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GENNARO CASSIANI «ADESSO MI ACCONCIO BENE» LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI FIRENZE LEO S. OLSCHKI EDITORE MMIX Estratto da: RIVISTA DI STORIA E LETTERATURA RELIGIOSA DIRETTA DA G. CRACCO - G. DAGRON - C. OSSOLA F. A. PENNACCHIETTI - M. ROSA - B. STOCK Anno XLV - N. 2 - 2009

«Adesso mi acconcio bene». La \"dissimulatio\" ascetica di Filippo Neri, in «Rivista di storia e letteratura religiosa», XLV (2009), pp. 283-309

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GENNARO CASSIANI

«ADESSO MI ACCONCIO BENE»LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI

F I R E N Z E

L E O S. O L S C H K I E D I T O R EMMIX

Estratto da:

RIVISTA DI STORIAE LETTERATURA RELIGIOSA

DIRETTA DA

G. CRACCO - G. DAGRON - C. OSSOLA

F. A. PENNACCHIETTI - M. ROSA - B. STOCK

Anno XLV - N. 2 - 2009

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Pubblicato nel mese di novembre 2009

Rivista di Storia e Letteratura Religiosadiretta da

GIORGIO CRACCO - GILBERT DAGRON - CARLO OSSOLA

FABRIZIO A. PENNACCHIETTI - MARIO ROSA - BRIAN STOCK

Periodico quadrimestraleredatto presso l’Universita degli Studi di Torino

Direzione

Cesare Alzati, Giorgio Cracco, Gilbert Dagron, Francisco Jarauta,Carlo Ossola, Benedetta Papasogli, Fabrizio A. Pennacchietti, Daniela Rando,

Mario Rosa, Maddalena Scopello, Brian Stock

Redazione

Linda Bisello, Sabrina Stroppa, Giampiero Tulone

Articoli

D. SCOTTO, Sulla soglia della «Cribratio». Riflessi dell’Islam nell’esperienza diNiccolo Cusano . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Pag. 225

G. CASSIANI, «Adesso mi acconcio bene». La dissimulatio ascetica di Filippo Neri » 283

M. MAZZOCCO, Creazione e relazione: la storia dell’uomo secondo Pierre deBerulle. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 311

A. MIRANDA, Il papa non ‘‘ammesso tra le grandi potenze’’. Benedetto XV e l’e-sclusione della Santa Sede dalla Conferenza di pace di Parigi. . . . . . . . . » 341

G. VIAN, Annuncio del Vangelo, obbedienza al papa e mitezza nel governo pa-storale. Il patriarca Roncalli attraverso le sue agende veneziane . . . . . . . » 369

Proposte

G.A. GILLI, Cycles of life of charisma: the case of Jesus . . . . . . . . . . . . . . . . » 395

Rassegne e discussioni

Storia dell’Europa medievale: vecchie e nuove ‘‘grandi narrazioni’’, a cura diD. Rando

D. RANDO, In margine a una tavola rotonda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 433

R. SCHIEFFER, Orizzonti europei nella medievistica tedesca (1945-1955) . . . . . » 439

J. HEIL, ‘‘Quel sogno della storia universale’’: immagini ideali e immagini defor-manti delle culture medievali europee nella ‘‘Storia dell’ebraismo’’ . . . . . » 447

Recensioni

H. TEULE, Les Assyro-Chaldeens. Chretiens d’Irak, d’Iran et de Turquie(M. Mengozzi) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 469

C. MARITANO, Il riuso dell’antico nel Piemonte medievale (M. Aimone) . . . . » 470

Ch. WIRSZUBSKI, Pic de la Mirandole et la cabale (A. Guidi) . . . . . . . . . . . . » 473

Emblemata sacra (E. Ardissino) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 478

«ADESSO MI ACCONCIO BENE»

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI

1. Maschere di «ineptia» e di «fatuita»

Il fondatore dell’Oratorio fu piu volte osservato dai romani nell’atto disaltare i gradini delle chiese a tre o quattro alla volta; non di rado vennevisto passeggiare disinvoltamente per la strada con la barba o i capelli rasatia meta. In talune occasioni, Filippo Neri fu adocchiato andare a spasso insottana. Ogni tanto, qualcuno sbigottı scorgendolo incedere con un cusci-no turchino in testa, ovvero annusando un mazzo di ginestre.

Filippo vestiva spesso in maniera ridicola. Quanto piu il carattere uffi-ciale delle circostanze avrebbe richiesto sobrieta e accuratezza dell’abbi-gliamento, tanto piu egli si compiaceva dell’esatto contrario: indossava abitivecchi, bizzarri, troppo lunghi o troppo corti, alla rovescia; cosı gli scarponibianchi sotto la tonaca scura, strane berrette, persino, in piena estate, unaveste foderata di pelle di volpe o, goffamente posata sulle spalle, una pel-liccia di martora che gli era stata regalata.

Non di rado, il Neri declamava versi profani al cospetto di qualchesconcertato ecclesiastico. Altre volte, come stralunato, saltellava balorda-mente in presenza di uomini di rango, di cardinali e di alti prelati; toccavaaltresı il mento di gentiluomini e dame, menava schiaffi, tirava barbe, ap-poggiava i suoi occhiali sul naso delle signore.1

ABBREVIAZIONI: ACO = Archivio della Congregazione dell’Oratorio di S. Filippo Neri(Roma); BAMi = Biblioteca Ambrosiana (Milano); BAV = Biblioteca Apostolica Vaticana (Cittadel Vaticano); BNCR = Biblioteca Nazionale Centrale ‘‘Vittorio Emanuele II’’ (Roma); BV = Bi-blioteca Vallicelliana (Roma); Processo = Il primo processo per san Filippo Neri nel codice VaticanoLatino 3798 e in altri esemplari dell’Archivio dell’Oratorio di Roma, edito e annotato da G. INCISA

DELLA ROCCHETTA e N. VIAN con la collaborazione del p. C. GASBARRI d’O., Citta del Vaticano,Libreria Editrice Vaticana, 1957-63, 4 voll.: I, 1957 (Testimonianze dell’inchiesta romana: 1595);II, 1958 (Testimonianze dell’inchiesta romana: 1596-1609); III, 1960 (Testimonianze dell’inchiestaromana: 1610. Testimonianze ‘‘extra Urbem’’); IV, 1963 (Regesti del secondo e del terzo Processo –Testimonianze varie. Aggiunte e correzioni alle note dei volumi I-III. Indice Generale).

1 Cfr. Processo, IV, Indice Generale dei nomi e delle cose, alla voce: Filippo Neri. Bizzarrie e burle.

Dai propri figli spirituali Filippo non differisce: ordina ai suoi padri dicantare e ballare in presenza di porporati;2 detta a un suo penitente di ra-dersi la barba a meta;3 a un altro impone di andare suonando una campa-nella per Campo dei Fiori e Via dei Giubbonari;4 a Marcello Vitelleschi, alculmine della calura estiva, prescrive di recarsi a fare un’«imbasciata» a Ce-sare Baronio con addosso quella bizzarra pelle di volpe che gia egli era so-lito indossare.5

Con Giovanni Francesco Bordini e Giovan Battista Vipera, il Neri feceanche di piu: «comando» loro «che si spogliassero, in chiesa di S. Girola-mo, et andassero ignudi per la strada». Senza alcuna esitazione i due si re-carono «a fare l’obbedienza», ma vennero fermati in extremis.6

Il medesimo ferreo imperativo di umilta intellettuale che imponeva alFiorentino di «mortificare la rationale»,7 parimenti gli dettava di simulare«poco senno» e «leggieri costumi»8 al fine di inibire le manifestazioni diriverenza che molti avrebbero voluto concedergli nell’atto d’incontrarlosulla pubblica via o a domicilio e, cosı facendo, «levarse il nome di santo».9

2 Ivi, II, p. 341 (Fabrizio Massimo, 30 settembre 1609).3 Ivi, II, p. 228 (Ignazio Festini, 21 maggio 1610).4 Ivi, p. 229.5 Ivi, III, p. 318 (Marcello Vitelleschi, 16 giugno 1610).6 Ivi, III, p. 280 (Germanico Fedeli, 8 giugno 1610).7 Processo, II, p. 26 (Francesco Zazzara, 23 gennaio 1596); ivi, IV, p. 103 (Giacomo Crescenzi,

6 marzo 1611); Alcuni ricordi e consigli del beato Filippo Neri fondatore della Congregazione del Ora-torio per fare progresso e conservarsi nella vita dello spirito e nel fervore a far tuttavia maggior progressoin esso spirito [ACO, A. III. 9], in S.F. NERI, Gli scritti e le massime, a cura di A. CISTELLINI, Prefa-zione di M. MARCOCCHI, Brescia, La Scuola, 1994, pp. 150-174: 151). Il tante volte ribadito impera-tivo nerino a «mortificare la rationale» sottende condanna dell’orgoglio intellettuale e non ripulsa del-l’umana applicazione conoscitiva (cognitio veritatis). Sulla questione, cfr. G. CASSIANI, «Valetesollecitudines, beata tranquillitas» fra libri e collezioni. Filippo Neri nel suo studiolo, in «Annali di storiamoderna e contemporanea», XIII, 2007, pp. 241-279: 260n.-261n.).

8 «Conciosiacosache il Santo fu grande dissimulatore [...] per rispetto del volersi sempreoccultare [...] hora con certe facetie gravi e modeste, et con alcun detto e scherzo pieno di sua-vita, [che] allegrava quelli con cui conversava; et hora con parlare cosı oscuro di certe cose, cherecava maraviglia e faceva che altri dubitassero del suo gran senno; et oltre ai detti veniva ancoraai fatti talvolta facendo esso, overo comandando che si facessero alcune cose, che potevano muo-vere ammiratione, e generare nella mente dei poco savi alcun sospetto, che gli fosse di leggiericostumi, e troppo semplici [...]. Laonde quell’allegrezza e quei modi piacevoli e gratiosi, non pro-cedevano da altro, che dallo studio di volere se medesimo occultare, e dare a vedere a ciascunoche in se haveva mezzana bonta, e comune, e non meritevole che fosse ammirata». F. BORROMEO,Philagios sive de amore virtutis libri duodecim, BAMi, F 12 inf., pp. 555-558 (Il nono libro checontiene alcuni detti, e fatti di S. Filippo Nirio [sic]: 529-616).

9 «Io so, che, con una semplicita cristiana, occultava la sua prudentia e il suo sapere, pernon esser tenuto, in openione de sanctita, ma come un huomo ordinario, per levarse il nomedi santo». (Processo, cit., IV, p. 23: Antonino Berti, 28 luglio 1610).

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La regola di Filippo Neri e dissimularsi per rimanere occulto.10

Et in questo, di occultarse – dichiara Agostino Manni –, era mirabile, cercan-do occasioni di disprezzarsi e di farse tenere per inetto; e nel parlare, nel quale nondava li titoli debiti, et a cardinali et altri, che andavano in camera sua, non faceva lisoliti complimenti, dava del «voi»; portava alcune veste corte, e per camera, si las-sava veder con quelle; e non accompagnava giu per le schale. E quando veniva al-cuno prelato, o altro, a casa nostra a desinare, doppo faceva venire uno, che suo-nava il liuto, e faceva chiamare un padre, detto Antonio Gallonio, il quale sapevaalcune stanze alla norcina, e commandava, che cantasse quelle stanze; et, ad altri,faceva raccontar alcune favole redicole. Tal che io, nel vedere queste cose, mi con-tristavo, dubitando, che quelli se ne sarebbono scandalizato. E similmente, facevamolte altre cose, e in chiesa e fuor di chiesa, per le quali ogni sacerdote haveriapotuto perder il credito. Et esso lo faceva a posta, per perderlo, et per esser tenutoinetto. Perche haveva questa massima, che uno, che non fusse atto a soportare laperdita dell’honore, non potesse far profitto, nelle cose del spirito, e che il disprez-zo della gloria et de l’honore, in Roma, era necessario, perche, in quella, piu che inniuna altra citta, si distribuivano li honori.11

Le voci dei testi del processo di canonizzazione compongono un coroeufonico: il repertorio nerino di ostensioni di «ineptia» e di «fatuita»12 vol-te ad attirare la derisione della moltitudine per farne profitto ascetico eraoltremodo fornito.

I motteggi canzonatori13 che poi fiorivano sulle bocche dei testimoni diquelle tante «redicole attioni» soddisfacevano l’intento mortificante colti-vato dal loro artefice tutto speso a «cielare la sua prudentia, e farsi cono-

10 «[...] sempre dissimulava et non voleva si sapesse quel che era». Ivi, I, p. 278 (SimoneGrazzini, 8 agosto 1595). «Era uomo molto prudente et non si mostrava quello che era». Ivi,I, p. 269 (Marcello Vitelleschi, 10 ottobre 1595). «[...] fingeva di ridere e burlare, per essere risolui et burlato, et per non esser stimato, ne conosciuto per santo, come era». Ivi, II, p. 22 (Fran-cesco Zazzara, 23 gennaio 1596). «Era prudentissimo, se ben cercava di coprirse con una santasemplicita; et desiderava et cercava, che le genti non lo tenessero per quel che era, sı in santita,come in prudentia; et era inimico delle dimostrationi et ostentioni in publico et di manifestarse,come ben ci ha dimostrato [...]». Ivi, II, p. 104 (Giovanni Battista Zazzara, 27 luglio 1596).

11 Ivi, IV, pp. 104-105 (Agostino Manni, 28 marzo 1611); cfr. anche A. MANNO [MANNI],Ammaestramenti salutari, e degni di memoria del beato Filippo Neri [...], in Essercitii formati dalp. Agostino Manno da Canthiano della Congregatione dell’Oratorio, in Roma, appresso GiacomoMascardi, 1608, pp. 415-445: 424).

12 Processo, cit., II, p. 36 (Agostino Cusani, 28 gennaio 1596).13 «Filippone», «vecchio matto», «barbogio», «imbarbuscito». Ivi, II, p. 37 (Agostino Cu-

sani, 28 gennaio 1596); ivi, II, p. 342 (Fabrizio Massimi, 30 settembre 1609); ivi, III, p. 253n.(Francesco Maria Pucci, deposizione extra processuale, successiva al 29 agosto 1610); ivi, IV,p. 72 (Pietro Paolo Crescenzi, 10 settembre 1610).

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 285

scere per sciocco».14 Allo stesso tempo pero quei medesimi sberleffi tradi-vano una diffidenza trepida; chi li proferiva sanzionava il turbamento mi-surato, risarciva un punto di debolezza offeso. Del resto si sa, nel riso didileggio e nelle pose «di superiorita» rispetto al folle o presunto tale, si ma-schera sempre «il timore» che la sua logica diversa ma «altrettanto struttu-rata e resistente» di quella condivisa «costituisca un grave rischio per lapresunta inattaccabilita del sistema di pensiero corrente», le «leggi» delquale, allorche sottoposte a un «sguardo straniante», si rivelano «discutibilie quindi incerte», risucchiando nel dubbio «l’intero sistema logico».15

La gente aveva in conto il preposito dell’Oratorio come un uomo assen-nato, di retti costumi e di santa vita? Ecco invece il religioso goffo, scostu-mato,16 presuntuoso,17 finanche sfornito di adeguata preparazione.18 Un’e-sperienza poi, quest’ultima, che, quando non veniva bruscamente rigettataricorrendo a parole taglienti o a un riso repressivo,19 costringeva l’osserva-tore a fronteggiare dubbi spinosi: E se padre Filippo non fosse la persona

14 Ivi, III, p. 223 (Tiberio Astalli, 17 maggio 1610).15 C. D’ANGELI – G. PADUANO, Il comico, Bologna, Il Mulino, 1999, pp. 16-17.16 Piu volte riferito dai testi e l’episodio di Filippo che, invitato a pranzo dal cardinale Mi-

chele Bonelli, si presenta con un pignatta di legumi. Il porporato, traendo da quel gesto motivo diprofonda edificazione, dividera l’umile piatto con il Padre. Processo, cit., II, p. 46 (Antonio Gal-lonio, 31 gennaio 1596); ivi, II, 343 (Fabrizio Massimi, 30 settembre 1609); ivi, III, p. 271 (Ger-manico Fedeli, 8 giugno 1610). A quanto pare, la vicenda ebbe larga risonanza a Roma: «Alcunisi ridevano et burlavano del beato padre, et, tra questi [...] v’erano anco molti cardinali: et miricordo che il card. Alessandro Farnese, il card. Sant’Angelo [Ranuccio Farnese], il card. Gio-vanni Francesco Gambaro [Gambara], il card. Correggio [Girolamo da Correggio] et altri si bur-lavano et ridevano del beato Filippo. Et io lo so, perche non era mai giorno, che io non mi tro-vassi con alcuno di detti cardinali, et, quasi ogni giorno, dicevano qualche burla di detto beatopadre, et mi domandavano spesso: ‘‘Quante minestre ha mangiato hoggi il p. Filippo? Quanticapponi ha havuto hoggi? Quante minestre, messer Marcello, son toccate a voi? Quanti pignat-tini gli son stati portati?’’. Et ogni giorno mi facevano simili interrogationi, et duro questo permolti et molti anni, et s’era divulgata questa cosa per Roma, et se ne parlava pubblicamente, finoin Banchi. Et io, che sapevo di certo la sua grandissima austerita et parcita, nel mangiare et bere,non mi possevo tenere, et mi voltavo con parole cercavo di fargli capaci, et fargli la correttione,ma non giovava». Ivi, III, p. 45 (Marcello Ferro, 23 aprile 1610).

17 «Mandava a dire a’ cardinali che venissero da lui, e quando havessero tardato rimandavaa dir loro ch’era vergogna a far aspettare un par suo». BNCR, Fondo s. Francesca Romana, 13,Detti, e fatti del nostro glorioso padre s. Filippo [...], in Alcune attioni, detti et ammaestramentidel nostro glorioso padre s. Filippo Neri [...], f. 27r (intera silloge: 26r-27r); il manoscritto, nellasua interezza, abbraccia i ff. 1r-27r.

18 «[...] il p. messer Filippo era solito di dir messa tardo [sic], et un prelato ve si ritrovo, alla suamessa, che ’l padre se ne era accorto. Et, nel dire messa, fece alcuni barbarismi, over latini falsi, a posta; etil giorno mi trovai, quando diceva al sacristano: ‘‘Be’, che ha detto quel prelato?’’. Et il sacristano se nerise [...] e il padre non disse altro». Processo, cit., I, p. 385 (Domenico Giordani, 24 novembre 1595).

19 Cfr. il classico lavoro di H. BERGSON, Il riso. Saggio sul significato del comico [1924], In-troduzione di F. CECCARELLI, traduzione e note di F. STELLA, Milano, Rizzoli, 2001 (Ia ed. 1961;ed. or.: Paris, Presses Universitaires, 1947).

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che ha credito di essere? Quei suoi atteggiamenti sconvenienti non sonoforse una prova allarmante della mal riposta stima di cui egli e investito?Paradigmatico puo dirsi il caso di alcuni «signori polacchi» che, recatisidal Neri «per devotione», se ne partirono assai scossi («molto ammirati»)e con i sentimenti definitivamente mutati («non lo tennero piu come pri-ma»).20

La persona in maggiore intimita si concede invece piu tempo ma, perquanto si arrovelli, non sa quale avviso prendere.21 Alla fine, si contristae fatica persino a trovare il coraggio di confessare il proprio imbarazzo. Sov-viene allora il dovere di carita del Padre: «va sinceramente – disse un giornopadre Filippo a un afflitto Matteo Guerra – [...] mi dovevi dire, che tu ti eriscandalizato di me, perche burlava cosı; sappi che io l’ho fatto a posta».22

Fra le tante bizzarre trovate che hanno alimentato il cliche della frescabriosita del santo fiorentino lettore delle facezie del curato mugellano Ar-lotto Mainardi,23 ve ne e una piu complessa delle altre: «Venendo un car-dinale da lui – scrive Pietro Consolini – [il Padre] fece gittar molti giovaniin terra come morti per la scala».24

Non e nota l’identita del personaggio che, sopraggiunto in visita, si tro-vo dinanzi quell’allestimento quasi plastico. Dopo tutto, non e di troppoconto. Quanto mi pare piu interessante notare e che quel porporato non

20 «Un giorno [...] – riferisce Pietro Consolini –, venutolo a visitare alcuni signori polacchi,saputo che venivano da lui per devotione che li havevano, mi fece, per esser tenuto senza devo-tione, leggere alcuni libri faceti; et quelli signori si partirono molto ammirati, che non lo tenneropiu come prima, per quello che si poteva vedere; et il padre lo fece a posta, per non essere tenutoet stimato; et questo lo so io, che mi chiamo a posta, per farmi leggere detti libri, et diceva a quellisignori: ‘‘Che vi credete che io facci? Fo leggere queste sorti de libri, et questi sonno [sic] bonilibri’’». Processo, I, p. 43 (17 agosto 1595).

21 «[...] mi veniva in fantasia – ammette il proprio dubbio Matteo Guerra – che il ’l padrenon fosse quella persona, che era tenuta, facendo cosı le burle: et questo io non lo conferii connessuno». Processo, cit., II, p. 58 (Matteo Guerra, 21 febbraio 1596).

22 Ibid.23 Sul Neri lettore delle facezie del pievano Arlotto Mainardi (con disappunto dei suoi ospiti),

cfr. Processo, cit., II, p. 37 (Agostino Cusani, 28 gennaio 1596); ivi, I, p. 43 (Pietro Consolini, 17agosto 1595). In ACO, C. I. 39, Die 28 Maii 1595. Inventarium bonorum repertorum in camerisbonae memoriae r. p. Filippi [sic] Nerii, factum de ordine nostrae Congregationis assistentibus re-verendis patribus Pompeo Paterio et Germanico Fedeli ad hoc deputatis a dicta Congregatione,f. 17r (intero documento: 3r-20r; l’Inventarium librorum e compreso tra i ff. 10r e 20r), figura l’item«Piovano Arlotto et altri», identificabile con Scelta di facezie, tratti buffonerie, motti, e burle. Ca-vati da diversi autori. Nuovamente racconcie, e messe insieme, in Firenze, appresso i Giunti, 1579[BV, S. Borr. S. IV. 35 (1)], censito in Libreria di s. Filippo, in Messer Filippo Neri, santo: l’Apo-stolo di Roma, Catalogo della mostra (Roma, Biblioteca Vallicelliana: 24 maggio-30 settembre1995) in occasione del IV centenario della morte di san Filippo Neri (1515-1995), a cura diB. TELLINI SANTONI e A. MANODORI, Roma, De Luca, 1995, p. 113 (scheda nº 311).

24 BNCR, Fondo s. Francesca Romana, 13, Detti, e fatti, cit., f. 27r.

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 287

assistette a una delle solite simulazioni di inettitudine concepite dal Neri alfine di coprirsi di vergogna agli occhi dei benpensanti. Nel caso di specie, ilsenso alluso sembra piu complesso. Parrebbe quello di un magistero spiri-tuale nocivo, si direbbe addirittura ‘assassino’ per il tramite dei suoi perver-si ammaestramenti.

E forse possibile – mi chiedo – rintracciare un referente testuale diquella silenziosa performance? E possibile affacciare un’ipotesi: potrebbetrattarsi dell’emblema della Ficta religio inscritto nella fortunata edizionedel 1546 della fortunatissima raccolta emblematica di Andrea Alciato,ove in margine alla figura di una prostituta assisa su un trono regale e ab-bigliata in abiti purpurei, la quale serve ai suoi adepti una coppa di liquorevenefico, il testo sottostante recita: «Regali residens meretrix pulcherrimasella, / Purpureo insignem gestat honore peplum. / Omnibus et latices ple-no e cratere propinat. / At circum cubitans ebria turba iacet. / Sic Babylo-na notant: quae gentes illice forma, / Et ficta stolidas religione capit».25

E plausibile che il Neri fosse in sintonia con siffatti contenuti all’atto disceneggiare con attori in carne ed ossa il proprio indegno magistero mora-le? Di significare per via figurata l’immeritato credito di santita del qualeveniva coronato? A mio avviso, sebbene nell’Inventarium librorum26 delFiorentino non vi sia traccia dell’Emblematum libellus, se non un prelievodiretto, favorito da un prestito librario di cui non e rimasta memoria, alme-no una corrispondenza di ordine concettuale con l’emblema della Ficta re-ligio non e inopinabile.27

Il Neri, specie sull’affollata scena pubblica, si affidava spesso a un me-tro espressivo dagli attributi iconici28 suggellati da un silenzio favorevole

25 A. ALCIATO, Emblematum libellus, nuper in lucem editus, Venetiis, apud Aldi filios, 1546[BAMi, F. B. 5008], emblema VI, f. 5r.

26 Cfr. supra, nota 23 e passim; anche CASSIANI, «Valete sollecitudines, beata tranquillitas» fralibri e collezioni, cit., pp. 241-279; ID., Padre Filippo e le ‘‘Indie’’. Alle radici del progetto missio-nario dell’Oratorio, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», LXII, 2008, 1, pp. 47-80.

27 Il soggetto emblematico della Ficta religio sara accolto con qualche variante dall’Iconologiadi Cesare Ripa sin dalla editio princeps senza figure: «Religion finta. Donna, con habito grave, etlungo, a sedere in una sedia d’oro, sopra un’Hidra di sette capi, havendo detta Donna una Coronain testa, tutta piena di gioie risplendenti, con molti ornamenti di veli, et d’oro; nella destra manoha una Tazza d’oro, con una Serpe dentro. Innanzi a lei sono molti inginocchiati, in atto di ado-rarla, et alcuni ne sono morti per terra; perche i falsi ammaestramenti degl’empii allettano conqualche apparenza di piacere, o di finta commodita terrena, ma al fine preparano l’Inferno nell’al-tra vita, et le calamita nella presente, che per secreti giudicii di Dio, vengono in tempo non aspet-tato». C. RIPA, Iconologia overo descrittione dell’imagini universali cavate dall’antichita et da altriluoghi [...], in Roma, per gli heredi di Gio. Gigliotti, 1593 [BNCR, 6. 19. E. 20], p. 238.

28 «Il nostro Santo Padre se ne ando un giorno da Papa Gregorio XIV con una pagnotta, et unpugnale sotto, et arrivato che fu, et ammesso all’udienza caccio fuori il pane, e l’arme mostrandoli a

288 GENNARO CASSIANI

ad attivare una meditazione parimenti silente.29 L’uomo che non amava le«persone troppo discorsive»,30 ma che faceva piene le sue rarissime missivedi metafore ardenti,31 non di rado, de visu, ricorreva a un lessico cosı«oscuro [...] che recava maraviglia».32 Ogni tanto, il suo eloquio diventavaellittico33 o ermetico;34 talvolta calcava il registro del paradosso.35 Il Padre

sua Santita, con che il Santo pretese [...] di avvisarlo che v’era bisogno di giustitia, e di abbondanza».BNCR, Fondo s. Francesca Romana, 13, Alcune attioni, detti et ammaestramenti, cit., f. 15r-v.

29 Sulla disciplina in locutione, come alone della solitaria conversatio e della cognitio sui, cfr.il fine lavoro di L. BISELLO, Sotto il ‘‘manto’’ del silenzio. Storia e forme del tacere. Secoli XVI-XVII, Firenze, Olschki, 2003, pp. 28-50.

30 «Dispiacevano al nostro s.to Padre [...] le persone troppo discorsive, che percio risposead alcuni religiosi, che ammiravano la felicita di memoria, che il medesimo Santo conservava nel-l’eta decrepita, rispose, dico, il Santo: ‘‘Chi non ha voluto discorrere in gioventu, non divienebarbogio in vecchiezza’’». BNCR, Fondo s. Francesca Romana, 13, Alcune attioni, detti et ammae-stramenti, cit., f. 8r-v.

31 Cfr. la lettera del Neri alla nipote suor Maria Anna Trevi, in data 30 agosto 1585, inS.F. NERI, Gli scritti e le massime, cit., pp. 68-71.

32 BORROMEO, Philagios, cit., p. 556.33 «[...] spesso soleva dire: ‘‘Cupio’’, senza dir altro, ma ben sapevamo noi, che havevamo,

la prattica sua, che voleva dire: ‘‘Cupio dissolvi et esse cum Christo [...]’’». Processo, IV, p. 70(Pietro Paolo Crescenzi, 10 settembre 1610).

34 «Parlando il beato Padre delli studii diceva che li megliori et piu profittevoli libri per im-parare erano quelli che cominciavano per ‘‘S’’». Il redattore della silloge di ricordi e consiglichiosa: «cioe libri de’ santi, come s. Agostino, s. Gregorio, s. Bernardo et simili». (Alcuni ricordie consigli, cit., p. 172); mi faccio lecito ritenere che nel novero dei libri «megliori et piu profitte-voli», il Padre includesse anche quelli di Savonarola. Sull’abbondante patrimonio di opere delfrate ferrarese compreso nella raccolta privata nerina, cfr. l’eloquente quadro offerto in Libreriadi s. Filippo, cit., pp. 112-113 (schede n.ri 303-310).

35 Filippo Neri – scrive Consolini – asseriva che «bisognava cercar Christo dove Christonon e, cioe nelle croci e tribolazioni dove hora non e, ma sı bene nella gloria». BNCR, Fondos. Francesca Romana, 13, Alcune attioni, detti et ammaestramenti, cit., f. 16r. Nella frase di FilippoNeri, si coglie un invito a recepire l’appello mobilitante che il simbolo della Croce rivolge ad ognicredente. A monte, sussiste certamente un alto concetto del valore delle immagini (e delle provedisseminate sul cammino esistenziale di ogni uomo), ma anche la viva consapevolezza che il cri-stiano e chiamato a saper trarre profitto nel giusto modo dalle icone sacre e dalle «tribulationi»(con le figure mentali generate tanto dalle prime quanto dalle seconde), sapendo cogliere nell’im-magine del divino una preziosa risorsa vivificante la pieta religiosa e la dottrina stessa, cosı comeindicava lo Specchio di Croce (1476) del Cavalca, un classico del quale il Neri non mancava nellasua libreria. Cfr. ACO, C. I. 39, Die 28 Maii 1595. Inventarium bonorum, cit., f. 19r: «Specchio diCroce», identificabile appunto con D. CAVALCA, Specchio di Croce [...], in Venetia, presso Gior-gio de’ Cavalli, 1565 [BV, S. Borr. S. I. 42 (3)], censito in Libreria di s. Filippo, cit., p. 94 (schedanº 95). Sui contenuti del fortunatissimo lavoro del domenicano, in cui spicca l’insistenza sul sim-bolismo della Croce, paragonata a un libro-specchio, emblema del Maestro in cattedra, esem-plare compendio didascalico della legge di Dio, cfr. almeno C. DELCORNO, Cavalca, Domeni-co, in Dizionario Biografico degli Italiani, 22, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1979,pp. 577-586: 583-584; D. ZARDIN, Mercato librario e letture devote nella svolta del Cinquecentotridentino. Note in margine ad un inventario milanese di libri di monache, in Stampa, libri e letturea Milano nell’eta di Carlo Borromeo, a cura di N. RAPONI e A. TURCHINI, Milano, Vita e Pensiero,1992, pp. 135-246: 173-174).

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LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 289

– osserva Germanico Fedeli – teneva il piu possibile «coperta» la sua «mol-ta prudenza divina et humana» nell’atto di «ragionare»,36 ma quando ri-nunciava a un protocollo retorico velato (spezzato e analogico), gli fiorivasulle labbra un eloquio «senza fuco, senza doppiezza, ma con realta», ilquale sconcertava oltremodo le «persone di molta prudenza mondana» egli individui «doppii».37

In Filippo Neri, si misurano almeno tre modalita espressive: mimica (sul-la scena sociale), verbalmente allusiva (piu con gli intimi che con gli estranei),piana e ordinaria (nella conversazione con gli allievi, ma anche con i notabiliabituati alla sovrabbondanza di riguardo formale verso le loro persone).

In tutti e tre i casi, mentre si protendeva a nascondersi aderendo a unprincipio di abnegatio sui, il Fiorentino tentava di determinare nell’astanteun fecondo effetto di straniamento. Anzitutto, di fronte alle sue esibizionigrottesche; altre volte, dinanzi alle sue sentenze criptiche; altre ancora, alcospetto della sua familiarita discorsiva del tutto inaspettata e che lasciavasospesi tra attrazione e ripulsa.

L’osservatore non superficiale si sarebbe animato di raccogliervi gli ar-gomenti latenti o appena adombrati,38 ora interrogando le ragioni ispirati-ve di un abbigliamento tanto sconveniente; ora interrogando gli effetti dirifrazione del breviloquio; ora infine ricercando l’elusivo fondo di sensodi uno stile relazionale tanto negletto da lambire l’oltraggio.

Filippo Neri si manifestava eclissandosi e presenziava mancando, tant’eche qualcuno poteva consentirsi di asserire che «tanto piu si occultava, tan-

36 Processo, III, p. 265 (Germanico Fedeli, 8 giugno 1610).37 Ibid. Padre Filippo – scrive Bacci – «aborrı oltre modo ogni affettazione, tanto in se,

come negli altri, cosı nel parlare come nel vestire, e in tutte l’altre cose; fuggendo in particolarealcune cerimonie, che hanno del secularesco, e alcuni complimenti, che si usano per le corti [...];onde, non s’accomodava volentieri quando aveva da trattare con persone di prudenza mondana;ma soprattutto gli dispiaceva il trattare con le persone doppie che non andavano con lealta, eschiettezza nel negoziare; e fu capital nemico delle bugie, che percio ricordava spesso a’ suoi,che se ne guardassero come dalla peste». P.G. BACCI, Vita di s. Filippo Neri [...], in Roma, ap-presso il Bernabo, e Lazzarini, 1745 (Ia ed.: Roma, A. Brugiotti, 1622), p. 158.

38 Mouchel descrive un Filippo Neri che non disdegna di farsi «personaggio». «La meravi-glia prodotta e una divergenza tra quello che si vede e quello che si crede, divergenza che pro-duce il dubbio e rammenta che ogni grazia e dubbiosa. Ognuno sa che questo procedimento e unprocedimento, non di meno necessario. Perche, quand’anche essa fosse scoperta, la figura non eridotta e non scompare, ma gli astanti ritengono la volonta di figura in un discorso che potrebbeessere quello della trasparenza». Lo studioso prosegue osservando che la «rettorica dell’emphasise il linguaggio obbligato della sincerita e della giusta coscienza di se»; aggiunge pure, cogliendo lapresenza di «un essenziale inespresso» nella forma retorica nerina, che lo «stile enfatico supponeuna specie di diffidenza verso una pretesa chiarezza o trasparenza del discorso, secondo la qualele idee potrebbero essere perfettamente espresse dalle parole». C. MOUCHEL, San Filippo e i cap-puccini. Retorica ed eloquenza dopo il concilio di Trento, in «L’Italia francescana», LXIV, 1989, 5,pp. 493-516: 508 e n., 512, 513n.

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to maggiormente era conosciuto».39 E che la grazia divina «traluceva» inlui «come un lume acceso dentro una lanterna; ne la poteva tener tanto ce-lata, che non trasparesse».40

Le maschere del «grande dissimulatore»,41 maschere ironiche42 votatea ottenere l’investitura della follia da parte del iudicium multitudinis, rap-presentavano altresı un artificio pedagogico affidato allo shock dell’inattesoe alle molte aporie da esso lasciate sul terreno.

Vertiginosa contemplazione dell’inesprimibile e tensione spirituale con-sapevole della propria perenne inadeguatezza alla meta aprivano a muteostensioni di ineptia-fatuitas aderenti all’eloquenza afasica della via misticanegativa; effondevano segni inquietanti che, quando non venivano brusca-mente esorcizzati con parole di scherno, determinavano immediati effettiintrospettivi.

2. In guisa di «un altro Simon Salo»

Identificare gli ambiti di estrazione dei ‘costumi di scena’ dei quali Fi-lippo Neri era solito valersi quando recitava il copione dell’ineptus e del fa-tuus per fare raccolto di mortificazione risulta piuttosto complicato. Pensan-do al capo o alla barba rasata a meta, all’aperta, sistematica contraddizionedel decorum e della gravitas affidata agli abiti rivoltati, bizzarri, impropri e auna gestualita frenetica in aperto conflitto con la precettistica della piacevo-lezza dellacasiana,43 si puo congetturare una certa dimestichezza del Fioren-tino con gli attributi grotteschi del buffone di tradizione teatrale popolaregia medievale.44 Non va escluso pero che, a riscontro delle informazioni rese

39 Processo, I, p. 193 (Antonio Gallonio, 11 settembre 1595).40 MANNI, Ammaestramenti salutari, e degni di memoria, cit., p. 424.41 BORROMEO, Philagios, cit., p. 555.42 Eijrwneiva (dissimulatio) e «un atteggiamento psicologico secondo cui l’individuo cerca

di parere inferiore di quello che e: si svaluta da solo». P. HADOT, La figura di Socrate, in ID.,Esercizi spirituali e filosofia antica, a cura di A.L. DAVIDSON, nuova ed. ampliata, trad. it., To-rino, Einaudi, 2005 (ed. or.: Paris, Etudes augustiniennes, 1987; Ia ed. it.: Torino, Einaudi,1988), pp. 87-117: 93-94). Sull’ironia, cfr. il magistrale lavoro di V. JANKELEVITCH, L’ironia,a cura di F. CANEPA, trad. it., Genova, Il Melagolo, 1997 (Ia ed. it. 1987; ed. or.: Paris, Flam-marion, 1964).

43 Cfr. con ulteriori rinvii P. BURKE, Sogni, gesti, beffe. Saggi di storia culturale, Bologna, IlMulino, 2000 (ed. or.: Cambridge, Polity Press, 1997), in particolare, pp. 88 ss.

44 Cfr. il classico saggio di R. KLEIN, Il tema del pazzo e l’ironia umanistica, in ID., La forma el’intelligibile. Scritti sul Rinascimento e l’arte moderna, Prefazione di A. CHASTEL, trad. it., Torino,Einaudi, 1975 [ed. or.: Paris, Gallimard, 1970], pp. 477-497: 478-479).

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 291

dagli atti del processo di canonizzazione, un attento vaglio dei piu fortunatirepertori di imprese e di emblemi del pieno Cinquecento – splendidi monu-menti di un sistema culturale per il quale faceva fede l’oraziano ut picturapoesis non meno che il detto di Simonide di Ceo, tradito da Plutarco,che la pittura e poesia muta e la poesia pittura parlante – possa addurrequalche buon indizio di possibili prelievi selettivi da sottoporre a verifica.

Se quanto appena detto puo valere per quanto concerne il ‘guardaroba’di maschere dissimulatorie del quale il Padre era fornito, altro discorso vafatto circa la cornice referenziale che di quei travestimenti ispirava l’adozio-ne e della muta praedicatio di quelle ‘pitture in movimento’ la sapiente regia.

Cesare Baronio, negli Annales, riconduce le multiformi performances diaffettata insania allestite dall’illustre inquilino di S. Girolamo della Carita epoi della Vallicella alla lezione della Prima ai Corinzi;45 il cardinale Agosti-no Cusani46 (e non solo lui fra i deponenti al processo di canonizzazione) leconnette al florido motivo della sancta semplicitas con le sue profonde ra-dici patristiche.47 Pietro Giacomo Bacci, pur ricordando che il Padre aveva«sempre [...] nella mente» il paolino «Si quis videtur inter vos sapiens esse,stultus fiat, ut sit sapiens» [I Cor 3, 18.]»,48 fa qualcosa di piu: evoca unFilippo Neri che agisce «a similitudine di Simone Salo», «a guisa di un altroSimon Salo»,49 ovvero del siriano Simeone di Emesa (oggi Homs), figura dispicco fra i monaci «moroi (folli), saloi (idioti), execheuomenoi (ebbri)» delIV-VI sec. d.C., celeberrimi per le loro follie nella folla: quelle tipiche mi-

45 Cfr. H. JEDIN, Il cardinale Cesare Baronio. L’inizio della storiografia ecclesiastica cattolicanel sedicesimo secolo, Brescia, Morcelliana, 1982 (ed. or.: Munster, Westfalen, Aschendorff,1978), pp. 76-77 (Appendice. Ringraziamento del cardinale Cesare Baronio al beato Filippo Neri,fondatore dell’Oratorio, per gli Annali ecclesiastici [1598/9]: 73-78).

46 «[...] essendo [Filippo Neri] di tanta prudentia, cosı nelle cose temporali, come in quelledello spirito, elli le copriva e cercava di coprirla con una santa semplicita, che, ad alcuni, parevaineptia o fatuita. Et percio, faceva alcune attioni, che alcuni le giudicavano ridicole, come saria ilsaltare in presentia de’ prelati e cardinali, dar delli schiaffi a donne e gioveni, dire alcuni versi de’libri de battaglia [letteratura cavalleresca], et farne all’improvviso». Processo, cit., II, p. 37 (Ago-stino Cusani, 28 gennaio 1596).

47 Cfr. J. LECLERCQ, Cultura umanistica e desiderio di Dio. Studio sulla letteratura monasticadel Medio Evo, trad. it., Prefazione di P.C. BORI, Firenze, Sansoni, 1965 (ed. or.: Paris, Cerf,1957), p. 276; G. OURY, Idiota, in Dictionnaire de spiritualite. Ascetique et mystique. Doctrineet histoire, VII/II, Paris, Beauchesne, 1970, coll. 1242-1248; TH. SPIDLIK – F. VANDENBROUCKE,‘‘Foux pour le Christ’’, ivi, V (1964), coll. 752-661 (En Orient, a cura di SPIDLIK) e coll. 761-770(En Occident, a cura di VANDENBROUCKE); M. DE CERTEAU, L’illettre eclaire dans l’histoire de lalettre de Surin sur le jeune-homme du coche, in «Revue d’ascetique et de mystique», XLIV, 1968,pp. 369-412; ID., Fabula mistica. La spiritualita religiosa tra il XVI e il XVII secolo, trad. it., Bo-logna, Il Mulino, 1987 (ed. or.: Paris, Gallimard, 1982), pp. 71-90 e passim.

48 BACCI, Vita di s. Filippo Neri, cit., pp. 158-159.49 Ivi, p. 163.

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sure di «isolamento nella moltitudine» adottate dall’eremitismo cristianoorientale nel momento in cui, lasciato il deserto, prese dimora in una «col-lettivita», dove «l’idiozia» era in grado di isolare «piu di una cella».50

Evagrio di Epifania51 e soprattutto Leonzio di Neapoli52 offrono reso-conto dettagliato delle gesta di «Simeone monaco» (VI sec.) allorche costui,abbandonato il suo prolungato ritiro all’insegna di un «prendersi gioco delmondo»,53 volle mettere alla prova sulla piazza di Emesa la granitica ajpav-qeia conquistata e liberarsi dell’ultima umana debolezza: la vanita (kenodo-xiva) dell’elevazione ascetica raggiunta.54

Condotto a termine un «vivifico» pellegrinaggio al Santo Sepolcro,55 ilmonaco siriano, «il quale aveva deposto la tunica della vanagloria al puntoda sembrare a chi non lo conosceva una persona con la mente sconvolta,benche in realta fosse ricolmo di tutta la sapienza e la grazia di Dio»,56

giunse a Emesa con un programma infallibile: «rimanere nascosto fino allasua dipartita da questo mondo, sı da scampare alla fama degli uomini cheingenera nell’individuo quella superbia, quell’alto sentimento di se che an-che ad angeli ha fatto perdere il cielo».57

Simeone salov" fece il suo solenne ingresso sulla scena mondana nelmodo seguente: «trovato nel letamaio fuori della citta un cane morto», sisciolse la propria «cintura di corda» e, dopo averla legata «alla zampa» del-la carogna, «prese a correre» trascinandola dietro di se fra le grida, gli in-sulti e le percosse della gente.58 Il meglio, pero, doveva ancora venire: ve-

50 DE CERTEAU, Fabula mistica, cit., p. 79; cfr. l’intero I cap. (Il monastero e la piazza: folliefra la folla), alle pp. 71-90.

51 EVAGRIO DI EPIFANIA, Storia ecclesiastica, Introduzione, traduzione e note a cura diF. CARCIONE, Roma, Citta Nuova, 1998 [IV, 34], pp. 243-246

52 LEONZIO DI NEAPOLI, Vita e condotta dell’abbas Simeone, soprannominato il Folle per Cri-sto, scritta da Leonzio, vescovo di Neapoli nell’isola di Cipro, in I santi folli di Bisanzio. LEONZIO DI

NEAPOLI, Vita di Simeone Salos. NICEFORO PRETE DI SANTA SOFIA, Vita di Andrea Salos, a cura diP. CESARETTO, Introduzione di L. RYDEN, Milano, Mondadori, 1990, pp. 39-93. Per l’edizionecritica, cfr. L. RYDEN, Das Leben des heiligen Narren Symeon von Leontios von Neapolis, Stockholm-Goteborg-Uppsala, Almquist und Wiksell, 1963.

53 LEONZIO DI NEAPOLI, Vita, cit., p. 63.54 L. RYDEN, Introduzione, in LEONZIO DI NEAPOLI, Vita, cit., p. 7 (intera Introduzione: 5-

32). Sulla determinazione di Simeone di Emesa a misurare sulla scena urbana la propria raggiuntaajpavqeia, cfr. anche DE CERTEAU, Fabula mistica, cit., p. 79. E la «linea della apatheia», dell’im-passibilita, «l’elemento costitutivo della tradizione monastica orientale». G. MICCOLI, La storiareligiosa, in Storia d’Italia, a cura di R. ROMANO e C. VIVANTI, II/1, Dalla caduta dell’Impero ro-mano al secolo XVIII, Torino, Einaudi, 1974, pp. 431-1079: 934.

55 LEONZIO DI NEAPOLI, Vita, cit., p. 65.56 EVAGRIO DI EPIFANIA, Storia ecclesiastica, cit. [IV, 34], pp. 243-244.57 LEONZIO DI NEAPOLI, Vita, cit., p. 65.58 Ivi, p. 66.

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 293

stito dell’abito religioso, «il folle per Cristo» abbraccia persone di ambo isessi in mezzo alla pubblica via e, incurante, si spoglia dinanzi a tutti. Com-pletamente nudo, accede a un bagno femminile. In seguito, finge di violareuna donna sposata; accetta senza protestare la taccia di aver sedotto unaserva; non tralascia neppure visite al lupanare; si lascia vedere allegramentedanzare con due ballerine alla volta, frequentare circensi, teatri, bassifondi;finanche gradire le attenzioni delle prostitute, passeggiare con una lunga‘stola’ di salsicce intorno al collo e, per fare completa la sceneggiata dellapropria golosita, impugnare anche un vasetto di mostarda.

Simeone, «servo occulto di Dio» (kruptov" dou~lo" tou~ qeou~), possiede ca-rismi straordinari: risana, profetizza, converte subitaneamente. I doni diviniconcessigli, ogni tanto, sfavillano da sotto lo sviante panneggio che li tienecelati. In tali casi, tuttavia, il monaco corre il «rischio»59 di far cadere lamaschera di insania che tiene calata sul suo volto come baluardo del plausodella sapienza del mondo e antidoto della vanagloria. Per porre rimedio al-la «rottura della finzione»,60 la misura alla quale egli ricorre e intensificarel’opacita del proprio sembiante: compiere gesti tanto stolti e offensivi dainnescare disgusto e violenta riprovazione cosı da spegnere all’istante l’im-pulso sorgivo di devozione e annichilire la fama di santita che sta per pren-dere il volo.

«Talvolta, in pubblico – scrive Evagrio – [Simeone] si comportava inmodo da sembrare che fosse senza senno e, dunque, privo di qualsiasi ca-pacita di pensare e ragionare. Capitava infatti, che avendo fame, egli entras-se in una taverna e si mettesse ad assaggiare cotture e verdure che vi tro-vava; ma se qualcuno con un cenno di testa lo riveriva, si adirava e se neandava immediatamente, per timore che la sua virtu fosse scoperta dallamoltitudine».61

Il salov" si manifesta negandosi e si dichiara occultandosi: oltraggia re-ligiosi e notabili, sgambetta i passanti, scaglia pietre, gesticola convulsa-mente, simula invasamento. Si sforza di apparire, piu ancora che un cattivocristiano, un soggetto del tutto privo di costumi: se varca il portale di unachiesa, lo fa solo per disturbare la liturgia; appena puo, si rimpinza a cre-papelle di pasticceria; s’ingozza di lupini come un «orso»;62 e solito man-giare carne come un senza-Dio; sceglie il Giovedı Santo per sedersi trion-fante al tavolo dell’osteria.

59 L. RYDEN, Introduzione, cit., p. 10.60 Ibid.61 EVAGRIO DI EPIFANIA, Storia ecclesiastica, cit. [IV, 34], p. 244.62 LEONZIO DI NEAPOLI, Vita, cit., p. 75.

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«Eccentrico, sbracato, gioviale e brutale», «il monaco folle» – osservaMichel de Certeau – «e un provocatore che vuol ‘‘rovesciare l’attivita edi-ficante’’. Porta arditamente la trasgressione sul terreno dei benpensanti. Ir-rita, diverte, si tira addosso ammirazione e percosse, ma non svia il linguag-gio verso cio che non ha luogo. Non seduce».63

Che padre Filippo, un uomo «al limite ed oltre il limite», lo ha definitoHans Urs von Balthasar,64 trattenesse in camera propria due rare reliquie«sancti Simonis monaci»65 risulta suggestivo: il dato si combina con l’os-servazione di Bacci e anche con l’accostamento del Neri a Efrem il Siro,a Simeone di Emesa e al filosofo Socrate formulato da Federico Borromeonel De vera et occulta sanctitate,66 un trattato, quest’ultimo, non privo diaffinita con il De occultis Dei beneficiis del cardinale veneziano, antico men-tore dell’arcivescovo lombardo, Agostino Valier.67

63 DE CERTEAU, Fabula mistica, cit., p. 80. Su Simeone di Emesa, cfr. anche SPIDLIK – VAN-

DENBROUCKE, ‘‘Foux pour le Christ’’, cit., col. 757; P. BROWN, La cristianita orientale e occidentalenella tarda antichita: la divergenza [1976], in ID., La societa e il sacro nella tarda antichita, trad.it., Torino, Einaudi, 1988 (ed. or.: London, Faber and Faber Ldt, 1982), pp. 128-155: 141 e152n.

64 H.U. VON BALTHASAR, Gloria. Una estetica teologica, V, Nello spazio della metafisica, II,L’epoca moderna, trad. it., Milano, Jaca Book, 1991 (Ia ed. it.: 1978; ed. or.: Einsiedeln, JohannesVerlag, 1965), p. 136 (pp. 131-136: Santi folli) con accostamento del Neri proprio a Simeone diEmesa in una cornice che inscrive altresı Iacopone da Todi, Angela da Foligno, Giovanni Colom-bini e Giovanni di Dio. Riprende l’osservazione del teologo tedesco L.G. BELLA, Filippo Neri.Padre secondo lo Spirito, Milano, Jaca Book, 2006, p. 115, il quale definisce Filippo Neri «un il-lustre trasgressore di frontiere, non solo spirituali ma del vivere quotidiano».

65 ACO, C. I. 39, Die 28 Maii 1595. Inventarium bonorum, cit., ff. 8r e 9r.66 Cfr. FEDERICO BORROMEO, De vera et occulta sanctitate libri tres, 1621, pp. 167-168, con

rinvio agli annessi Additamenta ad libros de vera et occulta sanctitate, nn. 2-4. Ritengo improba-bile che le due reliquie appartenute al Neri fossero dell’armeno san Simeone ({ 1016), monaco diS. Benedetto di Polirone (Mantova).

67 Nella cornice del De occultis Dei beneficiis (BAMi, Z 166 sup.) redatto nel 1596 e subitotrasmesso manoscritto al giovane Federico Borromeo, nel libro I, capitolo VI (Quod bonum in-cognitum sit latere; et quod saepe qui latere maxime cupiunt, illustriores et celebriores fiunt), il car-dinale veneziano, presule di Verona, Agostino Valier offre tributo al trattatello di Plutarco sulLavqe biwvsa" e cosi pure all’ovidiano «Bene qui latuit, bene vixit», cogliendo in quegli antichiprecetti di pubblico occultamento preordinato alla cognitio sui le savie premesse del santo lateredi Ilarione di Gaza, Paolo ‘‘il Semplice’’ e Antonio, il ‘‘patriarca dei monaci’’. Negli exempla diquesti ultimi, Valier ravvisa i preliminari dell’ascesi nell’umilta e nell’oblio di se di san Benedetto,san Domenico, san Francesco d’Assisi e di tutta la loro feconda progenie di «institutores» e di«patres» di familiae religiosae [cito dall’edizione stampa: A. VALIER, De occultis Dei beneficiis libritres [...], Veronae, apud haeredem Augustini Carattoni, 1770, pp. XVIII-XX: XIX], fra i quali epressoche indubitabile che il porporato inscrivesse anche il Padre della Congregazione dell’Ora-torio, nel trattato dedicato a Borromeo intitolato Quatenus fugiendi sint honores (1587-88), dallostesso Valier definito il «ecclesiasticus Socrates» («primitivae Ecclesiae dignus sacerdos, sancto-rum Benedicti, Dominici, Francisci dignus discipulus») e, nella prova d’arte intitolata Philippus,sive de christiana laetetia dialogus (1591) direttamente omaggiata al Fiorentino, «christianus So-crates», «Socrates nostri temporis». Cfr. ID., Quatenus fugiendi sint honores ad Federicum Bor-romaeum S.R.E. Cardinalem, in Spicilegium romanum, a cura di A. MAI, VIII, Romae, 1842,

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 295

Forse videro giusto Ponnelle e Bordet osservando che le «strane pro-dezze» del Neri erano «uguali soltanto a certe bizzarrie dei Padri del De-serto, l’esempio dei quali, conosciuto attraverso Cassiano», pote «averlo in-coraggiato».68

Non e questo il luogo per sottoporre a piu estesa analisi una eventualeimitatio nerina del «santo folle» di Emesa.69 Mi riprometto di farlo altrove.Equivarra a tentare di fare luce su una delle possibili linee di sutura traconsumi librari del religioso fiorentino e la sua proposta ascetico-pedago-gica, sfuggendo alla prospettiva vistosamente inaffidabile che, minimizzan-do l’outillage mentale di padre Filippo, tende a enfatizzare il carattere ‘in-ventivo’ della sua iniziativa fondatrice70 e profilare una specie inedita di

pp. 157-158: 157; ID., Il dialogo della gioia cristiana [edizione del Philippus, sive de christianalaetitia dialogus], testo latino, traduzione e introduzione a cura di A. CISTELLINI d’O., Prefazionedi N. VIAN, Brescia, Editrice La Scuola, 1975, pp. 8-9.

68 L PONNELLE – L. BORDET, San Filippo Neri e la societa romana del suo tempo (1515-1595),trad. it. con Prefazione di G. Papini, Firenze, Libreria editrice fiorentina, 1986 (Iª ed. it.: 1931;ed. or.: Paris, Librairie Bloud & Gay, 1928), p. 89. Sulla familiarita del Neri con le opere di Gio-vanni Cassiano e le Vitae patrum nonche le forti predilezioni collegiali filippine verso la lettera-tura patristica, in specie greca, cfr. Processo, II, p. 76 (Pietro Paolo Crescenzi, 18 aprile 1596); ivi,II, p. 236 (Angelo Vittori, 24 agosto 1599); si veda inoltre A. CISTELLINI, San Filippo Neri. L’O-ratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualita, Prefazione del card. C.M. MARTINI, I,Brescia, Morcelliana, 1989, in particolare, pp. 102-106. Sulla tradizione delle Vitae Patrum, il ri-ferimento fondamentale e C. DELCORNO, La tradizione delle ‘‘Vite dei santi padri’’, Venezia, Isti-tuto veneto di Scienze, Lettere e Arti, 2000.

69 Mi pare interessante quanto dichiara Angelo Vittori «[...] una mattina, lo trovai, che leg-geva la vita de’ Santi Padri. Et arrivato io lı, mi disse il padre: ‘‘Vedi quello che leggo? Questolibro da vechii [sic] pari miei’’ Questo, de chi si parla qui, ha lasciato il mondo, la robba et cio chehaveva, per servire Dio, ma non basta». Processo, cit., II, p. 236 (24 agosto 1599).

70 Marcando le distanze da A. TALPA, Istituto della Congregatione dell’Oratorio [1599],ACO, A. II. 35, ff. 1r-33r, edito in G. INCISA DELLA ROCCHETTA, Il trattato del p. Antonio Talpasulle origini e sul significato dell’Istituto della Congregazione dell’Oratorio, in «Oratorium», IV,1973, 1, pp. 5-37 (intero allestimento: 3-41), Ponnelle e Bordet attribuiscono ai sodali e non aFilippo in persona la «filosofia» dell’Oratorio, ovvero il disegno di una «via media» tra la vitanel secolo e quella monastica. «Filippo non pensava a tante cose quando manteneva lo stato se-colare per i suoi preti» (PONNELLE-BORDET, San Filippo Neri, cit., p. 262). L’intero lavoro dei duebiografi francesi abbonda di voci come «invenzione», «invento», «inventore»; «Filippo – scri-vono – non e uomo di teorie. Nessun documento lascia credere ch’egli concepisse per pura ri-flessione alcun disegno di apostolato. Non previde ne l’Oratorio, che uscı naturalmente dall’in-contro tra i suoi primi figli spirituali, ne la Congregazione, sorta anch’essa dagli sviluppidell’Oratorio. Fa le cose lı per lı, non ha nulla di premeditato. Tutto in lui e tatto, intuizione im-mediata, reazione subitanea agli avvenimenti». Ivi, p. 93. Lo stesso A. CISTELLINI, Filippo Nerisanto fiorentino, in «Memorie oratoriane», 1995, 17, pp. 7-66: 17, insiste sulle molteplici «genialiinvenzioni del fiorentino Filippo Neri». Al motivo dello spontaneismo dell’esordio della pedago-gia religiosa nerina, non si sottrae neppure M.T. BONADONNA RUSSO, Origine e sviluppo dell’O-ratorio di san Filippo Neri, in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», LV, 2001, 1, pp. 3-17: 5-6;«spontaneita», «inventore», «intuizione» sono voci che aprono il contributo di EAD., La culturastorica nella Congregazione dell’Oratorio, in San Filippo Neri nella realta romana del XVI secolo,Atti del convegno di studio in occasione del IV centenario della morte di San Filippo Neri (1595-1995), Roma, 11-13 maggio 1995, a cura di M.T. BONADONNA RUSSO – N. DEL RE, Roma, 2000,pp. 69-88: 69.

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individuo originale e spontaneo, del tutto impermeabile al clima culturale ereligioso del suo tempo.71

3. «Che te ne pare?». Ostensioni di ineptia-fatuitas con regia ascetica e sen-timento del contrario

Un’intera tradizione di studi e solita dare adeguato risalto allo «sperne-re mundum, spernere nullum, spernere se ipsum, spernere se sperni» chespesso ricorreva con valore programmatico sulle labbra di Filippo Neri.72

Non mi sembra, tuttavia, ci si sia troppo interrogati sul significato che po-teva rivestire per il Fiorentino quell’antica sentenza legata a MalachiaO’ Morgair e a Bernardo di Chiaravalle.73 Cosa intendeva dire Goethequando osservava che la «massima di san Bernardo» fosse divenuta per ilNeri «fonte di nuovi, vigorosi, sviluppi»?74

Ancorche sino ad oggi trascurato, pare illuminante l’apporto esegeticodi Antonio Rosmini, il quale traduce il distico con «spregiare il mondo,altrui non ispregiare, spregiare se stesso, ma dispregiare anche l’avere aspregio se stesso».75 Stando dunque alla lezione del Roveretano, lo «sper-

71 A. CISTELLINI, I libri e la libreria di san Filippo Neri, in «Memorie oratoriane», 1997, 18,pp. 7-43: 7, e categorico: «Il clima culturale precedente e concomitante il Concilio di Trento –dottrine, scuole, maestri – non influenzo ne tanto meno condiziono Filippo Neri, che ne rimasedel tutto estraneo».

72 Cfr. Processo, cit., I, p. 192 (Antonio Gallonio, 7 dicembre 1595); ivi, II, p. 27 (France-sco Zazzara, 23 gennaio 1596); ivi, II, p. 37 (Agostino Cusani, 28 gennaio 1596); ivi, II, p. 111(Giacomo Pamphili, 6 agosto 1596); ivi, III, p. 266 (Germanico Fedeli, 8 giugno 1610); Alcuniricordi e consigli, cit., p. 150.

73 La sentenza, citata con lievi varianti da Bernardo di Chiaravalle, Bernardino da Siena eFrancesco di Sales, e un distico che ricorre di frequente nei manoscritti antichi della Vita Mala-chiae, col titolo Versus s. Malachiae episcopi. L’attribuzione al presule irlandese, amico del grandeChiaravallese, Malachia O’ Morgair ({ 1148), risulta comprovata anche da un sermone di Geof-frey d’Auxerre. Cfr. Processo, II, p. 27n., con ulteriori rinvii.

74 J.W. GOETHE, Viaggio in Italia, Introduzione di I.A. CHIUSANO, Prefazione di M. FAN-

CELLI, trad. it., Milano, Garzanti, 1998 (Ia ed. 1983), pp. 516-531: 522; Filippo Neri, il santo umo-rista); cfr. anche ivi, pp. 363-365 (riflessioni del 26 maggio 1787, ricorrenza della morte delNeri). Sulla fortuna del perspicace ritratto del Fiorentino inscritto nell’Italienische Reise conside-rato poi dal cardinale Newman, da Hofmannsthal, da Meinecke e da Schopenhauer «un gioielloletterario assoluto e anche un esempio di storia dell’anima», si sofferma R. DE MAIO, Filippo Nerifra Goethe e Schopenhauer, in Scrivere di santi, Atti del II Convegno di studio dell’Associazioneitaliana per lo studio della santita, dei culti e dell’agiografia (Napoli, 22-25 ottobre 1997), a curadi G. LUONGO, Roma, Viella, 1998, pp. 325-330: 326. Del «profilo» del Neri a firma di Goethe einvece di ben diverso segno il giudizio anonimamente formulato (da Antonio Cistellini) in Note ecommenti (S. Filippo mito europeo?), in «Memorie oratoriane», 1997, 17, p. 136: «ben poca cosae, criticamente, di nessun conto».

75 A. ROSMINI, Lo spirito di s. Filippo Neri [1843], a cura di F. DE GIORGI, Brescia, LaScuola, 1996, p. 21.

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 297

nere se sperni» del Neri non significava, come di solito ritenuto, «non sicurare d’essere disprezzato»,76 «spregiare di essere dispregiato», «indiffe-renza assoluta al disprezzo altrui»,77 «completa indifferenza verso l’opi-nione del mondo».78 Lo «spernere se sperni» del Padre voleva dire qual-cosa di piu complesso e anche di piu fine: anzitutto, osservare umiltanell’atto stesso di umiliarsi; imporre la signoria dell’Umilta sulla medesimapratica di umilta.79 Insomma: oltre a spregiare se stessi, riuscire a spregia-re anche il medesimo disprezzo di se stessi, facendo dell’humilitas l’esattocontrario di un esercizio austero e compunto che autorizzasse la lusinga.Penso che: nella mente del Neri fosse piena la consapevolezza che lo«spernere se ipsum», specie sull’onda della lode altrui, rimanesse espostoal pericolo dell’orgoglio e, quindi, di un completo quanto paradossale an-nullamento del percorso di elevazione intrapreso. Come lo «spernere nul-lum» era chiamato a contrastare la vanita che insidiava lo «spernere mun-dum» (sdegnare il mondo, ma senza sdegnare nessuno), cosı lo «spernerese sperni» doveva sbarrare il passo alla superbia che attentava allo «sper-nere se ipsum». La misura era dunque privare lo sdegno di se stessi di unaformula facilmente rispettabile, ad esempio, in ragione di maceranti digiu-ni e continue discipline. Imporre invece allo «spernere se ipsum» una mo-dalita espressiva disordinata, sconveniente e apparentemente invalidanteche richiamasse taccia di «ineptia» e di «fatuita», forse anche espressionidi dileggio.80

Demistificando la prassi dell’umilta per rispettarne al massimo l’idea,Filippo Neri riteneva raggiungibile (ma, naturalmente, mai raggiunta) la

76 MANNI, Ammaestramenti salutari, e degni di memoria, cit., p. 417.77 G. GABRIELI, Federico Borromeo a Roma, in «Archivio della R. Societa Romana di Storia

Patria», LVI-LVII, 1933-1934, p. 194 (intero saggio: 157-217); cfr. anche PONNELLE-BORDET,San Filippo Neri, cit., p. 88.

78 V. FRAJESE, Filippo Neri, santo, in Dizionario biografico degli italiani, 47, Roma, Istitutodell’Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1997, pp. 741-750: 743.

79 Filippo Neri era solito dire che «il diavolo non si vinceva meglio (essendo esso superbis-simo) che con l’humilta» (Alcuni ricordi e consigli, cit., p. 150). Alimentata dall’attributo agoni-stico del verbo ‘‘vincere’’, l’espressione del Padre veicola un’immagine di combattimento spiri-tuale forse non estranea a una celebre lezione esegetica agostiniana: «In figura Christi David,sicut Goliath in figura diaboli: et quod David prostravit Goliam, Christus est qui occidit diabo-lum. Qui est autem Christus qui diabolum occidit? Humilitas occidit superbiam». AGOSTINO,Enarrationes in Psalmos, XXXIII, 4 (cfr. PL, 36, col. 302).

80 «Che se io non parlassi a savie persone, non leverei certo somma lode a questa agevolezzadello spirito di Filippo. Stima il volgo l’arduo ed il portentoso. Ma sa il dotto che l’estrema per-fezione dell’arte e in ascondere l’arte stessa, in occultare lo sforzo, e il difficile, sebbene nel casonostro, ne anche la somma facilita dell’opera celar potea l’inarrivabile perfezione dell’opera». RO-

SMINI, Lo spirito di s. Filippo Neri, cit., p. 37. Sul motivo dissimulatio artis, cfr. P. D’ANGELO, Arsest celare artem. Da Aristotele a Duchamp, Macerata, Quodlibet, 2005.

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«perfettione della vita spirituale».81 Significativo e del resto che egli rac-comandasse ai suoi allievi di non «attaccarsi tanto alli mezzi, che si la-sciasse il fine», sapendo che «vi eran alcuni che attendevano tanto alli di-giuni, discipline, mortificazioni corporali che non pensavano niente alfine, cioe amar Dio et innamorarsi di esso, e mortificare la rationale». Ec-cedere nel «digiunare, farsi discipline e altre simili cose» – soleva dire ilFiorentino – e vano e pure pericoloso: puo essere causa di danno alla«complessione» e, soprattutto, motivo di «superbia», parendo di «haverfatto qualche gran cosa».82

Fedelissimo all’insegnamento del proprio antico direttore di coscien-za,83 nei suoi Semina rerum sive de Philosophia christiana, Federico Borro-meo cosı scrive dell’umilta:

Grande e questa virtu, ma certamente malagevole d’acquistarsi, imperciochequelle cose, che al nostro parere ci dovrebbono essere di giovamento, dannose so-vente le proviamo [...]. Nel punto medesimo che tu credi d’esser umile tu non sei,e quando fra te stesso pensi d’umiliarti non lo fai. Essempio ne sia (e forse singo-lare) il sonno, il quale, se di presente si ha, non sappiamo ne pensiamo d’averlo, e

81 Alcuni ricordi e consigli, cit., p. 150. «Alias dixerat che non era arrivato a spernere sesperni». BNCR, Fondo s. Francesca Romana, 13, Detti, e fatti, cit., f. 26r.

82 Alcuni ricordi e consigli, cit., pp. 151-152; cfr. MANNI, Ammaestramenti salutari, e degnidi memoria, cit., p. 419. Le parole del Neri appaiono in sintonia con l’avvertimento alla «discre-tione» nella pratica di veglie, digiuni e flagellazioni veicolato dalla Via de aperta verita (1523) deldomenicano osservante Battista Carioni da Crema: la disciplina fisica, di per se non decisiva alraggiungimento della perfezione, rischia di tradursi in un grave motivo di superbia. Cfr. BATTISTA

DA CREMA, Via de aperta verita [...], in Venetia, per Bastiano Vicentino, 1532 [BAV, R. G. Teol.V. 1799], ff. 135r-136r. Sull’esercizio della penitenza mediato dalla mortificazione della volonta enon della carne, insiste anche Serafino Aceti de’ Porti da Fermo, volgarizzatore, biografo e apo-logista di Battista da Crema, gli scritti del quale furono posti all’Indice sin dal 1552 (cfr. Q. MAZ-

ZONIS, Spiritualita genere e identita nel Rinascimento. Angela Merici e la Compagnia di Sant’Or-sola, Milano, F. Angeli, 2007, p. 139). Sulla «larga popolarita» degli scritti di Serafino daFermo «negli ambienti filippini» e le opere del canonico lateranense elencate nell’Inventariumlibrorum del Neri, cfr. CISTELLINI, San Filippo Neri, cit., p. 106 e n. (anche per la citazione).Sul travagliato cammino di ricerca spirituale dei primi barnabiti, con ampi richiami alle relazionitra questi ultimi e gli oratoriani, nonche riferimenti ai punti di affinita fra i canoni di lettura delledue congregazioni (aperta a Cassiano e Battista da Crema, quella barnabita; a Cassiano e Serafinoda Fermo, quella filippina), cfr. E. BONORA, I conflitti della Controriforma: tra santita e obbe-dienza nell’esperienza religiosa dei primi barnabiti, Firenze, Le Lettere, 1998.

83 Federico Borromeo definisce Filippo Neri il suo «gran padre» nelle note diaristiche rac-colte nelle Tumultuariae tabulae, BAMi, G 309 inf., fasc. 35 [nota] 18, p. 16; ivi [n.] 20, pp. 18-19; ivi [n.] 38, p. 28. Alle peculiarita della direzione spirituale del Neri e dedicato Il maestro delcuore. La direzione spirituale in san Filippo Neri, Atti del Convegno internazionale di studi (Roma,23-27 gennaio 1995), a cura di G. FINOTTI, Brescia, Morcelliana, 1997. Sull’esercizio della dire-zione di coscienza in eta moderna, il riferimento e oggi la Storia della direzione spirituale, dir. daG. FILORAMO, III, L’eta moderna, a cura di G. ZARRI, Brescia, Morcelliana, 2008; cfr. in partico-lare la densa Introduzione della stessa ZARRI, compresa tra le pp. 5 e 53.

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 299

col pensare d’esser a lui vicini, da esso s’allontaniamo; e talora gli argomenti di fardormire dal sonno ci distolgono e maggiormente ci svegliano.84

Ancora piu eloquente risulta un passo dei sempre borromaici Coniecta-nea, I:

L’umilta e difficile d’acquistarsi, perche quelle cose che doverebbero (pare)esser d’aiutto son di danno [...]. Nel punto medesimo che sai d’esser umile,non lo sei, e quando tu dici fra te stesso: Ora mi umilio e questo e atto di umilta,non sara umilta [...]. Il credersi umili e superbia [...]. Chi dice: Certamente sono ingrazia, egli non e in grazia. Chi dice: Certamente sono umile, e superbo.85

«E indubitato – osserva Goethe in margine al nerino spernere – che sol-tanto individui superiori e intimamente orgogliosi possono conformarsi atali principı, perche hanno deciso di conoscere in anticipo il repellente sa-pore d’un mondo sempre ribelle a grandezza e a bonta, di bere fino all’ul-tima goccia, ancor prima di vederselo porgere, l’amaro calice dell’esperien-za vissuta».86 La finezza psicologica dell’intero ritratto del santo dell’umo-rismo a firma del grande letterato tedesco si condensa, a mio avviso, in que-ste righe. Goethe vaglio con esperto rigore filologico gli atti del processo dicanonizzazione. Ivi, oltre ad abbondanti testimonianze degli ingegnosi tra-vestimenti autosvalutativi adottati dal fondatore dell’Oratorio, dei quali laletteratura agiografica aveva gia ampiamente coltivato la memoria, egli do-vette rinvenire traccia anche di qualcos’altro: di un backstage nerino, di undietro-le-quinte assai meno frequentato dai cultori del Santo faceto.

«Ho visto il padre far molte volte correttione a’ figlioli spirituali» – di-chiara Francesco Zazzara. In verita, «pareva» che egli fosse effettivamente«in collera». Ma poi «si rivoltava ridendo, et diceva: ‘‘Par che dica da ve-ro’’».87 Alcune volte – asserisce Fabrizio Massimo –, «per utilita di alcunode suoi figlioli spirituali, et per far qualche correttione», Filippo «mostravail volto alquanto severo», pero subito dopo, prendeva in disparte «alcunaltro delli suoi» e gli diceva: «Che te ne pare? Non pare che io sia in col-lera?».88 Lo scambio di frasi tra il Neri e Germanico Fedeli non necessita

84 F. BORROMEO, Semina rerum sive de Philosophia christiana, a cura di C. CONTINISIO, Prefa-zione di F. BUZZI, Roma-Milano, Biblioteca Ambrosiana-Bulzoni, 2004, p. 77 (Dell’umilta: 76-77).

85 Ivi, Appendice. Per l’utilizzo dei Coniectanea I nella stesura dei Semina rerum, pp. 124-125.86 GOETHE, Filippo Neri, il santo umorista, in ID., Viaggio in Italia, cit., p. 522 (la biografia

del Neri occupa le pp. 517-531).87 Processo, cit., I, p. 61 (Francesco Zazzara, 18 agosto, 1595).88 Ivi, II, p. 346 (Fabrizio Massimi, 30 settembre 1609); cfr. anche ivi, II, p. 11 (Francesco

della Molara, 19 aprile 1601).

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alcun commento: «Germanico, non sono io andato bene in collera?» – do-mando un giorno Filippo al confratello. «Padre – rispose quest’ultimo –, seio andassi sempre cosı in collera, come dice esser andato lei, non havrei bi-sogno di confessarme».89

La spiccata disposizione del religioso fiorentino a sperimentare al co-spetto degli allievi la propria abilita di mascheramento che poi avrebbe avu-to prova ufficiale dinanzi a un pubblico estraneo, appare problematica dasposare al sentimento di un uomo semplice che contemplava il mondocon gli occhi colmi di candore.90 Lo stile del Neri sembra invece piu facil-mente coniugabile a una consumata esperienza della vita; a una personalitaben avvertita che, sulla ribalta del teatro del mondo, era d’uso comune adot-tare di un ‘bel costume di scena’ e che, stante una non misurabile differenzatra quanto visibile e quanto celato, ciascuno poteva indossare il proprio gra-zioso travestimento confidando di essere creduto chi in verita non era.

Filippo Neri sapeva bene che il corrivo discernimento dei piu si nutredella mera superficie delle cose. Desiderava che i suoi padri diffidasserodal giudicare le persone dal loro aspetto esteriore e dal loro pubblico porta-mento,91 ma al tempo stesso intendeva profittare a fini ascetici della logicadella finzione imperante sulla piazza urbana, nelle aule del potere e nei salottinobiliari: in un mondo in cui ciascuno e solito mostrarsi come egli non e (ecome tale viene socialmente salutato), il Neri si adegua, ma invertendo il finedella simulazione che anziche essere promossa dal comune appetito di lodiintorno al proprio nome92 persegue l’obiettivo esattamente contrario.93

89 Ivi, III, p. 278 (Germanico Fedeli, 8 giugno 1610).90 Un esplicito richiamo «non cadere nella deformazione di un’immagine ingenuamente in-

fantile di Filippo» viene da P. PRODI, Filippo Neri, in Il grande libro dei santi. Dizionario enciclo-pedico, dir. da C. LEONARDI, A. RICCARDI e G. ZARRI, a cura di E. GUERRIERO e D. TUNIZ, CiniselloBalsamo (Milano), Edizioni S. Paolo, 1998, I, pp. 684-688: 686; cfr. gia ID., San Filippo Neri: un’a-nomalia nella Roma della Controriforma?, in Filippo Neri nella Roma della Controriforma, Atti delconvegno di studi (Roma, 2 dicembre 1994), in «Storia dell’arte», 1995, 85, pp. 333-339: 336. Sulcliche del «santo della gioia», tutto briosita e burlevolezza fiorentina, per altro, complemento di unafacile divulgazione della laetitia filippina quale «fresca e inesausta vitalita giovanile» (su questopunto, si veda l’avvertimento di M. ROSA, Spiritualita mistica e insegnamento popolare. L’Oratorioe le Scuole pie, in Storia dell’Italia religiosa, II, L’eta moderna, a cura di G. DE ROSA e T. GREGORY,Roma-Bari, Laterza, 1994, pp. 271-302: 275), si sono soffermati E. BONORA, La Controriforma,Roma-Bari, Laterza, 2001, p. 77, e M. GOTOR, I beati del papa. Santita, Inquisizione e obbedienzain eta moderna, Firenze, Olschki, 2002, p. 94.

91 Filippo Neri soleva dire che «quando si vedevano persone vanamente vestite, o in altreguise che dispiacessero si deve allhora [sic] dire: Che so io che si sia la dentro, e che cosa vogliafare Iddio di quell’anima?». BNCR, Fondo s. Francesca Romana, 13, Alcune attioni, detti et am-maestramenti, cit., f. 8r.

92 «Dulce venenum est laus» – asserisce il filippino Marco Antonio Maffa nella cornice delPhilippus, sive de christiana laetitia dialogus (VALIER, Il dialogo della gioia cristiana, cit., p. 46).

93 «Adesso mi acconcio bene» era solito affermare Filippo Neri allorche si concedeva alle

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Nelle forme grottesche che il fondatore dell’Oratorio era solito assume-re in pubblico, la folla insana avrebbe creduto di vedere il vero volto del-l’individuo e non il suo mascheramento mortificante assunto come sapienteantidoto dell’orgoglio e quale ironico invito autoscopico rivolto all’indirizzodei savi. Garante di simile distorsione cognitiva era il fatto che, a Roma,«piu che in niuna altra citta», si dava la caccia agli «honori» e le cure eranotutte alla «gloria»:94 il signoreggiante imperativo del plauso dei clienti ren-deva quasi ordinaria, persino conforme, l’impostura che ingentilisce e ri-chiama la lusinga,95 mentre faceva pressoche inconcepibile l’artificio diso-norante e l’aspirazione al disdoro. Proprio laddove piu altolocato era ilrango sociale occupato, piu difficile restava discernere tra verita e rappre-sentazione giacche la dorata sagoma delle apparenze era di fatto l’unicarealta conosciuta.96

Quando il discepolo stentava a darsi pace dell’onda di discredito cheinvestiva il suo amato Padre calato nei panni dell’ineptus e del fatuus, il Fio-rentino diventava persino irascibile.

Et, essendo andato un gentilhomo romano a visitarlo et visto questo procedersuo, disse doppo, ad alcuni suoi amici, che egli si era scandalizzato del padre, invederli fare queste baie. Et essendo cio referto al padre [questi] se mise subito incompositione et gravita, et, poco appresso, levandosi da sedere, diede uno schiaffoa colui, che cio li refferı, soggiongendo, con riso: «Non vedi, bestia, che dirianopoi: ecco, messer Filippo e un santo».97

cure del suo barbiere debitamente istruito di radergli la barba solo su un lato del viso o, altri-menti, di tagliargli i capelli a meta, mentre, in chiesa, «si cantava la Messa, et [il Padre] havevadelle gente atorno, a vedere». Processo, cit., I, p. 217 (Giulio Savera, 18 settembre 1595).

94 Ivi, IV, pp. 104-105 (Agostino Manni, 28 marzo 1611).95 Mi pare interessante notare che Filippo prescrivesse ai suoi sacerdoti di fuggire «ogni

sorte di demostratione esteriore» non solo per stornare «l’occasione di insuperbire», ma ancheper non dare «occasione alle genti di credere, che lo faccino con hipocrisia». MANNI, Ammaestra-menti salutari, e degni di memoria, cit., p. 423.

96 Scrive Cardini: «Chi non e in grado di dotarsi dell’occhio del pittore o della prospettivadella morte, chi e incapace di chiamarsi fuori dal teatro della vita, chi resta sempre sul palcoscenico– cio che succede sul palcoscenico non puo che considerarlo realta, anzi l’unica realta; chi peren-nemente vive tra le finzioni non sa distinguere tra maschere e volti, non sa scandagliare ne i linea-menta altrui ne i propri, si prende sul serio, e prende tutto sul serio, crede di vivere in un modo diessenze mentre e immerso nelle apparenze. Chi al contrario, e capace di dotarsi della distanza checonsente l’occhio del pittore, o la prospettiva della morte, chi guarda alla propria e alle altrui ma-schere come un ‘osservatore’, chi sa uscire dal palcoscenico, chi contempla lo spettacolo dalla pla-tea, o meglio ancora da dietro le quinte – a lui il teatro del mondo appare buffo e indecente, ridicoloe al tempo stesso penoso. E apparendogli tale, non puo che ridere, fragorosamente ridere, ma an-che alterna[re] riso e pianto, sdegno e sgomento, irrisione e pieta». R. CARDINI, Alberti o della na-scita dell’umorismo moderno. I, in «Schede umanistiche», n.s., 1993, 1, pp. 31-85: 78.

97 Processo, cit., II, p. 36 (Agostino Cusani, 28 gennaio 1596). L’episodio, come notato da

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Ben diverso era invece l’atteggiamento del religioso toscano quando ve-niva informato dei motteggi canzonatori che circolavano a Roma intornoalla sua persona. In tal caso, l’umiliazione ricevuta da chi lo riteneva dav-vero un «vecchio matto» e un incontentabile balordo appagava l’istanza diumiliazione che aveva promosso l’ennesima prova di artefatto delirio. Almedesimo tempo, l’esito esilarante della farsa inscenata innescava nel Neriun moto di soddisfatta ilarita.98 Quel che succede in tali frangenti e cheFilippo si sdoppia: da attore protagonista diventa ‘spettatore’ post factumdel pubblico scatenato a dileggiare. Si compiace di quanto goffo sia riuscitoa risultare il suo ‘sosia’ sul palco e ride nel vedersi ‘al contrario’. Dimostrain tal modo una coscienza critica capace di padroneggiare distacco dallascena configurata e percepire all’unisono sia l’abito mentale del derisoreche l’immagine dello schernito.99

Ancora diverso era il sorriso del Padre quando l’osservatore estraneo,ferito nel proprio sentimento del decoro dalle sue «strane prodezze» e «paz-zie»,100 anziche schernire esorcizzando l’offesa o meditare su quanto gli eraoccorso vedere, si presentava al suo cospetto nelle vesti del severo censore.

Un giorno, dopo che un dignitario ecclesiastico «di molta prudenzamondana» si era recato da lui «per censurarlo» delle sue sconvenienti ec-

PONNELLE-BORDET, San Filippo Neri, cit., p. 92n., e quasi certamente il medesimo raccontato (evissuto in prima persona) da Germanico Fedeli: «Il p. Filippo era abominevole della iactantia etde l’esser tenuto homo di santita et di bona vita; et questo piu volte l’ho visto. Et specialmente,un giorno che ’l signor Lorenzo Altieri venne lı dal padre, et, come quello che era novo de’ soicostumi, si maravigliava che ’l padre fosse cosı allegro, parlasse cosı libero, et motteggiasse, comefa ogn’homo ordinario. Et [...] mi disse, che si maravigliava di questo procedere, et, io esplicatolila natura del padre, si accese di desiderio di tornarlo a rivedere. Tutto questo [io] disse al padre,et che, ritornando, seria bene che [...] stesse con piu reputatione, et gravita. Al che il Neri ri-spose: ‘‘Che volete? Che io mi metta in sussiego, et che si dica: questo e il padre Filippo, consputar belle parole?’’. Et tutto questo diceva ironicamente; poi seguitando, disse: ‘‘Se ci viene,io farro [sic] peggio’’». Processo, cit., I, p. 154 (5 settembre 1595). Provocatorio, sempre rivoltoa Fedeli, il Neri gli chiedera altre volte: «Che dici [Germanico] di queste mie semplicita?». Ivi,III, p. 265 (8 giugno 1610). Non diversamente era uso fare con Pietro Paolo Crescenzi: «Si ve-stiva, alle volte, per humilta et mortificationi, con habito a roverso, et faceva atti da far ridere, peressere burlato, come saltar tre o quattro scalini, in presentia delle genti», poi chiedeva: «Che te nepare?». Ivi, II, p. 76 (18 aprile 1596).

98 Marcello Ferro asserisce che il Padre «se ne rideva». Ivi, II, p. 59 (Marcello Ferro, 23aprile 1610); poco prima, nel corso della medesima deposizione, il teste aveva dichiarato: «Etquando io li dicevo le burle, che si riferivano di lui, vedevo, che si rallegrava tutto, et haveva carosentirle riferire, con grandissimo gusto, et s’humiliava, come se quelli tali dicessero la verita». Ivi,III, pp. 45-46 (Marcello Ferro, 23 aprile 1610).

99 Cfr. KLEIN, Il tema del pazzo e l’ironia umanistica, cit., p. 481; anche M. FOUCAULT, Storiadella follia nell’eta classica. Con l’aggiunta di La follia, l’essenza di un’opera e Il mio corpo, questofoglio, questo fuoco, trad. it., a cura di E. RENZI e V. VEZZOLI, Milano, Rizzoli, 1976 (ed. or.: Paris,Gallimard, 1972), pp. 13-66.

100 PONNELLE-BORDET, San Filippo Neri, cit., p. 89.

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 303

centricita, il Neri ne riferı al fidato cardinale Agostino Cusani nel modo se-guente: «io ho conosciuto quel prelato, che me havete mandato, cosı pru-dente; et, tra me stesso [io] mi rideva della sua sagacita, accorgendomi ache effetto era venuto, et che io li doveva esser parso semplice».101

E chiaro che la «sagacita» di colui il quale era venuto a rampognare epuramente antifrastica; traduce amara consapevolezza che, sulla scenamondana, realta e finzione possono scambiarsi le parti con una tale mae-stria che un’azione onesta puo sembrare biasimevole e, quel che e peggio,una colpa essere addirittura accreditata come un merito. Scoprire di esserstato giudicato persona leggera e, per questo motivo, essere andato incon-tro a un aspro rimprovero, rende il Padre dolentemente pensoso circa l’am-biguita dei messaggi formali. In quel suo «tra me stesso [io] mi rideva», cheriluce di sarcasmo e di pieta, filtra una visuale attiva sullo scarto vigente tral’ideale e il reale e al tempo stesso l’afflizione per quel medesimo privilegiointellettuale. Questo per dire che seppure con buone ragioni per addurla sievoca la categoria dell’umorismo a proposito della nerina hilaritas o festivi-tas (o anche facetudo o amoenitas), conviene aver presente che la distanzatra l’umorismo e il gusto della comicita e notevole: una cosa e il sentimentodel contrario, altra il suo semplice avvertimento.102

Nell’umorismo, privilegiata attitudine mentale allevata dall’acre espe-rienza della vita, non certo prerogativa esclusiva del Novecento, vive la fa-colta di vedere se stessi come in un specchio, di sdoppiarsi, de-personaliz-zarsi. Lo humour corrisponde all’amaro privilegio del disincanto rispettoalle stereotipie e al conformismo mondano: rappresenta il sintomo nonequivoco di una consapevolezza riflessiva e di un’aspirazione di conoscenzapropensa a scrutinare automatismi d’incantamento sociale sui quali l’uomoordinario mai si sogna di soffermarsi; rappresenta insomma una forma d’ar-te che lavora a denudare l’ambivalenza tragicomica delle forme del vivere edel pensare comune.103

101 Processo, cit., II, p. 37 (Agostino Cusani, 28 gennaio 1596).102 Cfr. L. PIRANDELLO, L’umorismo [1908], Introduzione di S. GUGLIELMINO, Milano,

Mondadori, 1988 (Ia ed.: 1986).103 «La esaltazione della ‘‘allegrezza’’ e la polemica contro la religiosita arcigna – osserva

Marcocchi – potrebbero indurre a dipingere il Neri come il rappresentante di una spiritualitaridanciana e incline alla buffoneria. Filippo non ha affatto coltivato la buffoneria ma lo humour,talvolta la burla, che sono altra cosa, e si collegano sia col suo temperamento di fiorentino auten-tico, sia con l’esercizio dell’umilta, che egli come direttore di coscienza pose alla base di tutta lavita spirituale. Gli ‘‘scherzi’’ dovevano tenere ‘‘umili e bassi’’, sciogliere i grovigli interiori, dissi-pare i fumi del cerebralismo. Dovevano insomma assolvere a una funzione catartica e liberatrice».MARCOCCHI, Prefazione, in S.F. NERI, Gli scritti e le massime, cit., pp. 5-13: 12; cfr. anche ID.,

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«[...] il mondo e un boscho, ove si rubbano et ammazzano tutti i vian-danti», una «selva piena di mostri e un campo pieno di soldati, pieno dirapine e di violenza et ingiustitie (parlando sempre col debito rispetto etriservo de’ buoni, che pur ve ne sono, ma rari)».104 Pare sin troppo eviden-te che si tratti di una frase che mal si combina con lo «stereotipo tradizio-nale» di un uomo del tutto «sereno» il quale avrebbe saputo «comporrel’amore di Dio, del prossimo, degli animali, della natura, in una innocenzamantenuta nella sua freschezza sino all’ultima vecchiaia».105 Siamo in pre-senza, piuttosto, di una personalita si direbbe orfana di illusioni (non certodi ideali) e angustiata dalla lucida coscienza dell’indisponibilita dei piu apercorrere la via della Salvazione.106

Introduzione, in N. VIAN, San Filippo Neri, pellegrino sopra la terra, a cura di P. VIAN, Introdu-zione di M. MARCOCCHI, Brescia, Morcelliana, 2004, pp. 7-10: 8.

104 Cosı scriveva il Neri a suor Maria Vittoria Trevi, in data 11 ottobre 1585. S.F. NERI, Gliscritti e le massime, cit., pp. 77-78. Al Neri – osserva Mozzarelli – appartenne un’«antropologia ot-timistica perche tanto consapevole della profondita del peccato quanto della maggiore misericordiadi Dio». C. MOZZARELLI, Federico Borromeo e il mestiere di principe. Prime considerazioni, in ID.,Tra terra e cielo. Studi su religione, identita e societa moderna, a cura di F. BUZZI – D. ZARDIN,Roma, 2005, pp. 151-166: 169n.; ed. orig. in Federico Borromeo. Fonti e storiografia, a cura diM. MARCOCCHI e C. PASINI, in «Studia Borromaica», XV, 2001, pp. 247-160. Tanto annota Fede-rico Borromeo: «Dicea spesso [padre Filippo]: prometto a Dio di non far mai bene niuno da mestesso. Mi dispero di me medesimo ma confido in Dio. O quanto altamente gli stava nel cuore que-sto ponto!». BAMi, A 77 Suss., f. 70r, nº 18; cfr. oggi l’edizione F. BORROMEO, Miscellanea adno-tationum variarum, a cura del GRUPPO EDITORIALE ZACCARIA, Milano, Biblioteca comunale, 1985,pp. 59-60. Spunti di riflessione per cio che concerne la fiducia del Fiorentino circa i termini digrandezza della misericordia divina adduce la testimonianza tutta in tema di giustificazione dell’a-gostiniana Scolastica Gazi, memore di un colloquio privato avuto col Neri nel novembre del 1588:«Quando tocco a me di andare a parlarme [sic], separatamente, io havevo un pensiero, che mi tra-vagliava molto e, prima, mi haveva travagliato alcuni giorni. E questo pensiero era, che mi pareva diesser dannata e questo non l’havevo mai manifestato a nisuno. Et, arrivando alla rota e doman-dando al beato padre la benedictione, esso mi disse: ‘‘Che fai, Scholastica, che fai, che fai? Il Pa-radiso e tuo’’. Et io li risposi: ‘‘Anzi, no, Padre; dubito che sara il contrario e mi par di esser dan-nata’’. Et esso mi replico: ‘‘Dime [sic] un poco: per chi e morto Christo?’’. E dicendo io: ‘‘Per lipeccatori’’, esso sogiunse: ‘‘E tu chi sei?’’. Rispose: ‘‘Io son peccatrice’’. Et esso disse: ‘‘Dunqueil Paradiso e tuo, tuo, tuo’’. E, con questo, restai con gran consolatione e mi si partı quel pensiero,che mi travagliava. E, da allora in qua, mi pare di haver sempre presente alle orechie quelle parole,che mi disse quel beato padre e spero, che, per la misericordia di Dio, et per l’intercessione di quelsanto, di aver a conseguire il Paradiso». Processo, cit., IV, p. 55 (30 agosto 1610).

105 PRODI, Filippo Neri, cit., p. 686.106 Cfr. le osservazioni di M. MARCOCCHI, Introduzione, in VIAN, S. Filippo Neri, pellegrino

sopra la terra, p. 9, intorno al «rischio di rappresentare la spiritualita di Filippo solo come cri-stiana letizia, dimenticandone il carattere spesso irrequieto, talvolta drammatico». Interessantee poi la lettura di Romeo De Maio: per lo studioso la consueta prospettiva di giudizio sull’indolelieta e gioiosa di Filippo Neri va sostanzialmente ribaltata. Il profilo umano che filtra dagli atti delprocesso di canonizzazione e – a suo dire – quello di «un mistico essenzialmente tragico» [R. DE

MAIO, Bonsignore Cacciaguerra maestro dell’annientamento, in Per il Cinquecento religioso ita-liano. Clero cultura societa, Atti del Convegno internazionale di studi (Siena, 27-30 giugno2001), a cura di M. SANGALLI, Introduzione di A. PROSPERI, II, Roma, Edizioni dell’Ateneo,

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LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 305

Le tante immagini fallaci che il Neri getto nel fondo degli occhi dei suoisconcertati osservatori rispondevano a un serrato esercizio di dissimulazioneascetica. «Filippo’s ‘dishonorable’ behavior – scrive Donnelly – was a silentbut effective critique of a value system incompatible with the gospel».107

L’ironia di Filippo si muove su un registro allusivo. E obliqua ed eso-terica perche pudica: si serve di un velo di facezie per filtrare il segreto mo-vimento della coscienza.108

«Il pudore – e stato ben detto – e il presentimento di una dignita spi-rituale propria delle cose dell’anima e che si rischia di profanare se, persciocca franchezza, se ne profana il segreto». «Tale mistero» equivale al-l’«alone d’ineffabile e d’indicibile che trabocca dalle parole e le rende allu-sive». Come «circonda cio che vien detto con un’aura d’inesprimibile, cosıaureola d’infinito tutta quanta la persona».

Paradossale civetteria dell’inclinazione, il pudore attira respingendo e a questaindecisione deve il suo supremo fascino, fatto insieme di goffaggine e disinvoltura,di audacia e di timidezza [...]. L’ironia, rispettosa delle sfumature, sa aspettarel’occasione unica, esprimere l’ineffabile, toccare l’intangibile, raggiungere l’inac-cessibile; tien conto della cronologia del cuore; fuggente essa stessa, e predisposta

2003, pp. 415-418: 418] – una tesi, quest’ultima, che gia affaccio A. SCHOPENHAUER (Il mondocome volonta e rappresentazione. Appendice critica alla filosofia kantiana, a cura di G. RI-

CONDA, trad. it., Milano, Mursia, 1991 [Ia ed.: 1969], p. 427), senza arrestarsi – opina De Maio– come fece Goethe dinanzi «ai sorrisi e alla comicita» dell’humoristische Heilige. Mentre il Fi-lippo di Goethe avrebbe rappresentato un «miracolo di armonia fra rinunzia e letizia», il Filippodi Schopenhauer esprimerebbe «sia la comune tragedia della mente dinanzi alla struttura delmondo, sia la tragedia specifica del santo che si nutre di umilta etica». Il Neri storico – osservalo studioso – «corrisponde meglio all’immagine di Schopenhauer che a quella di Goethe». Il fio-rentino – si puo qui piu agevolmente convenire – «non e uomo sereno, non lieto, di nulla rassi-curato: ne di salvarsi, ne di operare in modo etico», per niente convinto di «corrispondere allagrazia». E cio non in nome di «dolce umilta ascetica», ma «per umilta etica», vale a dire «con-sapevolezza della sua responsabilita nell’inettitudine». Era questo lo «sconforto» che lo «attana-gliava» e che egli si sforzava di vincere «negli atti della com-passione»: nella «partecipazione im-mediata – non teorica o pedagogica o dottrinale – al dolore del mondo» e nella «volonta disoffrire con chi soffre, anzi di soffrire nel sofferente». R. DE MAIO, Filippo Neri fra Goethe e Scho-penhauer, pp. 326-328. Netto dissenso, all’insegna di un ne varietur, ha manifestato A. CISTEL-

LINI, Note e commenti (S. Filippo mito europeo?), in «Memorie oratoriane», 1997, 17, p. 136, ri-spetto alle tesi affacciate da De Maio, tesi da quest’ultimo anticipate nel suo Schopenhauer trafittodalla pietas, in «Avvenire», 14 agosto 1997.

107 J.P. DONNELLY, The Congregation of the Oratory, in Religious Orders of the CatholicReformation, ed. by R.L. DE MOLEN, New York, Fordham University Press, 1994, pp. 189-215: 193.

108 «Secretum meum mihi, secretum meum mihi» e una frase che ricorreva spesso sulle lab-bra del Neri. Il primo processo, II, pp. 22-23 (Francesco Zazzara, 23 gennaio 1596); Alcuni ricordie consigli, cit., p. 155. Il Padre citava Is 24, 16: «Secretum meum mihi, secretum meum mihi vaemihi praevaricantes praevaricati sunt et praevaricatione transgressorum praevaricati sunt».

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agli ‘‘hapax’’, agli avvenimenti fuggenti [e] la punta delicata che ci fa cogliere l’ir-reversibile. L’esoterismo dell’ironia ritrova cosı tutto il suo profondo significato.Come la timidezza si cela talvolta sotto fittizie arditezze, cosı le facezie sono il velotrasparente che agita davanti a se il tenero umorista: la passione umorizzante chediffida di se stessa si inserisce cosı nel proprio humour.109

E a colloquio privato con Agostino Cusani che l’ironia del Padre diven-ta «ironia aperta», propriamente humour. Ironizzando di se stessa, l’ironiasi eleva «alla seconda potenza». Si fa «suprema riflessione di coscienza» einsieme «principio d’intesa e di comunanza spirituale».110

Quel prelato «di molta prudenza mondana» presentatosi a S. Girola-mo della Carita determinato a censurare aveva prestato tanto mal ripostocredito alla scena alla quale aveva assistito che, piccato, si era sentito indovere di mettersi in moto per riprendere. L’umorismo del Fiorentinosi misura nell’amaro sorriso innescato da quella «sagacita» autoinvestitasidell’autorita di dare lezione ed esoneratasi dal peso di meditare. Si tratta diun sorriso tra se e se, un sorriso turbato, trattenuto, incapace di librarsiliberamente. A monte di esso si agita come un volere/non volere; si fron-teggiano un impulso mordace e uno di compatimento e di pena. Non estrano: l’umorista, la sua opera, i personaggi caricaturali che egli ponein scena sono tutti come un’erma bifronte: una faccia ride del pianto del-l’altra. Per questo, il motto del sentimento del contrario e: «In hilaritatetristis, in tristitia hilaris».111

«Nell’ironia sferzante» vigono sempre «una certa malevolenza e [...]una perfidia amara che escludono l’indulgenza [...]. Lo humour, al contra-rio, non esiste senza la simpatia. E [...] il ‘‘sorriso della ragione’’ [...]. Men-tre l’ironia misantropa mantiene nel rapporto con gli uomini un atteggia-mento polemico, lo humour compatisce con la cosa derisa; e segreta-mente complice del ridicolo, si sente connivente con lui».112

* * *

Il religioso fiorentino proteso a «spregiare il mondo» senza «ispregia-re» alcuno e a «spregiare se stesso» curando anche di spregiare il fattodi «avere a spregio se stesso» conobbe lo sdoppiamento riflessivo e venatodi cordoglio dell’umorismo.

109 JANKELEVITCH, L’ironia, cit., pp. 165 e 168.110 Ivi, p. 172.111 Cfr. PIRANDELLO, L’umorismo, cit., p. 168.112 JANKELEVITCH, L’ironia, cit., pp. 171-172.

LA DISSIMULATIO ASCETICA DI FILIPPO NERI 307

Padre Filippo pratico un contemptus mundi assolto dalla tentazionedella fuga saeculi e senza traccia dell’implacabile disgusto che permea latrattatistica medievale sul tema.113

Il Neri esercito «staccamento» dal mondo114 rimanendo irriverente in-quilino del ‘centro del mondo’. Misuro ogni giorno la sua ajpavqeia combat-tendo senza sosta la vanita dell’umilta, l’ultima debolezza del perfetto asceta.

Infine, fu suo un dispetto ridens, non un disprezzo flens, di tutto ilchiassoso e tragicomico corteggio delle vanita umane: quando il distaccodalle lusinghe mondane giunge a definitivo compimento, si fa sostanza vi-tale, non puo esservi traccia alcuna di un sentimento prostrato che tradi-sce sempre qualche considerazione verso quanto pur si commisera e s’in-tende lasciare alla sua rovinosa corrente. L’uomo ridicolo si tramuta alloranell’uomo che ride; si trasforma nel folle per Cristo, ebbro della luce di unAltrove.

Sublime mediatore tra il quotidiano e la norma ideale, il «grande dissi-mulatore»115 seminava dubbi e aporie che deragliavano i saccenti e i vani-tosi accomodati nelle loro convenzionali certezze. Opponendo festivitas agravitas, utilitas a hornatus, ruvidi salutaria a melliflui blanda, il Neri prati-cava l’ars perplexitatis tentando di ricondurre «all’essenziale».116

Il suo sembiante ironico sollecitava un’ermeneutica e contrario. Ma tra-forare con ‘la vista morale’ la maschera dell’ineptus e del fatuus era unapossibilita incerta: gli spettatori, di solito, si fermavano alle apparenze; ri-manevano ostaggio del codice illusorio che regolava il loro teatro esistenzia-le. Si dava pero anche caso diverso: quello di piu raro interprete capace diintus-legere le grossolane forme che celavano l’ojxuv" paludato da mwrov". Chiapriva il silenico tegumento del «Socrate christiano», il quale faceva mostradi se sul palcoscenico urbano «non quale egli era in effetto, ma piu tostoquale esso non era»,117 attraversava la soglia di un ‘luogo intermedio’. Ve-

113 Cfr. la panoramica condotta da C. CARENA, Introduzione, in ERASMO DA ROTTERDAM, Ildisprezzo del mondo, ed. critica a cura di CARENA, Milano, 1999, pp. XV-LV.

114 «In voce come di canto [Filippo Neri] conchiudeva sempre» il suo dire con tre parole divalore programmatico: «ubbidienza, humilta, staccamento». BNCR, Fondo s. Francesca Romana,13, Detti, e fatti, cit., f. 27r.

115 BORROMEO, Philagios, cit., p. 555.116 Per Filippo Neri – scrive Mouchel – non esiste «tempo vuoto o frivolo»; ma solo «tempo

devoto»: le sue «apparenze di frivolezza non sono altro che figure ed invenzioni per ricondurreall’essenziale». MOUCHEL, San Filippo e i cappuccini, cit., p. 515.

117 «[...] dir si poteva ch’egli fosse un Socrate christiano, per rispetto del volersi sempre oc-cultare, e darsi a conoscere, non quale egli era in effetto, ma piu tosto quale esso non era». BOR-

ROMEO, Philagios, cit., p. 555. Federico Borromeo chiosa il denso blasone perifrastico tributato al

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niva cosı a partecipare della primizie della Sapienza di cui padre Filippo erafervido amante; diventava figlio suo secondo lo Spirito.118

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ABSTRACT – Filippo Neri (1515-1595) was a religious known to behave in an inso-

lent, licentious and ignorant manner in order to dissimulate and counter his repu-

tation for sanctity, that even during his lifetime crowned his name. Humility was

the cornerstone of his ascetic discipline. The Florentine rejected, however, austere

Neri dal cardinale Agostino Valier nel Philippus (cfr. supra, nota 67) con implicito riferimento alfortunatissimo topos del Socrate-sileno tradito dal Simposio platonico e arditamente rivisitato inchiave cristologica ed ecclesiologica da parte di Erasmo da Rotterdam nei Sileni Alcibiadis. Ada-gio, quest’ultimo, «incentrato in una struttura chiastica, decussata», la quale «prevede, nel segnodell’introspicere, di porre in luce l’interno (intus vs. extra) e, inversamente, di relegare l’esternaparvenza quasi nell’invisibilita di aspetto irrilevante e pertanto negletto (secondo un ideale mo-vimento extra vs. intus)». BISELLO, Sotto il ‘‘manto’’ del silenzio, cit., p. 73. Dell’emblema dedi-cato al Padre indaga apparato referenziale e valenze espressive l’acuto saggio di D. FENLON, So-crates and st. Philip Neri, in Studi in memoria di Cesare Mozzarelli, I, Milano, Vita e Pensiero,2008, pp. 215-235. Ma si vedano gia le osservazioni di PONNELLE-BORDET, San Filippo Neri,cit., p. 429; V. MAGNI, San Filippo Neri. Il Fiorentino apostolo di Roma, Firenze, Libreria EditriceFiorentina, 1937, p. 343; A. DUPRONT, Autour de saint Filippo Neri: de l’optimisme chretien, inID., Geneses des Temps modernes. Rome, les Reformes et la Nouveau Monde, Textes reunis et pre-sentes par D. JULIA – Ph. BOUTRY, Paris, Gallimard-Le Seuil, 2001 (ed. or. in «Ecole Francaise deRome – Melanges d’Archeologie et d’Histoire», XLIX, 1932, pp. 219-259), pp. 207-235: 208-209, 213-214; L. BOUYER, La musica di Dio. San Filippo Neri, trad. it., Milano, Jaca Book,1991 (Ia ed. it. 1980; ed. or.: Paris, 1979), p. 55; A. MARTINI, «I tre libri delle laudi divine» diFederico Borromeo. Ricerca storico-stilistica, Padova, Antenore, 1975, pp. 144-145; C.K. PULLA-

PILLY, Agostino Valier and the conceptual basis of the catholic reformation, in «Harvard Theolo-gical Rewiew», LXXXV, 1992, pp. 307-333: 332; BELLA, Filippo Neri, padre secondo lo Spirito,cit., pp. 95-96; M. GIULIANI, Il vescovo filosofo. Federico Borromeo e I sacri ragionamenti, Fi-renze, Olschki, 2007, pp. XII-XIII e passim; EAD., Cum eruditis viris. Gian Vincenzo Pinelli, Fede-rico Borromeo e gli scritti di Agostino Valier presso la Biblioteca Ambrosiana, in Milano borro-maica, atelier culturale della Controriforma, a cura di D. ZARDIN e M.L. FROSIO, in «StudiaBorromaica», XXI, 2007, pp. 229-268: 230. Di accento notevolmente minimizzante circa l’interoportato apologico e testimoniale del Philippus – in verita, prova di riscrittura cristiana del Simpo-sio platonico («sorta di simposio [videlicet: Simposio] riformato» lo definisce B. AGOSTI, Collezio-nismo e archeologia cristiana nel Seicento. Federico Borromeo e il Medioevo artistico tra Roma eMilano, Milano, Jaca Book, 1996, p. 32) – e invece il giudizio di CISTELLINI, Introduzione, in VA-

LIER, Il dialogo della gioia cristiana, cit., pp. XIII-LXXXI, e di V. FRAJESE, Tendenze dell’ambienteoratoriano durante il pontificato di Clemente VIII. Prime considerazioni e linee di ricerca, in «Romamoderna e contemporanea», III, 1995, 1, pp. 57-80: 65; ID., La politica dell’Indice dal tridentinoal clementino (1571-1596), in «Archivio italiano per la storia della pieta», XI, 1998, pp. 269-356:322; ID., Nascita dell’Indice. La censura ecclesiastica dal Rinascimento alla Controriforma, Brescia,Morcelliana, 2006, p. 149, con reiterata sottolineatura del «deliberato o involontario fraintendi-mento» in cui, complice il suo vasto orizzonte culturale classicista, sarebbe incorso il cardinaleValier rappresentando il fondatore dell’Oratorio come un «Socrate cristiano».

118 Cfr. BELLA, Filippo Neri, padre secondo lo Spirito, cit.

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exercises in humilitas (for example, wasting away through fasting and continualdiscipline) that might arouse flattery in others or be occasions for pride and there-fore, paradoxically, thwart the chosen path of perfection. Neri’s method was toimpose on his practice of humilitas a muddled and apparently invalidating modeof expression that provoked a suspicion of ineptitude and frivolity and even insultsby the Roman people. The paper examines Neri’s repertoire of ironical personasand inquires into the references for the ascetic practices of this founder of theOratory. Finally, it focuses on a critical consciousness able to distance itself fromthe fabricated scene and to perceive at once both the way of thinking of the mock-er and the grotesque image of the derided person. Filippo laughs while looking athimself from the ‘opposing side’, but his smile betrays a feeling of pain for theimportance that appearances enjoy on the worldy scene. A clear vision aboutthe difference between the ideal and the real and, at the same time, afflictionfor that same intellectual privilege: the reflective divide, veined with grief, typicalof humor.

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