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mag | zine - La free-press della Scuola di giornalismo dell'Università Cattolica
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Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica del Sacro Cuorewww.magzine.it
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CO N T ROi n fo rm a z i o n e
Per alcuni è stata una stagione esaltante del giornalismo,per altri una pagina da archiviare al più presto.
Storia e metodi di lavoro dell’inchiesta dal basso
Deaglio | Protti | Scara mucci | Manghi | Giannuli | Il Giorn a l i s t aIl Pro f e s s o re | Boneschi | Gay | Pillola Rossa Crew
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 20102
una definizione 1 | deaglio
di Lorenzo Bagnoli e Valerio Bassan
Da Lotta Continuaa D i a ri o,t re decenni vissuti a re t t i fi c a rela “ voce del potere ” .Per Enrico Deaglio,c o n t ro i n f o rm a z i o n ee informazione coincidono.Nelle ultime inchieste ha usato il video,ma il metodo è sempre quello del cronista di stra d a
O N T R O I N F O R M A Z I O N E” È U N C O N C E T T O C H E p r e-
suppone l’esistenza di un’informazione ufficia-
le che ha interesse a raccontare i fatti in un cer-
to modo e quella di una “verità alternativa” che
ad essa si contrappone. Questa verità alternati-
va all’inizio è sempre piccola e debole e ha
anche un limite enorme: il punto di vista ideologico. È inutile
negarlo. Nelle proprie ricerche si viene guidati da ciò per cui si par-
teggia. Questa stagione giornalistica fiorì negli anni della conte-
stazione, quando si sperava che il mondo potesse cambiare, a par-
tire proprio dal modo in cui esso veniva raccontato. Storicamente
il periodo della controinformazione nacque negli anni della stra-
tegia della tensione, con la strage di piazza Fontana del 12 dicem-
bre 1969. «All’epoca militavo nelle file diLotta Continua - spiega
Enrico Deaglio - e ricordo che piazza Fontana fu un evento inau-
dito sotto due punti di vista. Non s’era mai vista in Italia una bom-
ba in una banca con tutti quei morti. Si capì subito che c’era una
grossa posta in gioco. Per noi della sinistra extraparlamentare
l’evento rappresentò un problema: fummo additati come respon-
sabili della strage. Da un lato volevamo conoscere la verità, dal-
l’altro dovevamo difenderci dalle accuse. Non eravamo del
tutto sicuri che la bomba non fosse stata messa dagli anar-
chici, perciò decidemmo di fare una prima inchiesta nel
nostro mondo».
Che metodo seguiste? Quali fonti interpellaste?
Gli anarchici stessi. Il metodo seguito a volte era piuttosto spic-
cio. Si pigliava la persona, la si metteva da parte e le si diceva:
“Adesso me la racconti giusta”. Stare dalla stessa parte della
barricata aiutava la comunicazione. In più, essendo il periodo in
cui circolava un po’ di droga, alcune persone meno affidabili poteva-
no essere facilmente ricattabili. E quest’opportunità veniva sfrutta-
ta, senza fare violenza. Se in qualche circoletto anarchico qualcuno
avesse ventilato aspirazioni “bombarole”,
l’avremmo detto. Ne sono sicuro. Perciò
dall’inchiesta sulla bomba di Piazza Fonta-
na avemmo la certezza che nessuno dei
“nostri” era coinvolto nella storia.
Ci furono inchieste della sini -
stra extraparlamentare sugli ambienti fascisti?
Una, quella di Marco Liggini. Era un militante di Potere Operaio, un
reporter di razza che cominciò a indagare sui neofascisti romani. Sui
suoi primi lavori si formò un pool di giornalisti, e fra loro c’era anche
Piero Scaramucci, poi giornalista R a ie direttore di Radio Popolare.
Il gruppo produsse l’inchiesta collettiva La strage di Stato, che è
ancora un volume fondamentale per capire quel fatto. Chi si oppo-
neva alla nostra visione era il Pci, per il quale era inaccettabile l’idea
stessa di strage di Stato. E se anche fosse avvenuta non lo si sarebbe
potuto rivelare. Però noi volevamo smuovere le coscienze dei comu-
nisti, la nostra sponda naturale. La maggioranza silenziosa, invece,
era irraggiungibile. Il 1969 fu anche l’anno di nascita sia del movi-
mento sia del giornale Lotta Continua, uno dei protagonisti della
controinformazione.
Cosa ricorda di quei giorni?
Ricordo il momento in cui l’organizzazione fu battezzata: la leg-
genda narra di un operaio che davanti al cancello della Fiat
Mirafiori gridò “la lotta continua”, dando di fatto il nome al
gruppo. Fra i giornalisti che vi lavorarono, molti oggi sono pro-
fessionisti. Io fui tra i fondatori. Il progetto nacque dall’idea del
movimento studentesco di spostare il terreno di lotta dalla scuo-
la alle fabbriche. Per gli studenti si trattava di andare di fronte ai
cancelli delle fabbriche, distribuire volantini e organizzare la rivol-
ta. L’ambiente operaio stava conquistando visibilità di giorno in gior-
no: lotte per l’aumento del salario, per il riconoscimento di turni
lavorativi più umani e per condizioni di vita migliori. Stavano emer-
gendo forze sindacali in grado di scalzare quelle commissioni inter-
ne molto burocratizzate che avevano interesse a lasciare lettera mor-
ta le richieste dei lavoratori. In quel contesto era decisivo possedere
strumenti di comunicazione, che fossero volantini, fogli, manifesti
affissi per strada, periodici o quotidiani. L c, in un primo tempo uscì
C
E se la veritàfosse un’altra
Nella foto in alto: autonomi in manifestazione a Milano neg l i
anni Settanta.
come settimanale e dal 1971 come quotidiano.
Quali erano le attività svolte dalla redazione di Lc?
Concretamente c’era da fare un quotidiano, quindi dare notizie.
Bisognava essere la voce del “partito”, anche se in realtà non lo era-
vamo, almeno non nel senso strutturale del termine. Esistevano
però una segreteria, commissioni operaie, un comitato nazionale,
gruppi d’intervento, gruppi culturali. Il giornale rifletteva
questa organizzazione. L’idea principale era raccontare i
movimenti della società, ciò che succedeva alla base, sia per
quanto riguarda le lotte, sia per quanto riguarda i temi e le pro-
blematiche a cui dare spazio. Proponevamo esempi positivi di
“opposizione al sistema” perché eravamo convinti che sostenendo
la diffusione di lotte, proteste e scioperi si sarebbe prodotto un cam-
bio di governo. Avremmo ritenuto un successo anche solo far fuori
la Democrazia Cristiana.
Nella storia di Lotta Continua, quale fu l’inchiesta
che riuscì a scalfire il sistema più nel profondo?
Quella sulla P2, nel maggio 1976. Avevamo in corso un movimento
per autoridurre le bollette della luce. Bisognava andare casa per casa
e fare propaganda: il concetto era che la luce doveva essere gratis.
Durante una di queste uscite, una giornalista capitò in una casa di
Firenze dove una signora le fece delle confidenze su una specie di
setta di ultradestra composta da poliziotti. La notizia fu passata ad
un altro giornalista, Marco Ventura, che seguì
la vicenda. E scoprì che in una villa poco lon-
tana da Arezzo c’era un organizzazione eversi-
va segreta, la P2, alla cui guida c’era un mate-
rassaio di nome Licio Gelli. Le tre puntate che
pubblicammo furono una bomba. Purtroppo
il quarto giorno avvenne il terremoto in Friuli
e l’inchiesta fu sospesa, senza avere poi alcun
seguito nel futuro.
In che modo fu condotta l’inchiesta?
La fonte principale fu proprio la signora
ascoltata dalla nostra giornalista durante la campagna per la ridu-
zione delle bollette. Poi i giornalisti che se ne occuparono andarono
sul posto. Ad esempio, per capire chi fossero i frequentatori della vil-
la di Gelli, si presero le targhe delle macchine. In più si mise a fuoco
Gelli, la sua fabbrica di materassi e i suoi legami con le alte sfere del-
la politica.
Come sono cambiate oggi le tecniche della con -
troinformazione rispetto agli anni ’70?
La differenza macroscopica sta nel grandissimo numero di
immagini di cui siamo in possesso. Per esempio, se in occa-
sione della morte di Carlo Giuliani, durante il G8 del 2001,
non ci fosse stato quello stuolo di telecamere e fotocamere a
riprendere l’evento, per qualcuno sarebbe ancora possibile sostene-
re che il ragazzo è stato colpito da una pietra, che gli hanno sparato
i suoi o altre versioni differenti. Le immagini, al contrario, svelano
che a sparare è stato l’agente dei carabinieri, Mario Placanica. In quel
caso, bisognava capire prima di tutto se fosse stato preordinato lo
scontro tra la polizia e i manifestanti. Molti elementi facevano pen-
sare che quest’ipotesi fosse corretta.
Oggi è più facile fare controinformazione?
Gli strumenti che si possiedono sono più potenti e decisamente
poco costosi. Il problema è che ci si accontenta. Per esempio, pos-
so farmi mandare i verbali di un processo via e-mail. Però tendo a
non andare oltre e mi limito agli atti giudiziari, punto e basta. Il
modo migliore di fare giornalismo è sempre quello di andare sul
posto, sentire le persone, raccontare i luoghi, vederli con i propri
occhi. Lì poi può venire l’ispirazione. Sciascia, che realizzò un lavo-
ro di approfondimento sul rapimento Moro e fece parte della Com-
missione parlamentare d’inchiesta, una volta mi disse: «A me pia-
ce guardare delle facce e leggere delle carte». Oggi invece si è per-
so questo contatto fisico con la materia dell’inchiesta.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 3
Nel maggio 1976 un giornalista di Lotta continua scoprì che unasetta segreta di ultra d e s t ra si ri u n ivaad A re z zo. E ra la P2 di Licio Gelli
E n rico Deaglio inizia l’attività
g i o rnalistica a Roma nel 1969
nella redazione di Lotta Continu a.
In seguito diri ge il quotidiano dal 1977
al 1982.T ra gli anni ’80 e ’90,conduce
p ro g rammi di inchiesta giornalistica
sulle reti pubbl i c h e :M i xe r,M i l a n o - I t a l i a,
L’elmo di Scipio,R agazzi del ’99. Nel 1996
fonda il settimanale D i a ri o,che diri ge fi n o
al 2008.Realizza anche quattro documentari ,
t ra cui Uccidete la democra z i a,sui pre s u n t i
b rogli elettorali alle elezioni politiche
del 2006.
U N A C A S A A L Q U A R T O P I A N O v i a
Mondello a Milano. Due can-
celli, un giardino, qualche
rampa di scale e un ascensore
in ferro battuto. Una stanza
immersa nella penombra. E
poi decine di pipe: Piero Scaramucci n e
accende una, la fuma lentamente. Libri, tanti:
dodici piani di cultura, storie, retroscena, poe-
sie, saggi, mentre ascolta Radio Popolare. È la
sua radio, l’ha fondata nel 1976 per lasciarla nel
2 0 0 2 .
In casa Scaramucci i gatti corrono da tutte
le parti, saltano sui libri, lisciano con la coda le
riviste. Il giornalista ricorda il suo lavoro in Rai
quando la controinformazione organizzata esi-
steva anche nella televisione nazionale sui giro-
ni che lo videro testimone della vicenda di
Pinelli. «Con Lotta Continua avevo seguito l’ac-
caduto, ma fui quasi colto alla sprovvista quan-
do Licia mi chiamò per parlare del marito». Poi
l’impegno politico, la volontà di non piegarsi ai
ritmi della tv di stato, o meglio, di conviverci. Ed
ecco la prova tangibile del suo operato. I bollet-
tini di controinformazione che il giornalista
pubblicava insieme a un gruppo di giornalisti
militanti. Scaramucci li sfoglia, posa la pipa.
Esisteva un controllo dell’informa -
z i o n e ?
C’è sempre stata, c’era, c’è ancora adesso e pro-
babilmente ci sarà sempre un’informazione
che dipende dai poteri politici e che pubblica o
censura in funzione del mandato che riceve dal
referente politico.
In quegli anni qualche quotidiano
nazionale faceva controinforma -
z i o n e ?
Controinformazione vera e propria no. Però,
negli anni ’60, c’era il quotidianoIl Giornof o n-
dato da Enrico Mattei, offriva un diverso punto
di vista alle giovani generazioni. Un giornale né
rivoluzionario né comunista ma pensato da
ottimi giornalisti, interessati ai lettori e ai fatti,
anche quelli scomodi.
A quali giornalisti si riferisce?
Marco Nozza, Guido Nozzoli, Corrado Stajano,
Camilla Cederna, Giampietro Testa, Gabriele
Invernizzi. Questi giornalisti hanno fatto tutti
controinformazione : hanno fatto i cronisti, rac-
contando anche quelle cose che erano scomo-
de al potere e che altri giornali non raccontava-
no. Non sempre però riuscivano a pubblicare:
a volte venivano censurati. Anche io, nella Rai
degli anni ’60 non potevo raccontare tutto.
Chi faceva controinformazione?
Un’organizzazione della sinistra extraparla-
mentare che si spendeva in un lavoro di intelli-
gence: arrivavano informazioni sui fascisti,
sugli attentati, sulla situazione delle fabbriche,
che permettevano di capire come stavano vera-
mente le cose. Nel 1969 la vera controinforma-
zione ancora non esisteva.
Lei lavorava in Rai in quegli anni,
come era considerato?
In Rai ero considerato “la pecora rossa”. Su
Piazza Fontana e dintorni mi facevano lavora-
re pochissimo, mentre mi sono occupato mol-
to del movimento studentesco del 1968 e 1969.
Da militante, conoscevo, sapevo, avevo rappor-
ti, partecipavo alle assemblee e potevo raccon-
tare delle cose. Gli altri giornali avevano un
approccio diverso: l’importante era non dare
troppa importanza a quelle agitazioni studen-
tesche.
Scaramucci di cosa si occupava
oltre ai movimenti studenteschi?
Lavoravo per Il Gazzettino Padano, per il gior-
nale radio Rai e per il Gr nazionale. Qui con le
censure del caso, raccontavo di scioperi, sinda-
cati, scontri e manifestazioni. Non erano cose
da poco, considerato che, fino a metà degli anni
‘60, in Rai il sindacale non veniva minimamen-
te considerato..
Cosa significava lavorare in Rai ?
Nella prima metà degli anni ’60 dovevi solo scri-
vere la notizia. Col passare degli anni, lo spazio
Quel giorno in Questura,la falsa pista anarchica
Dieci anni di silenzi. Poi Piero Scara mucci interv i s t òL i c i a , la moglie di Pino Pinelli. Gli incontri dura ro n oun anno e mezzo.Ne uscì il primo ri t ratto a tutto tondodell’uomo accusato della strage di piazza Fontana
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 20104
il caso pinelli
di Giuditta Avellina e Enrico Turcato
U
Nella foto in alto: un momento del pro c e s s o
al commissario Luigi Calabre s i .A sinistra:
l ’ a n a rchico Pino Pinelli.
per i giornalisti è aumentato, ma non era facile
riuscire a far passare elementi che in giro non
circolavano. Io lo facevo mettendo le parole in
bocca agli intervistati.
La notizia aveva un iter lungo…
Sì, ma dalla seconda metà degli anni ‘60, nasce
una cosa che noi giornalisti in gergo chiamava-
mo “il tale e quale”. Tu facevi un pezzo, lo regi-
stravi a voce e non te lo toccavano più: rimane-
va tale e quale per accorciare tempi e costi.
Ovviamente si sapeva che se la notizia non era
presentata e detta in un certo modo, non te
la passavano e avevi lavorato per niente.
Bisognava essere bravi a raccontarla.
Come è arrivato in Rai?
Quasi per caso. Un amico che lavora-
va lì mi aveva detto che cercavano dei gio-
vani. Sono andato. C’era Emilio Pozzi e mi ha
provato la voce dicendomi che andava bene. Mi
hanno messo in mano un microfono e mi han-
no mandato in Fiera a Milano per fare un servi-
zio. Sono piaciuto subito e così ho cominciato.
Eravamo in cinque. Prima ci pagavano cachet
a servizio, poi siamo stati pagati a ore per dei
turni redazionali. Dopo 3 anni ci hanno messo
sotto contratto. Era il 1961.
La sua appartenenza politica le ha
creato problemi?
Ero in Lotta Continua, dopo nei Quaderni Ros -
s i. Ma sapevo che se volevo raccontare le cose
sul servizio pubblico dovevo farlo in un modo.
La partita era quella e io me la giocavo. Alla Rai,
pur essendoci grandi giornalisti mai capaci di
stare zitti come Beppe Viola o Romano Batta-
glia, c’era sempre un controllo politico demo-
cristiano: colleghi che ispezionavano, che spia-
vano, che riferivano. Con i democristiani un po’
si trattava, un po’ si litigava, ma poi alla fine si
arrivava a un compromesso.
In Rai qualcuno faceva controin -
f o r m a z i o n e ?
Nel 1970, alla Rai di Milano, in via Riva di Villa-
santa abbiamo occupato una stanza in modo
permanente per due mesi e abbiamo prodotto
un bollettino interno: Cronaca Della Lotta. Era-
no cinque o sei pagine quotidiane, micidiali. Lì
raccontavamo i segreti della Rai, notizie che
ovviamente non sarebbero mai uscite, che
riguardavano l’organizzazione del lavoro e la
c e n s u r a .
A Milano cosa successe nelle ore
successive a quel 12 dicembre
1 9 6 9 ?
Dopo la strage di Piazza Fontana si fece
fatica a capire di chi fosse l’iniziativa
anche se intuimmo subito che la bomba
era una provocazione. Il 15 dicembre è stata una
giornata fondamentale: i funerali di stato, la
risposta della gente è stata straordinaria. Non
ho mai più visto una cosa del genere. La situa-
zione era surreale perché i sindacati, metalmec-
canici e Uil su tutti, proclamarono lo sciopero.
Poi il 16 dicembre...
In quel giorno si seppe che un anarchico era sta-
to arrestato e un altro si era buttato dalla fine-
stra. Si comprendeva che la versione data dalla
polizia non era credibile: era folle pensare che
quell’anarchico si buttava dalla finestra urlan-
do la fine dell’anarchia. Lì c’è stata paura da par-
te di tutti. Qui nacque la controinformazione,
qui iniziammo il lavoro di ricerca.
Cosa accadde alla conferenza
stampa della polizia?
A quella conferenza, avvenuta tra il 15 e il 16
dicembre, in cui vennero incolpati gli anarchi-
ci c’erano Corrado Stajano e Giampaolo Pansa,
oltre ad altri giornalisti di spicco. Due giorni
dopo Lotta Continua rivelò che non erano gli
anarchici ad aver progettato la strage e si andò
avanti per mesi cercando di stanare i veri colpe-
voli. In primavera vennero spedite le prime
querele, compresa quella al commissario Luigi
Calabresi, che però non voleva andare in aula a
t e s t i m o n i a r e . Lotta Continua accusava Cala-
bresi di avere affermato il falso per nascondere
la verità.
Ci furono altri eventi sospetti attor -
no all’accusa degli anarchici?
Il trasferimento dell’inchiesta a Roma. La
pratica non convinse nessuno e venne manda-
ta a Roma al procuratore Vittorio Occorsio,
dove restò ferma due anni. Era un chiaro tenta-
tivo di insabbiamento. Ci chiedevamo: perché
se il fatto era accaduto a Milano, bisognava
occuparsene a Roma? Ugo Paolillo, il procura-
tore di Milano, non accettò mai la decisione. A
lui venne tolta l’inchiesta immotivatamente.
Come definisce la controinforma -
z i o n e ?
La controinformazione è lo strumento per
sapere ciò che il potere ti vuole nascondere.
Saperlo, capirlo e soprattutto farlo sapere agli
a l t r i .
Cos’era la controinformazione
negli anni 70?
Fu uno straordinario strumento di cui si
dotò la sinistra extraparlamentare, per indaga-
re sulla realtà, per capire come stavano real-
mente le cose, al di la delle versioni ufficiali che
erano troppo spesso devianti, strumentali e di
appoggio a strutture eversive, legate al terrori-
smo. Ogni gruppo si dotò di strutture proprie
per indagare, capire, studiare e poi far emerge-
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 5
La controinformazione è lo strumento per farsapere ciò che il potereti vuole nascondere
D o v e M i l a n o, notte tra
il 15 e il 16 dicembre 1969,
q u a rto piano della Questura di via
Fa t e b e n e f ra t e l l i . V i t t i m e L’ a n a rc h i c o
Giuseppe Pinelli. M o v e n t e È a c c u s a t o
di essere stato uno degli org a n i z z a t o ri
della strage di Piazza Fo n t a n a .
I protagonisti Giuseppe Pinelli,
il commissario Luigi Calabresi e il capo
d e l l ’ u f ficio politico della questura A n t o n i n o
A l l e gra che lo interro g a ro n o, la moglie
Licia Pinelli.
re delle verità. Ci furono delle grandi battaglie
politiche, sorrette dalla controinformazione,
che fornirono all’opinione pubblica strumenti
di comprensione per scoprire segreti che custo-
diva il potere.
Come nacque il primo gruppo di
c o n t r o i n f o r m a z i o n e ?
Marco Ligini ed Eduardo Di Giovanni ebbero
una dritta dai servizi segreti. La notizia trapelò
da qualcuno, feci loro capire le anomalie della
strage e la sua possibile matrice fascista. Con-
temporaneamente a Roma partì l’inchiesta sui
fascisti. A Milano un gruppo di cattolici si orga-
nizza intorno a Licia Pinelli. A casa Pinelli si crea
un centro di controinformazione consistente:
giornalisti, tra i quali Gabriele Invernizzi, avvo-
cati, gruppi della sinistra. Un grande lavoro di
inchiesta durato pochi mesi, visto che il libro
esce per la prima volta nel giugno del 1970. Lì,
abbiamo veramente capito come stavano le
cose: tutto era stato organizzato dai fascisti per
colpire ingiustamente gli anarchici.
Come contribuì Lotta Continua?
Con assemblee e riunioni segrete. Si decise di
produrre il Bollettino di controinformazione
democratica (Bcd) per rendere pubbliche noti-
zie che non trovavano spazio negli altri giorna-
li. Lo distribuivamo per tutta Milano e
provincia. Si parlava, si trovavano ele-
menti: quando qualcuno notava una
stranezza, o aveva un documento per le
mani, o riceveva una confidenza o una
telefonata, lo diceva al gruppo. Si parti-
va da lì. Senza dare troppo nell’occhio. A
mio avviso la controinformazione vera
e propria nasce lì.
Non si rischiavate il posto di lavo -
r o ?
Nessuno ha perso il posto di lavoro per aver fat-
to controinformazione. Certo, era d’obbligo
fare attenzione. Non dovevano trovarti con
documenti compromettenti in mano, ovvio.
Scaramucci, come è arrivato a
sapere del caso Pinelli? Chi vi mise
in contatto?
Licia Pinelli mi ha sempre detto che sono stato
scelto dalle figlie, che mi avevano visto in tv. In
questa storia la mia militanza politica non c’en-
tra nulla. Mi telefonò l’avvocato Bruno Manghi.
Fissammo un appuntamento a casa sua. Arri-
vai lì e la Pinelli mi disse che mi voleva raccon-
tare tutti gli aneddoti legati a quella storia.
Immagina quanto ho goduto. Erano passati 10
anni dal caso Pinelli, ma la cosa era ancora
a t t u a l i s s i m a .
Fu un classico esempio di controin -
f o r m a z i o n e ?
Il caso Pinelli fu la prima grande operazione di
controinformazione di Lotta Continua. Quan-
do il questore disse nella notte, poche ore dopo
la morte di Pino, che «l’anarchico si era buttato
dalla finestra al grido della fine dell’anarchia»,
i più avveduti non ci credettero, ma tentarono
di smontare questa versione. Vennero raccolti
elementi, testimonianze, documentazioni. La
scelta di Lotta Continua fu quella di attaccare
apertamente il commissario Calabresi, per
indurlo a querelarci e aprire il processo. Proces-
so che infatti si aprì e cominciarono ad affiora-
re circostanze che contraddicevano completa-
mente la narrazione dei fatti sostenuta dalla
questura. Tanto è vero che poi negli anni la figu-
ra di Pino è stata riabilitata, tanto che il 9 mag-
gio 2009 il presidente Napolitano ha afferma-
to che Pinelli è stato vittima due volte: di una
fine assurda e di un ingiusta infamia sul suo
nome. Non dobbiamo dimenticare il contesto
di allora, il coro della stampa e non solo quella
governativa, ma tutte le testate credevano alla
versione ufficiale. Lotta Continua n o .
Grazie alla controinformazione e
all’azione giudiziaria, Lotta Continua
andò a caccia di quella verità che gli anni
hanno dimostrato fondata e sicura.
Come si sviluppò l’intervista?
Fu l’intervista più difficile di tutta la mia
vita. La Pinelli è una persona riservata,
abbastanza rigida. Inoltre erano passati ben 10
anni dall’omicidio del marito, anni durante i
quali lei si era chiusa in sè stessa. Si assunse la
responsabilità di questa vicenda con grande
umanità e sensibilità: così decise di parlare. Ma
faceva troppa fatica ad aprirsi. L’intervista durò
sostanzialmente due anni. Non finiva mai.
All’inizio Licia mi diceva pochissime cose, poi
sembrava sciogliersi, poi ritrattava, poi voleva
modificare ciò che mi aveva detto. A quel pun-
to stava in silenzio per mesi e non riusciva a par-
lare. Tra l’altro batteva a macchina lei stessa le
sue dichiarazioni, sbobinava lei, dato che come
lavoro batteva a macchina le tesi universitarie.
In ogni caso dovevo indagare e fare domande
sempre io, altrimenti lei non parlava. Ci vede-
vamo due o tre volte in una settimana, poi nes-
suno incontro per un mese. Dopo un anno e
mezzo di informazioni, andai in vacanza. In tre
mesi scrissi di getto tutto il libro.
Con quale schema?
Prima di scrivere avevo chiari quattro elemen-
ti irrinunciabili: la storia e la vita di Pino, la bat-
taglia di Licia, gli aneddoti riguardanti il caso e
come lo aveva vissuto, il rapporto di Licia, lo svi-
luppo della loro storia. Sono partito da qui e poi
mi sono avvalso dell’aiuto di Licia. Si ricordava
perfettamente ogni cosa, lei. E si emozionava
ogni volta. Non dimentico mai il momento in
cui mi raccontò dell’arrivo in casa sua dei gior-
nalisti e della corsa successiva in ospedale. Suo-
narono alla porta due giornalisti per chiederle
commenti sul balzo di suo marito dal balcone
della caserma. Lei non ne era a conoscenza,
allora. Chiamò in caserma. Le rispose Calabre-
si: “Ho cose più importanti da fare che avvisar-
la” le disse. Corse con la suocera in ospedale e
nessuno le dava retta. Solo alla fine comprese
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 20106
il caso pinelli
Per sap e rne di più
Licia Pinelli e Piero Scaramucci, U n a
s t o ria quasi soltanto mia ( Fe l t ri n e l l i , ) ; C a m i l l a
C e d e r n a P i n e l l i .Una finestra sulla stra g e
(Il Saggiatore ) .
È stata l’intervista piùdura di tutta la mia vita.Licia Pinelli è davverouna persona riservata
Le notizie ci sono ancoraperò i fatti vanno cercati,conosciuti, approfonditi.Da buoni giornalisti
che Pino era morto e lo rivide disteso su un let-
to privo di vita, per l’ultima volta dopo la trage-
dia.
La controinformazione oggi, c’è o
non c’è?
Non esiste. Le notizie ci sono e bisogna solo
andarsele a cercare, fare delle inchieste, guar-
dare documenti, carte, immagini, approfondi-
re. Giornalisti che lo fanno ci sono. Travaglio è
uno di questi. Il Fatto Quotidianoè un giorna-
le che lo fa molto bene. Si è specializzato nel tirar
fuori notizie, fatti, indiscrezioni e poi nell’ap-
profondirle, trovando collegamenti, riferimen-
ti e dando un senso logico all’inchiesta. Dentro
le altre redazioni mi sembra che gli editori non
siano interessati a questo genere di cose. Più
che altro perché i tempi si sono molto ridotti,
occorrono articoli più brevi, più veloci, scritti da
meno persone. È impossibile realizzare un pro-
dotto di grandissima qualità a queste condizio-
ni e nessuno ti pagherà per fare un lavoro dura-
to mesi, approfondito, lungo. Oggi il vero pro-
blema è fare informazione. Oggi forse è tutto ciò
che circola in rete, dove c’è molto di falso. Ma
anche qualche contro-verità.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 7
! IL C A S O: ciò che accadd ed avvero a Giuseppe Pinellinella notte tra il 15 e il 16d i c e m b re 1969 è tuttorao s c u r o. La sua morte coinv o l -se forze dell’ord i n e , o rga n i z -z a z i o n i , p o l i t i c i , in uno dei piùinquietanti re bus degli annidi piombo.
! Dopo l’esplosione allaBanca dell’Agri c o l t u ra diMilano che provocò il disa -stro noto come la strage diPiazza Fo n t a n a , furono 84 lep e rsonalità sospette che lapolizia richiamò in questuraper i controlli di routine. T raqueste c’era anche Giusep p eP i n e l l i , noto esponente delm ovimento anarchico.
! N ato a Milano il 21 ottobre1 9 2 8 , e ra un fe rr ov i e re di 41a n n i , s p o s ato con due figlie.A b i t ava in via Preneste 2,o l t re San Siro e lav o ravacome fre n at o re allo scalodelle Fe rr ovie di Po rt aG a ri b a l d i : la questura loav eva schedato come "anar -chico indiv i d u a l i s t a " .
! E ra stato ri n t ra c c i at ov e n e rdì 12 dicembre , da dueagenti dell'ufficio politico,cinque ore dopo la stra g e .Qualche ora dopo, d u ra n t el ’ i n t e rr o gat o ri o, l’anarchico sie ra gettato nel vuoto, p re c i -pitando alle 23.50 giù dalq u a rto piano della questura .Secondo la versione inizialedella polizia, mai confe rm a -t a , P i n e l l i , p re c i p i t a n d o,av re bbe gri d ato l'orm a ic e l e b re fra s e : «È la fine del -l ' a n a r c h i a ! » .
! LA V E R S O N E U F F I C I A L E: Ic a ra b i n i e ri dopo averlo trova -t o, lo portarono in una stanzadella questura , per un sup -plemento d'interr o gat o rio dap a rte di Antonino A l l e g ra edel commissario LuigiC a l a b re s i . E rano pre s e n t ianche tre sottoufficiali dellapolizia in forza all'UfficioPo l i t i c o, un agente ed un uffi -ciale dei cara b i n i e ri .
! «I suoi alibi erano tutticaduti ed era fort e m e n t ei n d i z i ato - dichiarò il questo -re di Milano Marcello Guida.Nell'ultimo interr o gat o ri oC a l a b resi si era momenta -
neamente allontanato pera n d a re a consultarsi con ilcapo dell'ufficio politico dot -tor A l l e g ra . In quella pausal’anarchico si era gettato nelvuoto da una finestra semia p e rt a . Che il commissari oC a l a b resi non fosse pre s e n t eal momento dell’accaduto fuuna versione dei fatti maia c c e rt at a .
! Nel volo il Pinelli eraa n d ato a schiacciarsi contro irami spogli dell'albero sottola finestra , n e l l ' a n golo sinistrodel vasto cortile della que -s t u ra . Inutile la cors aall'ospedale Fat e b e n e f rat e l l i .
! Il questore Guida giustificòl ’ i n t e rr o gat o rio a Pinelli per lavicinanza dell’anarchico alg ruppo del Ponte dellaG h i s o l f a , che in passato av evao rga n i z z ato altri at t e n t at i .
! Alfonso Mauri , av v o c ato diP i n e l l i , ipotizzò un collasson e rvoso del suo assistito,d ovuto al fatto che la nottep recedente av eva dorm i t osolo per 3 ore .
! Nella stanza erano pre s e n -ti quattro agenti della poliziae un ufficiale dei cara b i n i e ri ,ma non il commissari oC a l a b re s i , in evidente con -t rasto con quanto dichiarat odall'unico testimone,Pasquale Va l i t u t t i , p resente inQ u e s t u ra e trattenuto in unastanza vicina.
! Che il commissari oC a l a b resi non fosse pre s e n t eal momento dell’accaduto fuuna versione dei fatti maia c c e t t ata dagli ambientianarchici e di sinistra cheo rganizzarono una violentacampagna stampa per iso -l a r l o.Alla campagna aderi -rono molti esponenti dellas i n i s t ra italiana. C a l a b re s iv e rrà assassinato nel magg i o1972 da aderenti alla sinistraex t ra p a r l a m e n t a re .
! LA C O N T R O I N C H I E S T A: P i n e l l inon av eva mai pensato al sui -c i d i o : così ri fe rirono i suoia m i c i . Le prove per incri m i -narlo erano insufficienti. L av e rsione del suicidio fu effe t -t ivamente la prima data allastampa dal questore
Marcello Guida, nella confe -renza a cui part e c i p a r o n oanche Calabresi e A n t o n i n oA l l e g ra , re s p o n s a b i l edell'Ufficio politico della que -s t u ra .
! L’anarchico Pa s q u a l eVa l i t u t t i , fe rm ato assieme aPinelli fornì una versione dif -fe rente dei fat t i . Valilutti infat t isi trovava nella stanza adia -cente a quella dell’interr o ga -t o rio e confe rmò che nessu -n o, nei 15 minuti pre c e d e n t il ’ a c c a d u t o, si mosse maidalla stanza, nemmeno ilc o m m i s s a rio Calabre s i .
! La stessa caduta di Pinellifu anomala: nessun urlo, n e s -sun segno sulle mani chem o s t rasse il suo tentat ivo dia gg ra p p a rsi al corn i c i o n e .I n o l t re , una caduta del corp odi Pinelli in vert i c a l e , q u i n d icon nessuna protensionev e rso l’estern o, e ra cosaassai poco probabile sefosse stata vera l’ipotesi delsuo slancio; slancio pera l t r oche gli agenti giustificaronocon il vano tentat ivo di trat t e -n e r l o.
! Alcuni organi di inform a -zione (tra cui Lotta Continua)avviarono delle inchieste perc h i a ri re la dinamica dell’inci -d e n t e . Dall’autopsia eseguitanel 1975, si dedusse chePinelli fu soggetto a un malo -re dovuto allo stress da inter -r o gat o rio che av re bbe alte -rato il suo senso di equilibri o.
! A distanza di molti anni,d iv e rsi esponenti della con -t r o i n f o rmazione si occuparo -no del caso Pinelli. C a m i l l aC e d e rna nel 1971 pubbl i c ò“La finestra sulla stra g e ” .
! Anche Piero Scaramucci siaccostò al caso, ma inm a n i e ra del tutto div e rs arispetto a quanto fatto in pre -c e d e n z a . I n t e rvistando lam o g l i e , la signora LiciaP i n e l l i , l ’ a u t o re di “Una stori aquasi soltanto mia” v o l l eri c o s t ru i re un ri t ratto dell’uo -mo Pinelli a tutto tondo. G l ia n e ddoti e le rivelazioni diLicia “contro inform a r o n o ”su cosa accadde in realtà aPino quella notte a metàd i c e m b re del 1969.
Da sapere
Nella foto: il funerale di Pino Pinelli.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 20108
piazza fontana
di Marco Billeci e Fabio Forlano
E ’stato uno dei libri che ha cambiato il modo di leggere la re a l t à ,ribaltando la ve rità ufficiale fornita sulle bombe di piazza Fontana e svelando i nomi di Borg h e s e,Sindona e Marc i n k u s.Una pietra miliare della contro i n f o rm a z i o n e
T R A G ED IST A T OÈI LF R U T T OD E LL A V O R O D IC E N T I N A I Ad i
militanti di sinistra che, nei mesi precedenti e succes-
sivi ai fatti di Piazza Fontana, raccolsero informazio-
ni e testimonianze per dare una chiave interpretati-
va degli eventi alternativa a quella ufficiale. Per rico-
struire le vicende del libro è stato necessario ascolta-
re più di una voce: il Giornalista e il P r o f e s s o r e sono due dei tre
autori che si occuparono della stesura finale (ancora oggi preferi -
scono mantenere l’anonimato per garantire il carattere collettivo
del lavoro svolto); Bruno Manghi, sociologo, fu uno dei promoto-
ri del gruppo nato a difesa della memoria di Pinelli; Aldo Giannu-
l i, storico, è stato consulente della Commissione stragi e della Procu-
ra di Milano. Giannuli, inoltre, era amico di Eduardo Di Giovan-
n i, uno degli animatori del gruppo romano di controinformazione.
Al momento della strage esistevano già esperienze di
controinformazione nel panorama italiano?
ILGI O R N A L I S T A: Già da qualche mese esisteva, presso il circolo Tura-
ti di Milano, il Movimento dei Giornalisti Democratici per la Libertà
di Stampa e la Lotta contro la Repressione. Il Movimento pubblica-
va ogni settimana il Bollettino di Controinformazione D e m o c r a t i -
c a, stampato a ciclostile, per dare uno sbocco alternativo alle notizie
che non uscivano sui giornali. Così, al momento della strage erava-
mo già pronti a tenere botta.
Cosa succede dopo Piazza Fontana e la morte di
Pino Pinelli?
ILGI O R N A L I S T A: La notte del 12 dicembre, ci fu una riunione
al Movimento per capire cosa fosse successo. Erano presenti
giornalisti, avvocati, intellettuali, perché già si pensava di lavo-
rare in un modo diverso da quello che ognuno applicava nella pro-
pria professione.
MA N G H I: Io, il Professore e altri, all’epoca assistenti in Cattolica,
portavamo a Licia, la moglie di Pinelli, i nostri scritti perché li bat-
tesse a macchina. Dopo la morte di Pino, ci
siamo stretti attorno a lei e alle bambine. A
me è toccato accompagnarla per ricono-
scere il cadavere e andare in questura a riti-
rare gli effetti personali di Pino. Ci impe-
gnammo a fondo per ricostruire l’immagi-
ne autentica di una vittima che, in quei
giorni, veniva descritto dai giornali come
una belva umana.
IL PR O F E S S O R E: In casa Surrenti-Saba fu
messo in piedi una sorta di primo gruppo di controinformazione sul-
la vicenda. Il gruppo entrò in contatto con il Movimento dei Giorna-
listi Democratici. Insieme a loro costituimmo una struttura allarga-
ta, utile ad analizzare le notizie e gli elementi raccolti. Contattammo,
poi, alcuni avvocati milanesi che ci consigliavano possibili strategie
difensive da seguire. Nacque uno dei più significativi centri di resi-
stenza di quegli anni.
Come nacque il movimento romano?
GI A N N U L I: Nella seconda metà degli anni ‘60, i militanti dell’Asso-
ciazione dei giuristi democratici (Agid), alcuni giornalisti di sinistra
e i militanti del collettivo musicale Canzoniere dell'Armadiof o r m a-
rono il Collettivo di Controinformazione (Cdc), di cui faceva parte
Marco Ligini, il terzo autore del libro, morto nel 1989. Il 12 dicem-
bre il Collettivo aveva già una sufficiente mole di informazio-
ni per avviare un’indagine sulla matrice fascista della stra-
ge. Dopo il caso Pinelli, poi, alcuni magistrati e avvocati, tra
cui Edoardo Di Giovanni, dettero vita al Cpg - Collettivo poli-
tico giuridico che difendeva i gruppi anarchici. Insieme, il Cpg
e il CdC formarono il cuore della controinformazione romana.
ILGI O R N A L I S T A: Il caso ha voluto che io fossi amico di Ligini, perché
facevamo le vacanze insieme alle Eolie. A Milano si formò così una
cupola di tre persone: il Giornalista, il Professore, il Militante, che
catalizzavano i dati raccolti e scrivevano materialmente il libro.
Com’era strutturato il gruppo di lavoro?
ILGI O R N A L I S T A: Al di sotto della cupola c’era una seconda fascia. Un
gruppo di esperti che discuteva e filtrava tutto il materiale, sia in fase
di raccolta sia in fase di revisione. Alla base c’erano i militanti, soprat-
S
La Stragedi Stato
Nella foto: i resti della Banca dell’Agri c o l t u ra poche ore dopo
l ’ at t e n t ato del 12 dicembre 1969 a Milano.
tutto di Lotta Continua e dei movimenti, che producevano controin-
formazione attraverso la lettura meticolosa della stampa di qualsia-
si colore e la ricerca on the road.
Cosa succedeva al materiale fornito dalla
b a s e ?
IL GI O R N A L I S T A: Ligini faceva la spola tra le due città, ai
suoi viaggi provvedevamo con le nostre poche risorse. A
Roma manteneva legami con i suoi contatti nella controin-
formazione diffusa. Poi saliva a Milano con una valigia piena di
appunti e articoli di giornale, ritagliati da mani femminili. Il lavoro
del trio è durato circa un mese, il centro operativo era casa mia, dove
anche Marco si accampava in una stanza strapiena delle carte. Per
mettergliela a disposizione, avevo spostato uno dei miei figli. Vive-
vamo in uno stato di semiclandestinità. Una delle nostre maggiori
preoccupazioni era che Ligini parlasse del libro, perché, per caratte-
re, avrebbe raccontato anche agli avventori dei bar cosa stava facen-
do. Ogni sera arrivava il Professore, l'ideologo con cui ridiscutevamo
tutto il materiale raccolto. Poi, in un’altra stanza, scrivevo i capitoli
con la mia Olivetti Lettera 32. Se fosse stato per Ligini non avremmo
mai chiuso il libro perché si immaginava teo-
remi sempre più complicati senza mai buttar
giù una pagina. Io e il Professore eravamo più
concreti.
ILPR O F E S S O R E: Dopo la scuola passavo a casa
del Giornalista, in via Fieno. La versione fina-
le del libro l’ha scritta lui, il capitolo su Pinelli
l’ho elaborato io e qualcosa sui gruppi romani
l’ha mandata Ligini. A stesura ultimata fu con-
vocata una riunione con il movimento, i gior-
nalisti e politici. Il testo fu approvato ed uscì
a n o n i m o .
Quali erano le fonti?
GI A N N U L I: L’indagine non si fermava alla
grande stampa ma setacciava i giornali mino-
ri, la stampa di settore, gli annuari, i bollettini
delle associazioni. Non si trascurava nulla:
cronache politiche, cronaca nera, annunci
economici, necrologi, tutto era scandagliato
per cercare possibili nessi.
Quale fu il ruolo del movimento nel -
la raccolta dei dati?
GI A N N U L I: È stato decisivo. Si dette vita ad una struttura di contro-
servizi segreti, grazie all’impiego a tempo pieno di mol-
tissimi militanti. Tante informazioni venivano dai pedi-
namenti, dal procacciamento furtivo di documenti, da
appostamenti davanti alle sedi di destra. I giornalisti e gli
avvocati, poi, avevano accesso ad archivi di informazioni riservate.
Inoltre, a differenza del Pci, che fino agli anni ’70 non ebbe entratu-
re nella borghesia italiana, molti militanti di estrema sinistra erano
figli di deputati, questori, magistrati. E dunque avevano accesso ai
salotti importanti.
In quali altri ambienti si raccoglievano le notizie?
GI A N N U L I: Molti militanti incarcerati mandavano notizie dalle pri-
gioni. Altre arrivavano dagli esponenti di destra che si convertivano
alle idee di sinistra. C’erano anche contatti nelle caserme e tra le
diverse aree sottoproletarie: la rete dei lavoratori (specialmente i
telefonici) fu fondamentale. Infine i giovani universitari, che aveva-
no una buona conoscenza delle lingue, lavorarono molto sulle fonti
e s t e r e .
Si può parlare di un metodo specifico usato nella pre -
parazione del libro?
IL PR O F E S S O R E: Era un metodo casalingo. Leggevamo e classifica-
vamo tutti i giornali. In quest’azione quotidiana ciascuno aveva com-
piti precisi, ad esempio con altri io schedavo la stampa: ho costruito
un archivio di personaggi, fatti, versioni e dichiarazioni che spesso
era messo a disposizione dei giornalisti per i loro pezzi. Il metodo di
lavoro si basava sulla discussione interna al gruppo, e non mancava-
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La stesura del libro ci ha impegnatocirca un mese. Eravamo accampatia casa mia e lavoravamo in stato disemi clandestinità. Fu molto faticoso
D o v e M i l a n o, 12 dicembre
1 9 6 9 . V i t t im e 17 mort i .
M o v e n t e L’attentato di Piazza Fo n t a n a
ri e n t ra nell’ambito della “ s t rategia della
t e n s i o n e ” . G ruppi estremisti di destra ten-
t a rono di destabilizzare il clima politico del
Pa e s e. I protagonisti Un gru p p o
di militanti della sinistra ex t ra p a r l a m e n t a re.
no tensioni e contrasti.
MA N G H I: Ci domandavamo se era plausibile
che una notizia fosse legata ad un’altra. Ad
esempio, andammo a prendere un articolo di
tre anni prima che parlava di una vicenda acca-
duta in Friuli. C’entrava o non c’entrava con i
nuclei di destra eversiva, legati ai servizi devia-
ti? Il metodo voleva dire: cogliere tutti gli indizi
che erano già pubblici e collegarli tra loro. In
quei giorni la stampa produceva un’enormità di
notizie e di illazioni. Fondamentale fu l’attività
di schedatura. Nel gruppo c’era un grande gior-
nalista, il più anziano di tutti, che aveva fatto la
Resistenza ed era stato in Vietnam, un inviato
de Il Giornoche conosceva il mondo in manie-
ra straordinaria. Le sue schede erano il retro dei
pacchetti di sigarette che lasciava sparsi per
c a s a .
ILGI O R N A L I S T A: In gioventù avevo collaborato
alla sistemazione dell’archivio della Brigata
Garibaldi, la rigorosità del loro lavoro di con-
troinformazione mi servì come modello. Non
c’era margine per l’errore.
C’erano altri modelli di lavoro?
MA N G H I: Non eravamo del tutto provinciali.
Praticavamo altri paesi e altre letterature che ci
davano spunti. La sociologia, in cui
alcuni di noi erano immersi, ci
dava il polso della società.
GI A N N U L I: «Il livello culturale del-
la nuova sinistra era mediamente alto: molti
militanti avevano una formazione universita-
ria, avevano familiarità con le nuove discipline
e con l’economia. Per il Pci la cultura passava
ancora per la scuola. Per i movimenti invece
andava cercata altrove: in edicola, a teatro, nel-
le conversazioni. La cultura indiziaria era anche
il prodotto di questo humus culturale. La Stra-
ge di Stato ricalca l’inchiesta investigativa di
stampo americano, facendo esplicito riferimen-
to al lavoro di Mark Lane sulla morte di Kenne-
dy, L’America ricorre in appello. A differenza
del lavoro di Lane però, La Strage di Stato è
apertamente schierato, in questo riprende il
modello francese. Si tentò di unificare la tradi-
zione francese e l’investigative journalism,
un’operazione che, pur passando sopra molte
contraddizioni, da un punto di vista politico è
r i u s c i t a .
Qual’era quest’operazione?
GI A N N U L I: Il tentativo era quello di sviluppare
una narrazione unica. Il libro è vissuto come un
monoblocco: Pinelli buttato giù, Valpreda inca-
strato, le bombe dei fascisti. Tutto si tiene. Que-
sta linearità consente un messaggio semplifica-
to ma efficace.
ILPR O F E S S O R E: Il libro ha forse il difetto di for-
zare un’interpretazione troppo allargata dei fat-
ti. Cerca di chiudere il cerchio. Ma è un peccato
veniale e risponde ad un’esigenza dell’epoca.
Come avete trovato l’editore?
ILGI O R N A L I S T A: Trovare un editore non fu faci-
le. Ricevemmo molti no, a cominciare da Gian-
giacomo Feltrinelli».
GI A N N U L I: Feltrinelli non lo pubblicò perché lo
ritenne interessante ma non sufficientemente
provato. Ad ogni modo lui si era dato alla latitan-
za dal 7 dicembre 1968 e la sua casa editrice era
in forte difficoltà.
ILGI O R N A L I S T A: Siamo arrivati a Giulio Savel-
liper esclusione, anche perché noi eravamo tre
illustri sconosciuti. Ebbe noie di tutti i tipi,
anche dalla polizia. Non esisteva un
contratto, ma un accordo tra com-
pagni. La distribuzione avvenne tra-
mite la vendita militante e in libreria.
Savelli incassò qualcosa, ma il costo dei
processi che dovette affrontare negli anni
bruciò gran parte dei ricavi.
IL PR O F E S S O R E: Fui uno dei quelli che andaro-
no a Roma a consegnare materialmente le boz-
ze in tipografia. Con nostra sorpresa scoprim-
mo che si trattava delle stesse officine grafiche
in cui si stampava il Giornale d’Italia. Era un
ambiente di destra. E gli operai, quasi divertiti
dalla cosa, ci dicevano che avremmo fatto una
brutta fine.
Quali furono le reazioni all’uscita del
l i b r o ?
GI A N N U L I: Il libro uscì il 13 maggio del 1970, lan-
ciato dai collettivi con concerti, assemblee, spet-
tacoli . Ebbe una fortuna immediata: le prime
20mila copie sparirono subito, altre 20 mila
furono stampate già in luglio. Entro il 1971 esi-
stevano già cinque edizioni e la quinta prevede-
va una nuova introduzione in aggiunta ad ogni
capitolo. Le ristampe proseguirono fino al 1977.
Fino a quell’anno Strage di Stato v e n d e t t e
500mila copie. La fortuna del libro derivò dal-
la sua uscita tempestiva e dal suo carattere di
inchiesta collettiva. I movimenti lo avvertirono
come proprio e si identificarono con esso.
MA N G H I: Strage di Stato è servito a smasche-
rare una falsità. E lo ha fatto rapidamente. Biso-
gnava comunicare alla gente che era stata com-
messa un’atrocità indescrivibile, molto lontana
da come ce la raccontavano. Quanto all’accerta-
mento della verità, ahimè, l’impresa era proibi-
tiva, soprattutto perché le istituzioni non colla-
b o r a v a n o .
Il libro doveva restare anonimo ma
così non è stato. Ci furono problemi
interni al collettivo?
ILGI O R N A L I S T A: Noi abbiamo battuto il libro a
macchina e lo abbiamo spedito a Roma, ma non
siamo stati coinvolti nelle successive fasi di lavo-
razione, le note le abbiamo lette a libro stampa-
to. I nomi sono apparsi per la prima volta nel
1993, nella versione uscita come supplemento
della rivista A v v e n i m e n t i.
IL PR O F E S S O R E: C’eravamo impegnati a man-
tenere l’anonimato perché il libro era il frutto del
lavoro di un collettivo. Questo è stato anche uno
dei motivi del suo grande impatto emotivo. Nes-
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201010
piazza fontana
Per sap e rne di più
AA. VV., La Strage di Stato - controin -
chiesta ( O d ra d e k , 2 0 0 6 ) ; Aldo Giannuli,
Giancarlo de Palo, La Strage di Stato
vent’anni dopo, (Edizioni associale) ; A l d o
G i a n n u l i, Bombe ad inchiostro (Bur Rizzo l i ) ;
Luigi Ferrarella, Una strage senza colpev o l i .
L’ultimo falso di Piazza Fontana (Il Corri e re
della Sera, 12 dicembre 2009); SE R G I O
ZA V O L I, La notte della Rep u bbl i c a : P i a z z a
Fontana ( M o n d a d o ri ) .
Strage di Stato è servitoa far crollare un castellodi falsità. È successo tuttonel giro di poco tempo
Ci eravamo impegnati a mantenere l’anonimato:il libro è il risultato di unintenso lavoro collettivo
suno doveva rivendicare la paternità dell’opera.
Ecco perché ci siamo incazzati con il gruppo
romano.
GI A N N U L I: I milanesi non parteciparono al lan-
cio del libro ma non sollevarono mai polemiche
pubbliche. In tutta Italia furono Ligini e Di Gio-
vanni a tenere le assemblee di presentazione. Lo
stesso Giornalista non partecipò mai alle mani-
festazioni, sottraendosi alla ribalta.
Cosa restò del lavoro di contoinfor-
mazione negli anni successivi?
MA N G H I: Strage di Stato ha risvegliato un’at-
tenzione e ha messo in campo una capacità
autonoma dei giornalisti di guardarsi intorno,
di investigare. Ha fatto scuola in questo senso.
Ma non come modello. Ha spronato molte per-
sone a mettere al servizio di un’informazione
corretta i loro talenti e le loro capacità.
Com’è proseguita l’esperienza del
vostro gruppo?
IL PR O F E S S O R E: Continuammo a lavorare
dopo l’uscita del libro e ci concentrammo sul
caso Feltrinelli. Raccogliemmo informazioni e
fummo anche minacciati. Ma non uscì nulla di
scritto. Il gruppo si sciolse dopo l’avvento delle
Brigate Rosse e del clima di terrore. Le nostre
indagini partivano sempre dall’idea che dietro i
fatti di cronaca di quegli anni vi fosse un disegno
preciso. Quel disegno che Marco Ligini, sugge-
rendo il titolo del libro, definì Strage di Stato.
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! PR E M E S S A: a n c o ra ogg i ,per molti, la strage di piazzaFontana è un delitto senzac o l p ev o l i . In realtà le inchie -ste susseguitesi nel cors odegli anni, ri c o s t ruiscono unquadro pre c i s o : l ’ attacco fuo p e ra dei neofascisti diO rdine Nuov o, protetti dais e rvizi segre t i , sotto l’occhiodella Cia. Non ci sono con -danne per gli esecutorim at e riali dell’at t e n t at o. N e l2005 però la Cassazione,m e n t re assolveva gli imputat inell’ultimo processo, ha scri t -to che con le nuove prov ee m e rse Franco Freda eG i ovanni Ve n t u ra erano con -d a n n a b i l i . I due ord i n ov i s t i ,p e r ò , sono già stati assolti invia definitiva e perciò nonpiù processabili. Un altromembro di On, Carlo Digilio,ha ottenuto la pre s c ri z i o n e ,c o n fessando il suo ru o l onella stra g e .
! IL C O N T E S T O: l ’ atto fondantedella “ s t rategia della tensio -n e ” è un convegno tenutodall’Istituto Pollio a Roma nel1 9 6 5 . Pa rtecipano politici, u f f i -ciali delle forze arm ate e deis e rv i z i , militanti di estre m ad e s t ra e viene per la pri m avolta affe rm ata la necessità diun’azione terr o ristica di Stat oche provochi uno spostamen -to a destra dell’asse politicodel Pa e s e . Nel 1967, un go l p ein Grecia instaura una dittat u -ra fascista che segue quelle inSpagna e Po rt o ga l l o : l ’ I t a l i aresta l’unico paese democra -tico dell’Europa Sud-O c c i d e n t a l e .
! L’ e s p e rimento del centro-s i n i s t ra , il ’68 e l’autunnocaldo confe rmano alla destral ’ u rgenza di un interv e n t o.Intanto i gruppi neofascistiavviano una tattica di infiltra -zione nei gruppi anarchici,o l t re a stri n g e re contatti conagenti segreti italiani e stra -n i e ri . Il 1969 è un anno di vio -l e n ze : si contano quasi 200at t e n t ati contro luoghi pubbl i -c i , sedi della sinistra , i s t i t u z i o -n i : i più grossi sono opera delg ruppo fascista di Ord i n en u ov o.
! LA S T R A G E: il 12 dicembre1969 alle 16.30 una bombaesplode nella Banca
d e l l ’ A g ri c o l t u ra in piazzaFontana a Milano, fa 17 vitti -me e 88 fe ri t i . A l t ri tre ord i g n idello stesso tipo scoppiano aR o m a , un quinto è ri nv e n u t o,i n e s p l o s o, in piazza dellaS c a l a . Subito gli inquirenti sidicono sicuri della mat ri c eanarchica della strage e fe r -mano oltre 150 militanti. Il 15d i c e m b re le forze dell’ord i n ea rrestano Pietro Va l p reda e loa c c u s a n o, pur senza verep r ov e , di essere l’autore dellas t ra g e . La sera del 15, l ’ a n a r -chico Pino Pinelli, reduce dat re giorni di interr o gat o ri ,p recipita da una finestra dellaq u e s t u ra di Milano.Nonostante le palesi incon -g ru e n ze , viene accre d i t ata latesi del suicidio: il fe rr ov i e re ,si dice, non av re bbe retto difronte alle proprie re s p o n s a -bilità nell’at t e n t at o.
! LA C O N T R O I N C H I E S T A: n e lgiugno 1970 esce in form aanonima La Strage di Stat o,f rutto di cinque mesi diricerche di oltre duecentomilitanti di sinistra . Il librosostiene l’innocenza deglianarchici e la re s p o n s a b i l i t àd e l l ’ e s t rema destra per l’at -t e n t ato con lo scopo - sottol’egida di settori dello Stato -di produrre una fascistizzazio -ne del Pa e s e . I n o l t re è smon -t ata la versione del suicidio diP i n e l l i . Si trovano molti ele -menti inediti sulla ga l a s s i afascista romana, sul Fr o n t eNazionale di Borg h e s e , a n c o -ra poco considerat o, sui finan -z i at o ri dell’ev e rsione (condue nomi all’epoca scono -s c i u t i , Sindona e Marcinkus). Im ovimenti della sinistra fannop r o p ria la chiave interp re t at i -va offe rta dal libro e ned e c retano il successo, le suc -c e s s ive confe rme alle circo -s t a n ze descritte (la più cla -morosa è il tentato go l p eB o rghese) ne rafforzano laf a m a , anche tra l’opinionep u bblica moderat a . Per lap rima volta si diffonde l’ideache la versione ufficiale possanon essere l’unica.
! LE I N C H I E S T E U F F I C I A L I: d u eanni dopo l’uscita del libro lapista nera entra nelle inchie -ste ufficiali, anche se nonp o rta ad Ava n g u a rd i aN a z i o n a l e , ma ad Ord i n e
N u ov o. Un testimone parla dialcuni incontri in Veneto nellap ri m av e ra del ’69 dov es a re bbero stati decisi gliat t e n t ati del 12 dicembre .Sulla base di questa e altrep r ov e , i giudici contestano aG i ovanni Ve n t u ra e Fra n c oFreda - due membri padova -ni di On - l’accusa di stra g e .Gli inquirenti scoprono ancheuna serie di documenti deis e rvizi segreti appartenenti aVe n t u ra . A passarglieli è stat oGuido Giannettini, g i o rn a l i s t ae agente del Sid, che av re bb ep u re part e c i p ato agli incontridi prep a razione dell’at t e n t at o.E m e rge così per la pri m avolta il collegamento tra las t rage e apparati dello Stat o.
! Giannettini viene imputa -t o, ma i servizi segreti lofanno espat ri a re . Intanto laCassazione decide di unifica -re la pista nera e quella anar -chica in un unico processo,spostandolo da Milano aC at a n z a r o. Gli anarchici sonoassolti in tutti i gradi di giudi -z i o, m e n t re per Fre d a ,Ve n t u ra e Giannettini dal1977 si alternano condanne ea s s o l u z i o n i , fino a quella defi -n i t iva nel 1987. Alcuni uominidel Sid sono condannati per id ep i s t a ggi alle indagini.
! Negli anni ’90 la procuradi Milano si trova di fronte an u ove testimonianze che indi -cano tre div e rsi autori dell’at -t e n t at o, s e m p re di On veneto:Delfo Zorzi, Carlo Mari aM a gg i , Giancarlo Rognoni.Nel 2001 la corte li condannaa l l ’ e rga s t o l o, ma ancora unavolta in appello la sentenza èri b a l t at a . Si chiude così l’otta -vo ed ultimo processo sullas t rage di Piazza Fo n t a n a .
Da sapere
Nella foto: I primi soccorsi in piazza Fo n t a n a .
E L 1971 A TO R I N O, S I D I F F O N D E
la notizia del processo contro
alcuni dirigenti Fiat per cor-
ruzione di pubblici ufficiali e
spionaggio. Secondo E n r i c o
D e a g l i o l’inchiesta di L o t t a
C o n t i n u a rappresentò un esempio positivo di
controinformazione. Per Daniele Protti,o g g i
direttore dell’E u r o p e o la controinformazione,
avvelenata dall’ideologia, non fu mai buon gior-
nalismo. Negli anni Settanta Protti era diretto-
re del Quotidiano dei lavoratori, giornale di
Democrazia Proletaria, terzo foglio della sini-
stra extraparlamentare italiana.
Cosa ricorda dell’inchiesta Agnelli
ha paura e paga la questura?
DE A G L I O: Tutto cominciò con il processo a
Caterino Ceresa, dipendente Fiat, licenziato il
5 marzo 1970, che fece causa per far dichiarare
illegittimo il suo licenziamento. Disse: «Mi
licenziano con la qualifica di fattorino, ma in
realtà ho fatto un sacco di altre cose». La pretu-
ra di Torino aprì un fascicolo. Iniziammo a
seguire le vicende delle parti, a seguire il caso.
Le prime notizie trapelarono dagli
ambienti Fiat e dalla Gazzetta del Popo -
l o, giornale di Torino che oggi non c’è
più. La Stampa si teneva abbottonata.
La Gazzetta del Popolo, invece, passava
qualche informazione in più, tant’è che noi in
breve tempo riuscimmo a indicare alcuni nomi.
La storia era questa: la Fiat aveva un’organizza-
zione di spionaggio bella, potente e ramificata,
attraverso la quale controllava i suoi operai: se
uno era comunista, testa calda, lo licenziava.
Per farlo c’era una struttura notevole, che si
avvaleva anche di poliziotti, carabinieri, agenti
dei servizi segreti, tutti metodicamente pagati o
corrotti. Questo venne fuori, e noi pubblicam-
mo. L’opuscolo Agnelli ha paura e paga la que -
s t u r a è il libretto finale, ma avevamo fatto una
campagna enorme. Manifesti, volantini con i
nomi delle persone. Lo scalpore fu enorme e gli
inviati vennero rinviati a giudizio. Condusse le
prime indagini Raffaele Guariniello, pubblico
ministero di Torino, persona eccezionale. A
quel punto, però, il procuratore disse: «Non si
può processare il vertice della Fiat a Torino per
motivi di ordine pubblico». Raccolse quindi
tutto l’incartamento e trasferì il processo a
Napoli. I tempi divennero biblici.
PR O T T I: Quello dello spionaggio in Fiat fu un
caso clamoroso, che nacque dall’ignoranza del-
la storia, uno dei grandi problemi di quella sta-
gione politica. La questione del cosiddetto
“spionaggio in Fiat” risale agli anni Cinquanta.
Era prassi, ed era noto che dai tempi di Valletta
la schedatura degli operai veniva fatta, grazie
anche a sovvenzioni Fiat a commissariati. I par-
titi e il Pci lo sapevano.
Lotta Continua fu l’unica, tra i
movimenti di sinistra, a diffondere
informazioni su questo caso?
Perché il Pci scelse di stare un
passo indietro?
DE A G L I O: In quell’occasione, ci scon-
trammo con il Pci, perché i comunisti,
pur avendo i nomi davanti, non li pubblicaro-
no mai. Dicevano: «Bisogna fare luce, questa è
una cosa preoccupante. La democrazia è in
pericolo se succedono fatti del genere». E noi:
«Ma i nomi sono già lì!». I dirigenti del Pci, però,
quel passo non lo vollero fare, per motivi facil-
mente intuibili. Andavano salvaguardati i buo-
ni rapporti con la Fiat. Sarebbe stato un attacco
frontale, perché si diceva che, da Gianni Agnel-
li in giù, tutti avevano dei fondi neri e pagavano
poliziotti e carabinieri per spiare e licenziare gli
operai. Non era una cosa da poco. Credo che nel
Pci si sia sempre pensato che, nel caso di una
sollevazione di massa o di una ascesa del parti-
to ai vertici della politica italiana, la società ita-
liana avrebbe potuto reagire violentemente.
PR O T T I: Lotta Continua cavalcò questa speci-
fica notizia, ma ogni giornale si affezionava alle
proprie: gli altri non volevano poi arrivare
secondi e quindi non le riprendevano. Si devo-
no ricordare le rivalità che c’erano allora tra i
fogli di estrema sinistra, una competizione for-
midabile. Il terreno da spartirsi era piccolissi-
mo e quando sei in tre, quattro quotidiani,
scendi in guerra: una guerra tra poveri. In quel
periodo, a Torino Lc aveva un insediamento
interessante, era un’organizzazione simpatica:
tra i “pallosissimi” comunisti del M a n i f e s t o e
di Avanguardia Operaia, in tanti sceglievano
Lotta Continua, giornale frizzante, contraddi-
torio. C’erano ottime espressioni di giovanili-
smo non politico, molta attenzione per la
musica. Quando poi Sofri si accorse che si sta-
vano coagulando due elementi tremendi - la
crescita all’interno di L cdel partito armato e la
contestazione delle donne - capì che la cosa
non era più governabile. Fortunatamente,
però, c’è stata la contestazione femminile: sen-
za, L csarebbe diventata un partito armato. Pri-
ma Linea è nata lì.
Chi erano i finanziatori di Lotta
Continua?
PR O T T I: Tanti signori facevano regali. C’era chi,
magari per salvarsi la coscienza, allungava dei
soldi. Con l’inizio del terrorismo questo model-
lo è finito, perché molti cominciavano a chie-
dersi come venissero usati quei soldi.
Nelle file di Lc qualcuno pensava
che un’inchiesta come questa sulla
corruzione e spionaggio Fiat non
dovesse essere fatta?
DE A G L I O: No, su queste cose non ci sono mai
state opposizioni interne.
Quanto tempo avete impiegato per
ricostruire questa vicenda in modo
e s a u s t i v o ?
DE A G L I O: Un anno, più o meno.
Quali erano le fonti di Lotta Conti -
nua?
DE A G L I O: Avevamo qualcuno in pretura e in
procura. Le fonti erano da una parte all’interno
del Palazzo di Giustizia, dall’altra, tra i giorna-
listi. Non erano documenti rubati. Diciamo che
erano passati volontariamente. Un giornalista,
poi diventato conosciuto alla Gazzetta del
P o p o l o, ci aveva fornito parecchio materiale.
Agnelli ha paura,Lotta continua attacca
Ventisei vo l u m i , più di 354 mila schede. Per ve n t ianni la dirigenza Fiat spiò gli orientamenti politici e la vita privata dei pro p ri dipendenti. D avanti algiudice fi n i rono 77 imputati: poi la pre s c ri z i o n e
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201012
spionaggio alla fiat
di Chiara Avesani e Ambra Notari
N
Nella foto da sinistra: A l b e rto Pire l l i ,
Vi t t o rio Valletta e Gianni A g n e l l i .
Fonti principali, comunque, erano gli operai
dentro la Fiat. Avevano un ruolo importante,
segnalavano le cose. Quando vedevano movi-
menti loschi in officina, incontri particolari, ce
lo venivano a riferire.
PR O T T I: Le fonti di Lotta Continua, così come
quelle del Quotidiano dei Lavoratori, del
M a n i f e s t o, erano modeste, fonti che esisteva-
no in qualche università e in qualche fabbrica.
E poi c’era “il compagno”: quando davi la sof-
fiata al compagno diligente, colto, questo ci
lavorava sopra fino a farlo diventare perfetto
ragionamento politico. C’erano anche organi
istituzionali che passavano informazioni a Lot-
ta Continua, nell’intento di mandarla in avan-
scoperta. Non si dimentichi, però, che c’è stata
controinformazione e disinformazione. Si
davano dritte per danneggiare nemici comu-
ni, o facendosi strumenti, oppure per fregare.
Ci furono anche parlamentari di altri schiera-
menti che contribuirono alla causa. Accade e
non c’è niente di male.
Perché fu solo Lotta Continua a
denunciare il reato di corruzione
oltre allo spionaggio, mentre gli
altri organi d’informazione tende -
vano a tralasciare il primo?
DE A G L I O: Credo che gli altri giornali conside-
rassero questo caso un attacco frontale alla
democrazia. Un processo e la condanna dei ver-
tici della Fiat per corruzione - una specie di Tan-
gentopoli con trent’anni di anticipo - l’Italia non
avrebbe potuto sopportarlo. C’era una sorta di
ragion di Stato per cui si poteva denunciare, ma
fino ad un certo punto. Consideravano noi dei
provocatori perché lo facevamo. Si giustificava-
no: «Se poi la Fiat chiude, licenzia tutti, alla fine
ci perdiamo tutti». Questo è il sistema.
Cosa spingeva Lotta Continua a
insistere nella denuncia?
DE A G L I O: Era per tutelare dei principi, dei valo-
ri. Da una parte, l’amore della verità; dall’altra,
la soddisfazione per essere noi stessi a scoprire
come veramente era fatto il sistema. Le perso-
ne più impensabili, le meno sospettabili, in real-
tà erano quelle che passavano la busta al poli-
ziotto e poi si presentavano davanti alle nostre
porte per chiedere alla portinaia chi frequenta-
vamo, che tipo di vita avevamo; quelli che poi
passavano il bigliettino al caporeparto che
provvedeva ai licenziamenti. Era come vivere
sotto un regime, lo vedevamo. Tanti dei nostri
venivano licenziati per questo motivo.
PR O T T I: Lotta Continuaera spinta dalla volon-
tà di mobilitare, di sensibilizzare la popolazio-
ne. Ci si accontentava di avere fatto una grande
manifestazione, di aver riempito le strade di
Roma, piazza del Popolo. Il lavoro del cronista,
cioè controllare le fonti, scavare, non era una
priorità. Nel periodo della controinformazione
il controllo delle fonti era molto elastico, super-
ficiale, spesso desunto dall’autorevolezza di chi
dava l’informazione, la maggior parte delle vol-
te un’autorevolezza politica.
L’informazione ufficiale non aveva
bisogno di questa informazione
parallela?
PR O T T I: Noi allora ci sentivamo i protagonisti
della storia, eravamo convinti che cominciasse
lì. Bisognava, invece, farsi delle domande, ave-
re dei dubbi. Solo ora capisco che grande cosa
sia la possibilità di essere smentiti. Su questo
periodo storico sarebbe necessario fare autocri-
tica. Non dico che la rivoluzione fosse dietro
l’angolo, ma la caduta del sistema sì. La cosa
importante era riempire le piazze: è stato un
elemento di debolezza intellettuale straordina-
rio. Fermarsi lì fu un errore politico.
Arriva Guariniello. Trova le sche -
dature, parte il processo con Gian -
ni Agnelli imputato. Come vi siete
s e n t i t i ?
DE A G L I O: Eravamo molto soddisfatti. Abbia-
mo pensato: «Adesso finalmente si farà un pro-
cesso e poi si vedrà». La nostra strategia con il
Commissario Luigi Calabresi era praticamen-
te identica.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 13
La Fiat aveva una retedi spionaggio potente e ramificata attraversocui spiava i suoi operai
D o v eTo ri n o - N a p o l i , a n n i
1971/1972 O g g e t t o casi di
spionaggio in Fiat e corruzione di pubb l i c i
u f ficiali I protagonisti G i a n n i
A g n e l l i , G i ovanni Colli, R a f f a e l e
G u a ri n i e l l o, f o r ze dell’ord i n e, Sid
A u t o r e Lotta continu a , Agnelli ha
p a u ra e paga la questura : i documenti
dello spionaggio e della corruzione Fi at
(Edizioni Lotta Continua) .
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201014
spionaggio alla fiat
Qual era questo metodo?
DE A G L I O: Noi pubblicavamo sul giornale
“Calabresi assassino” perché volevamo indur-
lo a denunciarci. Così fece. Tra l’altro lo fece da
privato cittadino, perché i suoi superiori non
l’avrebbero fatto. Eravamo entusiasti: quando
tu sei un pubblico ufficiale e denunci qualcuno
per diffamazione, per esempio un giornale, gli
dai ampia facoltà di prova. Il processo Calabre-
si-Lotta Continua fu esattamente questo: ven-
nero chiamati testimoni, venne fatta la perizia
sul corpo di Pinelli, venne fatta la prova col
manichino buttato giù. Come Agnelli, anche
Calabresi da accusatore divenne accusato. Ma
anche in quel caso il processo si interruppe. Poi
Calabresi venne ucciso.
PR O T T I: La cosa più esplicativa, sulla questione
Calabresi, la scrisse Adriano Sofri: sostenendo
che Lc fece una pessima controinformazione,
sottovalutando completamente alcuni dati.
L’unico testimone che vide chi sparava a Cala-
bresi ha descritto una persona che è radical-
mente diversa da Bompressi, mentre sembra-
va un identikit di Nardi. Questa pista ven-
ne immediatamente abbandonata,
anche dalle autorità costituite. Quando
succede una cosa del genere, e tu hai fat-
to una campagna praticamente invitando ad
ammazzarlo, se sai di non essere il colpevole,
devi battere tutte le piste, non fermarti attoni-
to. In questi casi devi farti investigatore e croni-
sta. Invece allora eravamo dilettanti allo sbara-
glio. Sono stati inventati dei giornali da gente
che non sapeva nemmeno cosa fosse un gior-
nale. Una cosa, se vogliamo, eroica. Dal punto
di vista informativo, però, l’unico valido è stato
il Manifesto, perché aveva fior di professionisti
che, anche se con un’impostazione politica,
sapevano che bisognava tenere conto che la vita
è complessa, che il mondo è complesso.
Questo desiderio di andare a fondo
a tutti i costi, col senno di poi, può
essere stata una delle cause di quel
clima di violenza?
DE A G L I O: Sapevamo che intraprendendo quel-
la strada saremmo andati incontro ad una
situazione rischiosa, che avrebbe scaldato gli
a n i m i . Ma non potevamo tirarci indietro: se
uno non esce mai di casa, non gli succede nien-
te, è vero. Noi, invece, dovevamo uscire e par-
lare con la gente, esponendoci in prima perso-
na. Che l’essenza dello stato italiano, delle sue
istituzioni, potesse essere così poco riformabi-
le, così poco pronta ad ammettere i propri erro-
ri, era una cosa che non ci aspettavamo. Pen-
savamo avrebbe assicurato i colpevoli alla giu-
stizia. Invece ha reagito, quasi sempre, aumen-
tando il livello di violenza. Questa è la versione
che do io.
Pci, Mpl, Psi, tra gli altri, nell’otto -
bre 1971 presentarono diverse
interrogazioni in Parlamento
riguardo questa inchiesta. Il caso
Agnelli arrivò, così, alle Camere.
Per voi di Lotta Continua fu una
conquista?
DE A G L I O: Ci sono stati parecchi deputati in Par-
lamento che hanno sostenuto le nostre iniziati-
ve. In particolare del Partito Socialista, molto
più libero e aperto rispetto al Partito Comuni-
sta. In ogni caso, nel Pci alcuni nostri simpatiz-
zanti c’erano. C’era Umberto Terracini, padre
della Costituzione, che ci voleva davvero molto
bene, che ci sosteneva come poteva, quindi
anche attraverso interrogazioni parlamentari.
Era avvocato e aveva preso le nostre difese in
numerosi processi. Secondo lui avremmo
dovuto diventare la federazione giovani-
le del Partito Comunista.
PR O T T I: C’erano certamente alcuni
onorevoli che spalleggiavano i
movimenti extraparlamentari. Allora come
oggi, in tutti i giornali ci sono redattori che han-
no rapporti privilegiati con determinati settori.
Storia vecchia, purtroppo, che va avanti.
Come accolse Lotta Continua la
conclusione del processo?
DE A G L I O: È arrivata talmente tardi che Lotta
Continua si era già sciolta. Mi stupì quello che
disse il procuratore Giovanni Colli: il processo
proprio non si poteva fare a Torino, ci sarebbe-
ro state manifestazioni davanti al Tribunale.
Non si poteva portare Agnelli sul banco degli
imputati, perché Agnelli a Torino era il bene-
fattore, quello che dava il lavoro a tutti. Molti
anni dopo ho incontrato il procuratore, siamo
andati a mangiare insieme. Lui è proprio quel-
lo che si definisce un reazionario vecchio stam-
po. Allo stesso tempo era sincero: mi ripeté le
stesse identiche cose, mi ribadì che Agnelli non
poteva essere processato. Noi, poi, il processo
a Napoli non l’abbiamo seguito. Le continue
sospensioni lo rendevano infinito. Qualche
condanna alla fine c’è stata. Alcuni, invece,
sono andati in prescrizione, altri sono morti,
come Gioia. L’unica a non essersi persa
un’udienza dall’inizio alla fine, è Bianca Gui-
detti Serra oggi è ultranovantenne, amica inti-
ma di Primo Levi, persona di grande rettitudi-
ne e dotata di un altissimo senso della giustizia,
quindi disposta ad assistere le cause dei debo-
li (ndr. Bianca Giudetti Serra è nata a Torino
nel 1919, avvocato penalista dal 1947 al 2001,
parlamentare indipendente prima per il Pci,
poi per Democrazia Proletaria. Ha seguito tut-
te le parti civili del processo contro lo spionag-
gio in Fiat. Ha pubblicato anche un libro sul
tema: Le schedature Fiat. Cronaca di un pro -
cesso a altre cronache, del 1984).
Il 23 settembre 2009 Antonio Selva -
tici ha pubblicato sul Giornale un
articolo intitolato Il giallo di Lotta
Continua. Il giornalista riprende la
Per sap e rne di più
Luigi Bobbio, Lotta Continua - Stori a
di un'organizzazione riv o l u z i o n a ri a,
S ave l l i , 1 9 7 9 ; Lotta Continua, Agnelli ha paura
e paga la questura : I documenti dello spionag -
gio e della corruzione Fi at , Edizioni Lotta
C o n t i nu a , 1 9 7 2 ; Bianca Guidetti Serra, L e
s c h e d at u re Fi at .Cronaca di un processo e
a l t re cronache, R o s e n b e rg & Sellier, 1 9 8 4 .
Scrivevamo sul giornale“Calabresi assassino”perchè volevamo indurlo a denunciarci
Noi allora ci sentivamoprotagonisti della storia,eravamo convinti c h etutto cominciasse da lì
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denuncia che il 31 luglio 1988 Mar -
co Nozza fece dalle pagine del Gior -
no. Nozza accusò Lotta Continua di
tradire i suoi principi facendosi
stampare da una stamperia gesti -
ta da americani, che aveva la sede
al medesimo indirizzo della Dapco,
l’editrice del Daily American, il
giornale degli americani a Roma.
Amministratore unico della Dapco
era Robert Cunninghm, eminente
collaboratore di Richard Helm
quando Helm era capo della Cia.
Tra i soci, altri agenti Cia.
DE A G L I O: Siamo capitati lì per caso, è stato il
primo ad acconsentire a stamparci. Non si
chiamava Robert, era Frank, un irlandese: lo
conoscevo benissimo, era simpatico. Il padre
credo fosse della Cia. Gli pagavamo affitto e
rotativa. Fu proprio lui a dirci, senza malizia,
che c’era, forse in Texas, questa vecchia rotati-
va, che si poteva comprare a prezzi stracciati. La
comprammo: una Goss Community, 4 ele-
menti, che arrivò con i container, e la pagammo
a un ottimo prezzo. Non fu la Cia che ci diede la
rotativa. Nozza oggi è scomparso. Era un otti-
mo giornalista investigativo, purtroppo, però,
in quell’occasione sbagliò.
! LA M I C C I A: C at e rino Cere s a .Lo scandalo esplode quasiper caso. Il 24 settembre 1970C at e rino Cere s a , un dipen -dente Fi at , cita in giudizio lasocietà davanti alla Sezione
l avoro della Pre t u ra di To ri n o
perché venga dichiarato ille -
gittimo il suo licenziamento.
C e resa è stato licenziato come
“semplice fat t o ri n o ” , ma ri t i e -
ne illegittimo il prov v e d i m e n t o
perché le sue mansioni in
realtà erano div e rs e : per anni
ha fatto la spia. N e l l ’ o rd i n a n z a
del pre t o re Conv e rs o, v i e n e
a c c e rt ata la sua at t ività di
s p i o n a gg i o.
! S c attano le indagini. N e l
p e riodo delle fe rie estiv e , c o n
To rino vuota e gli uffici Fi at
s e m i d e s e rt i , il pre t o re Raffaele
G u a riniello a sorp resa si pre -
senta all’ufficio Serv i z i
G e n e rali per una perquisizio -
n e : salta fuori un intero archi -
vio di “ s c h e d e ” con notizie
sulla vita privata di dipendenti
Fi at o aspiranti tali, ma anche
di politici o sindacalisti non
l e gati all’azienda.
! Ci sono poi fascicoli detta -
g l i ati con i nomi e il compenso
annuo per i “ c o l l a b o rat o ri
e s t e rn i ” : una fitta rete di infor -
m at o ri appartenenti a polizia,
c a ra b i n i e ri e uffici comunali,
che forn ivano alla Fi at notizie
ri s e rvate coperte dal segre t o
d ’ u f f i c i o, dietro compensi in
d e n a r o.T ra questi, ad esem -
p i o, il tenente Colonnello dei
C a ra b i n i e ri Enrico Stetter-
m a j e r,capo del Sid in Piemonte.
! L’ a r c h ivio segreto è tenuto
da funzionari Fi at alle dipen -
d e n ze dell’ex colonnello ed ex
agente dei servizi segreti del -
l'esercito Mario Celleri n o : 2 6
v o l u m i , 354.077 “ s c h e d e ” p e r
s p i a re gli orientamenti politici
e la vita intima di uomini e
d o n n e , p rima di decidern e
l’assunzione o la destinazione.
! LE S C H E D E: L’inizio della
s c h e d at u ra risale al 1949.
Quali erano le inform a z i o n i
ritenute utili dall’ufficio di
C e l l e rino? Ad esempio, C. E .
nel 1954 era descritto come
“ ex part i g i a n o, i n c e n s u rat o
politicamente e penalmente,
i s c ritto al Pci, at t iv i s t a , è il pro -
p a gandista più at t ivo dello
stabile dove abita”. R . I . n e l
1963 “è simpatizzante Pci.
R ep u t a z i o n e : c at t iva , è ri t e n u t o
dall’opinione pubblica un
o m o s e s s u a l e ” .
! T ra il 1967-71 le schedat u re
aumentano e il linguaggio si
a d atta ai tempi. Nel 1968, F. V. è
s c h e d ato così “ R ep u t a z i o n e
p e s s i m a ; t rattasi di capellone”.
! Nel ’70 per agg i ra re il
d ivieto posto dallo Statuto dei
l av o rat o ri di effe t t u a re indagini
sulle opinioni politiche dei
l av o rat o ri , viene usata l’espre s -
sione convenzionale “idoneo o
non idoneo a lav o ri di carat t e -
re collettiv o ” .
! Si scoprono schede anche
sul conto di donne, d i p e n d e n t i
o parenti di schedat i .A diffe re n -
za degli uomini a quasi tutte è
ri s e rvato un giudizio sul com -
p o rtamento mora l e - s e s s u a l e :
C. M , 1 9 4 9 ,“è nubile e madre di
una bambina di quattro anni.
S i m p atizza per i partiti di sini -
s t ra .Conduce vita piuttosto
l i b e ra ” . La scheda di L.M.,
1 9 7 0 , rende noto che sua
m a d re è “ p a s s ata a seconde
n o z ze nel luglio scors o ; d u ra n t e
la vedovanza ha lasciato desi -
d e ra re per la condotta mora l e
e civ i l e , e ha avuto anche un
a b o rt o ” . Le valutazioni “di facile
c o m a n d o ” o analoghe ri g u a r -
dano solo le donne.
! Le spie forniscono dettagli
p recisi di vita quotidiana e
m o s t rano di essere a cono -
scenza delle ricadute concre t e
della schedat u ra nelle scelte
degli schedat i : nel 1951 F. D.“ è
i m p i e gata da alcuni anni alla
Fi at , ha conosciuto il mari t o
d u rante il periodo partigiano e
sono entrambi comunisti. I l
m a rito è impiegato all’Anpi di
To ri n o, ma guadagna poco e
viene mantenuto dalla moglie.
Si ritiene che egli abbia abb a n -
d o n ato l’incarico nel timore
che la propria moglie, i n c a ri c a -
ta presso la direzione genera l e
della Fi at , potesse essere eso -
n e rata dall’impiego in conse -
guenza dell’at t ività politica da
lui svolta nell’Anpi”.
! LA R E M I S S I O N E D E L P R O C E S S O:
Il 3 dicembre la Corte di
Cassazione sposta il procedi -
mento a Napoli, di fatto fav o -
rendo gli imputati e sottra e n -
dolo all’attenzione dei cittadini
t o ri n e s i . Si temono disord i n i
visto che si profilano re s p o n -
sabilità a carico di massimi
d i rigenti della Fi at e della
forza pubbl i c a . Questo proces -
so è uno tra i primi casi nei
quali il tri bunale ha perm e s s o
non solo ai singoli lav o rat o ri ,
ma anche ai sindacati di costi -
t u i rsi parte civ i l e , f o rnendo ai
giudici importanti prov e .
! Lotta continua pubblica i
nomi di poliziotti e cara b i n i e ri
a libro-paga Fi at : non è solo
s p i o n a ggio aziendale, m a
s i s t e m atica corruzione di forze
d e l l ’ o rd i n e . R i p o rta anche la
notizia di un “ v e rt i c e ” a d
Antagnod tra il pre s i d e n t e
della rep u bbl i c a , S a ra gat ,
Agnelli e il procurat o re gene -
rale di To ri n o, C o l l i .
! LE S E N T E N Z E: Il 20 fe bb ra i o
1978 il processo a carico di 77
i m p u t ati si chiude con senten -
za del tri bunale di Napoli: c o n -
d a n n ati quasi tutti, c o rru t t o ri e
c o rr o t t i . L’11 luglio 1979 la
c o rte d’appello di Napoli con -
fe rma la sentenza, ma i re at i
vanno quasi tutti estinti per
p re s c ri z i o n e .
Da sapere
Nella foto: s c i o p e ro alla Fi at Mira f i o ri .
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201016
giorgiana masi
di Giulia Dedionigi, Carlotta Garancini, Tancredi Palmeri
Il12 maggio 1977 Giorgiana Masi viene uccisa dura n t euna manifestazione. I Radicali affidano il caso all’av vo c a t oBoneschi e accusano il gove rn o :«A spara re è stata la Po l i z i a ;quel giorno a Roma si cerc ava il morto a tutti i costi»
U C A BO N E S C H I S I D E F I N I S C E O G G I “l’unico impu-
tato” della vicenda Masi. Avvocato milanese,
difensore di Valpreda nel processo di Piazza
Fontana, a partire dal gennaio del 1978, insieme
a Franco De Cataldo, rappresentò civilmen-
te la famiglia Masi nell’indagine. Quando
l’istruttoria si concluse, nel 1979 con l’archiviazione, un giornale
pubblicò, riprendendola dall’Ansa, una dichiarazione di Boneschi,
critica nei confronti del giudice istruttore, il quale aveva poi denun-
ciato l’avvocato per diffamazione. All’epoca dei fatti, Boneschi era
stato eletto alla Camera dei Deputati nel Partito Radicale, ma si
dimise per affrontare il processo a Perugia. Nel libro del 2004
Roberto Franceschi: processo di polizia, Boneschi afferma: «Chi
scrive non sa quando finirà, né come. E talvolta sorride pensando
alla fatica e ai sacrifici fatti in nome di Giorgiana, che l’hanno por-
tato, pur non volendolo, a essere l’unico imputato di questa vicen-
da. Ognuno tragga la morale che preferisce: e se qualche studioso
volesse ripercorrere il processo, chi scrive ha tenuto le carte per ven-
t’anni e le conserverà ancora, finchè non sbiadiranno del tutto».
Come si è trovato a rappresentare civilmente la
famiglia Masi?
Sono subentrato a Oreste Flamminii Minuto, un avvocato di
Roma, perché il patrocinio della famiglia Masi era stato
assunto dal Partito Radicale che aveva chiesto a Franco De
Cataldo, conosciutissimo avvocato romano, e a me, che in
quel momento stavamo costituendo il centro C a l a m a n d r e i,
di assumere la difesa della parte civile al posto di Flamminii.
In casi di questo genere come si muove la difesa?
L’aspetto sostanziale di un processo civile non è tanto la condanna
dei colpevoli, che è una soddisfazione morale, quanto il risarcimen-
to del danno che ha un aspetto sostanziale. Nel processo Masi era
complicato dimostrare qualsiasi cosa perché, non essendo stato
trovato il proiettile, era un’impresa disperata risalire all’arma. Il
nostro tentativo è stato quello di ricostrui-
re una situazione di probabilità. Il giudice
ha ritenuto invece che non fosse possibile
individuare il colpevole in nessun modo.
Il fatto che la prima perizia del -
la Procura fosse “superficiale”,
ha favorito la vostra contro
p e r i z i a ?
Quando gli abbiamo fatto vedere i primi
risultati, il nostro perito ha intuito subito
che non potevano essere veritieri e ha fat-
to le sue prove con le vertebre di un maia-
le. Ha potuto verificare come la pallottola
indicata nella perizia non potesse trapassare la colonna vertebrale
della Masi e quindi doveva per forza trattarsi di una pallottola blin-
data sparata da un’arma molto più potente e da una distanza note-
vole. Purtroppo l’elemento che avevamo a disposizione per la con-
tro perizia era solo il cadavere. C’erano anche i vestiti; poi, a un cer-
to punto, non si sono più trovati. Se si fosse sparato a bruciapelo
sarebbe rimasto un tipo di alone sul vestito che invece non c’era:
bisognava aver sparato almeno a una certa distanza, a
parecchi metri. Giocavamo su quello per sostenere
che il colpo doveva essere partito dalla polizia, non da
uno dei ragazzi che correvano vicino a Giorgiana.
Quando subentrò la nuova difesa, pose immediata -
mente l’attenzione al Libro Bianco. Non gli era sta -
to dato il giusto peso nella fase precedente del pro -
c e s s o ?
In una prima fase la famiglia era stata assistita in condizioni preca-
rie: il materiale all’inizio non era disponibile. Con le foto e con le regi-
strazioni delle comunicazioni delle forze dell’ordine volevamo dimo-
strare che i colpi sparati quel giorno non potevano che partire dalla
polizia. Secondo il giudice, invece, c’erano altri scenari, oltre a quel-
lo poliziesco, di gruppi non identificati che potevano aver sparato.
Come avete recuperato il materiale fotografico rac -
colto nel Libro Bianco?
La raccolta delle testimonianze, soprattutto quelle fotografiche, era
L
Uno sparotra la folla
Nella foto: una ra ra immagine di Giorgiana Masi.
stata fatta nei mesi successivi alla tragedia da Roberto Cicciomes-
sere del Partito Radicale. C’era stato qualche giornale che aveva
pubblicato le prime foto e da lì si è potuto risalire ad altre fonti. L’im-
portanza dei giornalisti è proprio questa. Se riescono ad avere dei
documenti, li mettono insieme, li pubblicano, e se ne viene a cono-
scenza. Il lavoro del M e s s a g g e r o può avere agevolato non tanto il
processo, quanto l’aspetto politico. Davanti a un Ministro che affer-
ma che la polizia non ha sparato, la pubblicazione di queste foto,
con poliziotti in borghese e armati, smentisce le dichiarazioni uffi-
ciali. Inoltre, le foto mostrano come i poliziotti non fossero vestiti
in modo qualunque: avevano il tascapane, dunque erano il proto-
tipo dell’Autonomo del 1977. Il Partito Radicale ha giocato tutta la
sua campagna sulla supposizione che quel giorno il Governo aves-
se cercato a tutti i costi il morto.
Avete pensato di chiedere ai giornalisti, ai passan -
ti, ai manifestanti e ai poliziotti di offrire le loro testi -
monianze anche durante il processo?
Prima di tutto avevamo chiesto che venisse-
ro interrogati tutti gli agenti che si trovavano
sul ponte. Questo era stato fatto in parte, ma
gli interrogatori erano stati abbastanza sbri-
gativi. Avremmo potuto certamente richia-
mare giornalisti e passanti in aula ma, ai fini
del processo, non so quale utilità avrebbe
avuto. Era molto più interessante, invece,
analizzare le comunicazioni e gli spostamen-
ti della polizia, e determinante avere le foto
per dimostrare che le forze dell’ordine aveva-
no sparato. Infine era necessaria la perizia
balistica per dimostrare che l’arma non era
quella indicata in un primo tempo.
Siete riusciti ad avere facile accesso
alle fonti? Avete mai subito tentativi
di depistaggio?
Da questo punto di vista il giudice aveva lavo-
rato bene, erano tutti atti acquisiti e depositati. Un vero e proprio
depistaggio c’è stato nel processo di piazza Fontana. Però, anche su
quella vicenda, nonostante le prove fossero state distrutte, si è riu-
scito a ricostruire, con quello che rimaneva delle due bombe, il tipo
di borsa, il tipo di timer e il tipo di esplosivo utilizzati.
Da parte dell’opinione pubblica c’era attenzione sul -
l’omicidio Masi? E da parte del Parlamento? Alcune
immagini ritraggono l’aula vuota nei momenti cru -
c i a l i .
C’era moltissima attenzione da parte della gente, il fatto aveva col-
pito l’opinione pubblica, soprattutto a Roma perché la manifesta-
zione era nata come atto pacifico. Del resto, in Parlamento, il Par-
tito Radicale, anche se non sta simpatico a nessuno, è riconosciuto
come una forza politica assolutamente non violenta.
Quanto ha contato allora sull’esito finale della
vicenda il fatto che, ad essere protagonisti, fossero i
R a d i c a l i ?
I Radicali in quel momento avevano quattro parlamentari. Era una
piccolissima forza che aveva sconvolto il Parlamento: allora le
Camere si reggevano su partiti non così contrapposti come si pote-
va credere.
Come reagì la famiglia Masi in questa fase istrutto -
r i a ?
La famiglia Masi era costituita da padre, madre, Giorgiana e sorel-
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 17
C’erano molti poliziotti travestiti da autonomi mischiati alla folla.Erano armati, e sparavano adaltezza d’uomo: lo dicono le foto
D o v e R o m a , 12 maggio
1 9 7 7 . Manifestazione pacifica del
p a rtito Radicale. V i t t i m e G i o r g i a n a
M a s i, studentessa 19enne, viena uccisa da
un colpo d’arma da fuoco alla schiena.
M o v e n t e Secondo i R a d i c a l i si tra t t e-
re bbe di una ve ra e pro p ria strage di Stato:
il Gove rno cerc ava il morto per sedare il
clima di rivo l t a . I protagonisti
Il partito Radicale si affianca alla famiglia
nominando gli av vocati di parte civ i l e
B o n e s c h i e De Cataldo. Il deputato
C i c c i o m e s s e re redige il Libro Bianco c h e
smonta la ve rsione ufficiale del gove rn o.
la. Ho lavorato soprattutto con la sorella che è
quella che ha seguito l’indagine e che, soprat-
tutto, mi ha molto sostenuto nel processo che
ho subito io. Oggi i genitori di Giorgiana sono
morti, la sorella c’è ancora, ma ha scelto la sua
vita, lontano da quei giorni.
Da dove nasce il processo che Lei
ha subito per diffamazione?
Quando il giudice archiviò l’indagine, espressi
un giudizio sulla sua decisione, che non deriva-
va da un dissenso sull’esito dell’inchiesta. Con-
testavo che la Procura non avesse fatto il suo
dovere avendo omesso alcuni accertamenti che,
secondo me, si dovevano fare. Questo pensie-
ro fu travisato dalla stampa e ricevetti una
querela per diffamazione.
Il processo Masi ha un futuro?
Credo poco alla possibilità di ricostruire a
trent’anni di distanza una verità attendibile. La
maggior parte delle persone che potrebbero
sapere probabilmente non ci sono più, sono
morte o sono molto vecchie. È passato troppo
tempo. Negli archivi di Stato si potrebbero tro-
vare delle notizie sconosciute, ma sarebbero
delle conferme alle ricostruzioni già fatte, non
sarebbero delle sorprese.
Cossiga dice di sapere il nome del -
l’assassino: da avvocato, ma anche
da protagonista della vicenda, è
giusto dirlo o non dirlo, e perché
non dirlo?
Sono sempre rimasto scettico. Se una persona
che è stata alla presidenza della Repubblica,
che è stata Ministro degli Interni, che dice di
sapere e che tuttavia non rivela, probabilmen-
te ritiene che ci sia un segreto di Stato da
nascondere. Quindi, ritorniamo all’ipotesi che,
se c’è qualcuno da proteggere, non è certo un
ragazzo aspirante terrorista . Non posso avere
alcuna stima di questa persona.
Oggi, se capitasse un episodio del
genere, chi si occuperebbe di scri -
vere il Libro Bianco?
Per fortuna recentemente non sono capitati
fatti simili, ma il Partito Radicale è ancora
pronto a rispondere e a reagire.
E la stampa?
Credo nella funzione della stampa, anche se
sono molto critico. Su piazza Fontana, se non
ci fossero stati alcuni giornalisti molto deter-
minati a capire cos’era successo, ci sarebbe
sicuramente voluto più tempo per arrivare a
una verità, magari non giudiziaria, ma almeno
politica. Però, per esempio, in questi mesi, per
la strage di piazza della Loggia, è in corso il pro-
cesso a Brescia. Se ne parla pochissimo o non
se ne parla per niente.
Perché, secondo Lei?
Perché si pensa che non interessi
all’opinione pubblica. Probabilmente i
giornali locali ne parlano, quelli nazio-
nali ne parleranno se uscirà una senten-
za, ma non c’è il cronista che riporta gior-
no per giorno le fasi del processo. Interes-
sano di più vicende come quelle di Garlasco
o di Perugia: fatti di cronaca nera che alzano
le vendite dei giornali.
Nel caso Masi siete stati lasciati un
po’ soli?
Il caso Giorgiana Masi era veramente difficile.
Il Messaggero ha continuato a seguire il caso
anche dopo l’archiviazione, occupandosi
anche del mio processo, nel quale ero imputa-
to insieme al direttore della testata Vittorio
Emiliani. Forse, se ci fosse stato il processo
Masi, ci sarebbe stata più attenzione al caso o
qualche giornalista in più disposto ad indaga-
re.
Chi oggi mette a frutto quella lezio -
ne sulla controinformazione?
Leggo con grande attenzione gli articoli di
D’Avanzo che sono una miniera di informazio-
ni su come va un certo argomento o su come lo
vede lui stesso. Forse, per ragioni di lavoro
sono sempre cauto su quello che leggo: non ci
credo mai al cento per cento. Mi capita per
lavoro di conoscere alcuni argomenti e di leg-
gere sui giornali informazioni che non sono
assolutamente attendibili. Oggi, il giornalista
tende più a mettersi all’interno delle situazio-
ni e poi a raccontarle: ed è questo il tipo di
inchiesta che si fa oggi.
I giornalisti tendono a essere più
organici rispetto al potere?
Come in tutte le professioni ci sono giornalisti
molto organici al potere e giornalisti che lavo-
rano con una notevolissima autonomia intel-
lettuale. Piazza Fontana, per esempio, è stato
un avvenimento talmente dirompente e gesti-
to così male dall’autorità pubblica che ha
suscitato proprio la curiosità e l’indignazione
di parecchi giornalisti. Le versioni di Valpre-
da colpevole e soprattutto quella di Pinelli che
si butta dalla finestra, erano talmente rozze,
che in pochi ci hanno creduto. Alcuni sono sta-
ti molto cauti, altri hanno cercato di vederci
chiaro e hanno cominciato a scrivere articoli
che hanno portato pian piano l’opinione pub-
blica a dubitare della versione ufficiale. Scese-
ro in campo giornalisti di primaria importan-
za come Stajano, Cederna, Pansa, Paolucci,
Gandini, e testate come l ’ U n i t àe la Stampa.
Qual è il rapporto dei giornalisti
con la Magistratura?
Non mi sembra che ci siano giornalisti porta-
voce della Procura della Repubblica, come si
dice da tante parti. Anche un giornalista come
Travaglio è in realtà una persona che ha una
notevolissima capacità di documentarsi. Tut-
tavia, non immagino il magistrato che si rivol-
ge al giornalista. Al contrario vedo il giornali-
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201018
giorgiana masi
Per sap e rne di più
Il Libro Bianco su Giorgiana Masi,
( Fondazione Calamandre i , 1 9 7 9 ) ; L i d i a
R a v e r a, Il compleanno di Giorg i a n a , in O rd i n e
P u bblico ( Fa h renheit 451); D a n i e l e
B i a c c h e s s i , R o b e rto Fra n c e s c h i . Processo di
p o l i z i a , (Baldini Castoldi Dalai)
Non credo che il casoverrà riaperto. Anche la sorella della Masi èlontana da quei giorni
Cossiga dice di saperechi ha sparato alla Masi,ma non lo vuole rivelare.Vorrei sapere perché
sta andare dal magistrato, per ottenere infor-
mazioni da lui.
Ha qualche ricordo significativo
cha la riporta a quegli anni?
La strage di piazza Fontana mi ha cambiato
sicuramente la vita. La mattina del 12 dicem-
bre 1969 Valpreda era nel mio studio. Mi ha
sconvolto che tre giorni dopo lo abbiano arre-
stano e indicato come il “mostro” di piazza
Fontana. È stata una reazione assolutamente
spontanea e priva di qualunque interesse per-
sonale pensare subito a difenderlo, convinto
che non c’entrasse niente. Oggi ho 70 anni,
allora ne avevo 30 ed ero un avvocato alle pri-
me armi, soprattutto non esercitavo il penale,
ma il civile-commerciale. Quando hanno ini-
ziato a mettere in galera gli amici mi sono det-
to: «Qui bisogna attrezzarsi in modo diver-
so». Per il penale non venivamo pagati nean-
che un po’. Anzi, a volte ci rimettevamo di
tasca nostra. Tutta Piazza Fontana è “nata”
per passione.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 19
! IL C A S O: Il 12 maggio 1977,
il Pa rtito ra d i c a l e , nella ri c o r -
renza della vittoria del re fe -
rendum sul div o r z i o, o rga n i z z a
una manifestazione non vio -
lenta per la raccolta delle
f i rme su altri otto re fe re n d u m .
La manifestazione viene vieta -
t a , ma molte pers o n e , alle tre
del pomeri gg i o, affluiscono in
piazza Nav o n a .
! Le forze dell’ordine allorabloccano tutti i punti di acces -so e non lasciano passare né ig i o rnalisti né i parlamentari :a n z i , a l c u n i , come Pinto, v e n -gono malmenat i , m e n t re amolti cronisti viene sottratto ilp r o p rio mat e riale fotogra f i c o.Per tutto il pomeri ggio le forzed e l l ’ o rdine fanno uso di lacri -mogeni e armi da fuoco.Agenti in borghese si sono“ t rav e s t i t i ” da Autonomi e sisono mischiati alla folla.
! Alle 20.30 Giorgiana Masi,una studentessa manife s t a n t e ,viene colpita da un colpo d’ar -ma da fuoco, s p a rato para l l e -lamente al terre n o, che le tra -passa una vert e b ra , l ’ a dd o m e ,e le esce dall’ombelico.G i o rgiana si trovava all’imboc -co di Po rta Gari b a l d i , aT ra s t ev e re : quando arrivaall’ospedale è già mort a . S u lponte allora si scatena l’infe r -n o : alcuni re a g i s c o n o, f o rm a n ob a rri c at e , t o l gono benzinadalle auto e poi le incendiano.
! È difficile ri c o s t ru i re quellesei ore perché emergo n o, s i ndal primo minuto, due veri t àd i a m e t ralmente opposte. C i òche si sa per certo è che c’èun cadav e re e che, nelle stes -se circostanze di tempo el u o go, sono state fe rite altret re pers o n e : Elena Ascione eF. L . , due manife s t a n t i , ed ilc a ra b i n i e re Fra n c e s c oR u gg e r o. Questi i fat t i .
! LA V E R S I O N E U F F I C I A L E: I lministro degli Interni Cossiga ,per tutto il giorno irri n t ra c c i a -b i l e , parla della manife s t a z i o -ne solo l’indomani. Pur dandoatto ai Radicali di non prat i c a -re la violenza, at t ri buisce glis c o n t ri tra “ e s t remisti facino -r o s i ” e nega sia l’uso di arm ida fuoco da parte delle forzed e l l ’ o rdine sia la pre s e n z adegli agenti in borg h e s e .
I n o l t re , in Camera dei dep u t a -t i , si affe rma che la Masi sias t ata colpita all’add o m e .
! Tutta l’aula è unanime nellacondanna dei radicali chehanno indetto una manife s t a -zione vietata e che,quindi, s o n oi responsabili di quanto è acca -d u t o. Nel corso delle giorn at es u c c e s s ive però, complici lap u bblicazione di foto e filmati esotto la pressione dei Radicali,la versione ufficiale cambiac o n t i n u a m e n t e : p rima gliagenti in borghese non c’era -n o ; poi c’era n o, ma non era n oa rm at i ; infine erano arm at i , m anon sparava n o.
! IL LI B R O BI A N C O: Il 12 luglio1 9 7 7 , contro la linea diC o s s i ga esce un dossier delp a rtito Radicale, edito dueanni dopo dalla fondazioneC a l a m a n d re i , che si è assuntail compito di dife n d e re in giu -dizio la famiglia Masi. Il librod o c u m e n t a , con moltissimef o t o g rafie e 62 testimonianze ,la presenza incontrov e rt i b i l edi poliziotti in borghese ri p re s icon le pistole in pugno. N o nc’è traccia delle molotov di cuiav evano parlato le forze del -l ’ o rd i n e .Ve n gono ri t ratti anchemolti altri ra gazzi fe riti che none rano ri c o rsi alle cure in ospe -d a l e . M a , s o p rat t u t t o, è docu -m e n t ato come le forze dell’or -d i n e , al termine della giorn at a ,fossero torn ate sul luogo dellas p a rat o ria per ripulirlo daib o s s o l i .
! Pa rte integrante del libro,p o i , sono le conv e rsazioni ste -n o g ra f ate delle Camere al finedi smontare la linea del gov e r -n o, t a c c i ata di superficialità.I n f i n e , sono ri p o rt ate anche le
scelte editoriali di molti gior -nali che, dopo le reazioni diC o s s i ga , hanno agg i u s t ato iltiro tacendo verità via viae m e rs e . Si salva solo il lav o r osvolto dal Messagg e r o.A ri n f o r zo di questa pubbl i c a -zione il gruppo Radicale, il 5n ov e m b re 1977, rende pubbl i -co un filmato della manife s t a -z i o n e : è questa la prova defini -t iva che Cossiga ha mentito inPa r l a m e n t o.
! IT E R P R O C E S S U A L E: Il 13 mag -gio viene aperto un procedi -m e n t o. Il pubblico ministerodispone una perizia medico-l e gale e balistica sul corpo diG i o rgiana e sui due fe ri t i .L’anno dopo la difesa passaagli av v o c ati Boneschi e DeC at a l d o. Il loro lavoro si basas o p rattutto sul Libro Bianco, s un u ove perizie e sulle comuni -cazioni delle forze dell’ord i n evia ra d i o.
! A complicare il lavoro deil e ga l i , p e r ò , è un ri t r ova m e n t o“ m i s t e ri o s o ” : cinque giorn idopo l’uccisione di Giorg i a n aun netturbino ri t r ova nei giar -dinetti di piazza A u g u s t oI m p e rat o re un sacco di iutacontenente due pistole mitra -g l i at ri c i , un mitra , una baionet -t a , delle munizioni e una Smith& Wesson che, secondo il giu -dice istru t t o re , p o t eva effe t t iva -mente essere stata adoperat aper colpire le tre vittime. L’ 8m a ggio 1981- era prossimo il12 di maggio - arriva larichiesta con sentenza istru t t o -ria di proscioglimento. La sen -tenza del giudice D’Angelori c o rda che: «Nessun colporisulta esploso dai cara b i n i e riné dalla polizia né dal pers o -nale in borg h e s e » .
! IL C A S O MA S I O G G I: A paga -re finora è stato solo il questo -re di Roma Migliori n i , ri m o s s od a l l ’ i n c a rico a fine dicembre1 9 7 7 .Al Corri e re della Seradel 25 gennaio 2007 l’exMinistro dell’Interno av evad i c h i a rato di essere una dellecinque persone a conoscenzadell’identità dell’assassino. A do ggi molti sostengono che, i nquel 12 maggio 1977, si cer -casse a tutti i costi il morto ec h e , in fondo, anche questas a re bbe stata una strage diS t at o.
Da sapere
Nella foto: Francesco Cossiga ,a l l ’ ep o c a
m i n i s t ro dell’Intern o.
H I U N Q U E V O L E S S E C A P I R E c o s a
sia stata la controinformazio-
ne a Milano deve incontrare
Umberto Gay, una vita da
giornalista a Radio Popolare.
«Negli anni ’70 fare controin-
formazione significava essere militanti e cono-
scere a fondo il territorio, viverlo». Gay ha
cominciato a sedici anni e non ha più smesso.
Nel suo racconto c’è tutta la Milano degli anni
’70: i volti dei protagonisti, le tensioni e le vio-
lenze, le granitiche certezze dell’essere militan-
ti, l’impegno politico che, col tempo, si fonde
con la vocazione per il giornalismo. Il 18 marzo
1978, due giorni dopo il rapimento Moro, nel
contesto di un’Italia blindata, un gruppo di fuo-
co di matrice neofascista uccide due ragazzi
diciottenni, F a u s t o e I a i o. Umberto Gay non
li conosce personalmente, ma un luogo li acco-
muna: il centro sociale Leoncavallo. Un luogo
che coincide con un ideale, con un impegno di
vita. Gay ha 21 anni e non è ancora giornalista,
ma è responsabile del gruppo della controinfor-
mazione di Avanguardia Operaia. La sera stes-
sa dell’omicidio inizia quindi un lavoro colletti-
vo di ricerca e di indagine che porterà, dieci anni
più tardi, alla pubblicazione della controinchie-
sta. «Quello che era successo era talmente
enorme che nessuno di noi poteva restare indif-
ferente. Il nostro lavoro aveva un solo obiettivo:
la ricerca della verità».
Come nasce la controinformazio -
n e ?
L’origine va cercata nel mondo delle fabbriche.
Il primo grande esempio fu rappresentato dal
professore Giulio Maccacaro, medico e biologo
che, insieme a Luigi Mara, sindacalista del
movimento Medicina Democratica, si occupò
della Montedison di Castellanza. Negli anni ’60
Maccacaro e Mara iniziarono a produrre dati di
informazione sull’ambiente, sulla chimica, sul-
le condizioni di salute degli operai in Italia, ana-
lizzando il tutto da un prospettiva interna, cioè
quella della fabbrica.
Poi però, con il ’68 e negli anni ’70,
l’atmosfera cambiò. Furono anni
fertili per lo sviluppo della con -
t r o i n f o r m a z i o n e ?
In quegli anni si vivevano grandi dinamiche
come lo sfruttamento in fabbrica, le lotte dei
lavoratori, le mobilitazioni studentesche. Mol-
ti giovani iniziavano ad immaginarsi la vita in
maniera diversa. Il meccanismo iniziale che ha
mosso il concetto di controinformazione era
guardare all’informazione ufficiale con occhio
critico, trovare un’alternativa al telegiornale
della sera, non per partito preso, ma perché era
oggettivamente l’organo dello Stato. E se nello
Stato ci fosse stato qualcosa che non andava,
non poteva essere certo il Tg la fonte di informa-
zione adatta a raccontarlo. C’era un movente
politico-culturale: la ricerca della verità.
Per la controinformazione si posso -
no definire delle fasi storiche?
Penso sia importante distinguere tra i decenni
‘50,’ 60 e’ 70, perché sia il livello d’informazio-
ne che lo scenario politico erano diversi. Negli
anni ‘50 e ‘60 non esisteva una controinforma-
zione che riusciva a esprimersi pubblicamente.
Tuttavia il Pci era una struttura enorme e aveva
un apparato di controinformazione da fare spa-
vento. Essere sopravvissuti a vent'anni di ditta-
tura fascista voleva dire aver avuto alle spalle
strutture di informazione, sicurezza, che dove-
vano gestire l'esistenza di un partito clandesti-
no. Negli anni ‘50 e ‘60 neanche il Pci si permet-
teva di tirare fuori delle verità alternative.
Nel 1978, l’anno dell’uccisione di
Fausto e Iaio, non eravate ancora
giornalisti. Cosa facevate? Avevate
avuto altre esperienze di giornali -
smo anche se non professionale?
Nel 1978 avevo 21 anni e facevo controinforma-
zione già da cinque. Anche Fausto e Iaio mori-
rono per aver fatto controinformazione. Fare
controinformazione al centro sociale Leonca-
vallo significava, ad esempio, occuparsi del traf-
fico di eroina a Milano. In quel periodo, in via
Vetere c’erano ogni sera centinaia di persone a
bucarsi. Avevi paura in quella zona. Erano i gio-
vani a essere colpiti da quel fenomeno, giovani
di sinistra che conoscevi, tuoi amici.
Nel vostro lavoro d’indagine arri -
vate ad affermare con certezza che
Fausto e Iaio furono uccisi proprio
a causa del famoso dossier sul traf -
fico di eroina a Milano. Come e
Un dossier sull’eroinapagato a caro prezzo
Fausto e Iaio, g i ovani militanti del centro socialeL e o n c ava l l o, vengono uccisi il 18 marzo 1978. Po c h ig i o rni dopo, un gruppo di amici si mette a indagare.Vent’anni dopo la magistra t u ra conferma la loro tesi
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201020
fausto e iaio
di Salvo Catalano e Andrea Legni
C
Nella foto da sinistra: Fausto T i n e l l i
e Lorenzo Iannucci detto Iaio.
quando siete arrivati a questa con -
c l u s i o n e ?
L’inchiesta su Fausto e Iaio fu presentata da
Radio Popolare nel 1988, dieci anni dopo
l’omicidio. Alle spalle c’era un decennio di lavo-
ro. La sera stessa dell’omicidio capimmo che
quello che era successo era di un’enorme gravi-
tà per due motivi: accadde due giorni dopo il
sequestro di Aldo Moro con tutta l’Italia blinda-
ta; in secondo luogo, ad essere stati colpiti era-
no due ragazzi del centro sociale più importan-
te di Milano con una rete di migliaia di militan-
ti. Due che fondamentalmente non contavano
nulla, due ragazzini di diciotto anni come altri
centomila. E lo dico con affetto. Io, che ero
responsabile della controinformazione per
Avanguardia Operaia, immediatamente, quel-
la sera parlai con uno dei responsabili dell’Au-
tonomia e uno del Movimento Lavoratori per il
Socialismo. Capimmo subito che era un gran-
de mistero. Non conoscevamo personalmente
Fausto e Iaio, ma sapevamo che Fausto era
all’interno di un gruppo di lavoro particolare,
quello del dossier sull’eroina: un libretto con
foto, informazioni e indirizzi degli spacciatori
che, da quel momento in poi, sarebbero stati
riconosciuti e indicati pubblicamente.
Un lavoro di controinformazione
rischioso per un ragazzo di 18 anni.
Non era un lavoro particolarmente difficile per-
ché, a differenza di adesso, dal boss al consuma-
tore i passaggi erano tre. Ce l’avevi sotto gli occhi
se stavi nel territorio. Tuttavia era rischioso per-
ché tirare fuori un dossier del genere, con un
centinaio di nomi, avrebbe dato fastidio a mol-
ti. Capimmo subito che era questa la pista da
seguire. Non poteva essere infatti un’aggressio-
ne fascista capitata per caso al Leoncavallo di
sabato sera, non poteva essere una vicenda per-
sonale di uno dei due ragazzi. La matrice dove-
va essere per forza di destra ma con l’avallo di
chi gestiva il traffico di droga. L’intuizione ini-
ziale fu subito quella giusta. Non eravamo veg-
genti, ma avevamo alle spalle dieci anni di pra-
tica di controinformazione sul territorio. Tutta-
via, fare un dossier in mancanza di un’indagine
ufficiale o in presenza di indagini deviate, era
complicato. Infatti passarono dieci anni prima
della pubblicazione.
Dopo l’omicidio, come si strut -
turò il gruppo della controin -
f o r m a z i o n e ?
All’inizio tutta la sinistra extraparlamenta-
re mise al lavoro della gente sull’omicidio di
Fausto e Iaio, ognuno per i fatti propri: L o t t a
Continua, Quotidiano dei Lavoratori e un
giornale che si chiamava La Sinistra. Ma
furono indagini di breve/medio termine. Dopo
il primo anno si creò una specie di coordina-
mento. Fu un lungo e lento lavoro di ricer-
ca e di verifica: magari per mesi non portavamo
a casa niente, poi subentrava improvvisamen-
te qualche novità. Ad esempio, poteva capitare
che ad una manifestazione alcuni nostri atteg-
giamenti venissero graditi dalle forze dell’ordi-
ne. Questo ti permetteva di riuscire a parlare
con un commissario di zona e chiedergli se cer-
ti personaggi erano ancora presenti sul territo-
rio. Bisognava ascoltare non solo i militanti ma
soprattutto la gente comune. Il negoziante, la
signora, lo spazzino che passa ogni giorno dal-
lo stesso punto e di quel luogo sa tutto. Oltre ai
contributi spontanei che, nel caso di Fausto e
Iaio, furono molti. È un mestiere che abbiamo
raffinato giorno per giorno giungendo a denun-
ciare nomi e cognomi. E quando, dopo dieci
anni, la magistratura riaprì seriamente l’inchie-
sta i nomi alla fine furono gli stessi. Non furono
rinviati a giudizio, come sta scritto nella senten-
za, «nonostante la particolare quantità di indi-
zi a carico degli imputati». Per noi fu comunque
un successo, perché nessun altro evento di con-
troinformazione in Italia è mai arrivato tanto
vicino alla verità.
Tu invece, nel 2000, un nome l’hai fat -
to: Mario Corsi. Dodici anni dopo la
pubblicazione dell’inchiesta. Perché
dopo così tanto tempo?
Lo denunciai pubblicamente quando ho
capito che non c’era più niente da fare.
Volevo farmi querelare. Era l’unico modo
per riaprire il processo, perché si
sarebbe dovuto accertare se la mia
accusa era fondata. Per questo feci quella con-
ferenza stampa. E infatti Mario Corsi, tutt’ora
mitico dj di una radio romana, dopo un’ora da
quella denuncia minacciò querela. Che però
non arrivò mai, su consiglio dei suoi avvocati.
Il lavoro di controinformazione
seguiva un metodo strutturato?
Le inchieste possono essere di due tipi: o poli-
ziesche/giudiziarie, o giornalistiche. Noi non
facevamo né le une né le altre. Essenziale era
avere una rete sul territorio. Per territorio inten-
do case, strade, luoghi di lavoro e di aggregazio-
ne, fabbriche. Con alle spalle una rete d’infor-
mazione alternativa, che all’inizio era solo
sociale ma che poi divenne sempre più politiciz-
zata, avevamo antenne disseminate sul territo-
rio. Nessuno aveva il bisogno di essere nomina-
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 21
Denunciai Corsi perchévolevo essere querelato.Era l’unica possibilitàper riaprire il processo
D o v e M i l a n o, via Mancinelli
- 18 marzo 1978. V i t t i m e Fa u s t o
Tinelli e Lore n zo Iannucci (Iaio) uccisi da un
gruppo di cinque neofascisti legati ai Nar.
M o v e n t e I due giovani part e c i p ava n o
alla realizzazione di un dossier sullo spaccio
di eroina nella zona di Lambra t e - C a s o re t t o.
I protagonisti Di fronte alle man-
c a n ze delle indagini uffi c i a l i , un gruppo di
militanti della sinistra ex t ra p a r l a m e n t a re
inizia un lavo ro di contro i n f o rmazione
per accert a re la ve ri t à . La contro i n c h i e s t a
viene pubblicata nel 1988, in occasione
del decennale della morte di Fausto e Iaio.
to giornalista. I gruppi di militanti andavano ad
accendere queste antenne: rappresentanti poli-
tici, sindacato, intellettuali, il lavoratore cimite-
riale che scava la fossa, quello che lavora all’obi-
torio, il poliziotto di sinistra o il magistrato, ogni
potenziale voce alternativa. Alla fine eravamo
in grado, nel momento in cui si verificava un fat-
to, piccolo o grande che fosse, di muovere sem-
pre la stessa macchina.
Come facevate a procurarvi infor -
mazioni riservate?
Prendiamo un esempio. Nel caso di un proce-
dimento penale tra le parti in causa c’è anche
l’avvocato di parte civile, che rappresenta i
famigliari delle vittime. Questo è l’unico estra-
neo alla macchina giudiziaria ad aver accesso
alle carte. In quel periodo, nel caso di un fatto
penale con caratteristiche politiche era facile
che l’avvocato scelto dalle vittime fosse tenden-
zialmente vicino a chi faceva un lavoro come il
nostro. L’avvocato era per noi l’unica possibili-
tà di avere accesso alle carte . In ogni caso è buo-
na norma verificare anche ciò che è scritto sui
documenti ufficiali.
Ci puoi raccontare un caso in cui
siete riusciti ad ottenere delle infor -
mazioni importanti per la vostra
inchiesta su Fausto e Iaio?
No. Vi ho detto dello spirito che teneva unito il
nostro lavoro, della creazione di strutture che
man mano si specializzavano, della verifica
costante, del rapporto col territorio, del molti-
plicarsi delle fonti anche al di fuori dell’ambien-
te militante. Sui metodi concreti non posso dir-
vi altro. Qualunque cosa vi venga in mente va
bene, tranne toccare la vita umana.
Per esempio, si parla di una moto
sospetta vista mentre si allontana -
va dal luogo dell’omicidio. Come
avete ottenuto quell’informazione?
La moto fu vista da una militante di Lotta Con-
tinua che quella sera si trovava casualmente in
piazza Aspromonte intorno alle 20 e constatò
un fatto strano. Vide una moto arrivare veloce
e fermarsi davanti a una pizzeria. Vide il passeg-
gero scendere, strappare un cartone che copri-
va la targa ed entrare in pizzeria mentre la moto
si allontanava. La ragazza non sapeva che ave-
vano appena ammazzato Fausto e Iaio a un chi-
lometro di distanza. Ma era buona norma che
una militante riferisse un fatto strano come
questo al gruppo della controinformazione.
Questo fatto è emblematico per capire come
funzionasse il meccanismo delle fonti.
In cosa si differenziava il lavoro di
inchiesta rispetto alle indagini dei
giudici e della polizia? Si sono mai
intrecciati o sovrapposti i due piani?
Non eravamo poliziotti ma in realtà dovevamo
usare metodi di ricerca assolutamente identici
a quelli della polizia. Un’intervista poteva
diventare un interrogatorio, un’indagine pote-
va essere avvalorata da una fotografia o da un
pedinamento. Avevamo a che fare con gente
che metteva bombe, accoltellava, uccideva,
spacciava. Tu sei solo un cittadino, un militan-
te politico, la tua motivazione è solo questa ed è
la forza di tutto. Sulla base di questo si costrui-
sce una rete di persone, possibili fonti, che ti
riconosce e decide di aiutarti. Altrimenti non
hai nessun tipo di potere; noi non avremmo
mai potuto fare indagini o interrogatori. Non
eravamo autorizzati né intenzionati a fare que-
sto, anche se poi è successo. La controinforma-
zione non nacque da un’idea di giornalismo di
sinistra alternativo, ma come strumento di
autodifesa, di difesa o di attacco politico.
Hai conosciuto i giudici che si sono
occupati in questi anni dell’omici -
dio di Fausto e Iaio? Che rapporti
hai avuto con loro?
Il primo pm, Armando Spataro, oggi a capo
dell’antiterrorismo a Milano, ebbe subito l’in-
tuizione giusta, come noi. Tant’è che fu lui ad
ordinare le uniche intercettazioni del fascico-
lo, effettuate negli unici due bar dove andava-
no fatte. Vennero fuori degli elementi interes-
santi, ma le indagini si fermarono. Il caso di
Fausto e Iaio è l’unico omicidio politico nella
storia del dopoguerra dove non si è indagato
fino in fondo, dove non c’è stato un confiden-
te o un pentito. Si sono alternati dieci magi-
strati, ma nessuno è mai stato messo nelle
condizioni di lavorare seriamente. Un giorno
andai da uno dei migliori, il giudice istrutto-
re Graziella Mascarello, un personaggio ecce-
zionale. Aveva cento fascicoli sulla sua scriva-
nia. Mi indicò quello su Fausto e Iaio e mi dis-
se: «Come faccio a dedicarmi a loro mentre
gli altri fascicoli riguardano tre morti di due
giorni fa?». Ecco, non c’era la volontà di tro-
vare i colpevoli. Tutto questo era scientemen-
te voluto. Se è vero che, come dicono anche le
carte processuali, tutto si basava sul giro di
droga nella zona Casoretto-Leoncavallo-
Lambrate-viale Padova-viale Monza, vuol
dire che, se le indagini fossero proseguite, si
sarebbe andati a toccare i “mammasantissi-
ma” che hanno avallato l'operazione.
Il vostro documento è stato acquisi -
to dalla magistratura?
Ad un certo punto la magistratura fermò le
indagini. Fu il giudice Guido Salvini a riaprire il
caso e a rimettere insieme i pezzi del puzzle,
prendendo spunto anche dal dossier che viene
anche citato nelle carte processuali, ma senza
farlo diventare atto giudiziario.
Hai mai ricevuto minacce per que -
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201022
fausto e iaio
Um b e rto Gay nasce a Pinerolo
( To) nel 1957.G i o rn a l i s t a ,dal 1981
è re d a t t o re di Radio Po p o l a re, d ove si occupa
di cronaca giudiziaria e, in part i c o l a re,
delle grandi organizzazioni criminali
e mafiose e della lotta arm a t a . È stato
c o n s i g l i e re comunale a Milano per
Rifondazione Comunista dal 1990 al 2000
e consigliere regionale dal 2000 al 2005.
Per sap e rne di più
A A V V, Fausto e Iaio.T rent’anni dopo
( C o s t l a n ) ; Daniele Biacchessi,Fausto e Iaio
(Baldini Castoldi Dalai).
Non eravamo giornalisti,ma dei semplici militanti.Era l’unica motivazioneche dava forza al lavoro
Serviva una personache stesse nell’ombraper coordinare il lavoro:i compagni scelsero me
sta storia?
No perché il mio è stato un lavoro molto sotter-
raneo. Quando crei una struttura del genere ci
deve essere soltanto una persona che conosce
tutti e che deve rimanere più nascosto possibi-
le, per tutela delle fonti e del materiale.
Oggi può esistere un lavoro di con -
troinformazione analogo?
Apparentemente no. Non viene più fatta infor-
mazione militante, o controinformazione nel
senso di metodo giornalistico. In realtà, però,
sono le esigenze ad essere cambiate: mentre in
passato si faceva informazione contro quella
ufficiale, adesso c’è più libertà di espressione e
di stampa. Quindi quello he serve non è con-
troinformazione quanto piuttosto semplice-
mente informazione. Ma bisogna muoversi,
andarla a cercare. Altrimenti c’è un sistema che
ti permette di parlare delle mutande del presi-
dente dello Zimbabwe anche stando seduto su
questa sedia.
Si può fare controinformazione
senza essere partigiani?
Lo dice il termine stesso. Devi essere contro
q u a l c o s a .
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 23
! IL C A S O: Fausto Tinelli eL o re n zo Iannucci (detto Iaio),g i ovani militanti del centrosociale Leoncava l l o, f u r o n ouccisi con otto colpi di pistolala sera di sabato 18 marzo1978 in via Mancinelli da ung ruppo di cinque agg re s s o ri .A l l ’ epoca Fausto e Iaio stava n op a rtecipando a un’inchiestasul traffico di eroina a Milano.
! Il progetto coinv o l g evad iv e rsi gruppi della sinistraex t ra p a r l a m e n t a re milanese.Fa u s t o, in part i c o l a re , i n d a gavasullo spaccio nel quart i e reL a m b rat e , raccogliendo infor -mazioni e testimonianze ere g i s t rando il mat e riale ra c c o l -to su nastri audio. U n ’ at t iv i t àche lo av eva molto esposto nelq u a rt i e re e, v e r o s i m i l m e n t e ,reso inviso ai tra f f i c a n t i .L’omicidio dei due ra ga z z iscosse profondamente la città,tanto che ai loro funerali siradunò in piazza San Mat e rn ouna folla di 100 mila pers o n e .
! LA C O N T R O I N C H I E S T A: ha ini -zio immediatamente dopol ’ o m i c i d i o, c o i nvolgendo va rig ruppi della sinistra ex t ra p a r -l a m e n t a re . Viene resa pubbl i -ca nel 1988, in occasione deldecennale dell’omicidio.P rimo obiettivo della controin -chiesta è stato quello di dimo -s t ra re che si trat t ava di un omi -cidio politico, in risposta allep rime dichiarazioni dellaQ u e s t u ra che av eva parlato diun re golamento di conti tras p a c c i at o ri .
! In dieci anni di lavoro lac o n t r o i n f o rmazione giunge aconclusioni import a n t i , a f fe r -mando che «l’omicidio vennedeciso da coloro che nellazona Lambrat e - C a s o re t t o -Pa d ova diri g evano lo spacciodella droga ed erano collega -ti a settori della destra terr o -ri s t i c a » , i n d ividuando nella“ B ri gata A n s e l m i ” ( f o rm a z i o -ne terr o ristica romana legat aai Nar), il gruppo re s p o n s a b i -le dell’omicidio e spingendo -si a indiv i d u a re un’appart e -nente ai Nar come «uno deikiller di Fausto e Iaio». Pur ev i -tando di fare il nome di que -sta persona (indicata come“ A l f a ” ) , essa viene resa iden -tificabile tramite un’accurat ad e s c ri z i o n e .
! MA U R O BR U T T O: Cronista din e ra per il quotidiano L’ U n i t à ,Mauro Bru t t o, subito dopol’omicidio di Fausto e Iaio, i n i -zia a occuparsi del caso. L as e ra del 15 nov e m b re ’78,m e n t re si trova in via Arquà (apochi passi da via Mancinelli)per parlare con alcuni testi -m o n i , degli sconosciuti su unamoto lo affiancano ed esplo -dono alcuni colpi in ari a . D i e c ig i o rni dopo, il 25 nov e m b re ,m e n t re at t rav e rsa via Murat ,d ove si suppone dov e s s ei n c o n t ra re un inform at o re inun bar, viene inv e s t i t o.Secondo la testimonianza diuna signora che ha visto las c e n a , quando Brutto esce dall o c a l e , una Simca bianca part edi scatto e lo inv e s t e . L’ i m p at t od e l l ’ u rto non è tremendo (perquesto si crede che si dov e s s et rat t a re di un secondo av v e rt i -m e n t o ) , ma Brutto viene sbal -z ato nella corsia opposta dellas t ra d a , d ove una seconda auto( e s t ranea all’agg u ato) lo tra -volge uccidendolo. La Simcabianca non verrà mai ri t r ovat a ,m e n t re la borsa che Bru t t oav eva con sé verrà ri nv e n u t av u o t a .
! LE I N D A G I N I U F F I C I A L I: D o p o22 anni d’indagini, nel 2000,l’inchiesta della magistrat u raviene definitivamente archi -v i ata dal Gip ClementinaFo r l e o. Alcuni punti chee m e rgono nel decreto dia r c h iviazione vanno però ac o n fe rm a re l'impianto com -p l e s s ivo della controinchie -s t a . Si parla infatti di «signifi -c at ivi elementi indiziari ac a rico della destra ev e rs iva »r o m a n a . In part i c o l a re gliindizi portano la Forleo a
s o s p e t t a re , quali esecutorim at e ri a l i d e l l ' o m i c i d i o, d iM a rio Cors i , M a s s i m oC a rm i n ati e Claudio Bra c c i .
! M a rio Corsi è l’indiziat o“ A l f a ” già identificato dallac o n t r o i n c h i e s t a : otto ex mili -tanti dell’ e s t rema destra loa c c u s e ranno dell’omicidionegli anni seguenti, ma questonon verrà ritenuto sufficienteper il ri nvio a giudizio dap a rte del giudice Fo r l e o.Claudio Bracci e MassimoC a rm i n ati sono affiliati ai Narr o m a n i . In part i c o l a reC a rm i n ati è una figura part i -c o l a rmente ambigua: e s p e rt odi armi ed esplosivi e legat oalla Banda della Magliana, s iritiene che fosse uno deglianelli di congiunzione tra ter -r o rismo nero e servizi segre t id ev i ati ed è stato condannat oa nove anni di re c l u s i o n e(insieme a Licio Gelli e altrim e m b ri dei servizi) per av e rc e r c ato di dep i s t a re le indagi -ni sulla strage di Bologna.
! AN O M A L I E N E L L E I N D A G I N I: N e lc o rso delle indagini si sonov e ri f i c ate div e rse stra n e z ze , l equali rendono necessari ova l u t a re l'ipotesi (per altro dapiù parti pav e n t ata) che vi sias t ata a qualche liv e l l o, a l l ' i n t e r -no dei servizi o nelle forzed e l l ' o rd i n e , la volontà di inqui -n a re le indagini.
! Un berretto sporco di san -gue ri t r ovato sul luogo deldelitto non è stato mai analiz -z ato e dopo qualche tempos c o m p a re dai rep e rt i .
! Dopo l’omicidio, ignoti siintroducono a casa Tinelli uti -lizzando le chiavi di casa e tra -f u gano solamente i nastri suiquali Fausto re g i s t rava i ri s u l t a -ti delle indagini sullo spaccio:a l l ’ ep o c a , gli effetti pers o n a l idi Fa u s t o, t ra cui le chiavi dic a s a , e rano ancora custoditidalla polizia.
! S e m p re dal decreto dia r c h iviazione del 2000 emerg eche il 23.10.1979 agenti dellaD i gos di Roma perquisisconola casa di Mario Corsi trova n -do alcuni documenti ma, a n z i -ché sequestra r l i , li consegnanoalla madre di Cors i , i nv i t a n d o -la a libera rs e n e .
Da sapere
Nella foto: un manifesto appeso dai militanti
al Centro Sociale Leoncava l l o.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201024
genova, g8
di Fabrizio Aurilia e Gregorio Romeo
Carlo Giuliani mu o re il 20 luglio 2001 in piazza A l i m o n d a .Ma gli eventi di quel pomeriggio e delle altre giornate diG e n ova restano nell’ombra .L’indagine del gruppo PillolaRossa evidenzia le contraddizioni dell’inchiesta uffi c i a l e
C U O L A DI A Z, C A S E R M A D I BO L Z A N E T O, piazza Ali-
monda. Dalle giornate del G8 2001 quei luoghi
di Genova sono diventati il perno di un flusso
costante di informazione e controinformazione,
la nuova trincea, scavata fra le pagine di internet,
che ha cercato di ricostruire gli scontri fra mani-
festanti e forze dell’ordine. F r a n t i, robusto e adulto a sufficienza
per aver vissuto in strada la militanza dagli anni ’70 fino ad oggi,
non intende rivelare il suo vero nome per opportunità e sicurezza.
Lui più di altri ha lavorato per quattro anni, fino al 2005, alle inchie-
ste giornalistiche online che provano a restituire chiarezza agli epi-
sodi del G8. Fino al colpo di pistola che uccise Carlo Giuliani, docu-
mentato attraverso i testi e le immagini del sito P i l l o l a r o s s a. Dalla
tempesta di articoli apparsi soprattutto su I n d y m e d i a, Franti e la
“crew” di P i l l o l a r o s s a hanno separato il grano dal loglio, raccon-
tando e mostrando con precisi fotogrammi i minuti convulsi del 20
luglio 2001, in piazza Alimonda.
Quale idea originaria ti ha portato ad analizzare,
così in profondità, le giornate del G8 di Genova?
Ho partecipato in prima persona al G8, da manifestante, ed è stata
un’esperienza sconvolgente, che mi ha segnato. Dopo le giornate di
luglio ho impiegato molto tempo a realizzare cosa fosse
successo, a dirimere la confusione. Ritornato a Genova
dopo sei mesi faticavo a riconoscere le strade, era come
se i muri odorassero ancora di lacrimogeni. Non riuscen-
do a dare una spiegazione logica a tutta quella violenza ho
sentito la necessità di comprendere fino in fondo gli even-
ti. Durante i cortei di protesta si aveva la percezione del rastrella-
mento, le forze dell’ordine sembravano impazzite, come se cercas-
sero una resa dei conti definitiva con il movimento. Probabilmen-
te, dopo la vittoria della destra alle elezioni politiche, i carabinieri
respiravano un’aria diversa, di piena legittimazione. Un atteggia-
mento che, in anni di militanza e inchieste su episodi simili, non mi
era mai capitato di riscontrare, neppure
negli anni ’70.
Come hai organizzato l’inchie -
s t a ?
Complessivamente ho indagato dal 2001
al 2005, pubblicando numerosi articoli
apparsi su I n d y m e d i ae poi ordinati su P i l -
l o l a r o s s a, dove si parla nello specifico del-
la morte di Carlo Giuliani. In seguito,
anche in virtù delle informazioni raccolte,
sono diventato consulente del processo
che riguarda i fatti di strada. A quel punto
ho smesso di scrivere per evitare ogni pos-
sibile conflitto di interesse.
Quali sono state le principali
d i f f i c o l t à ?
Vivo in Veneto e all’epoca del G8 avevo un lavoro nel pubblico
impiego. Mi sono licenziato, e con la liquidazione ho finanziato l’in-
chiesta, senza nessuna testata, neppure indipendente, alle spalle.
Inizialmente lavoravo su un’ipotesi, che ancora molti coltivano, ma
che io dismetto in quanto priva di indizi, e cioè che a sparare non
fosse stato Placanica, ma un carabiniere intoccabile che si voleva
proteggere. Questa mi sembra una tesi fuorviante, anche perché
la gravità del caso Giuliani risiede soprattutto nella viola-
zione del corpo commessa dai carabinieri, quando il gio-
vane, agonizzante, viene finito a colpi di pietra.
Ti spostavi spesso?
Per un periodo ho fatto avanti e indietro dal Veneto a Genova, rac-
cogliendo nomi, circostanze, fatti, e cercando di verificare ogni epi-
sodio. Frequentavo spesso la segreteria legale del Genoa Social
Forum, avendo accesso a diversi atti processuali - comunicazioni
audio della polizia, informative ufficiali degli scontri - che incrocia-
no e confrontano.
Che ruolo ha avuto internet?
Ho navigato tantissimo su internet, spulciando vari forum e tessen-
do contatti online, con giornalisti e fonti provenienti dagli stessi
ambienti delle forze dell’ordine. In questi casi è necessario lavora-
S
Pallottole di pietra
Nella foto: Carlo Giuliani pochi attimi prima di essere ucciso.
re molto con gli archivi. Il pezzo sui periti del processo, i cui riscon-
tri hanno determinato il “non luogo a procedere” per Placanica, ha
comportato grande impegno e alla fine l’inchiesta mette in dubbio
la credibilità professionale dei funzionari nominati dalla magistra-
tura. Inoltre ho usato, grazie all’aiuto di un amico giornalista, l’ar-
chivio Ansa, ricostruendo la carriera degli ufficiali dei carabinieri
protagonisti negli scontri. In questo modo ho scoperto un inquie-
tante filo rosso che dalla Somalia - dagli atti di violenza perpetrati
dalle truppe italiane nel ’93 e sui quali ha indagato la giornalista Ila-
ria Alpi - porta fino a Genova. Molti nomi di militari sono sovrap-
ponibili. Lavorare per tutto questo tempo è stato faticoso, anche
finanziariamente. Ma ne è valsa la pena, posto che tutto è iniziato
da una profonda necessità personale di chiarezza.
Oltre a te, chi ha curato le indagini scrivendo e rac -
cogliendo informazioni?
Diverse persone. Comincio e finisco l’inchie-
sta da solo, ma nel cuore delle indagini il
gruppo arriva a contare 10 volontari al lavo-
ro. Si tratta di alcuni militanti del social
forum, collaboratori di I n d y m e d i a, giornali-
sti tradizionali. Abbiamo cercato di illumina-
re ogni segmento di quei giorni, dalla scuola
Diaz alla caserma di Bolzaneto, dalla morte
di Carlo alle violenze in strada. Anche la rete
ha fatto in modo che l’inchiesta diventasse
collettiva: il forum di I n d y m e d i aha ospitato
le testimonianze di persone di tutti i tipi,
compresi ex ufficiali dei carabinieri.
Hai attraversato almeno due stagio -
ni di controinformazione. I nuovi
strumenti a disposizione come hanno
cambiato il metodo di lavoro?
Negli anni ‘70 condurre da soli, o parzialmente in autonomia,
un’indagine simile non avrebbe avuto alcuna possibilità di succes-
so. Con la quantità di informazioni reperibili su internet, invece, i
margini per il lavoro individuale crescono. In più, ho cercato di usa-
re la rete per rendere efficace e divulgabile tutto il materiale raccol-
to e prodotto. Ho usato le debolezze degli algoritmi dei motori di
ricerca per fare in modo che gli articoli venissero visualizzati fra le
prime voci online. L’obiettivo è fare in modo che chiunque, cercan-
do informazioni su Genova, possa trovare facilmente la nostra nar-
razione. In ogni caso, non è cambiata la sostanza delle inchieste:
lavorare con i documenti ufficiali rimane essenziale, e per trovare
il punto debole delle carte bisogna leggerle in profondità. Ricordo
quando sul finire degli anni ‘70 riuscii a discolpare una ragazza
arrestata per brigatismo. Solo con lo studio approfondito degli atti
processuali – verbali, cronologie, rapporti – è stato possibile trova-
re la falla e dimostrare la sua innocenza. In seguito, un senatore del
PCI sollevò il caso in parlamento, portandolo alla ribalta e velociz-
zando lo scagionamento della ragazza innocente. Allora, in un cer-
to senso, si lavorava all’ingrosso.
I magistrati accusavano i militanti elevando la soglia, per cui, se
rubavi un’auto ti imputavano il dirottamento di un aereo. Indaga-
re per ristabilire le proporzioni era il nostro pane quotidiano.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 25
Dopo sei mesi Genova odoravaancora di lacrimogeni. Capirecosa fosse successo quel giornoera diventata una necessità
D o v e G e n ova , ve n e rdì 20
luglio 2001, p rimo giorno di lavo ri
del G8. V i t t i m e Carlo Giuliani, 23 anni,
manifestante no-global, m o rto a seguito di
un colpo di pistola esploso dal cara b i n i e re
M a rio Placanica. M o v e n t e Secondo
gli antagonisti la morte di Giuliani è stata
il frutto di una violenza ingiustificata delle
f o r ze dell’ord i n e. I protagonisti
Pillola Rossa Crew ha pubblicato on-line
s va riate inchieste sui fatti del G8 di Genova .
L’ o rr o re in Piazza Alimonda indaga
s o p rattutto gli istanti successivi allo sparo.
Quali difficoltà “esterne” hai
incontrato nel corso dell’indagine
sul G8?
Nessuno ci ha messo i bastoni fra le ruote. Ciò
che percepisco come prima difficoltà, l’auten-
tico limite al lavoro di controinformazione, è il
fatto che a pochi interessa sapere cosa è succes-
so davvero. Perfino fra i militari citati nei nostri
testi, nessuno ci ha denunciato per calunnie.
Per loro è più importante non sollevare il pas-
sato. Solo una volta, nel corso della testimo-
nianza davanti al giudice, il comandante dei
carabinieri Giovanni Truglio ha cambiato
espressione: ho visto i suoi occhi mutare
lamentandosi delle “brutte cose” scritte contro
di lui su internet. La sua smorfia faceva emer-
gere il colpo subìto. Quello è stato un momen-
to di soddisfazione, ma sul piano giudiziario i
capi delle forze dell’ordine non pagheranno
mai per quello che hanno fatto. La speranza è
che gli storici, fra una decina d’anni, rileggen-
do le inchieste e gli atti, diano una versione dei
fatti corrispondente alla realtà. La vittoria non
sarà giuridica e si potrà avere, sotto il profilo
dell’immagine, quando i figli dei responsabili
delle violenze, navigando sulla rete, troveran-
no la verità su ciò che hanno compiuto i loro
p a d r i .
Spesso la controinforma -
zione parte da presupposti
ideologici. Questo elemento
non rischia di essere un limi -
te per inquadrare la verità dei
f a t t i ?
La controinformazione è per definizione
ideologica, dal momento che scatta sempre da
un torto subìto. Nessuno impegna le proprie
energie, la sua vita, alla ricerca di qualcosa in
cui non crede. Gli eventi devono colpirti anche
emotivamente. Io riformulerei la domanda:
“un ego ingombrante, l’innamorarsi delle pro-
prie idee, è un ostacolo per le controinchieste?”
Sì, questo è un enorme ostacolo, ed è un limite
che ho sempre incontrato.
Negli anni ho capito che bisogna essere spieta-
ti con la propria logica, applicando sempre il
rasoio di Occam: l’ipotesi più semplice è, mol-
to spesso, quella più vera. Per questo io detesto
le tesi complottiste. I problemi che talvolta ave-
vo anche con utenti di I n d y m e d i a n a s c e v a n o
dalla necessità di far capire che le tesi improba-
bili andavano lasciate fuori dalla porta. Il com-
plottismo è un balsamo che si utilizza per sem-
plificare quando diventa difficile seguire e
comprendere la concatenazione degli eventi, e
con questo atteggiamento non si arriva da nes-
suna parte. Direi che il complotto è la pietra
tombale delle controinchieste ed infatti io rifiu-
to l’idea che dietro le violenze a Genova ci fos-
se un precostituito disegno governativo. For-
nisco un altro esempio. Noi non disponiamo
del fotogramma in cui i carabinieri colpiscono
Carlo Giuliani con un sasso, un’immagine che
forse esiste ma che non è venuta fuori. Tutta-
via, seguendo ogni episodio minuto dopo
minuto, è conseguenziale ritenere quell’epilo-
go il più plausibile. Se c’è qualcuno che ha una
spiegazione più semplice, riguardo la compar-
sa della pietra accanto al corpo di Carlo e
riguardo l’evidente ferita sulla sua testa, io
sono disposto ad accettarla.
Dal tuo lavoro di controinforma -
zione quale panorama, quale visio -
ne generale emerge? Cosa ha
determinato le violenze del G8 di
G e n o v a ?
La mia tesi, circostanziata negli articoli del-
l’inchiesta, è che esista, fra le forze dell’ordi-
ne - e specialmente entro l’Arma dei Cara-
binieri - un gruppo di militari capaci di dia-
logare col potere politico da pari a pari. Un
fronte di pretoriani che non risponde a
nessuna regola, vive nell’impunità e che
né i partiti né altre forze organizzate han-
no facoltà di limitare. Come se la sovrani-
tà dello Stato fosse circoscritta. Scorrendo
nomi e cognomi delle gerarchie militari è
impossibile non notare la presenza di perso-
naggi con trascorsi risalenti alla strategia della
tensione. Finita la prima repubblica, scompar-
se le forze politiche di riferimento, si determi-
na uno spartiacque che rende ancor più auto-
nomo questo gruppo, le cui attività di violenza
sono state riscontrate dalla missione in Soma-
lia fino al G8 di Genova. Diverse carte proces-
suali sostengono esplicitamente che nel luglio
del 2001 la gestione dell’ordine pubblico è sta-
ta disastrosa. Molti responsabili, protagonisti
di violenze, depistaggi e omissioni nell’assen-
za di un intervento giudiziario, hanno perfino
fatto carriera nei ranghi dell’Arma. Durante
quelle giornate è stata messa da parte l’idea del
controllo “dialogante” dell’ordine. Era come se
gli scontri dovessero prevedere vincitori e vin-
ti. Dagli anni ’70 fino alla comparsa delle “tute
bianche” c’era stata un’evoluzione, in Italia
come nel resto del mondo, nella gestione dei
cortei, che escludeva la violenza fra manife-
stanti e forze dell’ordine. A Genova, invece,
riappaiono i provocatori nascosti fra i conte-
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201026
genova, g8
Per sap e rne di più
Haidi Giuliani, Giuliano Giuliani,
Antonella Marrone,Un anno senza Carlo,
(Baldini Castoldi Dalai, 2 0 0 2 ) ; Enrico Deaglio,
Mario Portanova, Beppe Cremagnani,Fa re
un golpe e farla franca (video documentari o,
Luben Pro d u c t i o n , 2 0 0 8 ) .
Il complottismo devestare fuori dal lavoro diindagine. È un balsamoutile per semplificare
Durante il G8 le forzedell’ordine sembravanoimpazzite, senza alcunriferimento o controllo
statori e l’omicidio di piazza Alimonda, seppur
non premeditato, rientra in una filiera per cui
sparare e uccidere viene contemplato. La mia
valutazione, rispetto al futuro, è negativa. Le
istituzioni, di fronte a tali, oscure, contraddi-
zioni, volgono lo sguardo altrove. In questo
contesto nessun movimento di protesta con-
tro lo status-quo potrà liberamente opporsi al
conglomerato di potere politico/militare che
io ho definito una vera e propria “bestia nera”.
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 2010 27
! IL C A S O: Luglio 2001,G e n ova sotto assedio. È ladomenica del 15 luglio 2001.Una postina si inerpica per viaM a n u n z i o, dietro alla stazionedi Bri g n o l e . Poco dopo le 10consegna un pacco al coman -do dei Cara b i n i e ri di SanFruttuoso al cara b i n i e reStefano Storri . Questi apre labu s t a : c’è una fiammata e unaf o rte esplosione. Il cara b i n i e recade a terra ustionandosiocchio e mano destra . È ilp rimo fe rito a lasciare ilcampo di battaglia del G8 diG e n ova .
! I gruppi aderenti al GenoaSocial Fo ru m , i m p e g n ati am a n i fe s t a re contro la legittimi -tà del vertice degli otto gra n -d i , sono più di 700.A l l ’ a e r o p o rto di Genova - S e s t riPonente sono state installat eb at t e rie di missili terra - a ri aper paura di at t e n t ati dall’alto.
! LA S O S P E N S I O N E D E I D I R I T T I
D E M O C R A T I C I: L A M O R T E D I
CA R L O GI U L I A N I: È difficile pen -s a re che l’uccisione di CarloGiuliani sia stata l’estre m aconseguenza di un err o relogistico delle forze dell’ord i -n e .Ve n e rdì 20 luglio, n e lp rimo pomeri gg i o, 300 cara -b i n i e ri con bl i n d ati cercano dira gg i u n g e re piazza Giusti,d ove un gruppo di dimostra n t iviolenti sta assaltando alcuniesercizi commerciali.
! Per ra gg i u n g e re il luogodegli scontri , le forze dell’ord i -ne av re bbero dovuto opera reuna manov ra di agg i ra m e n t oa bbastanza complessa, p e rev i t a re di incrociare il cort e oa u t o ri z z ato delle Tute Bianche.Ma i cara b i n i e ri , non cono -scendo la città, sbagliano stra -da posizionandosi davanti al gruppo di contatto form at oda giornalisti e parlamentari .
! Sono le 14.55 quando part ela prima carica della giorn at a :è l’azione che farà degenera reogni cosa. Il corteo deve re t r o c e d e re fino all’incrociocon via Caffa: la via che port aa piazza A l i m o n d a , d ov ecadrà Carlo Giuliani.A questopunto la manov ra si fa più“ m i l i t a re ” e strat e g i c a . D a l l evie lat e rali iniziano delle cari -che di accerchiamento che
p r ovocano un deflusso di moltim a n i festanti in via Caffa.
! Poco prima delle 17 in piaz -za Alimonda si trovano iltenente colonnello dei cara b i -n i e ri Giovanni T ruglio e il vice -q u e s t o re aggiunto A d ri a n oL a u r o : le massime cariche dip u bblica sicurezza pre s e n t iquel giorno a Genova . Lauro èl’ufficiale che accuserà unm a n i festante di aver tirato unsasso e causato la morte diG i u l i a n i .Alle 17.15 dalla cen -t rale operat iva (per la pri m avolta) viene dato ordine diat t a c c a re i manife s t a n t i . Il vice -q u e s t o re Lauro chiede altenente colonnello dei cara b i -n i e ri T ruglio se “se la sentisse,in considerazione del loron o t evole numero, di fronteg -g i a re i manife s t a n t i . Q u e s t irispose affe rm at iva m e n t e ” ( c i t .d eposizione di Lauro inCommissione parlamentared ’ i n c h i e s t a ) .
! Segue una poderosa cari c ache i manifestanti re s p i n go n o,c o s t ringendo polizia e cara b i -n i e ri a re t r o c e d e re . Il LandR over defender deiC a ra b i n i e ri con a bord oM a rio Placanica, 20 anni, ri m a -ne bl o c c ato da un cassonetto.Viene at t a c c ato da una quindi -cina di no global con pietre ,bastoni e un estintore .
! Carlo Giuliani nell’atto dis c a g l i a re l’estintore contro lacamionetta viene colpito dauno dei due colpi esplosi dallaB e retta 92 di Placanica: s o n ole 17.27. Giuliani cade a terrain fin di vita. Le forze dell’ord i -ne ri p rendono immediat a -mente il controllo della piazzae circondano il corpo diG i u l i a n i .
! MA G G I O 2003: PL A C A N I C A
S T R A L C I A T O, F U L E G I T T I M A D I F E S A:M a rio Placanica è stato inda -gato per omicidio. Il 5 magg i o2003 il procedimento sullam o rte di Carlo Giuliani è stat oa r c h iv i ato dal Gup ElenaDaloiso accogliendo la ri c h i e -sta del Pm Silvio Fra n z , c h eav eva chiesto l’uso legittimodelle arm i , e la legittima dife -s a .“I lunghi e complessia c c e rtamenti tecnici – è scri t t onelle 48 pagine dell’ord i n a n z a– hanno consentito di ri t e n e rep r ovato che il Cara b i n i e rePlacanica ha agito in pre s e n z adi causa di giustificazione cheesclude la punibilità del fat t o ” .
! LA C O N T R O I N C H I E S T A D I
PI L L O L A RO S S A CR E W: G i u l i a n oG i u l i a n i , p a d re di Carlo, h ac o m m e n t at o :“Non chiedeva -mo la condanna di Placanica,ma che si andasse a un dibat -t i m e n t o. I nvece ho il sospettoche si voglia nascondere lav e ri t à ” . È questa la verità chePillola Rossa Crew, n e l l ’ a n o n i -m at o, ha cercato in questia n n i . Il non luogo a procedereimpedisce di fatto il dibat t i -mento delle istanze prodottedalla parte lesa. Il gru p p o,g razie ad alcune perizie e allac o l l a b o razione della famigliaG i u l i a n i , ha scritto una serie dia rticoli sui fatti del G8.
! A t t rav e rso un’analisi delladocumentazione audio-video,degli atti e dei rep e rt i , P i l l o l aRossa evidenzia le re s p o n s a b i -lità delle alte cariche di pub -blica sicurezza presenti quelg i o rno a piazza A l i m o n d a .Confuta la verità ufficiale del“proiettile dev i ato dal sasso”,e propone la tesi dell’accani -mento delle forze d e l l ’ o rd i n e,con l’utilizzo di una pietra , s u l-l’agonizzante Carlo Giuliani.Secondo Pillola RossaGiuliani sare bbe stato colpitoin fronte con una pietra .L’ a rc h iviazione di Placanicas a re bbe funzionale non tantoa salva re l’ormai ex cara b i-n i e re di leva , quanto ad ev i t a-re che durante il processo siacquisiscano prove per l’ac-c e rtamento delle re s p o n s a b i-lità dei ve rtici di Cara b i n i e ri ePolizia di Stato, in quello chePillola Rossa chiama “ u n ascelta militare che spazza viaogni principio di legalità”.
Da sapere
Nella foto: il corpo di Carlo Giuliani senza
vita in piazza A l i m o n d a .
os’è la controin -
f o r m a z i o n e ?
La controinforma-
zione è una parola
che risponde a una
stagione politica di questo Paese.
In quegli anni veniva usata per-
ché composta da due elementi.
Uno è “informazione”, l’altro è
“contro”. Prevaleva il “contro”: la
cosa più importante era denun-
ciare. L’informazione non aveva
quello che poi abbiamo impara-
to - non tutti - a perseguire come
regola, cioè il controllo delle
fonti.
Ma la denuncia non è
parte integrante della
buona informazione?
Qual è, per chi vuole fare infor-
mazione, l’obiettivo prioritario?
È raccontare le informazioni che
si riescono a raccogliere, non
fare una denuncia. Nel voler
denunciare c’è qualcosa di pre-
costituito, perché si ha già in
mente il colpevole. È un confine
molto labile, specie quando sei
un militante. Quando ero diret-
tore del Quotidiano dei lavora -
t o r i, il giornale di Democrazia
Proletaria, hanno ucciso
Peppino Impastato. Noi abbia-
mo subito etichettato la cosa
come “scandalosa manovra della
destra”, sottovalutando moltissi-
mo il fenomeno mafioso. Non
cercavamo la verità, l’importante
era fare campagna politica.
Invece la battaglia più efficace la
fai quando metti in relazione
ambiente mafioso e ambiente
p o l i t i c o .
La controinformazione
non incrociava le fonti?
No, l’approccio ideologico era un
limite. Il lavoro del cronista è con-
trollare le fonti, scavare. La con-
troinformazione invece ha avuto
un ruolo importante per mobilita-
re, portare la gente in piazza, indi-
gnare. Ancora oggi molti sessan-
tottini faticano a fare autocritica,
non riescono a riconoscere che è
stata una sconfitta storica di pro-
porzioni bibliche. La vera con-
troinformazione, per esempio
dopo la strage di piazza Fontana,
l’hanno fatta alcuni giornali non di
sinistra, i cosiddetti “giornali bor-
ghesi”. Il nome di Giannettini, tra
gli altri, l’ha fatto l ’ E u r o p e o. (ndr.
Guido Gianettini è imputato nel
processo per la strage di piazza
Fontana quando si comincia a
battere la pista della collaborazio-
ne tra Servizi segreti e movimenti
di estrema destra. Appartenente
al Sid, esperto di tecniche militari,
viene condannato all’ergastolo
con Freda e Ventura. La
Cassazione annulla la sentenza,
proscioglie Giannettini e ordina
un nuovo processo). Anche oggi,
formazioni come Forza Nuova o
altre di estrema destra hanno
materiale genuino, ma di parte.
Oggi chi fa controinfor -
m a z i o n e ?
Sono dei singoli, i bravi giornali-
sti. Non ci sono testate o forze.
Dico Stella e Rizzo perché su ogni
cosa indagano e studiano.
Quindi la controinfor -
mazione in fondo è solo
buona informazione?
Certo. È informazione. Perché
deve essere contro? Tutta l’infor-
mazione è contro qualcuno e a
favore di qualcun’altro. Guai a
innamorarsi della parola “con-
t r o ”. Non credo alla teoria di una
regia occulta per cui le cose acca-
dono a causa di un regista, un
grande fratello. La lettura deve
essere complessiva, senza avere
già una verità in testa. Se l’infor-
mazione fosse fatta come si deve,
non ci sarebbe bisogno della con-
troinformazione. Infatti, per for-
tuna, non c’è più da tempo. La
controinformazione è stata
u n ’ a u t o e s a l t a z i o n e .
C o n t ro i n fo rm a z i o n e,la scuola dei dilettantiS c a rso controllo delle fonti, a p p ro s s i m a z i o n e, il limitef o rtissimo dell’ideologia. Per Daniele Pro t t i , d i re t t o re de l ’ E u r o p e o, la stagione dei libri bianchi è una cattivapagina del giornalismo che sare bbe meglio arc h iv i a re
Rivista quindicinale realizzata
dal Master in Giornalismo
dell’Università Cattolica - Almed
© 2009 - Università Cattolica
del Sacro Cuore
d i r e t t o r e
Matteo Scanni
c o o r d i n a t o r i
Laura Silvia Battaglia,
Ornella Sinigaglia
r e d a z i o n e
Fabrizio Aurilia, Giuditta
Avellina, Chiara Avesani,
Lorenzo Bagnoli, Valerio
Bassan, Marco Billeci, Raffaele
Buscemi, Salvo Catalano,
Francesco Cremonesi, Giulia
Dedionigi, Tiziana De Giorgio,
Viviana D’Introno, Fabio Di
Todaro, Tatiana Donno, Roberto
Dupplicato, Fabio Forlano,
Carlotta Garancini, Ivica
Graziani, Andrea Legni, Floriana
Liuni, Cristina Lonigro,
Pierfrancesco Loreto, Alessia
Lucchese, Daniela Maggi, Paolo
Massa, Daniele Monaco,
Michela Nana, Ambra Notari,
Tancredi Palmeri, Cinzia Petito,
Simona Peverelli, Gregorio
Romeo, Alessia Scurati, Luigi
Serenelli, Alessandro Socini,
Andrea Torrente, Enrico
Turcato, Roberto Usai, Cesare
Zanotto, Vesna Zujovic
a m m i n i s t r a z i o n e
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di Milano n. 81 del 20 febbraio
2 0 0 9
una definizione 2 | daniele protti
di Chiara Avesani e Ambra Notari
MAGZINE 5 | 26 gennaio - 2 marzo 201028
C
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