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—————————————————————————— « Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale » XXIV (2013) ERNESTO SERGIO MAINOLDI Artibus purgatur platonicus oculus. La ricezione di Porfirio in età carolingio‑ottoniana e la tradizione eriugeniana I cataloghi di biblioteche medievali redatti in epoca tardo-carolingia testimoniano di una consistente presenza dell’Isagoge di Porfirio tra i testi per l’insegnamento delle arti del trivium 1 . Pur circolando già durante la prima rinascenza carolingia, come attesta la datazione del più antico codice che ne trasmette la versione latina, il « Codex Leidradi » 2 , l’Isagoge sembra tuttavia essersi affermato come testo scolastico solo alla fine del IX secolo, in concomitanza con una più generale diffusione di commentari sotto forma di glosse ai testi dialettici. I codici superstiti del IX secolo mostrano un canone testuale che vede affiancati all’ Isagoge altri trattati per lo studio della dialettica, tra cui spiccano le Categoriae decem dello ps.-Agostino o la Dialectica di Alcuino. I codici del X-XI sec. mostrano invece come si fosse andato affermando un canone di testi della Logica Vetus che vede la consolidata presenza, a fianco dell’ Isagoge, dei due commentari boeziani allo stesso testo porfiriano e del commentario boeziano alle Categoriae (Praedicamenta) 3 . 1 Informazioni codicologiche sulla diffusione dell’Isagoge e dei suoi commentari sono date dal catalogo di manoscritti dell’Aristoteles Latinus, ed. L. MINIO PALUELLO, voll. 1-3, codices descripsit G. LACOMBE, A. BIRKENMAJER, M. DULONG, E. FRANCESCHINI adiuvantes, Libreria dello Stato, Roma, [poi] Desclée, Bruges - Paris, 1939-1961, da G. BECKER, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn 1885 (repr. Hildesheim 1973) e in J. MARENBON, Medieval Latin Commentaries and Glosses on Aristotelian Logical Texts Before c. 1150 A.D., in C. BURNETT ed., Glosses and Commentaries on Aristotelian Logical Texts : The Syriac, Arabic and Medieval Latin Traditions, Warburg Institute, London 1993 (Warburg Institute Survey Texts 23), pp. 77-127, p. 99. 2 Questo codice (oggi conservato a Roma presso la Casa Generalizia dei Padri Maristi) è così denominato per essere appartenuto a Leidrat, vescovo di Lione ed esponente della prima generazione di maestri carolingi, nonché amico di Alcuino. 3 Il canone della Logica Nova vedrà poi prevalere nei manoscritti di logica l’Isagoge come introduzione ai testi dell’Organon aristotelico, a fronte di una decisamente minore frequenza dei commentari boeziani. In merito alla diffusione dei testi boeziani di dialettica Margaret Gibson ha notato che i mss. che li tramandano costituiscono una « solid evidence that texts which had been available but rare in the ninth century were being studied more widely in the tenth, and (I would argue) studied in class » (M. GIBSON, Boethius in the Tenth Century, in W. BERSCHIN ed., Lateinische Kultur im X. Jahrundert. Akten des I. Internationalen Mittelateinischerkongresses. Heidelberg, 12.-15.IX.1988, Anton Hiersemann, Stuttgart 1991 [= Mittellateinisches Jahrbuch, 24/25, 1991], pp. 117-124, p. 119).

«Artibus purgatur platonicus oculus». La ricezione carolingio-ottoniana di Porfirio e la tradizione eriugeniana, «DOCUMENTI E STUDI SULLA TRADIZIONE FILOSOFICA MEDIEVALE», 24 (2013),

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——————————————————————————« Documenti e studi sulla tradizione filosofica medievale » XXIV (2013)

ErnEsto sErgIo MaInoldI

Artibus purgatur platonicus oculus. La ricezione di Porfirio in età carolingio‑ottoniana

e la tradizione eriugeniana

I cataloghi di biblioteche medievali redatti in epoca tardo-carolingia testimoniano di una consistente presenza dell’Isagoge di Porfirio tra i testi per l’insegnamento delle arti del trivium1. Pur circolando già durante la prima rinascenza carolingia, come attesta la datazione del più antico codice che ne trasmette la versione latina, il « Codex leidradi »2, l’Isagoge sembra tuttavia essersi affermato come testo scolastico solo alla fine del IX secolo, in concomitanza con una più generale diffusione di commentari sotto forma di glosse ai testi dialettici.

I codici superstiti del IX secolo mostrano un canone testuale che vede affiancati all’Isagoge altri trattati per lo studio della dialettica, tra cui spiccano le Categoriae decem dello ps.-Agostino o la Dialectica di Alcuino. I codici del X-XI sec. mostrano invece come si fosse andato affermando un canone di testi della Logica Vetus che vede la consolidata presenza, a fianco dell’Isagoge, dei due commentari boeziani allo stesso testo porfiriano e del commentario boeziano alle Categoriae (Praedicamenta)3.

1 Informazioni codicologiche sulla diffusione dell’Isagoge e dei suoi commentari sono date dal catalogo di manoscritti dell’Aristoteles Latinus, ed. l. Minio Paluello, voll. 1-3, codices descripsit G. lacoMbe, a. birkenMajer, M. Dulong, E. Franceschini adiuvantes, Libreria dello Stato, Roma, [poi] Desclée, Bruges - Paris, 1939-1961, da G. becker, Catalogi bibliothecarum antiqui, Bonn 1885 (repr. Hildesheim 1973) e in J. Marenbon, Medieval Latin Commentaries and Glosses on Aristotelian Logical Texts Before c. 1150 A.D., in C. burnett ed., Glosses and Commentaries on Aristotelian Logical Texts : The Syriac, Arabic and Medieval Latin Traditions, Warburg Institute, London 1993 (Warburg Institute Survey Texts 23), pp. 77-127, p. 99.

2 Questo codice (oggi conservato a Roma presso la Casa Generalizia dei Padri Maristi) è così denominato per essere appartenuto a Leidrat, vescovo di Lione ed esponente della prima generazione di maestri carolingi, nonché amico di alcuino.

3 Il canone della Logica Nova vedrà poi prevalere nei manoscritti di logica l’Isagoge come introduzione ai testi dell’Organon aristotelico, a fronte di una decisamente minore frequenza dei commentari boeziani. In merito alla diffusione dei testi boeziani di dialettica Margaret gibson ha notato che i mss. che li tramandano costituiscono una « solid evidence that texts which had been available but rare in the ninth century were being studied more widely in the tenth, and (I would argue) studied in class » (M. gibson, Boethius in the Tenth Century, in W. berschin ed., Lateinische Kultur im X. Jahrundert. akten des I. Internationalen Mittelateinischerkongresses. Heidelberg, 12.-15.IX.1988, Anton Hiersemann, Stuttgart 1991 [= Mittellateinisches Jahrbuch, 24/25, 1991], pp. 117-124, p. 119).

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la recensio che proponiamo qui di seguito (basata su quella dell’Aristoteles Latinus), vale a esemplificare quanto detto, senza pretese di completezza4 :

– Roma, Casa Generalizia dei Padri Maristi, sec. VIII-IX (795-814), Lyon, « Codex leidradi » : Isagoge, Ps-Augustinus Cathegoriae X, [Alcuino] Dialectica, Apuleius Periermeneias, Boethius in Periermeneias editio prima.

– Vercelli, Bibl. Cap. Sant’Eusebio, cxxxviii (143), ix sec. : Isagoge, Liber Cathegoriarum X, [Ps.-Augustinus] Cathegoriae X, augustini Dialectica, aurelii augustini De musica.

– Paris, BN, lat. 12949, sec. IX, Corbie : Periermenias ; augustinus De dialectica, Prologus alkuini in Categorias metrice ; Categoriae ab augustino translatae [Heirici Autissiodorensis cum glossis] ; Varia mathematica et computistica ; sermo anon. ; Isagoge [Israelis Grammatici cum glossis, saec. IX ex./X sec.] ; Boethius De trinitate ; Praefatio in Periermenias ; Periermenias Apuleii ; Boethius in Periermenias editio prima [incompl.].

– Sankt-Petersburg, Rossijskaja Nacional’naja Biblioteka, Cl. lat., F.v. 7, sec. IX-X, Corbie : [Ps.-Augustinus] De dialectica, Isagoge, Praedicamenta, [Ps.-Augustinus] Cathegoriae X.

– Einsiedeln, stiftsbibliothek 315, sec. X : BIs II.– Einsiedeln, stiftsbibliothek 338, sec. X : BIs II.– København, Kongelige Bibliotek, Thott, sec. x, 167 fol., Francia : Isagoge, BIs II.– København, Kongelige Bibliotek, Thott, sec. x, 168 fol., Francia : BCat.– Avranches, BM, 229, sec. X e XII (Mont Saint-Michel) : BIs I, BCat, Isagoge

(fragm.).– Città del Vaticano, BAV, Ross. 537, sec. XI [le iniziali imitano lo stile tipico della

scuola di tours del IX sec.1/2] : BIs I, BIs II, BCat.– München, Clm 14516, sec. XI [foll. 74-130 provenienti da un ms. del sec. X], St.

Emmeram (regensburg) : Isagoge, BIs II, BCat (foll. 50r-130v).– München, Clm 6403, sec. XI, Frisingia : BIs I, BIs II, BCat.– Orléans, BM, 269, sec. XI ex., Fleury : BIs I, BIs II, Schemata logicalia, BCat.– Paris, BN, lat. 8672, sec. XI ; Bis I.– Paris, BN, lat. 11129, sec. XI, S. Willibrod (Echternach) : BIs I, BIs II, BCat.– Oxford, BL, Laud. lat. 49, sec. XI (Hildesheim ?) : Isagoge, BIs I, BIs II, Dialogus regis

Karli et Albini magistri eius de Praedicamentis, Praedicamenta, BCat.– sankt gallen, stiftsbibl. 831, sec. XI : Isagoge, BIs I, BIs II.– Firenze, Bibl. Med. Laur., Gadd. Plut. LXXXIX sup. 80, sec. XI-XII : Isagoge, BIs II,

[Ps.-Augustinus] Cathegoriae X.

4 Nella lista qui riportata, che segue l’ordine cronologico dei mss., adottiamo le seguenti abbreviazioni : Boethius in Isagogen commentarius editio prima = BIs I, Boethius in Isagogen commentarius editio secunda = BIs II, Boethius in Cathegorias [uel Praedicamenta] commentarius = BCat, Isagoge secundum translationem quam Boethius fecit = Isagoge.

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Se tra gli innumerevoli meriti della cultura carolingia deve essere annoverato anche il contributo alla diffusione del manuale porfiriano, alla cui lettura la storiografia ha ricollegato — tanto in epoca medievale quanto in epoca moderna — gli inizi del dibattito medievale sugli universali5, non ancora trasparenti allo sguardo della Textgeschichte risultano i percorsi e i momenti che hanno determinato la diffusione dell’Isagoge nell’alto-medioevo latino e, in particolare, carolingio. Questa incertezza intorno alle origini e alle prime fasi della tradizione carolingia dell’Isagoge non manca peraltro di richiamare un’analogia con un’altra opera che ebbe a svolgere un ruolo didattico essenziale nelle scuole franche, il De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella.

Nelle pagine che seguono ci proponiamo di raccogliere ed esaminare alcuni dati utili a fare luce intorno a queste origini, cercando in particolare di valutare il ruolo avuto nella diffusione dell’Isagoge dall’autore a cui va riconosciuto uno dei più notevoli contributi allo sviluppo dello studio delle arti liberali in epoca carolingia, e al quale va nondimeno ricondotto — sebbene in modo non esclusivo — l’inizio della fortuna del De Nuptiis, ossia Giovanni Scoto Eriugena.

Tra alto-medioevo e prima età carolingia, Porfirio, piuttosto che come maestro di dialettica, è stato ricordato soprattutto per la sua posizione apologetica anticristiana6. autori come Beda, Wigbodo, giona di orleans, rabano Mauro, Walafrido Strabone o Aimone di Halberstadt lo menzionano come avversatore della Chiesa, associandolo a eretici e apostati della caratura di Simon Mago, Ario, Eunomio o Giuliano l’Apostata7. Simili riferimenti non devono stupire, dacché conseguenti al tradizionale topos paolino-patristico — ancora ben vivo in età

5 Ermanno di Tournai, in particolare, riferiva di due approcci alla dialettica, riconducendo la peculiarità e la novità dei vocalisti alla lettura dei filosofi che si sono allontanati dall’insegnamento di Boezio e degli antichi esegeti latini : « sciendum tamen de eodem magistro <odo>, quod eandem dialecticam non iuxta quosdam modernos in voce, sed more Boetii antiquorumque doctorum in re discipulis legebat. Unde et magister Rainbertus, qui eodem tempore in oppido Insulensi dialecticam clericis suis in voce legebat […] in Porphirii Aristotelisque libris magis volunt legi suam adinventitiam novitatem quam Boetii ceterorumque antiquorum expositionem » (Liber de restauratione monasterii sancti Martini Tornacensis, in MGH SS. XIV, 275) ; passi citati e commentati da W. J. courtenay, Nominales and Nominalism in the Twelfth Century, in j. jolivet, z. kaluza, a. De libera edd., Lectionum varietates. Hommage a Paul Vignaux (1904-1987), Vrin, Paris 1991, pp. 11-48, p. 14, nn. 17 e 18.

6 Una fonte per la diffusione della memoria del Porfirio apologeta del paganesimo è da identificarsi nel Contra philosophos, testo composto da sentenze tratte dalle opere di Agostino e opposte a sentenze attribuite a Porfirio (ed. CCSL 58A). L’opera di Porfirio Contro i cristiani venne distrutta per ordine dell’imperatore Teodosio II.

7 Limitandoci a una breve crestomazia di passi, cfr. beDa venerabilis, Allegorica Expositio in Parabolas Salomonis, PL 91, 949A ; 984A ; WigboDus, Quaestiones in Octateuchum, PL 96, 1126A ; ionas aurelianensis, De cultu imaginum, PL 106, 382C ; hrabanus Maurus, Commentarium in Matheum, Pl 107, 874C ; Expositio in Proverbia Salomonis, PL 111, 691D ; WalaFriDus strabo, Liber Proverbiorum, PL 113, 1097D ; hayMo halberstatensis, Expositio in Apocalypsin, PL 117, 1116A.

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alto-medievale e carolingia — che vede la filosofia pagana contrapposta alla sapienza cristiana, tuttavia bisogna rilevare che tra tutti i filosofi pagani, più o meno noti agli autori altomedievali, il nome di Porfirio ha incarnato l’esempio per eccellenza della militanza anticristiana della filosofia gentile. Forse questo aspetto può aiutare a capire i motivi che hanno dettato una certa prudenza nell’utilizzo esplicito dell’insegnamento dialettico di Porfirio tra le prime generazioni di autori carolingi.

Sensibilmente meno animato dei suoi contemporanei da preoccupazioni apologetiche nei confronti della filosofia, Alcuino di York riporta nei suoi scritti alcune citazioni dall’Isagoge che valgono ad attestare la sua conoscenza del manuale porfiriano8. In Alcuino si assiste inoltre, per la prima volta tra gli autori carolingi, all’equivoco sineddotico per cui il contenuto del manuale di Porfirio viene indicato con il suo titolo : l’Isagoge parla dei categoremi, quindi i cinque categoremi sono detti isagogae :

« Dialectica dividitur In Isagogas In Categorias Topica In Periermenias In Diffinitiones. Isagogae sunt introductiones ; et sunt earum species quinque. Categoriae sunt praedicamenta, quae in decem verbis constant. Topica sunt sedes et fontes argumentorum, et sunt numero sedecim. Periermeniae sunt interpretationes specierum orationis. Diffinitiones sunt circumpositiones sensuum, et sunt quindecim »9.

Lo stesso fenomeno ricorre invariabilmente in tutti gli autori carolingi e ottoniani che mostrano di aver conosciuto per qualche via l’Isagoge, come, ad esempio, Pascasio radberto10, sedulio scoto11, Ermenrico di Hellwangen12, Giovanni

8 « Haec commentario sermone de isagogis Porphyrii dicta sufficiant. Nunc ordo postulat ad aristotelis categorias nos transire » (alcuinus eboracensis, De dialectica, PL 101, 654C).

9 alcuinus eboracensis, Disputatio de rhetorica et de virtutibus sapientissimi regis Caroli et Albini magistri, PL 101, 947.

10 « Suisque, ut ita loquar, utens argumentis, non in humana sapientia persuasibilibus verbis, nec secundum introductiones dialecticae artis, quas Graeci Isagogas vocant, sed miro et ineffabili modo introducit ad se, nunc inspirationibus ad divina intelligenda, nunc quae humanitatis ejus sunt demonstranda, nunc se venturum repromittens in gloria Patris » (Paschasius raDbertus, Expositio in Matthaeum, PL 120, 556C).

11 Cfr. inoltre sedulio scoto : « Antequam hanc definitionem euisceremus, prius sciendum est, quinque species esse isagogae (id est introductionis), sine quibus nullae definitiones constare possunt : genus species differentia accidens proprium » (Tractatus in Donati Artem minorem, ed. B. löFsteDt, 1977, CCM 40c, p. 8).

12 « Diuiditur etiam dialectica in ysagogas, in cathegorias, in topycas, in periermenias, in diffinitiones : isagoge sunt introductiones, et sunt species earum V » (Epistola ad Grimaldum abbatem, ed. E. DüMMler, MGH Epistolae V, Ep.Kar.Aev. III, pp. 534-579).

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scoto13 e Israele grammatico14. L’origine dell’equivoco deve probabilmente essere fatta risalire alle fonti patristiche da cui gli autori carolingi potevano trarre informazioni storiche circa l’Isagoge, come le Etymologiae di Isidoro15 o le Institutiones di Cassiodoro16.

Il commento di Giovanni Scoto al De Nuptiis di Marziano Capella ci offre ulteriori dettagli utili a comprendere le dinamiche della diffusione carolingia dell’insegnamento porfiriano, mostrando in particolare come il termine isagoge fosse consolidato nel vocabolario tecnico dell’insegnamento della dialettica, seppure sempre con il significato equivocato di cui abbiamo detto. Nelle Annotationes in Marcianum il maestro irlandese appone in calce a una glossa a un passaggio del IV libro (dedicato alla dialettica), nel quale vengono enumerati i cinque categoremi, il lemma ‘isagoge’, termine assente nel testo di Marziano17.

13 Cfr. infra.14 Cfr. C. baeuMker, B. s. von Walterhausen edd., Frühmittelalterliche Glossen zu des Angeblichen

Jepa zur Isagoge des Porphyrius, Münster i. W. 1924 (Beiträge zur Geschichte der Philosophie des Mittelalters, XIV, 1), p. 28, lin. 23 s.

15 « De isagogis PorPhyrii. Post Philosophiae definitiones, in quibus generaliter omnia continentur, nunc Isagogas Porphyrii expediamus. Isagoga quippe Graece, Latine introductio dicitur, eorum scilicet qui Philosophiam incipiunt : continens in se demonstrationem primarum rationum de qualibet re quid sit, sua que certa ac substantiali definitione declaretur » (isiDorus hisPalensis, Etymologiarum siue Originum libri XX, II, 25, 1, ed. W. M. linDsay, Clarendon Press, Oxford 1911). Il riferimento storiografico sulla fortuna latina dell’Isagoge fornita nel prosieguo del medesimo passo dallo stesso Isidoro non valeva certo da solo a dissipare l’equivoco : « Isagogas autem ex graeco in latinum transtulit Victorinus orator, commentum que eius quinque libris Boetius edidit » (isiDorus hisPalensis, Etymologiarum siue Originum libri XX, II, 25, 9).

16 « Philosophiae divisionibus definitionibus que tractatis, in quibus generaliter omnia continentur, nunc ad Porphyrii librum qui Isagoges scribitur accedamus. Isagoges Porphyrii tractat de partibus quinque — de genere, de specie, de differentia, de proprio, de accidenti » (cassioDorus, Institutiones, II, 3, 8, ed. r. Mynors, Clarendon Press, Oxford 1961, p. 112). « Isagogen transtulit Victorinus orator ; commentum eius quinque libris vir magnificus Boethius edidit » (ibid., II, 3, 18, p. 128). È probabile che quest’ultimo passo di Cassiodoro abbia ispirato l’epiteto magnificus che leggiamo in riferimento a Boezio nel Periphyseon di Giovanni Scoto (cfr. PP IV, 769C).

17 Citiamo il passo dalla seconda serie di glosse eriugeniane alla dialettica marzianea contemplata dall’edizione di Cora Lutz, serie che a nostro avviso può vantare maggiore plausibilità di essere autenticamente eriugeniana ; per i problemi critici comportati dall’edizione delle Annotationes rimandiamo a E. s. MainolDi, Iohannes Scottus Eriugena, in P. chiesa, l. castalDi edd., La trasmissione dei testi latini del medioevo. Mediaeval Latin Texts and their Transmission, SISMEL-Edizioni del Galluzzo, Firenze 2005 (Te.Tra. 2), pp. 186-263, pp. 212-215.

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È importante notare che il termine isagoge è sempre usato nella forma latinizzata al plurale. Questo dettaglio potrebbe suggerire l’identificazione della fonte di Eriugena nelle Etymologiae di Isidoro, il quale, nel riferire il termine a Porfirio, lo dà sempre al plurale.

L’altra definizione eriugeniana di isagoge come « prima pars dialecticae », che leggiamo nella sezione dedicata alla dialettica del commentario di Giovanni scoto al De Nuptiis, potrebbe invece risalire alla trattazione dedicata da Marziano stesso ai cinque predicamenti :

La conoscenza dell’Isagoge da parte di Giovanni Scoto, quale trapela dalla Annotationes in Marcianum, può dunque essere spiegata attraverso fonti indirette, come i testi di Isidoro o Cassiodoro, oltre ai quali si può aggiungere l’insegnamento dialettico di Marziano Capella. Tuttavia in altre opere di Giovanni Scoto ricorrono espressioni testuali tali da avvalorare l’ipotesi che il maestro palatino abbia avuto una più circostanziata, sebbene non dichiarata, conoscenza della materia

Martianus caPella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, ed. J. Willis, Teubner, Leipzig 1983 (Bibliotheca Teubneriana), 398, pp. 134-135 :

sed propter duo proloquia, quae diximus non necessario converti, debemus intendere omnia, quae proloquiis attribuuntur, per quae recte aut non recte proponi possunt, ut verum aut falsum possint ostendere. haec autem quinque sunt iam superius demonstrata : genus, differentia, accidens, definitio et proprium.

iohannes scottus , Annotationes in Marcianum, p. 101, lin. 9-20 :

isagoge. Diffinitio id est speties. Cur differentiam post genus in secundo loco posuit, cum non sit fecit in ordine isagogarum ? […] Ideo proprium in fine isagogarum ponitur.

Martianus caPella, De nuptiis Philologiae et Mercurii, ed. Willis, 339, p. 109

in prima autem parte quaeritur quid sit genus, quid forma, quid differentia, quid accidens, quid vero proprium…

iohannes scottus , Annotationes in Marcianum, p. 93, lin. 2-6

‘isagogae’ introductiones et est prima pars artis dialecticae et sunt quinque numero : genus species uel forma differentia proprium accidens. isagogae autem dicuntur introductiones, quia sine illis diffinitio non potest esse et per notitiam earum peruenitur ad decem cathegorias, id est praedicamenta.

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porfiriana, come mostrano, ad esempio, le locuzioni genus generalissimum e species specialissima nel Periphyseon18, senza contare il fatto che Giovanni Scoto, nella stesura della sua più antica opera a noi nota, il De praedestinatione, ebbe modo di attingere direttamente al testo di un commentatore cristiano tardo-antico di Porfirio, probabilmente Elia Filosofo (o forse Davide l’Armeno), di cui abbiamo notizia soltanto attraverso una più tarda tradizione dell’originale greco19.

Oltre a queste occorrenze ci sembra tuttavia possibile addurre nuove concordanze testuali — finora non rilevate — tra alcuni passi del Periphyseon e l’In Isagogen Porphyrii editio secunda di Boezio, in base alle quali è possibile avanzare l’ipotesi che il maestro irlandese ebbe accesso ai commentari boeziani al manuale porfiriano. L’analisi di questo utilizzo inesplicito vale a fare luce sulle modalità di ricezione delle problematiche porfiriane da parte di Giovanni Scoto al di là di quanto i parallelismi terminologici finora rintracciati abbiano consentito di fare.

Il locus dell’Isagoge indiziato di essere oggetto di una ripresa nel Periphyseon è il passo destinato ad avere una lunga fortuna esegetico-filosofica nel medioevo, ovvero il preambolo (I, 10) in cui Boezio commenta la posizione di Porfirio intorno al problema dell’esistenza degli universali, problema che — com’è noto — non trova qui risposta da parte del filosofo neoplatonico. Il passo del Periphyseon in cui questa sezione del commentario boeziano sembra aver agito da ipotesto mostra inoltre tracce della lettura di un altro commentario logico boeziano, quello alle Categorie di aristotele.

18 Per l’analisi di tali contatti terminologici e dottrinali tra Giovanni Scoto e Porfirio rimandiamo a C. erisMann, Processio id est multiplicatio. L’influence latine de l’ontologie de Porphyre : le cas de Jean Scot Erigène, « Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques », 88, 2004, pp. 401-460. Il Conspectus auctorum dell’edizione del Periphyseon curata da Édouard Jeauneau riporta una concordanza con l’Isagoge, una con il primo commentario boeziano all’Isagoge e due con il secondo commentario boeziano all’Isagoge.

19 Per la discussione di questa fonte, utilizzata da Eriugena in De praedestinatione, cfr. g. théry, Scot Érigène traducteur de Denys, « Bollettin du Cange. Archivium latinitatis medii aevi », 2, 1931, pp. 222-224 ; E. s. MainolDi, Le fonti del De praedestinatione di Giovanni Scoto Eriugena, « studi Medievali », 45, 2004, pp. 651-697, pp. 692-694.

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Periphyseon, V, 882C d, ed. É. jeauneau, Brepols, Turnhout 1996-, CCM 165, p. 33

nVt. In natura rerum tria rationabilis inquisitio inuenit. Omne enim quod est aut corpus est, aut in-corporeum, aut medium, quod corporale dicitur et neque corpus est neque in-corporeum, in corporibus tamen sentitur, et propte-rea corporale dicitur. Et est quidem corpus omne quod longitudine et latitudine et altitudine extenditur, siue naturale sit siue geo-metricum. Incorporeum est omne quodcunque praedictis spatiis omnino caret, ut est uita omni materia carens. Corporale uero est ut color et forma [= qualitas in Boezio] et similia, quae neque corpus sunt quia circa corpora intelliguntur, neque incor-porea sunt, quia semper corporibus adhaerent. si ergo lux color est et formas rerum sensibilium detegit, quid impedit ne dicatur

boethivs, In Porphyrii Isagogen commentorum editio secunda, I, 10, ed. s. branDt, CSEL 48, pp. 159.3-161.11

« Mox — inquit [Porphyrius] — de generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis nudis que intellectibus posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an incorporalia et utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus posita et circa ea constantia, dicere recusabo. altissimum enim est huiusmodi negotium et maioris egens inquisitionis ». […] Quod si esse quidem constiterit et ab his quae sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intellegendi generis ipsius naturam summa difficultas ostenditur. Nam quoniam omne quod est, aut corporeum aut incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum esse oportebit. Quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne corporeum an uero incorporeum? neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum poni debeat agnoscatur. sed neque cum haec soluta fuerit quaestio, omne excludetur ambiguum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse genus ac species dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui postulans, utrum circa corpora ipsa subsistant an et praeter corpora subsistentiae incorporales esse uideantur. Duae quippe incorporeorum formae sunt, ut alia praeter corpora esse possint et separata a corporibus in sua incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea, tamen praeter corpora esse non possint [= corporales in Eriugena], ut linea uel superficies uel numerus uel singulae qualitates, quas tametsi incorporeas esse pronuntiamus, quod tribus spatiis [= longitudine et latitudine et altitudine] minime

boethivs, In c a t e g o r i a s Aristotelis, Pl 64, 2020B-C

omne enim c o r p u s u t s i t , t r i b u s dimensioni -bus constat, longitudine, latitudine, al-titudine : ut vero sit corpus cum qualitate, tunc erit aut a lbum, aut nigrum [cfr. color, forma in Eriugena], aut quodlibet aliud ; et quo-niam prius est esse corpus, post vero esse

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È possibile argomentare la dipendenza del passo eriugeniano dai due commentari boeziani in base alle seguenti osservazioni : 1) la coincidenza pressoché letterale delle due espressioni sottolineate, che i due autori contestualizzano in una trattazione dialettico-ontologica, parlando di « omne quod est » e di « corpus ut sit…, …est corpus omne » ; 2) il percorso argomentativo, che segue nei due autori uno svolgimento parallelo ; 3) la citazione relativa alle tre dimensioni del corpo, che viene qui circostanziata in senso dialettico-ontologico, facendoci escludere dal novero delle fonti tutte quelle enumerazioni delle tre dimensiones che si collocano in una prospettiva fisico-geometrica, come ricorrente nella letteratura latina tardo-antica e patristica, oppure in una prospettiva esegetica relativa a quei passi della Scrittura — come Ez 42-48, Eph 3, 18 o Apc 21, 16 — che propongono un senso morale o anagogico dietro alle metafore geometriche20 ;

20 L’espressione si ritrova anche in Macrobio, autore che sappiamo rientrare tanto tra le fonti di Boezio quanto tra le fonti di Giovanni Scoto : « Hoc loco admonendi sumus quod omne corpus longitudinis, latitudinis et altitudinis dimensionibus constat. ex his tribus in lineae ductu una dimensio est — longitudo est enim sine latitudine — planities vero quam Graeci ejpifavneian vocant, longo latoque distenditur, alto caret, et haec planities quantis lineis contineatur expressimus, soliditas autem corporum constat cum his duabus additur altitudo » (Macrobius, Commentarii in Somnium Scipionis, I, 5, 9, ed. J. Willis, Teubner, Leipzig 1970, p. 16). Questa definizione viene elaborata da Boezio in un senso differente rispetto all’inquadramento fisico-geometrico seguito di Macrobio, ovvero in senso ontologico-categoriale. Il fatto che Giovanni Scoto, che altrove nel Periphyseon (III, 663B) mostra di aver presente anche l’interpretazione fisico-geometrica delle tre dimensioni della corporeità, propenda qui per l’interpretazione dialettico-ontologica, parlando di colore e forma come qualità del corporeo, come in Boezio, ci induce a pensare che quest’ultimo, e non Macrobio, sia qui fonte dell’esegesi eriugeniana (cfr. anche PP I, 478A-B ; III, 695A). È dunque verosimile che Giovanni Scoto abbia introdotto la citazione relativa alle tre dimensioni spaziali dal commentario alle Categorie al fine di esplicitare cosa Boezio intendesse con i tres spatia menzionati nel testo dell’In Isagogen.

neque corpus esse, neque incorporeum, sed medium quoddam, quod corporale dicitur atque sensibile ?

distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo permaneant. quas licet quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium lectoris animum relinquam nec ipse in his quae praeter muneris suscepti seriem sunt, tempus operam que consumam. Primum quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero eundem dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo.

corpus album, prius erit cor-por i t r ibus constare di-mensionibus quam esse al-bum.

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4) se Eriugena intende nelle tre condizioni di corpus, incorporeum e corporale le possibilità complessive dell’esistenza di tutto ciò che è, non deve sfuggire che Boezio, pur dividendo la totalità di ciò che è in corporeum e incorporeum (seguendo uno schema di diuisio bipartita), non manca di affermare — poche linee più sotto — che l’incorporeo consta a sua volta di due formae, il che porta a tre le condizioni complessive dell’essere21.

Queste coincidenze suggerirebbero che Giovanni Scoto abbia ripreso dalle opere dialettiche boeziane alcuni elementi finalizzati all’elaborazione di un’ontologia della corporeità, in virtù della quale risultasse distinta la relazione con le altre due condizioni dell’essere, ovvero il corporale e l’incorporeo. Non ci sembra dunque implausibile che Giovanni Scoto abbia composto questo passo del Periphyseon avendo davanti a sé i due commentari boeziani, magari trasmessi da un unico codice miscellaneo22.

In questo medesimo ordine di considerazioni la supposta familiarità di Giovanni Scoto con i commentari boeziani all’Isagoge potrebbe suggerire l’identificazione dell’In Isagogen editio secunda come ipotesto — almeno come reminiscenza di lettura — dell’incipit del Periphyseon :

21 Questa constatazione ci porta ad escludere una dipendenza tra la divisione incorporeum-corporeum in Boezio e in Eriugena, divisione che sottende in realtà una tripartizione, e la definizione datane da Agostino, la quale presuppone unicamente una bipartizione ontologica, corrispondente alla divisione tra sensibile e intelligibile, assente tanto in Boezio, quanto in Eriugena : « Omne quod est aut corporeum est aut incorporeum ; corporeum sensibili, incorporeum autem intellegibili specie continetur. Omne igitur quod est, sine aliqua specie non est. ubi autem aliqua species, necessario est aliquis modus ; et modus aliquid boni est » (augustinus hiPPonensis, De diuersis quaestionibus octoginta tribus, ed. a. Mutzenbecher, Brepols, Turnholti 1975 [CCSL 44A], Quaestio 6, lin. 2). Torneremo più sotto sul significato delle differenze di classificazione dei tre stati dell’essere in Boezio e Giovanni Scoto.

22 Questa ipotesi si accorda con i dati codicologici di cui disponiamo, per cui rimandiamo alla recensio codicum dell’Aristoteles Latinus che abbiamo riportato in apertura di questo saggio.

PP I, 441a, ed. jeauneau, CCM 161, p. 3 :

N. Saepe mihi cogitanti diligentiusque quantum uires suppetunt inquirenti rerum omnium quae uel animo percipi possunt uel intentionem eius superant primam summamque diuisionem esse in ea quae sunt et in ea quae non sunt horum omnium generale uocabulum occurrit quod graece FUCIC, latine uero natura uocitatur.

boethius, In Porphyrii Isagogen commento-rum editio secunda, ed. cit., p. 160 :

omne quod intellegit animus aut id quod est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione describit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit. Ergo intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita intellegamus species et genera ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis cassa

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Il fatto che un testo si segnali, per affinità formali o contenutistiche, come ipotesto di un altro — sia in senso forte come fonte diretta, sia in senso debole come fonte indiretta, ovvero come ‘fonte di contesto’ — non comporta peraltro la stretta aderenza tra i significati intesi dai due autori né l’assimilazione coatta dei contesti speculativi a cui essi appartengono : una fonte testuale può infatti essere utilizzata come elemento corroborante di un’argomentazione giunta al suo compimento, dunque con valore autorevole, oppure fornire lo schema argomentativo a un testo che segue fini differenti da essa, tanto più se si tratta di una citazione da un’opera di natura didattico-disciplinare, come appunto un commentario di dialettica, onde l’esplicitazione del suo autore non si renderebbe necessaria. La supposta dipendenza tra PP V e i commentari logici di Boezio ci sembra rientrare in quest’ultimo caso23. Tuttavia, anche ammettendo un’ipotesi più debole, e cioè che Giovanni Scoto sia arrivato a formulare una teoria della corporeità su basi dialettiche indipendenti dall’Isagoge e dai suoi commentari boeziani, resta il fatto che le strette analogie formali ci consentono di tracciare un parallelo non surrettizio tra la speculazione ontologica di Giovanni Scoto e il trattamento della medesima problematica in ambito porfiriano-boeziano.

Tornando al passo del Periphyseon che abbiamo posto al centro di questa Quellenforschung ci sembra utile richiamarne il contesto speculativo, al fine di cogliere i contorni — e nelle sue concordanze e nelle sue discordanze — dell’interesse di Giovanni Scoto per il commento di Boezio in relazione al problema ontologico posto dall’Isagoge : il dialogo tra Nutritor e Alumnus è giunto in questo luogo ad affrontare le cruciali problematiche escatologiche a cui il progetto speculativo

23 In relazione ai due canoni testuali dei trattati di dialettica sopra rintracciati (quello del IX sec. e quello del X-XI sec.) e al ruolo centrale occupato da Giovanni Scoto nella scuola tardo carolingia, nonché alla sua fama come maestro di dialettica, ci possiamo chiedere se il pensatore irlandese abbia avuto un ruolo nell’evoluzione dal primo al secondo canone testuale, contribuendo all’affermazione dei testi boeziani nell’insegnamento della dialettica : l’assenza del canone porfirio-boeziano tipico del X-XI sec. dai codici del IX potrebbe essere dovuta a una semplice lacuna codicologica spiegabile con il rimpiazzamento dei codici più antichi, cosa non certo straordinaria trattandosi di testi didattici, ma l’univocità di orientamento testimoniato dai codici dialettici del X-XI sec. ci fa propendere per l’ipotesi che vede il momento nodale dell’evoluzione di questo canone testuale proprio nella tarda scuola carolingia e, verosimilmente, nell’insegnamento di Eriugena.

cogitatione formamus. Quod si esse quidem constiterit et ab his quae sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intellegendi generis ipsius naturam summa difficultas ostenditur.

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che ha animato il Periphyseon, sin dalle battute iniziali, era chiamato a volgere. Il discepolo chiede delucidazioni sulla condizione delle nature nello stato di adunatio in Deo ; in particolare egli si domanda in che modo la natura di ogni essere creato persisterà nel reditus escatologico in dio (qui inteso come quarta species naturae, « quae non creatur et non creat »), citando l’insegnamento di Massimo il Confessore intorno alla deificatio per gratiam, che stabilisce la divinizzazione integrale dell’uomo senza annullamento del suo essere umano per natura24.

Dal momento che per Giovanni Scoto la dialettica è l’arte divina — che precede ed è archetipo della dialettica umana — nelle cui regole si rispecchia il vero ordine della creazione25, ovvero la divisione creazionale (DIAIRETIKH) in generi e specie di tutte le cose « quae sunt » e « quae non sunt », per spiegare la riunione escatologica (ANALUTIKH) degli individui, delle specie e dei generi di tutte le cose create nel Verbo divino, il maestro palatino si richiama alle regole della dialettica, in quanto arte che descrive l’operazione divina che dall’unità del Verbo porta alla creazione (processio-explicatio) e viceversa dalla molteplicità creata riporta all’unità escatologica nel Verbo (reditus).

La spiegazione dialettica vale inoltre a rendere evidenti i contenuti della sentenza dell’auctoritas di turno — in questo caso Massimo il Confessore — circa il reditus omnium. La dottrina esposta dal Padre orientale porta infatti l’Irlandese a comprendere una persistenza sostanziale dell’individualità delle anime persino nella condizione di adunanza in dio : « simili modo de animae natura animique non aliter [Maximum] intellixisse opinor, non transituras, sed singulas quasque in propria substantia permansuras » (PP V, 880D). Di fronte alla perplessità manifestata dal suo Alumnus per questa soluzione, il Nutritor offre spiegazione richiamando la triade dionisiana oujsiva-essentia, duvnami~-uirtus, ejnevrgeia-operatio, i cui elementi, pur essendo distinti, costituiscono una « inseparabilis unitas » :

« N. Cur te talia mouent multum admiror, cum tibi, prout potui, suaserim intelligibilium naturarum adunationem fieri posse sine cumulo et compositione, proprietatibus obseruatis et incommutabiliter manentibus. Tria etenim sunt, quae in omni substantia siue corporibus adhaerente siue omni corpore absoluta. […] essentia, uirtus, et naturalis operatio. nunquid haec tria unum sunt, et non unum

24 « Totus quidem homo manens secundum animam et corpus per naturam, et totus factus deus secundum animam et corpus per gratiam » (PP V, 880 C-D, ed. jeauneau, ccM 165, p. 30 ; cit. da MaxiMus conFessor, Ambigua ad Iohannem, III, 378-380, CCSG 18, p. 33).

25 « Ac per hoc intelligitur quod ars illa, quae diuidit genera in species, et species in genera resoluit, quae DIALEKTIKH dicitur, non ab humanis machinationibus sit facta, sed in natura rerum, ab auctore omnium artium, quae uere artes sunt, condita, et a sapientibus inuenta, et ad utilitatem sollertis rerum indagis usitata » (iohannes scottus eriugena, Periphyseon, IV, 749A, ed. jeauneau, ccM 164, p. 12).

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compositum, sed simplicissimum unum et inseparabilis unitas ? […] Et haec tria omni creaturae uisibili et inuisibili inesse dubium non est »26.

È rilevante osservare come Giovanni Scoto utilizzi l’ontologia dinamica dionisiana per spiegare l’ontologia categoriale porfiriano-boeziana relativamente allo statuto delle realtà corporee e di quelle incorporee. Nel prosieguo del testo Eriugena volge infatti la sua analisi al passo del commentario boeziano all’Isagoge che abbiamo sopra riportato in raffronto, dove Boezio si interroga intorno allo statuto ontologico delle « substantiae separatae ». Osservando le divergenze terminologiche tra il testo eriugeniano e quello porfirio-boeziano — che ne sia l’ipotesto forte o debole — possiamo cogliere alcuni punti essenziali della concezione ontologica eriugeniana in relazione a quella del reditus escatologico.

Innanzitutto, Giovanni Scoto, nel parlare delle realtà incorporee, non utilizza l’espressione boeziana « substantia separata a corporibus », bensì l’espressione « substantia omni corpore absoluta ». Nello stesso ordine di precisazioni bisogna notare che nell’espressione « omne enim quod est, aut corpus est, aut incorporeum », leggiamo corpus in luogo del corporeum presente nel testo boeziano. Inoltre, come già visto, laddove per Boezio il genere delle cose incorporee aveva due specie (formae), ossia la specie che « praeter corpora esse possint et separata a corporibus in sua incorporalitate perdurent » (cioè le realtà intelligibili superiori al divenire temporale) e la specie delle cose che « praeter corpora esse non possint », in Giovanni Scoto troviamo un’evoluzione di questa classificazione, per cui le realtà incorporee sono intese allo stato di cause intelligibili permanenti (l’esempio dato, « uita », ci fa capire che il maestro palatino sta parlando della seconda species naturae, « quae creatur et creat », ovvero delle cause primordiali27), mentre la seconda forma di incorporei boeziani è riferita da Eriugena come corporales, ovvero realtà intermedie tra i corpi e le sostanze incorporee, le quali, pur non essendo corpi, partecipano in una qualche misura della corporeità, ricadendo dunque nel dominio della sensibilità. Questa specificazione, assente in Boezio, spinge Giovanni Scoto a utilizzare una terminologia differente da quella adottata dal commentario boeziano, sostituendo corpus a corporeus, al fine di evitare confusioni terminologiche e concettuali tra ciò che è corpo (corpus) e ciò che è proprietà del corpo (corporale), come lo sono, ad esempio, la forma e il colore28.

26 iohannes scottus eriugena, Periphyseon, V, 881A-B, ed. jeauneau, CCM 165, p. 31.27 In PP III, 622 C-D, uita è la terza nell’ordine della causae promordiales.28 Un altro luogo del Periphyseon sembra confermare come Eriugena consideri corporeum come

sinonimo di corporale, ovvero della terza condizione di tutto ciò che è creato : « n. totius itaque conditae naturae trinam diuisionem esse arbitror. Omne enim quod creatum est aut omnino corpus est, aut omnino spiritus, aut aliquod medium, quod nec omnino corpus est nec omnino spiritus, sed quadam medietatis et extremitatum ratione ex spirituali omnino natura, veluti ex una extremitate et superiori, et ex altera (hoc est ex omnino corporea) proportionaliter in se recipit ; unde proprie et connaturaliter extremitatibus suis subsistit » (PP III, 695A, ed. jeauneau, ccM 163, p. 109).

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analoghe esigenze di chiarezza terminologica e concettuale suggeriscono il motivo per cui Giovanni Scoto eviti l’espressione substantia separata, presente in Boezio : Eriugena infatti utilizza l’aggettivo separatus/a/um o con significato tecnico, parlando della diuisio dialettica29, o con riferimento alla dottrina della caduta dell’uomo, come, ad esempio, nel caso delle cinque divisioni della realtà universale che egli riprende da Massimo il Confessore (cfr. PP V, 893B) ; questo aggettivo non manca infatti di richiamare in Giovanni Scoto le coordinate fondamentali dell’antropologia cristiana, per cui l’uomo è stato creato simultaneamente in anima e corpo, ma a causa della trasgressione primordiale si trova costretto a subire la separazione di anima e corpo dopo la morte, separazione che verrà tuttavia ricomposta all’atto della risurrezione dei corpi. Le sfumature terminologiche riscontrate ci sembrano evidenziare l’esigenza sentita da Giovanni Scoto di rientrare quanto più possibile nei limiti concettuali e terminologici dettati dalla dottrina cristiana, modificando la terminologia metafisico-ontologica delle sue fonti dialettiche al fine di collocarle entro l’orizzonte paradigmatico in cui Periphyseon, V si iscrive30.

Oltre alle trasformazioni terminologiche riscontrate, va rilevato come sia lo stesso Giovanni Scoto a richiamare esplicitamente il paradigma teologico alla luce del quale egli muove la propria indagine filosofica. Dopo una serie di esempi ripresi dall’aritmetica, dalla musica ecc. volti ad esemplificare la possibilità di mescolanze senza confusione di sostanza, il maestro palatino riporta la sua attenzione sul reditus escatologico, concentrandosi in particolare sulla problematica della risurrezione dei corpi e della loro spiritualizzazione. L’esito del discorso, che abbiamo seguito nel suo prendere le mosse dalla dialettica porfiriano-boeziana, svela da una parte il significato delle scelte terminologiche eriugeniane (ad es. la uita come causa primordiale, che ritorna nel discorso sull’immortalità dei corpi spirituali risorti), ma soprattutto rende evidente il motivo dell’interesse di Giovanni Scoto per gli argomenti di Isagoge, I, 10 e del relativo commento boeziano, cioè la teoria della relazione dialettica tra il corporeo e l’incorporeo, a cui egli si riferisce per argomentare la possibilità della risurrezione spirituale dei corpi :

« His itaque atque huiusmodi rerum intelligibilium et sensibilium exemplis facillime possumus cognoscere adunationem humanae naturae fieri posse, proprietatibus

29 In De praedestinatione, I, 1, 358A ad es., parlando dei quattro metodi della dialettica, Eriugena aveva definito la ANALUTIKH come di quella parte che « composita in simplicia separando resoluit ».

30 Nonostante Giovanni Scoto conoscesse gli Opuscula sacra e considerasse Boezio magnificus uir, egli non si richiama mai esplicitamente al suo insegnamento in contesti di riflessione teologica né tantomeno usa affiancarlo alle auctoritates patristiche ; sulle citazioni di Boezio nel primo Eriugena cfr. E. s. MainolDi, Le fonti del De praedestinatione liber di Giovanni Scoto Eriugena, « Studi Medievali », 45, 2004, pp. 651-697, pp. 666-682.

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singularum substantiarum obseruatis. sed quoniam de reditu sermo est, necessarium quaerere quod corpus in animam reuersurum sit, ut fiat “cum ipsa”, sicut Gregorius theologus ait, “unus et spiritus et animus et deus”31, uel ut fermentetur in unum incompositum, ut beatus Ambrosius edocet, si substantia ipsius (corporis dico) semper incommutabiliter absque ulla commutatione permansura sit. […] Quod etiam Apostolus manifestissime docet. Ait enim : “Seminatur corpus animale, surget corpus spirituale” [I Cor 15, 44]. Item : “Dum corruptibile hoc induerit incorruptionem, et mortale hoc induerit immortalitatem” [I Cor 15, 53]. Moles itaque terrena, mortalis, fluxilis, quae ex diuersis qualitatibus sensibilium elementorum et assumpta et composita est sub forma hac, quae sensibus corporeis succumbit, sicut in praecedentibus libris tractauimus (quoniam merito peccati naturali corporis substantialique superaddita est) soluetur, et in melius mutabitur, in spiritum stabilemque substantiam, quae nescit fluere uel mori, resurrectionis tempore reuersura »32.

In merito alla problematica degli universali presente nell’Isagoge e nei commentari boeziani va rilevato che Eriugena non mostra un interesse specifico a dare una risposta al quesito, lasciato peraltro irrisolto da Porfirio e sviluppato solo da Boezio. Giovanni Scoto offre comunque una soluzione implicita al problema filosofico latente, quale è possibile desumere dalla posizione alla quale il maestro palatino approda nel suo intento di dare un fondamento argomentativo al teologumeno della trasmutazione del corpo sensibile e mortale nel corpo spirituale. Per Eriugena infatti la condizione di mortalità del corpo costituisce il risultato della perdita dell’incorruttibilità spirituale di cui l’uomo godeva prima della trasgressione primordiale :

« Sanissima nanque et catholica fide credimus diuinorum uirorum (theologi uidelicet gregorii et Maximi) de talibus inconcussas rationes reddentium dogmate imbuti, quod conditor humanae naturae totam simul eam creauit, nec animam ante corpus nec corpus ante animam condidit. Ideoque non irrationabiliter tenemus in ipsa prima conditione animam simul et corpus absque ulla corruptibilitatis et mortis capacitate substitisse. Non enim rectae rationi conuenit putari conditorem naturae simul factae partem ejus immortalem et incorruptibilem (animam dico), partem mortalem et corruptibilem (corpus uidelicet) creasse. Ideoque totam naturam hominis, animam et corpus, immortalem et incorruptibilem creatam fuisse non incongrue, ut arbitror, aestimamus »33.

31 gregorius nazianzenus, Orationes, VII, 21 (PG 35, 784A ; SC 405, p. 234, 19). MaxiMus conFessor, Ambigua ad Iohannem, XVII, 172-173 (CCSG 18, p. 141).

32 iohannes scottus eriugena, Periphyseon, V, 884A-B, ed. cit., pp. 35-36.33 iohannes scottus eriugena, Periphyseon, V, 884A-B, ed. cit., p. 36. Questo argomento era stato già

anticipato nel secondo libro del Periphyseon : « Motus itaque humanae naturae ad ea administranda quae sibi ad uindictam praeuaricationis diuini praecepti adiuncta sunt — uindictam autem dico non

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Come agli angeli trasgressori venne sovraggiunto (superadditus) un corpo aereo, così all’uomo espulso dal paradisus uoluptatis (Gn 2, 8) venne sovraggiunto un corpo terreno, destinato a separarsi dall’anima e a tornare alla terra, dalla quale risorgerà trasformato in corpo spirituale :

« Nam et angelos tales creatos fuisse sapientes tradunt. Eos siquidem spiritus incorporeos [=angeli] et spiritualia corpora [=homines] omni corruptione carentia constitutos esse non dubitant, hominibus uero et praeuaricantibus angelis poena peccati terrena et corruptibilia corpora aeriaque superaddita esse, terrena quidem hominibus, aeria uero angelis. Sed quod nobis superadditum est, quoniam ex redemptore nostro assumptum est, qui « se ipsum exinaniuit, formam serui accipiens » [Phil 2, 7], mouebitur in spiritum et in ipsam substantiam primitus a deo creatam, quando absorbebitur mors in uictoriam, et totus homo, exterior uidelicet et interior, sensibilis et intelligibilis, in unum adunabitur. si cui autem incredibile uidetur corpus quidem terrenum mutari posse in spiritum, uideat quomodo sensibilium rerum qualitates in semet ipsas transmutantur, manentibus substantiis quarum qualitates sunt. Videat quomodo aquatilis qualitas in igneam uertitur qualitatem ; uideat quomodo nubes de aere conglobatae in aera purissimum resoluuntur, ita ut nihil de densitate earum remaneat »34.

In merito a questa dottrina e ai fini del nostro discorso è importante notare che per Eriugena il corpo spirituale non differisce dal corpo mortale nella sostanza, bensì negli accidenti, che gli furono sovraggiunti (superadditi) a causa della trasgressione. In base a questa precisazione, relativa alla differenza accidentale tra i due corpi, Giovanni Scoto arriva a interpretare la dottrina di fede per cui il corpo mortale — nelle parole dell’Apostolo qui citate dal maestro palatino (I Cor 15, 44) — « risorgerà spirituale », utilizzando l’argomento della distinzione degli attributi (che sono mutevoli), dalla sostanza (che è immutabile) :

« Nulla enim qualitas seu quantitas seu quodcunque aliud accidens per se ualet subsistere. Ac per hoc non temere, ut arbitror, dixerim ipsum reditum, de quo nunc

irascentis dei ultionem sed miserentis exercitationem — non irrationabiliter extra terminos essentialis nostrae trinitatis relinquitur. <Et ne aestimes, nos his verbis docere uelle praedictam humanae naturae trinitatem ad imaginem dei in paradiso conditam priusquam peccaret omnino corpore caruisse. Absit, absit a nobis hoc credere aut quodam modo putare ! Semel enim et simul animas nostras et corpora in paradiso conditor creauit, corpora dico caelestia spiritualia, qualia post resurrectionem futura sunt. Tumida nanque corpora mortalia corruptibilia, quibus nunc opprimimur, non ex natura sed ex delicto occasionem ducere non est dubitandum>. Quod ergo naturae ex peccato adoleuit, eo profecto renouata in Christo et in pristinum statum restituta carebit. Non enim potest naturae esse coaeternum quod ei adhaeret propter peccatum, et intra substantiales eius constitutiones non connumerari non incongruum, ut arbitror » (PP II, 571C-572A, ed. jeauneau, ccM 162, p. 62-63).

34 iohannes scottus eriugena, Periphyseon, V, 884C-885a, ed. jeauneau, pp. 36-37.

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tractamus, non substantiarum, quae immutabiliter et insolubiliter in se permanent, sed qualitatum et quantitatum aliorumque accidentium, quae per se et mutabilia sunt et transitoria, locis temporibusque subiecta, generationibus et corruptionibus obnoxia, futurum esse »35.

Le scelte terminologiche e l’impianto argomentativo qui messi in campo da Giovanni Scoto trovano ancora una singolare concordanza terminologica e dottrinale nel commentario di Boezio In Categorias Aristotelis, in particolare in un passo in cui il filosofo romano spiega come la materia, che in sé non ha qualità, riceva una qualità dalla forma che le viene aggiunte (superaddita) :

« Sed non omnis res simul atque est aliquam accipit qualitatem, ipsa enim materia sub quantitatis quidem principium cadit, quod una est, sub qualitatem vero minime ; ipsa enim cunctis est interim qualitatibus absoluta, superaddita vero forma quadam afficitur qualitate : per se autem numero quidem una est, qualitate vero nulla ; quocirca si res omnis simul atque est cadit in numerum, non autem omnis res mox ut est statim suscipit qualitatem, recte prius de quantitate proposuit. Est quoque alia causa cur prius de quantitatis ratione pertractet. Omne enim corpus ut sit, tribus dimensionibus constat, longitudine, latitudine, altitudine […] »36.

Per quanto i parallelismi terminologici e disciplinari qui discussi non possono garantire la certezza assoluta che i due commentari boeziani, se non l’Isagoge stessa, costituiscano la fonte diretta, ovvero l’ipotesto forte, di Giovanni Scoto, e non semplicemente un ipotesto debole — ovvero una congerie di nozioni derivanti genericamente dalla cultura e dalla terminologica didattiche e disciplinari ‘di contesto’ —, quale potrebbe essere derivato da dottrine e formule di scuola, resta il fatto che i passaggi riportati e analizzati evidenziano come l’utilizzo degli stessi strumenti disciplinari, pur conducendo i nostri autori ad argomentazioni analoghe, non toglie il fatto che essi partano da intenti paradigmaticamente differenti e approdino a risultati paradigmaticamente differenti. Rintracciare queste differenze ci sembra un modo per offrire una risposta in merito alla ricezione in Eriugena se non della problematica di fondo dell’Isagoge, almeno del suo armamentario disciplinare.

Nell’utilizzo delle risorse teoretico-filosofiche messegli a disposizione dalle sue fonti dialettiche — che siano Marziano Capella, Porfirio o Boezio, apprese direttamente sui codici o indirettamente attraverso rielaborazioni di scuola —, Giovanni Scoto si muove in un contesto speculativo distinto per presupposti e obiettivi dalle problematiche filosofiche neoplatoniche e/o aristotelico-platoniche,

35 iohannes scottus eriugena, Periphyseon, V, 885C, ed. jeauneau, p. 37.36 boethius, In categorias Aristotelis, De quantitate, PL 64, 201C-202B.

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pur spartendo con questi paradigmi filosofici l’impianto metodologico e disciplinare di base :

1) innanzitutto l’Irlandese non dà alcun rilievo alla problematica concordista, in cui si muovono sia Porfirio sia Boezio, ovvero l’armonizzazione di platonismo e aristotelismo, problematica sullo sfondo della quale si muovono tanto il neoplatonismo post-plotiniano di Porfirio37, quanto il platonismo cristiano di Boezio38 ; se Giovanni Scoto ebbe la possibilità di leggere per intero il secondo commentario di Boezio all’Isagoge — cosa che, ovviamente, non consegue dal fatto che ne abbia conosciuto una parte — vi avrebbe trovato riferimento alla problematica storiografica latente39, tuttavia dai riferimenti ai due grandi scolarchi della filosofia antica contenuti nelle sue opere non risulta che egli si curò, sempre che ne ebbe notizia, delle dissensiones tra i loro rispettivi insegnamenti ontologici ;

2) oltre al problema storiografico del rapporto tra Giovanni Scoto e i grandi esponenti del pensiero antico, va osservato che il teologo irlandese non poteva che distaccarsi da essi per quanto riguarda gli aspetti nodali e paradigmatici del suo pensiero : se infatti il maestro palatino, nel trattare le progressive diuisiones della natura dai generi alle specie agli individui, aveva mostrato in vari luoghi del Periphyseon un realismo accostabile al realismo esemplarista (neo-)platonico40, nel trattare del reditus egli si ritrova a fare i conti con alcune fondamentali discrepanze tra i teologumeni cristiani e il platonismo di fondo delle fonti dialettiche da lui utilizzate, a partire dal rendere il corpo afferente alla realtà spirituale, parificandolo per dignità di creazione all’anima, e — cosa ancor più rilevante dal punto di vista

37 Cfr. P. haDot, The harmony of Plotinus and Aristotle according to Porphyry,in r. sorabji ed., Aristotle Transformed: The Ancient Commentators and Their Influence, Duckworth, London 1990, pp. 125-140.

38 Cfr. g. D’onoFrio, Boezio filosofo, in a. gallonier ed., Boèce ou la Chaîne des savoirs, Peeters, Louvain-la-Neuve 2003 (Philosophes Médiévaux 44), pp. 381-419 ; M. zaMbon, aristotelis Platonisque sententias in unum revocare concordiam. Il progetto filosofico boeziano e le sue fonti, « Medioevo », 28, 2003, pp. 17-49.

39 « Itaque haec sunt quidem in singularibus, cogitantur uero uniuersalia nihil que aliud species esse putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex specierum similitudine. sed haec similitudo cum in singularibus est, fit sensibilis, cum in uniuersalibus, fit intellegibilis, eodem que modo cum sensibilis est, in singularibus permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus » (boethius, In Porphyrii Isagogen commentorum editio secunda, liber I, cap. 11, ed. s. branDt, Brepols, Turnhout 1908 [CSEL 48], p. 166, lin. 14) ; « Intelleguntur uero ut per semet ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia. sed Plato genera et species cetera que non modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia atque uniuersalia, sed subsistere in sensibilibus putat ; quorum diiudicare sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiae » (ibid., p. 167, lin. 10 ss.).

40 Per queste concordanze rimandiamo ancora a erisMann, Processio id est multiplicatio cit.

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della diuisio dialettica — nella sussistenza degli individui nell’unità finale del reditus escatologico.

La ricomposizione dialettica delle divisioni (ANALUTIKH) ci sembra dunque discostarsi nel pensiero escatologico eriugeniano dall’idea di ricomposizione contemplata dall’albero di Porfirio, dal momento che l’Irlandese postula, sulle scorte della dottrina della praedestinatio in bono, la manenza ipernaturale degli eletti come individui conosciuti da Dio sin dalla fondazione del mondo41. dal momento che la comprensione di questa condizione escatologica va al di là delle possibilità della dialettica e della ragione umane, Giovanni Scoto si limita a descriverne le modalità con metafore fisicistiche, come la mescolanza inconfusa dell’aria e della luce o delle singole voci nel canto polivocale42.

41 La comprensione della dialettica sullo sfondo della teologia del reditus risulta anche dal seguente passo delle Expositiones in ierarchiam coelestem : « Noster quippe animus ipsa disciplina, que a Grecis dicitur ANALUTIKH, per sacram symbolorum uarietatem illuminatus, in altitudinem superne deificationis reducitur. Due quippe partes sunt dialectice discipline, quarum una DIAIRETIKH, altera ANALUTIKH nuncupatur. Et DIAIRETIKH quidem diuisionis uim possidet ; diuidit namque maximorum generum unitatem a summo usque deorsum, donec ad indiuiduas species perueniat, inque eis diuisionis terminum ponat ; ANALUTIKH uero ex aduerso sibi posite partis diuisiones ab indiuiduis sursum uersus incipiens, perque eosdem gradus quibus illa descendit, ascendens conuoluit et colligit, easdemque in unitatem maximorum generum reducit, ideoque reductiua dicitur siue reditiua. Ac per hoc rationalis anima, penam preuaricationis sue luens, in multiplices multiformesque temporalium rerum appetitus ueluti quadam diaeretica ui partita est et scissa, donec partitionis sue in amore rerum corporalium terminum posuerit, infra quem prodire non potuit. Sed iterum creatoris sui gratia preuenta, saluata, adiuta, reuocata, quibusdam gradibus analyticis in seipsam primo recolligitur, ac deinde in unitatem creatoris sui quam peccando sciderat in deificationis uirtute restauratur. Non ita est in celestibus essentiis, presertimque eminentibus, que nunquam creatoris sui unitatem disruperant. Non enim eas ANALUTIKH, id est reductiua siue reditiua scientia, reduci estimandum, sed ueluti prima et superexcellenti deificatione repletas iuxta eminentissimam diuinorum operum scientiam, quantum angelis datur, eas debemus honorificare, quoniam immediate ab ipsa diuina uirtute et illuminantur et perficiuntur » (ed. J. barbet, Brepols, Turnhout 1975, pp. 106-107).

42 « Si ergo tot radii in unum confluunt, et nullus alteri confunditur uel miscetur uel componitur, quoniam singuli intuentium quique proprietatem suam obtinent, dum circa unam eandemque rem mirabili quadam adunatione uersantur, quid mirum si tota humana natura in unitatem quandam ineffabilem redigatur, proprietatibus et corporis et animae et intellectus incommutabiliter permanentibus ? Aliud exemplum ex sensibilibus intuere, quod etiam beatus Dionysius Ariopagita de talibus disputans introduxit. Ponamus ueluti in quadam ecclesia multas lucernas simul ardentes, et ex diuersis sedibus lampadum fulgentes. Nonne unum lumen efficiunt, ita ut nullus corporeus sensus sit qui proprietatem luminis singularum lampadum ab alterius lumine possit discernere ? Eo autem argumento incunctanter apertissimum est multarum lampadum lumina nullo modo esse confusa, sed solummodo adunata. […] Num simili modo de humanis organicisque uocibus intelligitur ? Singula quaeque uox, siue humana, siue fistularis uel lirica qualitatem suam habere non desistit, dum unam armoniam inter se plures unitae congrua analogia efficiunt. Vbi etiam apertum argumentum de sonis datur quod in se inuicem non confunduntur, sed solummodo adunantur. Nam si aliqua uox ex ipsis siluerit, sola silebit, nec de melodia silentis inter adhuc sonantes quicquam resultat. Ex quo manifestum est quod, quando inter caeteras sonuit, proprietatem suae qualitatis obseruauit. Nam si aliis confunderetur, non posset totam se silendo subtrahere » (PP V, 883B-D, ed. jeauneau, CCM 165, p. 34-35).

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Per questo motivo diremmo che, stanti le concordanze tra le strutture concettuali e terminologiche derivate al maestro palatino dall’utilizzo di strumenti argomentativi dialettici elaborati dagli autori neoplatonici della tarda antichità, il reditus di Giovanni Scoto essenzialmente non è un reditus neoplatonico, in quanto non prevede un ritorno a un’unità originaria, bensì una adunatio in cui persisteranno le distinzioni individuali. Rispetto alla dialettica neoplatonica Eriugena si discosta per il ruolo accordato alla manenza escatologica della sostanza individuale, introducendo dunque un elemento apparentemente aristotelizzante, consistente nel primato accordato alla sostanza prima (il soggetto) sulla sostanza seconda (il genere), antitetico al subordinazionismo ipostatico neoplatonico.

Nel pensiero teologico eriugeniano è inoltre ravvisabile una contravvenzione ancora più rilevante nei confronti dell’ontologia platonica e neoplatonica, ma anche aristotelica, costituita dall’argomento della permanenza eterna della qualità, quindi di un accidente, nella sostanza, in un modo « ineffabile » noto solo a dio, come si può leggere nel seguente passo di PP V :

« n. restat itaque de qualitatibus substantiarum — qualitates autem dico, sicuti solent sapientes omnia quae substantiis accidunt appellare, quia mutabiles sunt et circa substantias suas uoluuntur — hunc mundum fabricatum compactumque fuisse et in easdem resoluendum fore. Omne enim quod temporaliter per generationem incipit esse necesse est essendi finem habere. Nec sic tamen praedictas substantiarum qualitates suas substantias, circa quas uoluuntur, omnino deserere et in materiem sensibilis mundi conuenire arbitramur. Sed mirabili et ineffabili modo, soli fabricatori illius cognito, et circa suas substantias, quibus inseparabiliter adhaerent, semper permanent et hunc mundum modo quodam intelligibili compositionibus suis perficiunt atque componunt. Nam supra uniuersitatem uisibilem causas et substantias omnium corporum, siue catholicorum siue particularium, quibus constituitur, non irrationabiliter credimus esse. Ex incorporalibus enim et intelligibilibus corporalia et sensibilia originem ducunt »43.

Il « modo ineffabile » in cui Dio conosce l’attributo permanente della sostanza può essere compreso attraverso il concetto di uirtus gnostica, con cui Eriugena intende la conoscenza potenziale che Dio ha delle creature prima di crearle, ovvero quando esse ancora non sono44. La distinzione delle sostanze prima che vengano all’essere, operata dalla uirtus gnostica divina in base ad ‘attributi’ iperontologici45, noti solo a Dio in modo ineffabile in quanto pura potenza, sovverte

43 iohannes scottus eriugena, Periphyseon, V, 886c-887a, ed. cit., p. 39.44 Cfr. J. trouillarD, La « Virtus gnostica » selon Érigène, « Annales de l’École Pratique des hautes

études », 90, 1981-1982, pp. 369-373.45 Questo ossimoro concettuale configura una sorta di definizione traducibile come ‘accidenti

non-accidentali’.

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il principio del realismo ontologico stabilito dal binomio sostanza-manenza/attributi-immanenza46. Il trascendimento di questa antinomia dialettica costituisce dunque il fondamento speculativo della dottrina escatologica dell’adunatio delle sostanze individuali (singulae substantiae) nell’unità divina. Questa adunatio non è ontologica, in quanto il superamento del binomio antinomico che riguardava le ‘cose che sono’ non può che riguardare le ‘cose che non sono’, coerentemente al fatto che la uirtus gnostica è conoscenza superessenziale e superintellettuale delle cose che (ancora) non sono.

La risposta eriugeniana al problema delle sostanze individuali nell’adunatio escatologica si configura dunque come soluzione me-ontologica (o meglio iper-ontologica), e per questo non riferibile all’ontologia categoriale aristotelica, analogamente all’impossibilità — argomentata nel corso della trattazione di PP I dedicata alle dieci categorie (464A-474B) — di riferire le dieci categorie a Dio, se non per traslato, ovvero in modo improprio e dunque in senso iper-ontologico47. Il paradigma dialettico-filosofico a cui Giovanni Scoto si richiama può essere ricondotto all’unità super-intellegibile di ciò che razionalmente non può che configurarsi come oppositio : la fondamentale opposizione che trova coincidenza in Dio concerne la prima species naturae (quae creat et non creatur) e la quarta (quae non creatur et non creat), così come esse e non esse trovano coincidenza non solo in dio, ma nella totalità rerum omnium, intesa — dall’incipit del Periphyseon — come FUCIC-natura, ovvero come unione super-ontologica e super-me-ontologica di Creatore e creazione.

L’opposizione tra la realtà ontologica e la realtà me-ontologica, che Giovanni Scoto indica con le espressioni ‘ea quae sunt’ ed ‘ea quae non sunt’ — tra le cui diverse possibili fonti si segnala il commento boeziano all’Isagoge —, viene iscritta dal maestro palatino nella comprensione dialettica dell’antinomia tra il concetto di creato e quello di increato, che è antecedente alla divisione tra essere e non-essere e trova risoluzione nella concezione di Dio come creatore e non-creatore al

46 Va tuttavia rilevato che in riferimento all’individualità umana Giovanni Scoto fa comunque riferimento ai suoi attributi esteriori (aspetto, luogo e tempo di nascita ecc. ; cfr. PP III, 703BC), mentre, parlando della sua mancata (a causa del peccato) moltiplicazione angelica, fa invece riferimento a un’individualità intelligibile (numeri intelligibili cfr. PP II, 532D-533A), preludio dell’individualità superintellegibile che verrà raggiunta nella super-condizione della deificatio.

47 « Horum autem decem generum innumerabiles subdiuisiones sunt, de quibus nunc disputare praesens negotium non admittit ne longius a proposito recedamus, praesertim cum illa pars philosophiae quae dicitur dialectica circa horum generum diuisiones a generalissimis ad specialissima iterumque collectiones a specialissimis ad generalissima uersetur. Sed, ut ait sanctus pater Augustinus in libris de trinitate, dum ad theologiam (hoc est ad diuinae essentiae inuestigationem) peruenitur, kategoriarum uirtus omnino extinguitur. Nam in ipsis naturis a deo conditis, motibusque earum kategoriae qualiscunque sit potentia praeualet, in ea uero natura quae nec dici nec intelligi potest per omnia in omnibus deficit » (PP I, 463A-463B, ed. jeauneau, ccM 161, pp. 32-33).

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contempo, che nel linguaggio del Periphyseon si traduce nella coincidenza della seconda e della quarta divisione della natura. L’apofatismo eriugeniano vede come cifra di fondo il superamento super-razionale e super-intellettuale delle divisioni e delle contrapposizioni, in un procedimento intellettivo in cui la dialettica può venire in aiuto di « coloro che vogliono ascendere » (« conscendere uolentium », PP III, 1, 365A) attraverso l’utilizzo per translationem delle sue regole.

In accordo con la tradizione platonica e platonico-cristiana, Giovanni Scoto concepisce la dialettica come descrizione della razionalità oggettiva dell’uniuersitas, tuttavia, in relazione alla condizione finale dell’adunatio di tutte le creature in Dio, la dialettica viene considerata insufficiente a descrivere in senso proprio l’unità-distinzione escatologica che si avrà tra Creatore e creatura, anche se i suoi strumenti argomentativi possono essere comunque utilizzati per rimandare in senso improprio, ovvero per translationem, alla conoscenza delle cose ultime. La differenza paradigmatica tra l’impostazione di metodo patristica seguita da Eriugena e quella adottata dalle sue fonti filosofiche ha dunque richiesto all’Irlandese un profondo ripensamento dei rapporti tra dialettica, ontologia e teologia, dal momento che, non dovendo i filosofi ellenici confrontarsi con l’escatologia neotestamentaria e dunque con il problema di una trasfigurazione del cosmo in un ipercosmo pneumatizzato, mantenendo per contro il caposaldo dell’eternità del mondo, gli strumenti filosofici da essi elaborati rimangono volti alla distinzione tra la manenza senza principio e senza fine della realtà cosmica mutevole e la realtà trascendente, permanente e immutabile.

Gli assunti paradigmatici del concetto di creazione spinsero il maestro irlandese al superamento dei limiti che la dialettica e l’ontologia elleniche oppongono al pensiero orientato dalla teologia neotestamentaria, ma non per negare in chiave apologetica la validità conoscitiva della filosofia, bensì per stabilirne i limiti e riprenderne le tecniche argomentative al fine di facilitare, per quanto possibile, la comprensione anagogica dei contenuti della Rivelazione. Nel quinto libro del Periphyseon egli arriva non tanto a contraddire, quanto a superare ciò che egli aveva argomentato nel primo libro a proposito della divisione dialettica dei generi e delle specie, e a proposito della superiorità ontologica dell’ousia generalis rispetto all’accidentalità degli individui, qualificati dai soli attributi transeunti.

Nel quinto libro del suo capolavoro, Giovanni Scoto arriva così a delineare un linguaggio meta-dialettico in cui l’uso traslativo delle tecniche argomentative del pensiero logico mostra la sua capacità di preparare il transitus theoriae verso il nucleo super-intelligibile della teologia48, il quale, riposando nell’apofasia dell’adunatio e della théosis, segna al contempo il confine tra una filosofia della

48 sul transitus theoriae in Giovanni Scoto, cfr. T. gregory, Nota sulla dottrina delle « teofanie » in Giovanni Scoto Eriugena, « Studi Medievali », 1, 1963, pp. 75-91.

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creazione sotto la specie dell’ontologia, come quella descritta dal realismo esemplaristico platonico o dall’ontologia categoriale aristotelica, e una filosofia dell’increato, dove l’increato viene inteso come genere superordinato alla creazione, e la creazione risulta essere genere di tutto ciò che è e di tutto ciò che non è.

In relazione all’inveterata categoria storiografica del (neo/)platonismo cristiano, diremmo che Giovanni Scoto è un pensatore che si pone nella linea patristica dell’oltrepassamento di quel paradigma filosofico che prende origine dalla speculazione sulle categorie del cosmo e dall’elemento logico-oggettivizzante del pensiero, in quanto fonda la sua riflessione e ne approfondisce le aporie in base all’imprescindibile riferimento alla tensione unitivo-distintiva che egli riconosce esserci tra i concetti di creato e di increato.

Se dunque volessimo rispondere al quesito storiografico relativo alla possibilità di ascrivere Giovanni Scoto a una preistoria del dibattito medievale tra realisti e nominalisti, in virtù di una sua conoscenza delle problematiche trasmesse dall’Isagoge e dai commentari logici boeziani, non potremmo che rispondere in senso negativo. Il pensiero teologico di Giovanni Scoto — come abbiamo cercato di mostrare — si avvale con piena maturità e autonomia degli strumenti della razionalità filosofica, ripresi dall’insegnamento delle scuole filosofiche elleniche, ellenistiche e infine romano-barbariche, ovvero ateniese, alessandrina e romana, e riconducibili ai paradigmi filosofici platonico, aristotelico, neoplatonico e infine platonico-cristiano (e in Boezio platonico-aristotelico-cristiano), al fine di illustrare i contenuti della Rivelazione.

Nella sua sintesi Giovanni Scoto si avvale — caso tutto sommato isolato nel medioevo latino — delle rielaborazioni compiute nelle scuole patristiche orientali (alessandrine, cappadoci, bizantine, siriache) e occidentali (Ambrogio e Agostino), in base a un paradigma di pensiero circoscrivibile nei suoi tratti caratteristici e distintivi tanto da essere definibile come ‘cristiano’ (senza aggiunte o premesse di altri aggettivi), nel quale si avvera il riorientamento e il superamento dei paradigmi di sapere con i quali tale paradigma di pensiero ha dato vita al confronto storico più importante tra tarda antichità e alto-medioevo.

Il risultato che ne scaturisce conduce ad esiti che si pongono al di là dei limiti della razionalità dialettica, della quale viene tuttavia sottolineata la capacità di descrivere l’ordinamento cosmico nelle sue divisioni e categorie, pur mostrandosi insufficiente a compiere quello sforzo super-intelligibile che la super-comprensione dell’adunatio richiede all’« animo umano » che « gradatim ascendere nititur »49.

Se Boezio aveva contribuito agli inizi di un cammino latino e cristiano di convergenza tra la filosofia ellenica e la Rivelazione, cercando di consolidarne

49 giovanni scoto eriugena, De praedestinatione liber, III, 1, 365A, ed. E. S. MainolDi, Edizioni del Galluzzo, Firenze 2003, p. 24.

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la coerenza metafisica, a garanzia della sua trasponibilità in una forma di insegnamento disciplinarmente ordinato e dunque della diffusione nella societas romana come fattore di rinnovamento e di soluzione di quella crisi che la stava investendo tra V e VI secolo — attraverso la ricerca dell’accordo tra le due grandi tradizioni di pensiero dell’antichità, quella platonica e quella aristotelica —, Giovanni Scoto mostra nelle sue opere un’elaborazione speculativa capace di instaurare un rapporto vivo — e non di mera imitazione — con l’autorità patristica e allo stesso tempo capace di avvalersi degli strumenti delle arti liberali con piena autonomia rispetto alle implicazioni paradigmatiche della tradizione filosofica pagana.

Nel commentare l’Isagoge Boezio aveva fatto emergere la struttura latente relativa allo statuto degli universali50, non solo perché era pienamente consapevole della discrepanza tra le posizioni di Platone e di Aristotele, espressioni paradigmatiche di due differenti concezioni dell’ordinamento della realtà e del valore della conoscenza, problematica che aveva impegnato tutti gli epigoni e gli interpreti dei due scolarchi greci fino al V secolo, ma soprattutto perché il suo pensiero era ancora saldamente legato a quei paradigmi, giocando in particolare per una lettura neoplatonizzante di Aristotele. In Giovanni Scoto la « struttura latente » non emerge, non tanto perché l’Irlandese non poté avere chiara la contrapposizione storiografica tra platonismo e aristotelismo, quanto perché il suo filosofare era ispirato da un diverso paradigma di pensiero, volto al superamento di una concezione pancosmica della realtà, e, al pari dell’appello escatologico che gli è intrinseco, postulante per l’uomo un superamento del suo stato naturale al fine di unirsi al Creatore nell’adunatio supernaturale tra creato e increato.

La dottrina eriugeniana della realtà si configura come una non-ontologia e non-me-ontologia, dal momento che la realtà-natura è concepita come superiore tanto all’essere quanto al non-essere, e in ultima istanza come genere superordinato alla divisione tra Creatore e creatura, mantenendo tuttavia la loro distinzione iper-ontologica e iper-me-ontologica. La principale preoccupazione del pensatore irlandese risulta essere diretta alla concezione di una natura adunativa, all’interno della quale la cristologia gioca un ruolo ispiratore fondamentale, portando al centro di questo processo la natura umana, nella quale si verifica l’adunatio tra l’intera natura creata e la natura increata.

A far compiere a Giovanni Scoto il passo verso una teologia compiuta nell’impossibilità di essere razionalizzata come ontologia ha giocato un ruolo

50 Con « struttura latente » facciamo riferimento a quanto osservato da A. de Libera a proposito del rapporto tra la riposta elusa da Porfirio nell’incipit dell’Isagoge e la problematica filosofica e storiografica che le fanno da sfondo, in La querelle des universaux. De Platon à la fin du Moyen Age, seuil, Paris 1996, p. 39.

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indiscutibilmente decisivo l’approfondita lettura — quale solo quella di un traduttore può esserlo — dei Padri orientali di cui egli approntò una versione latina, cioè lo ps.-Dionigi Areopagita, Massimo il Confessore e Gregorio di Nissa. Giovanni Scoto evita la struttura latente al quesito che l’Isagoge sintetizza e tramanda proponendosi di illustrare una differente concezione del mondo, dove la totalità delle cose quae sunt et quae non sunt è disposta come natura creata nel Verbo increato, ciò da cui consegue una concezione della ratio del mondo come causa superessenziale (esse omnium est superesse diuinitas)51. L’apofatismo connesso alla teologia dell’increato trattiene dunque Giovanni Scoto dal problematizzare la ratio del mondo nei suoi rapporti con la rationalitas umana, la quale deve accontentarsi di cogliere l’esse delle cose ma non il quid esse, dacché la ratio ultima delle creature è superesse ed esula quindi dalla pretesa di arrivare a una definizione logico-ontologica, ossia concettuale-linguistica conclusa e affermata in senso proprio, delle modalità del loro essere.

L’insegnamento di Giovanni Scoto, oltre a contribuire alla diffusione di una conoscenza specifica delle arti liberali, riuscì anche a trasmettere l’inquadramento epistemologico elaborato dal maestro palatino, volto a una prospettiva teologica intesa essenzialmente in senso apofatistico e iper-ontologico. Il rapporto tra filosofia e Rivelazione secondo la sintesi disegnata dalla riflessione di Giovanni Scoto trova una prima eco nell’epistola inviata da un anonimo autore, che si firma come « a. », a un certo « magister E. » per chiedere protezione per una sua nipote, monaca a Laon52. A. è stato verosimilmente allievo di Giovanni Scoto, dal momento che ne cita l’insegnamento in materia di metrica53 e mostra un certo interesse per la filosofia, dal quale traspare un contatto con l’insegnamento dell’Irlandese54 ; A. insiste in particolare sul valore propedeutico alla fede dello studio delle arti liberali :

51 Dionysius areoPagita, De caelesti hierarchia IV, 1 (PL 122, 1046C) ; passo citato da Eriugena in PP I, 443B, 516C ; PP III, 644B ; PP V, 903C ; Vox spiritualis X, 36-37 (SC 151, p. 252 ; Pl 122, 289B).

52 L’epistola è pubblicata da E. DüMMler in M.g.H., Epistularium, VI, Epistulae Karolini Aevi IV, 1925, p. 182-186. Su questa lettera cfr. J. J. contreni, Three Carolingian Texts Attributed to Laon. Reconsiderations, « Studi medievali », 17, 1976, pp. 798-802.

53 « …secundum doctrinam Iohannis Scotti » (ed. DüMMler, p. 184, lin. 22). A. mostra inoltre di conoscere la terminologia dialettica dell’Isagoge : « …dialecticam in mysteriis syllogismorum procedentium a generalissimis usque ad specialissima » (ibid., p. 183, lin. 30-31).

54 « Sed neque in quadripertita philosophia mysterium aliter habetur nisi discendo aut docendo » (ed. cit., p. 183, lin. 35-36), di cui si richiama l’affinità con la diuisio proposta da Eriugena in PP III, 705A-B : « Si cui autem uidetur quod ista explanatio, quam de tribus primis diebus iuxta uires intentionis nostrae protulimus, non secundum historiam sit sed secundum leges allegoriae, intentus perspiciat quadriformem sophiae diuisionem — Et est quidem prima PRAKTIKH (actiua), secunda FUCIKH (naturalis), tertia QEOLOGIA quae de deo disputat), quarta LOGIKH rationalis), quae ostendit quibus regulis de unaquaque trium aliarum sophiae partium disputandum » (ed. jeauneau, CCM 163, pp. 123-124).

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« Non autem est necesse fide purgari corda ad artes videndas ; verum ipsis artibus purgatur platonicus oculus quo videatur creator omnium Deus. Non est igitur mysterium musica, sed doctrinalis scientia [Isidorus Hispalensis, Etymologiae 11, 24, 4]55 quae abstractam desiderat quantitatem, per quam queritur mysterium fidei quo credatur per fidei meritum, donec videatur per ipsius fidei mirabile praemium invisibilis, immortalis et incommutabilis Deus »56.

Questo singolare passo trova una precisa assonanza in un’opera di simbolismo liturgico di Almanno, presbitero e monaco a Hautvillers :

« …in lege domini meditemur die ac nocte : qua, corde mundato per fidem et sanato oculo, non iam Platonico sed diuino, uideamus superessentialem causam omnium deum »57.

sulla base di questa e di altre concordanze testuali, lette sullo sfondo del profilo intellettuale e biografico di Almanno, abbiamo avanzato altrove l’ipotesi di identificare in Almanno stesso l’autore dell’Epistula ad magistrum E.58.

L’epitaffio altivillarense di Almanno, che ci è noto attraverso la trascrizione fatta da Mabillon di una sua copia trasmessa in un manoscritto laudunense oggi perduto, fissa a sua volta nell’interesse filosofico il profilo intellettuale del defunto presbitero-monaco, riprendendo il topos della purificatio oculi, a fianco dell’immagine boeziana delle lettere ricamate sulla veste di Filosofia (Consolatio philosophiae, I, 1) :

« Hic iacet Almannus, sophiae praeclarus alumnus,[…]

55 Cfr. Scholica enchiriadis : « d : Quae sunt mathesis disciplinae ? M : arithmetica, geometrica, Musica, Astronomia. [Delta] : Quid est mathesis ? M : doctrinalis scientia. d : Quare doctrinalis scientia ? M : Quia abstractas considerat quantitates. d : Quae sunt abstractae quantitates ? M : Quae sine materia, id est admixtione corporali, solo intellectu tractantur. In quantitatibus vero multitudines, magnitudines, paucitates, parvitates, formae, aequalitates, habitudines et cetera, “quae”, ut Boetii verbis loquar, “ipsa quidem natura incorporea sunt et inmutabilis substantiae ratione vigentia, participatione vero corporis permutantur et tactu variabilis rei in vertibilem inconstantiam transeunt » (Musica et scholica enchiriadis una cum aliquibus tractatulis adiunctis, ed. H. schMiD, Bayerische Akademie der Wissenschaften - C. H. Beck, München 1981 (Bayerische Akademie der Wissenschaften, Veröffentlichungen der Musikhistorischen Kommission, Band 3), p. 107).

56 Ed. DüMMler, p. 184, lin. 1-5.57 alMannus altivillarensis, Epistola ad Sigebodum Narbonnensem episcopum [873-885], ed. A.

WilMart, La lettre philosophique d’Almanne et son contexte littéraire, « Archives d’histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age » 3, 1928, pp. 285-320, p. 301, lin. 31-34.

58 Cfr. E. s. MainolDi, Una proposta di nuova attribuzione ad Almanno di Hautvillers, « Archives d’Histoire doctrinale et littéraire au Moyen Age », 76, 2009, pp. 7-28.

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Instituens a P transire ad Q gradatimSicque philosophicum purificare oculum »59.

I passi qui riportati offrono uno spunto particolarmente interessante nella locuzione platonicus/philosophicus oculus, fortemente connotata in senso storiografico, nella quale è possibile leggere un riferimento al sapere pre-cristiano e, per metonimia, al sapere delle arti liberali. Entrambi i passi sottintendono il limite della conoscenza filosofica ai fini del progresso ad Deum, vedendo tuttavia come legittimamente propedeutico un percorso di graduale purificazione della conoscenza perseguito non soltanto per fede o per ascesi, come nell’apologetica cristiana classica — modellata sull’interpretazione monastica della vita cristiana —, ma anche attraverso le arti stesse, segnando dunque una continuità e un compimento dell’ideale di « ascesi culturale e laica, centrata sulla scuola » posto da Alcuino a fondamento dell’ideale carolingio di formazione cristiana60.

Se alla fede spetta il compito della mundatio cordis, alle arti spetta la sanatio/purgatio oculi, espressioni nelle quali dobbiamo forse vedere un’allusione alla gerarchia delle facoltà conoscitive (cor → intellectio, oculus → speculatio). In queste espressioni possiamo cogliere l’orientamento epistemologico maturato dalla tarda scuola carolingia a giustificazione dell’insegnamento delle arti, nel quale si legge una teoria del sapere ormai arrivata a una equilibrata sistemazione gerarchica tra fede e mezzi della conoscenza filosofica, ormai purificati dal legame atavico con le visioni del mondo di cui la filosofia è stata al servizio in epoca pre-cristiana.

Le opere di Giovanni Scoto — al quale va riconosciuto un ruolo fondamentale nell’aver saputo dare un solido fondamento teoretico all’ideale carolingio-alcuiniano — restituiscono una chiara trattazione della problematica, che, nel suo preciso riferirsi alla dottrina paolina dell’uomo interiore teso al superamento dell’uomo esteriore61, ci lascia intendere come la catarsi eriugeniana non sia più quella platonica, bensì il perfezionamento della natura umana entro i suoi limiti, i quali poi saranno trascesi nel perfezionamento della grazia :

« Deinde purgatione prima peracta, oportet animum diuino lumine impleri, quatenus interiore oculo, ratione dico, puro et casto ad contemplationis habitum et uirtutem ueluti secundo gradu possit subueni ; postremo renouati et reducti ex imperfectione et uetustate exterioris hominis in nouitatem et perfectionem interioris, qui ad imaginem

59 Epitaphium Almanni, MGH, PLAC, IV, 3, p. 1030.60 C. leonarDi, Alcuino e la scuola palatina : le ambizioni di una cultura unitaria, in Nascita

dell’Europa ed Europa carolingia : un’equazione da verificare, settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XXVII, 2 voll., CISAM, Spoleto 1981, vol. I, pp. 474-475.

61 Cfr. II Cor 4, 16 ; Ef 3, 16.

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et similitudinem dei reformatur, ueluti in consummationem perfectionis sue, in habitum ipsum incommutabilem scientie diuinorum mysteriorum ascendant »62.

Con una precisione gnoseologica assente in Almanno, il maestro palatino afferma come in quell’oculus animi — che deve essere purificato — vada intesa tanto la conoscenza intelligibile quanto la conoscenza razionale :

« Precedit enim in ascensionibus uirtutum actio diuinorum mandatorum, per quam purgatur interior animi oculus, siue rationabilis siue intellectualis, creature, ut intimos summi boni radios in omnia diffusos ualeat sustinere, omni uana phantasia omnique uitiorum caligine liber et absolutus »63.

Significativamente le glosse al Categoriae decem trasmesse dal ms. Milano, Ambrosiana, B 71 sup. (sec. IX2/2), che secondo la ricostruzione dovuta a John Marenbon furono prodotte ad Auxerre sotto la supervisione di Eirico64 — dunque in un ambiente in cui è ben attestata la ricezione dell’insegnamento eriugeniano65 —, il discorso sulla purgatio trova spazio in relazione al teologumeno della deificatio, allusa nella metafora dell’« aer…lux perfusus », riconducibile al lavoro di traduzione ed esegesi che Giovanni Scoto aveva dedicato agli Ambigua di Massimo il Confessore :

« Cum enim purgatur animus cuiuslibet sancti et illuminatur […] Post ut euidentius elusceat, demum exemplum : aer enim, cum inluminatur a sole, totus uidetur lux perfusus <†> lucis et nihil discernitur ibi aliud nisi tota lux »66.

Il tema massimiano-eriugeniano della mescolanza inconfusa delle due differenti sostanze trova una menzione esplicita anche in una glossa all’Isagoge trasmessa

62 iohannes scottus eriugena, Expositiones in Hierarchiam caelestem, ed. barbet, ccM 31, p. 64.63 Ibid., p. 56.64 Cfr. J. Marenbon, From the Circle of Alcuin to the School of Auxerre, Cambridge University

Press, Cambridge 1981, p. 175. A questo proposito non va dimenticata l’ipotesi di identificazione del magister E, corrispondente di A. [=Almanno], con Eirico di Auxerre, per cui cfr. MainolDi, Una proposta di nuova attribuzione ad Almanno di Hautvillers cit., p. 21 ; contreni, Three Carolingian Texts cit., pp. 799-800.

65 Sulla ricezione dell’insegnamento eriugeniano ad Auxerre cfr. É. jeauneau, Les écoles de Laon et Auxerre au IXe siècle, in La scuola nell’Occidente latino nell’Alto Medioevo. settimane di studio del Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, XIX, CISAM, Spoleto 1972, pp. 509 ss. ; J. J. o’Meara, Eriugena’s Immediate Influence, in W. beierWaltes ed., Eriugena Redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit, C. Winter, Heidelberg 1987, pp. 19-24 ; per l’eriugenismo di Eirico cfr. É. jeauneau, Dans la sillage de l’Erigène une homélie d’Heiric d’Auxerre sur le Prologue de Jean, « Studi Medievali », 11, 1970, pp. 937-955.

66 Ed. Marenbon, From the Circle of Alcuin to the School of Auxerre cit., p. 201.

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dal ms. Firenze, BML, Gadd. Plut. LXXXIX sup. 80, dove la metafora incentrata sul tema dell’atmosfera illuminata dalla luce solare lascia spazio a un’equivalente versione ‘metallurgica’, destinata ad avere una discreta fortuna anche nei secoli successivi67 :

« materia]]68 Materia est forma ipsa massa uel substantia. unde est id aliquid quod est uel unde habet suum esse, sicut et corpus est esse hominis a quibus homo accipit ut sit, et ipsum aes metallum quod ex terra sumitur rubicundi coloris, non dicitur secundum terram quod est eius materia, sed secundum aeris figuram, i.e. colorem. dicit autem iohannes scotus ferrum de terra tollitur, et lapis calore solutus in aes conuertitur, ideo autem eius materia est terra uel lapis »69.

La relazione mostrata da John Marenbon tra le glosse auxerresi al Categoriae decem e l’insegnamento eriugeniano ci consente di elencare un ulteriore luogo di contiguità tra la materia dialettica porfiriano-boeziana e l’insegnamento di Giovanni Scoto, anche se questo non dimostra necessariamente che il pensatore irlandese fosse il tramite diretto di un’eventuale lettura dell’Isagoge ad auxerre. Tuttavia una glossa al fol. 41r del ms. B 71 sup., in cui ricorrono i sintagmi generalissima OUCIA ecc., di chiara derivazione porfiriano-boeziana — dacché non attestati nel Categoriae decem —, mostra come l’argomento dialettico venga confermato con argomenti scritturistici, dando vita a un connubio tra speculazione teologica, esegesi e argomentazioni dialettiche che sarebbe impensabile nella scuola auxerrese di fine IX sec. a prescindere da Giovanni Scoto :

67 Cfr. E. s. MainolDi, L’influenza eriugeniana sulla dottrina della beatitudo nel XII secolo, in M. bettetini, F. D. PaParella edd., Le felicità nel Medioevo. Atti del XIII Convegno della Società Italiana per lo Studio del Pensiero Medievale (Milano 12-13 settembre 2003), Féderation Internationale des Instituts d’Études Médiévales, Louvain-la-Neuve 2005, pp. 183 ss.

68 Il passo commentato è il seguente : « Rebus enim ex materia et forma constantibus vel ad similitudinem proportionem materiae speciei que constitutionem habentibus (quemadmodum statua ex materia est aeris, forma autem figura), sic et homo communis et specialis ex materia quidem similiter proportionaliter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc animal rationale mortale homo est quemadmodum illic statua » (Isagoge sec. translat. quam fecit Boethius, ed. l. Minio-Paluello, Desclée, Bruges 1966 (Aristoteles Latinus I, 6-7), p. 18, lin. 9.

69 La parte della nota con il riferimento a Eriugena è trascritta nel catalogo dell’Aristoteles Latinus. Diamo qui il testo completo della glossa secondo la trascrizione di Yukio Iwakuma, che ringrazio per avermi messo a disposizione il materiale da lui raccolto.

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Un’altra glossa allo pseudo-agostiniano Cathegoriae decem, tràdita ancora dal ms. B 71 sup. (sec. IX2/2), mostra poi come la singolare dottrina eriugeniana della permanenza ineffabile degli attributi in Dio avesse trovato ricezione nell’insegnamento dialettico-teologico auxerrese :

« Queritur cuur singularitas et quur numerus simplex et indiuisibilitas, quod est athomum, dantur homini cum tactu corporali, qui est uisibilis et dicitur ‘esteta’ et solummodo uiuaciter. In Deo solo comprehunduntur ineffabiliter, unde uocatur tetragrammaton, quod est ineffabile. Ista accidentia sunt corpori et non reddunt

Ed. Marenbon, From the Circle of Alcuin, IIIb, p. 188 :

Prima ocia est simplex ierarchiuum omoni-mum. secunda, ut homo, deductiuum omonimum a primo ierarchiuo - - - aug-mentiuum superiorum duorum trionimum. Quarta, genus comprehensiuum quadrino-mium trium superiorum. OCYA generalis-sima, - - collectiuum omonimum a primo ierarchico simplici processiuum. Ab hac generalissima usia componamus ordinem analiticum usquc ad simplicissimam usiam. Genus processiuum bionimum ad compara-tionem generalissima usiae. animal, quae est tertia, intentiuum trionimum. Homo, quae quarta, descensiuum trionimum. Iterum usia prima simplex continet — inter aliam ociam — generalissimam ; haec tria, et est prima et nouissima, ut quod nouissima prima et omnia in prima et nouissima sine distinctione unum in prima quod in nouis-simaa. Prima simplex in qua omnia creata fuerunt secundum Euangelium : « Quod factum est in ipso uita erat »b. Cum autem apparuerit, ecce iam in gradibus usque ad generalissimam usiam de simplici producta, in qua mouentur et sunt omniac.

a Cfr. Mt 20, 16. b Io I, 3-4. c Cfr. Act 17, 28.

PP I, 472C :

Num OYCIA in generibus generalissimis et in generibus generalioribus, in ipsis quoque generibus eorumque speciebus, atque iterum specialissimis speciebus, quae atoma, id est individua dicuntur, uniuersaliter proprieque continetur ? A. Nil aliud esse video, in quo naturaliter inesse OYCIA possit, nisi in generibus et speciebus, a summo usque deorsum descendentibus, hoc est, a generalissimis usque ad specialissima, id est, individua ; seu reciprocatim sursum versus ab individuis ad generalissima. In his enim veluti naturalibus partibus universalis OYCIA subsistit.

PP I, 487B : Et hoc generaliter de omni OYCIA sive generalissima, sive specialissima, sive media, non incongrue quis dixerit.

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eum quod est, nec componunt, sec extra substantiam intelliguntur, et informi materia sine motu quasi tunc proprie Dei […] »70.

Queste testimonianze sembrerebbero indicare come alcuni elementi riconducibili all’insegnamento di Giovanni Scoto, iniziassero a circolare e trovassero un veicolo privilegiato nelle glosse a testi didattici di dialettica come le Categoriae decem e l’Isagoge. a segnalarsi come ambiente di ricezione e trasmissione di questa particolare prospettiva teologico-disciplinare fu la prima scuola ottoniana, erede e continuatrice del lascito culturale carolingio, in quella che fu una vera e propria translatio studiorum dalla gallia alla germania, sia attraverso la migrazione di magistri sia attraverso la trasmissione di manoscritti. Gli studi di dialettica trovarono a loro volta nel contesto ottoniano un’importante fioritura, in cui la presenza dell’Isagoge e dei due commentari boeziani si sostanzia di cospicue evidenze codicologiche e testuali71.

Il più antico commentario all’Isagoge in nostro possesso risale proprio a questo periodo e a questo ambiente scolastico. Esso è dovuto all’irlandese Israele Grammatico (già noto come Israele Scoto), precettore di Bruno di Colonia (fratello dell’imperatore Ottone il Grande) e poi stabile a Treviri, con il titolo di vescovo senza sede. Il commentario dovuto ad Israele, che si firma in traslitterazione greca come ICPa<Hl>72, si presenta come una glossatura continua del testo dell’Isagoge trasmesso dal ms. Paris, BN, lat. 12949, esemplato nel IX sec. a Corbie73. Ai fini della nostra analisi è importante rilevare come queste glosse siano essenzialmente costituite da estratti dei due commentari boeziani all’Isagoge e attestino una conoscenza certa del Periphyseon da parte del loro autore.

Nella glossa 130, in corrispondenza delle parole di Porfirio che nella traduzione boeziana suonano :

70 Ed. Marenbon, From the Circle of Alcuin cit., p. 199.71 Per i codici rimandiamo ancora alla recensio data in apertura del saggio.72 L’abrasione delle due ultime lettere ha portato a una lunga serie di attribuzioni dovute a diversi

studiosi, che vi hanno letto tra gli altri i nomi di Eriugena e Hucbald (di Saint-Amand), prima di approdare alla soluzione più coerente con Colette Jeudy, nel saggio Israël le grammairien et la tradition manuscrite du commentaire de Remi d’Auxerre à l’« Ars minor » de Donat, « Studi medievali », 18, 1977, pp. 185-250 [751-814], pp. 770-771 [204-205], soluzione ripresa e corroborata da é. jeauneau, Pour le dossier d’Israël Scot, « Archives d’histoire doctrinal et littéraire du Moyen Age », 60, 1985, pp. 7-72, pp. 16-17.

73 Per l’edizione delle glosse si veda : baeuMker, von Walterhausen edd., Frühmittelalterliche Glossen zu des Angeblichen Jepa zur Isagoge des Porphyrius cit. dal momento che le glosse al Categoriae decem trasmesse da questo codice sono attribuite espressamente ad Eirico di Auxerre si potrebbe supporre un nesso tra il lavoro di glossatura di Israele e l’ambiente auxerrese.

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« Sed hae quidem quae divisivae sunt differentiae generum, completivae fiunt et constitutivae specierum »74.

Israele annota a margine : « lege peri physeon »75.Per quanto sia possibile identificare alcuni passi del dialogo eriugeniano come

plausibile oggetto del rimando di Israele76, l’indicazione potrebbe rimandare in senso lato al Periphyseon quale trattazione esaustiva del problema della divisione dialettica77.

Oltre alle glosse all’Isagoge — e alle ulteriori tracce dell’insegnamento eriugeniano rinvenibili in esse (tracce in realtà abbastanza generiche) — altre e più sostanziose testimonianze sparse nel lascito letterario di Israele ci mostrano la sua non occasionale frequentazione dell’opera di Giovanni Scoto, come ben mostra il dossier raccolto da Édouard Jeauneau78. ad attirare la nostra attenzione è in particolare una glossa apposta al commento di Remigio di Auxerre all’Ars minor di Donato — glossa tuttavia non dovuta a Remigio79 —, nella quale si

74 Isagoge, ed. Minio-Paluello, p. 17.75 Frühmittelalterliche Glossen, ed. cit., p. 43.76 « [N.] Et quia de oppositionibus et similitudinibus deque differentiis est dictum, de earundem

reditu atque collectione ea disciplina quam ANALUTIKHN philosophi uocant breuiter dicendum uideo. A. Hoc quoque ordo poscit. Nulla enim rationabilis diuisio est siue essentiae in genera siue generis in formas et numeros siue totius in partes (quae proprie partitio nominatur) siue uniuersitatis in ea quae uera ratio in ipsa contemplatur, quae non iterum possit redigi per eosdem gradus per quos diuisio prius fuerat multiplicata, donec perueniatur ad illud unum inseparabiliter in seipso manens, ex quo ipsa diuisio primordium sumpsit. Sed prius de ETUMOLOGIA ipsius nominis quod est ANALUTIKH pauca edisseras — non enim mihi plane patet — necessarium esse uideo. N. ANALUTIKH a uerbo ANALUW deriuatur, id est resoluo uel redeo ; ANA enim re, LUW uero soluo interpretatur. Inde etiam nomen nascitur ANALUCIC, quod in resolutionem uel reditum similiter uertitur. sed ANALUCIC proprie de solutione propositarum quaestionum dicitur, ANALUTIKH uero de reditu diuisionis formarum ad principium eiusdem diuisionis. Omnis enim diuisio, quae a Graecis MERICMOC dicitur, quasi deorsum descendens ab uno quodam diffinito ad infinitos numeros uidetur, hoc est a generalissimo usque ad specialissimum, omnis uero recollectio ueluti quidam reditus iterum a specialissimo inchoans et usque ad generalissimum ascendens ANALUTIKH uocatur. Est igitur reditus et resolutio indiuiduorum in formas, formarum in genera, generum in OUCIAC, OUCIArum in sapientiam et prudentiam, ex quibus omnis diuisio oritur in easdemque finitur » (PP III, 526A-C, ed. jeauneau, CCM 162, p. 4-5).

77 Per la fortuna dell’insegnamento dialettico di Giovanni Scoto e in particolare del metodo dialettico della diuisio cfr. g. D’onoFrio, Die Überlieferung der dialektischen Lehre Eriugenas in den hochmittelalterlichen Schule, in Eriugena Redivivus. Zur Wirkungsgeschichte seines Denkens im Mittelalter und im Übergang zur Neuzeit cit., pp. 47-76.

78 Pour le dossier d’Israël Scot cit., pp. 30, 36 et passim.79 La glossa appartiene a una famiglia di codici del Commentum in cui sono state aggiunte

annotazioni dovute all’insegnamento di Israele, che è cronologicamente successivo a quello di Remigio : cfr. jeuDy, Israël le grammairien cit., pp. 188-189.

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rende evidente come Israele insegnasse una dottrina gnoseologica debitrice nei confronti della me-ontologia e della me-gnoseologia eriugeniane :

« dicitur autem res secundum Israhelem quicquid sentitur, uel intelligitur, uel latet. Sentiuntur corporalia, spiritualia intelliguntur, latet uero Deus et informis materia »80.

Una gerarchia delle facoltà conoscitive affine a quella attribuita da questa glossa a Israele è riferita da una glossa allo pseudo-agostiniano Categoriae decem trasmessa dal medesimo codice in cui Israele ha apposto le sue glosse all’Isagoge, il parigino latino 12949, al fol. 23bis, nonché dai mss. Avranches, Bibl. mun., 229, fol. 194r (X sec.) e Cambridge, Corpus Christi College, 206, fol. 24r (X sec.), in cui, citandosi in modo non letterale la definizione di natura con cui si apre il Periphyseon, le realtà quae non sunt vengono riferite con il verbo lateo, intendendo così la loro super-intelligibilità :

« natura generale nomen est omnium rerum et earum quae uidentur et quae mortalibus latent »81.

Focalizzando la nostra attenzione sulle glosse di Israele all’Isagoge, possiamo verificare come il loro autore — come già Giovanni Scoto — non mostri una particolare attenzione per le problematiche filosofiche toccate da Porfirio e sviluppate da Boezio. Come si sottolinea nell’introduzione all’edizione moderna82, le glosse di Porfirio a Israele non possono essere considerate come un’anticipazione di alcune delle posizioni emerse successivamente nella querelle degli universali, dal momento che appaiono rientrare in un contesto speculativo del tutto distante, come si può constatare considerando la glossa (n. 22 dell’edizione) a commento del passaggio introduttivo dell’Isagoge in cui si pone il problema dell’esistenza degli universali : la risposta di Israele ammette una duplice soluzione al quesito sull’incorporeità/corporeità degli universali a seconda del punto di vista secondo cui li si considera, dal momento che la sua lettura — come già in Giovanni Scoto

80 Remigii Autissiodorensis in Artem Donati minorem Commentum, ed. W. Fox, Leipzig 1902, p. 11 ; cfr. il commento in jeauneau, Pour le dossier d’Israël Scot cit., pp. 18-19.

81 Ed. Marebon, From the Circle of Alcuin cit., p. 186.82 « Die Universalienfrage als besonderes sachliches Problem wurde im 9. Jahrhundert also noch

nicht diskutiert. Die Glossen, die die Universalien betreffen, werden auch in der übrigen zu ihnen gehörigen Glossenmasse auf keine Weise hervorgehoben — dies taten erst Cousin und Haureau, die einseitig nur diese Ausführungen veröffentlichten. In den vorliegenden Isagogeglossen sind die Notizen über die Universalien sogar erst später eingefügt worden ; die drei Fragen des Porphyrius standen eben nicht im Vordergrund des Interesses » (von Walterhausen, Frühmittelalterliche Glossen zu des Angeblichen Jepa cit., p. 24).

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— si inserisce in una visione dell’ordine cosmico in cui il rapporto tra incorporeo e corporeo e la capacità della dialettica di descriverlo è un dato coerente con la Rivelazione, che non necessita di essere dimostrato, bensì compreso ed esplicato :

Tuttavia una noterella di argomento trinitario, indirizzata da Israele al suo vescovo Rotberto, prendendo le mosse dal trattato triadologico degli Opuscula sacra di Boezio83, sembrerebbe mostrare uno sviluppo anticipatore della terminologia ricorrente nelle posizioni realiste e vocaliste84 :

« Ideoque trinitas Deus, non trinus neque triplex. Nam trinus et triplex nomina sunt numeri quibus in rebus constat numerabilibus, id est multitudine rerum. […]

83 « Ergo in numero quo numeramus repetitio unitatum facit pluralitatem ; in rerum vero numero non facit pluralitatem unitatum repetitio, vel si de eodem dicam “gladius unus mucro unus ensis unus”. Potest enim unus tot vocabulis gladius agnosci ; haec enim unitatum iteratio potius est non numeratio, velut si ita dicamus “ensis mucro gladius,” repetitio quaedam est eiusdem non numeratio diversorum, velut si dicam “sol sol sol,” non tres soles effecerim, sed de uno totiens praedicaverim. Non igitur si de patre ac filio et spiritu sancto tertio praedicatur deus, idcirco trina praedicatio numerum facit. Hoc enim illis ut dictum est imminet qui inter eos distantiam faciunt meritorum » (boethius, Quomodo trinitas unus Deus ac non tres dii, cap. III, in Opuscula Sacra, edd. h. F. steWart, e. k. ranD, s. j. tester, Harvard University Press, Cambridge (MA) - London 1973, p. 14).

84 Sul ruolo della teologia trinitaria in questa disputa cfr. De libera, La querelle des universaux cit., p. 127.

PorPhyrius sec. translationem quam fecit Boethius, Isagoge, ed. l. Minio-Paluello, 1966 (Aristoteles Latinus, I, 6-7), p. 5, r. 10 :

Mox de generibus et speciebus illud quidem sive subsistunt sive in solis nudis puris que intellectibus posita sunt sive subsistentia corporalia sunt an incorporalia, et utrum separata an in sensibilibus et circa ea constantia, dicere recusabo (altissimum enim est huiusmodi negotium et maioris egens inquisitionis) ; illud vero quemadmodum de his ac de propositis probabiliter antiqui tractaverint, et horum maxime Peripatetici, tibi nunc temptabo monstrare.

israel scottus, Glossae in Porphyrium, edd. C. baeuMker, B. s. von Walterhausen, pp. 30-31, gl. 22 Frühmittelalterliche Glossen :

Prima q(ue)stio est, utrum genera et speties uere sint. sed sciendum est, quod non esset disputatio de eis, si non uere subsisterent. nam res omnes que uere sunt sine his esse non possunt, an corporalia ista sint an incorporalia. quod duobus modis accipitur. nam genus , si in eo quod genus sit, non que res natura constet, consideratur, semper incorporale est. […] cum uero res consid<er>>atur, unde genus et speties dicuntur, q(uan)do corporalium diuisio fit per genera in speties et eorum propria et differentiae nominatur, hec sensibili<a> esse, id est corporalia non dubium est.

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Sicut uerbi gratia, cum dicitur ‘sol, sol, sol’, istae tres unitates, id est tres unius nominis repetitiones, non faciunt trinam substantiam, nec multiplicant numerum rei in eo quod ipsa est, licet multiplicatio sit in uoce »85.

Considerato l’apporto delle discussioni grammaticali, il ruolo ispiratore della problematica teoretica svolto dall’Isagoge e l’innesco teologico-trinitario della querelle (emerso soprattutto nell’ambito del confronto tra Anselmo d’Aosta e Roscellino) si potrebbe ipotizzare che l’iniziale opposizione tra realisti e nominalisti sottendesse una preoccupazione epistemologica volta a distinguere, nell’intreccio tra gli ambiti disciplinari propri della grammatica, della dialettica, della filosofia e della teologia, le ragioni specifiche di ciascuna disciplina, e in primo luogo di evitare che la riflessione logico-ontologica avesse delle ricadute teologicamente eterodosse. Non deve infatti essere sottovalutato che la posizione roscelliniana, espressione di un particolarismo di scuola86, si scontra con la problematica ontologico-trinitaria — impugnata da Anselmo d’Aosta —, ma viene subito smorzata dallo stesso Roscellino, che rivendica senza eccessive preoccupazioni la propria ortodossia teologica, sia ricordando il proprio insegnamento romano sia rinunciando alle conclusioni teologiche del vocalismo, mostrando in ciò di seguire una prospettiva epistemologica in cui le ragioni della filosofia e quelle della teologia rimangono distinte87.

Al di là della difficoltà di dare una valutazione complessiva intorno alla posizione di Roscellino, considerata l’esiguità degli scritti superstiti, possiamo tuttavia chiederci se questo maestro possa essere considerato come un’espressione liminare di quella sistemazione metodologica riconducibile alla scuola tardo-carolingia, che pur coniugando lo studio delle arti liberali all’esegesi scritturistica e alla teologia aveva preservato il discorso teologico da una tendenza verso un modello di esplicabilità razionale e sistematicità prescindente dall’aspetto mistico-esperienziale scritturistico ed ecclesiale, che invece le scuole carolingie e ottoniane avevano mantenuto, eleggendo a fondamento della riflessione il teologumeno dell’indefinibilità divina.

La serie di glosse teologico-grammaticali che veniamo dall’esaminare mostrano come in alcune scuole carolingie e ottoniane si fosse innescato un processo di rinnovamento delle basi metodologiche del sapere teologico ed esegetico, in cui il

85 Israele ad Rotbertum archiepiscopum, ed. jeauneau, Pour le dossier d’Israël Scot cit., p. 28.86 Sulla scuola vocalista, di cui Roscellino sarebbe espressione e le cui origini andrebbero fatte

risalire a un certo Ioannes, attivo verso la fine degli anni Ottanta del Mille, cfr. Y. iWakuMa, ‘Vocales,’ or Early Nominalists, « traditio », 47, 1992, pp. 40ss.

87 Cfr. g. D’onoFrio, Anselmo e i teologi moderni, in P. gilbert, h. kohlenberger, e. salMann eds., Cur Deus homo. Atti del Convegno Anselmiano Internazionale, Centro studi anselmiano, Roma 1999, pp. 87-146, passim.

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paradigma dell’indefinibilità divina, unitamente agli elementi di argomentazione delle modalità dell’unione al divino hanno giocato a favore del delineamento di una teologia mistica in grado di avvalersi dell’ausilio argomentativo ed esemplificativo delle arti liberali, senza che questo destasse particolari problemi apologetici, essendo chiaro il ruolo allegorico-traslativo della razionalità nel riferimento al discorso teologico. Entro tale prospettiva di sapere la visione del mondo ispirata dalla Rivelazione trovò esplicazione argomentativa mediante l’ausilio delle arti liberali, considerate come mezzo di purificazione della razionalità finalizzata all’intellezione e alla super-intellezione delle realtà ultime, e mai come mezzo autonomo di dimostrazione dei contenuti super-intelligibili della Rivelazione.

le formulazioni incontrate — dalla locuzione almanniana « platonicus oculus », ai riferimenti alle dottrine platoniche in Giovanni Scoto88 — ci fanno comprendere come il confronto con la filosofia pre-cristiana tra i carolingi non poté dare vita a una ricezione di fondo, non tanto per la mancanza di una biblioteca di testi filosofici antichi, quanto per la salda consapevolezza, anche tra gli autori meno adusi all’apologetica, della divergenza paradigmatica tra i problemi della filosofia antica e i problemi speculativi comportati dalla Rivelazione, senza che ciò nulla togliesse alla validità metodologica dell’investigazione razionale e del confronto dottrinale nel concorrere alla comprensione della uisio mundi dettata dalle sacre scritture.

la tarda scuola carolingia e il suo Fortleben ottoniano arrivarono a una sistemazione della filosofia nel contesto generale del sapere rivelato in cui si trovava ribadito il topos patristico che voleva la filosofia essere una conoscenza legittima, scoperta e utilizzata — ma non inventata — dai filosofi gentili ante gratiam. Ci sembra tuttavia che la novità di questa scuola sia da identificare nella soluzione epistemologica raggiunta, nella quale riluce il preponderante contributo di Giovanni Scoto, per cui sapere teologico e sapere filosofico trovarono una concordia capace di dismettere quelle asperità apologetiche che ancora si leggevano negli autori della generazione precedente, ad esempio in Pascasio Radberto89 o in rabano Mauro90, e saranno destinate a tornare in auge tra i cosiddetti antidialettici un

88 « Solum tamen hominem ad imaginem dei factum manifeste diuina perhibet scriptura. De Platone sileo, ne uidear sectam illius sequi, qui diffinit angelos esse animalia rationabilia immortalia » (PP III, 732D, ed. jeauneau, CCM 163, p. 163) ; « …quamuis Plato angelum diffiniat animal rationale et immortale. Sed quod auctoritate sanctae scripturae sanctorumque patrum probare non possumus, inter certas naturarum speculationes (quoniam temerarium est) recipere non debemus » (PP IV, 762B, ed. jeauneau, CCM 164, p. 31). Sulla ricezione di Platone in Giovanni Scoto cfr. E. S. MainolDi, « Plato vero, philosophorum summus ». Indagine sulla ricezione di Platone in Giovanni Scoto, in Princeps philosophorum, pater philosophiae. Platone nell’Occidente tardo-antico, medievale e umanistico. Convegno di Studi del dottorato Fitmu, Fisciano (SA), 12-13 luglio 2010, in stampa.

89 Cfr. supra nota 7.90 Cfr. r. savigni, « Sapientia divina » e « sapientia humana » in Rabano Mauro e Pascasio Radberto,

in Gli umanesimi medievali, SISMEL - Edizioni del Galluzzo, Firenze 1998, pp. 604-605.

la ricezione Di PorFirio in età carolingio-ottoniana 67

secolo dopo, allorché la soluzione carolingio-ottoniana mostrò di essere arrivata a un’eclissi definitiva.

La concordia che attesta l’assimilazione alto-medievale dell’eredità filosofica antica riluce ancora dai versi di un autore ottoniano vissuto alla fine del X sec., Walther di Spira, ricordato dalle fonti con l’epiteto di Scholasticus, nei quali Porfirio è menzionato come maestro dell’antico sapere filosofico, sullo sfondo dell’immagine della veste di Filosofia con cui Boezio apre la sua Consolatio (I, 1) :

« Inde ubi maiorum tetigit nos cura ciborum,Porphirius claras nobis reseravit Athenas,Qua multi indigenae librabant verba sophistae.Cernere erat quandam vultu pollente puellam, Practica cui limbum pinxitque Qeorica peplum »91.

La crisi di questa concordia di sapere, inquadrata sullo sfondo della sua peculiarità epistemologica e non come conseguenza di una presunta evoluzione dei suoi principi metodologici, può essere posta al centro di un’indagine storiografica che si proponga di fare luce sul rapporto tra la ricezione di Porfirio nelle scuole carolingie e ottoniane e il ruolo giocato dall’Isagoge (e — in senso lato — dalle problematiche ontologiche e metodologiche ad essa soggiacenti) nelle querelles dell’XI secolo, che modificheranno in modo decisivo il rapporto tra filosofia e teologia, quale si era configurato per tutto l’alto-medioevo fino al X sec. Dalla contrapposizione tra dialettici e anti-dialettici alla polemica tra reales e uocales/nominales, nel cui contesto si cala la disputa sopra menzionata tra Roscellino e Anselmo, emerge l’affermarsi in teologia di una ratio dialettica, e del suo conseguente necessitarismo argomentativo, basata su una concezione affermativa e apodittica degli strumenti della conoscenza, a scapito dei princìpi dell’ineffabilismo e dell’apofatismo teologico, che aveva fatto breccia nelle scuole carolingie ed ottoniane, dietro l’influenza dell’insegnamento eriugeniano.

Questi princìpi, che promossero una concezione traslativa degli strumenti del triuium, riconducibile in ultima istanza a una concezione simbolista della conoscenza e del linguaggio in rapporto all’oggetto dell’indagine teologica, costituisce, a nostro avviso, una valida spiegazione del motivo per cui la ricezione di Porfirio venne confinata in epoca carolingia e ottoniana entro i limiti di un interesse metodologico, attento e approfondito, ma non disposto a rimettere in questione — riaprendo il vaso di Pandora che l’Isagoge presentava sigillato — l’ordinamento della realtà e la sua leggibilità alla luce della Rivelazione che la tradizione patristica e monastica tardo-antica aveva consegnato agli autori alto-

91 Libellus de studio poetae, qui et scolasticus, MGH, PLMA, V, p. 20.

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medievali, cedendo il passo alle aporie ontologiche e linguistiche che le tradizioni filosofiche tardo-antiche avevano lasciato dietro di sé.

L’XI secolo, segnato dalla decadenza del monachesimo, dallo scontro tra impero e papato — che essenzialmente originava da una crisi dell’ecclesiologia fino ad allora invalsa —, e, non da ultimo, dalla rottura dell’unità della cristianità, doveva aprire una crisi culturale epocale, la cui soluzione segnò il definitivo tramonto del modello del sapere alto-medievale, che le rinascite carolingie ed ottoniana avevano saputo interpretare non solo in una chiusura conservatrice, ma anche in un confronto con il sapere antico, in particolare quello neoplatonico, che condusse a una sua reinterpretazione in chiave cristiana.

Le diverse ricezioni della materia filosofica veicolata dall’Isagoge porfiriana, tra IX-X secolo, prima, e XI secolo, poi, mostrano precisamente la discontinuità tra i due paradigmi filosofico-religiosi con i quali detta materia ha avuto occasione di incontro.

aBstraCt

Through the identification of a possible, yet unnoticed, quotation in Periphyseon V from Boethius’ Second commentary on Porphyry’s Isagoge, a role by John Scottus Eriugena in the diffusion of porphyrian dialectical teaching in the late Carolingian Renaissance and Ottonian period is hypothesized. Nevertheless, the analysis of Eriugena’s paradigmatic approach to theological matter shows how the Irish master’s purpose focuses on the surpassing of dialectical-ontological domain in order to justify the resurrection of the bodies and the eschatological adunatio in Deo. Even if based on late antique dialectical knowledge, Eriugena’s debt toward Neoplatonic thinking is consequently limited to the exploitation of dialectical and ontological arguments, whereas his principal goal is to understand the dynamics of processio and reditus beyond natures, i.e. beyond the limits of ontology. The solution reached by John Scottus depicts the subsistence of individual differences even in eschatological unity, granted by the permanence of attributes. These results demonstrate that Eriugena cannot be considered a precursor of the disputes between realists and nominalist risen in the 11th century. The influence by John Scottus on the teaching of dialectics in the late Carolingian and Ottonian period is also investigated, showing how his mastership influenced not only the scholarly apprenticing of this discipline, but also spread his meontological vision among theologians.

ernesto sergio MainolDi, Fondazione Ezio Franceschini, [email protected]