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FEBBRAIO 2017
PICCOLO, GRANDE „MPARI PEPPI!
GIUSEPPE RUSSO RICAMATORE/INTAGLIATORE DEL LEGNO, FUTURO COSTRUTTORE DI ZAMPOGNE
Periodico Mosorrofano di cultura, sport e attualità
di Pasquale Nucara
Leggete e diffondete ‘U MANDAGGHIU- PISA POCU E NON CUSTA
Contatti: Redazione: redazione.umandagghiu@gmail.com Giuseppe Nicolò: pinonicolo@gmail.com - 3393437559 Demetrio Giordano: demetriogiordano94@gmail.com - 3454663695 Demetrio Crea: demetrio.cre@gmail.com - 3932988880
Seguici anche su: www.umandagghiu.wordpress.com
U Mandagghiu Periodico Mosorrofano
Periodico a cura dell‟Associazione Culturale “Messòchora”
Anno IV, Numero 2
SOMMARIO:
Pag.2 MOSORROFA E MOSORROFANI NELLO SPORT NEL SECOLO XX
Pag.3 L‟ANGOLO DELL‟ENIGMISTA
Pag.4 L'ANTICO CARNEVALE NELLA VALLATA DEL SANT'AGATA
Pag.5 COMARE ROSINA LA DELICATA
Pag.6 PILLOLE DI SAGGEZZA PINOCCHIU 8 MARZO IN HOSPICE VIA DELLE STELLE
Quando ho visto la sua immagine su facebook, ho capito subito che è un…campione! Ed ho desiderato conoscerlo. E dunque: domenica 12 febbraio ci siamo dati appuntamento in Piazza San Demetrio. Giuseppe Russo, tredici anni, 2^ media alla scuola “Verga”, è un ragazzo straordinario, in-telligente, simpatico. Ha imparato «da solo « a suonare la zampogna e l‟organet-to, per il tamburello è stato aiutato dallo zio Nino. E suona pure gli zufoli, che si costruisce, li intaglia, li «ricama». Possie-de due zampogne «a paru», a cinque can-ne, pensa di comprarne un‟altra, a chia-ve. Gli domando perché, risponde che gli piacciono molto le zampogne (che acqui-sta con denari suoi). Qui, più avanti vi dirò come. Mi fa vedere una foto, dove accompagna con il tamburello Davide Varà, di San Salvatore, che suona la zam-pogna. Mi parla della sua zampogna,
«spettacolare», costruita dal reggino Ser-gio Di Giorgio. In altra foto è a «Krèsie i Pipi»*, a Natale del 2016, insieme a Otello Profazio, Mimmo Cavallaro, Ga-briele Albanese, Andrea Simonetta e i “Tarantulati”. Che c‟azzecca un ragazzino con questi adulti? Giuseppe era là per suonare organetto e tamburello, per ac-compagnare Giuseppe Pizzimenti che suonava le ciaramelle del nonno Giusep-pe Guarnaccia. Giuseppe è stato protago-nista della manifestazione “Suona lo Stretto sugli armonici naturali”, il 27 di-cembre a Messina ed il giorno dopo al Castello aragonese, a Reggio. Conosce Pippo Carpita, uno straordinario costrut-tore di zampogne, messinese, che gli di-ce:«Sei bravissimo, continua così». Gli domando cosa significa per lui quell‟ap-prezzamento lusinghiero, mi risponde: «Una spinta per suonare sempre me-glio». Il giorno che è stata data la cittadi-nanza a Otello Profazio, al Teatro “Cilea”, egli era là, a suonare, insieme a Diego Pizzimenti e a Pino Strati. Il suo passatempo preferito, oltre che suonare, è intagliare il legno, rendere più belli i bastoni da pastore e i collari delle peco-re. Perché…li vende, e utilizza il ricava-to per comprare zampogne e…patatine. Ne è ghiotto. Leggiamo su facebook al-cuni giudizi di amici suoi. Ciccio “Folk” Callea: «Unu u stessu no trovamu mancu si giramu tuttu l‟universu!»; Giovanni
Bombaci, siciliano: «Piccolo, grandi „mpari Peppi!». Gli chiedo se vuole fre-quentare una scuola di musica, per suo-nare la tromba o altro strumento. Ri-sponde che gli bastano zampogna, orga-netto e tamburello. Alla fine del collo-quio, gli chiedo di scrivere una nota per “„U Mandagghiu”. Dapprima dice che non sa cosa scrivere, poi diventa…inarrestabile, comu na vota a jumara i Carbuni.
*Chiesa di Pepe, dal soprannome di Paolo Albanese, pasticciere, che intorno alla metà del 1800 ne acquistò i ruderi e la restaurò. E’ detta La chiesa della Madonna dei Poveri al Trabocchetto ed è il più antico edificio cristiano esistente in Reggio Calabria
PAGINA 2 FEBBRAIO 2017 ‘U MANDAGGHIU
MOSORROFA E MOSORROFANI NELLO SPORT NEL SECOLO XX
Nei primi anni del secolo passato, l‟uni-
ca attività praticata fu la caccia, non
quella disciplinata da regolamenti e nor-
me: la Federazione Italiana della Caccia
(F.I.d.C.) nascerà nel 1928; e non ho
notizia di un Circolo che aggregasse i
cacciatori mosorrofani. Si andava a cac-
cia, di quaglie, di ghiri, di volpi, di ador-
ni e rapini, finanche di spinzii (fringuelli)
e caracefuli (averle). Non saranno stati
molti i cacciatori: per comprare il fucile
e le cartucce ci volevano soldi. Certo è
che il ventiduenne Francesco Casile
(1888 – 1976), di Sala, il 6 luglio 1910
ebbe il suo primo porto d‟armi. Altro
valente cacciatore fu Demetrio Verbaro
(1988-1956), “u monicu” (per via di una
tonaca che usava indossare), se il nipote
Antonio “Totò” Morabito, nel mausoleo
al cimitero di Mosorrofa lo addita con
questa epigrafe: «visse…e nella passione
e nella bravura della caccia». Il Circolo
Giovanile in Mosorrofa “S. Antonio di
Padova” (Reggio Nuova del 9.7.1911),
fondato dal neo parroco Antonino Caridi
e presieduto dallo studente Pietro Cuz-
zupoli (1898), avrà organizzato immagi-
niamo qualche attività fisica. Forse quei
giochi che oggi usiamo dire
«tradizionali»: la corsa con i sacchi, ‟u
circu (il cerchio spinto da un fil di ferro
ricurvo alla punta), salto a scaricabarile,
pallamuro, arancio, fragola e limone, il
gatto e il topo, guardie e ladri, i quattro
angoli, i brigghia, tutti giochi che servi-
vano a potenziare gli schemi motori e
posturali di base, propri del correre sal-
tare, lanciare. Ma essi non…lo sapeva-
no. La maggior parte della popolazione
era analfabeta, si dedicava ai lavori agri-
coli nei piccoli poderi, il tempo libero
non si sapeva cosa fosse, nel conto met-
tiamo quelli che varcarono l‟oceano per
cercare fortuna negli Stati Uniti di Ame-
rica, i morti nel terremoto del 1905,
quelli del terremoto 1908, la guerra
mondiale del 1915-18, la “spagnola” e
altre malattie. E però quelli acculturati, i
giovani che frequentavano le scuole reg-
gine (a Mosorrofa esistevano solo le pri-
me classi delle scuole elementari), i
Cozzupoli, i Monorchio, i Sorgonà, i
Sarlo, i Pellicanò, praticarono qualche
attività sportiva? Il parroco Caridi avreb-
be potuto illuminarci, ma non ha colti-
vato questa aspetto della comunità, nei
suoi diari parla soltanto di giri ciclistici
durante le feste, ma negli anni Tren-
ta .Finalmente una manifestazione …
certificata, una manifestazione riportata
dal “Popolo di Calabria”, del 23-24 otto-
bre 1929, «in occasione delle Feste di
San Demetrio, ad iniziativa del Direttore
del Corso premilitare Michele Zema e
del fiduciario del Fascio rag. (Pietro)
Cozzupoli «Mosorrofa. I vincitori delle
gare di tiro a segno. Nel nostro rione ha
avuto luogo in Piazza Chiesa, la premia-
zione dei vincitori delle gare di “Tiro a
Segno”, svoltesi il 28 ottobre u.s., ad
iniziativa del Direttore del Corso Premi-
litare capo manipolo Zema Michele, il
quale seppe ben inquadrare e disciplina-
re quei giovani agricoltori facendone dei
militi devoti alla Patria e sempre pronti
agli ordini del Duce. Ecco i nomi dei
premiati nella gara “Milizia”:
1° Bruno Antonino, medaglia d’oro e
diploma, dono del prof. Michele Zema;
2° Sorgonà Giuseppe, medaglia d’argen-
to, dono della Congrega;
3° Russo Agostino, medaglia d’argento
della Congrega;
4° Russo Pasquale, medaglia di bronzo,
dono della Direzione Premilitare.
Nella gara “Premilitari”, hanno avuto
premi i signori:
1° D’Arrigo Domenico, medaglia d’ar-
gento con diploma;
(Continua a pagina 3)
di Pasquale Nucara
Antonino Bruno
Casile Francesco
Domenico Derrigo
„U MANDAGGHIU FEBBRAIO 2017 PAGINA 3
MOSORROFA E MOSORROFANI NELLO SPORT NEL SECOLO XX
2° Zema Demetrio, medaglia di bronzo,
dono della Direzione Premilitare. Al
termine della patriottica cerimonia, pro-
nunziò elevate parole il parroco Caridi e
non mancò anche di fare vibrante accen-
no alla grande importanza spirituale e
morale dell‟accordo tra la Chiesa e lo
Stato; il prof. Zema espresse il giubilo
della Milizia per l‟accordo lateranense.
Con scroscianti applausi da parte del
pubblico e grida di Viva il Re, Viva il
Duce, Viva la Milizia, si chiuse la patriot-
tica festa». I nostri giovani svolgevano
una attività fisica…naturale. Per raggiun-
gere Radena, Armondì, Caluceri, dove-
vano percorrere a piedi l‟erta salita di
Longì, così Reggio. Sorse il Partito Na-
zionale Fascista (PNF), nel 1925 a Mo-
sorrofa segretario era il rag. Pietro Coz-
zupoli (“u cavaleri”), furono organizzati
delle gare podistiche (“giri”) di 5-6 chilo-
metri, specie in occasione delle feste pa-
tronali, a Mosorrofa, Cataforio, San Sal-
vatore, San Sperato, Gallina. In queste
manifestazioni si distinsero Andrea Giu-
seppe Ripepi, Antonino Monorchio, De-
metrio Sorgonà. Nino Monorchio, nel
1980 mi ha ricordato una sua vittoria in
una corsa da Cataforio a Crado, distanza
da ripetersi cinque volte. Demetrio Ri-
pepi da Micu “u Turcu” ha sentito dire
che il padre vinse più volte una gara di
corsa su strada da Mosorrofa a Gallina Ci
affacciamo agli anni trenta. Le baracche
stanno per essere sostituite con palazzi-
ne, al rione Scalea e Anzario. Si procede
allo sbaraccamento, in uno spazio al rio-
ne Scalea viene ricavato un campo di cal-
cio. Vi si gioca fino a quando, nel 1938,
non vengono costruite le palazzine. An-
cora ricordi di Nino Monorchio (“U me-
ricanu”, soprannome ereditato dal padre,
che ai primi del secolo aiutava i compae-
sani a raggiungere gli Stati Uniti d‟Ame-
rica, in cerca di lavoro). Dal 1932 si di-
sputarono tornei con Arangea, Cataforio,
Gallina. Dirigente e allenatore era Gen-
naro Verbaro. In porta era Giuseppe Ca-
ridi, “formidabile”. “Peppi di scoli” nel
dopoguerra emigrò in Australia, poi tor-
nò a Mosorrofa, riposa nel nostro cimite-
ro; Demetrio Morabito era così bravo
difensore che veniva appellato
“Caligaris” (famoso terzino della Juven-
tus); Demetrio Spanti, Natale Morabito,
più tardi maestro e insegnante a Como,
aveva il «tiro forte», Antonino Brigandì,
“U forgiaru”, per il mestiere, detto anche
“Posulu ddhocu”, espressione che usava
dire ai clienti che gli portavano qualcosa
da aggiustare quando non aveva voglia di
fare; Sebastiano Cassalia, “U Cradotu”;
Demetrio Sorgonà, detto dopo la secon-
da guerra mondiale “Giappone”, perché
era stato da quelle parti, su nave da guer-
ra. Me lo ricordo negli anni cinquanta dal
tiro fortissimo, quando giocavamo
nell‟alveo del torrente Carbone; Andrea
“Giuseppe” Ripepi (“U milognu”), lo
stesso Antonino Monorchio, poi segreta-
rio all‟INPS e consigliere comunale del
P.C.I. E più tardi Giuseppe Libri
(“Pepp’u sciu”) e Demetrio “Mimì” Pluti-
no. Si raccontava che in una partita tra
Mosorrofa e Gallina, Andrea “Giuseppe”
Ripepi colpì all‟addome una donna incin-
ta, ma non fece molto danno, anche se
aveva un tiro fortissimo. Qualche squa-
dra di Reggio si interessò a lui.
(Continua da pagina 2)
Mosorrofa, 1934. Incontro tra le squadre mosorrofese e cataforese. Il primo a sinistra è Gennaro Verbaro, allenatore della squadra di Mosorrofa. (foto fornita dal genero, Giuseppe Derrigo)
Giuseppe Ripepi Nino Monorchio
PAGINA 4 FEBBRAIO 2017 ‘U MANDAGGHIU
Durante la settimana carnevale-
sca, si è svolto presso la sede
della Pro Loco “San Salvatore”
di Reggio Calabria il convegno
dal titolo "L'antico Carnevale
nella vallata del Sant'Agata, tra
ritualità trasgressione e biso-
gno", che ha visto come relatore
lo storico prof. Orlando Sorgo-
nà. «Il carnevale così come co-
nosciuto oggi non ha niente a
che vedere con il tradizionale
carnevale agropastorale calabre-
se» – esordisce Sorgonà –
«Questo rito carnevalesco risiede all‟in-
terno delle tradizioni del paese di San
Salvatore in maniera contigua ormai da
generazioni». La festa si svolge tradizio-
nalmente nel giorno del Martedì grasso,
secondo un rituale rimasto invariato nel
corso degli anni. Fino a qualche decennio
fa, quel giorno, detto anche “da zata”,
coincideva con la macellazione dei suini,
di quali, proprio nel periodo carnevale-
sco bisognava mangiare le gustose carni,
preparate secondo antiche ricette, tra cui
le famose “frittole”. Grandi banchetti
pantagruelici venivano preparati in ogni
casa, dove si invitavano parenti e amici.
Bisognava consumare entro il martedì,
poiché il giorno successivo, con l‟avvento
della Quaresima, sarebbe iniziato un lun-
go digiuno. Ogni martedì di Carnevale,
sin dal primo pomeriggio le strade del
paese si riempiono di maschere, i cosid-
detti mascarati, travestiti con vecchi abiti
dimessi e macabri, che sfilano in un cor-
teo al suono di zampogne e tamburello,
guidati dal capo maschera u puddicinedda,
anch‟esso travestito ma col viso scoperto.
Le vie del paese echeggiano del suono di
zampogna e tamburello, che ha lo scopo
di richiamare tutti i partecipanti al corteo
mascherato. Ospite fondamentale di tut-
to il corteo sarà il Re Carnevale, costitui-
to da un pupazzo di paglia che viene te-
nuto in trono e fatto girare per il paese.
A fine corteo, tutte le maschere si ferma-
no nella piazza più grande del paese, mo-
strando finalmente il loro viso, e rag-
gruppandosi in cerchio assistono al rogo
del pupazzo che personifica il Re Carne-
vale, continuando a danzare per il resto
della serata al suono di tarantella.
“Il fantoccio che impersona
tutto quello che è vecchio e
che rappresenta il male che è
successo nell‟anno trascorso,
viene bruciato sulla pubblica
piazza a tarda sera.” – conti-
nua Sorgonà - Questa del
fantoccio è una forma in cui
la sostituzione di un fantoc-
cio ad un uomo vero atte-
nuava un antico rito cruento
che può essere ricollegato al
rito annuale dell‟espulsione
del pharmakoi dell’antica
Grecia, che mirava ad espellere periodi-
camente la macchia accumulata l‟anno
trascorso. I pharmakoi venivano reclutati
tra la feccia della popolazione, tra coloro
che per i loro misfatti, la loro bruttezza
fisica, la loro bassa condizione, le loro
occupazioni vili e ripugnanti erano consi-
derati inferiori. Succedeva a volte che si
delegasse a un membro della comunità il
compito di assumere questo ruolo di re
indegno, di sovrano alla rovescia. Il re si
scarica su un individuo che è come la sua
immagine rovesciata di tutto ciò che il
suo personaggio può comportare di nega-
tivo. Tale è appunto il pharmakos, ma fini-
ta la festa, il contro re viene espulso o
messo a morte, trascinando con sé tutto
il disordine che incarna e di cui purga
nello stesso tempo la comunità
L'ANTICO CARNEVALE NELLA VALLATA DEL SANT'AGATA
TRA RITUALITÀ TRASGRESSIONE E BISOGNO di Demetrio Giordano
L‟ANGOLO DELL‟ENIGMISTA
INDOVINELLO
Fascia i lignu e panza di pedhi
va gridandu vinedhi vinedhi.
La soluzione nel prossimo numero
La soluzione del n 1 gennaio 2017 :
la lumaca
’NDA FICIRU A PIGNOLATA SENZA RICETTA
500 gr di farina, 2 ova
50 gr i burru, 2 cucchiarini i zucchiru,
na pizzicata i sale, na scorcia i limune,
mezzo biccheri i limoncellu,
mezzo biccheri i vinu iancu (chiù o menu),
sugna pi frijri
COMARE ROSINA LA DELICATA
Cosa giusta non era! La nera e corvina chioma, orgoglio e vanto di comare Ro-sina la delicata, da qualche giorno non garriva più al vento ma era coperta da un ampio muccaturi. Cosa poteva essere suc-cesso? Mmha! La cosa era divenuta argo-mento principale delle chiacchiere delle comari del paese e anche di qualche com-pare di quelli che passano le giornate al bar ad aiutarsi l‟un l‟altro a non fare niente. Una cosa era certa però. Per quanto ampio fosse, quel muccaturi non poteva nascondere una chioma che dal capo scendeva a coprire tutta la schiena. Si era tagliata i capelli. Ma perché? Si facevano le più svariate ipotesi. Aveva fatto voto, l‟avevano bbampata i pidocchi, il capiddharu le aveva dato un banco di danari anziché le solite cianfrusaglie, glie-li aveva indeboliti chissà quale medicina presa per chissà che cosa, qualche brutta malattia, rassusia … Ma quale malattia ..? che era una jumenta e scoppiava di salute. Il soprannome era frutto di una parola detta dal medico quand‟era piccola. Co-mare Rosina era la quinta di sette figlie di compare „Ntoni il camoscio, un pezzo d‟uomo che calzava il 48 ed aveva una mano quanto una pala di ficodindia che fino a 5 bicchieri di vino li portava là so-pra senza bisogno di spasetta. Un fatalista che aveva capito che era inutile combat-tere contro la sorte che ci prendeva gusto
e, ad un certo punto, aveva smesso di cercare quel maschio che non ne voleva sapere di arrivare. Ma era anche uno scia-luni che invece di prendersela per la di-sgrazia che gli era capitata ci rideva sopra e a chi gli chiedeva quanti figli avesse ri-spondeva: setti masculi e cu me mugghjeri ottu! E non si sbagliava poi tanto ché sette femmine erano e per sette maschi faceva-no. Se non era per la dote non aveva di che lamentarsi. Sane e forti, nel lavoro dei campi facevano quanto e più di un uomo. Tutte meno una. Comare Rosina la delicata, per l‟appunto. Lei non aiutava nei campi e, per la verità, nemmeno in casa. Era successo che quando aveva cin-que o sei anni aveva avuto un febbrone che l‟aveva tenuta a letto per più di quin-dici giorni ed il medico aveva detto alla madre: “Riguardatela che è di salute deli-cata”. Delicata! Fu parola quella che le si stampo nella mente e non ci fu verso di cacciarla via. Se c‟era una corrente d‟a-ria, un peso da prendere, qualcosa di grasso da mangiare, da mettere le mani in acqua, da stare vicino al fuoco, da nettare erbe spinose … la sua frase era sempre quella: Eu non pozzu: su delicata ca lu dissi lu medicu! Finché stanchi di sentire in continuazione quella lagna, padre, madre e sorelle smisero di chiederle di fare qua-lunque cosa e per tutti divenne “Rosina la delicata”. D‟estate stava all‟ombra per non arrossarsi la pelle, d‟inverno teneva i guanti per non prendere li rosuli, le sorel-le si alzavano ad alba e lei mai prima delle nove, le sorelle per casa giravano scalze e lei non toglieva mai le scarpe, le sorelle si lavavano col sapone di casa e lei con le saponette profumate. Solo i capelli si la-vava come le sorelle: col bianco sbattuto dell‟uovo. Ma, a differenza loro, lo face-va due volte a settimana, non una volta al mese, e poi si sciacquava il capo con l‟aceto per mandare via il cattivo odore. Fortunati quelli che stavano al Nord dove aveva sentito dire che c‟era una specie di unguento, una cosa che là chiamano sciampo, e serve solo per lavarsi i capelli, già bell‟e pronto senza bisogno di sbatte-re niente e poi restano profumati, altro che aceto e limone per togliere il fetu di
buriddha. Lei invece quella penitenza di uovo e aceto le toccava farla due volte a settimana. Ma la faceva volentieri ché per i capelli aveva una vera e propria mania: li pettinava, se li lisciava, li spazzolava a giornata, li portava sciolti, a tuppu, a trecce, a coda di cavallo, a conocchia. Ed ora? Sotto un muccaturi! Un mistero. Ma nei paesi i misteri non durano a lungo. E questo lo risolse quel discolaccio di Peppi-neddhu di cummari Nnanna che moriva dalla curiosità. La domenica, all‟uscita dalla messa, facendo finta di incespicare, le era finito addosso ed era riuscito a dare una sbirciata sotto quel muccaturi di la malanova. Se li era tagliati quei bei capelli neri. Neri? Neri per modo di dire … ché ora erano tutti un arcobaleno come quei capi colorati che finiscono per sbaglio nella varechina. La notizia volò per il paese. Cosa le poteva essere capitato? Secondo le vecchiette era rimasta vittima della magaria di qualche innamorato re-spinto. Cos‟era veramente successo lo raccontò in segreto la sorella più grande. Tanto in segreto che lo abbiamo appurato pure noi e, sempre in segreto, ora lo rac-contiamo a voi. Erano venuti i parenti dal Nord ed avevano portato tante cose che a Bova non si trovavano: un passatutto, un rasoio a lametta, naftalina per la camula, cera per pavimenti, detersivi per i piatti e per i panni. Così comare Rosina, quando entrò in bagno per lavarsi i capelli, e vide un grosso flacone su cui c‟era scritto che lavava a fondo e profumava pensò subito che era quello shampoo tanto desiderato e l‟usò senza risparmio. Quando le sorel-le corsero alle grida la videro davanti allo specchio che i capelli anziché asciugarseli se li strappava come una disperata. «Ma cosa diavolo mi avete messo qua?! Che porcheria c‟è quaddentro?» - urlò come una pazza. «Altro che porcheria … il prodotto è ottimo solo che serve per la-vare i panni non i capelli. Piuttosto tu santa cristiana, tu che fai tanto la delicata, perché non hai letto per bene quello che c‟era scritto?» «E certo che l‟ho letto! Proprio per questo l‟ho usato. C‟era scritto: Per capi delicati ».
di Francesco Borrello
„U MANDAGGHIU FEBBRAIO 2017 PAGINA 5
PILLOLE DI SAGGEZZA
PAGINA 6 FEBBRAIO 2017 ‘U MANDAGGHIU
"8 MARZO IN HOSPICE VIA DELLE STELLE "
8 marzo in Hospice Via delle Stelle : un contenitore prezioso di testimonianze di donne che non si arrendono, non sentono la fatica del prendersi cura, caparbie e resilienti , che sanno fare del dolore un'opportunità , che conoscono il senso della vita e te lo sanno trasmettere con generosità. Grazie a tutti! Solo il potere della voce di Paola Nicolò e la musica di Teddy Condello hanno potuto smorza-re le emozioni intense provate . Ci dice Paola Nicolò:
Quando Annalisa Nucara mi propose di fare musica dal vivo in una piccola sala
dell‟Hospice per regalare una giornata diversa a dottori, infermieri, parenti dei malati, ma soprattutto ai pazienti di una struttura particolarmente delicata, mi sono domandata se e quanto potessi esse-re utile, ma soprattutto sarei in grado di affrontare un esperienza così forte? Ci misi solo un attimo a dire di si ricordando che a Natale “ nella tisaneria dell’Hospice i volontari della compagnia delle stelle frigge-ranno in tempo reale le crispelle e pazienti, familiari e personale sanitario potranno gu-starle insieme … E’ vero … ci sarà odore di
fritto … ma è odore di casa … per sentirne meno la nostalgia … “.
Ho pensato che l‟8 marzo la mimosa era perfettamente inutile senza i suoni di casa e con Teddy Condello abbiamo aggiunto una nuova esperienza, una di quelle esperienze che ti fanno sentire piccola. Abbiamo assistito ad alcune testimonian-ze di donne oggi all'HOSPICE...donne che hanno perso mariti, figli e che nono-stante l'immenso dolore sono riuscite ad andare avanti con forza, senza rinunciare alla speranza e continuando ad amare. Ci hanno raccontato le loro storie con una semplicità e una dolcezza disarmanti e cantare subito dopo averle ascoltate non
è stato per nulla semplice. Grazie Anna Lisa Nucara per averci voluti tra voi e permesso di dare il nostro piccolo contri-buto in musica. »
Grazie a tutti, pazienti, familiari che si
sono raccontati e ai volontari che si sono
spesi tanto come sempre !
di Mimmo Martino
A butti si risparmia quandu è china, chi quandu u fundu pari non nc'è cchjù chi riparari
(La botte si risparmia quando è piena, che quando il fondo appare non c'è come rimediare).
Dopo le vacche grasse vengono le vacche magre e se non si è stati previdenti in tempo, si finisce come la cicala di La Fontai-
ne. L'abbondanza non deve indurre allo sperpero o al consumo smodato dei beni. Il sapiente è sempre parco per principio,
perchè non intende assoggettare lo spirito alla materia; chi non è proprio sapiente e cultore della sapienza, sia almeno furbo e
si risparmi le tristi sorprese dell'avvenire. se ha la botte piena di buon vino ne usi con misura, sicchè il fondo appaia il più
tardi possibile. La botte piena in casa non è solo un bene di consumo voluttuario ma può costituire una merce convertibile
facilmente in denaro in tempi difficili. Non si sa mai: il futuro potrebbe presentarsi più duro del previsto. di sempre: la robu-
stezza, la salute e il colore roseo della salute sono la base della stessa bellezza.
Quand‟era figghiolu, dormiva cu n‟occhiu me‟ nonna filava e parrava i Pinocchiu, diciva ch’un gghiornu nci vinni, pi casu, na criscita strana nda punta du nasu. Avogghia ch‟u patri circava ripari, tintau cchiù i na vota m‟u poti ncurciari; si fìciru, allura, ricerchi all‟istanti pi mèntiri an chiaru stu casu allarmanti.
Si vinni a sapiri, ch’u figghiu i Geppettu nd‟aìva ncarnatu nu bruttu difettu: stu pupu di lignu minzogni diciva, pi‟ chistu u so nasu llungava, crisciva. Ma u cuntu non torna pi‟ tutti i mbrogghiuni com‟è, per esempio, chi gghint‟o Comuni ntra tanti nasuni, chi sù naturali, nci sunnu mbrogghiuni cu nasu normali!
PINOCCHIU
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