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Quaderno di Lavoro realizzato nell'ambito dell'iniziativa speciale "Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere"
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
TEMI10I 10 “Temi” dell’economia/finanza
1 Ciclo Economico di Roberto Fini pag. 08
2 Banca di Maria Cristina Quirici pag. 22
3 Servizi di pagamento di Elide Sorrenti pag. 38
4 Tassi di interesse e rendimenti di Elide Sorrenti pag. 52
5 Credito alle famiglie di Elide Sorrenti pag. 68
6 Finanziamento alle imprese di Enrico Castrovilli pag. 82
7 Risparmio e investimenti di Federico Cartei pag. 98
8 Rischio degli strumenti finanziari di Federico Cartei pag. 112
9 Mercato degli strumenti finanziari di Alberto Banfi pag. 126
10 Previdenza di Enrico Castrovilli pag. 138
Presentazione del Quaderno di Lavoro “Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere” pag. 02
Introduzione di Dario Di Vico pag. 06
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
capacità che risulteranno necessarie per realizzare comportamenti più consapevoli. Si riconosce, pertanto,
l’esistenza di un duplice nesso causale attraverso cui le conoscenze influiscono sulle competenze e queste
ultime sui comportamenti futuri.
In ambito internazionale sia la Federal Reserve che la Banca Centrale Europea hanno lanciato segnali decisi
affinché i singoli Stati si adoperino per sviluppare un’adeguata formazione pubblica in materia economico-
finanziaria.
Dopo i richiami del Presidente Obama in persona che invita a cercare “approcci creativi per la diffusione
dell’educazione finanziaria” e del Presidente della Fed, Ben Bernanke, che proprio in questi giorni ha voluto
ricordare che “una buona cultura di base è essenziale perché favorisce la crescita di responsabilità anche
dalla più giovane età”, negli Stati Uniti è stato avviato un programma finanziato con 3,1 milioni di dollari
dalla Social Security (paragonabile al nostro Inps) per l’avvio di programmi di formazione pubblica previsti
dal Ministero del Tesoro per evitare che le famiglie più fragili perdano i loro risparmi. Il lavoro degli esperti ha
identificato più aree di lavoro: guadagno, spese, risparmio, debito e protezione dai rischi.
In Germania è la Bundesbank che insieme al Ministero del Tesoro ha promosso “corsi per insegnare a chi
deve insegnare”, rivolti cioè a insegnanti di scuole di diverso grado con temi che vanno dagli elementi
base del risparmio fino ai diritti e doveri dei consumatori. In Gran Bretagna è la massima Autorità per i
servizi finanziari, la Financial Service Autorithy, a spendersi direttamente per l’insegnamento nelle classi
dei temi economici nelle ore di matematica. In Francia le Autorità di mercato hanno creato l’Institut pour
l’Education Financiere du Public, organismo senza fini di lucro dove sono rappresentati tutti, associazioni dei
risparmiatori e sindacati compresi, per far crescere la consapevolezza sulle caratteristiche dei prodotti e la
loro gestione nelle scuole secondarie superiori.
I benefici di una corretta educazione finanziaria
È ormai opinione comune che maggiori conoscenze economiche consentano ai cittadini di ottimizzare le
scelte economiche secondo le esigenze personali, di incentivare una gestione efficiente del risparmio e di
operare il passaggio verso forme pensionistiche complementari. Un consumatore meglio preparato stimola
le istituzioni finanziarie a mettere in atto pratiche efficienti, trasparenti e competitive, senza contare che le
decisioni prese da risparmiatori più preparati rendono i mercati più monitorati.
Al contrario consumatori meno istruiti tendono a sovrastimare con effetti deleteri le loro competenze
finanziarie con la possibilità che il rischio sia trasferito dalle imprese ai risparmiatori.
La psicologia cognitiva applicata al tema delle decisioni in ambito economico e finanziario mette in evidenza
gravi lacune da parte dell’investitore medio rispetto a quello che sarebbe un comportamento razionale
ed efficiente. Il contesto in cui si opera la scelta, l’avversione alle perdite (che è addirittura più forte della
motivazione al guadagno) e l’ostinazione nel continuare a sostenere investimenti in perdita sono solo alcune
delle carenze comportamentali dell’investitore medio che lo portano a seguire strategie fortemente irrazionali
in tema finanziario.
La cultura economica avvantaggia al tempo stesso sia i risparmiatori, che sono in grado di esprimere
comportamenti equilibrati e responsabili, sia le imprese bancarie e finanziarie, che riescono a farsi capire
meglio se sussiste una maggiore simmetria informativa, consentendo ai diversi risparmiatori di individuare
i prodotti idonei alle caratteristiche personali, aumentando così la credibilità delle istituzioni bancarie e
finanziarie. In questo modo i cittadini acquistano fiducia in mercati trasparenti, affidabili, gestiti
correttamente e diventano così meno esposti all’instabilità con un conseguente benessere complessivo che
contribuisce ad accrescere il benessere dell’intera società.
Il progetto “Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere”
Come emerge dalle esperienze internazionali e dalle volontà espresse delle nostre Autorità in materia, tra
Presentazione del progetto“CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE”di Federico Cartei
L’indagine eseguita da Gfk Eurisko su un campione di insegnanti e studenti delle scuole superiori
partecipanti all’iniziativa “Cultura finanziaria a scuola: per prepararsi a scegliere”, ha messo in evidenza
risultati che incoraggiano a continuare con sempre maggiore impegno l’iniziativa intrapresa, ormai al suo
terzo anno di vita: gli insegnanti hanno mostrato un interesse molto forte per i temi approfonditi dal progetto
perché li considerano di grande attualità e vedono la materia come un completamento del loro ruolo di
insegnamento. Per suscitare il massimo interesse negli studenti suggeriscono di utilizzare un approccio di
insegnamento che abbia un riscontro nella realtà, che sia divertente e dia risultati concreti nel breve periodo.
I ragazzi a loro volta hanno dichiarato di avere un rapporto molto diretto con il denaro inteso come possibilità
di spesa e di risparmio, ma al tempo stesso hanno dimostrato conoscenze finanziarie molto approssimative
che creano una forte diffidenza per tutto quello che è il mondo della finanza, percepito come “un mondo
ricco, un po’ confusionario, rischioso e basato più sull’azzardo che su regole”.
Gli studenti percepiscono i temi economico-finanziari come molto complicati, ma sono i primi a chiedere
di poter aumentare e migliorare il loro grado di conoscenza in argomenti che sentono come fondamentali
nella loro vita attuale e futura.
La suddetta indagine mette in risalto le gravi carenze di conoscenze economiche e finanziarie nel mondo
dei giovani ma, in realtà, come documentato da altre fonti autorevoli, l’ignoranza in materia è diffusa in tutta
la società in generale.
Una recente indagine dello Studio Ambrosetti ha messo in evidenza che in una scala da 0 a 10 il grado di
cultura finanziaria della popolazione maggiorenne italiana è pari a 4,3 (era pari a 3,5 nel 2007), sotto il 5,1
della Germania, il 4,6 del Regno Unito e sopra i 3,8 punti della Francia.
Non è raro imbattersi in persone colte che sono incapaci di calcolare semplici percentuali, capire realmente i
rendimenti del proprio investimento, distinguere i valori monetari da quelli reali o definire elementari concetti
economici.
È oggi opinione comune che gli investitori italiani, dopo essersi affidati negli anni ‘70/’80 ai Bot e aver
delegato successivamente a intermediari (fondi comuni, Ipo pubbliche) i propri risparmi, debbano oggi
raggiungere un grado di cultura finanziaria che permetta loro di prendere decisioni coerenti con le proprie
esigenze. A tal fine non occorre formare investitori esperti, ma consumatori finanziari avvertiti, in grado di
saper scegliere tra i molteplici prodotti a loro disposizione.
La cultura finanziaria a scuola: l’esperienza internazionale
Secondo la definizione dell’Ocse, l’educazione finanziaria è “il processo attraverso il quale i consumatori/
investitori finanziari migliorano la propria comprensione di prodotti e nozioni finanziarie e, attraverso
l’informazione, l’istruzione e un supporto oggettivo, sviluppano le capacità e la fiducia necessarie per
diventare maggiormente consapevoli dei rischi e delle opportunità finanziarie, per effettuare scelte
informate, comprendere a chi chiedere supporto e mettere in atto altre azioni efficaci per migliorare il
loro benessere finanziario”. Per l’Ocse, che ha identificato un proprio percorso di educazione finanziaria
denominato “European Qualification Framework”, le iniziative di educazione finanziaria sono finalizzate ad
innalzare i livelli di conoscenza degli individui, mentre la migliore comprensione dei fenomeni accresce le
Presentazione
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
l’argomento in classe.
Il nostro percorso inizia con un tema molto attuale quale l’analisi del funzionamento del ciclo economico,
che con i suoi alti e bassi ha portato oggi i Paesi occidentali a vivere la crisi più profonda dagli anni ’30
(Roberto Fini, Scheda n. 1).
Si passa quindi ad approfondire cosa fa e come funziona una banca, concentrandosi sulle sue varie funzioni
e i suoi modelli di business attualmente in discussione a causa della recente crisi finanziaria (Maria Cristina
Quirici, Scheda n. 2).
Successivamente il nostro viaggio nella “cultura finanziaria” continua con l’analisi dei diversi servizi e strumenti
di pagamento offerti dalla banca che anche gli studenti dichiarano di utilizzare senza comprenderne fino in
fondo il reale funzionamento (Elide Sorrenti, Scheda n. 3). Una attenta analisi del significato e del metodo
di calcolo delle numerose definizioni di tasso e rendimento che troviamo sul mercato non poteva mancare
per completare la formazione e preparare a scegliere in modo consapevole gli investimenti più redditizi così
come i finanziamenti più consoni alle varie esigenze (Elide Sorrenti Scheda n. 4).
Per rimanere su temi concreti ed ancorati alla realtà di tutti i giorni abbiamo affrontato poi l’argomento dei
finanziamenti alle famiglie ed alle imprese, soffermandoci su come vengono erogati, che esigenze vanno a
colmare, quali costi e quali vantaggi (e costi) comportano per il consumatore finale le varie forme tecniche
offerte sul mercato (Elide Sorrenti ed Enrico Castrovilli, Schede n. 5 e 6).
Il livello successivo del nostro cammino riguarda il tema degli investimenti e del risparmio: abbiamo
evidenziato quali sono gli strumenti finanziari a disposizione per impiegare il denaro a seconda delle esigenze
dell’investitore, le loro caratteristiche, le loro opportunità di rendimento ma anche i loro rischi, consapevoli
che senza rischio non possiamo ottenere alcun rendimento (Federico Cartei, Schede n. 7 e 8).
Di grande interesse la scheda sul funzionamento del mercato degli strumenti finanziari, tesa a mettere in
evidenza come si possono trasferire direttamente mezzi dai soggetti in surplus, storicamente rappresentati
dalle famiglie, ai soggetti in deficit, rappresentati dalle imprese, quale ruolo svolgono gli intermediari e
quali benefici apporta un mercato efficiente alle imprese e agli investitori (Alberto Banfi, Scheda n. 9).
L’ultima scheda tratta un argomento di grande importanza per il futuro dei giovani: la previdenza.
A seguito del progressivo incremento dell’età pensionabile e della riduzione degli assegni pensionistici da
parte dello Stato, occorre riflettere sulla necessità di accantonamenti di una quota dello stipendio verso
forme pensionistiche complementari e/o integrative che permettano di affiancare quelle statali per tutelare
le proprie esigenze di sostegno dopo la conclusione dell’attività lavorativa e permettere un tenore di vita
post lavoro all’altezza del periodo precedente ed un futuro sereno (Enrico Castrovilli, Scheda n. 10).
cui quella del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, la scuola è il contesto deputato per l’educazione
finanziaria: tramite gli insegnanti si possono infatti raggiungere e formare i giovani di oggi per prepararli ad
essere cittadini di domani, fungendo da trampolino ideale per educare indirettamente anche le loro famiglie.
Il nostro progetto si basa sul mondo della scuola quale ambiente ideale per educare andando al cuore
delle questioni conoscitive alla base dell’economia, della finanza, delle regole che sovraintendono le attività
finanziarie e bancarie per poi riuscire, sulla base degli strumenti acquisiti, ad approfondire temi di attualità
quali la crisi economica, i mutui sub-prime, l’andamento dei mercati finanziari.
I temi che vengono trattati nel Quaderno sono concetti basilari, “cassetti che servono ad ordinare le
conoscenze nel mobile delle categorie” (Gaston Bachelard).
Questo è il significato di un “investimento” che accresca il capitale umano e sociale, auspicio frequente delle
Autorità bancarie ed economiche.
Il Quaderno di Lavoro, attraverso la lettura e l’analisi quotidiana dei servizi finanziari, di base ed evoluti, cerca
di incrementare le conoscenze degli studenti per prepararli ad una vita futura come cittadini informati e
consapevoli delle proprie scelte.
Questo progetto intende generare una risorsa per il lavoro didattico dei docenti che, partendo dalla realtà
dei fatti consenta di approfondire gli argomenti trattati con un approccio ampio, integrato ed organico.
Portare nelle aule scolastiche la dinamica e la complessità della realtà finanziaria significa aiutare i giovani a
realizzare un’efficace comprensione di un aspetto caratterizzante della società moderna. I docenti possono
usare a misura delle proprie classi il presente Quaderno di Lavoro e utilizzare l’apporto del progetto “Il
Quotidiano in classe” proposti dall’Osservatorio Permanente Giovani-Editori.
Per affrontare i temi finanziari contenuti nel Quaderno di Lavoro occorre impostare un percorso educativo
che parta dalla realtà, che abbia un metodo di lavoro condiviso con gli allievi, che tenda a migliorare la
comprensione di fenomeni finanziari con lo sguardo rivolto al futuro. La partecipazione al progetto sulla
cultura finanziaria implica una sostanziale libertà di insegnamento da parte del docente e di apprendimento
da parte degli allievi, questa libertà può ben coesistere con la valutazione delle conoscenze e competenze
ottenute dagli allievi al termine del progetto.
Il Quaderno di Lavoro si rinnova
Il Quaderno di Lavoro è uno strumento che si prefigge lo scopo di accompagnare il docente nel difficile
compito di formare una cultura finanziaria di base nei propri studenti; si presenta quest’anno con una veste
grafica rinnovata e sviluppa un nuovo approccio didattico: attraverso la scelta di dieci temi base sul mondo
dell’economia e della finanza, si propone di coinvolgere il docente in un percorso che parte da tematiche di
interesse attuale e si conclude con l’approfondimento di argomenti più specifici.
I singoli temi vengono affrontati partendo dalla lettura di un articolo estratto da un quotidiano, per poi
approfondire l’argomento tramite la relativa scheda che prende spunto dall’articolo e delinea con
approfondimenti teorici e pratici l’argomento trattato e suggerire infine al docente una traccia da seguire
per l’attività da svolgere in classe.
Tra le novità di questa edizione del Quaderno troviamo l’utilizzo delle Frequently asked question (Faq) grazie
alle quali si cerca di dare una risposta facile ed immediata ai dubbi che il lettore può avere sull’argomento
trattato e si mettono in evidenza i concetti principali della scheda.
Per ciascuna delle dieci schede sono evidenziate delle parole chiave (Tag) che consentono di individuare
quali sono i termini principali utilizzati per approfondire quell’argomento che ritroveremo nei quotidiani
economico-finanziari.
Con l’indicazione dei link si danno ai docenti degli spunti per poter approfondire gli argomenti trattati su altri
siti e documenti più specifici sull’argomento.
A fianco di ogni scheda il docente troverà inoltre un Qr-Code per poter accedere direttamente dal proprio
telefonino alla clip collegata a quella scheda, ulteriore contributo da cui trarre spunto per sviluppare
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
c’è un diffuso timore. Molti docenti temono che anche solo per via strumentale, con la “scusa” di insegnare ai ragazzi a usare un bancomat o una carta di credito, si voglia in qualche maniera indottrinare i ragazzi e renderli precocemente schiavi del Dio Mercato.
Questo timore è amplificato dalla storica difficoltà della scuola italiana di dialogare con l’economia, vista davvero come “scienza triste”, come un fattore costrittivo, quasi sempre negativo, orientato a razionalizzare e a comprimere la personalità e la creatività dei ragazzi. Allora diventa necessario sgombrare il campo da qualsiasi equivoco: è giusto che i giovani si formino via via una propria idea del rapporto tra la sfera personale e l’economico, è evidente che questa dialettica sarà più vicina al vero man mano che alcune scelte di vita saranno più pressanti, ma dare più cultura finanziaria alla scuola non vuol tentare di piegarla surrettiziamente e anzitempo a un determinato orientamento di tipo socio-culturale. Assolutamente no. Anche perché il dibattito economico, spesso circoscritto a ristretti ambiti élitari, è molto più ricco della mera alternativa “mercato sì, mercato no” e ha al suo interno le voci più variegate, molte delle quali sostengono proprio le ragioni della crescita sociale e non certo quella dei vincoli di budget economico.
Nelle culture che studiano il denaro ci sono dunque più idee che vincoli. Poi che il nostro Paese abbia purtroppo il terzo debito pubblico del mondo e che questa eredità condizioni fortemente le nostre scelte di politica economica è evidente, come è palese che spesso proprio il mondo della scuola – non da solo – paghi con una restrizione delle risorse a sua disposizione questa dannata situazione di partenza. Si può tutto ciò non raccontarlo ai ragazzi, tenerli all’oscuro?
Fornire gli studenti della strumentazione tecnica e culturale per avere una chiave di lettura economica non è dunque una scorciatoia per indottrinarli, ma anzi è un elemento importante per aiutarli a diventare cittadini del proprio tempo. La parola è abusata e suona spesso come un macigno, “globalizzazione”, ma è una parola che caratterizza e fotografa il nostro tempo meglio di molte altre e ci rimanda una realtà fatta di profonda integrazione economica tra i continenti, di migrazione continue di un numero impressionante di persone, di rapidissimi spostamenti di denaro da un punto all’altro del mondo in modo virtuale.
La cultura finanziaria queste cose le vede più di altre discipline perché avvengono sul suo terreno d’elezione ed è questo il motivo vero per il quale non si può non fornire ai nostri giovani il nuovo alfabeto. Ed è questo il senso più autentico del nostro progetto. Dotare di bussola le nuove generazioni per metterle in grado di essere pienamente cittadini del loro tempo, capaci di capire le dinamiche della società contemporanea, capaci di integrare la loro cultura personale con un bagaglio di conoscenze necessarie per capire i grandi avvenimenti. E siccome qualsiasi lungo cammino ha un primo passo, si può anche incominciare dal saper usare un bancomat.
di Dario Di Vico
Tutto sommato è da poco tempo che si osa parlare di “cultura finanziaria”. Fino a qualche stagione fa, pure in uno dei maggiori Paesi industrializzati come il nostro, quell’espressione sembrava addirittura recare in sé una contraddizione di termini. Come se si dovesse scegliere: o cultura o finanza, le idee e i valori contrapposti al denaro. In fondo c’eravamo illusi che con l’avvento e il boom dei fondi comuni di investimento nella metà degli anni ’80 avessimo imboccato un processo di alfabetizzazione finanziaria irreversibile.
Gli italiani abituati tutt’al più a detenere nel loro portafoglio-titoli i leggendari Bot dimostrarono allora una certa flessibilità mentale, la voglia di misurarsi con un lessico più complesso e con la necessità di attrezzarsi culturalmente per poter seguire il proprio “personal business”, come titolarono i giornali finanziari dell’epoca. Ricordo come in quella fase addirittura la Gazzetta dello Sport e il Corriere dello Sport si ponessero il quesito se pubblicare o meno le quote giornaliere dei fondi comuni e il borsino di Piazza Affari. E alla fine qualche esperimento, seppur timido e temporaneo, fu pure varato in linea con lo spirito del tempo. Adesso, a tanti anni di distanza, possiamo tranquillamente affermare che si trattò di una fiammata se non di una moda o se vogliamo - e dobbiamo dirlo con sincero accento autocritico – si è rivelata un’occasione perduta.
Ma veniamo ai giorni nostri. La Grande Crisi, la recessione mondiale, è partita negli States dall’effetto subprime, dai mutui per comprar case concessi con troppa facilità dalle banche americane ai loro clienti. E allora i comportamenti anglosassoni che avevamo lodato per anni e che rappresentavano per il nostro mercato (e per la stessa società civile) un benchmark di modernità, si sono rivelati inadeguati, pericolosi, incolti. Quanto alle differenze basti pensare all’uso delle carte di credito, il denaro di plastica, così abituale e forse nevrotico negli Usa, così saggio da noi che continuiamo a usarle come carte di debito. Spendiamo solo quando sappiamo che l’importo è garantito da una copertura preesistente. Ma a farci da bussola è un’atavica paura di contrarre debiti più che una vera cultura finanziaria capace di misurare rischi e benefici.
La domanda allora diventa un’altra: se abbiamo perso la grande occasione degli anni ’80, se l’abc della società italiana in materia di finanza personale privilegia ancora fortemente l’immobiliare rispetto al mobiliare, vogliamo trasmettere queste incertezze alle giovani generazioni oppure possiamo fare qualcosa di più? La risposta non può che essere “migliorista”: fare un passo in avanti significa introdurre già nella scuola una cultura finanziaria che aiuti i ragazzi a gestire il rapporto con il denaro proprio e della propria famiglia, li porti a saper utilizzare il denaro elettronico, a controllare la corrispondenza con le banche e via di questo passo. L’obiettivo finale è mettere in grado i nostri figli, al momento in cui decideranno di mettere giù un loro progetto di vita autonomo, di saperne calcolare anche le variabili economiche. È chiaro che, nel frattempo e a causa del progresso tecnologico, il nostro rapporto con l’universo denaro si è fatto molto più complicato.
La sola gestione delle password e dei pin di accesso di bancomat, carte di credito, conti online, richiede un’applicazione che non conoscevamo. Da qui l’ovvia considerazione che una strumentazione di base, un alfabeto minimo, va trasmesso ai giovani come complemento del loro processo di responsabilizzazione. Vi sono innanzitutto evidenti motivi di sicurezza determinati dal fatto che gli studenti di oggi viaggiano molto di più dei loro padri e comunque hanno già in età scolare una frequenza di viaggi all’estero o di soggiorni per imparare le lingue molto elevata.
La cultura finanziaria innanzitutto come “strumento” per districarsi nel mondo del denaro e per non rinviare sine die il momento della responsabilità. Sappiamo che, per una lunga serie di motivi, la permanenza dei giovani in famiglia in Italia si protrae ormai ben oltre il conseguimento del titolo di studio. Le statistiche sono impietose e ci dicono che una quota significativa di figli resta a casa dei genitori anche molto dopo aver compiuto i 30 anni. E non avrebbe senso che questa permanenza prolungata si accoppiasse all’alibi della non conoscenza degli strumenti di operatività finanziaria.
Quando facciamo queste riflessioni dobbiamo però aver presente che nel mondo della scuola – se ne è avuto sentore nelle discussioni che si sono aperte al momento della riflessione sul cosiddetto liceo economico –
Introduzione
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l’incertezza nell’economia è l’unica spiegazione possibile di numerose altre differenze fra il mondo reale e il
sistema idealizzato descritto dalla teoria dell’equilibrio generale dell’economia classica. In particolare, spiega
come possa persistere una situazione di aspettative depresse, e come questa situazione possa condurre
a una recessione prolungata, o addirittura a una depressione. Secondo Keynes, lo “stato di fiducia” è in
evoluzione costante. Quando è alto, gli affari prosperano; quando è basso, invece, l’economia si contrae e
può addirittura finire per ritrovarsi in una situazione di sottoutilizzazione delle risorse.
L’analisi di Keynes sulla necessity e sul ruolo dell’intervento pubblico è basata sullo stato d’incertezza
prevalente nell’economia. Il contribuito principale che possono offrire le politiche economiche è quello di
ridurre l’incertezza. Le politiche non sono “buone” o “cattive” di per sè: sono efficaci innanzitutto se e nella
misura in cui riducono o incrementano l’incertezza macroeconomica, e in secondo luogo se sono in grado
di coordinare le aspettative degli operatori in direzione d’un miglior equilibrio. Keynes non era favorevole a
un intervento sistematico del governo nell’economia, in tutte le circostanze e in tutti gli Stati del mondo. Dal
suo punto di vista, il governo doveva astenersi dall’interferire con il normale funzionamento dell’economia,
e doveva intervenire solo in circostanze eccezionali, in particolare se esisteva uno stato di incertezza acuta.
Purtroppo, dopo la Seconda guerra mondiale molti dei suoi seguaci trascurarono questo aspetto e perorarono
l’intervento pubblico in tutte le circostanze e in tutti gli stati d’incertezza, finendo per produrre errori come
la Grande inflazione degli anni 70.
Per assicurarci che Keynes sia tornato veramente, e che non venga rispedito sugli scaffali una volta finita la
crisi, dobbiamo comprendere appieno la portata della sua analisi, in particolare il ruolo che gioca l’incertezza
nel determinare gli esiti economici.
Il contributo più importante del grande economista è stato quello di sfidare il senso comune, che poggia
sulla tendenza innata degli esseri umani ad affrontare i problemi che si trovano davanti nello stesso modo
in cui li hanno affrontati in passato, aspettandosi di ottenere gli stessi risultati, anche quando le circostanze
sono differenti. Dopo la Prima guerra mondiale, Keynes accusò i leader dell’epoca di «affrontare i problemi
del mondo del dopoguerra con le stesse identiche opinioni e idee di prima della guerra». Ripeté questa
accusa dopo la Grande depressione. Ma non gli diedero ascolto e i risultati furono ancora più disastrosi.
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Lorenzo Bini Smaghi è membro del Comitato esecutivo della Banca centrale europea. L’articolo è uno stralcio della
Lectio magistralis tenuta ieri dall’autore al Master in International Business and Economics dell’Università di Pavia.
Appunti
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«John Maynard Keynes è tomato di moda», scrive Robert Skidelsky nella prefazione del
suo ultimo libro, “Keynes, the Return of the Master”, pubblicato meno di un anno fa. Non
tanto, dice Skidelsky, per il fatto che il mondo sta fronteggiando la peggiore crisi dai
tempi della Grande depressione e i governi di tutto il mondo hanno messo in campo
pacchetti di misure di stimolo per sostenere l’economia, come raccomandava l’autore
della Teoria generale, quanto perché Keynes «offre il tipo di teoria giusto», una teoria che
è «una guida indispensabile per il futuro».
Una domanda che viene in mente a leggere queste parole è perché Keynes fosse andato
fuori moda, perché la Teoria generale fosse stata dimenticata e le sue prescrizioni
abbandonate. Se la teoria di Keynes era effettivamente generale, avrebbe dovuto essere
applicabile in tutte le circostanze, e non solo quando il mondo si trova sull’orlo del collasso.
Sono due le risposte possibili. La prima è che la teoria keynesiana non è generale, e
dunque non è applicabile a tutti gli stati economici del mondo. La seconda è che il famoso
ammonimento di Keynes nell’ultima pagina della sua Teoria generale («gli uomini
pratici, che si credono liberi da qualsiasi influenza intellettuale, di solito sono schiavi di
qualche economista defunto») sia stata capovolta. In altre parole, gli economisti defunti
- e le loro teorie - di solito sono schiavi di uomini pratici che non le comprendono fino
in fondo. Io propendo per la seconda interpretazione. A mio parere, il contributo più
importante che abbia mai offerto Keynes è quello di mettere in guardia gli uomini pratici,
decisori inclusi, dal rischio di rimanere intrappolati in teorie preconcette quando si tratta
di affrontare argomenti nuovi.
Nelle Conseguenze economiche della pace (1919), Keynes sconsigliava di adottare la
pratica tradizionale dei trattati di pace, vale a dire imporre ai Paesi sconfitti riparazioni
colossali senza tener conto della situazione economica generale e del fardello che una
politica del genere avrebbe imposto anche ai Paesi vittoriosi. Nella Riforma monetaria
(1923), l’economista inglese metteva in guardia da un ritorno precipitoso al gold standard,
il sistema prevalente prima della guerra, per ripristinare la disciplina monetaria e lottare
contro l’inflazione. Nella Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse, della moneta
(1936), invitava a diffidare delle predizioni della teoria classica, in particolare quando i
presupposti di base di tale teoria non sono soddisfatti, come accadeva durante la Grande
depressione.
Per tutta la vita Keynes ha messo in discussione le costruzioni mentali basate su presupposti
molto restrittivi. Nella Teoria generale, dimostra i limiti di questo tipo di approccio ponendo
al centro della sua analisi il ruolo che gioca l’incertezza nel determinare i risultati economici.
Come sottolinea lui stesso: «Lo stato di fiducia, come lo definiscono loro, è una questione
a cui gli uomini pratici dedicano sempre la massima attenzione. Ma gli economisti non
l’hanno analizzato accuratamente». Dal suo punto di vista, il ruolo pervasivo che gioca
25 Febbraio 2010
LO STATO (ECCEZIONALE) DI KEYNESdi Lorenzo Bini Smaghi
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 1nonostante tutto, i sistemi economici continuano ad essere caratterizzati da fasi di
ristagno, di recessione e di ripresa, che si alternano senza regolarità;
• in secondo luogo, se è vero che la lezione keynesiana è stata seguita con eccessiva
disinvoltura da molti dei suoi epigoni, provocando disastri inflativi e l’esplosione del
debito pubblico, è tuttavia necessario ripensarne i termini e ipotizzare che le iniezioni
di spesa pubblica nelle economie in recessione sono sì pericolose esche inflative, ma
sono al tempo stesso semplicemente necessarie.
Ma la riflessione forse più interessante dell’articolo di Bini Smaghi riguarda il metodo:
non esistono ricette buone per ogni stagione, come non esistono teorie economiche che
si possano applicare con successo in qualunque contesto. Ciò che va bene in un tipo di
congiuntura può provocare disastri in un altro, o semplicemente non avere efficacia: un
“ritorno a Keynes” come qualcuno è tentato di fare sarebbe un pericoloso passo indietro.
Gli economisti sono stati messi sotto accusa dopo l’esplosione della crisi: “non siete stati
in grado di prevederla e ora non siete in grado di tirarcene fuori” è stato detto da più
parti. Si tratta di accuse con poco fondamento: alcuni economisti avevano fatto previsioni
ragionevolmente certe riguardo alla crisi, mentre oggi vengono avanzate ipotesi di
risoluzione che semplicemente non vengono seguite dalla politica perché impopolari o
con effetti a lunga scadenza politicamente dunque poco interessanti.
Dare responsabilità eccessive agli economisti è come, per riprendere una metafora dello
stesso Keynes che citiamo in questo stesso lavoro, dare la responsabilità del mal di
denti ai dentisti! Qualche volta gli economisti, in particolare quelli neokeynesiani, si sono
lasciati trasportare dall’entusiasmo, ritenendo che dopo aver risolto il problema delle
crisi economiche più dirompenti, il loro compito si sarebbe dovuto spostare a riduzione
dell’ampiezza dei cicli economici attraverso operazioni di “sintonizzazione fine” degli
strumenti economici. Le crisi degli anni Settanta ed Ottanta, e a maggior ragione quella
attuale, hanno insegnato che queste sono pericolose illusioni: molto più ragionevole
appare la ricerca di soluzioni per attenuare l’impatto dei cicli economici.
Tecnicamente il ciclo economico è molto semplice da definirsi: è l’alternanza di fasi
caratterizzate da una diversa intensità nell’attività economica di un Paese o di un’area.
Anche dal punto di vista degli indicatori utilizzati per descrivere tali fasi non vi sono
particolari problemi: in genere si adottano variabili quali la crescita del prodotto interno
lordo (PIL), oppure della disoccupazione.
Questo ultimo aspetto segnala peraltro una possibile criticità, che nell’attuale contesto
economico si sta rivelando come determinante: non è detto che se il prodotto interno
lordo ricomincia ad aumentare questo provochi, in modo automatico e quasi meccanico,
una ripresa dell’occupazione. Al contrario, il contesto contemporaneo vede una certa
(timida) ripresa della produzione, senza che questo si riverberi sull’occupazione: è ciò che
viene definito jobless recovery.
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1L’articolo qui riportato si inserisce nel dibattito innescato dal drammatico
esplodere della crisi economica nel 2007. Ovviamente i periodi di crisi
provocano in generale un ripensamento sia delle prassi che dei modelli
teorici seguiti: ci si chiede dove sono stati compiuti gli errori più gravi, ma
soprattutto quali possano essere i rimedi da mettere in campo. A volte
ciò che viene definito crisi è un semplice rallentamento della congiuntura
economica, che può avere conseguenze serie per chi si trova a viverlo
(lavoratori che perdono il posto, oppure imprese costrette a chiudere).
Altre volte, e purtroppo questo è il caso dell’attuale crisi, si tratta di eventi
ben più drammatici che costringono ad interrogarsi sui modelli di fondo
dell’economia e del suo sviluppo.
Uno degli effetti forse più interessanti della crisi del 2007 è stato, ed è
tuttora, la riflessione di economisti e studiosi sociali su alcuni paradigmi
che sembravano ormai da considerarsi sufficientemente indagati: il ruolo
dello Stato nel sistema economico, lo spazio e la profondità dei controlli sui
mercati finanziari, gli strumenti di intervento più efficaci quando si verificano
recessioni di forte impatto economico-sociale.
Il Novecento è stato caratterizzato dal confrontarsi, a volte con toni aspri di
due posizioni:
• il mercato può farcela da solo e non è necessario alcun rilevante intervento
pubblico, che anzi risulta dannoso in quanto, necessariamente, drena
risorse attraverso i tributi per destinarle ad interventi che quasi mai
si rivelano efficaci; è la posizione degli economisti neoclassici di fine
ottocento e, dopo la parentesi keynesiana, è quella degli economisti
monetaristi riuniti intorno alla prestigiosa “scuola di Chicago” di Milton
Friedman;
• il mercato non può farcela da solo; si tratta di un meccanismo largamente
imperfetto e che rivela molte delle sue criticità proprio nelle fasi di
recessione; se così è, come sostengono Keynes e i keynesiani a partire
dalla drammatica crisi del ’29, allora il ruolo dello Stato attraverso la
spesa pubblica diventa un essenziale volano di un’economia inceppata e
che non appare in grado di far uscire il sistema dalle fasi recessive.
Comprensibilmente, le crisi costringono a ripensare alle prassi seguite e
a chiedersi se alcune ricette frettolosamente archiviate come vecchi ed
inefficaci arnesi, non possano essere riutilizzati. Le lezioni che provengono
dalla crisi contemporanea sono di diverso genere:
• in primo luogo in riferimento alla nozione stessa di ciclo economico:
La schedadi Roberto Fini
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 1della politica inglese dell’epoca, W. Churchill. Ma Keynes non
è uomo da farsi scoraggiare facilmente: le sue polemiche
lo allontanano per un certo tempo dagli ambienti politici
inglesi, ma durante tutta la sua vita professionale non viene
mai meno il suo spirito di osservazione e la sua curiosità,
che rappresentano i tratti distintivi di coloro che si pongono
l’obiettivo della ricerca sociale.
La prima osservazione di Keynes riguardo all’alternarsi delle
fasi economiche, che è poi alla base di gran parte delle sue
successive riflessioni, è la constatazione secondo la quale
non vi è una connessione diretta fra risparmi ed investimenti,
come invece riteneva la teoria economica fini a quel momento.
La mancanza di una tale connessione è la conseguenza del
fatto che le decisioni di risparmio sono il risultato delle scelte
dei consumatori, i quali a loro volta prendono tale decisione
sulla base del reddito disponibile, mentre le decisioni di
investimento vengono prese dagli imprenditori sulla base
delle aspettative di profitto e sulla base del tasso di interesse.
Se questa analisi è vera, allora può benissimo accadere, per
esempio, che i consumatori decidano di risparmiare una
quota cospicua del loro reddito, in quanto sufficientemente
soddisfatti dal loro standard di consumo; da tale decisione
deriva che nel sistema sia presente una buona disponibilità
di capitale a buon mercato a disposizione degli imprenditori
che lo volessero richiedere in prestito per i loro investimenti;
d’altra parte, un’alta quota di risparmio si traduce, per
definizione, in consumi stagnanti e dunque in aspettative
di profitto non positive: perché un imprenditore dovrebbe
richiedere del denaro alle banche se poi non avrebbe
prospettive soddisfacenti di vendita di quanto prodotto?
Si genera quindi un paradosso di difficile soluzione: da
una parte vi è una sovrabbondanza di risparmio e quindi
di capitale finanziario, ma dall’altra nessuno lo richiede,
nonostante i bassi tassi di interesse che tale abbondanza
produce.
Quello che genera questo circolo vizioso è il comportamento
del consumatore o, per usare la terminologia keynesiana, la
sua propensione al consumo, cioè la quota di reddito che
ciascuno destina al consumo e, complementariamente, al
risparmio: un’alta propensione al consumo produce poco
risparmio, ma al tempo stesso aspettative positive di vendita
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LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
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RecessioneDepressioneEspansione economicaCrisi del ‘29Jobless recoverySpesa pubblicaTeorie keynesiane
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1In linea generale, comunque, il termine stesso di ciclo economico fa pensare
alla presenza di fasi diverse che gli economisti hanno da tempo definito in
modo sufficientemente preciso:
• fase di crescita, nella quale il PIL e/o l’occupazione crescono abbastanza
rapidamente e di conseguenza il benessere dei consumatori tende ad
aumentare;
• fase di recessione, nella quale il PIL e/o l’occupazione prima smettono di
crescere poi diminuiscono per almeno due trimestri consecutivi;
• fase di depressione, nella quale PIL e/o occupazione ristagnano su livelli
bassi e molti lavoratori risultano disoccupati;
• fase di ripresa, nella quale PIL e/o occupazione riprendono a crescere,
in genere prima lentamente poi a ritmi più elevati.
Naturalmente non è per nulla detto che le fasi si alternino con regolarità:
in economia non esistono regole che possano ragionevolmente garantire
che una fase di recessione duri poco e che venga seguita da una fase di
espansione più lunga e con un totale recupero delle posizioni perdute.
Il problema più rilevante è però un altro: da che cosa sono determinate le fasi
alterne che costituiscono il ciclo economico? Nel corso del tempo si sono
susseguite interpretazioni diverse: Jevons, uno dei padri fondatori della
scuola neoclassica nel corso dell’Ottocento, le attribuì ai cicli delle macchie
solari che provocavano conseguenze sugli andamenti climatici e dunque
sui rendimenti agricoli. Altri autori si concentrarono sulle variazioni delle
scorte all’interno dell’attività produttiva e sulla necessità di ricostituirle ogni
3-4 anni. L’ipotesi di Jevons è senza dubbio suggestiva, ma è in grado di
spiegare una ciclicità dell’economia agricolo e non certo di quella industriale.
Un contributo particolarmente interessante per spiegare i comportamenti
ciclici dell’economia si deve all’economista Kuznets che studiò le rivoluzioni
industriali considerandole i momenti alti dei cicli economici.
Uno dei contributi riguardo ai cicli economici più originali si deve a J.M.
Keynes, che nel corso del Novecento ne trattò a più riprese, come del resto
viene accennato nell’articolo riportato. L’aspetto forse di maggior interesse
dell’analisi keynesiana a proposito dei cicli economici fanno riferimento ai
soggetti che operano nel tessuto economico e al loro comportamento,
che si diversifica nel tempo, producendo così fasi di espansione e fasi di
depressione.
Keynes è un attento osservatore della realtà che caratterizza la turbolenta
fase fra le due guerre mondiali, anzi è senza dubbio corretto affermare
che vi partecipa da protagonista, anche se il suo carattere polemico gli
aliena molte simpatie di personaggi potenti, per primo l’astro nascente
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 1minor propensione al consumo; ecc. Il ciclo negativo si autoalimenta e si avvita dramma-
ticamente su sè stesso. Ovviamente una simile situazione non può durare in eterno: prima
o poi gli imprenditori torneranno ad investire, non fosse altro perché dovranno sostituire il
logorio e l’invecchiamento dei beni capitali presenti nelle loro imprese; lentamente, la fase
di ripresa si concretizza e il ciclo economico inizia la sua fase di ascesa.
Apparentemente, dunque, sarebbe sufficiente attendere che la fase bassa del ciclo si
concluda per tornare ad una fase espansiva. Ma Keynes sa che le fasi depressive hanno
profonde conseguenze sociali: egli è testimone diretto della rivoluzione russa del ’17 e agli
inizi degli anni venti aveva fortemente sconsigliato ai Paesi vincitori della prima guerra
mondiale di imporre ai Paesi sconfitti sanzioni troppo severe che avrebbero generato,
come poi del resto avvenne, gravi conseguenze economiche (iperinflazione in Germania)
e politiche (disordini sociali, malcontento e in definitiva ascesa al potere di Hitler). Ma è la
crisi del ’29 e la successiva Grande Depressione che forniscono a Keynes la dimostrazione
della scarsa efficacia analitica ed empirica delle teorie economiche che affidavano alle
sole forze “naturali” del mercato il compito di far uscire un Paese dalle fasi basse del ciclo
economico.
La crisi del ’29 e la conseguente depressione degli anni Trenta furono eventi epocali, che
coinvolsero la vita e le condizioni sociali di milioni di persone, sia in Europa che negli USA.
Keynes ritiene che un sistema economico minato nella sua fiducia, come quello che gli si
presentava davanti dopo il crack di Borsa dell’Ottobre 1929, non avrebbe potuto risollevarsi
da solo, e comunque con tempi troppo lunghi da poter essere considerati socialmente
accettabili. Occorreva ripristinare uno stato di fiducia, un sentimento che gli economisti
avevano sino ad allora sottovalutato, se non ignorato, considerandolo una variabile esogena
rispetto al sistema economico. Se un sistema è depresso, è difficile che possa riprendersi
da solo: regna uno stato di incertezza sulle prospettive future che induce gli investitori a
procedere lentamente o addirittura a “stare a guardare” come evolverà la situazione.
Questa constatazione spinge Keynes ad avanzare un’ipotesi controcorrente, fino ad essere
rivoluzionaria, rispetto alle teorie sino a quel momento enunciate dalla maggioranza degli
economisti: fermo restando che lo stato di incertezza non si può eliminare, è possibile
ridurne gli effetti attraverso la politica economica. Il ruolo dello Stato, dunque, non è
più quello neutrale ipotizzato da Smith e dagli altri economisti della scuola classica e
neoclassica, ma al contrario assume uno spazio determinante in una chiave “anticiclica”,
quando cioè si tratta di invertire le tendenze “naturali” dell’economia.
In particolare, quando il sistema economico si trovi in una fase depressiva, o comunque
mostri i segni di un rallentamento eccessivo, è opportuno che lo Stato intervenga in
modo attivo, fino a sostituirsi almeno in parte agli investimenti privati che ristagnano per
effetto dell’incertezza. Keynes presenta in modo compiuto questa sua tesi nella sua opera
principale, La “teoria dell’interesse, dell’occupazione e della moneta”, del 1936; ma molti
degli aspetti che vi sono trattati erano già stati esposti dall’autore in precedenza, anche
prima dell’esplodere della crisi del ’29. Peraltro, l’amministrazione di Roosevelt nel Cic
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1da parte degli imprenditori, i quali in simili circostanze sono disposti anche
a pagare un alto tasso di interesse pur di rifornirsi dei capitali necessari
per i loro investimenti. Ovviamente, accade il contrario in caso di bassa
propensione al consumo: capitali abbondanti, ma aspettative di profitto
negative per gli imprenditori; in un caso del genere i tassi di interesse
potrebbero scendere fin quasi ad azzerarsi ma, nonostante questo, non si
avrebbe un’alta richiesta di capitali da parte degli imprenditori.
In sostanza secondo Keynes la fase espansiva di un ciclo economico è
caratterizzata da aspettative ottimistiche da parte degli imprenditori
riguardo al reddito futuro dei capitali investiti, al punto che sceglieranno
di affrontare costi di produzione in crescita anche per l’aumento dei tassi
di interesse. L’espansione economica ha dunque origine da prospettive
ottimistiche da parte degli imprenditori e in buona misura si autoalimenta
perché le imprese, per aumentare la loro produzione di beni finali, dovranno
rivolgersi ad altre imprese che producono materie prime, semilavorati, ecc.
Purtroppo però una tale situazione non dura in eterno: se le aspettative
positive vengono meno, anche per cause non direttamente economiche,
il flusso di investimenti prima rallenta, poi si ferma, generando prima
recessione e poi depressione.
Da questo punto di vista un primo rilevante contributo da parte di Keynes,
in piena contrapposizione rispetto a gran parte della teoria economica
precedente è molto semplice, ma al tempo stesso rivoluzionario: le manovre
sul tasso di interesse, cioè in altre parole sul costo degli investimenti,
possono rivelarsi (e di solito si rivelano) misure non sufficienti per superare
congiunture negative del ciclo economico; sono invece le aspettative
positive degli imprenditori, a loro volta generate da una propensione
al consumo sufficientemente alta, a rappresentare la chiave di volta
della ripresa e l’uscita dalla parte bassa del ciclo economico. Una parte
considerevole del problema è dunque originata dal comportamento dei
consumatori: consumatori “cicale” producono poco risparmio, ma al tempo
stesso generano aspettative positive negli imprenditori, che sono dunque
disposti ad investire; consumatori “formiche” mettono a disposizioni grandi
quantità di risparmio, ma non inducono gli imprenditori a prenderlo a
prestito a causa delle scarse prospettive di vendita dei prodotti.
D’altra parte, la propensione al consumo dipende, anche, dal reddito dei
consumatori: nella fase bassa del ciclo economico, con le imprese che non
investono e dunque riducono gli occupati, è ben difficile che i consumatori
abbiano reddito sufficiente ad alimentare prospettive positive; al contra-
rio, in simili situazioni si genera un circolo vizioso: redditi bassi provocano
bassi consumi; bassi consumi a loro volta inducono bassi investimenti e
probabilmente disinvestimenti e licenziamenti; questo produce a sua volta
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
Traccia per l’attività in classe
A partire dall’articolo e dalle riflessioni che sollecita, è possibile trarre spunti per l’attività
da svolgere in aula.
La crisi ha provocato una ripresa della riflessione sul ruolo che lo stato e la politica
economica può svolgere nel tessuto economico. La tradizionale contrapposizione fra
economisti di orientamento keynesiano ed economisti monetaristi si è rinnovata in maniera
originale, arricchendosi peraltro di nuovi ed interessanti spunti. Le pagine dei giornali
sono state spesso occupate da tale dibattito: una ricerca attenta sui principali quotidiani
può tradursi in una ricostruzione di notevole interesse e dalle conseguenze didattiche
positive. Si raccomanda la lettura di quotidiani quali il Sole 24 Ore e il Corriere della Sera
per quanto riguarda la stampa cartacea italiana, il sito della rivista on line www.lavoce. info
in riferimento ad Internet e la lettura di riviste quali l’Economist per quanto riguarda la
stampa estera.
L’oggetto del contributo è riferito all’esistenza in economia di cicli economici: l’economia
non ha un andamento costante nel corso del tempo e le sue variazioni, verso l’alto e
verso il basso, hanno profonde conseguenze sulla vita delle persone. È possibile misurare
tale andamento e l’ampiezza delle variazioni che si registrano nel tessuto economico. Un
utile esercizio empirico può essere quello di scegliere opportuni indicatori del ciclo (PIL,
PIL pro-capite, occupazione/disoccupazione, tasso di attività, consumi, risparmio, ecc.)
e verificarne gli andamenti, sia nel corso del tempo sia fra Paesi ed aree geografiche. Gli
strumenti non mancano: gli istituti di statistica ufficiali pubblicano dati di sicuro interesse,
ma le possibilità di confronto più utili possono ricavarsi da database internazionali quali
quello dell’OCSE o per l’Europa Eurostat. Per poter trarre il massimo beneficio dalla messe
di dati a disposizione è necessaria una buona conoscenza dell’uso di un foglio elettronico
ed alcune nozioni di statistica economica (trasformazione in numeri indice, percentuali,
tassi di crescita).
L’esistenza di fasi alte e basse del ciclo economico può considerarsi un dato ormai acquisito,
anche se le ragioni di tale esistenza non sono sempre chiare. È peraltro evidente che le fasi
basse del ciclo, quelle cioè che si traducono in un rallentamento della crescita o addirittura
costituiscono un arretramento dell’economia e un peggioramento nelle condizioni di vita
delle persone, sono quelle studiate con maggior interesse da economisti, scienziati sociali
in genere e anche scrittori di narrativa. La crisi del Ventinove da questo punto di vista ha
rappresentato un significativo punto di svolta e di riflessione.
Non mancano le testimonianze: i romanzi di J. Steinbeck (“Uomini e topi”, ma soprattutto
“Plan della Tortilla” e “Furore”) rappresentano ottimi punti di partenza dal punto di vista
narrativo, soprattutto se accompagnati dai film che sono stati girati a partire da tali romanzi.
Anche la lettura di saggi quali “il grande crollo” e “breve storia dell’euforia finanziaria”
dell’economista americano J. K. Galbraith possono considerarsi letture utili ad allargare la
conoscenza delle conseguenze umane delle recessioni.
1corso degli anni Trenta varò un gigantesco programma di opere pubbliche
che ricalcavano le posizioni keynesiane. Anche in altri Paesi, seppure con
metodi differenti, gli anni Trenta rappresentarono il periodo nel quale la
spesa pubblica si espanse in misura notevole: la Germania e l’Italia vararono
programmi fondati sul riarmo, l’Inghilterra seguì una strada per molti aspetti
analoga a quella degli USA. In ogni caso, anche se con difficoltà e in modo
non certo lineare, verso la fine degli anni Trenta la fase depressiva iniziatasi
nel ’29 poteva considerarsi conclusa.
Purtroppo dopo la seconda guerra mondiale, Keynes morto (1946), gli
economisti che si rifacevano alle sue analisi credettero di aver trovato nello
sviluppo del suo pensiero la pietra filosofale per assicurare al mondo un
benessere definitivo e crescente attraverso un deciso intervento pubblico.
L’idea di fondo che spingeva questi economisti era che il modello keynesiano
potesse eliminare, o comunque ridurre a dimensioni trascurabili, il ciclo
economico e, in particolare, le sue fasi negative.
Se Keynes fosse stato vivo probabilmente avrebbe ammonito i suoi epigoni
che non esiste, nè può esistere, un modello buono per ogni stagione e che il
ruolo degli economisti dovrebbe essere quello di fornire ricette contingenti
dopo un’attenta analisi della realtà. Come ebbe a scrivere in un’occasione
(1931) a proposito del ruolo degli economisti: essi dovrebbero essere “gente
umile e competente, al pari dei dentisti”. E, aggiungiamo: dovrebbero essere
studiosi che intervengono nel modo più opportuno di fronte al mal di denti
della società, decidendo di volta quale può essere la cura migliore.
PIL
Tempo
Andamento
a lungo te
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e
Espansione/Recupero
Depressione
Contrazione/Recessione
Picco
Espansione/Recupero
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FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Esistono analisi che forniscono spiegazioni sull’esistenza dei cicli
economici?
Sì, ne esistono parecchie perché l’esistenza di una ciclicità nell’economia è una constatazione molto antica: basti pensare ai periodi di “vacche grasse e vacche magre” prospettate dagli egiziani. In tempi più recenti si è osservato che i cicli economici hanno una certa connessione con eventi naturali quali i cicli delle macchie solari, oppure con eventi economici quali la necessità ciclica di ripristinare le scorte industriali oppure ammodernare il parco macchine.
I cicli economici hanno un andamento regolare?
No, non si può determinare a priori quanto durerà ciascuna fase che compone un ciclo economico: è possibile che esse si succedano con una certa regolarità e velocità, come è altrettanto possibile che una fase sia più lunga ed intensa delle altre.
Che ruolo hanno gli investimenti nell’andamento ciclico dell’economia?
Hanno certamente un ruolo importante: un volume maggiore di investimenti produce una crescita del reddito e, a certe condizioni, dell’occupazione.Ciò significa che senza un volume adeguato di investimenti le fasi negative del ciclo economico non possono essere superate. Il problema diventa però quello di determinare i modi attraverso cui si possono stimolare gli investimenti. Secondo gli economisti non keynesiani è sufficiente un basso tasso di interesse, in quanto esso determina il costo del denaro e dunque la propensione ad investire; nel modello keynesiano, per quanto il tasso di interesse possa giocare un ruolo non secondario, se le aspettative di profitto sono basse, anche un costo del denaro molto basso non fa propendere gli imprenditori all’investimento.
Che ruolo ha la spesa pubblica nello stimolare l’economia?
Secondo gli economisti non keynesiani la spesa pubblica ha un ruolo negativo: il mercato è in grado da solo di fornire sufficienti garanzie di efficienza, mentre lo Stato dovrebbe limitarsi a fornire il quadro istituzionale entro cui i privati potrebbero muoversi senza difficoltà. Per i keynesiani, al contrario, lo Stato deve assumere un ruolo chiave nel sistema economico, stimolando gli investimenti attraverso la spesa pubblica, anche a costo di finanziarla in deficit o con emissioni monetarie.
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Bancadi Maria Cristina Quirici2
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La struttura industriale del settore bancario sarà ridisegnata nei prossimi anni. L’Italia, come altri Paesi
europei, all’inizio degli anni ’90 scelse la strada della Banca Universale di matrice germanica, contrapposta
al modello del Gruppo Polifunzionale, più vicino a logiche di specializzazione strategico-organizzativa
tipiche del mondo anglosassone. Il modello ha resistito anche di fronte alla recente crisi, ma necessita di
importanti revisioni. La recente scelta di Unicredit di creare una banca unica, pur preservando una logica di
specializzazione per mercati, è un primo esempio di evoluzione del modello.
Riteniamo che le grandi banche saranno sempre più concentrate sulle attività di banca commerciale e, pur
divisionalizzate, cercheranno di massimizzare l’integrazione tra i diversi segmenti di clientela. Realizzeranno
anche strutture specializzate per prodotto (es. sistemi di pagamento), che offriranno anche alle banche di
dimensioni minori. Proseguirà il consolidamento delle banche medie, con l’obiettivo di realizzare leadership
regionali su territori contigui, riducendo l’attuale dispersione geografica. Le banche piccole dovranno
concentrarsi ancora di più sulla relazione con il cliente, realizzando centralmente le economie di scala su
prodotti e processi condivisibili.
Si assisterà inoltre ad una ripresa degli approcci di partnership relativi a “fabbriche” di servizi o prodotti comuni.
La maggiore focalizzazione in corso consentirà l’emergere di nuove aree di eccellenza su cui concentrare
le risorse: pensiamo ad esempio all’attività di corporate banking ad alto livello, dove è particolarmente
agguerrita la concorrenza internazionale.
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Appunti
La recente proposta del presidente Obama di varare una tassa sull’esposizione delle
banche e di reintrodurre logiche da Glass-Stegall Act (separazione tra attività di banca
commerciale da quelle di banca di investimento) nasce da motivazioni condivisibili:
rendere meno conveniente l’attività di trading proprietario per favorire l’attività a
sostegno delle imprese, quindi della crescita economica e dell’occupazione. Emergono
tuttavia interrogativi sostanziali, legati alla difficoltà di mettere in atto questa proposta in
un settore ormai globalizzato – soprattutto l’investment banking – e da 20 anni a questa
parte sempre più consolidato.
Procedono intanto i lavori su Basilea 3, che imporrà limiti più stringenti alla composizione
del capitale delle banche, con un effetto di rafforzamento della base patrimoniale. Un
recente studio di Credit Suisse ha stimato per l’Europa impatti di ricapitalizzazione pari
a 139 miliardi di euro entro il 2012, anno dell’entrata in vigore di Basilea 3. Inevitabili le
ricadute negative sul ROE, a parità di livello di rischi e portafogli di business. A fronte
di cambiamenti potenziali così rilevanti, è auspicabile l’azione concordata tra governi e
regulator dei diversi Paesi per evitare disequilibri competitivi.
Capire l’impatto che questi cambiamenti avranno sulle nostre banche e imprese è
particolarmente rilevante per un Paese che più degli altri in Europa è dipendente dal
credito bancario, presenta il numero maggiore e la rilevanza maggiore di piccole e
medie imprese (oltre 4 milioni) e un sistema bancario che si è dimostrato più solido perché
meno propenso alla speculazione.
Per le imprese, quasi completamente dipendenti dalle banche, l’afflusso di nuovi crediti sarà
minore a causa del maggior costo del rischio, ma anche di quello legato al rafforzamento
dei limiti patrimoniali, esito di Basilea 3. Alle Pmi, in particolare, è di fatto precluso l’accesso
al mercato dei capitali di cui hanno invece largamente beneficiato nel 2009 le imprese più
grandi, che hanno emesso bond per 34 miliardi di euro. Le banche, in attesa che si chiarisca
il quadro, saranno comunque spinte a una maggiore prudenza nella scelta dei profili di
rischio, con conseguente minore redditività a parità di spread e livello di domanda, a una
maggiore focalizzazione sul commercial banking, con conseguente cessione degli asset
non più strategici e a un aumento della patrimonializzazione.
Gli operatori italiani peraltro hanno già anticipato le direttrici del mercato. Diversi gli esempi
recenti: Intesa Sanpaolo ha ceduto le attività di banca depositaria; Unicredit ha effettuato
un aumento di capitale da 4 miliardi; MPS ha finalizzato l’uscita parziale dal settore del
risparmio gestito; le alleanze della bancassicurazione vita sono state profondamente
riviste, con la ricerca di minori impegni di capitale da parte delle banche; il business della
raccolta diretta ha acquisito un ruolo sempre più strategico, anche con l’ingresso di nuovi
attori (es. Che Banca, Gruppo Mediobanca).
10 Marzo 2010
L’IMPATTO DI BASILEA SULLE BANCHE ITALIANEdi Partner A.T. Kearney
L’articoloB
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 2è possibile raccogliere risparmio o esercitare congiuntamente la raccolta e l’impiego di
fondi senza essere banca.
A completamento dell’analisi degli aspetti definitori occorre sottolineare l’affermazione
secondo cui “l’attività bancaria ha carattere di impresa”, dichiarazione di principio
importante che contrapponendosi alla natura pubblica dell’attività bancaria sancita dalla
Legge bancaria del 1936 - secondo cui la raccolta del risparmio tra il pubblico e l’esercizio
del credito costituivano “funzioni di interesse pubblico” - ricorda a tutti i banchieri il
necessario rispetto delle regole dell’equilibrio economico e patrimoniale delle aziende
bancarie da loro gestite.
Le funzioni “tipiche” della banca: monetaria e creditizia
La disamina effettuata consente di rilevare come la banca si caratterizzi rispetto agli altri
intermediari finanziari (1) per la possibilità, solo a lei riconosciuta, di esercitare congiunta-
mente la funzione creditizia e la funzione monetaria, quest’ultima svolta dalle sue passività
– i depositi – che vengono comunemente accettate quali mezzi di pagamento. Tali funzio-
ni, che risultano strettamente interdipendenti ed inscindibili, devono pertanto considerarsi
condizioni necessarie e sufficienti affinché ci si possa riferire all’attività bancaria nella sua
accezione “tipica” di intermediario creditizio.
Per quanto riguarda la funzione creditizia, occorre subito rilevare come la banca nell’eser-
citare tale funzione non si configuri quale intermediario “puro”, dal momento che non si
limita a trasferire le risorse così come sono conferite dalle unità in surplus (aventi un avan-
zo finanziario, cioè un saldo finanziario positivo) a quelle in deficit (con un disavanzo finan-
ziario, o saldo finanziario negativo), ma pone in essere una trasformazione delle condizioni
di scambio tra offerenti e richiedenti fondi in relazione a molteplici fattori quali la natura
del finanziamento, la sua durata, le modalità della sua remunerazione e rimborso. Inoltre,
l’attuazione di una diversificazione nelle condizioni alle quali si realizzano la raccolta e la
successiva distribuzione di risparmio da parte della banca consente pure di eliminare, o
quanto meno di ridurre, la presenza di quelle asimmetrie informative che ostacolano l’in-
1 Si ricorda che gli intermediari finanziari sono classificabili in tre diverse categorie:
1 - gli intermediari creditizi, che si caratterizzano per l’esercizio congiunto della funzione creditizia, dal lato dell’attivo, e della funzione
monetaria, emettendo forme di debito a vista accettate come mezzo di pagamento;
2 - gli intermediari mobiliari, che svolgono prevalentemente attività di negoziazione, di collocamento, di gestione e di consulenza
aventi per oggetto strumenti finanziari. In questo ambito, è possibile poi distinguere tra:
• i c.d. “intermediari mobiliari in senso stretto”, intendendo con ciò quei soggetti abilitati a richiedere l’autorizzazione allo
svolgimento dei servizi di investimento;
• gli intermediari abilitati alla gestione collettiva del risparmio, che si caratterizzano proprio per una attività di gestione delegata
“in monte” che rappresenta, insieme ai servizi di investimento, l’altra tipologia di attività “riservata”, il cui svolgimento presuppone
il possesso di una specifica autorizzazione concessa sulla base del possesso di determinati requisiti;
3 - le compagnie di assicurazione, che si contraddistinguono per la loro funzione di gestione dei rischi puri e da un collaterale
circuito finanziario derivante dalla sequenza di raccolta dei premi, investimento delle riserve, (eventuale) pagamento dei capitali
assicurati.
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La schedadi Maria Cristina Quirici
La banca e l’attività bancaria: aspetti definitori
L'articolo preso a riferimento per approfondire il vasto tema della banca
nei suoi aspetti peculiari e distintivi consente di porne in rilievo i principali
tratti evolutivi alla luce della grave crisi finanziaria ed economica che stiamo
vivendo.
Ma per poter meglio capire tali tendenze evolutive è opportuno chiarire
prima di tutto cosa si debba intendere per “banca” nel nostro ordinamento. La
banca può essere qualificata come un’azienda che opera sistematicamente,
e a proprio rischio, nel campo del credito, raccogliendo risorse finanziarie
presso il pubblico – sotto forma di depositi rimborsabili a vista – ed erogando
risorse finanziarie a titolo di credito. In altri termini, la banca avvia il risparmio
liquido messo a disposizione dalle unità in surplus, tipicamente le famiglie,
verso forme di investimento a breve e medio termine, soddisfacendo
il fabbisogno finanziario delle unità in deficit, tipicamente le imprese. Si
parla al riguardo di funzione creditizia, peculiare dell’attività bancaria. Al
contempo, la banca interviene nel regolamento degli scambi, dal momento
che la forma tipica di passività bancaria, rappresentata dai depositi, è
comunemente accettata quale mezzo di pagamento sotto forma di moneta
bancaria, rappresentata dagli assegni emanati a fronte di tali depositi. Si
configura così la seconda funzione tipica della banca, la funzione monetaria,
che risulta strettamente interdipendente ed intimamente connessa con
quella creditizia.
Se sotto un profilo economico la banca si caratterizza per l’esercizio
congiunto della funzione creditizia e monetaria, giuridicamente si fa
riferimento non alla nozione di banca quanto a quella di “attività bancaria”
che nella sua accezione di attività creditizia risulta fondata sull’esercizio
congiunto della “raccolta del risparmio tra il pubblico e dell’esercizio del
credito”, non potendo quindi ravvisarne la presenza nel caso di operatori
che si limitano alla sola provvista di fondi o al solo impiego dei medesimi.
Viene altresì precisato che “l’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle
banche” e che detta attività “ha carattere d’impresa”.
Ne consegue che è possibile rilevare una duplice riserva di attività a favore
delle banche: oltre a quella dell’esercizio dell’attività bancaria vi è quella
della raccolta del risparmio tra il pubblico, identificabile con l’acquisizione di
fondi con obbligo di rimborso, tipicamente sotto forma di depositi. Pertanto,
se è possibile concedere esclusivamente prestiti senza essere banca, non
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 2attivo anche oltre quello passivo precedente, determinando il
sorgere contestuale di propri debiti con l’affermarsi di nuove
attività patrimoniali, tipicamente per prestiti”. Al riguardo si
parla di una funzione monetaria svolta dei debiti bancari: si
può giungere a rilevare che la banca moderna si è affermata
allorchè taluni suoi debiti (i depositi a vista), posti in circo-
lazione per mezzo di particolari titoli di credito, tipicamente
assegni e bonifici, che rappresentano la “moneta bancaria”,
sono divenuti efficaci mezzi di pagamento. Anzi, la banca si
caratterizza proprio per essere l’unica “impresa i cui debiti
sono utilizzati per effettuare pagamenti”.
Pertanto, la funzione creditizia si intreccia strettamente con
la funzione monetaria, avendo un effetto di ritorno sulla stes-
sa formazione dei depositi: ogni prestito “crea” un deposito
nella misura in cui non viene utilizzato in moneta legale ma
attraverso la moneta bancaria, dove la seconda, nota anche
come “moneta scritturale”, è considerata sicuro surrogato
della prima, in un processo moltiplicativo dei depositi secon-
do il quale loans make deposits (cioè i prestiti creano i depo-
siti).
Le altre funzioni della banca (di investimento e di servizi) e la despecializzazione tempora-le ed operativa
Le banche annoverano tra le proprie attività, oltre ai prestiti
(variamente strutturati sotto il profilo tecnico e temporale),
anche collocamenti finanziari durevoli che connotano quella
che viene definita la funzione di investimento delle aziende
di credito. In virtù della funzione in esame, infatti, “la banca
concorre ad avviare il risparmio liquido verso forme durevoli
di investimento”.
Tale funzione si concretizza nell’acquisto, o nell’immissione
nel portafoglio di investimento della banca in qualità di par-
tecipazioni, di strumenti finanziari acquisibili sul mercato fi-
nanziario primario e secondario, nonché nella realizzazione di
investimenti strutturali in immobili e tecnologie.
A differenza di quanto indicato con riguardo alla funzione
creditizia, la banca non si attende dai propri investimenti fi-
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SITI E INFO PER APPROFONDIRE www.ilsole24ore.comwww.bancaditalia.it
T. BIANCHI, Considerate la vostra semenza, in “Banche e Banchieri”, n. 3, 2010.
N. Degli Innocenti, King (Banca d’Inghilterra): riformare il settore bancario, in “Il Sole 24 Ore”, 21 ottobre 2009.
F.S. MISHKIN – S.G. EAKINS – G. FORESTIERI, Il settore delle banche commerciali: struttura e concorrenza, in Istituzioni e mercati finanziari, Pearson Editori, Milano, 2007.
M. PLATERO, Obama contro le banche: mai più colossi, in “Il Sole 24 Ore”, 22 gennaio 2010.
M. PLATERO, A Wall Street scatta l’ora delle regole, in “Il Sole 24 Ore”, 16 luglio 2010.
M.C. Quirici, L’attività bancaria: aspetti definitori e relativi tratti evolutivi, in L. GAI (a cura di), Lineamenti di gestione bancaria, FrancoAngeli, Milano, 2009.
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
QR-CODE
Depositi bancariFunzione monetariaBasileaCommercial bankingIntermediari mobiliariIntermediari creditiziRetail CorporateDerivatiTrading
Ba
nca
2contro diretto tra domanda ed offerta di capitali.
L’intermediazione diretta, invece, presupporrebbe la perfetta coincidenza
delle suddette condizioni ed è facilmente intuibile come tale coincidenza sia
nella realtà difficilmente realizzabile, in quanto le esigenze dei soggetti offe-
renti e richiedenti fondi risultano assai spesso divergenti (basti pensare, ad
esempio, alla durata dell’investimento, a breve termine nell’ottica dei primi,
a medio-lungo nell’ottica dei secondi).
La parte più consistente della raccolta bancaria, rappresentata dai depositi
bancari, viene negoziata tipicamente “a vista”, volendo con ciò significare
che la banca si dichiara disposta a far fronte ai propri debiti in qualsiasi mo-
mento; gli impieghi bancari, dall’altro lato, legati alle esigenze finanziarie dei
prenditori di fondi (tipicamente imprese), anche qualora negoziati formal-
mente a breve termine tendono a protrarsi nel tempo, visto che possono es-
sere ripetutamente rinnovati rispetto alla loro scadenza contrattuale. Nella
realtà, quindi, i fondi erogati dalla banca quali crediti a breve termine vanno
a coprire un fabbisogno finanziario di non breve termine, palesando di fatto
una scadenza indeterminata nel tempo e solo la presenza di condizioni di
equilibrio economico-tecnico dell’azienda affidata, tali da consentirle di far
fronte ad un annullamento del rapporto in tempi brevi, potrà far classificare
come a breve un finanziamento bancario che pur si protrae nel tempo.
La possibilità per le banche di ampliare le forme tecniche dei propri impie-
ghi al di là del breve termine è connessa al superamento da parte del Testo
Unico in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. n. 385/1993, breviter TUB) del
principio della specializzazione degli intermediari finanziari, che invece era
stato posto dalla Legge bancaria del 1936. Il TUB, infatti, ha definitivamente
cancellato quei vincoli temporali che rendevano impossibile alle aziende di
credito ordinario concedere prestiti oltre il breve termine, visto che i finan-
ziamenti a medio-lungo termine erano riservati a una particolare categoria
di intermediari, gli istituti di credito speciale, che però non potevano racco-
gliere depositi, in un’ottica di specializzazione operativa e temporale che
era finalizzata a minimizzare i rischi derivanti dalla mancata coincidenza
della natura dei crediti attivi e passivi.
Tratteggiata la funzione creditizia delle banche resta da verificare se essa
possa esplicarsi con vantaggio e in vaste proporzioni in via autonoma ri-
spetto alla raccolta di depositi. Al riguardo giova rilevare come il colloca-
mento dei fondi non sia subordinato alla preventiva raccolta dei medesimi:
se così fosse, la banca potrebbe prestare solo dopo aver raccolto fondi,
dei quali del resto non è creatrice o emittente, ma questo comporterebbe
inevitabilmente limitate possibilità di crescita della funzione creditizia. Tali
possibilità “si affermano, invece, allorché la banca può negoziare credito
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 2strumenti finanziari, quali derivati, quote di fondi comuni di investimento, gestioni patri-
moniali ecc. Ciò è stato reso possibile dal processo evolutivo in campo normativo che, eli-
minando talune riserve di attività che precludevano alle banche l’accesso diretto al trading
dei prodotti finanziari diversi dai titoli di Stato, ha consentito un crescente affermarsi della
banca quale intermediario mobiliare.
Tale processo di rinnovamento legislativo era stato avviato all’inizio degli anni Novanta
data la pressante necessità, avvertita dalle stesse autorità di vigilanza nazionali, di accre-
scere il grado di competitività all’interno del nostro sistema creditizio alla luce dell’immi-
nente ingresso nel mercato unico a livello comunitario.
Inizialmente, con la Legge Amato-Carli (L. n. 218/1990), si era cercato di ovviare ad alcune
carenze proprie del nostro sistema: se da un lato veniva superato lo schema pubblicistico,
proprio della legge bancaria del 1936, come modello istituzionale degli enti creditizi, affer-
mando così il carattere imprenditoriale dell’attività delle banche, in modo da accrescerne
la capacità concorrenziale, dall’altro si prendeva atto della necessità di un ampliamento
dell’offerta bancaria verso una gamma di servizi/prodotti sempre più ampia e articolata,
per cui venivano regolamentati per la prima volta i gruppi bancari polifunzionali, che an-
cora rispettavano il principio della specializzazione temporale ed operativa dell’attività
creditizia, nonché quello della separatezza tra banca e impresa. I gruppi polifunzionali,
infatti, rappresentando un insieme di più unità operative giuridicamente distinte ma co-
ordinate nel loro funzionamento e nelle loro strategie da una capogruppo, erano in grado
di ampliare la gamma dei servizi offerti senza disperdere i benefici della specializzazione.
Per il definitivo superamento del principio di specializzazione, sia in senso temporale (im-
possibilità di concedere prestiti oltre il breve termine) che operativo (esercizio della sola
attività tipica, quindi creditizia), è stato necessario attendere il recepimento nel nostro
ordinamento della II Direttiva Comunitaria di coordinamento bancario (Dir. 89/646/CEE)
la quale, oltre a ribadire il principio del mutuo riconoscimento delle norme base della
direttiva, da tutti i Paesi membri recepite, enunciava altri due principi fondamentali alla
base del processo di integrazione dei diversi sistemi creditizi comunitari, vale a dire il
principio dell’autorizzazione unica e quello della vigilanza da parte del Paese di origine
(home country control). In base a tali principi, una banca autorizzata in un qualsiasi Paese
membro della CEE poteva esercitare liberamente in tutti gli Stati membri della comunità,
secondo la normativa e la supervisione del Paese d’origine, una gamma molto vasta di
attività purché fossero contemplate fra quelle contenute nella lista allegata alla direttiva
stessa.
Veniva così formalmente introdotta, almeno a livello comunitario, la “banca universale”
quale modello organizzativo di riferimento per tutte quelle banche che avessero voluto
proiettarsi su uno scenario europeo fortemente concorrenziale.
La despecializzazione operativa, che si configura come uno dei principali effetti del de-
creto di recepimento della II Direttiva di coordinamento bancario (D. Lgs. n. 481/1992),
asse portante su cui è stato costruito il successivo TUB del 1993, ha permesso alle imprese Ba
nca
2nanziari un diretto effetto di ritorno sulla formazione dei depositi, quanto
un contributo in termini economici alla formazione dell’utile di esercizio,
nonché nei confronti della funzione di liquidità (si pensi ad una politica ade-
guata di gestione delle scadenze dei titoli in portafoglio con collocamento
sui mercati mobiliari secondari). È da rilevare che la funzione di investimen-
to in proprio non risulta affatto residuale rispetto a quella creditizia, bensì
complementare ad essa.
Oltre che in proprio, la funzione in esame può essere svolta (e, anzi, lo è sta-
ta sempre di più negli ultimi lustri) anche per conto e a favore della clientela,
mirando a inserire la banca nel più vasto campo della gestione e del collo-
camento del risparmio e dei connessi flussi monetari. In tal caso, la funzione
di investimento si colloca nell’ambito di una più ampia area di attività che,
pur non strettamente connessa all’intermediazione creditizia, risulta incen-
trata sull’offerta di una gamma ampia ed eterogenea di servizi, al fine di
dare un contributo positivo in termini di reddito alla gestione aziendale. Si
parla, infatti, più propriamente di una funzione di servizi svolta dalla banca.
Tale funzione, connessa all’offerta di servizi quali l’intermediazione in titoli
per conto della clientela al dettaglio (retail) o delle imprese (corporate), le
gestioni patrimoniali, fino ai sistemi di pagamento ed alla custodia di beni
e valori nei locali della banca, si è andata affermando in tempi relativa-
mente recenti, allorchè, nell’ottica della ricerca di una maggiore efficacia
competitiva, necessaria nell’ambito di un contesto operativo caratterizzato
da sempre più elevati livelli di concorrenzialità, le banche hanno cercato di
divenire il più possibile interlocutori globali della propria clientela, mirando
a gestirne la totalità delle risorse finanziarie.
Ne consegue che negli ultimi lustri la funzione dei servizi ha assunto un ruo-
lo determinante per la conservazione della propria quota di mercato e di
margini di profitto adeguati, configurandosi quale una variabile strategica,
in grado di stabilizzare non solo i profitti decrescenti a causa del processo
di disintermediazione (soprattutto dal lato del passivo) contribuendo così
al contenimento della forbice tra saggi attivi e passivi, ma gli stessi volumi
operativi, in virtù di una diversificazione dei propri segmenti di mercato.
Se si considerano poi i ricavi ritraibili dalla vendita dei suddetti servizi ac-
cessori, ricavi rappresentati tipicamente da commissioni e provvigioni, si
può agevolmente rilevare come l’aumento dei ricavi da servizi abbia ga-
rantito una maggiore elasticità al conto economico bancario, consentendo
pure migliori condizioni di efficienza nella gestione aziendale.
Fra le diverse tipologie di servizi offerti un ruolo particolarmente importan-
te è stato svolto senza dubbio dai servizi nel campo dell’intermediazione
mobiliare, aventi per oggetto titoli (tipicamente azioni e obbligazioni) e altri
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 2tire dall’estate 2007 sulla scorta delle inadempienze riscontrate nel settore dei mutui sub-
prime negli Stati Uniti, ha dimostrato come le forme di controllo e vigilanza poste in essere
siano state del tutto insufficienti, e in ogni caso inadeguate, in relazione all’aumento della
complessità e della rischiosità complessiva degli attuali mercati finanziari. Tale incremento
è imputabile a diversi fattori che hanno determinato un fenomeno di un intenso, quasi sfre-
nato, processo di innovazione finanziaria: lo sviluppo di forme di “ingegneria finanziaria”,
con la creazione di prodotti sempre più complessi e di difficile comprensione, quantomeno
in relazione al loro grado di rischio intrinseco; un’operatività spesso spregiudicata nell’uti-
lizzo di strumenti finanziari particolarmente rischiosi, quali i derivati; il crescente interesse
dei risparmiatori verso forme di investimento più diversificate e complesse, con particolare
riguardo ai mercati borsistici, nazionali ed internazionali, sempre più globalizzati in virtù
anche della loro crescente telematizzazione; una politica di concessione dei prestiti talora
non basata sull’effettiva economicità dei clienti affidati; un esercizio della vigilanza che ha
sottovalutato, o non considerato in modo adeguato, i possibili rischi sistemici dell’attività
bancaria internazionale che ha palesato un eccessivo ricorso alla securitization, nell’errato
convincimento che con la vendita degli attivi cartolarizzati ci si potesse liberare dai rischi
ad essi connessi. L’invenzione di nuovi strumenti finanziari e di innovativi veicoli per distri-
buire detti rischi, se da un lato ha portato effetti positivi, quali l’aumento delle dimensioni
complessive degli scambi sui vari mercati finanziari, dall’altro, quale rovescio della meda-
glia, ha aumentato in modo tale la complessità degli scambi su tali mercati che non si è più
compreso come e dove fosse effettivamente distribuito il rischio.
I sistemi bancari che hanno dimostrato di resistere meglio alla crisi finanziaria sono risultati
quelli - come quello italiano o quello canadese – basati su un’attività bancaria più tipica,
nella quale il passivo è rappresentato in modo precipuo da raccolta di depositi al dettaglio,
mentre l’attivo si concentra sul credito al settore industriale e commerciale. Viceversa, i
sistemi bancari che hanno registrato gli effetti negativi più pesanti sono stati quelli anglo-
sassoni, statunitensi in primis, dove maggiore è la vocazione e l’affermazione della banca
di investimento - che si caratterizza appunto per l’investimento sui mercati finanziari, in
proprio e per conto terzi e l’assenza di depositi - rispetto alla banca commerciale - che in-
vece presuppone la possibilità di raccolta fondi mediante depositi e l’erogazione di prestiti
nei confronti delle imprese, nelle diverse forme tecniche possibili.
Da qui la sollecitazione, proveniente da più parti, affinché le banche tornino a fare nel
miglior modo possibile la loro attività tipica, rappresentata dalla concessione di prestiti
alle imprese a fronte della raccolta di risparmio presso il pubblico dei risparmiatori, quindi
l’attività propria della banca commerciale (nell’articolo oggetto di analisi si parla della ne-
cessità di una “maggiore focalizzazione sul commercial banking”).
In questa direzione va anche la recente riforma varata dal Presidente degli Stati Uniti Oba-
ma, che reintroduce la separazione tra attività di banca commerciale (attiva nel credito,
erogato a fronte della raccolta di depositi) da quella di banca di investimento (attiva nel
campo dell’intermediazione mobiliare), al fine di rendere meno conveniente l’attività di tra-
ding in conto proprio e favorire così l’attività di sostegno alle imprese e, da qui, alla crescita Ba
nca
2bancarie italiane di sviluppare specifici servizi di negoziazione, di consu-
lenza e di gestione nel campo dell’intermediazione mobiliare. In tal modo,
consentendo l’esercizio congiunto di attività creditizie e mobiliari, si è
formalmente introdotta anche nel nostro ordinamento la possibilità di
optare per il modello della banca universale, sul modello della hausbank
tedesca, consentendo a ciascun ente la possibilità di offrire direttamen-
te al mercato l’intera gamma dei prodotti finanziari ammessi al mutuo
riconoscimento, senza più doversi necessariamente articolare in una plu-
ralità di soggetti con distinta personalità giuridica, come avveniva con la
formula del gruppo polifunzionale. Il gruppo, comunque, non risulta su-
perato, rimanendo “praticabile”, tanto che si può affermare che la scelta
dell’assetto organizzativo è stata rimessa alla libera valutazione econo-
mica dei singoli imprenditori bancari, alla luce delle singole opportunità e
strategie di mercato, data l’impossibilità di stabilire a priori la superiorità
di un modello sull’altro.
Occorre poi sottolineare come un’operatività a 360 gradi, tipica di una
banca universale, comporti necessariamente un ampliamento degli spazi
di autonomia dell’impresa bancaria. Da qui l’esigenza di un’ampia verifica
dell’intero sistema dei controlli da parte delle autorità creditizie: l’obiet-
tivo prioritario diventa la competitività all’interno del sistema finanziario,
che va ad affiancarsi all’obiettivo principe del passato, quello della stabi-
lità, tanto che si rivedono anche gli strumenti con i quali perseguire tali
obiettivi, inserendoli nell’ambito di una vigilanza che da strutturale diven-
ta prudenziale.
In sostanza, le preoccupazioni del legislatore del 1936 in ordine alla peri-
colosità ed alla instabilità intrinseca della “banca universale” sono state
superate con l’affermazione di un modo nuovo di affrontare il rischio fi-
nanziario ed il rischio creditizio: se la funzione di vigilanza era in prece-
denza incentrata su un complesso sistema di divieti che tendeva ad im-
pedire il verificarsi di situazioni rischiose (vigilanza strutturale), la nuova
formula di prevenzione dei dissesti bancari si fonda sul presidio dell’equi-
librio patrimoniale e finanziario della banca, collegando le sue possibilità
operative al rispetto di dati coefficienti patrimoniali, formulati in relazione
alle diverse tipologie di rischio che la banca assume nell’esercizio delle
proprie attività (vigilanza prudenziale).
L’impatto della recente crisi finanziaria sul modello di
business bancario
Purtroppo, la gravissima crisi finanziaria internazionale, propagatasi a par-
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 2Traccia per l’attività in classeTrattandosi di una scheda densa di significati, per lo più teorici e non troppo semplici, dal
momento che vengono affrontati da un lato il ruolo e le diverse funzioni svolte dall’inter-
mediario banca nell’ambito del sistema finanziario, dall’altro l’evoluzione del modello di
business bancario ad oggi in atto, alla luce anche della recente grave crisi finanziaria inter-
nazionale, potrebbe essere opportuno sviluppare in aula una discussione di tipo interatti-
vo, tale cioè da stimolare la partecipazione attiva dei ragazzi, volta a sondare la loro reale
comprensione dei suddetti significati, alla luce anche delle proprie personali esperienze in
relazione a quei servizi bancari che, tra gli altri, meglio si prestano ad essere utilizzati an-
che da soggetti in giovane età (mediante strumenti quali le carte revolving o il bancomat).
Potrebbe poi essere interessante realizzare una vera indagine sul campo approntando da
parte del docente, magari in collaborazione con lo stesso gruppo aula, un questionario
che i ragazzi dovrebbero sottoporre alle proprie famiglie in modo da verificare la loro
maggiore o minore conoscenza delle diverse funzioni svolte dalle banche, e magari come
queste risultino apprezzate da parte di coloro che, nelle diverse realtà familiari, hanno
contatti diretti con le aziende bancarie, contatto che di fatto si configura come necessario
e ineludibile.
A scopo esemplificativo, detto questionario potrebbe contenere domande, per lo più a
risposta multipla, circa le esperienze dirette riportate dai familiari che si sono approcciati
alla banca in varie vesti e quindi in qualità: di correntista di una banca; di utilizzatore di
moneta bancaria o di moneta elettronica; di depositante; di utilizzatore di finanziamenti
bancari, quali mutui o credito al consumo, con eventuali ipotesi di trasferimento da un
istituto creditizio ad un altro.
In presenza, poi, in famiglia di un piccolo imprenditore o di un manager operante in una
realtà aziendale, esempio quindi di una clientela corporate e non solo retail, si potrebbero
chiedere le esperienze riportate nella richiesta di finanziamenti bancari, con la precisa-
zione delle eventuali garanzie reali richieste all’atto della concessione del credito, nonché
in relazione al loro successivo utilizzo. Il questionario dovrebbe in ogni caso prevedere la
manifestazione del maggiore o minore grado di apprezzamento delle suddette diverse
esperienze. I dati riportati dai questionari dovrebbero essere poi sintetizzati, anche con
l’ausilio di grafici e tabelle, e i relativi risultati discussi in aula.
Ba
nca
2economica e all’occupazione, evitando al contempo il formarsi di posizioni
di rischio pericolose per il sistema finanziario. Viene così ripristinato, di fatto,
il Glass Steagall Act, la legge USA del 1933 che sanciva detta separazione
alla luce della crisi del 1929 e la cui abrogazione, nel 1999, viene da molti
considerata “la madre di tutte le sventure successive”.
Nello specifico il progetto di riforma bancaria statunitense, approvato dal
Senato nel recente luglio 2010, da un lato vieta alle banche commerciali,
nonché alle società che controllano banche, di possedere o investire in at-
tività caratterizzate da l’elevata rischiosità (come in hedge fund e in private
equity), dall’altro limita le dimensioni di ogni singola banca commerciale in
relazione all’intero settore – ponendo nuovi limiti sulle percentuali dei depo-
siti accumulabili in relazione ai depositi totali del Paese - per evitare che in
futuro ci siano ancora banche “troppo grandi per fallire” (“too big to fail”),
tali quindi da “tenere in ostaggio” i contribuenti americani, visto che il loro
fallimento avrebbe potuto mettere a rischio l’intero sistema finanziario.
Concludendo, si può affermare che si è chiusa un’epoca e se ne sta aprendo
una nuova, caratterizzata dalla ricerca di nuovi modelli di business in ambito
bancario e di nuove forme di controllo dei rischi in detto ambito assunti. Si è
infatti sviluppata a livello globale una discussione sulle nuove regole di vigi-
lanza necessarie per far sì che quanto avvenuto non possa ripetersi.
Questa apertura di veri e propri “cantieri delle regole”, sia a livello di singo-
le istituzioni bancarie - vedi Basilea 3, con la quale si cerca di rafforzare la
capacità delle banche di far fronte, con un “adeguato patrimonio”, ai diversi
rischi assunti - sia a livello di sistemi di vigilanza sui diversi mercati finanziari
- che devono diventare più coesi ed integrati al fine di valutare meglio i po-
tenziali rischi sistemici, cioè a carico del sistema finanziario nel suo comples-
so – si correla alla crisi di un modello di sviluppo che ha portato al dominio
sulle scene finanziarie internazionali di alcune, relativamente poche, grandi
banche di investimento che, oltre a contribuire al progressivo allontanamen-
to della finanza dal reale mondo economico sottostante, si sono assunte
rischi che si sono tradotti in ricchi dividendi e bonus stratosferici ai dirigenti
aziendali fintantoché le cose sono andate bene, e in perdite per i contribuen-
ti, quando la crisi si è conclamata.
Ma questo, come ha affermato anche il governatore della Banca d’Inghilterra
King, distorce gravemente l’allocazione delle risorse e la gestione del rischio,
trasformandosi “nell’azzardo morale (moral azard) più grande della storia”.
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an
ca
2FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Cosa si intende per cartolarizzazione (securization) degli attivi
bancari?
Si intende un processo di trasformazione di attività non liquide (come ad esempio prestiti creditizi a medio-lungo termine, come i mutui, gravate da un rischio creditizio, derivante dalla possibile incapacità del debitore di far fronte alla propria obbligazione nei tempi e nei termini economicamente convenienti) in strumenti finanziari negoziabili sul mercato dei capitali.
Quando si configura l’azzardo morale, o moral azard?
Quando si rileva il rischio che una delle parti della transazione assuma comportamenti ritenuti indesiderabili dall’altra parte.
Cosa si intende per adeguatezza patrimoniale, alla luce dell’evoluzione
della vigilanza da Basilea 1 a Basilea 3?
La nozione di adeguatezza patrimoniale fa riferimento alla necessità di individuare la quantità di capitale che la banca deve detenere al fine di assorbire le eventuali perdite in caso di manifestazione delle diverse tipologie di rischi cui l’attività bancaria è soggetta. Il rispetto dei richiesti coefficienti patrimoniali si qualifica come un presidio quantitativo, cui si vanno ad affiancare ulteriori presidi di natura qualitativa.
A quale processo si fa riferimento parlando di “disintermediazione dal lato del passivo”?
Si fa riferimento ad un processo di riduzione nell’afflusso di fondi (tipicamente depositi) al sistema bancario, con conseguente diminuzione dei volumi di intermediazione, da collegare all’ampliamento nelle possibilità di investimento di cui hanno goduto, a partire dagli anni Ottanta, i risparmiatori che hanno così diversificato le proprie scelte, indirizzandosi sempre più verso prodotti alternativi rispetto al deposito bancario.
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Servizi di pagamentodi Elide Sorrenti3
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numero di un documento di identità. Ove l’ordinante non sia cliente di un intermediario cui ordina il servizio,
le informazioni relative al conto vengono sostituite da un codice unico di identificazione (composto di lettere,
numeri e simboli) che consente di far risalire il trasferimento univocamente all’ordinante.
La Banca d’Italia ricorda che i clienti debbono fornire tutte le informazioni obbligatoriamente, se vogliono
ottenere la prestazione. Sul prestatore di servizi di pagamento per conto del beneficiario graverà il controllo
sulla completezza ed attendibilità delle informazioni. Agli organi aziendali degli intermediari, poi, il compito
di attuare e verificare la predisposizione di idonee misure, procedure e processi.
Appunti
3
Trasferimenti di fondi sempre più controllati dall’antiriciclaggio. Chi ordina e riceve somme
di denaro deve essere sempre identificato, altrimenti l’operazione salta. In sintesi questo il
contenuto del documento «Istruzioni per l’applicazione del Regolamento CE1781/2006»,
che la Banca d’Italia ha appena posto in pubblica consultazione sul proprio sito istituzionale.
La tracciabilità dei trasferimenti, in linea generale, di fondi era già prevista dalla legge
231/2007 (articoli 36-40). In seguito era intervenuto il Regolamento (n. 895 del 23 dicembre
2009) della stessa Banca d’Italia sull’Archivio unico informatico, il quale ha dettato gli
standard per registrare operazioni e rapporti con la clientela, confermando impostazioni
sui trasferimenti di fondi, segnatamente i bonifici. A questi ultimi la registrazione conferiva
un’alea di “mistero”, dato che ci si limitava ad affermare (articolo 6) che gravasse sui
destinatari dell’ordine del cliente l’obbligo della relativa registrazione: per quelli esteri,
l’obbligo gravava sull’intermediario residente intervenuto nell’operazione.
I servizi di pagamento
Il nuovo documento entra nel dettaglio, e si riferisce a tutti i “servizi di pagamento”: servizi
di prelievo e versamento da conti di pagamento (cioè conti che consentono di operare
a più utilizzatori di servizi di pagamento per l’esecuzione di operazioni di pagamento,
inclusi i trasferimenti di fondi), ovvero di conferire ordini a valere sui medesimi (mediante
bonifici, addebiti diretti, carte di credito). Così come l’emissione o acquisto di strumenti di
pagamento, le rimesse di denaro, moneta elettronica, pagamenti informatici ed elettronici.
I Paesi di destinazione e provenienza, cui la regolamentazione si applicherebbe (ricordiamo
che la consultazione del documento si chiuderà il prossimo 22 ottobre), sono tutti quelli
Ue, con l’aggiunta della Norvegia, Islanda, Liechtenstein, territori francesi d’oltremare
(Guadalupa, Martinica, Guyana francese, Reunion), isole Azzorre, Madeira, isole Canarie,
Ceuta, Melilla e Gibilterra. Non a caso, Stati con minore tenuta dei presidi antiriciclaggio.
Il regime semplificato di identificazione, che riduce gli obblighi sui dati informativi relativi
all’ordinante al solo numero di conto, e che varrà per tutti gli Stati Ue, non sarà applicabile
- prevede il comunicato della Banca d’Italia - a San Marino, lo Stato del Vaticano, Andorra,
il Principato di Monaco.
Gli Stati extra-Ue
Su questi e tutti gli altri extra-Ue le informazioni obbligatorie a fronte dei suddetti pagamenti
saranno: nome e cognome dell’ordine, indirizzo e numero di conto. L’indirizzo può essere
sostituito dall’indicazione del luogo e della data di nascita dell’ordinante ovvero da un
numero identificativo assegnatogli dal suo prestatore di servizi di pagamento, ovvero dal
4 Settembre 2010
AUMENTANO I CONTROLLI SUI TRASFERIMENTI DI FONDIdi Ranieri Razzante
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 3ad eccezione di quelli di modesta entità.
L’ambito di applicazione della direttiva
La direttiva riguarda tutti i trasferimenti che avvengono all’interno dell’Unione europea
per i quali si applica il regime semplificato di identificazione, essendo sufficiente indicare il
solo numero di conto. Il regime semplificato non si applica invece ai prestatori di servizi di
pagamento stabiliti nella Città del Vaticano, nella Repubblica di San Marino, nel Principato
di Monaco, in Andorra.
La direttiva riguarda inoltre la Norvegia, l’Islanda, il Liechtenstein, i territori francesi
d’oltremare, le isole Azzorre, Madeira, le isole Canarie, Ceuta, Melilla e Gibilterra .
Queste ultime zone spesso sono considerate “paradisi fiscali” che offrono copertura ad
operazioni finanziarie illecite.
I servizi di pagamento
Nell’articolo esaminato abbiamo trovato spesso il termine servizi di pagamento. Sappiamo
che un pagamento è una prestazione monetaria con cui si estingue un debito in una
transazione reale o finanziaria.
I servizi di pagamento offerti dalle banche sono resi possibili in quanto esse fanno parte
dell’Eurosistema, costituito dalle banche centrali dei Paesi dell’area Euro e responsabile
dell’attuazione di una politica monetaria comune.
L’Eurosistema comprende la Banca Centrale Europea (BCE) e le Banche Centrali Nazionali (BCN) dei Paesi dell’Unione europea che hanno adottato l’euro come moneta legale. Tra
gli obiettivi del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) vi è quello di promuovere
il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
Il sistema dei pagamenti è una infrastruttura costituita da tutti gli strumenti, con i quali si
possono acquistare beni e servizi sui mercati, dalle attività e dagli intermediari preposti;
tale infrastruttura consente di trasferire i mezzi di pagamento da un operatore ad un
altro in modo da estinguere una obbligazione pecuniaria. I consumatori, le imprese, la
Pubblica Amministrazione possono pagare usando la moneta, ossia banconote e monete
metalliche, oppure impiegare il denaro depositato in banca per mezzo di assegni, bonifici,
carte di pagamento.
L’insieme coordinato di persone, istituzioni, norme giuridiche, procedure, e strumenti ma-
teriali (edifici, impianti, tecnologie ecc), è organizzato per produrre i servizi di pagamen-
to e altri servizi connessi od accessori ai primi e si articola a livelli diversi a seconda delle
competenze.
La Banca Centrale Europea ha l’obiettivo di mantenere la stabilità dei prezzi, la
salvaguardia del sistema finanziario e di promuoverne l’integrazione. Ser
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3 L’articolo presenta la normativa europea, recepita nel nostro ordinamento
giuridico, che regola gli spostamenti di denaro sia all’interno che all’esterno
di un Paese.
Le istruzioni attuative del Regolamento CE1781/2006, pubblicate sul sito
della Banca d’Italia il 3 Settembre 2010, impongono una serie di controlli
sui movimenti di denaro nel nostro Paese, in quelli dell’Unione europea e in
quelli esterni ad essa.
L’obiettivo del Regolamento comunitario è quello di assicurare che le
informazioni, riguardanti l’identità dei soggetti coinvolti nello spostamento
di fondi, siano accessibili in qualunque fase del trasferimento stesso alle
autorità investigative e a quelle competenti in materia di prevenzione e
contrasto delle attività di riciclaggio e di finanziamento al terrorismo.
Le istruzioni attuative del Regolamento danno indicazioni molto dettagliate
allo scopo di rendere leggibile la tracciabilità di tutti i passaggi percorsi dai
fondi stessi.
Il prestatore dei servizi di pagamento (la banca o un intermediario finan-
ziario) assume degli obblighi quando il cliente ordina un trasferimento di
fondi: diviene responsabile della completezza e dell’affidabilità delle infor-
mazioni da inserire nel messaggio di pagamento, ottenere i dati identificati-
vi dell’ordinante, verificarne l’attendibilità e inserirli nel documento relativo
all’ordine di pagamento.
Gli stessi obblighi di verificare la completezza e la veridicità delle informazioni
scritte nel documento ricadono sui prestatori dei servizi di pagamento del
beneficiario e dell’intermediario prima di procedere all’accreditamento dei
fondi trasmessi.
Quando non vi è un rapporto diretto tra prestatore di servizi dell’ordinante
e quello del beneficiario si ha il caso dei pagamenti di copertura,
cover payments, ed è necessario ricorrere ad una catena di rapporti di
corrispondenza tra diversi prestatori di servizi di pagamento. In questo
caso le informazioni relative all’ordinante e al beneficiario sono inviate
in un messaggio a parte, non necessariamente inserito in un sistema di
pagamento. È fatto obbligo che le informazioni complete riguardanti sia
l’ordinante che il beneficiario siano inserite nel messaggio di trasferimento
del fondo di copertura.
Questi controlli riguardano tutti i servizi di pagamento offerti dalle banche
sia che avvengano con procedure ordinarie sia con modalità elettroniche,
di Elide Sorrenti
La scheda
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 3remote banking, con una disposizione inserita allo sportello automatico della propria
banca.
• la carta di debito: è una tessera plastificata con la quale il suo titolare può effettuare
pagamenti, senza usare il contante, nei negozi convenzionati tramite il terminale POS e
prelevare denaro presso gli ATM (Automated Teller Machine o Bancomat) sia in Italia
che all’estero. L’accordo contrattuale con l’emittente collega ogni carta al conto corrente
del suo titolare, l’addebito avviene contestualmente ad ogni transazione e l’importo
della vendita viene accreditato automaticamente sul conto corrente del venditore.
• la carta di credito: anche questa è una tessera plastificata, che non sostituisce il
denaro come la carta di debito, ma attribuisce ad un cliente crediti sotto forma di
finanziamenti, dilazioni di pagamento o altre facilitazioni,concessi da una banca o da un
altro intermediario finanziario. Abilitano il titolare ad acquistare beni o servizi entro un
importo massimo prestabilito, l’addebito totale nel suo conto corrente è effettuato nel
mese successivo agli acquisti effettuati e senza pagamento di interessi. Una variante
della carta di credito è la carta revolving, in cui il finanziamento al cliente è fatto mediante
l’apertura di una linea di credito a disposizione del titolare, che è tenuto a rimborsare gli
importi prelevati a rate con scadenza mensile, ripristinando gradualmente la sua linea
di credito e pagando gli interessi.
• Il libretto di risparmio: è un documento fornito dalla banca dopo l’apertura di un
deposito a risparmio, su cui vengono annotate le operazioni di prelievo o di deposito
di contante. Hanno l’obiettivo di favorire l’accumulazione del risparmio a differenza
del conto corrente che riguarda invece la gestione della liquidità. È nominativo
quando è intestato ad una o più persone fisiche legittimate ad esercitarne i diritti. È al
portatore quando possono essere utilizzati dal possessore, in questo caso per la legge
antiriciclaggio non possono avere un saldo superiore a 12.500 euro.
• la moneta elettronica: è uno strumento di pagamento costituito da un valore monetario
memorizzato su un dispositivo elettronico; rappresenta un credito nei confronti
dell’emittente ed è emesso in corrispondenza alla ricezione di un ammontare di
denaro che non sia inferiore al valore monetario emesso con la moneta elettronica.
È accettato come mezzo di pagamento da imprese diverse dall’emittente. Possono
emettere moneta elettronica le banche e gli Istituti di moneta elettronica. Può
assumere le forme di: moneta card based: carta con micro chip, detta anche borsellino
elettronico; moneta software based: con dispositivo elettronico immagazzinato nella
memoria del PC dell’emittente e moneta phone based: carta prepagata collegata agli
operatori di telefonia mobile.
• I conti di pagamento per servizi di prelievo o versamento di moneta: si tratta di nuovi
strumenti concepiti per facilitare gli esborsi ricorrenti o legati ai consumi.
Sono stati introdotti da una Direttiva della Commissione europea (Payment Services
Directive) con lo scopo di sostenere la creazione di un mercato unico europeo dei servizi Ser
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3Alla Banca d’Italia competono sia la gestione del sistema dei pagamenti sia
la funzione di vigilanza del sistema bancario e finanziario italiano.
Nelle nostre società le nuove tecnologie dell’informazione hanno mutato
profondamente i processi produttivi e distributivi, come pure gli stili di vita.
In questo contesto, anche il sistema dei pagamenti ha subito modifiche
con l’introduzione di piattaforme telematiche comuni a livello nazionale
ed internazionale che hanno reso più veloci e sicuri gli scambi di dati sulle
transazioni finanziarie. Questo tipo di innovazione ha comportato anche
processi di formazione degli operatori come pure della clientela.
Per erogare i servizi di pagamento è necessario instaurare rapporti giuridici
di natura contrattuale tra il pubblico e la banca; Il più rilevante di questi
è il conto corrente bancario, che è un contratto rivolto principalmente
a gestire la liquidità del cliente ed ha costi diversi a seconda delle varie
tipologie. Consente di effettuare un complesso di operazioni senza bisogno
di usare fisicamente la moneta, sostituendola con registrazioni contabili sul
conto stesso e quindi con maggiore comodità e sicurezza. Usando il conto
corrente si possono fare pagamenti, riscuotere incassi e detenere denaro
liquido a disposizione per le necessità correnti. Non costituisce né una
forma di investimento né uno strumento per accumulare risparmio.
I servizi di pagamento sono offerti al pubblico dalle banche, dagli intermediari
finanziari e dagli istituti di pagamento (le cosiddette “quasi banche”) e
consistono in operazioni relative a:
• Il contante: è costituito dall’euro, sia in forma di moneta metallica che
di banconote, con corso legale non solo in Italia, ma anche in quei Paesi
dell’Unione europea che hanno concordato l’impiego della moneta unica.
• l’assegno bancario: è un ordine di pagamento scritto con il quale il
cliente chiede alla propria banca di versare una data somma ad un’altra
persona, detta beneficiario. Per dare effetto a quest’ordine è necessario
ottenere un libretto di assegni, dopo che il cliente ha aperto presso la
banca un conto corrente e depositato la propria firma per consentire alla
banca di verificare l’autenticità della firma stessa sugli assegni. Per ogni
assegno che viene emesso vi deve essere, presso il conto corrente, il
denaro sufficiente ad effettuare l’ordine. L’emissione di un assegno senza
copertura costituisce un illecito amministrativo e comporta sanzioni
pecuniarie e, nei casi più gravi, sanzioni disciplinate dal codice civile.
• il bonifico: è un ordine di trasferimento di fondi da un debitore a un
creditore tramite una o più banche; può essere effettuato in vari modi:
tramite un ordine allo sportello della banca, con addebito sul proprio
conto corrente, con una disposizione via Internet, per mezzo del servizio
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 3In Italia durante il 2009 il calo della produzione e dei commerci
dovuto all’andamento negativo dell’attività economica ha
ridotto il ricorso alle disposizioni di incasso tra le imprese.
Le famiglie hanno diminuito l’uso degli assegni sostituendoli
con gli strumenti alternativi.
Durante il 2009 il numero delle operazioni effettuate con
gli strumenti alternativi al contante è stato pari a circa 4
miliardi con un aumento dell’1,4 per cento, aumento tuttavia
caratterizzato da una riduzione degli importi scambiati del 5
per cento a causa della crisi economica.
In termini di cifre il numero degli assegni impiegati è diminuito
del 12 per cento, mentre l’insieme dei pagamenti automatizzati
(bonifici, addebiti preautorizzati, carte) è aumentato di oltre
il 2 per cento.
Sempre nello stesso periodo le operazioni con carte di
pagamento (debito, credito, prepagate) sono aumentate di
circa il 6 per cento complessivamente, ma il ritmo di crescita
più elevato è stato quello delle carte prepagate con il 24 per
cento nel 2009 e il 40 per cento nel 2008.
I prelievi al Bancomat sono diminuiti dell’1 per cento,
mantenendo però un importo medio pro capite di 175 euro
più elevato rispetto alla media europea di 100 euro.
È tuttavia da osservare che, questa preferenza del pubblico
italiano ad effettuare i pagamenti al dettaglio con gli strumenti
alternativi al contante, come quota pro capite rimane inferiore
a quella europea: infatti, nel 2009, abbiamo 66 operazioni
per abitante contro circa 157 nell’Unione europea e 170 nei
Paesi dell’Eurosistema con delle punte di 250 operazioni e
oltre in Francia, Paesi Bassi e Regno Unito.
Per quanto riguarda le transazioni tramite Internet, queste
sono aumentate notevolmente negli ultimi anni anche se la
loro quota sul totale è ancora solo del 5 per cento. Nel 2009
le transazioni online sono aumentate del 20 per cento con
incrementi del 17 per cento per i bonifici bancari, del 20 per
cento per le operazioni con carte di credito e del 25 per
cento per le carte prepagate.
L’indagine effettuata sulla diffusione dell’ ITC nei pagamenti
elettronici e nelle attività di rete evidenzia come le imprese
più attive nell’utilizzo delle nuove tecnologie siano quelle più
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GUARDA IL VIDEO DI QUESTO TEMA
SITI E INFO PER APPROFONDIRE www.bancaditalia.it
voce: Pubblicazioni “Relazione annuale della Banca d’Italia per il 2009”
voce: Eurosistema e SEBC
voce: educazione finanziaria: la storia della moneta
voce: educazione finanziaria: la stabilità dei prezzi
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
QR-CODE
EurosistemaRemote bankingImmigrato digitalePOS ATMMoneta card, software, Phone basedIstituti di pagamento
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3di pagamento per favorire la competizione, l’innovazione ed accelerare la
messa al bando all’utilizzo del contante.
I soggetti abilitati a questo tipo di operazioni sono gli “istituti di pagamento”,
detti anche quasi banche, che possono essere catene di supermercati,
grandi utilities, operatori telefonici o società di trasporto o di distribuzione
del carburante, ecc.
Accanto alla loro normale attività commerciale potranno svolgere tutti i
servizi di pagamento ma non esercitare l’attività di raccolta del risparmio.
Potranno anche concedere del credito nei limiti fissati da Bankitalia e sempre
per operazioni finalizzate agli acquisti.
Avranno regole che favoriranno una maggior trasparenza delle condizioni
contrattuali e obblighi formativi nei confronti dei clienti. Dovranno separare
questa attività da quella prevalente, tenere una contabilità separata,
iscriversi in un apposito elenco e sottostare al controllo della Vigilanza
della Banca d’Italia. Il loro capitale sociale può variare da un minimo ad un
massimo a seconda del tipo di operazioni che l’istituto intende effettuare.
Per le semplici rimesse di denaro, il capitale minimo richiesto è di 20mila
euro, per l’esecuzione di operazioni di pagamento con telefonia mobile o
canali diretti è di 50mila euro. Sarà invece pari a 125mila euro per chi vorrà
effettuare tutte le attività consentite.
Se si tratta di aziende con grandi bacini di utenza, queste avranno il
vantaggio di fidelizzare la catena del valore con l’automazione dei
pagamenti, con sconti immediatamente monetizzabili, finanziamenti
a breve termine ed eliminazione del contante. Il conto di pagamento,
nella fase iniziale, sarà un conto “prepagato” ed in seguito potrà essere
alimentato da contante, accredito di stipendi, rimesse di denaro da altri
Paesi o da spostamento di fondi da altri conti correnti o carte.
I vantaggi per il consumatore sono minori costi e maggiore rapidità di
esecuzione; con il conto di riferimento potranno essere effettuati pagamenti
senza inserire la carta o digitare il Pin (contactless) oppure con il cellulare. Si
agevoleranno i micro pagamenti (sotto i 30 euro) che di solito si effettuano
con il contante.
La situazione in Italia circa l’uso degli strumenti di pagamento da parte del pubblico1
1 Riferimenti bibliografici
www.bancaditalia.it
voce: Pubblicazioni “Relazione annuale della Banca d’Italia per il 2009”: n.21. Il servizio di pagamento al detta-
glio e il servizio di Tesoreria statale: gli strumenti di pagamento. Pagg.275-278
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 3Traccia per l’attività in classeL’autore dell’articolo sviluppa il contenuto del documento “Istruzioni per l’applicazione
del Regolamento CE1781/2006” che la Banca d’Italia ha posto in pubblica consultazione
sul proprio sito istituzionale. Queste istruzioni riguardano il sistema di controllo di tutti i
servizi di pagamento in funzione antiriciclaggio.
Compiti per il docente
Si tratta di argomenti piuttosto tecnici, ma non per questo inadatti ad essere Impiegati
didatticamente anche perché la loro comprensione può far acquisire agli studenti una
visione più ampia del sistema che regola i servizi di pagamento e quindi un orientamento
sull’uso degli stessi.
Obiettivi suggeriti
• acquisire una visione completa della tipologia dei servizi di pagamento;
• conoscere le normative che regolano i trasferimenti di denaro all’interno del Paese e
verso i Paesi esteri;
• comprendere la logica e le finalità del sistema di controllo sui flussi di denaro;
• conoscere gli attori e le modalità attraverso cui è possibile effettuare il controllo sulla
“filiera”dei pagamenti.
Risultati attesi
• usare correttamente nella comunicazione i termini tecnici appresi;
• identificare i soggetti tenuti alle procedure che consentono la trasparenza dei passaggi
di denaro;
• esprimere valutazioni personali sulla necessità di tali controlli;
• essere in grado di visualizzare la complessa rete di trasferimenti monetari che sta alla
base del funzionamento del sistema economico.
Strategie suggerite
È sempre consigliabile il lavoro cooperativo che consente di sfruttare tutte le potenzialità
della classe e di realizzare apprendimenti condivisi.
Le scansioni potrebbero essere:
A) lettura individuale dell’articolo con il supporto di una griglia, che poi può essere utile
anche per individuare i temi da sviluppare. A titolo puramente esemplificativo, potrebbe
essere la seguente:Ser
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3coinvolte nel commercio internazionale, quelle di maggiori dimensioni e
quelle che operano in settori particolari (turismo, tempo libero, trasporti
aerei, informatica, ricerca e sviluppo, elettronica). In merito all’uso del
cellulare per le operazioni di pagamento si osserva come sia ancora poco
significativo.
Osservazioni
I dati esaminati dimostrano come, nonostante in Italia sia in atto da tempo
uno spostamento continuo verso l’adozione degli strumenti di pagamento
prodotti dalle nuove tecnologie, vi sia tuttavia uno scostamento significativo
rispetto ai dati degli altri Paesi.
Si possono individuare due elementi che frenano questo processo: uno di
carattere culturale e l’altro relativo alla sicurezza.
Sono indubitabili i vantaggi offerti da questi nuovi prodotti, quanto a velocità
e sicurezza delle transazioni, ma le operazioni da effettuare sulle macchine
o sul computer creano, a volte, resistenze e rifiuti specie da persone di una
certa età (i cosiddetti immigrati digitali) non tanto per i prelievi o per i
pagamenti tramite POS, in cui basta ricordare e digitare il proprio codice,
quanto invece per bonifici, deposito di assegni o altro.
Viene a cessare il rapporto personale con gli operatori allo sportello ed
è necessario mutare gli schemi mentali e comportamentali acquisiti nei
rapporti di scambio e nei pagamenti.
L’altro ostacolo riguarda la sicurezza, ossia la possibilità da parte di terzi
di clonare le tessere magnetiche o di entrare all’interno dei siti. In merito
a questo problema le autorità preposte alla sorveglianza hanno adottato
specifiche tecnologie basate sul microchip al posto della banda larga e
introdotto misure efficaci di contrasto ottenendo risultati confortanti. Infatti,
nel 2009, il rapporto tra transazioni fraudolente ed il totale delle operazioni
con carte (di debito, di credito, prepagate) si è assestato sullo 0,05 a fronte
del picco di 0,07 nel 2006.
L’introduzione di ogni innovazione, non solo nel settore bancario, si scontra
quasi sempre con ostacoli di natura culturale e, come abbiamo accennato
sopra in merito alla formazione degli operatori e del pubblico, è necessario
“apprendere” il nuovo; il che richiede a volte tempi più o meno lunghi a
seconda dell’incidenza sulle pratiche abitudinarie delle persone in materia
di scambi e pagamenti.
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FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Che cosa è un Regolamento europeo?
Il Regolamento, all’interno del sistema giuridico comunitario rappresenta la manifestazione più rilevante delle autorità competenti che sono il Consiglio e la Commissione. Si tratta di una norma giuridica che ”… ha portata generale. È obbligatorio e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri” secondo l’art.249 del Trattato CE.
Che cosa è una Direttiva europea?
È una norma comunitaria rivolta ad uno Stato membro ed è obbligatoria. Non ha carattere generale e non è direttamente applicabile come il regolamento nello Stato destinatario, il quale ha l’obbligo di emanare i provvedimenti di attuazione.
Perché vi sono interventi da parte delle autorità comunitarie in materia di pagamenti?
Si giustificano con il fatto che abbiamo un Mercato unico ed una moneta unica e quindi il Sistema complessivo può funzionare in modo più adeguato se anche i servizi e gli strumenti di pagamento sono più uniformi.
Che cosa sono gli Istituti di moneta elettronica?
Si tratta di imprese diverse dalle banche, che svolgono in via esclusiva l’attività di emissione di monete elettroniche. Possono anche svolgere attività connesse e strumentali a quelle esercitate in via esclusiva e offrire servizi di pagamento. È preclusa loro l’attività di concessione di crediti in qualunque forma.
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31. La regolamentazione emanata dalla Banca d’Italia costituisce l’applicazio-
ne di un Regolamento della Comunità Europea. Perché?
2. Come mai vi sono Paesi che hanno procedure di applicazione del controllo
più semplici rispetto ad altri verso i quali le procedure sono molto più
articolate e richiedono maggiori informazioni?
3. Quali sono i servizi di pagamento?
4. Il controllo sui trasferimenti di denaro viene effettuato in modo decentrato
per mezzo della raccolta di informazioni fornite obbligatoriamente dai
clienti e obbligatoriamente controllati dal prestatore del servizio circa la
completezza e l’attendibilità delle informazioni stesse, pena il mancato
pagamento.
5. Cosa vi suggerisce l’espressione “tracciabilità dei trasferimenti”?
B) Il docente comunica alla classe i risultati dell’esame delle griglie e sollecita
gli studenti ad esprimere le loro osservazioni in merito.
C) Dalla discussione si possono individuare le tematiche ed i problemi che
necessitano approfondimenti e chiarificazioni e decidere quello/li ritenuti
più significativi dagli studenti. Si passa quindi alla progettazione delle
ricerche.
D) Il docente fornisce il materiale adeguato anche sulla base delle indicazioni
contenute nella scheda e, con la collaborazione degli studenti, stabilisce i
gruppi di lavoro, le fasi ed i tempi della ricerca.
E) A lavoro compiuto, gli studenti presentano i loro lavori in forma orale,
scritta e/o usando i programmi presenti nel computer. Da come verrà
organizzata la comunicazione, il docente verificherà se ed in quale misura
gli obiettivi prefigurati sono stati realizzati.
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Tassi di interesse e rendimentidi Elide Sorrenti4
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l’accredito degli stipendi, i bonifici. Strumenti che hanno costi modesti per la banca e che d’altra parte
trasformano il deposito ad alto rendimento in un conto online redditizio e allo stesso tempo operativo».
La sfida ai conti correnti tradizionali, i cui costi di gestione spesso sono anche alti, è lanciata. E poco conta
che sul mercato viga ancora una distinzione conto corrente online e conto deposito - il primo operativo, il
secondo vincolato su cui viene calcolato il rendimento -, prodotti distinti che infatti si riassumono in una
posizione bancaria unica. È il caso di Ing Direct, ad esempio, che ha lanciato Conto arancio (deposito) e
Conto corrente arancio (operativo). O di Banca Mediolanum, che con il Conto Freedom, mette a disposizione
un conto corrente a 360 gradi (carta credito, accredito, bonifici) che offre un rendimento pari al 2% netto
sulle somme eccedenti il limite di 15mila euro. «La progressiva fusione tra conti correnti è inevitabile - spiega
un operatore - perché l’innovazione tecnologica nel corso del tempo consentirà di fornire servizi base senza
intaccare i margini». Il percorso, insomma è tracciato.
Appunti
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Le banche spingono la raccolta sul web Bossi (B.Ifis): conti con totale disponibilità
Le banche saranno pure impantanate in un mercato interbancario ancora poco fluido
rispetto ai tempi pre-Lehman, ma il canale di raccolta diretta, supportato da famiglie
e imprese, in Italia funziona bene. E con tutta probabilità assumerà un’importanza
crescente nei prossimi anni, visto che l’assorbimento di capitale fresco - imposto dai nuovi
requisiti di Basilea 3 - si farà sempre più urgente.
È con questa consapevolezza che oggi gli istituti bancari affrontano il mercato dei conti
online. Un segmento in forte espansione, dove gli operatori si scontrano a colpi di promozioni
sui rendimenti offerti. «L’impatto di Basilea 3 non sarà immediato - spiega Giovanni Bossi,
a.d. di Banca Ifis - ma la direzione è chiara: la detenzione di liquidità non intermediata dal
sistema bancario si rivelerà un fattore decisivo perché genera indipendenza. Gli istituti
saranno disposti a remunerare meglio la liquidità a vantaggio del cliente retail».
Chi vede una corsa al rialzo è anche WeBank, banca online del gruppo Bpm. «Il conto
deposito è destinato a diventare uno degli strumenti utili ad aumentare il bacino della
liquidità da parte delle banche - dice il direttore commerciale, Carlo Panella. Potrebbero
quindi nascere fenomeni di corsa alla raccolta, con tassi aggressivi. È però uno scenario
plausibile più nel medio periodo, che non nei prossimi mesi». Ad agevolare questo
meccanismo è anche l’assenza di alternative per i risparmiatori. «La combinazione di
tassi bassi e ridotti costi operativi spinge gli istituti a forzare questo canale: oggi i conti
deposito sono diventati un’ottima alternativa ai fondi monetari e per le banche possono
diventare un segmento valido a supporto delle politiche di core business», spiega Giuliano
Cicioni, partner associato di Kpmg Advisoy ed esperto di retail banking.
Più competizione sul fronte dei rendimenti, insomma, per catturare clienti e rastrellare
liquidità. Ma anche più servizi offerti a costi ridotti, se non a costo zero: è questo il futuro
dei conti deposito. Un mondo che da tempo ha avviato una progressiva evoluzione
del modello di riferimento da semplici parcheggi di liquidità, i conti online si stanno
trasformando in piattaforme che mettono a disposizione della clientela un’amplia gamma
di servizi base, cui si aggiunge una redditività interessante. Banca Ifis, ad esempio, dalla
prossima settimana metterà a disposizione dei sottoscrittori Rendimax un bancomat che
consente di disporre liberamente del denaro sul conto deposito che sarà remunerato a un
tasso lordo di 2,09%. Concessi cinque prelievi mensili a costo zero (i successivi costeranno
2 euro ciascuno), mentre i pagamenti tramite Pos saranno gratuiti sia in Italia che nel resto
del mondo. «La concorrenza va in questa direzione - aggiunge Bossi -. L’obiettivo è dotare
i conti deposito di servizi sempre più completi come la domiciliazione delle bollette,
18 Settembre 2010
CACCIA CONTINUA AI DEPOSITI ONLINEdi Luca Davi
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 4Vi è anche un’altra considerazione da fare in merito; l’orizzonte economico non offre al
momento grandi opportunità di impieghi remunerativi per i risparmiatori, ad eccezione del
settore immobiliare; la situazione di crisi nel Paese e nell’Unione Europea determina nella
clientela una preferenza per la liquidità per timore di altri rischi finanziari e/o di eventuali
processi inflazionistici.
Per quanto riguarda le tipologie per età degli utenti dei conti on line, la percentuale
maggiore riguarda persone relativamente giovani. La fascia d’età dai 18 ai 24 anni è invece
presente solo con un 4% e questa bassa incidenza sul totale è spiegabile con il fenomeno
dell’occupazione giovanile caratterizzata da precariato, disoccupazione e conseguenti
redditi bassi ed incerti, che non consentono di avere risparmi e, quindi, di programmarne
gli impieghi.
Si evidenzia come, nell’ultimo anno, sia aumentata di 3 punti percentuali la presenza sul
mercato online degli over 55. Con molta probabilità è in atto un mutamento culturale, che
avvicina persone più anziane a questo tipo di scambi.
TASSI D’INTERESSE E RENDIMENTI
Tassi di interesse e rendimenti
Le parole chiave attorno cui ruotano le argomentazioni dell’articolo preso in considerazio-
ne ci consentono di organizzare una sequenza cognitiva in grado di esplicitare le connes-
sioni tra l’organizzazione delle banche, da un lato, e le aspettative e rappresentazioni per
il futuro, che ispirano le decisioni economiche delle persone. Si tratta in particolare di due
voci: deposito e tassi di interesse, che a loro volta richiamano i concetti di risparmio e di
rischio.
Risparmio/rischio
Il risparmio è quella parte di reddito che un soggetto non consuma e che tende
ad aumentare col crescere del reddito. I redditi molto bassi non consentono invece di
risparmiare, perché è necessario destinarli interamente a soddisfare i bisogni primari delle
famiglie.
La decisione di risparmiare viene generalmente presa in base ad un calcolo prudenziale: si
desidera avere a disposizione del denaro per far fronte ad eventuali necessità impreviste
o improvvise.
L’atto del risparmio è presente fin dall’antichità; infatti gli uomini hanno sempre avuto
coscienza, anche in contesti storici e geografici differenti, che l’incertezza fa parte della
vita e che bisogna premunirsene in qualche modo.
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La tendenza attuale degli istituti bancari è rivolta a potenziare il mercato
dei conti on line allo scopo di incrementare la raccolta di liquidità in modo
diretto, scavalcando l’intermediazione bancaria, che comporta costi, a volte,
elevati.
L’articolo esamina un particolare prodotto bancario, il conto deposito. Si
tratta di un conto online, su cui il risparmiatore può destinare il denaro
liquido, che non intende utilizzare immediatamente, e che gli attribuisce
un rendimento crescente a seconda che si riservi la facoltà di effettuare
prelievi a piacimento oppure a scadenze determinate.
Il conto deposito si appoggia ad un altro conto corrente e la posizione
bancaria del cliente è strutturata su due conti correlati tra di loro: il conto di
appoggio, detto anche operativo, su cui si effettuano versamenti e prelievi;
il conto deposito, sul quale si calcolano i rendimenti.
L’orientamento per il futuro è quello di unificare i due conti e di corredare il
nuovo prodotto con una serie di servizi. Vi sono già in atto alcune iniziative
in merito. Ad esempio la Banca Ifis mette a disposizione dei sottoscrittori
Rendimak un bancomat, con il quale si potrà disporre liberamente del
denaro sul conto deposito, remunerato con un tasso lordo del 2,09%, con
cinque prelievi mensili a tasso zero e con i pagamenti tramite Pos gratuiti
sia in Italia che all’estero.
Oppure il caso di Banca Mediolanum, che con il Conto Freedom consente
al cliente i seguenti servizi: carta di credito, accredito, bonifici, e con un
rendimento netto del 2% sulle somme eccedenti 15mila euro.
Rispetto al normale conto corrente si rende più appetibile per il risparmia-
tore l’uso di questo strumento, dato che comporta per la banca costi di
gestione pressoché nulli e, di conseguenza, rendimenti più elevati per il
cliente.
In questo particolare momento le iniziative innovative sono stimolate
dalla necessità che hanno le banche di raccogliere capitali freschi per
avere a disposizione una maggiore quantità di liquidi sia perché il mercato
interbancario è ancora, dopo la crisi finanziaria, piuttosto rigido, sia per
adeguare il proprio patrimonio alle richieste di Basilea 3.
L’innovazione tecnologica consentirà alle banche di abbattere i costi relativi
all’intermediazione bancaria e sarà così possibile elevare i tassi remunerativi
ed offrire servizi più economici alla clientela.
Il mercato online dovrebbe instaurare una concorrenza vivace tra le banche
per attirare i risparmiatori (se ne vedono già alcuni segnali pubblicitari in
televisione).
La schedadi Elide Sorrenti
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 4Quindi la banca, per garantirsi la solvibilità, deve tenere una quota fissa di depositi, la
cui quantità può variare a seconda che si stabiliscano o meno scadenze diverse per le
richieste dei rimborsi; più lunga è la durata del deposito, più elevato è il tasso di interesse
corrisposto.
Il tasso di interesse
Il tasso di interesse può essere definito come il prezzo per avere a disposizione un capitale,
solitamente una somma di denaro, per un certo periodo. Viene calcolato come una quota
percentuale del capitale per una unità di tempo, normalmente l’anno.
Il pagamento dell’interesse si può giustificare da diversi punti di vista, che, nel corso della
storia, hanno esaminato la legittimità o meno dell’interesse nei prestiti.
Si riteneva che solo la terra può produrre frutti e non il denaro; le diverse religioni
vietavano la richiesta dell’interesse per il fatto che, chi dava in prestito denaro o altri beni
di sostentamento, richiedendo un di più rispetto a quanto aveva dato, si approfittava della
situazione di indigenza dell’altra parte. L’interesse era spesso identificato con l’usura.
In seguito, mutate le condizioni storiche, quando l’attenzione si spostò sui prestiti al
commercio o all’industria l’atteggiamento culturale ebbe un approccio diverso, che invece
giustificava la pratica dell’interesse.
Alcune argomentazioni considerano l’interesse come il compenso che si deve a chi
sopporta il sacrificio di rinunciare alla disponibilità del suo denaro oppure di rinunciare ad
investimenti alternativi, sopportando un costo (costo opportunità).
Un’altra tesi valuta invece il rischio di inflazione o di insolvenza del debitore. L’interesse è
qui inteso come un compenso per l’eventuale perdita del potere di acquisto della moneta
al momento della restituzione oppure per l’inadempimento parziale o totale del debitore.
Il tasso di interesse può assumere varie configurazioni:
• tasso di interesse semplice o lineare, quando è direttamente proporzionale al capitale
prestato e alla durata del prestito e cresce di una certa frazione del capitale per unità
di tempo;
• tasso di interesse composto, si ha quando l’interesse maturato alla fine del periodo
prestabilito, di solito l’anno, viene aggiunto al debito e ad ogni anno successivo viene
calcolato oltre che su capitale iniziale anche sugli interessi aggiunti. In questo modo
l’importo dell’interesse non è sempre lo stesso durante la durata del prestito come
nell’interesse semplice, ma aumenta sempre di più perché ogni volta si calcola su un
capitale di volta in volta maggiorato dagli interessi.
John Maynard Keynes attribuisce l’accumulazione del capitale, che ha inizio nel Cinquecento,
proprio al “potere” dell’interesse composto facendone il calcolo per un periodo di duecento
anni. “Le 40.000 sterline che la Regina Elisabetta investì nella Compagnia delle Indie
Orientali ad un interesse composto del 3,25 per cento corrispondono approssimativamente Ta
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4Incertezza e rischio sono termini che sembrano avere lo stesso significato. In
realtà si ha incertezza quando non si è in grado di conoscere esattamente
le conseguenze di un’azione. Si tratta quindi di una conoscenza imprecisa,
di informazioni carenti in merito ad una data situazione che interessa
chi deve agire. Il rischio invece è presente quando una persona si trova
in una situazione in cui può incorrere in perdite o guadagni. A differenza
dell’incertezza, che non implica necessariamente l’eventualità di perdite, nel
rischio questa eventualità è sempre presente.
Limitarsi nelle spese ed accantonare il denaro per fronteggiare l’incertezza
ed i rischi è tipico nelle economie moderne ed evolute. Per garantirsi da
furti e/o da tentazioni di spesa si depositano le somme risparmiate presso
le banche. Accanto a questo motivo di sicurezza, nel risparmiatore vi è però
anche la considerazione che il denaro non consumato ha la proprietà di
produrre a sua volta reddito.
Infatti la banca non si limita alla funzione di custodia, ma rimette in
circolazione la moneta a sua disposizione concedendo prestiti a famiglie ed
imprese che ne fanno richiesta per consumi ed investimenti.
Il contratto di deposito è lo strumento che consente di mettere in atto
questa procedura.
Secondo l’art. 1834 c.c. Nei depositi di una somma di denaro presso una
banca, questa ne acquista la proprietà ed è obbligata a restituirla nella stessa
specie monetaria, alla scadenza del termine convenuto ovvero a richiesta
del depositante, con l’osservanza del periodo di preavviso stabilito dalle
parti o dagli usi.”
Con questa operazione il depositante si assicura la custodia del suo denaro
mentre la banca, pagandogli un compenso, acquista la “materia prima”
per le sue operazioni di prestito e di impieghi vari. Quanto maggiori sono
i suoi depositi, più elevato è il volume delle sue attività e dei suoi profitti;
l’utile della banca è dato dalla differenza fra i tassi pagati ai depositanti, che
costituiscono un costo, ed i tassi più elevati richiesti ai mutuatari.
Con quali criteri la banca impiega il denaro depositato per darlo in prestito
ad altri soggetti e poi restituirlo quando ne viene fatta richiesta?
Si tratta di un criterio temporale poiché chi deposita non ritira
immediatamente il suo denaro, lo lascia in banca per un certo periodo
di tempo. Non dimentichiamo che, secondo l’articolo 1834 c.c., la banca
ne acquista la proprietà e ne può disporre liberamente. Deve però tener
presente il suo obbligo di restituzione. È quindi necessario equilibrare le
operazioni passive di raccolta con quelle attive di impiego in modo da avere
sempre disponibili somme per i rimborsi, che, a parte casi eccezionali, è
difficile vengano richiesti simultaneamente da tutti i depositanti.
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 4noto sin dall’inizio e quindi il rendimento del titolo è una
variabile con valore atteso costante. Si tratta in genere di
titoli di Stato a brevissimo termine di Paesi assolutamente
affidabili (ad es. il “Treasury Bond USA a tre mesi). Sono
importanti dato che il loro tasso, il più basso sul mercato
costituisce il riferimento per gli altri titoli. Quindi ogni altro
investimento possibile potrà dare rendimenti calcolati
su questo “tasso base” con l’aggiunta di un “premio al
rischio”, rischio di insolvenza o di volatilità presente in ogni
investimento finanziario.
Il tasso ufficiale di riferimento è determinato dalle Banche
Centrali e, nel caso dell’Area Euro, dalla Banca Centrale
Europea, che ha la funzione di regolare i mercati monetari
e finanziari, in cui sono in vigore tassi differenti a seconda
dell’entità dei prestiti, della loro durata e dell’affidabilità dei
mutuatari.
Come abbiamo visto sopra il denaro ha la proprietà di produrre
reddito. I tassi di interesse sono indicatori molto importanti
per orientare le scelte dei risparmiatori nei loro investimenti e
per calcolarne i rendimenti.
Consideriamo il mercato dei valori mobiliari, detti così per la
loro facilità a circolare. I valori mobiliari sono documenti che
incorporano diritti: nell’obbligazione un diritto di credito, in un
titolo azionario la qualità di socio di una società commerciale.
Sono facilmente negoziabili, ossia è sempre possibile venderli
nel caso in cui una persona abbia la necessità di realizzare
denaro liquido oppure comprarli quando si vuole investire
il contante in eccesso per ricavarne un rendimento,la
cedola calcolata in base al tasso di interesse nel caso delle
obbligazioni, il dividendo se si tratta di azioni.
L’opportunità di acquistare o di vendere titoli facilmente e
rapidamente in qualsiasi momento è resa possibile dal fatto
che sul mercato mobiliare operano soggetti che acquistano e
vendono non per fare investimenti o disinvestimenti reali, ma
per lucrare sulle differenze di prezzo.
Siccome le previsioni, che ciascun speculatore fa, sull’aumento
o sul ribasso dei titoli normalmente non coincidono, tranne
che in casi particolari, allora un investitore reale troverà
sempre qualcuno disposto ad acquistare o a vendere i titoli
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SITI E INFO PER APPROFONDIRE www.ilsole24ore.comwww.bancaditalia.it
voce: Educazione finanziaria: la stabilità dei prezzi
John Maynard Keynes, Possibilità economiche per i nostri nipoti seguito da Guido Rossi, Possibilità economiche per i nostri nipoti? Adelphi, 2009, Pagg.16-17
Marco lo Conte, “In classe? Non i bancari”, PLUS 24 -Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2010, pag.11
Alberto Banfi, a cura di, I MERCATI E GLI STRUMENTI FINANZIARI, isedi, 2008, pagg.322-323, “La valutazione degli strumenti finanziari” di Fiorenzo Di Pasquale e Francesca Pampurini.
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
QR-CODE
Mercato interbancarioBasilea 3Processo inflazionistico/ InflazioneFlussi intermediTan e taegVolatilità
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4a 4 miliardi di sterline odierne.” In altre parole… ogni sterlina portata a casa
da Drake nel 1580 si è trasformata in 100.000 sterline di oggi …”(1928).
Anche in merito all’alfabetizzazione finanziaria la Dott.ssa Lusardi, che
collabora con il governo USA per la definizione e l’implementazione delle
conoscenze di base che i cittadini devono avere in proposito, sostiene che
cosa sia opportuno insegnare ai ragazzi. Si tratta di almeno tre concetti
fondamentali: “il tasso composto, che produce una crescita di un capitale in
modo geometrico, il concetto di rischio e di come considerarlo e gestirlo,
attraverso la diversificazione; infine l’inflazione, ossia la crescita dei prezzi
che riduce il potere d’acquisto”.
• tasso fisso quando, una volta stabilito nel contratto, non viene modificato
durante la vita del contratto;
• tasso variabile quando la misura del calcolo del tasso di interesse si
modifica in relazione all’andamento del costo del denaro. La variazione
seguirà quella registrata dall’indice al cui tasso del mutuo è agganciato,
quello più usato è l’Euribor;
• tasso nominale è il tasso applicato in un contratto di mutuo o di
finanziamento. Indica il costo teorico che deve sostenere chi prende il
denaro a prestito ed il rendimento per chi lo presta. Per evitare pratiche
non trasparenti da parte delle banche e degli intermediari finanziari che
includano nel tasso teorico costi accessori(commissioni, assicurazioni,
istruttorie, etc.) lievitandone l’importo e difficilmente percepibili dal
mutuatario, la legge italiana impone di indicare nelle operazioni relative
a mutui e prestiti;
• tasso annuo nominale (TAN) ed il tasso effettivo globale (TAEG). Il Tan
è il tasso d’interesse puro applicato ad un finanziamento. A tale tasso
vengono calcolati gli interessi da pagare in ogni rata, ma non indica
il costo reale di quel finanziamento in quanto nel calcolo non sono
comprese le spese accessorie. Il Taeg è il costo totale del credito a carico
del consumatore, espresso in percentuale annua del credito concesso.
Comprende gli interessi (Tan) e tutti gli oneri (spese di istruttoria, di
apertura pratica, di incasso delle rate, di assicurazione o garanzie richieste
dal creditore, mentre sono esclusi bolli e tasse) da sostenere per accedere
al finanziamento. Va indicato obbligatoriamente in caso di concessioni
di credito al consumo, anche quelle cd. “a tasso zero”, e rappresenta la
voce più completa di costo in relazione ad un finanziamento;
• tasso privo di rischio (Risk free interest rate) rappresenta il tasso di
interesse di una attività priva di rischio. In teoria si assume che nei mercati
sia sempre possibile trovare un titolo che abbia un rendimento certo e
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 4in quanto dipende dai risultati economici dell’impresa, di cui si possiedono le azioni; in
questo caso si parla di dividendi attesi. Le azioni sono perciò titoli a reddito variabile a
differenza delle obbligazioni che sono invece titoli a reddito fisso.
Dal punto di vista del rischio nell’investimento in titoli a reddito variabile si possono
distinguere:
• titoli sensibili all’andamento del ciclo economico (titoli industriali);
• titoli anticiclici (settore energetico, telefonia, alimentare);
• titoli aggressivi che aumentano o scendono a seconda dell’andamento della Borsa;
• titoli difensivi che resistono alle cadute di Borsa, ma aumentano poco quando il mercato
è favorevole.
L’inflazione/deflazione/stabilità dei prezzi
Con termini inflazione e deflazione si designano due fenomeni economici importanti ed
opposti con effetti negativi sul sistema economico.
L’inflazione si manifesta con un aumento generalizzato e persistente sui prezzi dei beni
e dei servizi. Ne deriva una diminuzione del potere d’acquisto della moneta, che così si
svaluta. Con la stessa quantità di moneta rispetto ad un periodo precedente si potranno
acquistare meno beni o servizi.
I prezzi possono aumentare quando la moneta che può essere spesa è superiore ai beni
disponibili, o la domanda di un determinato bene è elevata e l’offerta scarsa oppure
perché sono aumentati i costi di produzione; in quest’ultimo caso il produttore venderà i
suoi prodotti a prezzi più elevati al commerciante che, a sua volta, aumenterà I prezzi al
dettaglio.
La deflazione è l’inverso dell’inflazione e consiste in una diminuzione nel tempo del livello
generale dei prezzi. Può verificarsi a causa di una scarsa domanda di beni e servizi che
obbliga le imprese ad abbassare i prezzi.
I prezzi invece sono stabili se, in media, nel tempo non si registrano né rialzi né ribassi
dei prezzi. In questo caso chi risparmia e presta denaro è disposto ad accettare tassi di
interesse più bassi perché si aspetta che il valore del suo denaro rimanga costante. Se
invece teme che si verificherà un rialzo dei prezzi e il potere di acquisto della moneta
diminuirà, cercherà di tutelarsi dall’incertezza sul valore futuro del suo denaro esigendo
tassi di interesse più elevati. Come conseguenza Il rialzo del costo del denaro farà scendere
la domanda di credito da parte delle imprese, che ridurranno gli investimenti in macchine
ed impianti, diminuirà la produzione e l’occupazione con conseguenze negative anche sul
piano sociale.
L’inflazione produce ulteriori effetti iniqui nel sistema economico come la perdita di
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4da lui posseduti o desiderati.
La redditività degli impieghi del risparmio deve essere valutata
accuratamente tenendo conto delle differenti alternative ed anche
dell’impatto dell’imposizione fiscale.
Per quanto riguarda la redditività degli strumenti di mercato monetario è
opportuno distinguere tra gli impieghi in obbligazioni a breve termine da
quelli a medio e lungo termine.
I primi hanno una durata non superiore ai dodici mesi, come i BOT (Buoni
Ordinari del Tesoro); sono emessi ad un prezzo inferiore al valore nominale,
che è quello in base al quale vengono rimborsati; il loro rendimento è dato
dalla differenza tra due valori rapportata al prezzo d’acquisto e alla durata
residua dell’investimento.
In merito ai titoli a medio e lungo termine, BTP (Buoni del Tesoro Pluriennali),
CCT (Certificati di Credito del Tesoro) e CTZ (Certificati di Credito del Tesoro-
zero coupon) e le obbligazioni emesse da società private, si distinguono
il rendimento effettivo ex ante o atteso, e quello effettivo ex post, che si
riscontrerà alla fine del periodo di investimento; questi due rendimenti
possono coincidere nell’ipotesi che il titolo sia detenuto fino alla scadenza.
In caso di vendita anticipata il prezzo di vendita potrebbe non coincidere
con il prezzo di rimborso, in quanto altre variabili come il rischio di variazioni
del tasso di interesse, il tempo mancante alla scadenza del rimborso, ed il
livello dei flussi intermedi possono influenzarne l’entità.
Gli elementi di cui è necessario tener conto per valutare i diversi tassi di
rendimento effettivo per i titoli obbligazionari possono ricondursi a:
• la rischiosità del debitore: se l’emittente di un titolo obbligazionario of-fre un rendimento superiore ad altri, a parità di condizioni, questo fatto
può segnalare che vi sia rischio di insolvenza;
• Il trattamento fiscale: nelle decisioni fra diverse alternative di investi-
mento, gli investitori considerano il rendimento netto dei vari strumenti
finanziari, detraendone il trattamento fiscale, per scegliere quello più fa-
vorevole;
• la presenza di opzioni: alcune obbligazioni prevedono opzioni a favore
dell’emittente, come il rimborso anticipato, o a favore del detentore del
titolo, come la conversione in altri titoli;
• la liquidità dello strumento: il diverso grado di liquidità dipende dal tipo di mercato; le obbligazioni negoziate in mercati più ampi e liquidi,
poiché sono più gradite al pubblico hanno rendimenti più bassi rispetto
alle obbligazioni meno liquide.
Il rendimento dei titoli azionari è il dividendo, che è un compenso variabile
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 4• prefigurare le probabili nuove mansioni richieste agli addetti per la gestione e
l’implementazione dei servizi online;
• percepire come al successo di questa innovazione sia necessario un cambiamento
culturale e l’acquisizione di nuove capacità da parte della clientela.
Strategie suggerite
Riguardano le modalità di lavoro che possono essere ottimizzate attraverso attività di
ricerca, studio di casi, inchieste etc. effettuati in modo cooperativo. Le scansioni
potrebbero essere le seguenti:
A) Lettura individuale dell’articolo con l’aiuto di una griglia, a titolo esemplificativo, espressa
nei seguenti termini:
1. i nuovi requisiti di Basilea 3 impongono alle banche maggior capitale “fresco”, fornito da
famiglie ed imprese;
2. la raccolta di capitale “fresco” avviene principalmente attraverso le operazioni di deposito,
che comportano il pagamento di un interesse al depositante;
3. i depositi online riducono notevolmente questi costi e consentono di remunerare meglio
la liquidità offrendo tassi più elevati e quindi maggiori rendimenti per i clienti;
4. la tecnologia informatica può, utilizzando la rete informatica, estendere l’offerta di altri
servizi, quali la domiciliazione delle bollette, l’accredito degli stipendi, i bonifici etc.
B) Il docente comunica gli esiti delle griglie di lettura agli studenti, stimolandone osserva-
zioni e quesiti anche per verificare il grado di comprensione dell’articolo.
C) Dopo la discussione si decide quale/li temi sviluppare e si procede quindi alla
progettazione della ricerca. Le piste di lavoro potrebbero riguardare per es. un’inchiesta
sulla propensione all’uso del bancomat da parte della clientela di una data banca, assunta
come studio di caso. Oppure il numero di corsi di aggiornamento e riqualificazione effettuati
dal personale in un arco di tempo determinato, o ancora indagare il rapporto tra tassi di
interesse e rendimenti etc..
D) Il docente fornisce i materiali cartacei, le indicazioni di links utili o quelle relative alla
preparazione di questionari per effettuare interviste.
E) Effettuata la ricerca, gli studenti presentano i loro lavori in forma orale, scritta e/o
usando i programmi presenti nel computer. Da come gli studenti organizzano le loro
comunicazioni il docente può verificare se e in quale misura gli obiettivi prefigurati sono
stati o meno raggiunti.
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4valore dei risparmi nel tempo, vantaggi per i debitori che restituiscono ai
creditori lo stesso ammontare nominale dei crediti ottenuti ma di un valore
reale inferiore, aumento automatico delle imposte conseguente al maggior
prelievo fiscale, e, da ultimo, come abbiamo già visto, più elevati tassi di
interesse per l’effetto del premio per il rischio di inflazione.
Questo spiega perché l’obiettivo principale della Banca Centrale Europea
sia quello di mantenere la stabilità dei prezzi all’interno dell’Eurosistema
e dell’Unione Europea con l’adozione di politiche monetarie coordinate
e vincolanti per tutte le banche centrali degli stati membri allo scopo di
salvaguardare il valore dell’euro, la stabilità del sistema finanziario e la sua
integrazione.
Traccia per l’attività in classeL’articolo mette in risalto l’iniziativa, da parte di alcune banche, di offrire
tassi più remunerativi per i depositi online rispetto ai depositi tradizionali;
in questo modo si riducono il ruolo dell’intermediazione indiretta ed i costi
per la raccolta del risparmio, e si dà l’avvio ad un processo di concorrenza
tra le banche.
Compiti per il docente
Si tratta di stabilire obiettivi e strategie per rendere fruibile didatticamente
l’articolo in base ai suoi contenuti.
Obiettivi suggeriti
•farcomprendereladifferenzatrauncontodidepositotradizionaleeduno
online;
• cogliere gli effetti che le operazioni bancarie, effettuate con le Nuove
Tecnologie Informatiche, possono produrre sul volume e sulla riqualificazione
del personale bancario, come pure sulle nuove prestazioni richieste agli
utenti, e sulla attivazione ed espansione di nuovi servizi.
Risultati attesi
•comunicareescrivereusandounaterminologiacorretta;
•collegare l’usocrescentedeglistrumenti informaticinellagestionedella
banca ad una eventuale riduzione di personale;
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4Quando l’interesse diventa usura?
L’art.1 della legge n.108 del 1996 indica come usurari gli interessi sproporzionati rispetto alla prestazione, se chi li ha sottoscritti si trova in difficoltà economiche o finanziarie.
Che cosa si intende per “documenti che incorporano un diritto”?
L’incorporazione è una caratteristica di alcuni titoli, quali cambiali, obbligazioni, azioni, in cui vi è un nesso inscindibile tra il documento ed il diritto che rappresenta. Ne consegue che tutto ciò che riguarda il diritto è scritto sul documento, senza il possesso del quale non si può esercitare il diritto stesso. Questa caratteristica rende facili e rapide le negoziazioni e gli scambi di questi titoli.
Qual è la differenza tra mercato monetario e mercato finanziario?
Il mercato monetario riguarda le negoziazioni di titoli a breve scadenza (12-18 mesi). Il mercato finanziario è costituito dalla domanda e offerta di capitali a medio e lungo termine.
Cosa si intende per costo-opportunità?
Il costo-opportunità è l’opzione alternativa a cui si deve rinunciare quando si fa una scelta; può riguardare anche risorse non economiche come il tempo.
FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
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Credito alle famigliedi Elide Sorrenti5
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sofferenze delle famiglie consumatrici era stato di oltre 1 miliardo (1.075 milioni). Il flusso del primo trimestre
porta comunque le consistenze complessive delle sofferenze delle 525.046 famiglie italiane affidate a 13,72
miliardi. Dodici mesi prima (marzo 2009) le sofferenze delle famiglie consumatrici erano i pari a 10,02 miliardi.
Il dato medio può essere incrociato con andamenti più particolari forniti da Bankitalia con i report territoriali.
Ed emerge un incremento dei flussi di nuove sofferenze in Puglia, in Calabria (all’1,8 per le famiglie e al 3,5
per le imprese), in Campania (al 2,3 per le famiglie e al 4% per le imprese). Con evoluzioni negative anche
in altre parti del Paese (ad esempio in Liguria sul lato imprese, pur con 1,5% ritenuto normale). CentroSud e
isole sono state le aree più interessate allo sviluppo delle attività di credito al consumo (vedi tabella in pagina
sull’evoluzione 2004-2009 con il raddoppio a 113 miliardi in cinque anni) e si teme che le cadute dell’economia
e dell’occupazione possano peggiorare proprio il dato delle aree deboli. Esponendo le famiglie e le piccole
attività a finanziamenti onerosi e fuori mercato. O ad attività illecite di usura.
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DOVE SONO I MUTUI PRIMA CASA
Quota di famiglie indebitate con un mutuo per acquisto prima casa, ripartizione per regione. In percentuale
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DOVE SONO I MUTUI PRIMA CASA
Quota di famiglie indebitate con un mutuo per acquisto prima casa, ripartizione per regione. In percentuale
Fonte: Rapporto ABI, Ministero del Lavoro
Fonte: elaborazioni Centro studi e ricerche Abi su dati Banca d’Italia
85,3
82,6
84,3
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102,8
88,2
83,7
67,5
76,0
83,4
75,9
80,8
79,5
Italia
Nord - Ovest
Nord - Est
Centro
Meridione
Isole
Piemonte
Valle d’Aosta
Liguria
Lombardia
Trentino Alto Adige
Veneto
Friuli Venezia Giulia
90,7
83,7
67,8
70,3
69,8
97,4
98,1
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108,0
102,6
113,5
91,9
79,0
Emilia Romagna
Marche
Toscana
Umbria
Lazio
Campania
Abruzzo
Molise
Puglia
Basilicata
Calabria
Sicilia
Sardegna
Le tante difficoltà delle famiglie nel ripagare le rate dei prestiti non trovano ancora piena
espressione nelle rivelazioni statistiche. I prestiti diventano incagli (prime rate saltate
e quindi situazione non cronica) o sofferenze (avvio del contenzioso) solo se vengono
registrati contabilmente. Prima di allora sono difficoltà del cliente di cui la banca si
accorge subito e che, nei casi virtuosi, cerca di gestire nei mesi successivi. I tanti dati che
Bankitalia, Centrale dei rischi, Abi, Ministero del Lavoro e altri operatori stanno sfornando
mensilmente offrono comunque la possibilità di monitorare ufficialmente l’andamento
delle attività di prestito a famiglie e small business, ripartendole per grandi aree e singole
regioni. Secondo il «Report trimestrale - indicatori di indebitamento, vulnerabilità e
patologia finanziaria delle famiglie italiane», realizzato da Abi in collaborazione con il
Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali di luglio 2010 (ma è riferito ai saldi del primo
trimestre), i finanziamenti per la casa (passati da 154 miliardi del 2004 a 246 nel dicembre
2009) continuano a crescere a buon ritmo favoriti da un rallentamento del prezzo degli
immobili, da tassi interessi ai minimi e anche dalla bassa remunerazione degli investimenti
finanziari che toglie di mezzo alcune alternative più liquide.
A marzo i prestiti per l’acquisto di abitazioni sono cresciuti di circa l’8% a 252 miliardi (+4,5%
a marzo del 2009), nonostante la percentuale di possesso della casa da parte degli italiani
sia superiore rispetto ad altri Paesi. Senza che il livello di indebitamento delle famiglie
italiane, notoriamente risparmiatrici, possa avvicinarsi a quello di altri Paesi comparabili.
L’incidenza della rata dei mutui casa sul reddito resta contenuta al 4,3% e sostanzialmente
invariata rispetto a fine dicembre, proporzionalmente meno pesante rispetto ai trimestri
caldi del 2008. La famiglia si conferma un buon cliente delle banche, rispetto ad altri
creditori, con un’incidenza delle sofferenze sull’1,3-1,4% dell’erogato. Il rapporto Abi-
MinLavoro lavora anche su parametri di accessibilità all’acquisto di abitazione e l’indice di
housing affordability testimonia che la rata pagata dalla famiglia media per comprare la
propria casa è ampiamente compatibile con gli introiti attuali.
Tutto bene? Se si guarda alla perdita dei posti di lavoro, alla cassa integrazione, alle
difficoltà d’impresa si intravedono segnali di maggiore fragilità a fronte degli impegni presi.
Si modificano i comportamenti delle famiglie. I consumi di base si stanno comprimendo
molto e anche le vacanze sono state un problema. Nulle o più corte o anche finanziate
a debito. I nuclei che non riescono a rispettare gli impegni cresceranno inevitabilmente
(qualcosa si intravede negli indicatori di patologia finanziaria che valutano l’evoluzione dei
presiti in difficoltà).
Dai crediti delle banche alle famiglie consumatrici sono emerse nuove sofferenze per quasi
un miliardo nel primo trimestre di quest’anno, ha segnalato ancora il bollettino statistico di
Bankitalia che utilizza anche i flussi della Centrale rischi. Da oltre 52mila famiglie affidate
spuntano nuove sofferenze per 979 milioni. Nell’ultimo trimestre del 2009 il flusso di nuove
22 Agosto 2010
VULNERABILI ALL’INDEBITAMENTOdi Paolo Zucca
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5DOVE SONO I CREDITI AL CONSUMO
Tassi di variazione percentuale dei crediti al consumo concessi durante i 5 anni dal 2004 al 2009
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 5due tabelle che espongono i dati ricavati dal Report ABI Ministero del Lavoro e delle
Politiche sociali e dal Centro studi ABI sui dati della Banca d’Italia.
La prima tabella evidenzia i tassi di variazione percentuale dei crediti al consumo, su base
regionale, concessi durante i cinque anni che vanno dal 2004 al 2009. Da essa risulta che
l’aumento percentuale medio per l’Italia è stato, nel periodo preso in considerazione, del
85,3% a fronte di un 102,8% nel Meridione, in cui i maggiori incrementi variano dal 113,5%
della Calabria, al 108,0% della Puglia e al 102,6% della Basilicata.
Questo andamento è valutato positivamente in quanto, dal punto di vista delle banche, i
prestiti concessi ai loro clienti sono operazioni attive, e quanto maggiore ne è il volume,
tanto maggiore è l’utile. Tuttavia in questo tipo di contratti vi è una componente molto
importante: la solvibilità del mutuatario ossia la sua capacità di restituire quanto prestato,
nei termini e con le modalità pattuite. Il rischio d’insolvenza è sempre presente nei
contratti in cui la prestazione di uno dei contraenti è differita nel tempo, come nel caso di
accensione di mutuo.
Infatti tra il momento della conclusione del contratto e quello del pagamento, la situazione
patrimoniale del debitore può essere compromessa sia per vicende personali, quali una
malattia, un incidente, un lutto, sia per cause relative a crisi che colpiscono i settori produttivi
e che incidono sui redditi familiari innanzi tutto per la conseguente disoccupazione.
Tali cause, di carattere personale e generale, spesso interagiscono tra di loro amplificandone
gli effetti negativi.
La seconda tabella presenta, per ripartizione regionale, la quota percentuale di famiglie
indebitate con un mutuo per l’acquisto della prima casa. La punta più alta risulta essere
quella del Friuli in cui il 34% delle famiglie ha acceso un mutuo con questa destinazione,
seguito dal Veneto con il 20,7%. A seguire il Trentino con il 14%, mentre le percentuali più
basse sono quelle della Valle d’Aosta con l’1,8% e del Molise con il 2,4%.
Se si incrociano i dati di queste due tabelle si nota che l’incremento percentuale delle
richieste di prestiti è maggiore, rispetto alla media nazionale, nel Meridione. Siccome
queste grandezze si riferiscono ai crediti al consumo in generale e non indicano la quota
di quelli destinati all’acquisto della casa, il maggiore incremento può essere spiegato da
una situazione economica delle famiglie meridionali più precaria rispetto quelle delle altre
regioni italiane.
Invece la percentuale maggiore delle famiglie che hanno acceso un debito per l’acquisto
della casa riguarda il Nord con l’eccezione della Valle d’Aosta, che si pone al livello più
basso. Il fenomeno può trovare spiegazione nel fatto che il mutuo per l’acquisto di una
casa richiede un orizzonte temporale molto lungo, una maggiore solidità e stabilità
patrimoniale di chi lo richiede. Queste condizioni prevalgono nelle regioni più ricche del
Nord. Si conferma così il divario economico tra le aree settentrionali e quelle meridionali
del nostro Paese.
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5I conti di casa
L’articolo analizza l’indebitamento delle famiglie italiane e la loro capacità
di rimborsare i debiti nel contesto della situazione economica attuale, sulla
base dei dati pubblicati in due rapporti dell’Associazione Bancaria Italiana.
Il secondo numero del “Report trimestrale - indicatori di indebitamento,
vulnerabilità e patologia finanziaria delle famiglie italiane”, realizzato da
ABI in collaborazione con il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali,
presenta i risultati di una operazione di monitoraggio, effettuata con
particolari indicatori, sull’andamento delle posizioni debitorie delle famiglie
in una situazione di congiuntura economica sfavorevole.
Dal Report di Luglio 2010 emerge una crescita dei finanziamenti per la
casa; questo andamento è spiegabile con il fatto che, a causa della crisi
economica, si sono mantenuti stabili i prezzi delle abitazioni e bassi i tassi
di interesse rendendo così più conveniente il ricorso ai mutui. Inoltre,
l’orizzonte economico, dopo gli shock finanziari degli anni precedenti
e la conseguente caduta di fiducia da parte degli investitori, offre
scarse opportunità di investimenti in settori maggiormente profittevoli
privilegiando, così, quelli immobiliari.
A Marzo 2010 i prestiti per l’acquisto di abitazioni sono cresciuti di circa l’8%
(+ 4% a Marzo del 2009). Questa situazione non ha comportato alterazioni
nel rapporto tra rata media sui mutui casa e reddito: infatti i dati più recenti
dimostrano come l’insieme delle rate incida sul reddito familiare per il 4,3%
e quindi risulti sostanzialmente stabile rispetto ai dati dell’anno precedente.
Tra gli indicatori di vulnerabilità viene impiegato l’indice di accessibilità o
housing affordability per valutare in che misura il contributo del credito
bancario, i livelli di reddito e le tendenze del mercato immobiliare
influiscono sulla possibilità di acquistare la casa.
Secondo questo indice l’accessibilità all’acquisto mostra nell’arco di un anno
e mezzo un progressivo miglioramento: a Marzo 2010 la rata che la famiglia
media spende per comprare la casa si posiziona al 21,4% del proprio reddito
disponibile. Quindi il peso di questa spesa non ha una dimensione tale da
squilibrare l’economia familiare, è compatibile con il reddito e l’acquisto
della casa risulta accessibile alla famiglia media soprattutto per via del
basso livello dei tassi.
L’incidenza sul sistema bancario delle nuove sofferenze da parte del
“creditore famiglia” rimane contenuta all’1,3-1,4% . L’articolo è corredato da
La schedadi Elide Sorrenti
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 5• Euribor è il tasso di interesse, applicato ai prestiti in euro, calcolato giornalmente come
media semplice delle quotazioni rilevate alle ore 11 su un campione di banche con
elevato merito di credito, selezionate periodicamente dalla Banca Centrale Europea.
Il credito al consumo
L’art.121 del Testo Unico della legge in materia bancaria e creditizia (TUB) definisce
il credito al consumo: ”la concessione, nell’esercizio di una attività commerciale o
professionale, di credito sotto forma di dilazione di pagamento, di finanziamento o di altra
analoga facilitazione finanziaria a favore di una persona fisica che agisce per scopi
estranei all’attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta”.
La dilazione di pagamento può essere effettuata da soggetti autorizzati alla vendita di beni
e servizi nel territorio della Repubblica, si tratta quindi di commercianti e professionisti,
che con queste facilitazioni tendono ad aumentare il loro volume di attività.
I finanziamenti invece sono concessi dalle banche e dagli intermediari finanziari autorizzati.
La controparte di queste richieste è persona fisica che chiede la dilazione o il finanziamento
per scopi non relativi alla sua attività professionale, ma per i consumi, ossia per l’acquisto di
beni o servizi finali. Gli importi erogati non possono superare 31.000 euro e non riguardano
l’acquisto o la ristrutturazione di immobili, di solito finanziati da mutui.
Il credito al consumo può assumere due diverse forme:
a) credito finalizzato, quando è destinato all’acquisto di un bene o di un servizio venduti
da un terzo soggetto (convenzionato) al quale viene versata direttamente la somma al
momento dell’acquisto. Si tratta di una forma di finanziamento alla quale si ricorre per
l’acquisto a pagamento dilazionato di un bene o di un servizio. Questo contratto di
credito al consumo indica il bene oggetto dell’acquisto e richiede la partecipazione di
tre soggetti: il cliente, che richiede il finanziamento per l’acquisto del bene desiderato, il
venditore presso il quale si effettua la vendita e la banca o l’intermediario creditizio. Per la
stipulazione del contratto è necessario che il cliente presenti un documento di identità,
il codice fiscale, l’ultima bolletta Gas, Enel o Telecom, la busta paga o il cedolino della
pensione o la dichiarazione dei redditi. Una volta stipulato il contratto, il venditore riceverà
l’intera somma, mentre il cliente sarà obbligato a rimborsare a rate l’intera somma con
un interesse aggiuntivo. In questo rapporto il contrattino di finanziamento è separato dal
contratto di vendita e, quindi il cliente non potrà opporre alla banca o all’intermediario le
eventuali eccezioni relative a difetti o difformità della cosa acquistata;
b) credito non finalizzato quando e rivolto ad aumentare la capacità di acquisto di un
soggetto, senza vincoli di destinazione. In questo caso è lo stesso soggetto che impiega le
somme ottenute secondo una sua scala di preferenze e di priorità. Questi crediti possono
essere applicati in modi diversi:
• prestiti personali concessi direttamente dallo sportello bancario;
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5Il mutuo per l’acquisto della prima casa
Il mutuo bancario è un contratto con cui la banca trasferisce una certa
quantità di denaro al richiedente che si assume l’obbligo di restituire
l’importo concesso (capitale erogato) e al pagamento di interessi da
calcolare sulla base di un parametro finanziario, il tasso di interesse.
L’adempimento avviene in modo graduale nel tempo (durata del mutuo)
attraverso versamenti periodici (rate) la cui cadenza può variare da mensile
ad annuale.
È una delle forme di finanziamento più diffuse, specie per effettuare
l’acquisto o la ristrutturazione della prima casa in quanto risulta meno
onerosa rispetto ad altre; infatti a favore della banca viene costituita una
garanzia reale sulla casa; si tratta di una ipoteca, in caso di inadempimento
da parte del mutuatario/debitore, il bene viene venduto e sul ricavato dalla
vendita la banca ha il diritto di rivalere l’intero ammontare del debito dovuto
prima di altri eventuali debitori.
Per stipulare un mutuo destinato all’acquisto della prima casa è necessario
chiarire cosa si intende per “prima casa”; prima casa è quella in cui il
richiedente dimora abitualmente, ha la caratteristica dell’unicità, ossia non
si possono avere contemporaneamente più abitazioni principali.
Sono previste agevolazioni fiscali che consentono di effettuare detrazioni
dagli interessi passivi relativi ai contratti di mutuo per la prima casa. Questi
interessi passivi ed altri oneri accessori sono detraibili nella misura del 19
per cento su un importo massimo di 3.615,20 euro annui.
Il decreto legge n.185 del 2008 convertito nella legge n.2/2009 ha stabilito,
nell’ambito delle misure finanziarie a favore delle famiglie, alcune novità
relative ai mutui a tasso variabile:
• per i mutui immobiliari stipulati fino al 31 Ottobre 2008 a tasso non fisso
l’importo delle rate da corrispondere nel 2009 viene calcolato ad un
tasso non superiore al quattro per cento;
• a partire dal 1° Gennaio 2009 le banche e gli altri intermediari finanziari
devono assicurare al cliente la possibilità di stipulare mutui a tasso
variabile indicizzato a quello fissato dalla Banca Centrale Europea.
Il mutuo è a tasso fisso quando, una volta stabilito nel contratto, non viene
modificato durante la vita del contratto.
Il mutuo è a tasso variabile quando la misura del calcolo del tasso di interesse
si modifica in relazione all’andamento del costo del denaro. La variazione
seguirà quella registrata dall’indice a cui il tasso del mutuo è agganciato,
quello più usato è l’Euribor.
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 5l’acquisto di beni o servizi finali, che soddisfano i bisogni delle
persone, come per es. la casa, i mobili, gli elettrodomestici,
l’istruzione, i servizi per la salute, l’attività sportiva o ricreativa.
Abbiamo visto come gli indebitamenti per il consumo abbiano
avuto, nel periodo considerato dai rapporti ABI, un aumento
piuttosto sostenuto con una media per l’Italia del 85%.
Il fatto di ottenere un credito al consumo può essere
interpretato in vari modi. Se un istituto bancario o un
commerciante concedono un prestito ad una persona
significa che questa è giudicata affidabile, che farà fronte
al suo impegno di restituire quanto ha ricevuto secondo le
modalità e i tempi concordati. Quindi, nella concessione di un
credito, hanno importanza tanto la situazione patrimoniale,
quanto la moralità di chi lo richiede.
Prima di concedere un prestito la banca e gli altri intermediari creditizi effettuano indagini sulla situazione patrimoniale del
mutuatario per avere informazioni sugli affidamenti concessi
ai singoli clienti da altri intermediari.
Il credit scoring è un sistema usato dalle banche e dagli
intermediari finanziari per valutare la solvibilità del
consumatore. Le informazioni più rilevanti sono di quattro
tipologie:
a) quelle relative al richiedente (es. il reddito disponibile e il
lavoro svolto);
b) quelle relative alle caratteristiche del finanziamento da
erogare (es. durata e importo del finanziamento);
c) quelle relative al bene da finanziare;
d) quelle relative al grado di indebitamento del richiedente
il credito censite, ad esempio, nelle centrali dei rischi privati.
In questo modo si può conoscere la situazione debitoria
complessiva all’interno del Sistema creditizio nazionale ed
europeo e, di conseguenza, dedurre l’affidabilità o meno di
chi richiede il mutuo.
Il ricorso al credito può invece anche segnalare che un soggetto
non ha redditi sufficienti per soddisfare tutti i suoi bisogni e si
trova in una situazione di precarietà, dovuta a motivi personali
e/o a crisi economiche oppure al fatto che il suo tenore di
vita è al di sopra delle sue possibilità economiche. Nella vita
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SITI E INFO PER APPROFONDIRE www.ilsole24ore.comwww.bancaditalia.itwww.abi.it
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
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Indicatori abi SofferenzeOperatore famiglieCredito deriva da credere, aver fiducia, affidabilitàIntermediariAffidamento
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5• prestiti contro la cessione del quinto dello stipendio o della pensione
a garanzia del rimborso delle rate dovute all’intermediario cessionario
del prestito. È una forma di finanziamento erogata da banche e società
finanziarie collegata all’ammontare del salario/stipendio o pensione
percepito dai lavoratori dipendenti e dai pensionati. Il dipendente/
pensionato estingue il finanziamento attraverso la cessione volontaria
all’intermediario di una quota del proprio stipendio/pensione che non
può superare la misura massima di un quinto (20%). L’importo della rata
mensile è trasferita direttamente dal datore di lavoro al finanziatore. È
necessario stipulare anche una polizza assicurativa per il rischio vita e/o
impiego, che tuteli il finanziatore in caso di morte o perdita del lavoro. È
importante che, prima di chiedere la cessione del quinto il dipendente/
pensionato sia consapevole del costo complessivo del finanziamento e
verifichi il TAEG (tasso annuo effettivo globale) applicato e se questo
comprenda anche il costo dell’assicurazione;
• finanziamento con carte di credito sono tessere plastificate emesse da
banche o da intermediari finanziari sulla base della sottoscrizione di un
contratto con il titolare della carta. Di solito viene fissato un limite mensile
massimo di spesa consentito, raggiunto il quale la carta non può essere
utilizzata. Il titolare della carta è tenuto a restituire all’emittente l’importo
complessivo degli acquisti effettuati in un’unica soluzione nel mese
successivo senza spese; ciò avviene normalmente attraverso l’addebito
automatico sul conto corrente. La carta di credito si usa apponendo la
propria firma sulla ricevuta di pagamento, firma che è conforme a quella
apposta sul retro della carta. La carta di credito consente di acquistare
beni e servizi sia in Italia sia all’estero come pure di prelevare contante
dai Bancomat, digitando il PIN. In quest’ultimo caso l’importo prelevato
non viene addebitato immediatamente sul conto corrente, ma il mese
successivo, come per gli importi degli acquisti, ma con l’aggiunta di un
addebito;
• finanziamento mediante l’uso delle carte di credito revolving a rimborso
rateale. Anche in questo caso si tratta di una tessera plastificata emessa
da una banca o da un intermediario finanziario ad un titolare e consiste
nell’apertura di una linea di credito che può essere usata dal debitore a
sua discrezione con l’obbligo di rimborsare i prelievi, che effettua, in rate
mensili predeterminate. Così facendo ripristina la linea di credito man
mano che restituisce le somme dovute. È una forma di finanziamento
piuttosto onerosa in quanto gli interessi, che variano notevolmente a
seconda dell’emittente, sono piuttosto elevati.
Il credito al consumo riguarda solo l’operatore Famiglie e rende possibile
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 5Il protocollo di attuazione degli interventi è stato siglato da ABI, dalla Presidenza del
Consiglio dei Ministri (Dipartimento per le politiche della famiglia e Dipartimento della
gioventù), dal Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali (Direzione generale per
l’inclusione sociale) dall’Anci (Associazione nazionale Comuni d’Italia), dalla Conferenza
delle regioni e delle province autonome, dalla CEI e dalle associazioni dei consumatori e
degli utenti, che già avevano firmato l’accordo per la sospensione dei mutui.
Il compito del Tavolo di attuazione è quello di monitorare l’andamento della sospensione
dei mutui retail, di cooperare per la migliore implementazione di tutte le iniziative presenti
sul territorio a favore delle famiglie e di comunicarle ai cittadini.
Il Piano si articola nei seguenti ambiti specifici:
• accordo per la sospensione del mutuo,
• fondo di credito per i nuovi nati,
• diamogli credito- Fondo per studenti universitari,
• accordo ABI-CEI (Conferenza episcopale italiana) - programma di microcredito,
• iniziative territoriali.
Tavolo di attuazione del Piano
Questo Piano rappresenta la risposta coordinata tra i vari soggetti coinvolti nell’intervento
a sostegno delle famiglie negli ambiti non coperti dal nostro sistema di sicurezza sociale, in
questo particolare momento di difficoltà, e costituisce un esempio virtuoso di applicazione
dei principi costituzionali di solidarietà e di sussidiarietà.
Traccia per l’attività in classeL’autore dell’articolo sviluppa le sue considerazioni attorno a due poli:
a) il primo riguarda l’indebitamento delle famiglie italiane e la correlativa richiesta di prestiti,
b) il secondo considera la loro capacità di rimborsare i debiti contratti.
Le argomentazioni si svolgono sulla base dei dati esposti in due tabelle di cui una riguarda
un arco temporale determinato; entrambe le tabelle considerano i fenomeni in ambito
regionale. L’ambito di indagine riguarda i mutui per la prima casa ed i crediti al consumo.
Compito per il docente
Si tratta di stabilire degli obiettivi e delle strategie per rendere fruibile didatticamente
l’articolo sulla base dei suoi contenuti.
Obiettivi suggeriti
•farcomprendereedfaracquisireunaterminologiaspecifica,comeperes.i concetti di
reale si possono verificare entrambe le situazioni, anche se in dimensioni
diverse. Le concessioni di credito sono operazioni molto delicate, perché
l’istituto di credito concede i prestiti, utilizzando i denari dei depositanti,
verso i quali è debitore delle somme versate nelle sue casse; deve
perciò cautelarsi contro il rischio di un eventuale inadempimento del
debitore, che determinerebbe una situazione di sofferenza per la banca
e conseguenti difficoltà a soddisfare le richieste di rimborso dei clienti
depositanti.
Quando l’indagine presso la Centrale evidenzia che non ci sono le
condizioni di solvibilità del futuro mutuatario, il prestito non viene
concesso. In questo caso il richiedente può anche essere indotto a
ricorrere a finanziamenti gestiti da circuiti esterni alla legalità, che
praticano l’usura e creano situazioni drammatiche per il debitore e per
la sua famiglia e per il contesto sociale.
CONCLUSIONI
Il Report di ABI evidenzia una situazione favorevole sia per l’incremento
dei crediti al consumo, sia in merito a quello dei mutui per l’acquisto
della casa. Tuttavia possiamo ritenere che il risultato confortante dei
dati ottenuti si riferiscano alla famiglia media posta al sicuro, almeno
entro certi limiti, dalle alternanti vicende economiche di questo periodo.
Nella realtà quotidiana il quadro non è così confortante: una ripresa
industriale stentata, la disoccupazione crescente, le imprese in difficoltà,
il ricorso alla cassa integrazione e agli altri ammortizzatori sociali
aumentano nelle persone la percezione di prospettive incerte che le
orientano a restringere i consumi.
Gli indicatori di patologia finanziaria di ABI, che valutano l’evoluzione dei
prestiti in difficoltà, fanno intravedere che gli impedimenti a rispettare
gli impegni da parte dei nuclei familiari cresceranno nel futuro.
Anche la Centrale dei rischi di Bankitalia segnala nel primo trimestre
di quest’anno nuove sofferenze per 979 milioni per 52.000 famiglie
affidate.
Per tentare di neutralizzare, anche se solo in parte, queste tendenze
preoccupanti è stato istituito nel febbraio di quest’anno un Tavolo di
attuazione degli interventi previsti dal Piano famiglie.
Questo Piano prevede una serie di iniziative specifiche di sostegno alle
famiglie in difficoltà, ed è attivato sia dall’industria bancaria italiana in
modo autonomo sia in partnership con altri soggetti istituzionali e non.
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 5B) Esaminate le risposte emerse dalla griglia di lettura, il docente le comunica alla classe
per mettere in comune tutte le considerazioni in merito anche per verificare il grado di
comprensione dell’articolo da parte degli studenti.
C) Dalla discussione possono emergere problemi ritenuti significativi e su questa base
decidere su quali lavorare. Si procede quindi alla progettazione della ricerca.
D) Il docente prepara i materiali anche sulla base delle indicazioni della scheda e, insieme
agli studenti, organizza i gruppi di lavoro le fasi ed i tempi della ricerca.
E) A lavoro compiuto, gli studenti presentano i loro lavori in forma orale, scritta e/o usando
i programmi presenti nel computer. Dall’organizzazione della comunicazione il docente
potrà verificare se ed in quale misura gli obiettivi prefigurati sono stati realizzati.
FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Perché i prestiti concessi dalle banche sono operazioni attive?
Il tasso sui prestiti è superiore a quello applicato ai depositi e la differenza tra i due tassi costituisce il profitto della banca.
Perché le banche possono usare i depositi dei clienti per effettuare prestiti?
Chi va a depositare lascia il denaro in banca per un periodo di tempo più o meno lungo. Durante questo periodo la banca può impiegare una parte dei depositi, che resterebbero inoperosi, per effettuare prestiti. La dimensione della quota prestata viene valutata dalla banca secondo criteri prudenziali e in base ai vincoli temporali dei vari tipi di deposito. Il criterio di buona amministrazione è quello di bilanciare le scadenze delle operazioni di prestito con quelle di deposito secondo un calcolo di probabilità.
Qual’è la differenza tra dilazione di pagamento e prestito?
Nella dilazione di pagamento non può essere richiesto il pagamento di interessi, che invece caratterizza il prestito, a meno che non vi sia un patto contrario scritto.
In che cosa consiste l’indicatore di accessibilità al mutuo per la casa?
L’indice di accessibilità si basa sull’idea che l’acquisto della casa sia sostenibile quando la rata del mutuo non supera il 30% del reddito.
Che cosa è il microcredito?
È una forma di finanziamento rivolta alle persone che non hanno accesso al credito o vivono in condizioni di povertà e di emarginazione sociale. È una leva, che poggia su una garanzia collettiva, per smuovere risorse verso attività economiche agricole o artigianali, che garantiscano loro la sussistenza e lo sviluppo della comunità. Ha avuto una grande diffusione nei Paesi in via di sviluppo ed ora vi sono iniziative per introdurli anche nei Paesi ad economia avanzata per sostenere i cosiddetti “nuovi poveri”. In Italia vi sono state nei secoli passati esperienze di questo tipo con i Monti di pegno e poi con le Casse di risparmio.
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5mutuo, di credito al consumo, di affidabilità etc.;
•impararealeggereletabelledeidatistatisticiericavarneindicazioniin
base alle peculiarità della loro composizione;
•scoprire leragionidellediverseconcentrazioni territorialidei fenomeni
relativi ai consumi e ai mutui nel nostro Paese;
• concepire la complessità della gestione famigliare, in cui convergono
fattori soggettivi ed altri derivanti, in varia misura, dal contesto economico
e sociale in cui la famiglia è situata;
• concepire la banca come un’impresa che produce servizi, nel nostro
caso il credito al consumo ed il mutuo prima casa, che necessitano di
una organizzazione particolare in quanto, nello scambio con le famiglie, il
decorso del tempo, la solvibilità dei clienti ed i rischi connessi assumono
un ruolo preminente.
Risultati attesi
•comunicareescrivereusandounaterminologiacorretta;
•mettere inrelazioneaggregaticomplessiquali le famiglieed ilsistema
bancario e creditizio;
• prefigurare le diverse situazioni personali che rendono le famiglie
vulnerabili all’indebitamento, quali comportamenti poco prudenti, situazioni
impreviste di necessità, crisi economiche, disoccupazione ecc.
Strategie suggerite
Si ispirano ad un lavoro cooperativo che coinvolga, pur con ruoli diversi, il
docente ( e/o i docenti) e gli studenti. Potrebbe avere le seguenti scansioni:
A) Lettura individuale dell’articolo con l’aiuto di una griglia, a titolo
puramente esemplificativo, del tipo:
1. Che cosa si intende con il termine “famiglie”.
2. Quali possono essere i motivi per cui una famiglia si indebita e fa ricorso
ai prestiti?
3. Che cosa indicano i dati contenuti nella tabella “Cinque anni di credito al
consumo”?
4. Che cosa indicano i dati della tabella “Dove sono i mutui prima casa”?
5. Provate ad incrociare i dati delle due tabelle.
6. Fino a che punto e con che strumenti le banche sono in grado di soddisfare
le richieste di prestiti senza compromettere la propria solidità economica?
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Finanziamentoalle impresedi Enrico Castrovilli6
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assorbe cassa). Anzi, in bilancio c’è liquidità e ci sarebbero pure delle linee di credito non utilizzate.
Goldman non ha voluto commentare la vicenda, ma ieri gli analisti notavano come sia proprio l’investment
bank l’anello più “debole” dell’azionariato. Per Mediaset, Endemol è strategica e complementare al business,
quindi l’investimento è industriale e di lungo periodo. Il secondo azionista Cyrte è legato da motivi personali
alla società. Goldman, invece come tutti i private equity, è entrata con una logica di breve-medio periodo e
logicamente è quella che ha più interesse a monetizzare.
Per riportare il debito Endemol a valori più fisiologici, le opzioni sul tavolo, ragionavano ieri nelle sale
operative, sono varie: i soci potrebbero considerare un aumento di capitale, in modo da rinforzare la struttura
patrimoniale; oppure potrebbero ricomprare il debito di Endemol, per lo più in mano alle stesse banche
finanziatrici (un pool composto da Abn, Rbs, Barclays, Credit Suisse e la stessa Goldman). Infine c’è sempre
l’ipotesi quotazione (ventilata da tempo, ma divenuta meno percorribile negli ultimi mesi). Al momento,
quella del soft-deleveraging appare l’ipotesi più probabile.
Appunti
6
MILANO
Scatta il campanello d’allarme per il Grande Fratello. Fa paura il debito di Endemol, la casa
di format che ha scritto la storia della tv negli ultimi quindici anni. E il mercato ha subito
temuto conseguenze per Mediaset, uno dei proprietari della società.
Schiacciata da circa 3 miliardi di dollari di indebitamento, la società, secondo indiscrezioni
riferite dal sito internet americano «Daily Beast», avrebbe sforato i covenants (i parametri
tra debito e liquidità, messi come paletti di sicurezza dalle banche). Tanto che Goldman
Sachs, la più grande banca d’affari al mondo (e azionista indiretta di Endemol tramite il
suo braccio di private equity) e il socio (nonché fondatore) John De Mol (col fondo Cyrte)
starebbero correndo ai ripari con una gigantesca ristrutturazione finanziaria.
Endemol ha replicato che non ci sono problemi finanziari. Ma sul mercato la rassicurazione
non è stata del tutto convincente, visto che Mediaset, il colosso tv della famiglia di Silvio
Berlusconi, ha ceduto l’1,6% in Borsa (dopo aver toccato una perdita di oltre il 2% a metà
giornata). La sola indiscrezione ha fatto scatenare timori sulla tenuta della società stessa
e di riflesso sui suoi azionisti (soprattutto quelli quotati). «Difficile immaginare un default
di Endemol – notava però ieri l’analista di una primaria banca d’affari - ma di sicuro i
soci devono intervenire». Il debito è sostanzialmente l’eredità dell’acquisizione a leva da
4 miliardi (di cui solo uno di equity) fatta nel 2007 dalla cordata Telecinco (controllata
di Mediaset)-Goldman-Cyrte. Ma allora, all’apice del boom dell’M&A, erano tollerati
covenant molto più laschi e una super-leva non spaventava. Oggi, secondo le stime dei
medesimi analisti ma non confermate dalla società, Endemol avrebbe debiti per circa 10
volte il margine operativo lordo: i 3 miliardi di dollari (2,3 miliardi di euro) di esposizione
si confrontano con un Mol di 240 milioni di euro. Lo squilibrio finanziario, nell’attuale
contesto economico e finanziario, è palesemente eccessivo, soprattutto dopo la campagna
acquisti degli ultimi anni di Endemol, costata 300 milioni di dollari. Sul mercato ci sono
oltre 300 milioni di euro di titoli di debito, tra cui anche Cds, sostanzialmente in mano a
un gruppo di hedge fund (circolano i nomi di Centerbridge, Sankaty e Golden Tree). Dal
quartier generale non hanno voluto dare informazioni specifiche limitandosi a dire che
«date le risorse attualmente disponibili in azienda e da parte degli azionisti, siamo convinti
che continueremo a rispettare i covenant e ad assolvere integralmente i nostri obblighi
nei confronti dei nostri creditori nel futuro». Proprio pochi giorni fa Endemol ha chiuso
un’acquisizione e secondo gli analisti è il segnale che la situazione del gruppo non è così
vicina al dissesto come il mercato teme: se fosse in condizioni critiche, nessun manager
sprecherebbe liquidità per fare shopping. D’altronde, dato il tipo di business (privo di
magazzino) Endemol ha la fortuna di non avere il fardello del capitale circolante (che
21 Agosto 2010
ALLARME DEBITI PER ENDEMOLINTERVENGONO GLI AZIONISTITV. La società rassicura: abbiamo consistente liquidità e siamo pronti per acquisizioni
Goldman e John De Mol in campo – Giù i titoli Mediaset
di Simone Filippetti
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 6finanziario, può essere proprio e di terzi. I primi capitali sono forniti dal titolare o dai
soci, conferendo nell’impresa denaro, beni in natura (come un terreno o un capannone
industriale) o servizi (il proprio lavoro professionale). Chi effettua questi conferimenti è
proprietario dell’azienda.
Il capitale di terzi proviene da soggetti esterni all’impresa, quali banche, società finanziarie
o privati, che prestano mezzi finanziari a un’azienda di cui non sono proprietari: in questo
secondo caso i finanziatori diventano creditori di un’impresa, che è a sua volta debitrice
nei loro confronti.
Queste due fonti di finanziamento coesistono sempre nella vita dell’azienda, aiutandola
nel suo sviluppo, ma deve esistere un equilibrio tra i capitali propri e quelli di terzi. È
sbagliato non avere prestiti da parte di banche e di enti finanziari perché i prestiti possono
aumentare le capacità di intrapresa, ma è altrettanto sbagliato che i capitali di terzi siano
eccessivi rispetto al capitale proprio, perché i prestiti vanno remunerati con gli interessi e
devono essere restituiti alla scadenza.
Cosa accade a Endemol? Nell’articolo, rimbalzato nella stampa mondiale dal sito americano
“The daily beast”, si afferma che la società “è schiacciata da oltre 3 miliardi di dollari di
indebitamento”. L’ingente cifra non preoccupa gli analisti tanto per il valore assoluto del
debito, quanto perché esso non è compensato da una sufficiente liquidità (disponibilità
immediata di mezzi di pagamento). Questi debiti renderebbero così eccessivi i rapporti
o parametri (in termine inglese covenant) tra i debiti contratti e le somme liquide a
disposizione di Endemol. I covenant sono clausole accessorie di un prestito, con cui il
debitore si impegna a non porre in atto determinati comportamenti che potrebbero
accrescere eccessivamente il rischio di una crisi aziendale o comunque risultare dannosi
per i creditori. Nel caso in cui i parametri pattuiti non fossero rispettati, il prestito dovrà
essere rinegoziato, ad esempio diventando più costoso per il debitore.
2. I MERCATI FINANZIARI REAGISCONO ALLA NOTIZIA
“Goldman Sachs… starebbe correndo ai ripari con una gigantesca ristrutturazione finanziaria… Endemol ha replicato che non ci sono problemi finanziari… Mediaset… ha ceduto l’1,6% in Borsa… ”Difficile immaginare un default di Endemol… ma di sicuro i soci dovranno intervenire… “
I rumor finanziari si sono subito succeduti appena la notizia è stata pubblicata sul sito
americano.
Goldman Sachs, uno dei principali azionisti di Endemol, si dice che starebbe riorganizzando
i debiti della società.
Endemol smentisce le difficoltà con un comunicato, garantisce che i covenant saranno
rispettati e fa presente che la società ha liquidità adeguata, tanto da aver compiuto di
recente diverse acquisizioni di società produttrici di programmi televisivi, acquisti che
attestano un buono stato di salute dell’impresa.
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6La storia
Endemol è una società olandese nata dalla fusione di due società di
produzione televisiva di proprietà rispettivamente di John de Mol e Joop
van den Ende. Il nome deriva da una combinazione dei loro cognomi. Nel
2000, in piena bolla da new economy, la società venne acquisita dalla
compagnia telefonica spagnola Telefónica per 5,5 miliardi di euro. Nel 2007
la proprietà è passata a Mediaset, Goldman Sachs e al fondo Cyrte (di De
Mol). Tra i programmi televisivi prodotti in Italia, il Grande Fratello (Canale
5), il primo reality show trasmesso nel Paese e i «pacchi» di Affari Tuoi (Rai
Uno).
IL RUOLO DEL FINANZIAMENTO NELLA VITA DELLE IMPRESE
L’articolo del “Sole 24 Ore” racconta le recenti vicende finanziarie della
società Endemol, nota al grande pubblico per essere produttrice di format
televisivi di grande successo, quali Grande Fratello, Stranamore, La fattoria,
La pupa e il secchione, Affari tuoi e Chi vuol essere milionario. Endemol,
come tutte le società, ha bisogno di adeguati capitali per assicurare il
successo dell’avventura d’impresa.
Ma Endemol soffre perché oggi ha troppi debiti. In cosa consiste un eccesso
di debiti? Si tratta di una malattia grave? Come potrebbe uscirne la società?
Prendendo spunto dalle notizie dell’articolo, la scheda dedicata al
finanziamento delle imprese:
• offre una chiave di lettura dell’articolo
• propone alcune attività didattiche in classe
• mette a disposizione materiali di approfondimento
• indica FAQ e Link
Chiave di lettura dell’articolo
1. IL PROBLEMA DEI DEBITI SOCIETARI
“Fa paura il debito di Endemol… Schiacciata da circa 3 miliardi di dollari
di indebitamento, la società… avrebbe sforato i covenants (i parametri tra debito e liquidità…)”
Il capitale necessario per la gestione di un’impresa, detto fabbisogno
La schedadi Enrico Castrovilli
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 6Come si è formato il notevole debito di Endemol? L’articolo
ci dice che è nato nel 2007 quando la cordata formata da
Telecinco-Mediaset, Goldman Sachs, Fondo Cyrte-de Mol
ricorse al meccanismo della leva finanziaria per comprare
Endemol.
Come funziona una leva? Archimede lo scoprì quando vide
che forze motori, appoggiandosi a un fulcro, potevano vin-
cere forze resistenti di gran lunga superiori; allora esclamò:
“Datemi una leva e un buon punto d’appoggio e vi solleverò
il mondo”.
Oggi gli esperti di finanza hanno evidenziato un’analogia con
quel principio della fisica negli impieghi dei capitali: è possi-
bile che certi investimenti producano rendimenti amplifica-
ti rispetto a quelli che ne sarebbero normalmente derivati.
Quando ciò è possibile?
Se l’azienda riesce ad ottenere dei capitali a prestito il cui
costo (gli interessi da pagare e la restituzione del prestito alla
scadenza) è inferiore al rendimento che con essi si può otte-
nere, il capitale proprio usufruisce di un rendimento aggiun-
tivo al proprio. Insomma con i capitali presi a prestito si rie-
sce ad aumentare il rendimento dei propri. Attenzione però!
I prestiti prima o poi vanno restituiti ed il loro costo deve es-
sere inferiore al rendimento dell’investimento, altrimenti sono
guai. L’articolo ci segnala che nel 2007 ci vollero 4 miliardi di
dollari per acquistare Endemol, di cui solo 1 furono capitali
propri (equity) degli azionisti, gli altri 3 furono presi a prestito
per sfruttare l’effetto leva.
Questi debiti pesano ancora oggi sul bilancio di Endemol in
misura eccessiva, essi sono circa 10 volte tanto rispetto al
MOL, il margine operativo lordo che esprime l’utile (o profitto)
della gestione operativa tipica dell’azienda.
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GUARDA IL VIDEO DI QUESTO TEMA
SITI E INFO PER APPROFONDIRE I servizi bancari di Intesa Sanpa-olo: “http://www.intesasanpaolo.com/scriptIbve/retail20/Retai-lIntesaSanpaolo/ita/home/ita_home.jsp
La Fondazione bancaria Compa-gnia di San Paolo illustra le inizia-tive finanziarie della Fondazione:h t t p : //w w w. c o m p a g n i a -d i s a n p a o l o . i t /co n te n u to .php?ID=1159&sezioneID=178
La Fondazione bancaria Cari-plo presenta le attività e le op-portunità di finanziamento della Fondazione: http://www.fonda-zionecariplo.it/portal/page149a.do?link=oln86.redirect
La società Endemol presenta i format e le attività della società:http://www.endemol.it/careers.php
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
QR-CODE
Azienda, impresa e societàAzione ed obbligazione Business plan o piano d’impresaFabbisogno finanziarioLeva finanziaria FinanziamentoMOL Utile o profitto
Effetto leva dal sito:www.mondoforex.com
6Le azioni di Mediaset, società che dal 2007 è uno dei tre proprietari del
produttore di reality, arretrano immediatamente alla Borsa di Milano. Gli
azionisti di Mediaset, temendo contraccolpi negativi sulla loro società dalle
cattive notizie di Endemol, vendono azioni ed il valore di mercato dei titoli
Mediaset diminuisce dell’1,6%.
Vediamo in che modo nel mercato azionario scende il prezzo delle azioni.
Domanda, offerta ed equilibrio di mercato
Nei grafici cartesiani rappresentativi dei mercati, il prezzo è posto sull’ordi-
nata e la quantità sull’ascissa. In un mercato concorrenziale l’incontro tra la
curva che rappresenta la domanda e la curva che rappresenta l’offerta è il
punto di equilibrio 1 che determina: a. il prezzo (sull’ordinata) e b. la quan-
tità scambiata (sull’ascissa). Supponiamo che il prezzo iniziale delle azioni
Mediaset sia P1. A parità di domanda, se l’offerta aumenta di una quantità
= offerta, come è accaduto quando azionisti sono corsi a vendere azioni
Mediaset, la linea dell’offerta di azioni Mediaset si sposta dalla linea Offerta 1
alla linea Offerta 2 e si determina un nuovo punto di equilibrio 2. E il prezzo
di equilibrio scende dal punto P1 a P2.
Gli esperti finanziari non pensano che Endemol sia vicina al tracollo, ma la
sua struttura finanziaria dovrà essere riorganizzata da parte dei soci.
3. QUAL É LA CAUSA DEL DEBITO DI ENDEMOL?
“Il debito è sostanzialmente l’eredità dell’acquisizione a leva da 4 miliardi (di cui solo uno di equity) fatta nel 2007… allora … una super-leva non spaventava. Oggi … Endemol avrebbe debiti per circa 10 volte il margine operativo lordo ...”
1 2 3 4 quantità
0,5
0
1
1,5
2
2,5
3
3,5
4
4,5
5
Domanda
Offerta 1
Offerta 2
Offerta 2
Domanda
Offerta 1
P Prezzo di mercato
P1
P2
1
2 nQuantità scambiata
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 6
Traccia per l’attività in classe Si propongono alcuni argomenti per approfondire in classe il tema del finanziamento delle
imprese.
Dal business plan al fabbisogno finanziario
Le imprese nascono quando sorgono nuove idee su come soddisfare i bisogni dell’uomo.
Il grande economista austriaco Joseph Alois Schumpeter sottolineò il ruolo dinamico delle
innovazioni ideate da imprenditori, consistenti in nuovi beni o in nuove qualità di beni già
esistenti. Quando una persona o un gruppo di persone genera un’idea stimolante per il
sorgere di un’impresa, si stende un documento detto business plan, articolato in punti:
idea del bene/servizio, individuazione del mercato e della concorrenza, delineazione del
processo produttivo, strategie di marketing, prezzo di vendita.
Gli studenti possono raccogliere le loro idee, comunicarle e discuterle nei seguenti modi:
• esponi le tue idee imprenditoriali __________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
• individua le caratteristiche del prodotto ed i mercati di riferimento ________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
Perché l’idea diventi attività d’impresa, il business plan deve definire il fabbisogno finanziario
"schema A: vedi tag la leva finanziaria"
IMPRENDITORE INDIVIDUALE
E SOCIETÀ:Forme di esercizio
dell’impresa
AZIENDA: Beni organizzati
dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa
IMPRESA :Attività di produzione
di beni e servizi
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6I compratori di Endemol hanno ecceduto nello sfruttare l’effetto leva ed i
prestiti sono ancora lì da restituire.
4. COME RISTRUTTURARE IL DEBITO DI ENDEMOL?
“Per riportare il debito Endemol a valori più fisiologici … i soci potrebbero considerare un aumento di capitale … oppure potrebbero ricomprare il debito di Endemol … Infine c’è sempre l’ipotesi quotazione … Al momento, quella del soft-deleveraging appare l’ipotesi più probabile ”
Gli azionisti sono i proprietari della società per azioni avendo ad essa
conferito i propri capitali. Agli azionisti spettano gli auspicabili utili, ma anche
le eventuali perdite. Tocca agli azionisti decidere quali strategia finanziaria
mettere in campo per Endemol, società in sofferenza per l’eccesso di debiti.
Il calo degli spettatori del Grande Fratello dimostra una certa stanchezza
verso i reality, la società deve essere finanziariamente sana per tenere il
passo nel mondo delle produzioni televisive multimediali dove le innovazioni
sono incalzanti.
Esaminiamo le alternative che hanno di fronte agli azionisti di Endemol.
• La prima possibilità è che i soci conferiscano i capitali di cui ha bisogno
la società. Supponendo che il capitale sociale di Endemol sia 100 e che
sia necessario aumentarlo a 150, toccherà ai soci versare 50 di nuovi
capitali.
• La seconda ipotesi è che i soci restituiscano direttamente i prestiti ai
creditori, ricomprando con i propri capitali dei titoli rappresentativi del
debito Endemol.
• L’ultima ipotesi è quella di quotare alla Borsa valori le azioni Endemol,
società che a differenza di Mediaset non è quotata in Borsa. La
quotazione in Borsa consente di ricorrere ai risparmiatori e non solo ai
soci se servono aumenti di capitale. Ma le società quotate sono ogni
giorno sotto i riflettori dei mercati, le cui variazioni nei prezzi esprimono
un giudizio positivo o negativo sulle prospettive delle imprese. Forse non
è il momento buono per quotare Endemol in Borsa.
In ogni caso il miglioramento della situazione finanziaria di Endemol
dipende dalla modifica del rapporto tra l’eccesso di debiti e l’insufficiente
capitale proprio. Riducendo i debiti e/o aumentando il capitale proprio si
potrà ridurre con un soft-deleveraging il forte effetto leva, utile nel 2007 per
comprare la società, ma ora eccessivo e pericoloso per la società. Questa
strategia dovrà essere assicurata con un intervento finanziario da parte dei soci.
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 6______________________________________________________________________
• a quali capitali pensi di ricorrere per finanziarla? _______________________________
______________________________________________________________________
• individua vantaggi e svantaggi di chi conferisce oppure presta capitali a un’impresa __
______________________________________________________________________
• hai in mente qualche impresa di cui vorresti diventare socio o a cui prestare i tuoi soldi?
______________________________________________________________________
La situazione patrimoniale e finanziaria
I capitali propri e di terzi costituiscono le fonti del patrimonio dell’impresa. Le fonti sono
voci passive per l’azienda, perché sono beni che altri soggetti, soci o creditori, hanno
deciso di mettere a disposizione dell’azienda.
Le fonti vengono usate per realizzare gli impieghi, quali la costruzione di impianti, l’acquisto
dei macchinari, la predisposizione degli uffici, il pagamento dei diritti d’autore e i brevetti;
inoltre una parte è bene che resti liquida in banca o nella cassa dell’azienda. Gli impieghi
sono voci attive per l’impresa, in quanto base dell’attività dell’azienda. L’insieme delle
attività e passività costituisce il patrimonio aziendale.
La relazione fondamentale tra le fonti e gli impieghi è la seguente:
Situazione patrimoniale
Le fonti e gli impieghi sono fondi o stock. L’imprenditore e i suoi collaboratori realizzano
con i fondi a disposizione le operazioni di produzione di beni e servizi. Queste operazioni
generano flussi monetari in entrata positivi (ricavi per la vendita di prodotti dell’azienda) e
di flussi monetari in uscita negativi (costi per il pagamento di dipendenti, energia, acquisti
di materiali e semilavorati, servizi vari, interessi bancari e così via). L’arte dell’imprenditore
consiste nel produrre flussi di ricavi superiori ai flussi dei costi di produzione, realizzando
Attivo Passivo
Impianti, Macchinari, Automezzi, Brevetti,
Denaro in cassa, Depositi bancari 1000
IMPIEGHI
Capitale proprio 600
Capitale di terzi, Debiti verso le banche,
Debiti verso i fornitori 400
FONTI
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6e come esso è soddisfatto dai capitali propri e di terzi. Capitale proprio sono
i conferimenti all’impresa (in denaro, natura, servizi) da parte di soci, mentre
i capitali di terzi consistono in prestiti da parte di banche, di risparmiatori
(quando sottoscrivono ad esempio un prestito obbligazionario), dilazioni di
pagamento da parte dei fornitori, che finanziano un’impresa per il periodo
in cui le concedono dilazioni di qualche mese nel pagamento delle loro
forniture.
Le differenze tra capitali propri e capitali di terzi
Vediamo le differenze fondamentali tra i due tipi di finanziamenti:
• In relazione alla remunerazione del capitale: i capitali propri hanno
diritto a una remunerazione in base a quanto utile (o profitto) l’impresa
ha generato. L’utile (o profitto) è il maggior valore dei ricavi rispetto ai
costi di produzione, ma se non vi è profitto o peggio se vi è una perdita
i soci non avranno nulla. I terzi che hanno prestato capitali incassano
gli interessi pattuiti anche se l’impresa non ha profitti, oltre a vedersi
restituire i prestiti alla scadenza. Gli interessi costituiscono un costo per
l’impresa.
• In relazione al rischio: il capitale proprio è assai esposto al rischio d’impresa,
nel caso radicale del fallimento tutto il capitale conferito verrà perso
per pagare i creditori. Non solo, se fallisce un’impresa individuale o una
società di persone, il titolare dell’impresa individuale o i soci rischiano di
perdere anche tutto il patrimonio personale! Il capitale di terzi rischia, ma
in modo secondario rispetto al capitale proprio: deve essere rimborsato
anche se la società è in difficoltà, è però possibile che i creditori ricevano
poco o nulla del prestito effettuato se la società fallisce.
• In relazione alla scadenza dell’impiego dei capitali: il capitale proprio resta
impegnato nella società fino a quando essa cesserà con la liquidazione
la sua attività. Se la società è quotata in Borsa i capitali conferiti sono
facilmente riottenuti vendendo le azioni. In questo caso sorge un
problema: se il prezzo di vendita dell’azione è superiore al valore iniziale
del conferimento o al prezzo di acquisto si avrà un guadagno di capitale,
ma se il prezzo di vendita è inferiore al prezzo di acquisto vi sarà una
perdita.
I creditori rientrano in possesso dei loro capitali alla scadenza del prestito.
Gli studenti possono raccogliere idee, comunicarle e discuterle sui seguenti
punti:
• quanto pensi sia il fabbisogno finanziario della tua idea imprenditoriale?
__________________________________________________________
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 6• Rispondere a questa domanda: perché un finanziamento della durata di un anno non è
opportuno che finanzi un investimento che darà risultati economici nel corso di 5 anni?__
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
5. I MECCANISMI DI FINANZIAMENTO DELLE IMPRESE
Abbiamo già visto che i finanziamenti per avviare un’impresa possono consistere in capitali
propri (dei soci) e di terzi (creditori).
Vediamo ora di approfondire in che modo le imprese raccolgono i capitali per dare ulteriore
sviluppo alla gestione aziendale. Si possono utilizzare due possibilità:
1. fonti interne di finanziamento, attraverso l’autofinanziamento: consiste nella rinuncia
da parte dell’imprenditore e dei soci all’incasso degli utili che l’azienda ha prodotto,
che vengono invece riutilizzati per ampliare le attività produttive. Ma attenzione
l’autofinanziamento non è gratuito: costa ai soci la perdita dei redditi che potevano
ottenere impiegando gli utili in altre attività redditizie! Questo costo è chiamato costo
opportunità;
2. fonti esterne di finanziamento. Essi possono consistere in aumenti di capitale sottoscritti
dai soci oppure in nuovi prestiti. Queste fonti esterne possono consistere in:
• finanziamenti mobiliari, che prevedono l’emissione di titoli facilmente negoziabili
(vendibili ed acquistabili) nella Borsa valori, come azioni (rappresentative del capitale
proprio) od obbligazioni (rappresentative di prestiti);
• finanziamenti non negoziabili, erogati da intermediari finanziari, il principe dei quali è il
sistema bancario. Le banche raccogliendo depositi dei risparmiatori sono in grado di
concedere finanziamenti alle imprese, a patto che queste siano solvibili e solide.
Quale tra queste diverse fonti finanziarie è opportuno che sia utilizzata dall’impresa?
Si possono mettere a confronto le tre forme più importanti di finanziamenti, che
sono il conferimento dei soci con la sottoscrizione di azioni, l’emissione di un prestito
obbligazionario ed i finanziamenti bancari.
Dal punto di vista dei costi sopportati da un’impresa per ottenere i finanziamenti, i prestiti
bancari sono costosi anche perché spesso accompagnati da garanzie per il rimborso del
prestito. Minore è il costo dalle obbligazioni. Un’emissione azionaria è solo apparentemente
meno costosa, perché gli azionisti, essendo più esposti al rischio d’impresa degli
obbligazionisti e degli altri creditori, devono essere remunerati con un maggiore premio
per il loro maggiore rischio. Ed infatti l’impresa deve garantire loro dividendi e crescita del
valore delle azioni, altrimenti essi non rischierebbero i loro capitali nell’impresa.
Anche nel caso in cui ai soci non vengano distribuiti utili, in quanto essi sono stati reinvestiti
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6così un utile (o profitto). L’utile potrà essere distribuito ai soci e/o usato per
aumentare con nuovi impieghi la capacità produttiva dell’impresa.
Ogni anno l’impresa redige il suo bilancio, composto dal conto economico
(rileva tutti i flussi di ricavi e di costi) e dallo stato patrimoniale (registra il
valore dei fondi alla fine dell’anno).
Gli studenti possono raccogliere idee, comunicarle e discuterle sui seguenti
punti:
• qual è la relazione tra la situazione attiva e passiva del patrimonio? ____
__________________________________________________________
__________________________________________________________
• perché i finanziamenti fanno parte del passivo? ___________________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
• che differenza c’è tra una voce di stock e una voce di flusso? ________
__________________________________________________________
__________________________________________________________
I problemi finanziari vanno sorvegliati accuratamente in ogni momento della
vita dell’azienda. I due criteri che vanno rispettati sono i seguenti:
a) L’impresa deve essere solvibile, cioè essere in grado di far fronte
puntualmente a tutti i pagamenti attesi nel breve termine, disponendo di
liquidità (come denaro in cassa, conti correnti bancari attivi, merci che sono
sul punto di essere vendute) in grado di coprire tutti i pagamenti a breve
scadenza (come le fattura da pagare ai fornitori, i mutui da rimborsare tra
breve tempo alla propria banca, la liquidazione dei lavoratori che vanno in
pensione in quell’anno).
b) L’impresa deve essere solida, capace cioè di mantenere nel lungo periodo
un equilibrio tra i finanziamenti e gli investimenti. E’ bene infatti che l’impresa
abbia una quantità di finanziamenti a tempo indeterminato (quali il capitale
proprio e i debiti a lungo termine) superiore agli investimenti non liquidi, vale
a dire investimenti (come fabbricati e impianti) che daranno un rendimento
soltanto nel lungo periodo. Se invece prevalessero i finanziamenti da
restituire nel giro di pochi mesi, l’impresa che li avesse utilizzati per effettuare
investimenti pluriennali non riuscirebbe a restituirli, dato che i frutti degli
investimenti giungerebbero soltanto tra anni.
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FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Perché è importante il finanziamento delle imprese?
Perché nessuna impresa potrebbe agire senza capitali adeguati alle proprie necessità produttive. Il fabbisogno finanziario va quindi calcolato con la maggior precisione possibile, occorre dosare bene il concorso di capitali propri e di capitali di prestito, tenendo sotto controllo la possibilità di pagare gli interessi e restituire i prestiti al momento della loro scadenza.
La società Endemol riuscirà a risollevarsi dalle sue difficoltà?
I compratori di Endemol avendo ecceduto nei prestiti per l’acquisto della società hanno in bilancio un forte indebitamento. Endemol non pare sull’orlo del fallimento, ma deve affrontare una fase finanziaria non facile. il superamento di queste difficoltà dipenderà molto dal successo delle prossime produzioni televisive, ma altrettanto da un miglioramento del rapporto tra i debiti (che dovranno diminuire) e il capitale proprio (che dovrà essere rafforzato).
É meglio fare a meno dei prestiti per gestire un’impresa?
Ogni impresa ha un suo equilibrio finanziario, ma è sbagliato rinunciare in via di principio ai capitali prestati da terzi finanziatori, banche e risparmiatori. Se il rendimento degli investimenti che con questi capitali si riescono a sviluppare è superiore al costo dei prestiti, il rendimento complessivo investito dai proprietari dell’impresa può crescere, con benefici per i soci e per chi ha prestato i capitali. Questo risultato, detto effetto leva, va però tenuto sotto controllo con grande attenzione.
É meglio prestare capitali alle imprese oppure conferirli e diventare soci?
Dal punto di vista dell’imprenditore è bene disporre sia di capitali propri che di capitali di prestito. Dal punto di vista del risparmiatore occorre che egli individui quale può essere il migliore impiego delle risorse di cui dispone. Non c’è quindi una risposta precisa, ma può essere opportuno seguire le proprie propensioni e diversificare gli impieghi delle risorse.
É facile avere i capitali per avviare un’impresa?
Una buona idea imprenditoriale e un buon business plan sono indispensabili. Anche una squadra affiatata di collaboratori e soci è molto importante. Le leggi regionali e il mondo della finanza rendono disponibili i capitali di prestito o finanziamenti agevolati. Va dato per scontato che all’inizio qualunque impresa soffrirà, ma se capacità e intraprendenza sono solide, l’equilibrio finanziario potrà essere raggiunto e l’impresa avere successo.
Finanziamento a titolo di
Capitale proprio
Finanziamento a titolo di
Capitale di terzi
Finanziamenti
Mobiliari
Finanziamenti
Non negoziabili
Fin
an
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rese
6nell’impresa, l’azionista sopporterà questa rinuncia solo se sarà compensato
in futuro da un maggiore rendimento.
Gli azionisti in quanto soci sono proprietari della società in base alle loro
quota ed hanno il massimo potere di decidere le sorti dell’impresa. Tra i
terzi, esterni alla società, gli obbligazionisti sono semplici creditori e il loro
potere sull’impresa è limitato, devono però essere consultati se si volessero
cambiare le condizioni del loro prestito, come i tassi di interesse o le scadenze
del prestito. Le banche hanno una notevole influenza sulla vita dell’impresa,
le imprese devono mantenere un rapporto stabile di fiducia con le banche
loro finanziatrici.
Dal punto di vista dell’equilibrio della struttura finanziaria le obbligazioni
sono la forma più rigida, prevedendo tempi di rimborso e costi per gli
interessi prefissati, mentre i prestiti bancari possono essere rinegoziati nelle
loro modalità di rimborso. Gli azionisti hanno maggiore libertà di decidere
quanto distribuire dell’utile d’impresa. Naturalmente a patto che esso esista!
É sempre indispensabile che l’impresa conservi la fiducia dei consumatori e
accresca la credibilità nei confronti dei risparmiatori. Altrimenti i risparmiatori
e le banche non affiderebbero i propri capitali all’avventura di un’impresa!
• Perché l’autofinanziamento è apparentemente gratuito, bensì costoso? __
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• Completa ora lo schema seguente, inserendo in ciascuna casella i termini
corretti:
a. Capitale proprio di una società per azioni, rappresentato da titoli azionari
b. Prestito bancario
c. Prestito obbligazionario, rappresentato da obbligazioni
d. Capitale proprio di una impresa individuale, non rappresentato da titoli
azionari
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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Risparmio einvestimentidi Federico Cartei7
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
petrolifera ha reso a dieci anni un +78% e un +186% cedole comprese. Hanno tenuto bene anche utility come
Snam, Rete Gas e Terna.
Che significa tutto ciò? Tre cose. La prima è che il decennio passato dimostra che la vecchia regola per la
quale la Borsa è il luogo ideale per veder crescere il proprio capitale nel lungo periodo non è più vera. Sarà
stato un decennio particolare, ma nulla fa supporre che i prossimi dieci anni saranno meno tempestosi per i
listini. La seconda è che le cedole aiutano, ma non risolvono. Comprare un titolo per il dividendo non mette
al riparo dagli scivoloni protratti sui prezzi che vanificano (come nel caso di Telecom Italia) ogni speranza di
guadagno. La terza è che fare il cassettista non ha un gran senso. Meglio entrare e uscire da un’azione appena
il guadagno reale lo giustifica. Ma non bisogna essere ingordi. Spiega un banchiere di lungo corso: «Quando
rende un titolo di Stato decennale in media storica? Diciamo il 4-5 per cento. Ebbene da un’azione ci si
aspetta per compensare il rischio un rendimento doppio. Quando si ottiene un 10% all’anno dall’investimento
in Borsa occorrerebbe accontentarsi e vendere soddisfatti». Un consiglio di buon senso. Ma ancora poco
praticato da chi cerca rendimenti mirabolanti e si ritrova spesso con un pugno di mosche in mano.
Appunti
7
C’era una volta (e c’è in parte tuttora) il cassettista. Un signore che comprava azioni,
possibilmente di quelle blasonate e di antico lignaggio, le metteva sotto il materasso e non
ci pensava più. Ogni anno si portava a casa una cedola più o meno ricca e questo bastava
a fargli dormire sonni tranquilli. Un’immagine, o meglio uno stereotipo, ormai andato in
pezzi. Frantumato dagli eventi. Colpa della Borsa e delle sue giravolte brusche e repentine
che nell’ultimo decennio sono state il tratto distintivo dei mercati azionari.
Comprare azioni e tenerle nel cassetto ha infatti senso se il movimento dei listini è lineare e
tende nel tempo verso l’alto. Gli ultimi due lustri hanno visto in scena un copione opposto.
Oggi Piazza Affari, nonostante il rimbalzo violento avviato dal marzo 2009, è tornata a
valere i livelli del lontano ‘98. Un decennio andato letteralmente in fumo, di fatto azzerato
come se non fosse mai esistito per i grandi e piccoli investitori. E la piccola piazza milanese
è in buona compagnia. Pressoché in tutto il mondo avanzato l’investimento nelle Borse si
è rivelato un boomerang. Dalla fine del ‘99 la Borsa di New York ha perso in media lo 0,5%
annuo. E il calcolo tiene conto dei dividendi incassati pari a una media dell’1,8% annuo. In
Europa le cose sono andate ancora peggio con l’indice Stoxx che nei due lustri ha perso il
34%, pari a un -4% annualizzato.
Fanalino di coda la nostra piazza borsistica con il Comit che ha chiuso il decennio con un
-46%. Solo grazie ai dividendi incassati negli anni dagli azionisti, la perdita si riduce al 26 per
cento. In mezzo a questa Caporetto delle azioni è successo di tutto: prima la rapida ascesa
della bolla hi-tech, la successiva caduta durata fino al 2003. Poi il quadriennio magico (e i
grandi guadagni) fino al 2007. Infine e questa è storia recente, la crisi del credito a livello
mondiale che ha rischiato di vedere l’implosione dell’intero sistema finanziario mondiale e
la successiva riscossa. È quindi davvero questione di tempo e di azzeccare i cicli violenti al
rialzo e ribasso di listini e azioni. Si pensi alle alterne fortune degli investitori.
Chi avesse comprato UniCredit solo 12 mesi fa, quando le quotazioni erano al lumicino,
avrebbe conseguito un risultato positivo dell’85 per cento. Lo stesso acquisto effettuato 6
mesi fa, vedrebbe il nostro investitore sotto del 9%. Senza dimenticare che siamo ancora
oggi distanti del 63% dai valori del titolo di tre anni fa. E che dire di Generali, classico
titolo da cassettista? Il Leone di Trieste è sopra del 40% a un anno, ma un investimento di
lungo periodo conta solo perdite: si va da un -35% a dieci anni che, mitigato dalle cedole,
diventa un -24%. A tre anni il conto è ancora assai salato con un terzo del capitale eroso
dalle perdite.
Occorre spingersi al traguardo dei vent’anni per riconquistare, tra le blue chip più note,
valori soddisfacenti per un investimento in azioni. Intesa a 20 anni traccia un +355%
e UniCredit un +258 per cento. Ma vent’anni sono un tempo infinito. Tra le regine di
Piazza Affari spicca di fatto un unico grande vincitore sulla distanza: l’Eni. La compagnia
28 Marzo 2010
NON È UNA BORSA PER CASSETTISTIdi Fabio Pavesi
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 7alla copertura del proprio fabbisogno: il debito pubblico viene periodicamente rifinanziato
tramite nuove emissioni di titoli con diverse scadenze in modo da far fronte sia alle necessità
di cassa a breve che al rinnovo del debito dello Stato nel medio-lungo periodo.
I Buoni ordinari del Tesoro (BoT) sono titoli a breve termine (scadenza a tre/sei/dodici
mesi) emessi dal Tesoro per provvedere alla copertura a breve del fabbisogno statale, sono
zero coupon, possono essere sottoscritti per l’importo minimo di 1.000 euro o multipli di
tale cifra e vengono emessi sotto la pari cosicché il rendimento per l’investitore è dato
dalla differenza tra il prezzo pagato al momento dell’acquisto e il valore nominale restituito
dall’emittente a scadenza, pari a 100.
Non prevedono cioè il pagamento di una cedola durante la loro vita ma, dalla differenza
tra prezzo di acquisto e quello di vendita, detratta la ritenuta fiscale, si ottiene un margine
che rappresenta il rendimento ottenuto dall’investimento in Bot.
I Bot sono strumenti adatti ad un investitore che preferisce parcheggiare la propria liquidità
per breve tempo con rendimento e rischio limitato perché pensa di non aver bisogno di
tale denaro a breve oppure aspetta di capire la direzione del mercato prima di operare
investimenti a lunga durata e con rapporto rischio/rendimento più alto.
Molto simili ai BoT sono i Certificati del Tesoro zero coupon (CTz) che si differenziano solo
per la durata che in questo caso è di diciotto mesi o di due anni.
Un investitore che vuole impiegare il proprio denaro con un investimento a più lungo
periodo senza però correre grandi rischi può affidarsi ai Certificati di credito del Tesoro
(CcTeu), titoli a reddito variabile con durata pari a sette anni, con interessi corrisposti con
cedola semestrale posticipata.
Sono a reddito variabile perché il loro tasso di rendimento è legato all’andamento del tasso
di riferimento del mercato monetario europeo, chiamato Euribor, con scadenza sei mesi.
Il tasso del CcTeu viene costantemente aggiornato e quindi non si corre il rischio di aver
comprato un titolo che durante la sua durata offrirà un rendimento che si distanzia da
quello di mercato.
È uno strumento adatto in tempi di aspettative al rialzo dei tassi di mercato perché offre
rendimenti interessanti, durata medio-lunga che permette di non dover rinnovare ogni
poco l’investimento, e non comporta per l’investitore rischi particolari di tasso e di durata.
Per quanto riguarda invece strumenti a tasso fisso e con durata medio-lunga il titolo di
Stato per eccellenza è il Buono del Tesoro poliennale (BTp): ha una durata di tre, cinque,
dieci, quindici e trenta anni e prevede il pagamento di un tasso fisso per tutta la durata
dello strumento, caratteristiche che fanno del BTp uno strumento rischioso a causa del
rischio di incremento dei tassi di mercato durante la sua vita.
In periodi di tassi tendenti al rialzo infatti il prezzo dei titoli di debito in circolazione tende
a scendere proprio perché i nuovi titoli sono più redditizi di quelli di vecchia emissione
e questo comporta la possibilità di incappare in perdite in termini di capitale in caso di
vendita anticipata del titolo: se portarlo a scadenza vuol dire infatti incassare comunque
il valore nominale, voler liquidare prima il titolo vuol dire vendere a prezzo di mercato e Ris
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7LE CARATTERISTICHE DEI PRINCIPALI STRUMENTI FINANZIARI
1) I titoli di debito
Si definiscono titoli di debito quegli strumenti finanziari che sono
rappresentativi di un prestito di denaro da parte dell’investitore nei confronti
di un soggetto emittente che si impegna a restituire il denaro preso a prestito
(il capitale) maggiorato degli interessi che rappresentano la remunerazione
per il prestito effettuato dal soggetto investitore.
I titoli di debito incorporano un diritto di credito dell’investitore-sottoscrittore
verso il soggetto emittente riguardante il pagamento di una somma
nominale (cd. “valore nominale”) che risulta dal titolo, ad una determinata
scadenza, nonché il pagamento di interessi.
Possono essere emessi alla pari (quando il prezzo di emissione è uguale
al valore nominale delle obbligazioni), sopra la pari (prezzo di emissione
maggiore al valore nominale) o sotto la pari: in quest’ultimo caso i
sottoscrittori oltre agli interessi potranno lucrare anche sulla differenza tra
il valore nominale di rimborso ed il prezzo di emissione.
Tali strumenti possono essere a tasso fisso o a tasso variabile, prevedono
cioè il pagamento di interessi fissi per tutta la durata dello strumento oppure
possono prevedere che il rendimento vari in seguito alla variazione dei tassi
di mercato, agganciando il tasso del titolo a particolari tassi di riferimento
del mercato monetario (Euribor, Irs, etc....) in modo da avere un rendimento
sempre in linea con il mercato.
Sia i titoli di stato che le obbligazioni in genere possono prevedere il
pagamento degli interessi tramite cedole periodiche (di solito trimestrali
o semestrali) oppure possono prevedere il pagamento degli interessi in
un’unica soluzione alla scadenza insieme alla restituzione del capitale (cd.
“strumenti zero coupon”).
1.1) I titoli di Stato
I titoli di Stato sono dei titoli di debito emessi dallo Stato per provvedere
La schedadi Federico Cartei
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 7Generalmente i titoli obbligazionari danno diritto al sottoscrittore di percepire un interesse
annuale fisso, ma nella pratica, per invogliare i risparmiatori alla sottoscrizione, si sono
venute a configurare altri tipi di obbligazioni cosiddette indicizzate, strutturate, convertibili,
etc...
Quelle indicizzate sono le obbligazioni che prevedono un piano di ammortamento con
cedole variabili legate all’andamento di parametri reali (tasso di inflazione), monetari
(Euribor, Irs, rendimento dei Bot) ma anche finanziari o valutari, in modo da proteggere il
titolo dalla perdita di potere d’acquisto della moneta.
Le obbligazioni strutturate prevedono che il rimborso del capitale e/o la loro remunerazione
venga indicizzata all’andamento dei prezzi di una attività finanziaria rappresentata da azioni
o da indici azionari, valute, quote di fondi comuni o materie prime: sono titoli di debito,
quindi prevedono un piano di ammortamento definito per quanto riguarda le scadenze di
pagamento delle cedole e la restituzione del capitale, ma l’ammontare del loro rendimento
e, in casi più rari, la restituzione del capitale a scadenza, è legata all’andamento di tali
attività finanziarie che sono quotate in mercati regolamentati.
Si cerca così di rendere lo strumento più attraente per chi vuole investire in un titolo di
debito ma desidera che la remunerazione sia legata a strumenti più rischiosi in modo
da avere la possibilità, in caso di andamento positivo di tali variabili finanziarie, di poter
incrementare il proprio rendimento rispetto ad una obbligazione non strutturata.
Esistono poi obbligazioni convertibili che offrono la possibilità per il sottoscrittore di poter
rimanere creditore della società emittente (quindi di conservare lo status di obbligazionista),
o di convertire, entro determinati lassi di tempo e in base a rapporti di cambio prefissati, le
obbligazioni in azioni della società emittente, assumendo così lo status di azionista.
Sono titoli che si pongono in posizione intermedia tra un’azione e un’obbligazione e
permettono al sottoscrittore di incassare le cedole concordate per l’obbligazione, ma di
poter procedere alla conversione in azioni quando il rapporto di cambio fissato dovesse
rivelarsi vantaggioso in base alla quotazione di mercato di quest’ultime, lucrando così
sulla differenza tra il valore di mercato del titolo e il valore previsto dal rapporto di cambio
stabilito all’inizio.
Un discorso a parte va fatto per le obbligazioni bancarie per le quali Banca d’Italia ha
fissato uno standard minimo di trasparenza stabilendo le informazioni che devono essere
contenute nel foglio informativo redatto in occasione di ogni emissione e da consegnare al
sottoscrittore che ne faccia richiesta. Tale foglio deve contenere informazioni sulla banca
emittente, con l’eventuale rating (giudizio che riassume in lettere la valutazione sulla
qualità creditizia della società emittente) assegnato da un soggetto indipendente, sulle
caratteristiche principali dell’emissione obbligazionaria proposta (ammontare complessivo,
data di apertura e di scadenza dell’emissione, rendimento e periodicità delle cedole, etc...)
e sui profili di rischio cui può andare incontro il cliente che dovesse sottoscrivere quel
titolo (di controparte, di durata, di tasso, di valuta, etc...).
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7sopportare di farlo ad un prezzo inferiore del valore di acquisto.
L’investimento in BTp, per la loro lunga durata e per il tasso fisso, è
consigliabile in caso di aspettative al ribasso dei tassi di mercato, quando il
prezzo dei titoli in circolazione tende a salire perché più redditizi dei nuovi
e quindi è possibile lucrare sul prezzo di vendita del titolo oltre che sul
rendimento assicurato dalla cedola.
Naturalmente quando le aspettative sono di una economia in crescita il
rendimento dei BTp con scadenza più lunga sono sensibilmente maggiori di
quelli con durata più breve e questo anche per ripagare al sottoscrittore un
premio per il rischio di durata (e di tasso) che si è assunto.
È uno strumento adatto a investitori che intendono ottenere rendimenti più
alti rispetto agli altri titoli di Stato e che sono pronti in caso di aumento dei
tassi a liberarsene per spostarsi su un tasso variabile o su durate più brevi,
ma sono adatti anche ad investitori che intendono portarli a scadenza e non
si preoccupano dell’andamento del mercato monetario perché qualunque
sia il suo andamento si accontentano della cedola fissa che si sono assicurati
e della sicurezza di ricevere comunque a scadenza il valore nominale del
titolo.
Negli ultimi anni sono nati anche i BTp indicizzati all’inflazione europea (BTi),
praticamente dei BTp non più a tasso fisso ma con il capitale rimborsato a
scadenza e le cedole pagate semestralmente rivalutati entrambi sulla base
dell’inflazione dell’area euro.
In tal modo viene rimborsata al sottoscrittore la perdita del potere d’acquisto
realizzatasi nel corso della vita del titolo mentre le cedole garantiscono un
rendimento costante in termini reali.
Le loro scadenze sono a cinque, dieci e trenta anni e ciò li rende strumenti
adatti a investitori interessati a strumenti che assicurino un reddito costante
in termini reali su orizzonti temporali di medio e di lungo termine.
1.2) Le obbligazioni
Per quanto riguarda le obbligazioni in generale ci si riferisce di solito a quelle
emesse da società (cd. “corporate”) o a quelle emesse dagli Istituti bancari.
Si differenziano dai titoli azionari perché mentre questi assicurano al loro
titolare il diritto di partecipazione alla gestione della società e un dividendo
che è subordinato all’esistenza di utili, le obbligazioni attribuiscono al
titolare solo un diritto di credito che deve essere soddisfatto comunque alla
scadenza prevista, a prescindere dai risultati dell’esercizio.
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 7diventare azionisti e soci di quella società, comprano le azioni
sul mercato e fanno sì che il valore di quei titoli tenda a salire.
Al contrario laddove la società non è ben gestita o comunque
ha problemi economico-finanziari, l’offerta sul mercato
di quelle azioni è maggiore della domanda perché la
maggioranza degli investitori vuole uscire da quella società e
il valore delle azioni tende a scendere anche repentinamente.
Nel caso estremo in cui la società vada in bancarotta in
quanto incapace di onorare i propri debiti con i creditori, il
valore delle azioni scende a zero e l’investitore perde tutto il
capitale investito. Il titolare del titolo azionario è, in piccola
parte, proprietario della società e viene quindi risarcito da
ultimo in caso di fallimento, mentre coloro che sono titolari
di un titolo obbligazionario vantano un diritto di credito
verso la società e verranno saldati in precedenza cosicché,
se dalla liquidazione dell’attivo rimane della liquidità, mentre
per i primi la speranza di ottenere qualcosa è molto debole,
per i secondi è possibile che riescano a recuperare almeno
parte del capitale versato.
Per la sua elevata volatilità, la mancanza di ritorni certi come
avviene per i titoli di debito ed il legame con i molti fattori
economici e finanziari esterni alla società in cui si investe,
l’investimento in azioni è considerato molto rischioso e quindi
adatto ad investitori esperti.
Quando si comprano le azioni in sede di prima quotazione di
una società sul mercato occorre presentare domanda scritta
presso la propria banca e partecipare al meccanismo che
prende il nome di Initial pubblic offering (Ipo), durante il
quale le azioni di nuova emissione vengono offerte sul mercato
borsistico corredate di un prospetto informativo contenente
informazioni sulla società, sui dettagli dell’operazione di
quotazione e sui rischi assunti dal sottoscrittore.
Sulla base del numero di richieste ricevute viene definito il
prezzo di vendita ed effettuato l’eventuale riparto in caso di
domanda superiore all’offerta.
3) Le gestioni collettive
I fondi comuni di investimento aperti sono patrimoni
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SITI E INFO PER APPROFONDIRE
www.borsaitaliana.itwww.ilsole24ore.comwww.bancaditalia.itwww.tesoro.itwww.consob.itwww.corriere.it
Dizionario di Finanza, autori M. Gabbrielli, S. De Bruno, ediz. Il Sole 24 Ore.
Il Mercato Mobiliare. Strategia e tecniche di negoziazione dei pro-dotti finanziari. Autore R. Capar-vi, ediz. Franco Angeli.
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
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Obbligazioni – Indicizzate, strutturateTasso fisso e tasso variabile Aspettative di tasso di interesseTitoli di Stato Zero couponAzioniDividendiPlusvalenza IPOFondi comuni di investimentoEtf
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72) I titoli di capitale
I titoli azionari sono strumenti finanziari che rappresentano la partecipazio-
ne al capitale sociale di una società e quindi anche l’insieme dei diritti e dei
doveri che si connettono allo status di socio. Acquistare un’azione vuol dire
essere proprietario di una piccola parte della società e quindi partecipare
direttamente alle alterne fortune a cui la società può andare incontro du-
rante la sua vita.
Per quanto riguarda i diritti amministrativi attribuiti al socio, questi ha
diritto di partecipare alle discussioni ed al voto in Assemblea per approvare
il Bilancio, nominare gli amministratori e approvare le delibere riguardanti
le decisioni più importanti durante la vita sociale con un numero di voti
proporzionale al numero di azioni detenute.
Ci sono anche delle eccezioni rappresentate dalle azioni privilegiate e di
risparmio ancora in circolazione, o da categorie speciali di azioni che limitano
o azzerano del tutto il diritto di voto a vantaggio di diritti patrimoniali
rafforzati per i possessori.
Per quanto riguarda i diritti patrimoniali il titolare di ogni azione ha diritto
a percepire il dividendo, ovvero la quota parte di utile che la società ha
prodotto in quel periodo, che di solito offre dei rendimenti interessanti se
paragonati a quelli dei titoli di stato.
Nell’articolo de “Il Sole 24 Ore” che ci precede l’autore Fabio Pavesi
approfondisce l’andamento dell’investimento in titoli azionari e in particolare
si focalizza sulla delusione che i molti investitori “cassettisti”, quel tipo di
investitore che sceglie di tenere i titoli in portafoglio per lungo tempo
senza effettuare vendite neanche nei momenti peggiori del mercato, hanno
dovuto subire in questo ultimo decennio caratterizzato da andamenti di
Borsa altalenanti ma nel complesso negativi: neppure i dividendi pagati dalle
società più generose ai propri soci sono riusciti a riportare in positivo tale
andamento, in quanto la riduzione del valore dei titoli è stata più marcata
della cedola pagata di anno in anno a titolo di distribuzione dell’utile.
Oltre ad incassare i dividendi, l’investitore in azioni spera che la società sia
ben gestita dai propri amministratori, il mercato apprezzi i suoi prodotti
o servizi e produca così ricavi e utili consistenti ogni anno in modo da
incrementare il valore in Borsa e riuscire ad ottenere un guadagno dalla
vendita del titolo a valori più alti di quelli di acquisto.
Quando la società è sana, ben gestita ed ha degli ottimi fondamentali
(valori economici e patrimoniali di bilancio) la domanda delle sue azioni
tende infatti ad essere molto elevata perché numerosi investitori vogliono
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 7numero di titoli contenuto in quel determinato indice.
Le quote sono quotate regolarmente sul mercato e sono acquistabili come un’azione,
pertanto l’acquisto di un Etf può essere un investimento di breve periodo per fare trading,
oppure di medio-lungo per scommettere al rialzo ma anche al ribasso (strategia short) su
quel determinato benchmark di riferimento.
Traccia per l’attività in classeAnalizzare le caratteristiche degli strumenti finanziari elencati e motivare per iscritto la
strategia attuata dallo studente che davanti ad una scelta di acquisto di € 100 tra questi
cinque strumenti finanziari decide di comprarne solo uno, due o più di due sulla base della
propria propensione al rischio.
1. Obbligazione Enel scadenza 26.02.2016, tasso fisso 3,50%. Prezzo 100,20. Rendimento
effettivo netto 3,00%, cedola annuale.
2. CCT scadenza 15.10.2017, tasso variabile euribor 6 mesi + 0,80%. Prezzo 97,20.
Rendimento effettivo netto 2,25%, cedola semestrale.
3. BTP scadenza 15.12.2012, rendimento fisso 2,00%. Prezzo 99,00. Rendimento effettivo
netto 2,25%, cedola semestrale.
4. Titolo azionario Enel.
5. Fondo azionario Italia.
Nell’analisi delle strategie attuate tenere conto e commentare per ogni strumento finanziario
le seguenti variabili chiave:
DURATA dell’investimento in ogni singolo investimento
RENDIMENTO del singolo strumento rispetto agli altri
RISCHI della strategia scelta
DIVERSIFICAZIONE attuata nella strategia di investimento
autonomi costituiti dalle quote acquistate dai vari sottoscrittori i quali
hanno diritto di chiedere, in qualsiasi momento, il rimborso delle loro quote
secondo le regole previste dal fondo.
In pratica un investitore può comprare una o più quote di questi fondi
i quali, tramite un gestore, investono questi soldi in strumenti finanziari
quotati il cui valore, che oscilla in base all’andamento della quotazione sul
mercato, coinciderà con la valorizzazione del fondo ad una certa data.
In pratica il sottoscrittore partecipa ad una gestione collettiva divisa in
quote con il vantaggio di avere un gestore professionale che sceglie gli
strumenti finanziari su cui investire ed ha la possibilità di investire su più
strumenti contemporaneamente in modo da poter frazionare il rischio pur
con un impiego di denaro ridotto.
Tali fondi possono investire in azioni, obbligazioni, sia in azioni che
obbligazioni (cd. “fondi bilanciati”), in strumenti di liquidità (obbligazioni
con scadenza inferiore a 6 mesi e titoli di Stato a breve termine) oppure
essere flessibili (in cui il gestore ha piena scelta di investimento).
Inoltre possono essere specializzati in determinate aree geografiche
(America, Europa, Italia, etc...) o si possono acquistare anche fondi di fondi
(fondi comuni di investimento che a loro volta investono in altri fondi per
una gestione ancor più professionale e per un elevato frazionamento del
rischio).
I fondi comuni di investimento chiusi invece sono quelli caratterizzati da un
numero fisso di quote da vendere sul mercato e da un capitale fisso ed il diritto
di rimborso delle quote viene riconosciuto ai partecipanti solo a scadenze
predeterminate perché gli investimenti fatti di solito sono liquidabili solo
dopo un certo numero di anni (i fondi chiusi investono spesso in immobili).
A causa degli elevati costi di gestione dei fondi comuni, legati sia alla
remunerazione del gestore che al pagamento di commissioni per il continuo
acquisto e vendita degli strumenti finanziari sottostanti, hanno avuto molto
successo negli ultimi tempi gli exchange-traded funds (Etf), particolari fondi
comuni che investono i soldi ricevuti dai sottoscrittori in un determinato
indice di Borsa con una gestione passiva, senza cioè che il gestore debba
selezionare e negoziare di giorno in giorno i titoli da lui ritenuti migliori.
Gli indici di Borsa sono costituiti dai principali titoli di un determinato mercato
e rimangono fissi per un certo numero di mesi cosicché il gestore
dell’Etf non fa altro che comprare tali titoli in base alle quote sottoscritte
dagli investitori in modo da non avere eccessivi costi di negoziazione e per
questa selezione passiva degli strumenti percepisce un compenso minimo:
in questo modo l’investitore riesce con poco denaro ad investire sui principali
titoli di Borsa con un costo ridotto e un rischio frazionato grazie all’alto Ris
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 7In quel caso infatti i titoli emessi successivamente saranno influenzati da tale incremento ed anche il loro rendimento tenderà a salire mentre il titolo che ho in portafoglio avrà sempre un rendimento pari al tasso previsto inizialmente.In tal modo i nuovi investitori compreranno titoli di nuova emissione mentre i vecchi titoli saranno meno appetibili, molti investitori li venderanno, così il loro prezzo tenderà a scendere; tali titoli ritornano così interessanti per un nuovo acquirente che potrà comprare quel titolo a prezzo ridotto, quasi certamente sotto la pari, lucrando quindi oltre che dall'incasso delle cedole anche sulla differenza tra prezzo di acquisto e valore nominale di restituzione.Per ridurre tale rischio diventa fondamentale ridurre la durata dei titoli a tasso fisso visto che comunque a scadenza otterrò sempre il valore nominale oppure si può scegliere un titolo a tasso variabile come il CcTeu.
Il ritorno dell'investimento in titoli di debito è più sicuro rispetto a quello in azioni?
I titoli di debito incorporano un diritto di credito per il sottoscrittore a vantaggio del quale è previsto un piano di ammortamento per il pagamento di cedole e capitale a scadenza che la società emittente è obbligata a rispettare indipendentemente dal suo stato di salute; nell'investimento azionario si diventa proprietari della società e in tal caso l'incertezza riguarda sia il pagamento dei dividendi, legato alla produzione di utili, che l'andamento dei titoli sul mercato legato ai fondamentali della società su cui si è investito ma anche a molteplici fattori esterni di mercato, economici, monetari, etc...Quest'ultimo decennio ha tolto delle certezze riguardanti l'investimento azionario che nel passato si è sempre rivelato più rischioso nel breve periodo ma più remunerativo nel lungo rispetto all'acquisto di titoli di debito, ma fare previsioni sul futuro è molto difficile.
Come funziona il mercato di Borsa?
Il mercato borsistico è un mercato telematico in cui si incrociano le migliori proposte in vendita (quelle a prezzi minori) con le migliori proposte di acquisto (quelle a prezzi maggiori) di ogni strumento finanziario. È un mercato ad asta nel senso che se la domanda è maggiore dell'offerta allora quello strumento finanziario tenderà ad aumentare di prezzo mentre se prevalgono i venditori allora il prezzo tenderà a stabilizzarsi al ribasso.Sono previste delle aste in apertura ed in chiusura per determinare i prezzi di apertura e di chiusura della giornata ed effettuare i primi e gli ultimi scambi, mentre nella parte centrale della giornata si svolge la negoziazione continua durante la quale avviene l'incontro delle proposte di acquisto e di vendita ordinate per il loro prezzo.Si paga una commissione all'intermediario e chiunque può immettere proposte di acquisto e di vendita a seconda delle aspettative future sull'andamento di quel determinato titolo.
Perché dovrei affidare i miei risparmi ad una gestione collettiva?
La gestione collettiva offre il vantaggio di avere dei gestori professionali che ogni giorno studiano quali siano i migliori strumenti da comprare e vendere in modo da riuscire ad avere un rendimento maggiore dall'investimento “fai da te” e poter diversificare il rischio grazie all'acquisto di un numero elevato di titoli.Investire da soli sui titoli azionari comporta infatti una preparazione e l'assunzione di rischi elevati che non sempre vengono ripagati dall'andamento dell'acquisto effettuato.Acquistare un Etf ad esempio vuol dire acquistare un paniere di azioni contenute in un determinato indice di Borsa (Dow Jones, Nasdaq, S&P 500, Ftse Mib, etc...) che permette di ottenere un frazionamento del rischio con un investimento ridotto e costi contenuti.
Perché quando i tassi sul mercato salgono il valore dei titoli di debito in circolazione tende a scendere?
Quando acquisto un titolo a tasso fisso con una determinata durata il rischio è che in quel periodo si verifichi un aumento dei tassi sul mercato monetario legato alla ripresa economica ed alla politica monetaria restrittiva delle Banche Centrali.
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7FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
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Rischio degli strumenti finanziaridi Federico Cartei8
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Per tutte le categorie di obbligazioni (e per gli strumenti di investimento in generale) è bene inoltre fare
attenzione alle difficoltà che si incontrano in caso di necessità di vendita anticipata. Molti titoli sono infatti
poco liquidi, perché si tratta di emissioni di ammontare limitato, oppure perché sono scambiati su mercati
non regolamentati o addirittura non sono quotati affatto. Il rischio, se ci si trova in questa situazione, è che
il prezzo di vendita risulti estremamente penalizzante per l’investitore perché magari lo sceglie lo stesso
emittente (che fa il mercato) o addirittura che l’investimento non sia liquidabile del tutto.
Tasso, emittente e liquidità sono dunque i tre fattori fondamentali che il risparmiatore deve saper gestire e
monitorare. A maggior ragione in una fase, come quella attuale, in cui chi rischia non lo fa tanto per scelta,
ma perché non ha alternative valide.
Appunti
8
In fondo è la regola più antica dell’investimento, e spesso anche la più dimenticata: vuoi
migliorare il rendimento del tuo portafogli? E allora devi anche assumerti qualche rischio
in più. A volte, poi, bisogna anche sapersi accontentare, o quantomeno commisurare i
rendimenti alla fase di mercato che si vive. Adesso, per esempio, a parcheggiare il denaro
su titoli di Stato a breve termine come gli amatissimi BoT si rischia addirittura di vedere
ridotto il proprio gruzzolo. E anche puntando sui BTp a 3-5 anni non si riesce a spuntare
molto di più del 2% netto.
È anche vero però che i tassi a cui ci si indebita, e soprattutto l’inflazione, sono prossimi allo
zero. Un interesse netto del 4%, che fino a un anno fa (con costo del denaro e carovita ben
più elevato) poteva essere considerato avvicinabile senza eccessive difficoltà e pericoli
nel reddito fisso, oggi è quindi un «signor» rendimento (reale, e non più soltanto nominale
come nel 2008) e ottenerlo senza rischio è impossibile.
Certo, le opportunità a guardarsi attorno non mancano, come si può leggere anche negli
articoli della pagina a fianco. Per esempio si può allungare la scadenza dei titoli in portafoglio
e puntare su un BTp ventennale, che garantisce appunto (al netto dell’imposizione fiscale)
un rendimento del 4%. Si può anche scegliere un’obbligazione societaria (le cosiddette
corporate, l’asset class preferita dai gestori da un anno a questa parte), oppure dar retta
a quanto viene in genere offerto allo sportello bancario e acquistare un’emissione di un
istituto finanziario, magari subordinata.
In tutti questi casi il 4% netto lo si può raggiungere e anche superare, ma qualcosa bisogna
pur concedere sul piano della sicurezza. E in particolare, quando si parla di obbligazioni, i
rischi ai quali il risparmiatore può andare incontro possono essere raggruppati in tre grandi
categorie. Allungando la scadenza media dei titoli presenti in portafoglio (la cosiddetta
duration, come si dice in gergo tecnico) ci si espone al pericolo di un rialzo generalizzato
dei tassi di interesse, che oggi viaggiano ai minimi storici. I prezzi di un’obbligazione, che
si muovono in direzione opposta rispetto ai tassi, subirebbero infatti un calo e l’investitore
che ha la necessità di vendere il bond prima della naturale scadenza rischierebbe una
dolorosa perdita in conto capitale, mentre il classico «cassettista» conserverebbe in mano
un titolo mediamente meno redditizio rispetto a quelli di nuova emissione.
Cercando fortuna al di fuori dei governativi dell’area euro ci si può invece imbattere
nella classica mela marcia: l’emittente (sia esso una società o uno Stato sovrano) che
non è in grado di ripagare il debito ai sottoscrittori. Senza voler scomodare gli ormai
classici casi Argentina, Cirio, Parmalat o, tanto per giungere fino ai giorni nostri, Lehman
Brothers, il cosiddetto «rischio emittente» è in grado di pesare sull’investitore non soltanto
in caso di vero e proprio fallimento, ma anche nel momento in cui sul mercato si fanno
particolarmente insistenti i timori di insolvenza, siano essi legati al singolo emittente o
addirittura sistemici, come avveniva un anno fa proprio di questi tempi.
10 Ottobre 2009
RISPARMIO OBBLIGATO AL RISCHIO SE VUOLE RINCORRERE I RENDIMENTIdi Maximilian Cellino
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anni 90 - inizi anni 2000, la successiva discesa dei corsi acuita dalla tragedia delle Torri
Gemelle per giungere poi agli ultimi anni fortemente influenzati negativamente dalla crisi
economico-finanziaria dopo quattro anni di andamento positivo dal 2003 al 2007.
Il rapporto rischio-rendimento nelle scelte di portafoglio
Il concetto di rischio in finanza esprime essenzialmente la probabilità di ottenere un
rendimento diverso da quello atteso.
Il rischio è quindi da sempre associato al comportamento di chi investe e l’investitore lo
percepisce secondo quattro categorie principali: la possibilità di ottenere una perdita
ingente, la possibilità di ottenere un rendimento inferiore agli obiettivi iniziali, l’abilità nel
gestire le perdite ed il livello di consapevolezza finanziaria dell’investitore.
Dal punto di vista dello studio del comportamento dell’investitore si desume che l’abilità
nel gestire le perdite ed una adeguata conoscenza degli strumenti finanziari su cui investire
sono le variabili principali alla base di una corretta percezione del rischio.
Se l’investitore è quindi pienamente consapevole dell’investimento che va ad operare,
sarà migliore anche la sua valutazione del rischio anche nel momento in cui si trovi a
gestire degli investimenti in perdita.
La percezione del rischio da parte dell’investitore varia a seconda della familiarità con gli
strumenti trattati: si tende a vedere come meno rischiosi, spesso cadendo in errore, quei
titoli che conosciamo meglio e con i quali abbiamo già avuto a che fare nel passato.
L’elemento psicologico gioca inoltre un ruolo importante nel momento in cui si analizza
“l’effetto imitativo” del singolo investitore: quando gli strumenti finanziari salgono e tutti
guadagnano, i giornali riportano a gran voce l’andamento positivo di tali investimenti,
allora si tende ad abbassare la guardia e ad imitare gli altri sottovalutando il rischio insito
nello strumento acquistato. In caso di forte riduzione dei corsi azionari, invece, l’elemento
emotivo gioca a favore di una corsa alle vendite anche quando i prezzi, grazie a tali
riduzioni, risultano interessanti per prospettive di guadagno nel medio-lungo periodo.
Ma come si costruisce e gestisce razionalmente un portafoglio finanziario in presenza di
prezzi e rendimenti aleatori, tenuto conto dell’attitudine al rischio del soggetto investitore?
Il concetto base da tener ben presente è il trade-off rischio-rendimento: maggiore è il
rendimento atteso da una attività, maggiore sarà il rischio assunto dall’investitore, quindi
maggiori guadagni potenziali comportano anche maggiore pericolo di incorrere in perdite
anche pesanti per i risparmi investiti.
Non è infatti possibile avere un ritorno da un investimento se lo si vuole certo, come
vedremo in seguito.
Il profilo finanziario dell’investitore è definito da tre obiettivi personali: l’orizzonte temporale
dell’investimento, la propensione al rischio dell’investitore stesso e le aspettative di
8
8Rischio obbligatorio per rincorrere il rendimento
La ricerca di rendimenti sempre più interessanti per i propri investimenti
comporta necessariamente l’assunzione di un rischio crescente e questo
a maggior ragione in tempi di crisi economica durante la quale ottenere
buoni rendimenti è molto difficile e il pericolo di subire una perdita in
seguito ad una scelta sbagliata è molto concreto e presente in ogni tipo di
investimento.
L’articolo di Maximilian Cellino mette in evidenza come in questo periodo
di tassi di interesse molto bassi a causa del rallentamento economico,
cercare di ottenere un rendimento positivo per i propri investimenti obbliga
l’investitore ad essere coraggioso e a cercare soluzioni più complicate e
rischiose se vuole che i propri soldi non vengano erosi dal tasso di inflazione
e quindi subiscano una riduzione in termini reali.
L’aspetto vantaggioso di questi nostri giorni è che il tasso di inflazione
(tasso di aumento dei prezzi dei prodotti al consumo) è in questo momento
anch’esso basso e questo aiuta in parte a ridurre, in termini reali, il peso di
un investimento a rendimento ridotto.
Infatti se il proprio investimento ha un rendimento inferiore al tasso di
inflazione questo vuol dire che nel tempo con quel quantitativo di denaro
investito riuscirò ad acquistare e a consumare meno beni rispetto ad oggi,
incappando così in una perdita in termini reali.
Il tasso di rendimento nominale è invece il tasso di rendimento assoluto
del proprio investimento, ci dice cioè quanto rende il nostro investimento
senza alcun tipo di paragone con altri parametri: è bene che quando si va a
decidere su quale strumento investire si confronti il rendimento sia con quello
di altri investimenti di analogo rischio e durata per vedere se sto facendo
una buona scelta in relazione all’offerta di strumenti che ho a disposizione,
sia con il rendimento di investimenti a rischio minimo (come ad esempio i
Buoni ordinari del Tesoro) per capire se in termini di rendimento la scelta di
investire in strumenti più rischiosi mi premia e se sia valsa la pena.
Per quanto riguarda la rischiosità dell’investimento in azioni l’articolo di
Fabio Pavesi nella scheda precedente mette in evidenza come l’investimento
in Borsa negli ultimi anni non abbia rispettato nel medio-lungo periodo le
aspettative di rendimenti superiori alle altre tipologie di investimento.
Abbiamo vissuto infatti un decennio con alterne fortune che è iniziato con
la sopravvalutazione dei corsi azionari dovuta alla bolla tecnologica di fine
La schedaR
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ridi Federico Cartei
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società va male si rischia di perdere tutto l’importo investito.
Se invece si investe lo stesso importo in dieci diverse società
la redditività non ne dovrebbe risentire e se una di queste
dovesse andar male andrà persa solo una piccola parte
dell’investimento mentre la parte rimanente sarà salva e con i
guadagni di questa potrà essere presumibilmente recuperata
la perdita. Per questo ad investitori non professionali si
consiglia di acquistare quote di fondi comuni o gestioni
patrimoniali che investono su un numero elevato di strumenti
e quindi riescono a frazionare il rischio.
Anche la prudenza aiuta la buona riuscita del proprio
investimento: non mettere subito tutti i propri risparmi nello
strumento finanziario che si vuole comprare ma entrare a
piccole dosi, magari con un piano d’accumulo, aiuta ad
evitare gli eccessi al rialzo ed al ribasso del mercato e ad
avere un rendimento positivo nel tempo.
Il rischio per tipologia di investimento
L’investimento in titoli azionari comporta rischi elevati in
relazione al fatto che l’investitore diventa proprietario di
una fetta della società e quindi partecipa direttamente alle
fortune ed anche alle sfortune della stessa amplificando
così le oscillazioni e la rischiosità del proprio investimento:
se la società è sana, ben gestita e produce utili nel tempo
l’investitore potrà vedere il valore dei propri titoli azionari
crescere oltre che a percepire la propria parte di utili (cd.
“dividendo” o “cedola”) anno per anno.
Se invece la società dovesse essere mal gestita o se la sua
iniziativa imprenditoriale non dovesse essere premiata
dal mercato, l’investitore vedrà le proprie azioni diminuire
di valore, non potrà riscuotere i dividendi perché in tale
situazione la società non creerà utile e, nei casi peggiori in
cui la società non riesca più ad onorare i propri debiti e vada
in bancarotta, vedrà azzerare il valore delle proprie azioni
perdendo tutto il capitale investito.
Comprare azioni di una società vuol dire investire i propri soldi
assumendosi dei rischi elevati nell’ottica di poter ottenere un
rendimento maggiore rispetto ad altri strumenti, frutto di un
giusto premio per il rischio assunto.
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SITI E INFO PER APPROFONDIRE www.borsaitaliana.itwww.ilsole24ore.comwww.bancaditalia.itwww.tesoro.itwww.consob.itwww.corriere.it/economia
Dizionario di Finanza, autori M. Gabbrielli, S. De Bruno, ediz. Il Sole 24 Ore.
Il Mercato Mobiliare. Strategia e tecniche di negoziazione dei prodotti finanziari. Autore R. Caparvi, ediz. Franco Angeli.
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
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QR-CODE
Trade off rischio/rendimentoPropensione al rischioAspettative di rendimentoDurationRischio di tassoRischio emittenteLiquidità del titoloRendimento reale/nominaleDiversificazionePiani di accumulo
rendimento che l’investitore ha rispetto all’impiego del proprio denaro.
L’orizzonte temporale è il periodo di tempo per il quale intendiamo rinunciare
alle nostre disponibilità finanziarie per investirle, mentre la propensione al
rischio rappresenta la disponibilità a sopportare perdite patrimoniali dovute
all’andamento negativo del mercato: quanto più siamo propensi al rischio,
tanto più siamo disposti ad accettare che l’investimento non consegua i
risultati che ci attendevamo.
Se l’orizzonte temporale è di breve periodo è bene che l’investimento
sia a basso rischio e, quindi, tenda soprattutto a conservare il capitale:
il breve periodo temporale, infatti, non ci consentirebbe di recuperare
eventuali perdite. Al contrario, in un’ottica di lungo periodo è possibile,
ammesso che la nostra propensione al rischio lo consenta, accettare rischi
maggiori per conseguire maggiori guadagni: il lungo orizzonte temporale
rende infatti possibile compensare eventuali perdite dovute ad andamenti
temporaneamente negativi dei mercati.
Ogni investitore ha una sua personale avversione al rischio rispetto
all’impiego del proprio denaro: capire bene quale è la propria aiuta a capire
quale tipo di investimento è più adatto alle proprie caratteristiche.
Naturalmente gli strumenti più rischiosi, oltre che una maggiore propensione
al rischio, richiedono un più lungo arco di tempo per avere un ritorno
presumibilmente positivo: chi investe in azioni di una società, quindi in
titoli di capitale, il cui valore può subire forti oscillazioni, deve sapere che
potrebbero occorrere anche 10-15 anni perché il suo investimento venga
remunerato positivamente e con rendimenti all’altezza delle aspettative.
Un investimento più prudente in titoli di Stato invece comporterà per
l’investitore un rendimento minore ma più sicuro in un arco temporale più
breve: l’affidabilità dell’emittente, se riusciamo a selezionare gli Stati più
virtuosi, e dello strumento acquistato, che è un titolo di debito e quindi
ha dei ritorni stabiliti nel piano di rimborso prefissato, sarà tale che quel
rendimento sarà presumibilmente sicuro anche se non remunerativo come
il precedente.
Le aspettative di rendimento, infine, devono essere realistiche: non si
può pretendere un ritorno esagerato dal nostro investimento e bisogna
sempre considerare che i rendimenti di molti investimenti dipendono
dall’andamento del mercato finanziario, che può variare repentinamente,
interrompendo anche prolungati periodi positivi.
Un insegnamento da tener ben presente è che la diversificazione efficiente
non penalizza la redditività futura del portafoglio ma riduce il rischio di
perdita. Mettere i propri soldi in una sola società, comprando azioni o
obbligazioni, comporta un rischio emittente troppo elevato: se quella Ris
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strumenti che spesso non hanno mercati ufficiali di quotazione e sono molto diffusi
nei bilanci delle società finanziarie. Sono strumenti che devono essere gestiti da
soggetti professionali per le evidenti rischiosità che comportano.
Per quanto riguarda l’investimento in strumenti obbligazionari e in titoli di Stato,
come sottolinea l’autore dell’articolo, si corrono essenzialmente tre tipologie di rischio
legate agli aspetti più importanti che caratterizzano lo strumento: tasso, emittente
e liquidità.
Per evitare il rischio di tasso occorre prestare attenzione a investire i propri risparmi in
strumenti finanziari che durante la loro vita offrano rendimenti che non si discostino
troppo da quelli medi di mercato, altrimenti si corre il rischio di veder ridotto il proprio
guadagno in caso di vendita anticipata: all’aumentare dei tassi sul mercato il prezzo
delle obbligazioni e dei titoli di Stato in circolazione tende a diminuire proprio perché
quei titoli non sono più adeguatamente redditizi e vendere prima della scadenza
potrebbe voler significare dover sopportare una perdita in conto capitale (prezzo di
acquisto maggiore del prezzo di vendita).
Se tenere quel titolo fino alla scadenza eviterebbe perdite in conto capitale in quanto
il prezzo finale sarà sempre pari al valore nominale e quindi non ci riserverà mai cattive
sorprese, nel frattempo avremmo però ottenuto un rendimento minore rispetto a
quello che saremmo riusciti a spuntare acquistando titoli di nuova emissione con
tassi di rendimento aggiornati a quelli di mercato, con una perdita quindi in termini
di differenziale di rendimento rispetto ad investimenti del tutto simili in termini di
rischiosità e durata.
In periodi di tassi di mercato tendenti al rialzo acquista un’importanza fondamentale
la durata media (cd. “duration”) dei titoli acquistati: se investo in titoli con scadenza
breve correrò minori rischi sia di perdita in conto capitale che in termini di rendimento
differenziale, ma con una scadenza lunga il rischio di perdite derivante da un rialzo dei
tassi di mercato è molto probabile in quanto fino alla scadenza non avrò la possibilità
di rinegoziare il mio rendimento e se vendo prima rischio di vendere a prezzi punitivi.
Quindi investire in titoli con durata ridotta, se comporta rendimenti minori
nell’immediato proprio per la ridotta rischiosità, ci consente di stare tranquilli in
relazione all’andamento dei tassi di mercato.
Con un investimento in titoli a reddito variabile riusciamo a ridurre al minimo il rischio
di tasso in quanto il rendimento di tali titoli si aggiorna all’andamento dei tassi di
mercato e anche quindi in caso di un loro incremento non rischiamo perdite in conto
capitale: in caso di previsione di tassi al rialzo si tende infatti a privilegiare tali strumenti
che hanno un rendimento crescente allineato al mercato mentre se le previsioni sono
di tassi al ribasso investire in strumenti a tasso fisso può comportare un guadagno
in conto capitale oltre all’incasso delle cedole e quindi diventano investimenti molto
interessanti.
8Per far questo è necessario conoscere bene la società in oggetto o farsi
consigliare da professionisti del settore per evitare rischi causati dalla
inesperienza.
Una buona regola da seguire per evitare titoli sopravvalutati è quella di
acquistare quelle azioni che hanno un rapporto “prezzo di Borsa/utile
annuo” (cd. “P/E”) basso in relazione agli altri titoli di quel settore (cd.
“competitors”): un valore basso del prezzo di Borsa in relazione agli utili
prodotti da quella società indica che la società, se riesce a confermare
quell’ammontare di utile annuo nel tempo, è ben quotata rispetto ai
fondamentali economici, è a sconto rispetto ai propri “competitors” ed ha
quindi buone possibilità di incrementare in futuro il proprio valore.
L’investimento azionario oltre che dall’andamento della società in cui si
investe è correlato fortemente all’andamento dei vari mercati borsistici e
delle più importanti economie mondiali.
L’andamento dei mercati americani e le scelte di politica economica delle
autorità Usa ed Ue influenzano profondamente tutti i mercati mondiali e
prevedere la loro direzione e le scelte operate dalle autorità nel medio-
lungo periodo aiuta molto a capire in che tipo di strumento finanziario
investire e con quale tempistica.
Investire in una società redditizia in un periodo di andamento negativo
del mercato comporta almeno nel breve periodo una probabile perdita e
solo quando gli investitori smetteranno di farsi guidare dalla loro emotività,
influenzati dall’andamento negativo dei mercati e dalla paura di subire
perdite, per tornare a guardare ai fondamentali delle società (ottica
quest’ultima che prevale nel medio-lungo periodo ma non nel breve dove
l’emotività e l’avversione al rischio hanno un peso rilevante) le nostre azioni
saranno valorizzate come meritano.
In questo periodo di grandi delusioni derivanti dall’investimento nei mercati
azionari l’avversione degli investitori al rischio è massima ed infatti molti di
loro si stanno riversando su investimenti poco rischiosi anche se molto
poco redditizi come i titoli di Stato e le obbligazioni bancarie tralasciando
il mercato azionario.
Per quanto riguarda la scelta di investire in azioni il rischio aumenta
ancora di più se si decide di comprare dei derivati, strumenti che
hanno come sottostante titoli o indici azionari ma che permettono di
ottenere un importante effetto leva, amplificano cioè guadagni e perdite
dell’investimento in quanto con una ridotta quantità di denaro è possibile
investire su grandi quantitativi di strumenti finanziari. Gran parte della
crisi finanziaria di questi anni è dovuta all’eccesso nella diffusione di tali Ris
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 8Traccia per l’attività in classe La presente scheda si propone di mettere in evidenza la rischiosità insita nell’investimento
in strumenti finanziari componendosi di quattro parti: l’articolo di quotidiano, un commento
all’articolo, un approccio più teorico all’argomento del rischio, un esame delle diverse
tipologie di rischio per tipologia di investimento.
Il percorso consigliato è quello di leggere l’articolo di quotidiano che pur essendo semplice
risulterà ai ragazzi un po’ tecnico, quindi analizzare subito dopo il commento all’articolo
proposto dall’autore per cercare di chiarire l’articolo stesso e di entrare più a fondo nel
tema della scheda.
Una volta affrontato l’argomento in termini generali con l’approccio proposto si passa ad
analizzare il rischio degli investimenti in strumenti finanziari dal punto di vista più teorico in
modo da creare una cornice tramite la quale analizzare successivamente l’ultima parte che
tratta del rischio insito nelle diverse tipologie di investimento con approccio più pratico e
concreto all’argomento proposto.
Strategie di investimento per calcolare il grado di avversità al rischio dello studente
Per finire la lezione sarebbe interessante capire l’avversità al rischio di ogni studente
con una semplice simulazione: data la disponibilità al 01/01/11 di € 100 per effettuare un
investimento, si mette a scelta lo studente se investire tali fondi in azioni, titoli di stato o
al 50% nei due strumenti.
Come condizione si metta che:
Investendo in titoli azionari con un anno di tempo a disposizione posso guadagnare il
20% ma anche perderlo, quindi posso trovarmi in una situazione al 31/12/2011 di avere a
disposizione € 80 nel caso peggiore, € 120 nel caso migliore o un valore intermedio se il
mercato avrà delle oscillazioni minori (per semplicità non considero scenari da default
della società quotata).
Investendo in titoli di stato a tasso variabile (a minor rischio) posso guadagnare al
31.12.2001 il 2% o il 3% a seconda dell’andamento dei tassi, senza possibilità di perdere (per
semplicità non si sta considerando il rischio default dello stato che nella realtà va tenuto
ben presente).
Alla fine del periodo mi ritroverò quindi con € 102 o € 103.
Investendo al 50% nei due strumenti ho la possibilità di guadagnare o di perdere, al 31.12.2011,
€ 10 dall’investimento azionario e di guadagnare € 1 oppure € 1,50 dall’investimento in titoli
di stato. Alla fine del periodo mi ritroverò con un guadagno massimo di € 11,50 e con una
perdita massima di € 9.
Per quanto riguarda il rischio emittente (il soggetto che emette i titoli
e prende i nostri risparmi a prestito) abbiamo assistito in questi ultimi
mesi a sorprese molto importanti in quanto anche gli Stati sovrani sono
stati messi in discussione perché per alcuni di essi il pericolo di non
poter onorare i propri debiti, come nel caso della Grecia, è stato
molto concreto.
Comprare un titolo di Stato o una obbligazione societaria (o “Corporate”
in gergo tecnico) vuol dire prestare i propri soldi a un soggetto che poi
dovrà restituirli maggiorati di interessi: se quello Stato o quella società
sono finanziariamente sani e solvibili non ci saranno problemi a vedersi
restituire a scadenza i propri risparmi oltre al rendimento pattuito, se
invece prima della scadenza di quel titolo subentrano problemi finanziari
allora il rischio di poter perdere il capitale prestato diventa più concreto.
In questo tipo di investimento occorre non farsi allettare da alti
rendimenti pagati da emittenti a rischio: se un titolo ha un rendimento
più alto in relazione a una determinata scadenza vuol dire che l’emittente
è considerato più rischioso degli altri in termini di solvibilità e quindi
chi compra tale strumento deve essere consapevole che a rendimenti
più alti corrispondono rischi maggiori soprattutto se la scadenza
dello strumento è medio-lunga e nel frattempo possono peggiorare
le condizioni economico-finanziarie della società emittente. Per tale
motivo il rendimento dei titoli di Stato greci oggi si attesta intono
all’11,50%, quello dei titoli tedeschi di pari scadenza al 2,50%, con una
grande differenza dovuta proprio alla diversa percezione di rischio nei
confronti di questi due Stati da parte degli investitori.
L’ultimo dei rischi evidenziati nell’articolo, comune a tutte le tipologie
di investimento, è la liquidità dello strumento sul mercato in cui esso è
quotato: se il totale delle emissioni obbligazionarie è esiguo, o il mercato è
poco utilizzato dagli investitori istituzionali, oppure non regolamentato,
si rischia di incappare in problemi al momento della vendita in quanto la
ridotta presenza di controparti disposte ad acquistare il mio strumento
fa sì che debba esser disposto ad una sensibile riduzione di prezzo se
voglio realmente vendere, rischiando così di dover sacrificare parte del
guadagno per tale motivo.
In alcuni casi le obbligazioni bancarie sono oggetto di contrattazione
solo all’interno dell’Istituto che le ha emesse e non sono quotate in un
mercato ufficiale cosicché la trasparenza del meccanismo di formazione
dei prezzi ne risente comportando un rischio nel momento in cui
dovessi presentarmi allo sportello prima della scadenza per liquidare il
mio investimento.
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FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Quand’è che un investimento ha un rendimento in termini reali positivo?
Per avere un rendimento del proprio investimento che riesca a incrementare nel tempo il potere d’acquisto del denaro investito, occorre che il tasso di rendimento (nominale) al netto dell’imposizione fiscale sia superiore al tasso di incremento dei prezzi al consumo (tasso d’inflazione) che per questo tipo di investimenti è il parametro base di riferimento (cd. “benchmark”). Non basta cioè trarre dagli investimenti un rendimento nominale positivo perché se il tasso di inflazione è più alto, nel tempo non riesco a mantenere il potere d’acquisto dei miei risparmi, cosicché vado incontro ad una perdita reale del mio capitale investito.
Esistono rendimenti certi da un investimento?
In economia non esistono “pasti gratis” nel senso che se vogliamo ottenere da un investimento un rendimento anche se minimo dobbiamo essere disposti a sopportare una certa dose di rischio sia esso di emittente, di tasso, di andamento dei mercati o, nei casi di strumenti più rischiosi, un certo mix di tutti questi rischi.Maggiore sarà il rendimento maggiore sarà il rischio da sopportare, inutile farsi allettare da facili promesse: laddove ci sono proposte di rendimenti eccezionali occorre prestare molta attenzione perché lì si nasconde sicuramente qualche insidia.
L’investimento in azioni è consigliato ai più giovani perché nel lungo periodo offre rendimenti maggiori rispetto ad altre forme di investimento?
L’acquisto di azioni comporta alti rischi e se nel passato ha rappresentato la forma di investimento più redditizia nel medio-lungo periodo non abbiamo certezze che questo possa ripetersi in futuro. È vero che i giovani hanno a disposizione archi temporali più lunghi per investire ma ci sono degli imprevisti durante la vita che possono obbligare a disinvestire i propri risparmi cosicché impiegare tutto il proprio denaro in azioni è molto rischioso, meglio frazionare il proprio denaro in diverse quote e investire ogni quota in uno strumento diverso per rischio e rendimento in modo da ottenere rendimenti medi interessanti senza correre rischi eccessivi.
Investire in titoli di Stato rende poco ma è sicuro?
L’investimento in titoli di Stato è tra quelli meno rischiosi soprattutto a livello di emittente ma bisogna intanto differenziare attentamente l’affidabilità tra Stato e Stato (vedi il caso Grecia) e poi occorre comunque prestare attenzione a quale strumento compriamo e con quale durata: acquistare un Btp, strumento a reddito fisso, con durata trentennale ha un potenziale rischio (di rialzo dei tassi che può comportare perdite in caso di vendita anticipata o in termini di differenziale di rendimento) che si può avvicinare all’investimento azionario, mentre comprare un Bot a scadenza tre\sei mesi comporterà un rendimento inferiore ma rischi vicini a zero. Anche in questo caso a rendimenti maggiori corrispondono sempre maggiori rischi (di emittente, di durata, di tasso, etc...): il tasso di rendimento è un indicatore importante, anche se non deve essere il solo, del rischio che ci stiamo assumendo ad investire in un determinato strumento.
8Tabella riepilogativa dei guadagni e delle perdite derivanti dalle diverse scelte di investimento e relativo grado di avversione al rischio:
A seconda dell’investimento preferito dallo studente si può conoscere
il suo grado di avversione al rischio.
Per complicare le cose sappiamo che esiste sempre l’inflazione che
riduce i rendimenti reali rispetto a quelli nominali che abbiamo visto
in precedenza: lo stesso esperimento tenendo conto di un tasso
di inflazione al 2% fa si che i rendimenti reali siano ridotti di 2 punti
percentuali.
Tabella riepilogativa con rendimenti reali dell’investimento scelto:
In tale situazione chi aveva scelto i titoli di stato conferma la sua scelta
anche con tali rendimenti reali o è disposto a rischiare un po’ di più per
cercare di aumentare il potere d’acquisto dei propri risparmi rischiando
però anche una perdita sostanziosa in caso di andamento negativo del
marcato mobiliare?
Attenzione: l’esperimento è da riprovare con soldi veri, è molto più
veritiero!Ris
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8 Andamento mercati
Scelta
Max guadagno Max risultato negativo Avversione al rischio investitore
Titoli azionari 100% 120 80 Minima avversione al rischio
Titoli di stato 100% 101 100 Massima avversione al rischio
50% azioni e titoli di stato
109,50 89 Media avversione al rischio
Andamento mercati
Scelta
Max guadagno Max risultato negativo Avversione al rischio investitore
Titoli azionari 100% 118 78 Minima avversione al rischio
Titoli di stato 100% 101 100 Massima avversione al rischio
50% azioni e titoli di stato
109,50 89 Media avversione al rischio
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Mercato degli strumenti finanziaridi Alberto Banfi9
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di Spoleto con quel misero 3 per cento. E così il listino di Milano si trova popolato da fantasmi. Titoli che
esistono solo sulla carta. Spesso non presi in considerazione dagli investitori perché piccoli e spesso illiquidi.
Tutti i rischi dell’illiquidità
Quello della liquidità, della possibilità cioè di entrare e uscire facilmente da un investimento, è il vero grande
problema di un mercato efficiente. I grandi investitori professionali (fondi comuni, fondi pensioni, assicurazioni)
hanno regole stringenti. Un titolo si compra se ha flottante adeguato e ha scambi decenti. Troppo pericoloso
entrare su un titolo dormiente. Pochi acquisti o poche vendite rischiano di far impennare o cadere il prezzo
all’inverosimile e c’è sempre il rischio di non trovare un compratore al momento opportuno. Una prova? Le
Olidata sono schizzate in settimana di oltre il 60%. Rumor, notizie, eventi eclatanti. Forse. Sta di fatto che il
titolo capitalizza solo 20 milioni di euro. Strappi così pronunciati avvengono più facilmente sui titoli sottili.
Che è l’altra caratteristica del mercato italiano. Oltre ai titoli fantasma ci sono i micro-titoli e a volte le due
categorie finiscono per sovrapporsi. A Piazza Affari sono oltre 40 le società le cui azioni capitalizzano meno
di 30 milioni di euro. Se si pensa poi che l’azionista di controllo spesso possiede ben oltre il 50% dei titoli
si finisce per avere titoli sul mercato che hanno azioni scambiabili per solo il 10-20% dell’intero ammontare.
Quei 30 milioni di capitalizzazione virtuale diventano per il mercato poco meno di 10 milioni effettivamente
trattabili. E così Piazza Affari appare un listino sempre più polarizzato. Poche blue chip fanno da sole il
mercato. Basti pensare che i primi cinque titoli del listino milanese assommano quasi la metà dell’intero
valore del mercato. La sola Eni con i suoi 62 miliardi di capitalizzazione vale oltre il 14% della capitalizzazione
di Piazza Affari. UniCredit ed Enel insieme totalizzano il 17% del mercato. Se si aggiungono Intesa Sanpaolo
e Generali ecco che il pieno è fatto. I due colossi energetici e le banche sono l’anima del listino milanese. Se
si muovono loro, si muove l’intero mercato. All’estremo opposto la palude dei titoli addormentati.
Appunti
9
Società «congelate». Il listino italiano è pieno di titoli che non realizzano scambi adeguati
per un mercato efficiente
Ecco i fantasmi di Piazza Affari
Da Boero a Ciccolella alla Popolare di Spoleto: le 50 azioni in profondo sonno
- ILLIQUIDI E SOTTILI
Per i gestori queste imprese di fatto non esistono. Troppi i rischi di non poter entrare e
uscire a piacere dall’investimento.
- POCHI GRANDI
Situazione polarizzata: da un lato realtà piccole e frammentate, dall’altro i primi cinque big
che fanno metà del valore.
Il suo nome campeggia tutti i giorni sul listino di Borsa, come del resto per ogni altro titolo
quotato a Piazza Affari. Ma per Boero Bartolomeo si tratta solo di un nome. Dietro c’è il
nulla, dato che l’interesse degli investitori è ridotto a zero.
Nei primi sette mesi del 2010 il titolo Boero ha visto scambiare solo lo 0,07% della sua
capitalizzazione di mercato.
Detta meglio, Boero vede scambiare il suo titolo per un controvalore medio giornaliero
di 231 euro, niente di più del costo di un paio di giorni di vacanza per una famiglia media.
Un pò poco per un titolo quotato in Borsa. Il problema è che di Boero sul listino milanese
ce ne sono molti. Troppi. Basti pensare all’Aeroporto di Firenze. Bella società: gestisce lo
scalo cittadino in regime di monopolio. Eppure la sua appetibilità è irrisoria. Dall’inizio
dell’anno ha visto passare di mano solo l’1% del suo valore. L’elenco delle società che sono
in profondo letargo a Piazza Affari è lungo e fitto. Ben 50 titoli sui circa 300 dell’intero
listino vedono passare di mano le proprie azioni per meno del 10% del loro valore di
mercato. E un’altra trentina di società arriva a malapena a un rapporto di turnover del 20%.
L’anomalia Caltagirone
Ci sono poi i casi eclatanti di un intero gruppo, quello della famiglia Caltagirone con i titoli
a sonnecchiare: Vianini Industria vede contrattazioni sui suoi pezzi per solo il 3,4% del
suo valore di mercato. La Caltagirone editore ha scambiato da inizio anno poco più del
7% della sua capitalizzazione; Vianini Lavori il 9,3%; la capogruppo solo il 3,5%. Un vero e
proprio inno all’inutilità della Borsa come mercato dove si incontrano domanda e offerta.
E che dire della Ciccolella con scambi pari a meno del 7% suo capitale; o la Iw bank ferma
al 4,8 per cento? E con quest’ultima altre piccole banche: da Finnat che evidentemente
suscita interesse solo alla ristretta cerchia della famiglia Nattino con quel risibile 7,2% di
controvalori comprati e venduti. Alla Banca Intermobiliare inchiodata al 9% o alla Popolare
29 Agosto 2010
RISPARMIO & FAMIGLIAdi Fabio Pavesi
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 9A tale proposito l’autore dell’articolo specifica che 5 società quotate nel MTA (Eni, Enel,
Unicredit, Intesasanpaolo e Generali) da sole dispongono di una capitalizzazione di Borsa
che rappresenta circa il 40% della capitalizzazione di tutte le circa 300 società quotate.
Questo dato dimostra che le prime 5 società per capitalizzazione presentano azioni che
potenzialmente sono molto più liquide del resto delle azioni che compongono il listino di
Borsa (delle quali ben 40 hanno capitalizzazione inferiore a 30 milioni di euro, contro i 62
miliardi di euro della capitalizzazione del solo titolo Eni).
L’altro elemento oggettivo di illiquidità di molte azioni è dato dal controvalore del flottante,
dove per flottante si intende quella percentuale delle azioni di una società che possono
essere potenzialmente oggetto di scambio nel mercato: in altre parole, se la capitalizzazione
di Borsa rappresenta il controvalore del 100% delle azioni che costituiscono il capitale di
una società, il flottante rappresenta il controvalore delle azioni di quella società oggetto
di possibile negoziazione sul mercato in quanto non sono stabilmente detenute da coloro
che hanno il controllo o dispongono di una quota rilevante del capitale della società:
nell’esperienza italiana, il flottante è contenuto e solitamente pari – in media – a circa il
20-30% del capitale di una società.
È evidente che se accanto ad una capitalizzazione di Borsa molto bassa (come nel caso
della cinquantina di società richiamate nell’articolo) si accompagna anche un controvalore
del flottante altrettanto modesto, tali azioni non possono che essere identificate come
azioni “sottili” per le quali il livello di negoziabilità è talmente modesto da definirle
assolutamente illiquide.
Al riguardo, l’autore dell’articolo – attraverso alcuni esempi – rileva come sia altamente
pericoloso investire in un titolo sottile in quanto acquisti e vendite di tali azioni anche per
modesti controvalori potrebbero determinare forti oscillazioni (al rialzo o al ribasso) delle
loro quotazioni.
Di conseguenza i titoli illiquidi non attraggono alcun interesse da parte dei potenziali
investitori e tanto meno da parte degli investitori istituzionali (fondi comuni di investimento,
fondi pensione, compagnie di assicurazione, ecc.) i quali sono interessati ad investire
somme considerevoli e pertanto non possono che rivolgersi esclusivamente a quelle
azioni con adeguati (ossia elevati) livelli di liquidità e pertanto facilmente negoziabili sul
mercato in qualunque momento.
Nell’articolo si parla allora di azioni “fantasma” perché pur essendo quotate nel MTA sono
di fatto ignorate dagli investitori e dunque non sono rappresentative del mercato italiano
di Borsa e, ovviamente, finiscono con il danneggiarne il livello di efficienza in quanto
il numero di azioni effettivamente scambiabili e a condizioni di prezzo coerenti sono
relativamente poche. Ciò quindi non fa altro che confermare la “storica” marginalità della
Borsa italiana rispetto alle borse dei principali Paesi industrializzati, e non solo.
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9Nell’articolo viene presentato un aspetto specifico del funzionamento del
mercato secondario degli strumenti finanziari prendendo come riferimento
il problema della liquidità delle azioni negoziate in Borsa. La liquidità è infatti
uno dei principali requisiti che un mercato deve assicurare agli strumenti
finanziari che in esso vengono negoziati dal momento che quanto più
uno strumento finanziario è liquido tanto più agevole è lo scambio dello
stesso tra i suoi potenziali acquirenti e venditori; non solo, alla liquidità si
accompagna anche una più agevole ed efficiente formazione del prezzo
dello strumento finanziario negoziato.
È indispensabile, quindi, che affinché un mercato secondario sia il più
possibile efficiente siano riscontrabili livelli elevati della “liquidità” degli
strumenti finanziari in esso scambiati, dal momento che essa rappresenta
l’essenza stessa del mercato secondario.
La liquidità di uno strumento finanziario dipende da situazioni oggettive
che caratterizzano ciascun strumento finanziario come pure da situazioni
ad esso esterne.
Nell’articolo si fa presente che per un’azione essere quotata in Borsa
non significa essere automaticamente dotata di liquidità (e quindi essere
maggiormente appetibile per i risparmiatori). Infatti, l’articolo riporta come
su circa 300 azioni ammesse alle negoziazioni presso il MTA di Borsa
Italiana ve ne siano almeno una cinquantina che risultano “illiquide” non
dando origine di fatto a scambi (se non talvolta in modo intermittente e per
controvalori irrisori) nel corso delle sedute di Borsa.
Tale illiquidità si manifesta quando risultano inadeguati due importanti
requisiti che contraddistinguono le azioni quotate: la “capitalizzazione di
Borsa” e il “flottante”. La capitalizzazione di Borsa è da intendersi come un
indicatore della dimensione di una società quotata essendo pari al prodotto
tra il numero delle azioni che costituiscono il capitale sociale della società
e la sua quotazione: è evidente che quanto più una società è di dimensioni
rilevanti (ossia dispone di un elevato capitale sociale) e quanto più elevate
sono le sue quotazioni, tanto maggiore è la sua capitalizzazione di Borsa
e di conseguenza la sua capacità di attrarre scambi (anche per importi
elevati) da parte dei risparmiatori, senza che tali scambi incidano in modo
anomalo sulla fluidità delle contrattazioni e sul livello delle quotazioni. Se,
invece, la capitalizzazione di una società è bassa sono particolarmente alte
le probabilità che le sue azioni siano illiquide perché non è possibile una loro
agevole negoziazione sul mercato, a meno di rilevanti e anomale variazioni
delle quotazioni.
La schedadi Alberto Banfi
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 9Di conseguenza si è soliti distinguere i mercati in relazione alla tipologia degli strumenti
finanziari/valori mobiliari in essi scambiati. In tali mercati operano degli intermediari il
cui compito principale consiste nell’agevolare l’emissione e la successiva negoziazione di
strumenti finanziari. Ciò presuppone il loro intervento sia nel comparto del mercato in cui
hanno luogo le emissioni di strumenti finanziari (il mercato primario) sia in quello destinato
alla loro successiva negoziazione (il mercato secondario). Pertanto, il mercato primario
individua quel complesso di operazioni attraverso le quali il pubblico dei risparmiatori
sottoscrive strumenti finanziari di nuova emissione contro il versamento, a favore
dell’emittente, di mezzi finanziari; il mercato secondario, invece, individua il complesso di
negoziazioni su strumenti finanziari già in circolazione e collocati presso il pubblico dei
risparmiatori.
Da tale distinzione si rileva che il mercato primario svolge prevalentemente la funzione
di finanziamento (a titolo di debito o a titolo di capitale) degli emittenti di strumenti
finanziari, mentre il mercato secondario svolge prevalentemente la funzione di facilitare gli
investimenti e i disinvestimenti di strumenti finanziari da parte dei risparmiatori, favorendone
la liquidabilità. In altri termini, le operazioni effettuate nel mercato primario alimentano il
mercato degli strumenti finanziari in quanto determinano l’immissione di “nuovi” strumenti
finanziari, mentre le operazioni effettuate nel mercato secondario, avendo per oggetto
“vecchi” strumenti finanziari – cioè già precedentemente immessi nel mercato attraverso
operazioni di mercato primario – ne incrementano il grado di liquidabilità.
L’emissione di strumenti finanziari (ossia l’attivazione di operazioni di mercato primario)
può avvenire secondo differenti modalità in relazione alla struttura stessa del procedimento
di emissione seguito dall’emittente, nonché sulla base delle caratteristiche economico-
tecniche degli strumenti finanziari da emettere. È qui solo il caso di ricordare che tra le
principali tecniche di emissione le più note e utilizzate sono rappresentate dalle aste per
l’emissione dei titoli di Stato, dal collocamento di titoli di debito mediante l’intervento
di consorzi di intermediari finanziari appositamente costituiti, nonché dalle operazioni di
aumento del capitale sociale per l’emissione di azioni.
Il mercato secondario degli strumenti finanziari può assumere differenti configurazioni in
relazione alla tipologia di contratti e strumenti negoziati e alle modalità di svolgimento
delle negoziazioni: infatti, si può preliminarmente distinguere tra mercati regolamentati
(si pensi in primis alla Borsa) e mercati non regolamentati (dove, per i primi, esistono
modalità di negoziazione standardizzate e strutture organizzative assoggettate a
specifiche discipline), e mercati dotati di differenti livelli di supporto tecnologico
all’effettuazione delle negoziazioni. L’evoluzione delle strutture operative dei mercati
secondari è importante per capirne l’attuale assetto e ipotizzare gli sviluppi futuri.
Infatti, inizialmente (e probabilmente non poteva che essere così dato il livello alquanto
limitato delle infrastrutture tecnologiche) i mercati prevedevano la concentrazione degli
operatori in un luogo fisico nel quale avevano luogo le negoziazioni. È così che sono nate
le Borse Valori le quali, però, a seconda dell’esperienza maturata nei rispettivi Paesi di
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9Cos’è il mercato degli strumenti finanziari e cosa fanno gli intermediari che vi operano
Il mercato degli strumenti finanziari e la Borsa
Il sistema finanziario può essere definito come l’insieme degli organismi,
degli strumenti e delle tecniche che favoriscono il trasferimento di mezzi
finanziari dagli operatori (o settori) che presentano un avanzo finanziario –
ossia spendono in atti di consumo e di investimento in beni reali meno del
loro reddito – agli operatori (o settori) che evidenziano, invece, un disavanzo
finanziario – ossia spendono in atti di consumo e di investimento in beni reali
più del loro reddito. È compito del sistema finanziario agevolare la raccolta
delle risorse finanziarie eccedenti dagli operatori (o settori) in surplus e la
loro redistribuzione agli operatori (o settori) in deficit.
Poiché il trasferimento di mezzi finanziari da un settore all’altro, o per
meglio dire da un soggetto in avanzo finanziario ad un altro soggetto
in disavanzo finanziario, può avvenire direttamente ovvero attraverso
l’intervento di un intermediario finanziario (spesso di natura creditizia), si
è soliti parlare di intermediazione diretta quando offerenti e richiedenti
fondi si incontrano direttamente (ad esempio sottoscrivendo l’emissione di
obbligazioni); quando, invece, è necessario l’intervento di un terzo operatore
– l’intermediario appunto – che si frappone fra l’offerente e il richiedente
fondi, si è soliti parlare di intermediazione indiretta.
Presupposto affinché si realizzi un processo di intermediazione diretta è
la perfetta coincidenza di interessi tra offerente e richiedente fondi con
riferimento alla natura del finanziamento, alla sua durata, alla remunerazione
pattuita, al rimborso del capitale, e così via. Dal momento che l’incontro
diretto tra offerente e richiedente fondi non è sempre agevole in quanto le
esigenze dell’uno sono spesso divergenti da quelle dell’altro, rapporti del
genere si instaurano quasi esclusivamente con riferimento alle emissioni di
strumenti finanziari (si pensi alle obbligazioni emesse dalle imprese oppure ai
titoli di Stato emessi dal Tesoro), i quali vengono a rappresentare il rapporto
tra le parti (ossia tra l’emittente, che in tal modo raccoglie risorse finanziarie,
e i sottoscrittori degli strumenti finanziari, che in tal modo investono i loro
risparmi). Tali strumenti hanno l’attitudine di circolare facilmente tra gli
operatori essendo dotati di un elevato grado di mobilità e trasferibilità tanto
da essere denominati anche valori mobiliari. Essi possono rappresentare un
rapporto di debito/credito tra offerente e richiedente mezzi finanziari (ad
esempio le obbligazioni o i titoli di Stato), come pure essere rappresentativi
di un rapporto di partecipazione diretta dell’offerente fondi nella gestione
dell’attività svolta dal richiedente fondi (si pensi ai titoli azionari).
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 9in cui tutti gli operatori interessati allo scambio di strumenti
finanziari agiscono nel rispetto delle regole definite dagli
organizzatori del mercato in modo certo e non modificabile
discrezionalmente, tali da portare alla conclusione di un
contratto. Attualmente in Italia sono autorizzati ad operare
circa una decina di sistemi multilaterali di negoziazione.
Infine, per “internalizzatore sistematico” si intende un
intermediario (solitamente una banca) autorizzato al quale
viene riconosciuta la possibilità di “internalizzare” gli ordini
di compravendita della clientela: ciò significa che esso li
può eseguire in contropartita diretta della propria clientela
senza indirizzarli verso gli altri mercati in cui tali strumenti
finanziari sono negoziati (ed in special modo verso i mercati
regolamentati).
Per concludere si può affermare che i mercati degli strumenti
finanziari hanno due importanti funzioni: da un lato, favorire
la raccolta di risorse finanziarie direttamente tra emittenti
e risparmiatori attraverso appunto l’emissione di strumenti
finanziari (obbligazioni, titoli di Stato, azioni, ecc.), e,
dall’altro, favorire la negoziazione di tali strumenti presso i
risparmiatori per consentire loro di smobilizzare i propri
investimenti o effettuarne di nuovi. Tutto ciò può avvenire
perché nel mercato sono presenti gli intermediari finanziari
(e in particolare le banche) che offrono il loro supporto sia
nella fase di emissione degli strumenti finanziari (agevolando
il collegamento tra emittenti e risparmiatori, nonché
sottoscrivendo essi stessi gli strumenti che vengono emessi)
e sia nella fase di negoziazione nel mercato secondario
(raccogliendo gli ordini di acquisto e di vendita della propria
clientela canalizzandoli nei vari sistemi di negoziazione
per consentire la conclusione dei contratti, come pure
organizzando e gestendo talvolta dei veri e propri sistemi di
negoziazione alternativi al mercato di Borsa).
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9origine, hanno assunto la veste di borse private (ossia nate per iniziativa
di intermediari specializzati che hanno deciso di dedicarsi a tale forma
di negoziazione di strumenti finanziari) come nel caso del Regno Unito e
degli Stati Uniti, ovvero la veste di istituzioni pubbliche come nel caso delle
borse dell’Europa continentale, tra cui anche le borse che si costituirono in
Italia. Successivamente, grazie allo sviluppo della tecnologia, è diventato
sempre meno indispensabile l’incontro fisico degli operatori ammessi alle
negoziazioni in Borsa in quanto il mercato è diventato via via un luogo
virtuale al quale gli operatori accedono telematicamente: da qui la nascita
e lo sviluppo delle borse telematiche costituite da una rete di workstations
in cui gli operatori inseriscono gli ordini di acquisto e di vendita di strumenti
finanziari provenienti dalla clientela.
Un ulteriore sviluppo ha portato all’attivazione di circuiti telematici di
negoziazione in concorrenza tra di loro e alternativi ai tradizionali mercati di
Borsa; tali circuiti sono stati costituiti con l’obiettivo di fornire un sistema più
efficiente di formazione dei prezzi e di generazione degli scambi di strumenti
finanziari. In estrema sintesi, l’evoluzione delle tecniche di negoziazione ha
determinato la realizzazione di un mercato secondario rappresentato dalla
coesistenza sia di mercati “regolamentati” e sia di altri mercati ad essi a
latere. Si è giunti pertanto alla definizione del mercato secondario come
un insieme di mercati costituiti da mercati regolamentati (ciò che una volta
erano le “tradizionale” Borse Valori) e da mercati ad essi alternativi. Stanti
le attuali disposizioni di legge comunitarie, è possibile individuare e definire
il mercato regolamentato e due categorie di mercati alternativi: i sistemi
multilaterali di negoziazione e gli internalizzatori sistematici.
Per “mercato regolamentato” è dunque da intendersi un mercato
autorizzato (dall’autorità di vigilanza) caratterizzato da regole e modalità
di negoziazione definite in modo chiaro e preciso, che deve dar luogo a
contratti giuridicamente vincolanti, che deve avere per oggetto lo scambio
di strumenti finanziari ammessi alle negoziazioni (il listino) secondo modalità
appositamente definite e che deve funzionare regolarmente.
Ad esempio, in Italia il Mercato Telematico Azionario (MTA) gestito da
Borsa Italiana è il mercato regolamentato più importante per lo scambio
di titoli azionari. Al proprio interno, poi, il MTA prevede una sua ulteriore
segmentazione in funzione delle caratteristiche delle azioni che sono
negoziate: in primis, tale segmentazione tiene conto della dimensione delle
società ammesse alle negoziazioni (misurata attraverso la capitalizzazione
di Borsa) e del grado di liquidità delle azioni misurato dal volume degli
scambi potenzialmente generabili nel mercato.
Per “sistema multilaterale di negoziazione” si intende un mercato alternativo
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE 9Per fare questo sono necessarie le fonti pubbliche della Banca d’Italia (facilmente reperibili)
dalle quali procedere con l’individuazione dell’entità delle emissioni di titoli di Stato (magari
suddividendole per tipologia di strumento: bot, btp, etc), di titoli di debito emessi da
imprese (le obbligazioni tradizionali o con particolari caratteristiche) e di titoli azionari (di
società quotate e non). Questo lavoro darebbe la dimensione del mercato primario nel
nostro Paese, mentre le tracce precedenti darebbero un insieme del mercato secondario.
FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Quali sono le principali tecniche di emissione di strumenti finanziari e perché è importante il ruolo che può essere assunto dagli intermediari finanziari?
L’emissione di strumenti finanziari (ossia l'attivazione di operazioni di mercato primario) può avvenire secondo differenti modalità in relazione alla struttura stessa del procedimento di emissione seguito dall'emittente, nonché sulla base delle caratteristiche economico-tecniche degli strumenti finanziari da emettere. Le tecniche di emissione più note e utilizzate sono rappresentate dalle aste per l’emissione dei titoli di Stato, dal collocamento di titoli di debito mediante l’intervento di consorzi di intermediari finanziari appositamente costituiti, nonché le operazioni di aumento del capitale sociale per l’emissione di azioni. In tutte queste tecniche gli intermediari finanziari svolgono diversi ruoli (tutti finalizzati all’emissione e alla sottoscrizione dei titoli) quali partecipare alle aste dei titoli di Stato per conto della propria clientela, costituire consorzi per agevolare il collocamento dei titoli in emissione presso i risparmiatori ed, eventualmente, sottoscriverli direttamente.
Che caratteristiche deve avere un mercato per essere definito “regolamentato”?
Un mercato per essere definito regolamentato deve essere iscritto in un apposito elenco tenuto dalla Consob (ossia l’organo di vigilanza sul funzionamento dei mercati), deve funzionare in modo regolare, deve essere disciplinato da norme specifiche con riferimento alle condizioni di funzionamento e di accesso al mercato, deve richiedere agli intermediari il rispetto di obblighi di trasparenza e di informativa su prezzi fatti e sui volumi degli scambi, e deve essere gestito da una società di gestione in forma di SpA.
Tutte le azioni possono essere ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato?
In un mercato regolamentato sono ammesse alla quotazione le azioni di quelle società che rispettano determinati requisiti. Ad esempio, nel caso del MTA di Borsa Italiana, sono previsti i seguenti due requisiti riferiti alla società (chiusura di almeno tre esercizi con i relativi bilanci, di cui l’ultimo certificato, e capacità della società di svolgere un’attività in grado di generare ricavi in autonomia gestionale, ossia senza dipendere dai risultati di un’altra società), e i seguenti due requisiti riferiti alle azioni della stessa società (capitalizzazione di Borsa prevedibile di almeno 40 milioni di euro e flottante pari al 25% del capitale della società).
Perché è importante che gli strumenti finanziari (obbligazioni, titoli di Stato, azioni, ecc.) siano dotati di liquidità?
Perché la liquidità è l’attitudine dello strumento a circolare nel mercato e tanto più un titolo è liquido e tanto più facilmente è possibile scambiarlo tra acquirenti e venditori, anche a corrette condizioni di prezzo. Quali sono i principali investitori istituzionali e quali tipologie di investimento preferiscono?Nell’esperienza italiana i principali investitori istituzionali sono rappresentati dai fondi comuni di investimento, dai fondi pensione e dalle compagnie di assicurazione. Anche le banche possono assumere il ruolo di investitore istituzionale nel momento in cui investono in strumenti finanziari destinati all’inserimento nel loro portafoglio di proprietà. In relazione alla propria specifica natura, gli investitori istituzionali possono investire in tutte le tipologie di strumenti finanziari; sicuramente, però, i loro investimenti sono per importi considerevoli.
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cato
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nzi
ari
9Traccia per l’attività in classeLa negoziabilità dei titoli azionari
Si potrebbero recuperare i dati (da varie pubblicazioni in Borsa Italiana) con
il volume di scambi di un gruppo (o la totalità delle azioni negoziate) per
stimare il livello di negoziabilità; probabilmente ci sono già delle statistiche
pre elaborate e da queste si può prendere spunto. Si potrebbe immaginare
di individuare qual’è la quota di azioni per le quali non si hanno scambi o
sono entro un ammontare minimo e quindi stimare il livello di azioni con
poca appetibilità.
La distinzione delle società quotate per capitalizzazione
Sempre da dati pubblici, distinguere il listino di Borsa in funzione dell’entità
della capitalizzazione di Borsa delle società quotate e pervenire così ad
una segmentazione per “dimensione”; tale analisi potrebbe essere condotta
suddividendo anche le società per settore di attività (assicurazioni, banche,
imprese industriali, servizi, etc) e quindi capire quali società e di quale
settore di attività sono di maggiore o minore dimensione borsistica.
Analisi incrociata tra capitalizzazione di Borsa e negoziabilità
Partendo dai risultati delle due tracce precedenti, si potrebbe vedere se esiste
e per quali società un correlazione tra livello dimensionale e negoziabilità
dei titoli. Anche in questo caso i dati sono pubblici e le elaborazioni possono
essere riferite sia all’intero mercato (o parte di esso) e sia a settori di attività
economica dello stesso.
La negoziabilità e la dimensioni borsistica delle società di più recente ammissione alla quotazione
L’insieme delle elaborazioni viste nelle tracce precedenti potrebbero essere
da guida per verificare se cambia qualcosa riferendosi alle società di più
recente quotazione. Per sapere quali sono questa società basta controllare
sul sito di Borsa Italiana
La raccolta di capitali in Borsa
Una interessante elaborazione potrebbe essere quella di verificare quanto
denaro è stato raccolto (sottoforma di aumenti di capitale e di altre
emissioni) dalle società quotate in Borsa: anche in questo caso si potrebbe
distinguere per settori di attività e per società complessive e società di più
recente ammissione alla quotazione.
Il mercato primario in ItaliaQuest’ultima traccia potrebbe portare gli studenti a verificare qual’è l’entità
di denaro raccolto dai vari emittenti di titoli in un Paese evoluto come l’Italia.
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Previdenzadi Enrico Castrovilli10
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segnala un avanzo di cassa positivo per oltre 3,2 miliardi di euro. E il sistema previdenziale nel suo complesso
rassicura i cittadini circa le prestazioni di cui hanno diritto. Ma questo non può dirci nulla sull’entità della
singola pensione: dipenderà dal monte contributivo personale. Infatti mi sembra poco pertinente il periodico
appello a nuovi patti generazionali: si potevano evocare nei tempi del «retributivo», non più oggi. Ciascuno è
diventato protagonista della sua propria storia previdenziale. Oltre alle norme e alle riforme, sul fronte delle
pensioni molto si dovrà fare sulla cultura previdenziale.
L’importanza del riscatto della laurea, appena conseguita; il valore del sistema dei voucher che consentono
di accumulare contribuzione anche per quelli che una volta erano definiti “lavoretti”, remunerati quasi
sempre in nero; il doveroso impegno contro ogni forma di lavoro nero o sommerso, non solo per evitare
sfruttamento o evasione dell’obbligo contributivo, ma per assicurare futuro a chi lavora. La battaglia per la
legalità coincide con quella dell’interesse individuale. Sul sistema previdenziale tuttavia non siamo all’anno
zero, il futuro è già iniziato. Bisogna imparare a riconoscerlo.
Appunti
«Spingere la società italiana a lavorare sul proprio futuro»: l’esortazione con cui Mario
Monti concludeva l’articolo sul «Corriere della Sera» del 25 luglio non è solo condivisibile. È
un dovere per tutti quelli che hanno a cuore la propria famiglia e il proprio Paese. Guardare
al futuro, tuttavia, non vuol dire sempre guardare «oltre». Il futuro inizia dal presente e nel
nostro attuale presente qualche segnale di solida attenzione per il domani è già stato
scritto a proposito delle pensioni.
Dalla presidenza del più grande istituto previdenziale europeo, l’Inps, mi sembra giusto
sottolinearlo, per sottrarre l’argomento al puro dibattito politico, che non mi compete.
Sulle pensioni il Parlamento ha assunto una prospettiva opposta a quella paventata da
Sergio Romano e rievocata dall’articolo del professor Monti: «Nell’orizzonte dell’attenzione
nazionale c’è spazio soltanto per quello che potrebbe accaderci qui e ora». È pur vero
che talvolta il futuro non si presenta nei modi e nelle forme in cui ce lo aspettiamo o in
cui ci sarebbe piaciuto vederlo. Sostenere che intorno al 2050 - quarant’anni sono poca
cosa per l’orizzonte previdenziale - si andrà in pensione ad un’età prossima ai 70 anni,
potrà essere un futuro non gradito, ma perfettamente in linea con l’incremento dell’età
media della popolazione. Ed è un investimento per costruire il nostro futuro. La riforma
delle pensioni è un argomento che ci ha accompagnato negli ultimi due decenni. Come
un mantra si è ripetuto che occorreva procedere a una strutturale risistemazione del
sistema previdenziale. Dal 1992 si sono susseguiti sei interventi di parziale riforma (Amato,
Dini, Prodi, Maroni, Prodi-Damiano, per arrivare alla legge 102 del 2009) e una ventina di
ulteriori interventi normativi prima di arrivare al decreto legge n.78 convertito nella legge
122/2010.
Oggi la riforma delle pensioni è un fatto compiuto. Ed è probabilmente la più coerente e
stabile del panorama europeo. L’età legale si aggancia all’aspettativa di vita, in modo equo
ed elastico. Il momento della riscossione del diritto conseguito è lievemente differito nel
tempo per raffreddare progressivamente la temperatura finanziaria del sistema, che nei
prossimi dieci anni - grazie alla riforma appena approvata - dovrebbe risparmiare almeno
35 miliardi di euro.
Ma il futuro non richiede solo norme e riforme. Mi capita spesso di sentirmi rivolgere, con
scetticismo, la domanda delle domande: ma io avrò la pensione? Non sono solo i giovani
a porre la questione. La pensione è certa, certissima, è garantita dallo Stato. Ma la sua
consistenza dipende dai contributi versati nel corso dell’attività lavorativa di ciascuno. Il
sistema contributivo ha sostituito ormai quello retributivo. La portata della riforma appena
approvata si inserisce in questo orizzonte.
Come ho detto qualche mese fa illustrando il rapporto annuale dell’Inps a Montecitorio,
i conti dell’Istituto sono in regola. Il bilancio consuntivo 2009 approvato in questi giorni
05 Agosto 2010
LE PENSIONI? CERTE, MA L’ASSEGNO DIPENDE DA VOIdi Antonio Mastrapasqua, presidente Inps
L’articoloP
rev
iden
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10Corriere della Sera
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L’assistenza invece offre interventi a coloro che si trovano in uno stato di bisogno, come
nei casi delle pensioni sociali agli indigenti, le assistenze agli invalidi civili, le tutele delle
vittime di calamità naturali. Essa viene erogata dallo Stato, da enti pubblici o privati senza
che siano stati versati contributi obbligatori finalizzati a questi interventi, è finanziata dalla
fiscalità generale, le imposte pagate dai cittadini allo Stato o dalle donazioni al settore non
profit.
La Costituzione sottolinea il diritto alla previdenza e all’assistenza sociale nell’articolo 38:
“Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al
mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze
di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria …”
Le pensioni assorbono il 60% della spesa sociale del nostro Paese, la spesa sanitaria il 24%
e l’assistenza solo l’8%. Le pensioni sono un elemento di grande importanza nella vita di
una società, offrono un sostegno economico quando nella vita l’attitudine al lavoro lascia
il passo a una fase della vita non più collegata al lavoro o a una professione.
2. PERCHÉ SONO STATE CAMBIATE LE PENSIONI E PERCHÉ SI ANDRA’ IN PENSIONE
PIU’ TARDI
“… intorno al 2050 … si andrà in pensione ad un’età prossima ai 70 anni … perfettamente in linea con l’incremento dell’età media della popolazione … Oggi la riforma delle pensioni è un fatto compiuto.”
Vediamo come funzionano le pensioni pubbliche erogate dall’INPS e perché nei prossimi
decenni si andrà in pensione ad un’età più avanzata dell’attuale. Il sistema pensionistico dei
lavoratori dipendenti è obbligatorio ed è basato sul principio finanziario della ripartizione,
vale a dire che i contributi versati dai lavoratori in attività vengono utilizzati per pagare i
pensionati, attuando un meccanismo collettivo di redistribuzione del reddito tra generazioni
diverse. È cruciale che la somma totale dei contributi che vengono versati all’INPS dai
lavoratori attivi conservi nel tempo un equilibrio con la somma totale che l’INPS deve
pagare ai pensionati.
Ma da quando negli ultimi decenni l’Italia è diventata il Paese più anziano del mondo
assieme al Giappone, l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico ha iniziato a venir
meno, a causa di due fondamentali fattori demografici:
• il prolungamento della speranza di vita ha aumentato le pensioni da pagare, dato che
è aumentata la durata media degli anni di vita dei pensionati;
• il calo del tasso di fecondità (il numero dei nati in rapporto all’ammontare della
popolazione femminile in età feconda) ha ridotto la popolazione in età lavorativa, che
così versa meno contributi all’INPS.
I contributi pensionistici sono diminuiti proprio mentre aumentavano le pensioni da
pagare. I deficit creatisi nei conti degli enti previdenziali pubblici non sono stati più ritenuti Pre
vid
enza
10Perchè un articolo sulla previdenza
Non è prematuro parlare con i giovani studenti di previdenza e pensioni, se
non hanno iniziato a lavorare e molti di loro non hanno cominciato a pensare
ad un proprio progetto di vita e professionale? Antonio Mastrapasqua,
presidente dell’INPS - il nostro principale istituto previdenziale - , pensa che
una buona cultura previdenziale aiuti ciascuno a compiere i passi giusti per
il proprio futuro. Niente di meglio che costruire a partire dagli anni scolari
una cultura nel campo della previdenza, come per tutti i saperi fondamentali
per la crescita dei giovani cittadini.
Per questi motivi viene dedicata questa scheda alla previdenza. Essa è
articolata in queste parti:
• offre una chiave di lettura dell’articolo
• propone alcune attività didattiche in classe
• mette a disposizione materiali di approfondimento
• indica FAQ e Link.
Chiave di lettura dell’articolo
1. COSA SONO L’INPS E LA PREVIDENZA SOCIALE
“… il più grande istituto previdenziale europeo,… l’INPS… ”
L’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale è un grande ente italiano
di diritto pubblico, fondato nel 1933 allo scopo della tutela previdenziale
della vecchiaia e dell’invalidità dei lavoratori dipendenti del settore privato
e dei lavoratori autonomi. I lavoratori pubblici sono tutelati da un altro
ente (INPDAP), altri enti ancora si occupano della previdenza di liberi
professionisti, lavoratori dello sport e dello spettacolo. All’INPS sono iscritti
circa il 70% di tutti i lavoratori italiani.
La previdenza sociale è imprescindibile nella vita moderna. Essa protegge
i lavoratori da eventi di carattere naturale o lavorativo, quali la necessità
di ricevere una pensione al termine del periodo della vita lavorativa per sé
o per i propri superstiti (come il coniuge, detta in questo caso pensione
di reversibilità) o che siano assicurati mezzi adeguati alle esigenze di vita
nel caso di un infortunio sul lavoro. Le prestazioni fornite dalla previdenza
sociale sono finanziate tramite i contributi versati dalle stesse categorie
che beneficeranno le prestazioni, dato che la loro futura entità può essere
prevista e calcolata sul piano statistico.
La schedadi Enrico Castrovilli
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
• moltiplicare il montante contributivo per appositi
coefficienti di trasformazione. I coefficienti aumentano
all’aumentare dell’età, la pensione aumenterà se ci si ritira
più tardi dal lavoro;
• finalmente trasformare sul piano finanziario il monte
contributivo in una equivalente rendita, che sarà la
pensione pagata per tutta la vita del pensionato.
Il calcolo con il monte contributivo è applicato ai lavoratori
assunti dopo il 1° gennaio 1996, mentre ai lavoratori assunti
precedentemente si applica ancora il metodo retributivo.
Una buona cultura previdenziale, ricorda Mastrapasqua, può
mettere i giovani in condizione di capire fin dall’inizio della
propria attività lavorativa l’importanza del monte contributivo
personale. Esso può aumentare riscattando gli anni di laurea,
accumulando i buoni o voucher del valore nominale di 10
€ (o multipli) che maturano facendo piccoli lavori regolari,
evitando i lavori in nero privi di ogni tutela previdenziale.
C’è però un’ultima decisiva questione. Il nuovo sistema
pensionistico contributivo pubblico sarà in grado di garantire
una pensione certa, ma sicuramente inferiore a quella del
precedente sistema retributivo. Non solo le pensioni saranno
godute in età più avanzata, ma saranno parecchio inferiori alle
attuali, in particolari per i lavoratori autonomi, professionisti
e coloro che lavorano con periodi di vuoto contributivo. Il
consiglio che gli esperti finanziari danno ai giovani è quello
di costruirsi assolutamente un secondo pilastro pensionistico
con la previdenza volontaria complementare.
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SITI E INFO PER APPROFONDIRE www.abi.itwww.ania.comwww.bancaditalia.itwww.assogestioni.itwww.consob.itwww.covip.itwww.inpdap.it www.inps.itwww.isvap.itwww.mefop.itwww.progetica.it
LA CATENA DELLE PAROLE CHIAVE
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Capitalizzazione, Interesse e MontanteContributo previdenzialeImposta Istat e EurostatLavoro subordinato e lavoro autonomoPIL ProbabilitàRedditoRenditaRischio RisparmioTassaTFR Trattato di Maastricht
Pre
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enza
10ammissibili nei Paesi europei aderenti al Trattato di Maastricht del 1992. I Paesi
che volevano utilizzare la moneta comune, l’Euro, hanno dovuto rimettere in
ordine i propri conti pubblici. L’architettura del sistema pensionistico è stata
così modificata negli anni ’90 in due punti fondamentali:
• il sistema a ripartizione è stato modificato da retributivo in contributivo.
Mentre nel sistema retributivo le pensioni erano pagate in relazione agli
stipendi degli ultimi anni di lavoro, circa l’80% dell’ultimo stipendio, nel
sistema contributivo la pensione diventa assai meno favorevole, venendo
a dipendere dai contributi versati dal lavoratore lungo tutto l’arco della
vita lavorativa;
• l’età del pensionamento è stata posticipata, in relazione alle crescenti
aspettative di vita. Fino a pochi anni fa era possibile ritirarsi dal lavoro a
55 o 57 anni, oggi l’età di inizio della pensione si sta spostando a dopo i
60 anni. Il presidente dell’INPS segnala che gli attuali trend demografici
porteranno a metà di questo secolo l’età della pensione vicina ai 70 anni.
Ma ora la riforma previdenziale è un fatto compiuto e i conti dell’INPS sono a
posto. Mastrapasqua ricorda con soddisfazione che il sistema previdenziale
italiano viene valutato tra i migliori del panorama europeo.
3. COME ESSERE PROTAGONISTI DELLA PROPRIA PREVIDENZA
“ … ma io avrò la pensione? .. dipenderà dal monte contributivo personale … molto si dovrà fare sulla cultura previdenziale …”
Tutti i lavoratori avranno quindi la pensione a cui avranno diritto in base alla
recenti riforme. La pensione sarà calcolata in base al monte contributivo
personale, non di più e non di meno. Ma cosa significa monte o montante
contributivo?
Occorre procedere a una serie di calcoli:
• individuare la retribuzione annua del lavoratore (dipendente o autonomo);
• calcolare la somma (detta contributo) che i lavoratori versano all’INPS,
moltiplicando la propria retribuzione annua per una certa aliquota (il 33%
i lavoratori dipendenti e il 20% i lavoratori autonomi). Due terzi circa del
contributo dei lavoratori dipendenti sono a carico del datore di lavoro e
un terzo circa è a carico del dipendente;
• determinare il montante contributivo individuale: esso si ottiene
sommando i contributi di ogni anno e rivalutandoli con il tasso annuo di
capitalizzazione derivante dalla variazione media quinquennale del PIL,
la ricchezza di un Paese. Così quando il PIL crescerà, anche le pensioni
cresceranno;
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Gli aspetti economici, retributivi e previdenziali del lavoro non possono mancare dal quadro
che si individua. Il proprio futuro implica pensare alla previdenza, non è bene correre il
rischio di sopravvivere al proprio reddito, che gli ultimi anni della vita diventino un periodo
di disagio economico. Una buona situazione previdenziale potrà rendere l’ultimo ciclo
della vita un periodo positivo, portatore di nuovi progetti ed esperienze.
La riforma previdenziale rende inevitabile posticipare l’uscita dal lavoro e ha ridotto gli
assegni pensionistici. Ma riprendendo il ragionamento di Mastrapasqua, non è forse meglio
vivere più a lungo iniziando più tardi l’età del meritato riposo dal lavoro, che non il suo
contrario? Naturalmente è possibile il comportamento della cicala, in questo caso bisogna
però essere consci del suo significato e pronti a sopportarne le conseguenze.
Possono essere proposte agli allievi due ultime aspetti:
• individua la tua tipologia di lavoro dipendente o autonomo ___________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
• descrivi i passi previdenziali che intendi compiere ___________________________________
____________________________________________________________________________________
____________________________________________________________________________________
È utile che il tema della previdenza sia monitorato nel corso dell’anno scolastico leggendo
altri articoli, testi, ragionando con attività online per tenere vivo il tema. Saper monitorare
un argomento è una competenza valida per tutti i progetti importanti si protraggono nel
tempo.
La riforma del sistema pensionistico
Vediamo le profonde evoluzioni avute dal sistema previdenziale pensionistico italiano
negli ultimi decenni.
Fino al 1969 le pensioni erano calcolate con il sistema della capitalizzazione: i contributi
versati dal lavoratore venivano investiti da un ente gestore, che al momento del
pensionamento erogava il montante contributivo rivalutato in base al rendimento degli
investimenti, come pensione annua vitalizia. Il sistema a capitalizzazione lasciava a carico
del lavoratore i rischi di un basso rendimento o che l’inflazione erodesse il potere d’acquisto
del montante contributivo.
In un periodo di crescita economica e di considerazione delle esigenze dei lavoratori,
nel 1969 si passò al più favorevole sistema a ripartizione. In una prima fase il sistema
di ripartizione fu quello retributivo, dove l’importo della pensione corrispondeva ad un
determinata percentuale (circa l’80%) della retribuzione del pensionato, solitamente
lo stipendio medio degli ultimi 5 anni di lavoro. Con il sistema a ripartizione le pensioni Pre
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enza
10Traccia per l’attività in classeSi propongono alcuni argomenti per discutere in classe il tema della
previdenza.
La costruzione di un progetto di vita e professionale
Costruire un proprio progetto di vita e professionale significa proiettare
se stessi nel futuro. Uno dei contesti più importanti in cui possono essere
fatti valere la propria personalità, i propri interessi e le proprie competenze
è quello del lavoro. Il lavoro non è una condanna, va individuato a misura
di sé, in modo che sia un’occasione per generare idee, progetti, creazioni,
relazioni. Non per tutti il lavoro assumerà immediatamente le caratteristiche
migliori, non bisognerà scoraggiarsi assumendo posizioni rinunciatarie di
fronte alle prime difficoltà, bensì correggere gli errori e migliorare le proprie
competenze. Le prime spesso inevitabili delusioni potranno essere ripagate
dai successivi successi.
Partendo da questi temi, come impostare il discorso previdenziale con i
ragazzi?
Gli studenti possono raccogliere idee, comunicarle e discuterle in questo
modo:
• individua le tue aree di interesse personale __________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
• individua le tue competenze e i tuoi punti di forza _____________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
• delinea la formazione che intendi realizzare dopo il diploma __________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
• descrivi le attività professionali che hai in mente di compiere nel tuo
futuro lavorativo _____________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
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La previdenza complementare
Perché è opportuno ricorrere sempre di più alla previdenza complementare? È stato visto
che gli andamenti demografici del nostro Paese ridurranno inevitabilmente le prestazioni
pensionistiche nei prossimi decenni. Occorre quindi pensare un secondo pilastro
previdenziale, che completi quello che il pilastro obbligatorio pubblico non sarà più in
grado di realizzare. Cosa significa previdenza complementare, quali ne sono i meccanismi?
Innanzitutto si tratta di una forma di previdenza volontaria, che rovescia un assunto
tradizionale del welfare state: non è lo stato a provvedere al futuro dei cittadini, sono
i cittadini a provvedere al proprio futuro. Tocca quindi a chi lavora decidere di non
consumare tutti i propri redditi presenti, di risparmiarne una parte e di affidarla a un
intermediario finanziario che ne faccia crescere il valore, in modo che al termine della vita
lavorativa aumenti la pensione di cui egli potrà disporre. I lavoratori non subordinati, quelli
con contratti temporanei, i professionisti e gli imprenditori sono i più interessati a questa
forma di previdenza, dato che saranno proprio essi a subire la maggiore decurtazione
della pensione indotta dal nuovo sistema pensionistico.
In secondo luogo le somme risparmiate faranno maturare la pensione futura in base al
meccanismo della capitalizzazione. Il lavoratore indica all’intermediario a cui ha affidato
i propri risparmi in quali mercati finanziari investirli, ad esempio se in titoli azionari,
obbligazionari, europei, mondiali, e così via. In base ai rendimenti che questi mercati
frutteranno si genera per il lavoratore un montante individuale, che costituirà la rendita
pensionistica del pilastro complementare.
In terzo luogo il lavoratore deve scegliere, in base alla recente riforma, a quale tipo di ente e di
fondo affidare i propri contributi. Gli enti gestori della previdenza complementare possono
essere enti finanziari, banche, società di gestione del risparmio, società di assicurazione.
Sono previsti Fondi pensione di varie tipologie e Piani individuali pensionistici volontari.
I lavoratori possono conferire propri risparmi, una quota determinata del proprio reddito
da lavoro o il proprio TFR, il Trattamento di Fine Rapporto, che matura lavorando nella
propria impresa. Al raggiungimento dell’età della pensione il lavoratore affiancherà alla
pensione pubblica una seconda pensione complementare, consentendogli così maggiore
benessere e serenità nella fase terminale della vita.
La previdenza complementare è soggetta al controllo della Commissione di Vigilanza sui
Fondi Pensione COVIP.
La scelta di quale forma di pensione complementare è delicata come quella di ogni altro
impiego dei propri risparmi. Tre sono i consigli fondamentali da seguire per impiegare
bene i propri risparmi:
• ridurre i rischi diversificando i prodotti finanziari che si sottoscrivono, sulla base del
principio di “non mettere tutte le uova in un solo cesto”: se quello solo cadesse, tutte le
uova si romperebbero. La previdenza complementare riduce i rischi, in quanto i contributi Pre
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enza
10venivano pagate ai pensionati con i contributi versati dai lavoratori che
restavano al lavoro.
I problemi demografici e finanziari analizzati in precedenza impongono negli
ultimi 20 anni la trasformazione del sistema a ripartizione da retributivo a
contributivo. Sistema meno favorevole, ma inevitabile. Il calcolo del sistema
a ripartizione contributivo è contenuto nel precedente calcolo del monte
contributivo.
L’età pensionabile delle due fondamentali pensioni di anzianità e di vecchiaia
è stata posticipata nel modo seguente:
• la pensione di vecchiaia si ottiene al raggiungimento di una certa età,
che è stata spostata da 60 a 65 anni per gli uomini e da 55 a 60 per
le donne, avendo un certo livello minimo di anni di contribuzione. Dal
2012 anche le donne, in base a quanto richiesto dall’Unione Europea,
dovranno avere 65 anni.
• la pensione di anzianità è percepita prima dell’età prevista per la pensione
di vecchiaia, se si è raggiunta una certa quota, data dalla somma tra l’età
anagrafica e gli anni di pagamento dei contributi. Ad esempio dall’inizio
del 2011 e la fine del 2012 potranno andare in pensione i lavoratori che
hanno raggiunto quota 96, data da almeno 60 anni di età e almeno 35
anni di contributi versati. Le quote stanno aumentando negli ultimi anni.
• dal 2015 l’età di pensionamento si adeguerà automaticamente
all’allungamento della vita media.
I ragazzi possono ricercare informazioni sulle riforma delle pensioni nei link
indicati ai siti dell’INPS, del Ministero del lavoro e della previdenza sociale e
dell’INPDAP.
In conclusione gli allievi possono esprimere queste loro riflessioni:
• individua le cause della riforma delle pensioni _________________________
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
• sintetizza come è organizzato oggi il sistema pensionistico italiano _____
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
• esprimi una tua opinione sull’organizzazione delle pensioni in Italia _____
_____________________________________________________________________
_____________________________________________________________________
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FAQ 4 DOMANDE E RISPOSTE
Come si fa ad avere la pensione?
Il datore di lavoro è tenuto a calcolare i contributi previdenziali del proprio dipendente ed a versarli all’INPS (per i dipendenti del settore privato), o all’INPDAP (per i dipendenti pubblici). I lavoratori autonomi (come commercianti ed artigiani) calcolano i propri contributi e li versano all’INPS. I liberi professionisti (avvocati, commercialisti, architetti, etc.) li versano alle loro casse di previdenza. All’età della pensione gli enti pensionistici calcolano la pensione e la versano all’avente diritto.
Cosa è la pensione di reversibilità?
La pensione di reversibilità spetta nel caso di morte di un pensionato ai parenti più vicini: coniuge superstite, figli se minorenni o a carico e nipoti se a carico dei nonni. È opportuno che alla morte del pensionato, i membri della sua famiglia non restino privi della pensione maturata dal loro caro.
A che età si va in pensione?
Non c’è una sola risposta. Ogni caso va esaminato separatamente, perché sull’età della pensione influiscono diversi fattori soggettivi: l’età, il tipo di contratto di lavoro (privato, pubblico, autonomo, libera professione), il sesso, gli anni di contributi versati. Occorre quindi monitorare l’evoluzione della propria situazione contributiva in relazione alle leggi dello Stato, rivolgendosi agli enti specializzati o ai consulenti finanziari.
Come funzione il calcolo del monte contributivo personale?
Il monte o montante contributivo è applicato alle pensioni calcolate con il metodo a ripartizione contributivo, in vigore dal 1996. Si calcola così: a. sulla retribuzione annuale vengono versati i contributi previdenziali; b. i contributi sono capitalizzati in base alla crescita del PIL; c. essi sono moltiplicati per i coefficienti di trasformazione; d. il monte contributivo viene trasformato nella pensione annuale. Anche per il calcolo del monte contributivo è bene rivolgersi a consulenti previdenziali o finanziari.
Perché non basterà la pensione dell’INPS?
Perché il nuovo sistema a ripartizione contributivo è meno favorevole di quello precedente, tiene in considerazione le retribuzioni di tutta la vita lavorativa e non solo quelle degli ultimi anni. Il periodo di vita successivo alla pensione si è prolungato, ponendo nuove aspettative e necessità che le pensioni pubbliche da sole non sono sufficienti a soddisfare.
pensionistici sono capitalizzati sulla base di un solo parametro, la crescita
del PIL, mentre i contributi affidati alla previdenza complementare lo
sono sulla base dei numerosi tassi di rendimento dei mercati finanziari;
• scegliere un ente gestore della previdenza che individui correttamente
la propensione al rischio del lavoratore, ricordando che ad alti rischi
corrispondono alti rendimenti e a bassi rischi bassi rendimenti. Il bravo
gestore deve scegliere il prodotto finanziario corrispondente al profilo di
rischio del risparmiatore;
• suddividere il più possibile nel tempo i momenti di versamento delle
somme da parte del lavoratore. A parità di somme versate a un fondo, il
rischio che i versamenti siano effettuati in momenti finanziari sfavorevoli
si riduce suddividendo la somma in un maggior numero di momenti di
conferimento dei contributi.
I ragazzi possono ricercare informazioni sulla previdenza complementare
nei link indicati ai siti di Assogestioni, Assoprevidenza, Covip e Progetica.
Si possono in conclusione raccogliere le riflessioni degli studenti:
• perché la previdenza complementare sta assumendo un’importanza
crescente? __________________________________________________________
______________________________________________________________________
______________________________________________________________________
• come imposteresti la tua previdenza complementare? _______________
______________________________________________________________________
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• fai dei tuoi esempi per spiegare i consigli fondamentali per una buona
gestione dei propri risparmi ________________________________________
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CULTURA FINANZIARIA A SCUOLA: PER PREPARARSI A SCEGLIERE
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