il termine Hispanic, solitamente usa-to nei rapporti demografici, nei documenti del governo, nei censimenti e in generale dai massmedia per parlare dei «problemi» relativi alle minoranze di lingua spagnola, ha per molti ispa-nici una risonanza negativa. Latino è invece percepito come un nome auto-attribuito edessendo spagnolo segnala un atto di resistenza nei confronti del mainstream anglofono. Laconnotazione politica e di orgoglio etnico, d’altro canto, lo rende sgradito agli ispanici piùconservatori (a somiglianza del termine chicano). Nel censimento del 2000 per la prima vol-ta Latino è stato usato insieme con Hispanic.