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DIPARTIMENTO DI PATOLOGIA CHIRURGICA,
MEDICA, MOLECOLARE E DELL’AREA CRITICA
CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN
PSICOLOGIA CLINICA E DELLA SALUTE
TESI DI LAUREA
EMOZIONE E REGOLAZIONE EMOTIVA: STUDIO
ESPLORATIVO DEI CORRELATI VOCALI DELL’EMOZIONE
CANDIDATO RELATORE
Silvia Tabani Dott. Claudio Gentili
CONTRORELATORE
Dott. Angelo Gemignani
Anno Accademico 2014/2015
2
INDICE
Abstract 4
Introduzione 5
Capitolo 1 Emozioni e Regolazione emotiva: caratteristiche e basi neurali 6
1.1 Emozione 6
1.2 La regolazione emotiva 6
1.3 Un modello processuale di regolazione emotiva 7
1.4 Le basi neurali della regolazione emotiva 9
1.5 Regolazione emotiva esplicita e implicita 18
1.6 Le strategie cognitive di regolazione emotiva 24
1.7 Direzioni future 30
Capitolo 2: Regolazione emotiva e Psicopatologia 32
2.1 Paura delle Emozioni 33
2.2 Disturbo d’ansia generalizzato 34
2.3 La ruminazione depressiva 36
2.4 Disturbo Borderline di personalità 38
2.5 Schizofrenia 40
2.6 Regolazione emotiva e aggressività 42
2.7 L’alessitimia 44
2.8 La gestione delle emozioni negative e i possibili trattamenti 45
3
Capitolo 3: Correlati periferici delle emozioni e Differenze di genere 47
3.1 Correlati periferici delle emozioni 47
3.2 Emozione e differenze di genere 57
Capitolo 4: Correlati Vocali delle Emozioni 63
Capitolo 5 : Studio Esplorativo dei Correlati vocali dell’ Emozione 71
5.1 Il campione e gli strumenti 71
5.2 Il paradigma sperimentale 74
5.3 L’obiettivo dello studio esplorativo 76
5.4 L’analisi vocale 76
5.5 L’analisi dei dati 77
5.6 Discussione dei risultati 81
5.7 Conclusioni 82
Bibliografia 83
4
ABSTRACT
Il mio elaborato di tesi si è concentrato sullo studio delle emozioni e della regolazione
emotiva, intesa come “la capacità individuale di regolare le proprie emozioni, sia positive che
negative, attenuandole, intensificandole o mantenendole” (Gross, 1998). E’ di fondamentale
importanza comprendere i processi attraverso i quali noi influenziamo le emozioni che
proviamo, quando le proviamo, il modo in cui ne facciamo esperienza e come le esprimiamo.
La mia rassegna della letteratura si è quindi concentrata sul significato di emozione e di
regolazione emotiva, sull’analisi delle varie strategie cognitive e non, più o meno adattive,
che l’uomo mette in atto per regolare principalmente le emozioni negative. Ho concentrato
la mia analisi anche sulla psicopatologia della regolazione emotiva, sulla descrizione delle
componenti neuroanatomiche, sui correlati periferici e vocali che prendono parte alla
regolazione emotiva e sulle differenze di genere che ci mostrano il differente grado di
espressione delle emozioni tra uomini e donne. Infine, nell’ultimo capitolo ho descritto lo
studio esplorativo da me condotto e facente parte di un progetto di ricerca più ampio,
effettuato in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria dell’ Informazione dell’
Università di Pisa. E’ stata operata un’analisi vocale su 23 soggetti, di età compresa tra i 21 e
i 28 anni, ai quali veniva richiesto di svolgere compiti diversi di natura più o meno
stressogena. I parametri vocali estratti grazie a specifici algoritmi sono stati messi in
relazione con vari correlati psicologici valutati in precedenza, tra questi abbiamo:
l’alessitimia, la regolazione emotiva, la personalità, l’ansia sociale. L’obiettivo del nostro
studio consiste nel valutare se i parametri dell’analisi vocalica correlano con gli aspetti
personologici che abbiamo preso in considerazione. Per motivi di spazio, tempo e
contestuali, ho tenuto in considerazione nell’analisi dei dati solo gli aspetti di alessitimia e
regolazione emotiva. I risultati per l’alessitimia si sono dimostrati significativi, mentre non lo
sono per la regolazione emotiva, almeno per la sottoscala di accettazione che abbiamo
considerato. I risultati aprono importanti riflessioni e spunti per le ricerche future.
5
INTRODUZIONE
Dopo anni di studi universitari nel presente lavoro di tesi la mia attenzione è stata catturata
dalla capacità tipicamente umana di gestire i travagli e regolare le emozioni che l’uomo
sperimenta durante il suo percorso di vita. Questa enorme risorsa di adattamento era già
stata osservata da Marco Aurelio più di duemila anni fa; egli rifletteva sulla capacità
tipicamente umana di regolare le emozioni derivate da conflitti, fallimenti e perdite. E’
importante però sottolineare come questi sforzi di regolamentazione determinano l’impatto
che tali difficoltà avranno sul nostro benessere mentale e fisico (Gross, J.J., 1998; Gross, J.J.
e Munoz, R.F., 1995; Davidson, R.J., 2000). Proprio per la grande importanza che la
regolazione emotiva riveste nell’adattamento umano, la ricerca sulla regolazione delle
emozioni ha una lunga storia. Lo studio del controllo cognitivo delle emozioni ha tre
principali antecedenti storici nel mondo della psicologia (Gross, J.J., 1998). Il primo
antecedente è lo studio psicodinamico sulle difese, avviato da Freud un secolo fa. La linea
psicodinamica ha esaminato la regolamentazione dell’ansia e di altre emozioni negative con
descrizioni cliniche e studi sulla differenza individuale nelle difese percettive contro
l’elaborazione di stimoli negativi (Erdelyi, M.H., 1974; Paulhus, D.L. et al. 1997). Il secondo
antecedente è rappresentato dagli studi sullo stress e sul coping che sono emersi da un’
ottica psicodinamica negli anni ’60 del Novecento. Questa linea di lavoro si è concentrata su
situazioni che si impongono sull’individuo o superano le sue risorse soggettive (Lazarus, R.S.
e Folkman, S., 1984). Il terzo antecedente è rappresentato dallo sviluppo degli studi sull’
autoregolazione, che pone le sue radici nello studio dello sviluppo socio-emotivo; questi
sforzi teorici gettarono le basi per i lavori empirici contemporanei sulla regolazione delle
emozioni nei bambini (Thompson, 1991) e negli adulti (Gross, 1998). Negli ultimi anni la
ricerca della regolazione emotiva è entrata in una nuova fase grazie agli studi di imaging
funzionale; questi strumenti ci consentono di studiare il potere della regolazione emotiva di
processi di controllo cognitivo superiori. Il presente elaborato di tesi sarà suddiviso in vari
capitoli, nel primo verrà descritto il costrutto di regolazione emotiva e le sue forme, le
strategie cognitive usate nella regolazione emotiva e le sue basi neurali; nel secondo mi
concentrerò sulla psicopatologia della regolazione emotiva. Nei capitoli successivi descriverò
i correlati periferici delle emozioni, le differenze di genere e i correlati vocali. Nell’ultimo
capitolo illustrerò il mio studio esplorativo, definendone gli strumenti utilizzati, la
conduzione dell’esperimento, gli obiettivi e i risultati ottenuti.
6
CAPITOLO 1. EMOZIONE E REGOLAZIONE EMOTIVA:
CARATTERISTICHE E BASI NEURALI
1.1 L’ Emozione
Una parte essenziale nella comprensione dei meccanismi di regolazione emotiva è
caratterizzata dai processi che generano l’emozione. Ma che cos’è l’emozione? I modelli
attuali ipotizzano che le emozioni siano risposte a stimoli esterni e/o a rappresentazioni
mentali interne che comportano cambiamenti fisiologici e psicologici, attraverso risposte
multiple in tutto il sistema (ad es cambiamenti esperienziali, comportamentali, fisiologici). La
prospettiva neuroscientifica afferma che le emozioni sono un insieme di cambiamenti nello
stato corporeo indotti dal cervello, in risposta ai contenuti dei pensieri relativi ad una
specifica entità, o ad un particolare evento, nell’ambiente dell’individuo. Le emozioni
devono essere distinte dai sentimenti, i quali corrispondono all’esperienza da parte
dell’individuo di tali cambiamenti interni, quindi all’esperienza privata che ogni individuo ha
nel momento in cui sperimenta un’emozione. Le emozioni sono delle riposte pubblicamente
osservabili, di breve durata e transitorie, mentre i sentimenti tendono a mantenersi attivi più
a lungo (Cacioppo, 2000). Le emozioni sorgono quando c’è qualcosa di importante in gioco, a
volte vengono attuate quasi automaticamente, ad esempio quando indietreggiamo
paurosamente alla vista di un serpente (Le Doux, 1995), altre volte le emozioni sorgono dopo
notevoli analisi di significato, come quando sentiamo il commento di un amico che ci
sminuisce (Frijda, 1986). In entrambi i casi le emozioni suscitano un insieme coordinato di
risposte comportamentali, esperienziali, che influenzano il modo in cui rispondiamo a sfide e
opportunità. Tuttavia le risposte emotive possono anche trarci in inganno, in particolare
quando contemporaneamente ambienti fisici e sociali differiscono notevolmente da quei
contesti che hanno modellato le nostre emozioni nel corso dei millenni (Gross, 1999).
Quando le nostre risposte emotive sembrano essere mal abbinate a una determinata
situazione, noi cerchiamo spesso di regolarle, per meglio raggiungere i nostri obiettivi.
1.2 La regolazione emotiva
Il concetto di regolazione emotiva si riferisce ai processi attraverso i quali noi influenziamo le
emozioni che proviamo, quando le proviamo, il modo in cui ne facciamo esperienza e come
le esprimiamo. La regolazione emotiva può essere definita come la capacità individuale di
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regolare le proprie emozioni, sia positive che negative, attenuandole, intensificandole o
mantenendole (Gross, 1998). La regolazione emotiva comporta dei cambiamenti nelle
“dinamiche emotive” (Thompson, 1990), cambiamenti che si verificano grazie a processi
cognitivi e comportamentali che influenzano l’intensità, la durata e l’espressione delle
emozioni. Nessun tipo di regolazione emotiva è adattivo di per sé, ma la sua funzionalità è
legata al contesto specifico, agli obiettivi che il soggetto vuol raggiungere e alla sua capacità
di inibire le risposte comportamentali ed emotive non adeguate al contesto. Per questi
motivi la capacità di adottare efficaci strategie di regolazione emotiva è un aspetto
fondamentale per l’adattamento dell’individuo, per il suo benessere soggettivo e per le sue
capacità di funzionamento sociale. Di fronte alle considerazioni fatte fino ad ora possiamo
definire la regolazione emotiva un costrutto multidimensionale e riprendendo uno studio di
Gratz e Roemer (2004) possiamo indicarne le seguenti caratteristiche:
1) Consapevolezza, comprensione e accettazione delle emozioni
2) Abilità nell’attuare comportamenti diretti verso l’obiettivo, in risposta ad emozioni
sia positive che negative
3) Uso flessibile di strategie adeguate al contesto per modulare intensità e durata della
risposta emotiva, anziché sopprimere completamente l’emozione
4) Disponibilità a sperimentare emozioni negative
1.3 Un modello processuale di regolazione emotiva
Un problema particolarmente fastidioso nello studio della regolazione delle emozioni è
trovare un modo di organizzare il numero potenzialmente illimitato di strategie di
regolazione emotiva. Descriverò qui un modello processuale di regolazione emotiva
elaborato da Gross (1998; 2001) che ha la proprietà di mostrare come specifiche strategie
possano essere differenziate lungo la linea temporale dello svolgimento della risposta
emotiva. L’affermazione fondamentale di questo modello è che le strategie di regolazione
emotiva differiscono quando hanno un impatto primario sul processo di generazione
emotiva, come mostrato nella Figura 1.
Ad un livello più ampio possiamo operare una distinzione tra strategie di regolazione
emotiva incentrate sull’antecedente e strategie incentrate sulla risposta. Le strategie
centrate sull’antecedente fanno riferimento a tutte quelle cose che facciamo prima che la
risposta emotiva venga pienamente attivata ed abbia cambiato il nostro comportamento e le
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nostre risposte fisiologiche (ad es vedere un colloquio di lavoro come un modo per
conoscere meglio l’azienda e non un passare/fallire nella prova) . Le strategie incentrate
sulla risposta si riferiscono alle cose che facciamo una volta che un’emozione è già in corso
dopo che le risposte sono state generate (ad es mantenere la propria ansia dopo aver
lasciato il figlio all’asilo per la prima volta).
Cinque famiglie specifiche di strategie di regolazione emotiva sono utilizzate in questo
modello. La prima di queste strategie è la selezione della situazione (indicata in Figura 1 con
la selezione della situazione S1 piuttosto che la situazione S2). La selezione della situazione si
riferisce ad avvicinare o evitare persone, luoghi o cose in modo da regolare le emozioni; ad
esempio si può scegliere se andare a cena con un amico che ci fa ridere prima di un esame
importante (S1), o affrontare l’ultima sessione di studio con altri studenti nervosi (S2). Con la
selezione della situazione si possono ottenere benefici emotivi a breve o a lungo termine. Ad
esempio gli sforzi di una persona timida a diminuire l’ansia, evitando situazioni sociali può
fornire sollievo a breve termine e costare l’isolamento sociale a lungo termine (Leary, 1986).
Una volta selezionata la situazione essa può essere adattata in modo da modificare l’impatto
emotivo nel soggetto, creando sia S1x, S1y, S1z. Ciò costituisce una modifica della situazione,
oppure come è stato definito da Lazarus e Folkman (1984), coping centrato sul problema, o
ancora diversamente, controllo primario, secondo la definizione di Rothbaum, Weisz, e
Snyder (1982). Ad esempio, un amico al telefono la sera prima di un esame importante, ci
chiede se siamo pronti, è possibile mettere subito in chiaro che preferiamo parlare d’altro;
anche in questo caso possiamo mettere in atto degli sforzi per cambiare la situazione. Come
terzo punto troviamo situazioni che hanno diversi aspetti: a1, a2, a3, a4, a5; la distribuzione
attenzionale viene usata per selezionare uno fra i vari aspetti della situazione, ovvero quello
su cui è più opportuno concentrarsi. Un esempio può essere quello di distrarsi da una
conversazione che ha preso una piega sconvolgente (Nix, Watson, Pyszczynski, & Greenberg,
1995). Una volta che ci si è focalizzati su un particolare aspetto della situazione, entra in
gioco il cambiamento cognitivo, il quale consiste nel selezionare uno fra i tanti possibili
significati. Ad esempio una persona si trova a dover affrontare un test e può attribuirgli
significati molto diversi fra loro; m1: il test come misura del proprio valore in quanto essere
umano; m2: “E’ solo un test! ”. Il cambiamento cognitivo è spesso usato per diminuire la
risposta emotiva. Tuttavia esso può anche essere usato per ingrandire la risposta emotiva o
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per cambiare l’emozione stessa. Il significato personale che viene assegnato alla situazione è
fondamentale poiché influenza fortemente quali risposte esperienziali, comportamentali e
fisiologiche saranno generate in quella particolare situazione. Infine la modulazione della
risposta si riferisce ai tentativi di influenzare la risposta emotiva una volta che questa è stata
elicitata. Un esempio di modulazione della risposta consiste nel nascondere il proprio
imbarazzo dopo aver bocciato un esame. La modulazione della risposta non riguarda solo
componenti emotive, ma anche esperienziali e fisiologiche.
Figura 1: Modello processuale di regolazione emotiva di Gross. Secondo questo modello
l’emozione può essere regolata in cinque punti: 1) Selezione della Situazione; 2) Modifica della Situazione; 3)
Distribuzione Attenzionale; 4) Cambiamento Cognitivo; 5) Modulazione della risposta: esperienze,
comportamento o risposte fisiologiche. I primi quattro punti sono centrati sull’antecedente, il quinto è
incentrato sulla risposta. Il numero di opzioni di risposta di ciascuno dei cinque punti è arbitrario. Adattata da
Gross (2002).
1.4 Le basi neurali della regolazione emotiva
Negli ultimi anni, il numero di studi di neuroimmagine sulle emozioni è aumentato
grandemente, ciò ci fornisce molte informazioni sulla modalità con cui il cervello umano crea
l’emozione. L’approccio generale di questi studi è quello di indurre uno stato affettivo nel
soggetto e di rilevare l’aumento del segnale nel cervello e in quali specifiche aree avvenga.
Un importante limite degli studi singoli e di meta analisi è che la mappatura psicologica del
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cervello che viene indagata, è affidabile solo in base alle categorie che sono state indagate
(ad esempio la rabbia). Pertanto tutte le mappe cerebrali e i gruppi funzionali sono stati
interpretati in base a questi costrutti, di conseguenza dipende da loro la consistenza e la
specificità della mappatura psicologica cerebrale. E’ tuttavia importante sottolineare che non
vi è alcuna garanzia che quelle che intuitivamente sembrano essere le categorie di base
dell’emozione a livello psicologico, lo siano veramente. I ricercatori hanno ampiamente
cercato delle “firme” univoche che descrivessero la rabbia, la paura, la tristezza e così via, in
modelli di risposte fisiologiche periferiche ( frequenza cardiaca, pressione sanguigna,
conduttanza cutanea, espressione facciale, etc.) ; ma hanno in gran parte fallito nel trovare
correlati coerenti di caratteristiche fisiologiche che discriminano queste categorie ( Barret,
2006). Uno studio di Cacioppo e coll. (2000) ha invece dimostrato come siano più facili da
discriminare fisiologicamente emozioni positive e negative; tuttavia non è ancora chiaro se
questi confini siano rispettati dal cervello, nel senso che è improbabile che vi siano circuiti
cerebrali e sistemi neurotrasmettitoriali dedicati solo selettivamente a emozioni positive o
negative. Allo scopo di spiegare e cercare di chiarire la complessa questione e i dubbi che
ruotano attorno agli studi di neuroimmagine e psicofisiologici relativi alla regolazione
emotiva, ho preso in considerazione la recentissima review di Frank D.W. e coll. ( 2014),
nella quale i ricercatori si sono avvalsi del metodo di stima della probabilità d’attivazione
(ALE) e di una raccolta di studi che utilizzano la risonanza magnetica funzionale, allo scopo
di:
1) Descrivere una rete coerente di strutture attive durante la regolazione emotiva
2) Identificare le regioni inattivate nel processo di regolazione volontaria
3) Studiare la consistenza delle strutture attivate associate a downregulation e
upregulation
Allo scopo di descrivere la modulazione di risposte a stimoli emotivamente evocativi, sono
state coinvolte le interazioni tra: corteccia prefrontale laterale (LPFC), corteccia
orbitofrontale (OFC), corteccia cingolata anteriore (ACC) e amigdala ( Banks et al., 2007; Kim
e Haman, 2007; Ochsner et al, 2002, 2004). LPFC e ACC hanno anche altre funzioni; esse
sono fondamentali nello svolgimento di compiti di controllo cognitivo, come il monitoraggio
dei conflitti ( Van Veen e Carter, 2002) , la working memory (Rypma et al., 1999) e la guida
dell’attenzione (Banich et al., 2000); mentre l’amigdala è fortemente coinvolta nel processo
emotivo (Garavan et al., 2001; Lane et al., 1999). Quindi l’associazione di queste strutture
11
cerebrali identificate con compiti di regolazione emotiva è coerente con i ruoli che queste
strutture svolgono nel comportamento umano. L’obiettivo iniziale del lavoro di Frank D.W. e
colleghi (2014) è quello di individuare un insieme costante di regioni cerebrali attivate,
utilizzando indagini di meta analisi quantitativa sulla regolazione emotiva, che fanno uso
della risonanza magnetica funzionale (fMRI); approfittando della potenza statistica avanzata
da questi studi per rivelare una rete consistente e affidabile di attivazione (Eickhoff et al.,
2012). Il secondo obiettivo dello studio si basa sul fatto che le strutture di regolazione
intenzionale possono muoversi verso un’attivazione o un’ inibizione, le quali sono entrambe
ben rilevabili tramite fMRI. Indagini sui meccanismi di regolazione emotiva cerebrali
includono spesso delle condizioni in cui i partecipanti sono istruiti a modulare il loro stato
affettivo in una sola direzione (attivazione/deattivazione). Poiché solo pochi paradigmi
hanno identificato regioni cerebrali distinte per incremento/diminuzione dell’attivazione nei
compiti, questo ha suggerito la presenza di una rete di regolazione direzione-dipendente
(Kim and Hamann, 2007; Urry et al., 2006). Queste affermazioni vanno a sfidare la possibilità
dell’esistenza di una rete di regolazione emotiva specifica con strutture di controllo diverse
per livelli di attività differenti; andando a presupporre invece la presenza di un’unica rete di
controllo che adempia a esigenze sia di downregulation che di upregulation. Il presente
lavoro va quindi a confrontare i risultati di studi diversi allo scopo di rilevare o meno la
presenza di meccanismi specifici di direzione coinvolti nella regolazione emotiva. Per
rispondere ai vari obiettivi e alle domande che Frank e i suoi collaboratori si sono posti,
hanno utilizzato un metodo di stima della probabilità di attivazione (ALE) e il metodo di
risonanza magnetica funzionale ( fMRI), prendendo in considerazioni i risultati di studi sulla
regolazione emotiva che si sono svolti in un periodo maggiore a 10 anni.
Sono stati presi in considerazione 47 studi che riguardano la condizione di downregulation
(n= 1033) e 44 studi che riportano le regioni del cervello che mostrano una maggiore
attivazione (n=963), 17 studi che riportano una diminuzione dell’attivazione durante la
regolazione (n=348); 12 studi hanno contribuito alla condizione di upregulation (n=254). La
distribuzione è stata influenzata dal genere femminile, le donne costituiscono il 65 % dei
partecipanti negli studi di downregulation e il 67 % dei partecipanti negli studi di
upregulation.
Downregulation: Nella Figura 2 I cluster blu rappresentano le attività associate a una
diminuzione della regolazione emotiva, a confronto con le condizioni di controllo; i cluster
12
rossi rappresentano invece un miglioramento delle condizioni di attivazione durante la
regolazione. Le aree che mostrano diminuita attivazione durante la regolazione (rispetto al
gruppo di controllo), sono il gruppo di aree attorno all’amigdala, che comprendono il giro
paraippocampale (PHG) e il lobo parietale inferiore di sinistra (IPL); queste possono riflettere
una particolare sensibilità per lo stato emotivo soggettivo durante la regolazione emotiva.
Mentre, una maggiore attivazione del giro frontale inferiore (IFG), del giro frontale mediale
(MFG), del giro frontale superiore (SFG) e della corteccia cingolata anteriore sinistra (ACC),
può riflettere gli aspetti cognitivi del compito di regolazione (McRae et al., 2010). E’ stato
ipotizzato che l’amigdala possa modulare i circuiti cerebrali che sostengono la cognizione e il
comportamento in relazione a stimoli emotivi indipendentemente dalla consapevolezza
(Phelps, 2006). In linea con i risultati attuali il lavoro di Phelps (2006) ha riscontrato una
diminuzione dell’attività dell’amigdala durante la regolazione emotiva (Ochsner et al., 2002;
Phelps, 2006). Ad esempio, l’attività dell’amigdala si riduce quando ai partecipanti viene
richiesto di guardare un’ immagine negativa (donna che piange) e sono incaricati di
descrivere e reinterpretare la scena sotto una luce più positiva al fine di ridurre il loro attuale
stato emotivo soggettivo (Ochsner et al., 2002). E’ stato inoltre dimostrato che l’attività
dell’amigdala diminuisce quando le strategie di downregulation sono impiegate in risposta
alla paura condizionata e quando i partecipanti vedono espressioni facciali non temibili, al
contrario la sua attività aumenta di fronte a espressioni di paura (Phelps,2006). L’attivazione
diminuita riscontrata nel presente lavoro di Frank D.W. e colleghi è in linea con la letteratura
precedente che illustra la covariazione tra l’attività dell’amigdala e l’intensità dell’esperienza
emotiva (Sabatinelli et al., 2005, 2007). Come rilevato da vari studi il giro paraippocampale
svolge un ruolo chiave nella memoria episodica, ricevendo input dalla corteccia frontale,
dall’amigdala e dall’ippocampo (Köhler et al., 1998; McDonald et al., 2000; Murty et al.,
2010;Owen et al., 1996). Il PHG, che comprende la corteccia perinale e entorinale, può
essere essenziale per il mantenimento e il recupero del rapporto tra stimoli e posizione
spaziale (Owen et al., 1996). La diminuzione dell’ attività di quest’area suggerisce che i
processi di downregulation possono prevenire il continuo mantenimento degli stimoli
emotivi nella working memory. Meccanismi di downregulation hanno anche portato ad un
aumento di attivazione nel giro frontale mediale (MFG) e nel giro frontale superiore (SFG). Il
MFG va ad influenzare l’amigdala attraverso la corteccia orbitofrontale (Davidson et al.,
2000; Eippert et al.,2007; Ochsner et al., 2004), mentre l’attivazione del SFG riduce l’attività
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dell’amigdala indirettamente, attivando regioni dell’MFG durante la regolazione affettiva
(Blair et al., 2007).
Figura 2: Cluster blu: risultati di downregulation della diminuita attività dell’amigdala e del lobo parietale
inferiore di sinistra (IPL). Cluster rosso: maggiore attività nelle regioni frontali e nel lobo temporale mediale
(MTL). I cluster sono stati ottenuti tramite analisi ALE di 47 studi. (A) amigdala e PHG; (B) IFG e MTL; (C) IPL; (D)
ACC; (E) SFG; (F) MFG e SFG. Adattata da Frank et al. (2014).
Questa attivazione di MFG riflette quindi un coinvolgimento nel processo di controllo
cognitivo durante la downregulation, influenzando varie regioni tra cui l’amigdala e la sua
capacità di modulare gli stimoli affettivi (Ochsner et al., 2004). I vari studi analizzati in questa
metanalisi confermano una maggiore attività di queste regioni in combinazione con una
diminuzione dell’attività dell’amigdala. IFG può essere considerato come un “freno
grossolano” che può servire come meccanismo inibitorio in ambiti cognitivi, motori e
affettivi (Berkman et al., 2009), a tal proposito è stato osservato IFG durante la repressione
volontaria di risposte affettive (Beauregard et al., 2001). Il settore opercolare del IFG è
un’area coinvolta nell’imitazione ed è considerata parte del sistema dei neuroni specchio, è
esso che ci suggerisce di sopprimere le risposte automatiche (Lee et al., 2008). Nel contesto
della presente analisi è possibile che l’attività del settore opercolare possa riflettere
l’inibizione di risposte motorie associate a reattività emotiva. La corteccia cingolata
anteriore (AAC) è implicata in un vasto numero di funzioni tra cui: il riconoscimento degli
errori (Allman et al., 2001), l’elaborazione dei conflitti (Botvinick, 2007; van Veen and Carter,
2002), l’attenzione (Devinsky et al., 1995), il dolore (Zhang et al., 2005), l’autoregolazione
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(Posner et al., 2007), ed è coinvolta nel riconoscimento e nell’espressione delle emozioni
(Devinsky et al., 1995). Questa regione mostra maggiore attività durante compiti di
regolazione affettiva, in particolare nella downregulation di stimoli negativi (Mak et al.,
2009; Phan et al., 2005). L’ attività del lobo parietale inferiore (IPL) è stata valutata in diversi
tipi di compiti, tra cui l’elaborazione di informazioni correlate a tratti di personalità (Kircher
et al., 2000), l’attenzione (Culham and Kanwisher,2001) e i processi di working memory
(Rama et al., 2001). La diminuita attività del IPL sinistro è stata identificata durante la
downregulation, ciò potrebbe essere spiegato da una riduzione di uno o tutti i processi sopra
descritti. Cio accade, per esempio quando una persona tenta di ignorare il contenuto di uno
stimolo emozionale nel tentativo di diminuire la risposta emotiva. Nello studio di Canli e
colleghi (2004) i pazienti depressi hanno mostrato una consistente attivazione del lobo
parietale inferiore sinistro, rispetto ai controlli, in risposta a parole tristi, gli autori hanno
attribuito a questa evidenza il tentativo da parte dei pazienti depressi di diminuire la loro
sensibilità. I risultati ottenuti per la downregulation emotiva rappresentano la gran
maggioranza degli studi in cui i partecipanti sono stati incaricati di sopprimere o rivalutare
una risposta emotiva.
Upregulation: la metanalisi di Frank e colleghi (2014) analizza un numero di studi di
upregulation che sono significativamente minori rispetto a quelli di downregulation (12 VS
44). La Figura 3 descrive le aree che sono risultate attivate durante la upregulation.
L’amigdala è un area associata all’elaborazione di stimoli emotivamente eccitanti; un
recente lavoro di neuroimmagine ha dimostrato che si può aumentare volontariamente
l’attività dell’amigdala in tempo reale inviando neuro feedback (Zotevet al., 2011, 2013). La
presente analisi conferma che ad un aumento volontario dell’esperienza soggettiva emotiva,
si ha un aumento dell’attività dell’amigdala. Il giro paraippocampale (PHG), è congiunto
all’amigdala e viene implicato in compiti che coinvolgono la memoria di lavoro; quest’area
viene in particolare reclutata quando delle nuove informazioni vengono mantenute nella
memoria di lavoro; l’inibizione di quest’area comporta una diminuzione della codifica delle
informazioni nella memoria a lungo termine (Schon et al., 2005). Poiché il PHG è anche
reclutato nel richiamo di stimoli emotivi (Lanius et al.,2003; Thomaes et al., 2009), l’aumento
dell’attività del PHG potrebbe indicare il mantenimento degli stimoli emotivamente carichi
nella memoria di lavoro, il richiamo di memorie associate all’emozione o una combinazione
delle due. Il talamo è coinvolto nell’elaborazione delle informazioni sensoriali emotivamente
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eccitanti e di comportamenti rilevanti, può trasmettere informazioni emotive alle aree
corticali (LaBar and Cabeza,2006; Vertes et al., 2007). Controllando il trasferimento di
informazioni il talamo ha anche un’influenza modulatoria sull’attività corticale (Heilman,
2002). E’ stata inoltre dimostrata una relazione positiva tra l’attività del talamo e
l’attivazione emotiva (Colibazziet al., 2010; Reiman et al., 1997). Il talamo può essere
modulato almeno in parte dal giro frontale superiore (SFG), quest’area ha mostrato un
aumento della sua attività durante l’upregulation e si trova in una posizione favorevole per
modulare altre regioni del cervello; non ha collegamenti solo col talamo ma anche con il
nucleo striato e il sistema limbico (Lacoboni et al., 2004; Narayanan and Laubach,2006).
Studi su soggetti che mostrano una lesione al SFG presentano una danneggiata inibizione
comportamentale (Fuchs et al., 2005; McLaughlin and See, 2003; Narayanan and Laubach,
2006), sono in linea con l’idea che l’attivazione del
SFG possa riflettere un’attivazione generale. L’area
supplementare motoria (SMA) invece consente di
programmare il movimento, ma essa ha anche un
ruolo nella gestione degli stimoli affettivi, che può
essere associato alla mimica emotiva. Un aumento
di attivazione dell’ SMA è stato dimostrato quando
le persone imitano emozioni come il riso (Iwase et
al., 2002); quest’area esibisce una risposta ancora
più forte quando le persone imitano delle risposte
incongruenti, ad esempio essere accigliati dopo aver
visto una persona sorridente (Lee et al., 2008). La
SMA è stata anche coinvolta in diversi studi di
imaging mentale in cui i partecipanti dovevano
immaginarsi in situazioni emotivamente attivanti
(Lamm et al., 2007; Sabatinelli et al., 2006).
L’aumento di attività nella SMA durante compiti
di upregulation emotiva, può riflettere proprio
il suo ruolo nella preparazione del movimento.
Durante un evento emotivamente carico la
SMA potrebbe essere importante nella
preparazione di movimenti muscolari adeguati non solo per l’impegno o il disimpegno della
Figura 3: il cluster viola indica le regioni
corticali e sottocorticali maggiormente
attive durante l’upregulation. (A)
amygdala/PHG and SFG; (B) SMA, PCC, e
talamo; (C) GP. Adattata da Frank et al
(2014)
16
situazione, ma anche per rispecchiare l’evento attraverso gesti corporei che esprimono la
componente affettiva. La regolazione di circuiti frontali sottocorticali riguarda regioni frontali
con proiezioni al corpo striato, formando connessioni con il globo pallido (GP) e la sostanza
nera. Abbiamo proiezioni dirette e indirette dal globo pallido a specifici nuclei talamici e
queste proiezioni ai nuclei del talamo tornano indietro verso diverse aree del lobo frontale
(Cummings, 1993). Il GP è il nucleo delle informazioni in uscita dei gangli della base, che
innerva più aree motorie e corticali ed è coinvolto nella generazione e nel controllo del
movimento (Alexander et al.,1986; Hoover and Strick, 1993). I nuclei d’ingresso dei gangli
della base sono invece il caudato e il putamen, questi ricevono proiezioni provenienti da
varie regioni della corteccia cerebrale. Le proiezioni in uscita dal globo pallido a specifici
nuclei del talamo, comprendono il nucleo laterale ventrale (VL) che è un centro integrativo
coinvolto in un ricambio di informazioni motorie (Tlamsa and Brumberg, 2010). Le proiezioni
talamiche in uscita sono dirette verso varie aree motorie, tra cui la SMA, la corteccia
premotoria e la corteccia motoria primaria (Haque et al.,2010). Efferenti inibitorie dirette
verso il GB servono ad eccitare il talamo (Thayer and Lane, 2000), ciò potrebbe spiegare
l’attivazione costante di queste aree a causa di reclutamento e segnalazione di strategie di
controllo cognitivo, coinvolte durante l’upregulation. Alcune ricerche hanno osservato che
l’attivazione di GB e dei nuclei talamici è direttamente collegata con stimoli emotivamente
eccitanti (Colibazzi et al., 2010) e questa attivazione può riflettere la segnalazione di
pianificazione motoria nella corteccia cerebrale (Huguenard and McCormick, 2007). Inoltre,
l’attivazione del globo pallido può essere correlata a stimoli di attivazione poiché gioca un
ruolo nell’apprendimento delle associazioni stimolo-risposta (Malhi et al., 2004), dove per
suscitare le emozioni è necessario attivare questo circuito sottocorticale che guida le
associazioni tra gli stimoli e la loro risposta appropriata (Colibazzi et al., 2010). E’
interessante notare che la ricerca ha riscontrato attivazione selettiva per stimoli positivi, ma
non negativi (Hamann and Mao, 2002), nelle regioni dorsali e striate ventrali (cioè putamen
e globo pallido), che a loro volta sono state associate alla ricompensa e ad affettività positiva
(Elliott et al., 2000; Lane et al., 1997). In sintesi, poiché lo striato è implicato sia in
associazioni stimolo-risposta (Colibazzi et al., 2010; Malhi et al.,2004), sia nell’elaborazione
di stimoli affettivi (Elliott et al., 2000; Lane et al., 1997) e proietta a regioni coinvolte nella
preparazione dell’azione (Alexander et al., 1986; Cummings, 1993), l’aumento di attivazione
striatale nella presente metanalisi può riflettere il suo potenziale ruolo nell’apprendimento
affettivo e nelle prime fasi di preparazione dell’azione. La corteccia insulare è implicata nella
17
processazione di stimoli emotivi sia piacevoli che spiacevoli, ed essi possono essere coinvolti
nel monitoraggio di stimoli emotivi interni (Damasio et al., 2000; Phan et al.,2002; Reiman
et al., 1997). Tuttavia non sono chiari gli effetti delle differenti strategie di regolazione
sull’attivazione dell’amigdala. Diversi studi hanno notato che la downregulation di stimoli
affettivi riduce la reattività dell’insula, mentre la soppressione di stimoli affettivi comporta
l’effetto contrario (Goldin et al., 2008; Ochsner and Gross, 2008). Il giro precentrale, che in
questa analisi viene valutato inserendolo nel cluster della corteccia premotoria, è una
regione associata con la preparazione e l’esecuzione di movimenti complessi (Graziano et al.,
2002; Kwan et al., 1978), diversi studi hanno dimostrato che questa regione è coinvolta
durante l’esposizione a stimoli affettivi e che richiamano memorie emotivamente cariche
(Adolphset al., 2000; Canli et al., 2002; Mitchell et al., 2003). Infine abbiamo trovato un
aumento dell’attivazione della corteccia cingolata mediale durante l’upregulation, questa
regione è connessa con l’amigdala (Phan et al., 2002), associata con la processazione di
stimoli paurogeni (Vogt et al., 2003), sembra essere un collegamento tra il sistema limbico e
il sistema motorio; potrebbero rivestire il ruolo di preparazione all’azione emotivamente
guidata (Dum and Strick, 1991; Morecraftand van Hoesen, 1992; Shima et al., 1991).
In Conclusione: i risultati rivelano che aree come il giro frontale superiore, il cingolo e
le aree premotorie aumentano la loro attività sia in condizioni di upregulation sia di
downregulation, poiché sono strutture coinvolte nella modulazione e nel controllo dello
stato emotivo soggettivo. Mentre l’amigdala, il giro paraippocampale e il lobo parietale
inferiore diminuiscono la loro attività in situazioni di downregulation e la aumentano in stati
di upregulation.
Così amigdala, PHG e IPL sembrano mostrare una particolare sensibilità all’intensità
dell’esperienza emotiva. Il processo di regolazione emotiva può quindi essere almeno
parzialmente spiegato come un effetto inibitorio delle regioni frontali su amigdala, PHG e
IPL. Tuttavia, poiché la metanalisi di Frank e colleghi (2014) ha preso in considerazione un
numero di studi diversi ( 12 di upregulation VS 47 di downregulation), nonostante che il
metodo ALE sia stato sviluppato proprio per ridurre questa discrepanza e la specificità
funzionale di queste regioni sia coerente con i lavori precedenti, dobbiamo interpretare il
ruolo della SFG, dell’amigdala e di PHG con cautela.
18
Sintetizzando possiamo raggruppare tutte queste aree in quattro regioni chiave, come
mostrato in Figura 4, che compongono il circuito sottostante di regolazione emotiva.
Figura 4: Strutture chiave del circuito sottostante la regolazione emotiva. A: corteccia orbitofrontale in verde, corteccia prefrontale ventromediale in rosso. B: Corteccia prefrontale dorso laterale. C: amigdala. D: Corteccia cingolata anteriore. Adattata da Davidson et al (2000).
1.5 Regolazione emotiva esplicita e implicita
Le emozioni possono essere regolate in una varietà di modi pressoché infiniti. La maggior
parte della ricerca si è fin’ora concentrata sui metodi di regolazione emotiva esplicita, vale a
dire consapevole e che richiedono uno sforzo intenzionale. Tuttavia un sempre maggior
interesse nella ricerca riguarda le strategie di regolazione emotiva implicita, le quali
sarebbero forme di regolazione automatiche. Gyurak, Gross e Etkin (2011) hanno presentato
un quadro che va ad integrare la ricerca su aspetti di regolazione esplicita e implicita.
19
REGOLAZIONE EMOTIVA ESPLICITA. Un caso paradigmatico di regolazione esplicita può
essere trovato nel lavoro di James Gross e colleghi (Gross e Levenson, 1993; McRae et al.,
2010; Ochsner, Bunge, Gross, e Gabrieli, 2002). In un test tipico per la regolazione esplicita
delle emozioni, ai soggetti vengono presentate due diverse condizioni: una in cui sono istruiti
a reagire naturalmente (trial reattività) e un’altra in cui i partecipanti sono incaricati di
regolare le loro risposte emotive (trial regolazione) utilizzando una strategia indicata dal
ricercatore e che il partecipante ha avuto ampia opportunità di praticare in anticipo. Questo
paradigma di base è stato ampiamente adottato e le evidenze di questi studi suggeriscono
che le strategie di regolazione emotiva esplicita possono influenzare fortemente la risposta
emotiva. Tipicamente sono utilizzate immagini negative o spiacevoli per suscitare risposte
emotive; ad esempio immagini di incidenti (McRae et al., 2010; Ochsner et al., 2002; Ray et
al., 2005; Urry, 2010) o estratti di film con scene disgustose (Goldin, McRae, Ramel, e Gross,
2008). Altri ricercatori hanno invece utilizzato stimoli positivi in forma erotica (Beauregard,
Le'vesque, e Bourgouin, 2001), o immagini di animali carini e manifestazioni sportive (Kim &
Hamann, 2007). Più comunemente i ricercatori hanno studiato gli effetti delle istruzioni di
downregulation, utilizzando una vasta gamma di strategie, ma l’amplificazione emotiva è
stata esaminata attraverso istruzioni di upregulation (Demaree et al., 2006; Eippert et al.,
2007; Kunzmann, Kupperbusch, & Levenson, 2005). I ricercatori hanno istruito i partecipanti
a compiere sforzi di downregulation esplicita utilizzando strategie diverse. Nella maggior
parte di questi studi i partecipanti erano incaricati di utilizzare la rivalutazione: cambiamento
del modo di pensare nei confronti degli stimoli allo scopo di ridurre emozioni negative (Gross
1998; Ochsner et al, 2002). In altri studi i partecipanti sono stati incaricati di praticare
l’autodistrazione (Kalisch, Wiech, Herrmann, e Dolan, 2006; McRae et al., 2010), di impiegare
il controllo attentivo (Urry, 2010) per valutare realisticamente gli stimoli (Herwig et al.,
2007), per prendere le distanze dagli stimoli negativi (Kalisch et al., 2005) o di utilizzare la
soppressione e nascondere le proprie emozioni, in modo che, chi guarda dall’esterno non
può sapere che cosa sentono (Gross e Levenson, 1993; Le'vesque et al., 2003). Secondo il
modello di regolazione emotiva di Gross e Thompson (2007) intervenendo relativamente
presto nel processo di generazione della risposta emotiva, ciò ci consente un buon successo
nell’alterare il corso della risposta ( ad esempio distrazione o controllo dell’attenzione). La
rivalutazione cognitiva è una strategia tipicamente impiegata prima che si sviluppino risposte
emotive conclamate; essa è più efficace della soppressione nel modificare la risposta
20
emotiva. E’ una strategia di funzionamento che prevede una risposta focalizzata, per evitare
che le risposte emotive siano apertamente espresse (Gross, 1998).
Studi di neuroimmagine (Kalisch, 2009; Ochsner e Gross, 2005) mostrano che la regolazione
emotiva esplicita è coinvolta in un interscambio dinamico tra le aree del lobo frontale
implicato nel controllo cognitivo e nelle funzioni esecutive e le aree emozionali-reattive. In
particolare gli studi di neuro immagine mostrano che il tentativo di rivalutare gli stimoli
negativi determina una maggiore attivazione della corteccia ventrolaterale e prefrontale
dorsale (PFC), aree solitamente implicate in forme di controllo cognitivo non emotivo
(Ochsner et al., 2002). Questa attivazione del lobo frontale è relata alla ridotta attivazione
delle aree limbiche, responsabili invece della reattività emotiva. La maggiore attività delle
aree legate al controllo smorza l’attività delle aree critiche per la reattività emotiva, quali
insula e amigdala (Banks, Eddy, Angstadt, Nathan, e Phan, 2007; Goldin et al., 2008; Ochsner
et al., 2002; Wager, Davidson, Hughes, Lindquist, e Ochsner, 2008). E’ interessante notare
che, i tentativi di impegnarsi nella soppressione, vanno a coinvolgere anche le aree del lobo
frontale, suggerendo che i tentativi espliciti di sopprimere le risposte emotive si basano sulle
stesse aree implicate nei tentativi di rivalutazione, ma non riescono a ridurre l’attivazione del
sistema limbico allo stesso modo della rivalutazione (Goldin et al., 2008).
Possiamo infine dire che il processo di regolazione emotiva esplicito è un processo istruito,
faticoso e viene effettuato con notevole consapevolezza. Gli studi appena descritti rientrano
nel processo di regolazione emotiva esplicita perché:
Gli individui sono consapevoli degli stimoli che hanno suscitato risposte emotive
(immagini, filmati)
Gli individui sono a conoscenza delle emozioni stesse
Gli individui sono consapevoli dell’effetto della regolazione sul loro comportamento
REGOLAZIONE EMOTIVA IMPLICITA. Nella ricerca di Gyurak, Gross, Etkin (2011) sono state
descritte cinque forme di regolazione emotiva non esplicite. Queste cinque categorie sono
state elaborate a partire dalla letteratura emergente, sono ovviamente necessarie ulteriori
ricerche per indagare sistematicamente le qualità esplicite e implicite di questi processi.
21
Adattamento al conflitto emotivo: il primo caso di regolazione implicita delle
emozioni si basa sul paradigma del conflitto emotivo descritto da Etkin e collaboratori
(Egner, Etkin, Gale, Hirsch, 2008; Etkin, Egner, Peraza, Kandel, e Hirsch, 2006). Il compito
consiste nella versione emotiva del classico paradigma di Stroop (Stroop, 1935). In questo
compito ai partecipanti vengono presentate fotografie con volti emotivi (che esprimono ad
esempio paura o felicità), sotto all’immagine è scritta una parola (“paura”, “felice”). Il
compito consiste nell’indicare se il volto è felice o timoroso premendo un tasto. La parola
scritta sotto la foto o corrisponde all’espressione facciale (prova senza conflitto: faccia felice
con la parola “felice” scritta sotto l’immagine, o una faccia timorosa con la parola “paura”
scritto sotto ad essa), o è incongruente con l’espressione del viso (prova di conflitto: faccia
felice con la parola “paura” scritta sotto, o faccia paurosa con la parola “felice” scritta sotto).
Poiché la lettura è un comportamento automatizzato, durante le prove di conflitto i
partecipanti devono emanare controllo sulla lettura della parola, a favore dell’etichettatura
dell’espressione emotiva. Perciò le prove di conflitto richiedono più tempo per rispondere
rispetto alle prove senza conflitto. Questo rallentamento del tempo di risposta a causa del
conflitto emotivo, è stato definito effetto di congruenza. Studi di neuroimmagine sulla
regolazione emotiva implicita, utilizzando il paradigma di conflitto emotivo, suggeriscono un’
attivazione di due aree: corteccia cingolata anteriore (ACC), corteccia prefrontale mediale e
le regioni del sistema limbico responsabili dell’attivazione emotiva (Etkin et al., 2006; Etkin,
Prater, Hoeft, Menon, e Schatzberg, 2010).
Regolazione delle emozioni abituali: in questo tipo di regolazione sono assenti le
istruzioni esplicite, le persone frequentemente riportano l’utilizzo di questo tipo di
regolazione su base giornaliera (Gross, Richards, e John, 2006). La ricerca di Gyurak, Gross e
Etkin (2011) suggerisce che il modello abituale coinvolge strategie di regolazione emotiva le
quali riflettono una forma di regolazione, che a seconda di fattori situazionali e personali,
può oscillare rapidamente tra dominio esplicito e implicito. Ad esempio, una persona può
ricordare esplicitamente se stessa il giorno che era arrabbiata con un collega e che a causa
della brutta giornata era incapace di ridurre la frustrazione; in seguito la persona potrebbe
impegnarsi in una rivalutazione senza alcuna consapevolezza. Inoltre, l’utilizzo frequente di
strategie esplicite, può accellerare l’utilizzo di strategie implicite, che verranno adottate
sempre piu frequentemente nel tempo. Gross e John (2003) hanno esaminato la regolazione
emotiva abituale con un questionario self-report che misura le differenze abituali nell’utilizzo
22
abituale di rivalutazione e soppressione. In cinque diversi studi Gross e John (2003) hanno
dimostrato che l’uso abituale della rivalutazione era legato ad un maggior effetto positivo, a
un miglior funzionamento interpersonale e a maggior benessere. Al contrario, un maggior
utilizzo della soppressione era legato a un profilo meno vantaggioso di funzionamento
emotivo. Un recente studio di neuroimaging (Drabant, McRae, Manuck, Hariri, e Gross,
2009) ha rilevato che gli individui che riferiscono di utilizzare la rivalutazione come strategia
di regolazione preferita, tendono a coinvolgere aree prefrontali implicate nel controllo
cognitivo, fra cui la rivalutazione. Allo stesso modo Mauss e colleghi (Mauss, Cook, Cheng, e
Gross, 2007) hanno riferito che gli individui che tendono ad utilizzare la rivalutazione
riescono meglio a regolare le proprie emozioni, in preda a potenti emozioni negative (rabbia)
e hanno mostrato una risposta fisiologica più benefica. L’uso abituale della regolazione
emotiva è collegato anche alle teorie implicite degli individui riguardo le emozioni (Tamir,
John, Srivastava, & Gross, 2007), cioè in base a come gli individui valutano le emozioni, come
entità fisse, o malleabili. L’uso abituale della regolazione delle emozioni può essere visto
anche nei tentativi spontanei di regolazione emotiva, attuati dai partecipanti, quando
richiesto dopo che l’emozione era stata provocata in laboratorio. Un’altra linea relativa al
lavoro suggerisce che l’orientamento all’azione degli individui, definito come una tendenza
abituale a rispondere allo stress, con azioni decisive, piuttosto che soffermarsi sugli effetti
negativi, potrebbe predisporre gli individui in modo rapido ed efficace, a regolare le proprie
emozioni (Koole & Kuhl, 2008). Koole e colleghi (Jostmann, Koole, van der Wulp, e
Fockenberg, 2005; Koole & Coenen, 2007; Koole & Jostmann, 2004) hanno sostenuto che
l’orientamento all’azione predispone le persone a regolare le loro emozioni in maniera
“intuitiva” e diminuisce rapidamente l’effetto negativo in situazioni impegnative per
facilitare un miglior perseguimento dell’obiettivo prefissato.
Regolazione emotiva di obiettivi e valori: la regolazione emotiva di valori, obiettivi,
credenze, costituisce un’altra forma di regolazione implicita, che corre abitualmente al di
fuori della consapevolezza, ma può diventare esplicita nei momenti in cui obiettivi e valori
diventano complessi. Schweiger-Gallo e colleghi (Schweiger-Gallo, Keil, McCulloch,
Rockstroh, e Gollwitzer, 2009) hanno documentato un possibile meccanismo per lo sviluppo
della regolazione emotiva degli obiettivi. In particolare, hanno mostrato che il
perseguimento automatico di un obiettivo va a implementare intenzioni nella regolazione
emotiva, ciò può essere un metodo efficace per regolare le emozioni negative. Eder (2011)
23
ha dimostrato che le intenzioni implementate in uno specifico contesto possono portare ad
un altro compito non correlato e influenzare fortemente il comportamento. Nel loro insieme
questi studi dimostrano una generale tendenza nell’esecuzione delle intenzioni che diventa
rapidamente routinizzata, automatizzata e distribuita con poca consapevolezza successiva
(Williams, Bargh, Nocera, & Gray, 2009). Una volta routinizzate, le differenze individuali negli
atteggiamenti di regolazione emotiva possono essere valutate con compiti di reazione a
tempo. In particolare, la reazione più veloce nel categorizzare la regolazione emotiva è
relativa a parole positive, a una migliore regolazione e più bassa reattività emozionale in
risposta alla rabbia provocata (Mauss, Evers, Wilhelm, e Gross, 2006), a un maggior
benessere, meno sintomi depressivi e a una migliore regolazione sociale (Hopp, Troy, e
Mauss 2011).
Regolazione emotiva come influenza delle etichette: una grande quantità di lavoro
ha esaminato i processi emotivi nel contesto di alcune attività intenzionali che mostrano di
avere conseguenze di regolazione emotiva accidentali/non intenzionali. In questo paradigma
i partecipanti dovevano indicare l’emozione espressa da dei volti (ad esempio indicare se il
volto è arrabbiato o esprime paura) oppure in base al genere (Hariri,
Bookheimer,&Mazziotta, 2000; Lieberman et al., 2007; Lieberman, Hariri, Jarcho,
Eisenberger, & Bookheimer, 2005). L’abbinamento tra espressioni emotive e volti con la
corrispondente etichetta, ha mostrato una minor attivazione del sistema limbico, compresa
una ridotta attivazione dell’amigdala. In modo simile alle forme esplicite di regolazione
emotiva, l’etichettatura emotiva dei volti, concentrandosi su caratteristiche di una scena
emotivamente evocativa, comporta una maggiore attivazione della corteccia prefrontale
laterale e mediale; nonostante il fatto che la regolazione emotiva in questo paradigma è non
intenzionale o implicita (Hariri et al., 2000; Lieberman et al., 2005). Lieberman e colleghi
(2007) hanno sottolineato che l’attivazione della porzione ventrale della PFC mediale, media
la relazione tra l’attivazione della PFC laterale e la ridotta attivazione dell’amigdala,
suggerendo che questo percorso che va dalla PFC mediale all’amigdala, ha un ruolo critico
nello smorzare la reattività emotiva nelle forme accidentali di regolazione emotiva.
Regolazione emotiva in relazione agli errori: il compito di adattamento del conflitto
emotivo, cattura la capacità di controllo dinamico dei parametri, nel contesto in cui ci sono
stimoli emotivamente conflittuali e portano con successo alla regolazione da uno studio a un
altro. Questo processo di adattamento può essere visto come la capacità di sapere quando
24
“accellerare” in contesti emotivamente evocativi. Il rovescio della medaglia di questo
fenomeno è la capacità di “rallentare”, o regolare il controllo cognitivo a seguito di un errore
in quello stesso processo. Questo tempo di regolazione post-errore, può essere
categorizzato a livello di reazione temporale (Rabbitt, 1966) o a livello di accuratezza post
errore (Laming, 1979). Mentre il rallentamento che si ha determinato da un errore nei
compiti cognitivi, è un’area attiva di ricerca che utilizza stimoli non emotivi. Gli errori sono
eventi emotivamente negativi, come evidenziato dalla maggiore attivazione del sistema
motivazionale di fronte a essi (Hajcak & Foti, 2008). Studi effettuati con EEG e registrazioni
intracraniche dimostrano che il processo legato all’errore è caratterizzato dalla presenza di
una deflessione negativa chiamata “errore correlato negativamente” (ERN) e dipende
dall’interazione tra aree cerebrali cognitive (AAC) ed emotive (amigdala) (Olvet e Hajcak,
2008; Pourtois et al., 2010). Inoltre la dimensione del ERN è stata studiata come un
indicatore di regolazione emotiva nei bambini (Dennis e Hajcak, 2009) e dimostra di essere
correlata con caratteristiche psicopatologiche di disregolazione emotiva (Holmes &
Pizzagalli, 2008; Olvet & Hajcak, 2008; Pizzagalli, Peccoralo, Davidson, & Cohen, 2006).
Inoltre e in linea con le caratteristiche funzionali di regolazione post errore, Robinson e
colleghi hanno scoperto che maggiore è il rallentamento nel valutare l’errore, maggiore è il
benessere associato (Robinson, 2007) e vi sarà una migliore abilità di regolazione dello
stress (Compton et al., 2008). Collettivamente, questi studi sostengono che un efficiente
regolazione post errore dipenda da un gioco interattivo fra aree cognitive ed emotive.
1.6 Le strategie cognitive di regolazione emotiva
Come abbiamo visto quando l’individuo si trova a vivere una situazione spiacevole, potrà
utilizzare diverse modalità per ridurre la sofferenza emotiva provocata da un evento. In
questo paragrafo ho voluto descrivere in modo più dettagliato due strategie di regolazione
emotiva esplicite di tipo cognitivo, facendo riferimento agli studi di Gross (2002). Nella sua
ricerca Gross descrive due diverse strategie cognitive volontarie di regolazione:
l’autodistrazione e la rivalutazione. L’autodistrazione consiste nel tentativo di focalizzarsi
selettivamente su aspetti non emozionali (o emotivamente meno inquietanti) di una
situazione; la rivalutazione consiste nell’interpretare deliberatamente o nel reinterpretare
stimoli emotivi o una situazione emotiva in termini non emozionali ( o emotivamente meno
inquietanti) cercando di darne un significato cognitivamente più profondo. Queste diverse
strategia cognitive suggeriscono il coinvolgimento di meccanismi neurobiologici diversi.
25
Come avviene l’autodistrazione? Essa in genere avviene andando a sopprimere
intenzionalmente il pensiero o l’emozione. La soppressione può riguardare l’espressione
delle emozioni o i pensieri. La soppressione espressiva consente di ridurre l'espressione delle
emozioni, così come l'esperienza personale immediata di un’ emozione, ma porta ad un
aumento dell’eccitazione fisiologica nel lungo termine ( Gross e Thompson, 2007). Altri
ricercatori si sono concentrati sul ruolo di soppressione dei pensieri indesiderati in relazione
alla psicopatologia (Wegner e Erber, 1992). I risultati suggeriscono che la soppressione dei
pensieri conduce paradossalmente ad un successivo aumento della frequenza indesiderata
dei pensieri, definito "effetto rimbalzo" (Wegner, 1994), in particolare quando le persone
sono sotto stress o impegnate in un compito concomitante che richiede uno sforzo
(Abramowitz, Tolin, e Street, 2001; Wegner e Erber, 1992). La letteratura suggerisce che la
regolazione emotiva è una risorsa e che la soppressione può esaurire questa risorsa. Anche
se la soppressione può ridurre efficacemente l’esperienza soggettiva di fronte a emozioni
negative, gli sforzi coinvolti nella soppressione delle emozioni possono esaurire le risorse
necessarie per controllare gli impulsi e far fronte a stress futuri (Muraven, Tice, e
Baumeister, 1997). La soppressione non consente di preparare il terreno per la gestione di
difficoltà emotive future, riducendo inoltre la tolleranza all’angoscia. Gli studi di imaging più
rilevanti di autodistrazione sono quelli in cui ai pazienti non è richiesto di pensare a
particolari pensieri, la richiesta in genere consiste nello spostare rapidamente l’attenzione
su un’alternativa interna o esterna. Nei compiti di soppressione del pensiero (Wegner, 1994)
l’attenzione deve essere intenzionalmente diretta verso stimoli alternativi, che possono
essere esterni ( ad esempio il rumore) o interni ( ad esempio: pensieri, sensazioni corporee).
Tale disegno assicura meglio che i pazienti debbano impegnarsi attivamente nella
distribuzione dell’attenzione selettiva, che è la componente essenziale dell’autodistrazione.
La soppressione del pensiero è quindi l’indice principale degli sforzi di autodistrazione. Uno
studio (Wyland, Kelley, Macrae, Gordon, & Heatherton, 2003) ha descritto l’attivazione della
corteccia cingolata anteriore dorsale (ACC) mentre i soggetti erano impegnati nella
soppressione, anche se si pensieri non erano esplicitamente emotivi, ad esempio “studio per
un esame” o, “una telefonata con un’amica lontana”. Un risultato simile è stato ottenuto da
Frankenstein, Richter, McIntyre, and Rémy (2001), mentre i soggetti generavano parole
neutre durante un dolore tonico. Anderson et al. (2004) riportarono l’attivazione della LPFC,
della ACC e delle aree premotorie, durante la soppressione e il recupero di ricordi recenti
emotivamente neutri. Questi studi indicano che una rete prefrontale è probabilmente
26
implicata nel mantenere le informazioni indesiderate “fuori dalla mente”. Gli studi che ho
appena citato però non forniscono informazioni riguardo l’autodistrazione da emozioni
ansiogene. Lo studio di Kalisch e colleghi (2006) invece, basato sul paradigma di
soppressione del pensiero in soggetti che devono attuare l’autodistrazione , prende in
considerazione l’ansia anticipatoria per il dolore. In questo studio viene registrata l’attività
fisiologica (frequenza cardiaca) e cerebrale ( utilizzando la fMRI). L’ansia veniva indotta nei
soggetti del gruppo sperimentale con la comunicazione che avrebbero potuto ricevere una
stimolazione dolorosa sul dorso della mano destra o sinistra. Mentre i soggetti del gruppo di
controllo sapevano che non avrebbero ricevuto la stimolazione, i soggetti del gruppo
sperimentale vennero incaricati di pensare rapidamente a qualcos’ altro, non appena un
pensiero o una sensazione di ansia, o un potenziale dolore veniva loro in mente (condizione
di autodistrazione); nella condizione di controllo invece (nessuna autodistrazione) i soggetti
erano liberi di pensare a quello che volevano, con il vincolo di non utilizzare tecniche di
soppressione. L’esperimento è stato suddiviso in quattro condizioni sperimentali: no
anticipazione/no-autodistrazione, nessuna anticipazione/autodistrazione, anticipazione/no
autodistrazione, anticipazione/autodistrazione. Tramite un pulsante i soggetti dovevano
indicare la quantità di tempo dopo l’istruzione che avevano impiegato pensando all’ ansia, al
dolore o alla sensazione di ansia, separatamente per la condizione senza anticipazione e con
anticipazione. Alla fine dell’esperimento ai soggetti venne chiesto il contenuto del loro
pensiero in ognuna delle quattro condizioni. Le loro risposte sono state coerenti con
l’aumento dell’ansia nelle condizioni di anticipazione e nella tentata soppressione del
pensiero durante le condizioni di autodistrazione. Infine i soggetti dovevano indicare su una
scala da 0-10 la difficoltà che avevano provato e la fatica che avevano incontrato per
sopprimere i pensieri indesiderati durante le condizioni di autodistrazione. Il risultato
principale di questo studio è che l’auto-distrazione di ansia anticipatoria per il dolore, attivi
una regione della LPFC di sinistra. Nello studio di Kalisch e coll. (2005) non era stata trovata
un’attivazione della regione antero-laterale destra durante la rivalutazione dell’ansia.
Tuttavia sarebbero necessari ulteriori test che vadano a confrontare rivalutazione e auto-
distrazione all’interno dello stesso studio. Risultati analoghi a quelli di Kalisch e coll. Sono
stati riportati nello studio di Anderson et al. (2004), che riscontrò un attivazione della LPFC
durante il compito di soppressione dei ricordi; al contrario né Wyland et al. (2003) nè
Frankenstein et al. (2001) riportarono attivazione della LPFC durante l’auto-distrazione da
stimolazione dolorosa. La critica che Kalisch e coll. muovono ai risultati negativi di questi due
27
ultimi studi, è quella di avere una sensibilità insufficiente. Tuttavia l’autodistrazione nello
studio di kalisch e coll.(2006) non è riuscita ad attenuare l’ansia, ciò emerge anche dalla
scarsità di interazioni corrispondenti nei dati di imaging. Non emerge alcuna interazione
consistente con l’attenuazione dell’ansia, e la correlata attività della MPFC/ ACC, una regione
che invece si attiva con successo nella downregulation della rivalutazione. La spiegazione più
probabile per questi deboli effetti è che il training fatto sui soggetti, precedentemente
all’esperimento, sia stato insufficiente. E’ inoltre possibile che la soppressione del pensiero
riguardo l’ansia/dolore, riduca la frequenza dei pensieri di rivalutazione spontanei (che
attenuano l’ansia) e la frequenza di pensieri catastrofizzanti spontanei (che
mantengono/aumentano l’ansia). Pertanto gli effetti della soppressione del pensiero
sull’ansia, possono essere annullati a vicenda.
Kalisch e coll. (2006) a seguito del loro esperimento propongono un modello processuale di
autodistrazione e rivalutazione, che possa spiegare gli effetti neurali osservati e servire come
base teorica per ulteriori studi sulla regolazione dei processi cognitivi di regolazione emotiva.
Il modello che questi ricercatori propongono si basa su una visione di elaborazione delle
informazioni di ansia (Dalgleish, 2004; Foa & Kozak, 1986; Lang, 1985; Bower, 1981), che
presuppone che l’ansia sia relata a elementi di memoria che sono organizzati in reti
associative relativamente coese. Associazioni tra elementi legati all’ansia sono più forti
rispetto alle associazioni tra elementi che rappresentano materiale non ansioso (Lang,
1985); queste associazioni possono spiegare spesso la natura persistente e contagiosa degli
stati mentali ansiosi. Questi autori propongono che la regolazione delle emozioni consista
essenzialmente nella sostituzione (Bower, 1981) in memoria di lavoro, di contenuti mentali
legati all’ansia, da materiali non ansiosi, con conseguente disattivazione delle reti d’ ansia.
Perché oltre a pensieri, sentimenti e rappresentazioni sensoriali, i programmi di risposta
sono un ulteriore elemento di memoria, pensato per essere parte della struttura di rete
associativa (Anderson, 1993; Lang, 1985). Una disattivazione della rete generale dell’ansia,
attraverso la sostituzione, può anche spiegare la spesso osservata attenuazione parallela di
risposte vegetative o la tendenza all’azione durante la regolazione delle emozioni (Kalisch et
al., 2005; Gross, 2002; Jackson, Malmstadt, Larson, & Davidson, 2000). Varianti più recenti di
modelli di elaborazione delle informazioni, sono modelli ibridi, i quali assumono che alcuni
aspetti delle informazioni contenute negli stimoli emotivi (come valenza, attivazione o
valore), vengono processati in parallelo, presumibilmente dal sistema limbico, che è
direttamente collegato con la produzione delle risposte emotive (Reisenzein, 2001; Siegle,
28
1999; LeDoux, 1996). Partendo dal presupposto che i contenuti mentali (pensieri,
sentimenti, rappresentazioni sensoriali) sono, come gli stimoli sensoriali reali, valutati da
questo sistema; una disattivazione della rete di ansia generale per la sostituzione,
comporterebbe un’attenuazione delle risposte vegetative o della tendenza all’azione. Il
punto di vista di Kalisch e coll (2006) non si basa esplicitamente sull’idea che la LPFC inibisca
direttamente le aree limbiche ( o indirettamente tramite connessioni della via mediale e
orbitale), ma svela una relazione inversa tra LPFC e l’attivazione dell’amigdala in modo più
parsimonioso. La produzione volontaria dei contenuti di working memory (attraverso il
recupero delle memorie a lungo termine, la generazione di nuovi pensieri o il mantenimento
di questi nella working memory) comporta il coinvolgimento del sistema di controllo
attenzionale situato nella PFC di sinistra (Cabeza, Locantore, & Anderson, 2003; Gabrieli,
Poldrack, & Desmond, 1998; Shallice & Burgess, 1996). Si può presumere che tale funzione
produttiva sia richiesta, sia all’autodistrazione, che alla rivalutazione. Tuttavia auto-
distrazione e rivalutazione si possono distinguere per due aspetti: mentre l’autodistrazione
per definizione, produce i contenuti della memoria di lavoro che non sono correlati alla
soppressione di materiale ansiogeno; la rivalutazione, anch’essa per definizione, produce i
contenuti della memoria di lavoro che reinterpretano il materiale relato all’ansia. Così i
pensieri ansiogeni servono come spunto per il recupero dei pensieri di rivalutazione. Questo
implica che la produzione (sostituzione) nella rivalutazione, può infine diventare
automatizzata, in particolare quando i soggetti hanno assunto buona esperienza in una
particolare strategia di rivalutazione (Kalisch et al., 2005). Di conseguenza la rivalutazione
può dipendere meno dalla PFC di sinistra. L’intrusione dei pensieri indesiderati durante
l’autodistrazione può essere risolta solo con un maggior impegno nella sostituzione che
porta al costante bisogno di una funzione produttiva, in questo tipo di strategia. Una
seconda qualità distintiva della rivalutazione è che essa può produrre soluzioni
relativamente paradossali o “non standard” che vanno contro i potenti schemi che guidano
la prima valutazione che viene fatta degli stimoli ansiogeni. Ad esempio, reinterpretando le
lacrime di una vecchia donna in piedi di fronte a una chiesa, come a significare la sua gioia
per il matrimonio della figlia (Ochsner, Bunge, et al., 2002), o negare la rilevanza personale di
una potenziale imminente scossa elettrica (Kalisch et al., 2005); la rivalutazione corre quindi
in contrasto con le abituali attribuzioni di significato. Di conseguenza, la rivalutazione può
richiedere un processo di monitoraggio delle soluzioni in termini di compatibilità con la
realtà e se le interferenze date da valutazioni abituali sono state risolte con successo. Dato
29
che i contenuti della memoria di lavoro implicati nella rivalutazione sono legati a elementi
ansiogeni, la rivalutazione può aumentare il monitoraggio per evitare la riattivazione
retrograda dei ricordi d’ansia. Il processo di monitoraggio che opera sul contenuto della
memoria di lavoro, è stato localizzato nella LPFC destra (Cabeza et al., 2003; Allan, Dolan,
Fletcher, & Rugg, 2000; Henson, Shallice, & Dolan, 1999; Schacter, Curran, Galluccio,
Milberg, & Bates, 1996; Shallice & Burgess, 1996). Quindi in un soggetto che ha appreso la
strategia della rivalutazione si attiva la LPFC destra ( corrispondente alla funzione del
monitoraggio) ma non la LPFC sinistra ( corrispondente alla funzione di produzione); l’auto-
distrazione al contrario ha mostrato il modello opposto. Questo modello consente inoltre di
prevedere che lesioni anterolaterali destre interferiscano con la rivalutazione, ma non con
l’auto-distrazione. Inoltre si può ipotizzare che, nel corso di uno sforzo di rivalutazione che il
soggetto compie con successo, la funzione di produzione dell’emisfero sinistro dovrebbe
mostrare una diminuzione di attività, mentre la funzione di monitoraggio dell’emisfero
destro, dovrebbe determinare un aumento dell’attività tonica. Ochsner, Ray, et al. (2004)
riportarono che la LPFC di destra si attiva quando l’emozione negativa diminuisce, il
contrario accade quando l’emozione negativa aumenta; ciò riflette il coinvolgimento della
LPFC destra nell’inibizione comportamentale e nella risoluzione delle interferenze (Bunge et
al., 2001; Jonides, Smith, Marshuetz, Koeppe, & Reuter-Lorenz, 1998). Al contrario
l’attivazione della LPFC di sinistra è stata osservata sia in condizioni di upregulation, sia di
downregulation, ciò è stato interpretato come un reclutamento della memoria di lavoro
generale e delle funzioni di controllo cognitivo necessarie per generare e mantenere
qualsiasi forma di strategia di regolazione (Ochsner, Ray, et al., 2004). L’ipotesi che Kalisch e
colleghi (2006) portano avanti è molto vicina a quella di Ochsner e Ray. La funzione di
produzione laterale di sinistra genera e mantiene i contenuti neutri o positivi nella memoria
di lavoro, i quali vanno a sostituire i contenuti negativi durante la downregulation delle
emozioni negative; il coinvolgimento delle funzioni laterali di sinistra sarebbe indispensabile
anche per mantenere attivamente i contenuti negativi nella memoria di lavoro durante
l’upregulation delle emozioni negative.
In sintesi, gli studi di neuro immagine sull’ autodistrazione e sulla rivalutazione, suggeriscono
che queste strategie di regolazione sono possibili grazie all’attivazione di reti neurali diverse
e quindi si basano su meccanismi psicologici distinti. La rivalutazione è diversa dall’auto-
distrazione in quanto utilizza contenuti mentali correlati all’ansia, come spunti per il
recupero di memorie che rassicurino, come conseguenza si ha una diminuzione della
30
dipendenza dalle funzioni di monitoraggio di ordine superiore. In maniera implicita il
modello di kalisch e coll (2006) prevede che questi meccanismi strategici per lavorare,
vadano a sostituire i pensieri in corso con altri tipi di pensieri.
1.7 Direzioni future
Evidenze crescenti suggeriscono che l’utilizzo contestualmente appropriato e flessibile della
regolazione emotiva, può essere un indicatore di salute mentale. Per esempio la regolazione
esplicita delle emozioni, in particolare la rivalutazione cognitiva, ha mostrato di causare una
reattività fisiologica inferiore e meno intesta rispetto alle risposte emotive di soppressione
(Gross, 1998, 2002) ed è stata anche messa in relazione con un abbassamento delle
emozioni di stress riferite dal soggetto in condizione di laboratorio e a migliori esiti di vita
funzionale (Troy, Wilhelm, Shallcross e Mauss, 2010). La ricerca suggerisce che la
regolazione emotiva implicita rappresenta un processo simil adattivo. Ci sono evidenze che
mostrano che la regolazione emotiva implicita è deficitaria nel disturbo d’ansia generalizzato
(Etkin et al., 2010). Nella ricerca futura sarà importante analizzare le forme di regolazione
emotiva esplicita e implicita nelle diverse forme di psicopatologia. In particolare precedenti
studi suggeriscono che la radice della difficoltà di regolazione emotiva in psicopatologia, in
particolare nei disturbi d’ansia e dell’umore, potrebbe essere spontanea e riguardare le
forme implicite di regolazione emotiva (ad esempio, Ehring, Tuschen-Caffier, Schnu¨lle,
Fischer, e Gross, 2010; Etkin et al., 2010); tuttavia questa ipotesi ha bisogno di essere
maggiormente testata. Inoltre, la psicopatologia può essere caratterizzata non solo da un
deficit nell’utilizzare la regolazione emotiva in maniera appropriata, ma anche dall’utilizzare
in maniera inflessibile e non adattiva solo alcune strategie di regolazione, come
esemplificato dal ruolo della “preoccupazione” nell’ansia generalizzata (Borkovec, Alcaine, e
Behar, 2004). Sono necessarie ulteriori ricerche per chiarire il ruolo dei processi impliciti in
psicopatologia. Un altro settore importante per la ricerca futura è quello di esplorare i modi
in cui le forme di regolazione esplicita possono essere trasformate in implicite e viceversa.
Per esempio, un modo in cui i processi espliciti possono diventare impliciti (quindi
potenzialmente più efficienti) è attraverso la pratica. Ci sono evidenze che mostrano come
intervenire presto sul processo generativo delle emozioni attraverso ripetuti training e
l’allocazione dell’attenzione lontano da stimoli negativi e diretta invece verso stimoli neutri,
ha mostrato un’effettiva riduzione dei sintomi e un miglioramento del funzionamento dei
pazienti psichiatrici (Hakamata et al., 2010).
31
Concludendo: è ormai assodato che le strategie di regolazione emotiva impiegate
consapevolmente e volontariamente, possono alterare il corso della risposta emotiva,
tuttavia le persone in genere non perseguono obiettivi di regolazione consapevole, a meno
che non abbiano la motivazione e la capacità di farlo. Inoltre, poiché le emozioni sono
fenomeni veloci e in rapida evoluzione, la regolazione delle emozioni nelle sue forme
implicite ha il vantaggio di essere più efficiente e senza sforzo di regolazione esplicita. I
processi impliciti in generale sono più coerenti e affidabili ( e a volte anche meno flessibili)
vengono attivati automaticamente e raggiungono il completamento senza sforzo cosciente o
monitoraggio. Una completa comprensione della regolazione emotiva e del suo ruolo nella
salute mentale richiede un esame approfondito delle forme di regolazione implicita.
32
CAPITOLO 2. REGOLAZIONE EMOTIVA E PSICOPATOLOGIA
Come già detto nel capitolo precedente la regolazione emotiva è la capacità individuale,
tipicamente umana, di regolare le proprie emozioni, sia positive che negative, attenuandole,
intensificandole o semplicemente mantenendole (Gross, 1998; 2007). La regolazione
emotiva è quindi data da processi di regolazione cognitiva e comportamentale che
influenzano l’intensità, la durata e l’espressione delle emozioni. Nessun tipo di regolazione
emotiva è adattivo di per sé, ma la sua funzionalità è legata al contesto specifico in cui
emergono determinate risposte emotive e agli scopi personali da raggiungere. Quindi la
capacità di adottare strategie di regolazione emotiva efficaci è considerata un aspetto
fondamentale per l’adattamento dell’individuo, per il suo funzionamento sociale e per il suo
benessere soggettivo. Le difficoltà nella regolazione delle emozioni comportano l’uso di
strategie disadattive e caratterizzano molte delle condizioni psichiatriche descritte nel DSM
V. Come già descritto nel primo capitolo, in base alle osservazioni di Gratz e Roemer ( 2004),
la regolazione emotiva è un costrutto multidimensionale, caratterizzato da: 1)
consapevolezza, accettazione delle emozioni; 2) abilità nell’impegnarsi in comportamenti
diretti verso l’obiettivo; 3) utilizzo flessibile di strategie adeguate al contesto; 4) disponibilità
a sperimentare emozioni negative. Deficit o carenze di una di queste aree sono considerati
indicativi di difficoltà di regolazione emotiva che correlano positivamente con la
psicopatologia e negativamente con il benessere individuale ed il funzionamento
interpersonale ( Gross e John, 2004). Emerge che diversi fattori possono contribuire a una
regolazione adattiva, quindi efficace, delle emozioni. Gli individui capaci di riconoscere le
proprie esperienze emotive, comprenderne il significato, usare il loro valore informativo e
gestire l’esperienza e l’espressione di un’emozione in modo adeguato rispetto al contesto
appaiono più capaci di rispondere efficacemente alle richieste e alle situazioni della vita
quotidiana (Mayer et al., 2004).
In che modo la sofferenza si mantiene, nonostante i tentativi che la persona che si trova a
viverla, compie per fuggire da essa? La regolazione emotiva è un elemento cruciale nella
descrizione e nella comprensione della psicopatologia, sebbene, sul versante diagnostico
esista ancora una forte ambiguità. Ad esempio, secondo il DSM alcuni stati emotivi
costituiscono dei criteri diagnostici per alcune patologie, ma nel manuale permane una
disparità tra questi stati ed il riferimento alle corrispondenti strategie di regolazione
emotiva. Inoltre il DSM si sofferma esclusivamente sulle strategie esternalizzate e non su
33
tutti quei processi che invece avvengono a livello intrapsichico. Indipendentemente dalle
indicazioni nosografiche, una prospettiva più completa dovrebbe prendere in considerazione
la distinzione tra processo e sintomo psicopatologico, mettendo in luce eventuali nessi
causali tra strategie di regolazione emotiva e psicopatologia.
2.1 Paura delle emozioni
Il costrutto di paura delle emozioni ha assunto particolare rilievo a seguito degli studi di
Williams, Chambless e Ahrens (1997), Berg e colleghi (1998), i quali ripresero il concetto di
paura dell’ansia di Goldstein e Chambless (1978); quest’ultimo gioca un ruolo centrale nello
sviluppo e nel mantenimento di varie patologie psichiche. Nello specifico, la letteratura
attualmente esistente si è concentrata ad approfondire il ruolo della paura delle emozioni
nei disturbi d’ ansia e dell’umore (Mennin et al., 2005; Tull et al., 2007; Buhr et al., 2009;
Giorgio et al., 2010; Mittmansgruber et al., 2009). La paura dell’ansia scaturisce da
un’interpretazione errata e catastrofica di una determinata esperienza e comprende la paura
di perdere il controllo quando si è spaventati o eccessivamente ansiosi, così come la paura
delle conseguenze fisiche a seguito dell’attivazione fisiologica scatenata da ansia o panico.
Questo tipo di paura è definibile come attacco di panico. Goldstein e Chambless (1978)
pubblicano un articolo in cui parlano di agorafobia, intesa come paura della paura, ovvero
paura di incorrere in un attacco di panico, piuttosto che la paura di incorrere e trovarsi in
certe situazioni e contesti. Questo concetto appare negli scritti di molti studiosi di questo
settore, come Claire Wekes che ha definito questo tipo di paura, “seconda paura”. Due sono
le componenti della paura della paura:
1) La paura delle sensazioni corporee associate agli attacchi di panico sono una piaga
agorafobica
2) I pensieri disadattavi sulle conseguenze possibili del panico, come morire o diventare
pazzi, comportano una consistente esperienza d’ansia.
In un’estensione del concetto di paura dell’ansia, Williams, Chambless e Ahrens (1997)
hanno suggerito che coloro che sono spaventati dall’ansia sarebbero anche inclini a temere
in generale le forti emozioni (depressione, rabbia, forti emozioni positive), poiché sarebbero
preoccupati di perdere il controllo sulle emozioni stesse (anche positive) e sulle loro reazioni
comportamentali rispetto ad esse. È stato elaborato, pertanto, il costrutto di paura delle
emozioni (Williams et al., 1997; Berg et al., 1998). La paura delle emozioni si riferisce, perciò,
alla paura dell’esperienza emotiva in sé (sia positiva che negativa), legata alla paura di
34
perdere il controllo durante tale esperienza, e/o alla paura di una reazione all’emozione, in
particolare legata alle conseguenze fisiche sperimentate in seguito alla risposta emotiva
(Williams et al., 1997; Berg et al., 1998). La reazione di paura rispetto a determinate
emozioni è dovuta a un’interpretazione esagerata ed erronea rispetto alle potenziali
conseguenze derivanti dall’esperire ed esprimere tali emozioni.
La paura delle emozioni può essere concettualizzata come meta-emozione, quindi, in quanto
tale, come forma di regolazione emotiva. Il termine meta-emozione (Gottman, Katz e
Hooven, 1997) si riferisce alla reazione emotiva delle proprie emozioni (es. paura di essere
ansioso). Le meta- emozioni sono concepite come emozioni di secondo ordine (o
secondarie), poiché si attivano come reazione ad un’emozione primaria, come la rabbia. Le
meta-emozioni sono connesse alla psicopatologia in due modi (Gross e Munoz, 1995):
1) La percezione di certe emozioni come avverse e altamente minacciose è associata a
disturbi correlati al comportamento come l’evitamento esperienziale.
2) Se un’emozione è ritenuta minacciosa e l’individuo si impegna ad inibirla, per
esempio, è più probabile che l’esperienza di quell’emozione aumenti anziché
diminuire (come accade nella soppressione del pensiero).
2.2 Disturbo d’ansia generalizzato
All’interno dell’ampia categoria delle sindromi caratterizzate dall’ansia, il disturbo di ansia
generalizzato (GAD) è quello che è stato maggiormente descritto in relazione alle difficoltà di
regolazione emotiva (Mennin, Heimberg, Turk e Fresco, 2005). Gli individui con GAD hanno
grosse difficoltà di comprensione, reazione e gestione delle proprie esperienze emotive. In
particolare, riportano minore abilità ad identificare, descrivere e comprendere il valore
motivazionale ed informativo delle emozioni. Queste difficoltà portano tali soggetti ad
interpretare erroneamente e catastrofizzare le conseguenze negative dei vissuti emozionali
(ansia, emozioni positive, rabbia, depressione) e quindi ad accedere a strategie di
regolazione non adeguate al contesto (Mennin et al., 2005). Rispetto ad altri disturbi d’ansia
il GAD è stato più difficile da comprendere e da trattare e poche sono state le indagini che
hanno esaminato i meccanismi psicopatologici coinvolti nel GAD (Dugas, 2000). Di recente, i
teorici hanno iniziato ad espandere le conoscenze sul GAD attraverso lo sviluppo di modelli
che mettono in risalto l’importanza della preoccupazione. Una delle spiegazioni più complete
riguardo il ruolo della preoccupazione nel soggetto DAG proviene dalla teoria
dell’evitamento di Borkovec ( Borkovec, Alcaine, e Behar, 2004). Berkovec e colleghi hanno
35
presentato un supporto empirico convincente alla nozione di preoccupazione come attività
cognitiva e perseverante, la quale serve come funzione di evitamento nelle persone con
GAD. Berkovec e colleghi sostengono che la preoccupazione consenta alle persone di
avvicinarsi emotivamente ai temi ad un livello concettuale astratto e di conseguenza, al fine
di evitare spiacevoli immagini, aumento dell’arousal ed emozioni negative intense nel breve
termine. Tuttavia nel lungo termine l’individuo si trova a confrontarsi continuamente con il
materiale emotivo ed ha spesso una più intensa esperienza ansiosa e si impegna in una
preoccupazione ripetitiva per smussare questa esperienza. Il soggetto GAD che in condizione
di ansia tende ad evitare le emozioni, successivamente mostrerà un maggior livello di
rimuginazione, sottolineando un collegamento funzionale tra evitamento e rimuginazione.
La rimuginazione non è altro che la continua preoccupazione, ed è una forma di evitamento
emozionale, che costituisce un fattore di mantenimento nel GAD. In sintesi, nel soggetto
GAD gli stati emotivi vengono vissuti in modo molto intenso e confuso e modulati in maniera
spesso disadattiva attraverso l’uso della preoccupazione, definito come processo cognitivo
capace di ostacolare o addirittura inibire la sperimentazione di un’esperienza emotiva
intensa (Borkovec, Alcaine e Behar, 2004). Nella preoccupazione predomina
quantitativamente il tempo dedicato a pensieri ripetitivi negativi, dal ricco connotato
emozionale ansioso, riguardo al verificarsi di possibili eventi futuri; tali pensieri sono seguiti
da predizioni catastrofiche legate all’evento temuto e alla convinzione della propria
incapacità di adottare strategie efficaci di risposta rispetto al pericolo e di soluzione al
problema. Mennin et al (2005) hanno sostenuto che gli individui con DAG giudicano le loro
esperienze emotive come altamente minacciose a causa del deficit nella regolazione
emotiva. Lo studio dimostra che i soggetti con GAD vivono l’esperienza emotiva con
maggiore intensità ed hanno una maggiore tendenza a esprimere le emozioni negative
rispetto ai controlli. In accordo con la teoria della disregolazione emotiva il soggetto DAG
non solo è caratterizzato da eccessiva frequenza ed intensità emotiva, egli ha anche una
mancanza di comprensione delle emozioni ed inadeguate strategie di regolazione emotiva.
L’interazione tra: il giudizio dato alle esperienze emotive come altamente minacciose, la
forte intensità emotiva e la mancanza di comprensione delle emozioni, porta
inevitabilmente a reazioni negative verso le emozioni (paura delle emozioni) ciò determina
lo sviluppo di credenze negative relative alle emozioni sperimentate ed una interpretazione
erronea delle loro conseguenze fisiologiche. Non sorprende che questi soggetti sperimentino
le proprie emozioni come fortemente avverse e dannose e di conseguenza utilizzino
36
strategie, come la preoccupazione, per controllare o sopprimere tali risposte interne.
Tuttavia, la preoccupazione risulta una strategie inefficace nella gestione delle esperienze
emotive.
2.3 La ruminazione depressiva
La ruminazione depressiva si riferisce alla tendenza di alcuni individui di pensare
continuamente e ripetutamente a sintomi, cause e conseguenze delle loro emozioni
negative (Nolen-Hoeksema, 1991) ed è principalmente focalizzata su eventi passati
(Papageorgiou e Wells, 1999). La ruminazione non porta ad una soluzione attiva del
problema per cambiare le circostanze che circondano questi sintomi. Le persone che stanno
rimuginando, restano fissate sui loro problemi e sui sentimenti legati al problema, non
passando all’azione. Il contenuto del pensiero ruminativo nel depresso ha connotazione
tipicamente negativa, simile al pensiero automatico, è schematico, e riflette uno stile
cognitivo negativo (Beck, 1967). La ruminazione è collegata ad una varietà di stili cognitivi
disadattavi, tra cui stili di attribuzione inferenziale negativa, atteggiamenti disfunzionali,
disperazione, pessimismo, autocritica, dipendenza e nevrosi (Ciesla e Roberts, 2002; Flett,
Madorsky, Hewitt, & Heisel, 2002).
La ruminazione sembra avere un rapporto unico con la depressione, inoltre mantiene il
legame tra depressione e altri stili cognitivi negativi come nevrosi, pessimismo,
perfezionismo etc (Flett et al., 2002; Nolen-Hoeksema et al., 1994; Spasojevic & Alloy, 2001).
La ruminazione può essere un mediatore totale o parziale nel rapporto tra depressione e
nevrosi, stili inferenziali negativi, atteggiamenti disfunzionali, autocritica, dipendenza e
bisogno (Ito e Agari, 2003; Nolan, Roberts, Gotlib, 1998; Nolen-Hoeksema et al., 1994;
Spasojevic & Alloy, 2001). La ruminazione predice non solo la depressione, ma anche l'ansia,
l’abuso di sostanze, i disturbi alimentari, e probabilmente l’autolesionismo (Nolen-
Hoeksema, 2008).
Secondo la teoria degli stili di risposta (Nolen-Hoeksema, 1991) la ruminazione aggrava e
prolunga il disagio, in modo particolare la depressione, attraverso diversi meccanismi:
1) Attraverso l’attivazione di pensieri negativi e la memoria di essi, la ruminazione esacerba
l’impatto dell’umore depresso sul modo di pensare ed aumenta la probabilità che l’individuo
possa fare perciò inferenze negative riguardo le circostanze del presente; 2) La ruminazione
interferisce con l’adozione di strategie di problem solving adeguate; 3) La ruminazione
impedisce di attivare strategie efficaci per contrastare l’umore depresso; 4) Le persone che
37
tendono a ruminare continuamente rischiano di perdere il supporto sociale, che a sua volta
alimenterà la loro depressione. Queste conseguenze della ruminazione rendono più
probabile che i sintomi iniziali di depressione diventino ancora più gravi ed evolvino in
episodi depressivi maggiori.
Le teorie di autoregolazione suggeriscono che la ruminazione possa essere adattiva quando
conduce alla risoluzione del problema o all’abbandono degli obiettivi irraggiungibili, ma è
disadattiva quando l’individuo tende a perseverare sulle discrepanze. Molti studi hanno
supportato le teorie di autoregolazione; argomenti che vanno a perseverare sulle
discrepanze, costituiscono un effetto negativo (Carver e Scheier, 1998; Martin, Shrira, e
Startup, 2004; Martin e Tesser, 1996; Watkins, 2008). In particolare, Pyszczynski e Greenberg
(1987) applicando i modelli di autoregolazione alla depressione, sostengono che le persone
depresse tendono a focalizzarsi sui fallimenti, ma non si focalizzano a seguito di un evento
positivo, su di esso.
Tra le strategie di regolazione emotiva maggiormente messe in atto, il soggetto che rumina
adotta molto spesso l’evitamento esperienziale. Essa è una strategia controproducente,
poiché impedisce all’individuo di rispondere efficacemente a stimoli emotivi, che vengono
evitati, ed ha spesso il paradossale effetto di aumentare la sofferenza in relazione a tali
stimoli (Wenzlaff e Wegner, 2000). L’evitamento è già stato descritto come processo
fondamentale del disturbo di ansia generalizzato (Borkovec, 1994; Mennin et al., 2005), in
cui la preoccupazione serve per distrarre l’individuo da possibili esperienze emotive temute
e dalle loro conseguenze. Questo evitamento attraverso la preoccupazione rinforza un falso
senso di controllo sulle emozioni ed in ultima istanza, impedisce all’individuo di affrontare
efficacemente le proprie esperienze interiori negative. Considerata l’elevata comorbilità tra
GAD e depressione e l’elevata correlazione tra le misure di ruminazione e preoccupazione, è
ipotizzabile che la ruminazione, così come la preoccupazione, assolva una funzione di
evitamento. In particolare, è possibile che i ruminatori evitino le esperienze di tristezza
attraverso i loro pensieri ripetitivi e ridondanti degli eventi passati. Questo modello fornisce
una spiegazione per la compresenza di depressione ed ansia, sostenendo che derivino
entrambe da tentativi disadattivi di evitare esperienze emotive. Inoltre, è compatibile con
altre teorie che sostengono che la ruminazione interferisca con l’adozione di adeguate
strategie di problem solving e/o altre risposte adattive agli affetti negativi (Nolen-Hoeksema,
2004). In accordo con quest’ultimo aspetto, la funzione evitante della ruminazione
interferirebbe con certi aspetti dell’esperienza emotiva, necessari perché abbia luogo un
38
processo emozionale efficace (Foa e Kozac, 1986). Queste scoperte suggeriscono che coloro
che utilizzano la ruminazione in modo patologico (es. soggetti con depressione) hanno
credenze negative riguardo alle esperienze emotive esperite. Anche in questo caso la paura
delle emozioni dovuta ad interpretazioni errate interferisce con la capacità di rispondervi
adeguatamente e di adottare strategie efficaci di regolazione emotiva e di problem solving.
2.4 Disturbo Borderline di personalità
Il disturbo borderline è caratterizzato da esperienze emotive molto intense, conflitti nelle
relazioni interpersonali, sensibilità ai segnali di abbandono, tendenza al suicidio,
autolesionismo e comportamenti autodistruttivi impulsivi (American Psychiatric Association,
2000). Questi comportamenti autodistruttivi sono spesso concepiti come tentativi di
regolare, sfuggire, distrarsi o attenuare esperienze emotive indesiderate (Chapman, Dixon-
Gordon, & Walters, 2011; Linehan, 1993). Secondo Linehan (1993) il disturbo borderline si
caratterizza per la vulnerabilità delle emozioni e per la disregolazione emotiva. La
vulnerabilità emotiva (presumibilmente biologica) si riferisce ad una vulnerabilità intensa,
con una bassa soglia e risposte emotive durature. La disregolazione emotiva consiste nella
difficoltà del monitoraggio, accettazione, capacità di regolare le esperienze emotive e
l’incapacità di perseguire un obiettivo diretto ad un contesto di distress emotivo (Gratz &
Roemer, 2004). Così gli individui con disturbo borderline lottano con frequenti ed intense
emozioni negative e la mancanza di strategie adatte per tollerarle e modularle. Molte delle
difficoltà comportamentali delle persone borderline si verificano in risposta a fattori di stress
emotivo, poiché hanno difficoltà nel regolare o ridurre l’eccitazione emotiva (Chapman &
Dixon-Gordon, 2007; Chapman, Gratz & Brown, 2006).
In letteratura troviamo molti studi discordanti riguardo l’eccitabilità del sistema nervoso
autonomo di fronte a condizioni di distress emotivo. Alcuni studi dimostrano che vi è una
minore eccitabilità del sistema simpatico nei soggetti borderline rispetto ai soggetti con
disturbo evitante (Herpertz et al., 2000) e ai controlli (Herpertz, Kunert, Schwenger, e Sass,
1999). Altri studi invece mostrano che l’attività del parasimpatico è inferiore nei soggetti
borderline rispetto ai controlli in condizioni di stress emotivo (Austin, Riniolo, e Porges,
2007; Kuo & Linehan, 2009).
Attualmente solo pochi studi hanno esaminato le strategie di regolazione emotiva adottate
dai soggetti borderline. I non molti risultati che abbiamo a disposizione dimostrano che i
soggetti borderline hanno particolare difficoltà con un aspetto della regolazione delle
39
emozioni: la capacità di persistere nel comportamento diretto a uno scopo, nonostante il
disagio emotivo (Gratz e Roemer, 2004). Questi soggetti hanno anche una capacità inferiore
a sopportare le emozioni negative e una bassa tolleranza all’angoscia (Bornovalova et al.,
2008). Questa combinazione di intense emozioni negative, bassa tolleranza del disagio, e un
repertorio ristretto di efficaci strategie di regolazione emotiva, può portare le persone con
disturbo borderline a sopprimere o evitare le esperienze emotive. Gli individui borderline
sono più propensi a usare le strategie evitanti per regolare le emozioni (Bijttebier &
Vertommen, 1999), coinvolgendo evitamento emotivo o soppressione. I risultati di
laboratorio hanno indicato che la gravità della diagnosi del disturbo borderline è associata ad
alti livelli di evitamento emotivo e soppressione (Chapman, Specht, e Cellucci, 2005). La
ricerca esistente sottolinea il ruolo di evasione esperienziale nel mantenimento della
sintomatologia borderline ( Chapman et al., 2011).
La soppressione può riguardare l’espressione delle emozioni o i pensieri. La soppressione
espressiva consente di ridurre l'espressione delle emozioni, così come l'esperienza personale
immediata di un’ emozione, ma porta ad un aumento dell’eccitazione fisiologica nel lungo
termine ( Gross & Thompson, 2007). Altri ricercatori si sono concentrati sul ruolo di
soppressione dei pensieri indesiderati in relazione alla psicopatologia (Wegner e Erber,
1992). Come già descritto nel Capitolo 1 la soppressione dei pensieri conduce
paradossalmente ad un successivo aumento della frequenza indesiderata dei pensieri,
definito "effetto rimbalzo" (Wegner, 1994), in particolare quando le persone sono sotto
stress o impegnate in un compito concomitante che richiede uno sforzo (Abramowitz, Tolin,
e Street, 2001; Wegner & Erber, 1992).
Anche se la soppressione può ridurre efficacemente l’esperienza soggettiva di fronte a
emozioni negative, gli sforzi coinvolti nella soppressione delle emozioni possono esaurire le
risorse necessarie per controllare gli impulsi e far fronte a stress futuri (Muraven, Tice,
Baumeister, 1998). La soppressione non consente di preparare il terreno per la gestione di
difficoltà emotive future, riducendo inoltre la tolleranza all’angoscia. I risultati suggeriscono
che queste conseguenze negative della soppressione emotiva si verificano anche tra gli
individui che soffrono di disturbo borderline ( Chapman et al., 2011). Chapman e colleghi
(2005) hanno trovato che i sintomi del soggetto borderline sono associati all’ evitamento
emotivo e che la soppressione del pensiero è stata associata a comportamenti autolesivi. La
ricerca indica inoltre che la soppressione emotiva rappresenta l’ associazione tra trauma
40
sessuale e sintomi psichiatrici (Polusny, Rosenthal, Aban, Follette, 2004; Rosenthal et al.,
2005).
Recenti ricerche (Chapman et al, 2013) si allontanano dalla comune idea che questo
disturbo sia la conseguenza di una inabilità a regolare le emozioni, proponendo piuttosto che
questa condizione derivi da una tendenza a iper-regolare le emozioni. In questa prospettiva i
pazienti borderline indirizzerebbero le loro energie verso la downregulation, sperperando
risorse che non riescono ad essere investite in comportamenti funzionali. Rispetto a soggetti
di controllo, in seguito ad induzione di paura, i soggetti borderline riportano emozioni più
forti in termini di paura, irrequietezza ed ostilità; un ricorso maggiore ad alcune strategie,
quali distrazione, reappraisal o tentativi di soppressione delle emozioni ed un minore ricorso
all’accettazione emotiva.
Inoltre è stato notato che l’assenza di accettazione dell’emozione è collegata
all’accrescimento dell’ostilità in risposta agli stressor. Tali osservazioni suggeriscono che
alcune strategie di regolazione emotiva possono avere un ruolo di mediazione rispetto
all’effetto degli stressor, mentre altre strategie di regolazione emotiva, come l’accettazione,
possono avere un ruolo di moderazione.
Dal confronto con un ulteriore studio ( Evans et al, 2013) emergerebbe che i soggetti con
caratteristiche borderline non presenterebbero difficoltà nelle strategie di regolazione
emotiva. Esisterebbe una correlazione positiva tra l’uso di strategie evitanti e le
caratteristiche borderline, ma non una relazione con l’accettazione, che in questo studio,
sembrerebbe essere più efficace dei tentativi di sopprimere le emozioni. La regolazione
emotiva, dunque, non costituisce esclusivamente un epifenomeno, o l’espressione
sintomatologica di un disturbo.
2.5 Schizofrenia
Recenti ricerche suggeriscono che gli individui con schizofrenia non hanno la capacità di
regolare le proprie emozioni e che la disregolazione emotiva è presente a livello
esperienziale, processuale, espressivo, aggravando il distress e le esperienze sociali
disfunzionali.
Alcuni studi mostrano che l’elaborazione emotiva è carente nella schizofrenia (Aleman e
Kahn, 2005; 2001; Kohler et al., 2006), altri studi invece, suggeriscono che l’esperienza
emotiva soggettiva sia a livelli normali in questi soggetti (Kring e Neale, 1996;), mentre
sarebbe la reattività emozionale ad essere molto forte nei pazienti con schizofrenia (Kring e
41
Neale, 1996; 2000). Questa disgiunzione tra espressione, esperienza e percezione emotiva, è
stata definita “paradosso emotivo” (Aleman & Kahn, 2005). Se tale disgiunzione tra i domini
dell’emozione è presente, è probabile che il processo sottostante la regolazione emotiva ne
sarà influenzato; ad esempio se si prova difficoltà a percepire le emozioni, le fasi successive
nella regolazione delle emozioni saranno ostacolate. Nonostante il “paradosso emotivo” la
ricerca che va ad indagare la regolazione emotiva nei soggetti con schizofrenia è molto
scarsa. Anche se è stato ampiamente riconosciuto che i pazienti schizofrenici soffrano di
appiattimento affettivo (Carpenter, 2007; Gur et al, 2006), alcune evidenze suggeriscono
che l’esperienza soggettiva dei pazienti schizofrenici è simile a quella dei soggetti sani (Gur
et al, 2006;. Kring e Neale, 1996), mentre la reattività di conduttanza cutanea è maggiore nei
soggetti schizofrenici. La disgiunzione potrebbe essere causata da una disabilità a valutare gli
stimoli a valenza negativa, che porterebbe alla necessità di sopprimere queste esperienze
emotive. Ciò può accadere sia nei soggetti sani che nei soggetti con schizofrenia; ma in
quest’ultimi c’è una maggiore attivazione dei circuiti cerebrali legati all’ emotività e una
maggiore reattività fisiologica.
Come già osservato sono pochi gli studi che hanno affrontato la relazione tra schizofrenia e
regolazione emotiva ed inoltre non sono stati trovati risultati molto soddisfacenti.
Lo studio di Van der Meer e colleghi (2009) ha testato e confermato l’ipotesi che i pazienti
con schizofrenia sopprimano le emozioni più frequentemente dei soggetti sani, e fanno
meno uso della strategia di rivalutazione. A differenza dei controlli sani che tendono ad
utilizzare mezzi cognitivi per reinterpretare gli stimoli interni al fine di diminuire la valenza
affettiva dello stimolo emotivo, i pazienti con schizofrenia sono più propensi a sopprimere la
valenza emotiva degli stimoli. L'uso eccessivo di strategie di soppressione, invece dell’utilizzo
di strategie di rivalutazione, può provocare discrepanze tra lo stato interiore e il
comportamento che viene messo in atto (Higgins, 1987). Ovvero, la loro preferenza per
l'utilizzo della soppressione emotiva, può determinare un’apparente stato affettivo piatto,
anche se la loro esperienza emotiva soggettiva è analoga a quella dei controlli sani. Questo
potrebbe spiegare la scoperta controintuitiva che i pazienti affetti da schizofrenia
esperiscano forti sentimenti interiori di negatività o positività (Gur et al, 2006;. Kring e Neale,
1996), ma non sono in grado di esprimerli e di soffrire per la loro piattezza affettiva
(Carpenter, 2007;. Gur et al, 2006).
Problemi nella regolazione delle emozioni sono stati collegati anche al tratto della
personalità di alessitimia (Taylor et al, 1997). Alessitimia significa letteralmente “non avere
42
parole per i sentimenti”, è un costrutto multidimensionale che comprende le difficoltà di
identificare i propri sentimenti, descrivere i sentimenti di altre persone e nell’effettuare una
valutazione corporea delle sensazioni di eccitazione emotiva; i processi di immaginazione
sono minimi e lo stile cognitivo è orientato verso l’ esterno, con una relativa mancanza di
introspezione (Sifneos, 1973; Taylor et al., 1997). L’alessitimia può essere suddivisa in due
componenti: cognitiva-emozionale e soggettiva-emozionale (Vorst & Bermond, 2001).
Fino ad ora, tre studi hanno riportato punteggi di alessitimia significativamente più elevati
nei pazienti schizofrenici (Cedro et al., 2001; Stanghellini e Ricca, 1995). È possibile che
questi alti punteggi di alessitimia nei pazienti schizofrenici derivino da un deficit nella
verbalizzazione dei pensieri in generale, non esclusivamente sentimenti. Quindi, le persone
più eloquenti avranno meno difficoltà a verbalizzare i loro pensieri, compresi i loro
sentimenti.
2.6 Regolazione emotiva e aggressività
È stato ipotizzato che l’aggressione impulsiva e la violenza, nascono come conseguenza di
una regolazione emotiva difettosa. Infatti, la corteccia prefrontale riceve una grande
proiezione serotoninergica, che è disfunzionale in individui che mostrano violenza impulsiva.
Gli individui vulnerabili a un guasto nella regolazione delle emozioni negative sono a rischio
per la violenza e l'aggressione. La ricerca sui circuiti neurali di regolazione delle emozioni
suggerisce nuove vie di intervento per tali popolazioni a rischio ( Davidson et al, 2000).
Secondo Davidson e colleghi (2000) la propensione per l’aggressività impulsiva è associata ad
una bassa soglia di attivazione affettiva negativa ( una miscela di emozioni e stati d’animo
che comprendono la rabbia, l’angoscia e l’agitazione) e con la mancanza di risposte adeguate
per le conseguenze negative attese del comportamento aggressivo. Numerosi studi
dimostrano che l’affettività negativa può precipitare ed accentuare il comportamento
aggressivo (Berkowitz, 1999). Sebbene la maggior parte degli studi neurobiologici su
aggressione e violenza non distinguono tra aggressione premeditata e impulsiva; Davidson et
al (2000) hanno invece cercato di operare questa distinzione concentrandosi sulle differenze
genetiche, neurochimiche, neuroanatomiche, andando a porre maggiormente attenzione
all’aggressione impulsiva, che spesso culmina in violenza fisica.
In questa sede non affronterò in maniera approfondita la neurobiologia di rabbia e
aggressività, poiché è un argomento troppo vasto e questa non è che una trattazione
riassuntiva dal rapporto tra aggressività e regolazione delle emozioni.
43
Impulsività e aggressività affettiva possono essere considerate il prodotto di un fallimento
nella regolazione emotiva (Davidson et al, 2000). Gli individui normali sono in grado di
regolare volontariamente la loro affettività negativa e ciò è visibile anche da alcuni segnali di
ritenzione che producono nell’ambiente circostante, come segni facciali e vocali di rabbia o
paura, i quali hanno anche un ruolo di regolazione. Gli individui predisposti all’aggressione e
alla violenza hanno un’anomalia nel circuito centrale responsabile delle strategie
comportamentali adattive.
Anomalie strutturali o funzionali in una o più delle regioni responsabili della regolazione
emotiva (corteccia prefrontale orbitale, corteccia prefrontale dorso laterale, amigdala e
corteccia cingolata anteriore), o nelle loro interconnessioni, possono aumentare la
propensione per l’aggressività impulsiva. Un’alterazione del sistema serotoninergico è stata
collegata alla possibilità di aggressioni e violenze. La serotonina è stata ipotizzata esercitare
un controllo inibitorio sull’aggressività impulsiva (Bechara et al, 1997). Anomalie della
funzione serotoninergica sono particolarmente importanti nelle regioni della corteccia
prefrontale (PFC). Altri neurotrasmettitori, neuromodulatori e ormoni sono probabilmente
coinvolti, tra cui, il testosterone (Higley et al, 1996), la norepinefrina, la dopamina, l’ormone
di rilascio della corticotropina ( Mann, 1998) e il colesterolo (Kaplan et al, 1994), anche se
nessuno di questi ha ricevuto molta attenzione negli studi di aggressività e violenza
sull’uomo.
Il ruolo dell’amigdala nell’aggressività impulsiva è complesso (Emery et al, 2000). I
comportamenti individuali che connotano l’aggressività (ad esempio, gli occhi che fissano,
vocalizzazione minacciosa, postura in avanti) vengono convogliati dal nucleo laterale
dell’amigdala, che poi proietta ai nuclei della base, ed è qui che arrivano informazioni sul
contesto sociale dalla OFC, la quale opera un’ integrazione delle informazioni percettive
(Ongur et al, 2000; Cavada et al, 2000). Risposte comportamentali possono essere avviate
tramite proiezioni che partono dai nuclei della base e raggiungono varie zone corticali. Le
risposte fisiologiche possono essere prodotte attraverso proiezioni dei nuclei della base al
nucleo centrale, successivamente all’ipotalamo e al tronco encefalico. Troppa o troppa poca
attivazione dell’amigdala può dar luogo a un’affettività negativa eccessiva, o a una diminuita
sensibilità agli stimoli sociali che regolano l’emozione.
La corteccia orbitomediale (OFC), attraverso le sue connessioni con le aree della corteccia
prefrontale (PFC) e con l’ amigdala, svolge un ruolo cruciale nel controllare le esplosioni
impulsive; mentre la corteccia cingolata anteriore (AAC) e altri sistemi neurali, tra cui la PFC
44
si attivano in risposta a conflitti (Bush et al, 2000). Nei normali individui, l’attivazione di
queste regioni cerebrali, che si verifica durante l’eccitazione, la rabbia e altre emozioni
negative, limitano l’espressione impulsiva del comportamento emotivo. Dei deficit in questo
circuito si ipotizza che aumentino la vulnerabilità di una persona all’aggressione impulsiva.
Quindi l’aggressività impulsiva e la violenza riflettono anomalie nella circuiteria della
regolazione delle emozioni del cervello, anche se la struttura e la funzione di questo circuito
sono ovviamente influenzate da molti fattori: sia genetici che ambientali.
2.7 L’ Alessitimia
L’alessitimia è una caratteristica di personalità che per la prima volta Sifneos (1973) ha
descritto in pazienti psichiatrici e psicosomatici e che si contraddistingue per l’incapacità di
trovare parole per descrivere i propri sentimenti. Attualmente l’alessitimia ha una
definizione più raffinata, contenente cinque caratteristiche (Taylor et al, 2000):
1) Difficoltà nell’individuare un’emozione
2) Difficoltà nel descrivere sentimenti verbalmente
3) Riduzione o incapacità di provare emozioni
4) Mancanza della tendenza di immaginare uno stato emotivo, o uno stile cognitivo
orientato all’esterno
5) Scarsa capacità di fantasticare o di utilizzare il pensiero simbolico
L’ Alessitimia si riferisce ad un disturbo specifico di elaborazione emotiva, a capacità
particolarmente ridotte nella verbalizzazione e nella realizzazione dell’ emozione. Studi
longitudinali hanno anche suggerito che l’alessitimia è significativamente associata con la
gravità della depressione (Honkalampi et al, 2001), con l’ ansia (Berthoz et al, 1999) e la
schizofrenia ( Cedro et al, 2001). Il tasso di prevalenza di alessitimia è significativamente più
alto in pazienti con disturbi psicosomatici, come disturbi alimentari (Ridout et al 2010),
fibromialgia (Huber et al, 2009) e dolore lombare (Mehling et al, 2005), rispetto ai gruppi di
controllo.
È stato ipotizzato che l’alexitimia sia uno stato cognitivo del pensiero orientato verso
l’esterno, caratterizzato da instabilità emotiva e prestazioni insicure nella capacità di
controllare situazioni stressanti. Un forte dibattito ruota attorno al concetto di alessitimia; se
esso sia un disturbo dato da un deficit affettivo (componente di stato), o se sia determinato
da una variabile continua di personalità (componente di tratto).
45
Uno studio di Stasiewicz et al. (2012) ha esplorato la relazione tra alessitimia e regolazione
emotiva; in particolare la capacità di venire a patti con le emozioni negative, ed è stato
scoperto che: alti punteggi alla TAS-20, correlano negativamente con una varietà di
competenze di regolazione emotiva. Gli individui con punteggi più alti di alessitimia avevano
più difficoltà a gestire gli stati d'animo negativi, i quali sono una parte importante della
regolazione emotiva . Persone senza alessitimia sono state in grado di andare avanti dopo
aver sperimentato emozioni negative, mentre le persone con alessitimia avevano più
difficoltà a venire a patti con le loro emozioni. Questi risultati possono suggerire che i
soggetti con alessitimia possono avere una predisposizione verso sentimenti negativi, a
partire da ciò hanno una maggiore difficoltà nell’affrontare e gestire le emozioni negative
(Pogostin et al, 2013). Questo deficit nella regolazione delle emozioni sembra implicare che
le persone alessitimiche possono individuare più emozioni negative dentro se stesse. Questa
conclusione è supportata da uno studio condotto da Yelsma (2007), che ha osservato quanto
l'alessitimia sia stata associata ad una maggiore consapevolezza emotiva negativa e ad una
bassa consapevolezza emotiva positiva. Un ulteriore studio che ha confermato come l’
alessitimia sia associata a maggiore consapevolezza emotiva negativa è quello di Connelly e
Denney (2007). Questo studio ha inoltre rilevato che questa elevata affettività negativa era
presente indipendentemente da fattori ambientali; ovvero, anche quando i partecipanti non
stavano vivendo in condizioni ambientali tali da indurre emozioni negative, gli individui con
punteggi più alti di alessitimia, esperivano più emozioni negative e meno emozioni positive.
Questi studi dimostrano che l’ alessitimia è legata all’identificazione in sé stessi di elevate
emozioni negative e al riconoscimento invece, di pochissime emozioni positive.
2.8 La gestione delle emozioni negative e i possibili trattamenti
Come ho descritto in questi due capitoli i tentativi di controllo e soppressione della risposta
emozionale non vanno a ridurre il distress dell’individuo che vive l’emozione, anzi
paradossalmente in alcuni casi lo possono aumentare ( Gross, 1998). Inoltre questo
meccanismo conduce ad una riduzione della capacità di esperire emozioni positive. Le
emozioni negative fanno parte del nostro percorso di vita e della nostra esperienza, credere
che queste siano pericolose e che vadano il più possibilmente allontanate, può condurre ad
un timore generalizzato degli stati emotivi e a condotte di evitamento che limitano
notevolmente la qualità di vita dell’individuo (Hayes 2004). Il paziente può essere aiutato ad
abbandonare la tendenza alla soppressione e all’evitamento con varie tecniche di gestione
46
delle emozioni negative, tra queste troviamo tecniche di gestione dello stress (rilassamento,
mindfulness) per ridurre l’aorousal, o la ristrutturazione cognitiva. Tuttavia molte evidenze
sperimentali hanno mostrato che la terapia cognitivo comportamentale e l’utilizzo della
“disputa razionale” non sempre funzionano. Purtroppo non è andando a modificare le
credenze che si va sempre a modificare lo stato d’animo. Per questo motivo i trattamenti di
terza generazione sembrano essere più efficaci: da una parte recuperano le tecniche
comportamentali, dall’altra introducono tecniche di mindfulness e di padronanza cognitiva.
Le terapie di terza generazione contrappongono il controllo (fallimentare) dell’esperienza
emotiva, alla disponibilità a vivere tali esperienze emotive negative. Ciò che si controlla è il
comportamento disfunzionale (ad esempio l’evitamento), in tal modo l’emozione “negativa”
può essere tollerata in quanto non impedisce all’individuo di vivere la sua vita.
47
CAPITOLO 3. CORRELATI PERIFERICI DELLE EMOZIONI E DIFFERENZE
DI GENERE
3.1 Correlati periferici delle emozioni
Come già trattato ampiamente nei primi capitoli l’emozione è la risposta che l’inidividuo
mette in atto di fronte a stimoli esterni ed interni, la quale determina delle modificazioni
fisiologiche, accompagnata da attivazioni cognitive e produce delle conseguenze a livello
comportamentale. L’esperienza emotiva è quindi il prodotto dell’interazione di processi
sensoriali e periferici ( le modificazioni corporee correlate alle emozioni) e di processi
cognitivo-superiori (mediati dalla corteccia). Quando questi sottosistemi di risposta:
cognitivo, comportamentale e autonomo sono efficacemente coordinati, consentono di
mettere in atto un comportamento diretto ad uno scopo, consentendo un adattamento
flessibile dell’organismo in base alle richieste ambientali. Il ruolo delle componenti
fisiologiche periferiche e centrali nell’esperienza delle emozioni è stato esaminato da una
serie di modelli teorici di riferimento. Possiamo distinguere tre filoni di analisi:
1) Secondo la teoria periferica di James-Lange (1884) l’emozione non sarebbe altro che
la rilevazione cosciente delle modificazioni periferiche, deriverebbe quindi dalla
valutazione consapevole di quanto accade nel nostro organismo. La sequenza che
descrive un’ emozione non è quella del senso comune, e cioè: “percepisco un evento,
ciò produce un effetto mentale chiamato emozione e questa provoca delle
conseguenze sull’organismo”, ma piuttosto il contrario. Sarebbero le modificazioni
fisiologiche delle strutture periferiche (ad esempio l’aumento della frequenza
cardiaca, della pressione ecc) in conseguenza dell’evento, che determinano
l’esperienza emotiva. Secondo James, le modificazioni viscerali e somatiche sono
proprio un dato essenziale, ciò che rende emotiva la percezione di uno stimolo che
diversamente sarebbe una semplice constatazione cognitiva del tipo: c’è un orso, è
opportuno che inizi a correre.
2) Cannon (1927) fu il primo studioso che si oppose al modello di James-Lange. Sulla
base di dati sperimentali Cannon sosteneva che il comportamento emotivo non
subisce modificazioni anche quando viene interrotta la comunicazione tra i visceri e il
sistema nervoso centrale. La teoria di Cannon viene anche definita teoria
talamica poiché sposta la sede dell’emozione a livello neurofisiologico attribuendo al
48
talamo un ruolo essenziale. Secondo Cannon e Bard sia le vie corticali che le vie
sottocorticali, hanno un ruolo primario nella mediazione dell’esperienza emotiva. Il
talamo e l’ ipotalamo rappresentano i centri di controllo delle azioni motorie che
includono, a loro volta, cambiamenti nel sistema periferico. L’informazione di
feedback provenienti dalle aree periferiche inviano alla corteccia output per
l’elaborazione dello stato emotivo.
3) In tempi più recenti, l’esperienza emotiva è stata considerata come il risultato
dell’interazione di fattori periferici e centrali. Leventhal, Scherer (1987) ed in
seguito Damasio (2000) affermano che il processo di valutazione dello stimolo e della
situazione emotiva avrebbe origine a partire da specifiche attivazioni fisiologiche e
grazie alla presenza di programmi neuromotori innati. Secondo questo modello, alla
base dell’esperienza emotiva ci sono un insieme innato di programmi neuromotori,
ma affinché essa abbia luogo sono necessari meccanismi cognitivi in grado di valutare
l’entità dello stimolo che possano così supportare le risposte comportamentali del
soggetto.
Poiché già nel primo capitolo ho ampiamente trattato e descritto le aree del sistema nervoso
centrale coinvolte nella regolazione emotiva, successivamente mi concentrerò sulla
descrizione dei correlati periferici delle emozioni.
I differenti stati emotivi possono essere associati a differenti pattern di attivazione del
sistema nervoso autonomo (SNA)? Questa vecchia questione gode di una modesta ripresa in
psicologia solo in tempi recenti. Nel 1950 la specificità del sistema nervoso autonomo era un
elemento chiave dell’emergente disciplina psicofisiologica, la quale missione scientifica era
quella di esplorare la relazione mente-corpo, facendo ricorso a strumenti di misura
elettrofisiologici. Tuttavia dopo il raggiungimento della piena maturazione psicofisiologica, la
psicologia si allontanò dalle sue radici fisiologiche, e venne dominata dalle teorie
dell’apprendimento, dal comportamentismo, dalle teorie sulla personalità e più tardi dal
cognitivismo. La ricerca sulle specificità autonomiche nelle emozioni divenne sempre più
rara. Forse come risultato di queste tendenze storiche in psicologia, o forse perché la ricerca
sulle emozioni e la fisiologia insieme vengono fatte bene con difficoltà. Infatti esistono solo
un piccolo corpo di studi sulla specificità del sistema nervoso autonomo riguardo le
emozioni. Sebbene quasi tutti questi studi riportino alcune prove dell’esistenza di specificità,
la specificità non è stata stabilita empiricamente.
49
Ricercatori contemporanei nel campo delle emozioni detengono posizioni contrarie riguardo
al tema dell’attivazione del sistema nervoso autonomo (SNA) in concomitanza
dell’emozione. Per esempio, ad un estremo troviamo Feldman-Barret (2006), il quale ha
dichiarato che “non è possibile affermare con sicurezza che ci sono tipi di emozione che
riportano firme autonomiche uniche ed invarianti”, piuttosto vi sono configurazioni che
seguono le generali condizioni di pericolo e sfida e di affettività positiva contro affettività
negativa. Una posizione intermedia è suggerita da meta-analisi che indagano la risposta
fisiologica alle emozioni (Cacioppo, Berntson, Klein, et Poehlmann, 1997; Cacioppo et al.,
2000), questi studi riportano un certo grado di specificità emotiva autonomica. Oltre ad
alcune rilevanti differenze tra emozioni specifiche, Cacioppo e i suoi collaboratori notarono
anche effetti contesto specifici di attivazione del SNA in base alle varie emozioni. Inoltre,
sono stati trovati pattern di valenza specifici per pattern emotivi specifici: ovvero le emozioni
negative sono state associate a risposte autonomiche più forti rispetto alle emozioni positive
(Taylor, 1991). Tuttavia in questa meta-analisi è stata presa in considerazione solo
un’emozione positiva: la felicità, categorizzata come gioia. Abbiamo quindi una
rappresentazione ineguale poiché vi è una sola emozione positiva, in contrasto con un
campione di cinque emozioni negative. A causa di un numero limitato di studi considerati,
una ristretta gamma di variabili fisiologiche ( solo cardiovascolare ed elettrotermica ma non
respiratoria) e la natura univariata dell’approccio meta-analitico, tali risultati ci danno solo
una risposta imperfetta alla domanda di patterning autonomo riguardo l’emozione. La
posizione diametralmente opposta a quella di Feldman-Barret (2006) è quella di Stemmler
(2004), il quale ha sostenuto che il SNA non dovrebbe trasmettere schemi specifici di
attivazione per le emozioni, se questi hanno funzioni specifiche per l’adattamento umano.
Secondo Stemmler (2004) poiché le emozioni hanno obiettivi diversi, richiedono pertanto
un’attività autonomica differenziata, come protezione per il corpo e preparazione del
comportamento. L’attività autonomica per la preparazione del comportamento è
l’attivazione fisiologica che si verifica prima che qualsiasi comportamento sia iniziato e che
coinvolge il SNA secondo le esigenze comportamentali. Utilizzando un approccio funzionale,
Stemmler (2004) ha sottolineato l’importanza di studiare i modelli di regolazione autonomi
delle emozioni, piuttosto che le singole misure di risposta. Secondo l’opinione che il sistema
nervoso centrale (SNC) è organizzato per la produzione di risposte integrate, piuttosto che
per cambiamenti singoli ed isolati (Hilton, 1975) qualsiasi variabile che può essere descritta o
50
misurata indipendentemente è costituita da diversi pattern. Solo quando si considerano le
matrici complete di misure fisiologiche si possono individuare tali modelli di regolazione.
La maggior parte delle teorie delle emozioni accetterebbero la proposta che l’attivazione del
sistema nervoso autonomo è uno dei cambiamenti che si verificano durante l’emozione. Ma
le varie teorie differiscono per il numero di modelli differenti sul SNA, che costituiscono un
insieme di possibilità di scelta. Ad un estremo abbiamo coloro che sostengono che ci sono
solo due modelli del SNA: “ON” e “OFF”. Il modello ON è costituito dalle emozioni e dal
sistema nervoso autonomo ad alto livello, con attivazione globale e diffusa. Mediata
principalmente dal ramo simpatico del SNA. Questo modello si manifesta con: contrazioni
veloci del cuore, respirazione rapida e profonda, una pressione sistolica e arteriosa
maggiore, sudorazione, secchezza delle fauci, reindirizzamento del flusso sanguigno verso la
grande muscolatura scheletrica, vasocostrizione periferica, rilascio di grandi quantità di
epinefrina e noradrenalina dalla midollare surrenale ed un rilascio di glucosio dal fegato.
Cannon (1927) ha descritto alcuni dettagli di questo modello, sostenendo che questo tipo di
alta intensità, di eccitazione indifferenziata accompagni tutte le emozioni. La nozione di
eccitazione indifferenziata si trova in varie teorie; in quella di Mandler (1975), di Schachter e
Singer (1962). Secondo Cannon (1927) e i sostenitori di questo modello, il SNA sarebbe
troppo lento e indifferenziato per produrre rapidamente modelli di risposta altamente
organizzati e specifici per le varie emozioni. Mentre i fisiologi contemporanei vedono un
margine più ampio dell’organizzazione del SNA (Bandler et al., 2000; Folkow, 2000; Jänig et
Häbler, 2000; Jänig, 2003; Levenson, 1988). La ricerca negli ultimi 50 anni ha invalidato
l’opinione che la componente simpatica funzioni in modalità “tutto o nulla” senza che vi sia
una distinzione tra i vari organi effettori (Cannon, 1939). Piuttosto, ogni organo e tessuto è
innervato da distinti percorsi del sistema simpatico e parasimpatico; con scarsa o assente
comunicazione fra loro (Jänig & McLachlan, 1992a, 1992b; Jänig & Habler, 2000). Ampie
porzioni di neruoni simpatici possono essere selettivamente impiegate in modo che singoli
circuiti, o altre unità, possano essere attivate indipendentemente (Folkow, 2000). L’unità
funzionale assunta in origine dal sistema simpatico-adreno-midollare, attualmente viene
suddivisa in due sistemi controllati da circuiti separati: uno diretto e nervoso e l’altro
ormonale e adreno-midollare. Questi due sistemi nella maggior parte delle situazioni hanno
ruoli funzionali differenti (Folkow, 2000). Mentre il primo sistema ha un’esecuzione rapida,
precisa e altamente differenziata; il secondo modifica indipendentemente importanti
funzioni metaboliche. In situazioni di emergenza, può avvenire una massiva e generalizzata
51
attivazione del sistema simpatico-surrenale, le due parti possono anche reciprocamente
sostenersi. Le attività respiratorie hanno un effetto evidente sul controllo del SNA, inoltre
forniscono un contributo significativo e indipendente ai chemorecettori periferici e centrali
sensibili al CO2 (Wilhelm, Schneider, Friedman, 2005). L’attività respiratoria ci fornisce
ulteriori informazioni, oltre a quelle indicate dall’attività cardiovascolare ed elettrodermica,
riguardo l’attività del SNA di fronte all’emozione. Le misure respiratorie sono importanti per
interpretare gli effetti del funzionamento del SNA, indicato da misure cardiovascolari, le
quali sono modulate da effetti respiratori. Una valutazione globale delle misure
cardiovascolari, elettrodermiche e respiratorie è in grado di fornirci informazioni ulteriori sul
funzionamento del SNA in rapporto all’emozione. Diversamente da quanto sostenuto
dall’originale concezione per cui il SNA abbia un funzionamento indipendente dal resto del
sistema nervoso, oggi possiamo dire invece che esiste una stretta interazione tra sistema
nervoso centrale e autonomo, in vari modi. Come il sistema nervoso somatico anche il SNA
è integrato a tutti i livelli di attività nervosa. Mentre i riflessi segmentali del SNA sono
coordinati dal midollo spinale, l’integrazione soprasegmentale superiore nel cervello è
necessaria per la regolazione di funzioni come: respirazione, pressione sanguigna,
deglutizione e movimenti delle pupille. All’interno dell’ipotalamo vi sono complessi sistemi di
integrazione che influenzano le varie componenti del SNA. Molte delle attività
dell’ipotalamo sono a loro volta disciplinate da varie aree corticali, tra cui l’insula, il cingolato
anteriore, la corteccia prefrontale ventromediale, così come il nucleo centrale dell’amigdala,
i quali ricevono input dall’ambiente esterno. Così, le regolazioni fondamentali dell’organismo
nel suo ambiente, possono essere conseguite solo da una coordinazione e integrazione delle
attività somatiche ed autonomiche, le quali prendono origine da elevate attività
neurologiche che, a partire dalla corteccia, raggiungono il midollo spinale e il sistema
nervoso periferico. È necessario un alto grado di specificità nell’organizzazione del SNA per
una precisa regolazione neurale del funzionamento omeostatico corporeo, durante le
diverse sfide di adattamento in un ambiente in continua evoluzione. In questo contesto le
emozioni possono fornire risposte rapide e affidabili alle sfide e ai cambiamenti della vita.
Quanto affermato in queste ultime righe riguardo all’interazione fra aree del sistema
nervoso centrale e aree del sistema nervoso autonomo è in conformità con le teorie più
recenti, le quali ritengono infatti che l’esperienza emotiva sia il risultato dell’interazione di
fattori centrali e periferici. Leventhal, Scherer (1987) ed in seguito Damasio (2000)
affermano che il processo di valutazione dello stimolo e della situazione emotiva avrebbe
52
origine a partire da specifiche attivazioni fisiologiche e grazie alla presenza di programmi
neuromotori innati. Secondo questo modello, alla base dell’esperienza emotiva ci sono un
insieme innato di programmi neuromotori, ma affinché essa abbia luogo sono necessari
meccanismi cognitivi in grado di valutare l’entità dello stimolo che possano così supportare
le risposte comportamentali del soggetto. Le strutture anatomiche che sono più
strettamente implicate nella comprensione e nella produzione dei comportamenti emotivi
sono situate nel sistema limbico. Anche se il termine sistema limbico è ancora usato per
riferirsi ai circuiti emotivi del cervello, la teoria del sistema limbico è stata oggetto di attacchi
per diversi motivi (Kotter e Meyer, 1992; LeDoux 1987, 1991, 1996; Swanson, 1983). In
primo luogo, non esistono criteri ampiamente accettati per decidere ciò che è e ciò che non
è una zona limbica. In secondo luogo, la teoria del sistema limbico non spiega come il
cervello produce le emozioni. Il punto molto probabile è localizzato in una vasta area del
prosencefalo, che si trova all’incirca tra la neocorteccia e l’ipotalamo, ma non tiene conto di
come aspetti specifici di una determinata emozione potrebbero essere mediati. Nella prima
parte del ventesimo secolo, i ricercatori hanno identificato l'ipotalamo come struttura chiave
nel controllo del sistema nervoso autonomo (Karplus e Kreidl, 1927). Sulla base di queste
prime osservazioni (Cannon e Britton, 1925), nel loro lavoro Cannon e Bard proposero una
teoria ipotalamica delle emozioni che consisteva di tre punti principali: (1) l'ipotalamo valuta
la rilevanza emotiva degli eventi ambientali; (2) l'espressione delle risposte emotive è
mediata dalla scarica degli impulsi che vanno dall' ipotalamo al tronco cerebrale; (3) le
proiezioni che vanno dall’ ipotalamo alla corteccia mediano l'esperienza emotiva cosciente
(Bard, 1928; Cannon, 1929). L’amigdala è un’ area molto importante del sistema limbico,
che tuttavia non ha assunto particolare rilievo fino al 1956, quando Weiskrantz ha
dimostrato che le componenti emozionali della sindrome di Klover e Bucy (Kluver and Bucy,
1937), una costellazione di conseguenze comportamentali determinate da danni al lobo
temporale, sono stati causa di un coinvolgimento dell’amigdala. Negli anni successivi alla
pubblicazione di Weiskrantz, una serie di studi condotti in molti laboratori hanno portato alla
conclusione che danni all'amigdala interferiscano con l'acquisizione e l'espressione della
paura condizionata (LeDoux, 2000; Maren, 2001). Uno dei primi modelli che ha riconosciuto
un’ importanza essenziale dell’amigdala nel determinare l’esperienza emotiva è quello di
LeDoux (1996). L’ amigdala costituisce un punto di raccordo tra il sistema nervoso centrale e
quello periferico. Essa ha importanti funzioni nella comprensione e valutazione della
situazione emotiva. L’amigdala riceve informazioni grossolane dal talamo sugli stimoli esterni
53
e informazioni di livello superiore dalla corteccia e informazioni ancora superiori dai sensi
riguardo la situazione generale dell’ ippocampo. Attraverso queste connessioni è in grado di
elaborare l’importanza emotiva di stimoli individuali o di situazioni complesse.
Come già ripetuto più volte i risultati di numerose indagini mostrano che le aree del SNC
coinvolte nelle emozioni sono sia regioni corticali ( aree frontali, temporali, parietali ) che
regioni sottocorticali ( gangli basali, talamo, amigdala e ippocampo). Queste aree sono
coinvolte in una grande varietà di emozioni positive e negative, come felicità, ansia, rabbia,
tristezza, disgusto (Borod, 2000; Lane et Nadel, 2000). Un corpo a sé stante di ricerche in
psicofisiologia ha invece cercato di identificare i patterns del sistema nervoso autonomo
coinvolti nell’emozione. Lo studio del collegamento tra correlati centrali e autonomi
dell’emozione è rilevante in numerosi campi d’ indagine tra cui neuroscienze affettive,
neurocardiologia, psicofisiologia e medicina comportamentale. Tuttavia solo pochi studi
hanno esaminato contemporaneamente le risposte del SNC e SNA durante l’emozione. Un
filone di studi ha suggerito essere l’emisfero destro dominante nel suscitare risposte
autonome durante l’emozione (Borod e Madigan, 2000; Gainotti, 1989; Wittling et
Roschmann, 1993). Tuttavia, altri ricercatori propongono modelli più complessi di
associazione tra risposta centrale e periferica legati all’emozione (Lane et Jennings, 1995;
Lane et Schwartz, 1987; Thayer et Lane, 2000), molti di questi modelli si concentrano su
interconnessioni sia corticali che sottocorticali. Poiché le ricerche che analizzano
contemporaneamente l’attività del SNC e SNA sulle emozioni sono scarse, è stato utile per
me analizzare il lavoro di Hagemann et al (2003) il quale va a raggruppare e ad offrire una
panoramica di questi studi. La meta-analisi di Hagemann et al. (2003) ha preso in
considerazione tutte quelle indagini che hanno misurato direttamente l’attività del SNC con
l’elettroencefalogramma (EEG), con i potenziali evocati (EP) e con tecniche di neuro
immagine, insieme all’utilizzo di misure di attivazione del SNA. Gli studi presentati hanno
utilizzato procedure diverse per indurre l’emozione: presentazione di filmati (Lane, Reiman,
Ahern, e Thayer, 2000), presentazioni di immagini con relativa espressione facciale (
Schneider et al., 1995), richiamo di episodi di vita personale (Waldstein et al., 2000),
anticipazioni di scosse elettriche (Slomine, Bowers, e Heilman, 1999), induzione ipnotica
(de Pascalis, Ray, Tranquillo, e D’ Amico, 1998). Gli studi descritti nella review di Hagemann
et al (2003) hanno utilizzato una varietà di variabili per misurare l’attività del SNA. Il SNA ha
due principali rami: il sistema nervoso simpatico e parasimpatico, i quali vanno ad innervare
organi viscerali, vasi sanguigni e ghiandole. La misura più utilizzata per rilevare l’attività del
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SNA è la frequenza cardiaca (HR), la quale viene regolata in maniera antagonista dai sistemi
simpatico e parasimpatico. Questa duplice influenza rende notevole l’ambiguità di
interpretazione delle risposte HR, ma l’inclusione di altre misure cardiovascolari può aiutare
ad evitare questo problema. Altre misure ampiamente utilizzate per misurare l’attività del
SNA, sono la pressione sanguigna, la quale è influenzata sia dall’attività simpatica che
parasimpatica e la conduttanza cutanea, la quale invece riflette soprattutto l’attività
simpatica. Alcuni studi hanno suggerito un ruolo critico dell’emisfero destro nel mediare la
risposta del SNA agli stimoli, tra questi lo studio di Slomine at al (1999) che ha dimostrato
una riduzione della frequenza cardiaca in risposta a stimoli piacevoli e spiacevoli in pazienti
cerebrolesi destri, rispetto ai cerebrolesi sinistri o a soggetti di controllo ( risultati analoghi
sono stati ottenuti da: Andersson et Finset, 1998; Caltagirone, Zoccolotti, Originale, Daniele,
Mammucari, 1989; Heilman, Schwartz, Watson, 1978; Meadows e Kaplan, 1994; Morrow,
Vrtunski, Kim, e Boller, 1981; Zoccolotti, Caltagirone, Benedetti, e Gainotti, 1986; Zoccolotti,
Scabini, Violani, 1982). Al contrario, studi recenti che hanno esaminato pazienti con lesioni
cerebrali più distinte, suggeriscono che la distinzione tra dominanza emisferica
destra/sinistra nei collegamenti tra sistema nervoso centrale e autonomo, in relazione alle
emozioni, sia troppo semplicistica. Tranel e Damasio (1994) nel loro studio suggeriscono al
contrario che entrambe le regioni emisferiche siano siti importanti per le reti neurali che
collegano stimoli emotivi e risposte del SNA. Tra i vari studi sulle lesioni, troviamo anche
quello di Bechara et al (1995), i quali osservarono che lesioni bilaterali dell’amigdala
impediscono l’acquisizione di risposte avversive condizionate e di un conseguente aumento
della frequenza cardiaca. Tuttavia gli studi su soggetti con lesioni, presentano non pochi
problemi, i campioni sono spesso limitati e poiché le lesioni non rispettano precisi confini
neuro anatomici (Kolb et Taylor, 2000) questi tipi di indagine comportano difficoltà
interpretative rispetto alla definita localizzazione di una funzione. La notevole plasticità del
cervello permette a seguito di una lesione il trasferimento della funzione, che ostacolerebbe
l’interpretazione dei risultati.
I risultati degli studi di neuro immagine suggeriscono un maggiore coinvolgimento delle
strutture sottocorticali emisferiche sinistre (amigdala, ipotalamo e talamo) nelle risposte del
SNA a stimoli emotivi, indipendentemente dalla loro valenza (Damasio et al, 2000 ). Risulta
quindi che gli studi di neuroimmagine puntano su un’attivazione sottocorticale sinistra
durante l’arousal emotivo, mentre le prove elettrofisiologiche suggeriscono un’attivazione
corticale destra almeno per le emozioni sgradevoli. Tale inversione di attivazione
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asimmetrica corticale/sottocorticale può essere spiegata con la funzione di due meccanismi
inibitori. In particolare, il meccanismo di inibizione omolaterale (Tucker, 1981; Tucker, 1984)
suggerisce che l’attivazione di una regione corticale determina l’inibizione di una struttura
sottocorticale efferente. Questa spiegazione è relativa al principio di “gerarchia
dell’integrazione attraverso l’inibizione” di Hughlings Jackson (Jackson, 1879; Tucker,
Derryberry, e Luu, 2000). Abbiamo inoltre il meccanismo di inibizione controlaterale
(Sackheim et al., 1982) il quale suggerisce che l’attivazione di una zona corticale porta
all’inibizione della corteccia omologa controlaterale. Il funzionamento in parallelo di
entrambi i meccanismi implica un’ inversione e un’ asimmetrica attivazione corticale e
sottocorticale come affermano Liotti e Tucker (1995). Tutte queste considerazioni possono
essere arricchite con un modello teorico più recente: quello di Thayer e Lane (2000)
sull’integrazione neuroviscerale nell’emozione. Questo modello propone una rete di
strutture neurali che generano, ricevono ed integrano informazioni interne ed esterne
necessarie per mettere in atto comportamenti diretti verso uno scopo e per l’adattabilità
dell’organismo. Una unità funzionale di questo modello è la rete centrale autonoma (CAN;
Benarroch 1993, 1997). Funzionalmente questa rete è una componente integrata di un
sistema di regolazione interna attraverso il quale il cervello controlla le risposte
visceromotorie, neuroendocrine, comportamentali, che sono fondamentali per adattare il
comportamento in direzione di uno specifico scopo (Benarroch, 1993). Strutturalmente il
CAN coinvolge un certo numero di strutture distribuite lungo tutto l’asse neurale, tra queste
abbiamo: la corteccia cingolata anteriore, insulare, prefrontale ventromediale, il nucleo
centrale dell’amigdala, l’ipotalamo, la materia grigia periacqueduttale, il nucleo
parabrachiale, il nucleo del tratto solitario (NTS), il nucleo ambiguo, il midollo ventrolaterale,
il midollo ventromediale, l’area tegmentale midollare. Tutte queste strutture sono
reciprocamente interconnesse in modo tale che il flusso di informazioni vada sia in direzione
top-down che bottom-up. La principale uscita del CAN è mediata dai neuroni pregangliari
simpatici e parasimpatici. Questi neuroni innervano il cuore attraverso le cellule stellate e il
nervo vago. La CAN ha anche caratteristiche tipiche di un sistema dinamico. Vi è un
crescente consenso sia all’interno che al di fuori delle neuroscienze cognitive che gli
organismi viventi siano dei sistemi dinamici di auto-organizzazione ( van Gelder, 1998). Ciò
ha importanti implicazioni per i tentativi di localizzare le funzioni specifiche di strutture
specifiche. In primo luogo, i sistemi dinamici e flessibili reclutano i componenti del sistema
in unità funzionali specifiche di contesto. Così qualsiasi elemento o struttura del sistema
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potrà servire numerose funzioni, ma non necessariamente funzioni fisse. In secondo luogo,
vi è una notevole sovrapposizione tra le funzioni e le strutture associate con una vasta
gamma di comportamenti. In terzo luogo nel contesto di un sistema dinamico, i processi
inibitori possono avere un ruolo di particolare importanza per rispondere ad un sistema
flessibile. A differenza del prevalente modello omeostatico, i modelli dei sistemi dinamici
propongono che il sistema funziona normalmente lontano dall’equilibrio. Di conseguenza dal
punto di vista dei sistemi dinamici, gli stati emotivi (o anche altri stati) possono assumere
una relativa stabilità nel costante flusso di interazioni individuo-ambiente. Poiché i
componenti del CAN sono reciprocamente interconnessi, questo permette di avere una
continua interazione di feedback positivi e negativi, i quali interagiscono con le risposte del
SNA. Inoltre, il CAN comprende una pluralità di percorsi paralleli, che consentono di
percorrere più strade per raggiungere la solita risposta “autonoma”. Il modello di
integrazione neuroviscerale propone che il CAN (o i sistemi correlati che sono stati
identificati da altri ricercatori, come la regione esecutiva anteriore di Devinsky, Morrell, e
Vogt, 1995; o il ''circuito emotivo'' di Damasio, 1998) costituisca una rete di strutture del
SNC, la quale è associata con i processi di organizzazione della risposta e di selezione e serva
per modulare risorse psicofisiologiche, soprattutto emotive e attentive (Friedman e Thayer,
1998; Thayer e Friedman, 1997). Cosi, secondo questo modello, il nucleo neurale alla base
della regolazione cognitiva, affettiva e fisiologica sarebbe soltanto uno. Strutture aggiuntive
possono essere reclutate in modo flessibile, al servizio di specifici adattamenti
comportamentali. Questo insieme di reti neurali interconesse tra loro in maniera sparsa,
consentono all’organismo la massima flessibilità e una capacità di adattamento rapida in
base all’evoluzione delle richieste ambientali. Quando questa rete è completamente
sganciata, o al contrario attaccata saldamente all’organismo, è meno in grado di assemblare
dinamicamente le strutture di supporto neurale necessarie a soddisfare una particolare
domanda; in questo caso diventa un sistema rigido e meno adattivo.
Sarebbe opportuno che la ricerca futura concentrasse maggiormente la sua attenzione nello
studio concomitante dei processi del SNC e SNA implicati nelle emozioni; nelle attività
corticali e sottocorticali, nei sistemi di risposta simpatico e parasimpatico durante l'induzione
di diversi emozioni e nelle condizioni di controllo. Questo approccio integrato contribuirà a
consolidare ed ampliare le nostre conoscenze sui concomitanti fisiologici della risposta
emotiva. Inoltre il modello di integrazione neuroviscerale nell’emozione, può avere
importanti implicazioni per lo studio di integrazione centrale ed autonoma. In primo luogo, il
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tentativo di localizzare le concomitanti corticali delle emozioni, apparentemente semplice,
può essere insostenibile. La letteratura suggerisce che un certo numero di strutture neurali e
cambiamenti del SNA siano associati a stati emotivi. Infatti, gli stessi patterns di attivazione
centrali ed autonomi, sono associati con emozioni diverse e qualche volta differenti strutture
del SNC e i cambiamenti del SNA sono associati con la stessa emozione. Questi risultati
possono essere riconciliati in sistemi contestuali dinamici, le cui strutture sono
dinamicamente organizzate per soddisfare le esigenze dell’individuo in specifiche situazioni. I
sistemi sani sono caratterizzati da questa complessità emotiva e diversità, mentre i sistemi
malsani mostrano attività perseverative e mancanza di complessità (Friedman et Thayer,
1998; Thayer et Friedman, 2002). Questa attività perseverativa riflette l’incapacità del
sistema di assemblare in maniera flessibile le strutture necessarie per rispondere alle
mutevoli esigenze ambientali. In futuro saranno necessari diversi metodi per esaminare la
dinamica dell’attività fisiologica che supporta gli stati emotivi. Le strutture neurali che
sostengono un comportamento emotivo non sono necessariamente diverse da quelle che
supportano altri tipi di comportamenti. Infatti, il comportamento di qualsiasi tipo esso sia è
certamente costruito sullo stesso substrato fisiologico. La vera sfida per i ricercatori è quella
di individuare i paradigmi sperimentali che ci permettano di esaminare il sistema in maniera
più integrata.
3.2 Emozione e differenze di genere
La saggezza popolare ritiene che le donne siano più “emotive” rispetto agli uomini. Questo
significa che le donne esprimono le loro emozioni più degli uomini? Oppure che le donne
sperimentano emozioni più forti rispetto agli uomini? Le donne hanno risposte fisiologiche
più forti rispetto agli uomini nelle situazioni emotive? Un consistente corpo di ricerche ha
dimostrato che le donne sono più emotivamente espressive rispetto agli uomini; tuttavia,
rimane poco chiaro se le donne abbiano un’esperienza emotiva maggiore rispetto agli
uomini e se mostrino maggiori cambiamenti fisiologici associati all’emozione. Lo studio di
Kring e Gordon (1998) ha affrontato due questioni principali. In primo luogo i due studiosi
hanno esaminato i domini espressivi, esperienziali, fisiologici dell’emozione in uomini e
donne per determinare se le donne sono davvero più “emotive” degli uomini o se sono solo
più emotivamente espressive. In secondo luogo hanno esaminato l’espressività familiare e le
caratteristiche di personalità in genere associate con la mascolinità e la femminilità, allo
scopo di determinare se queste caratteristiche potrebbero contribuire a spiegare le
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differenze espressive fra uomini e donne. I due ricercatori in maniera analoga a quella di
Gross e John (1997), concettualizzano l’ espressività emozionale come l’entità in cui gli
individui mostrano esteriormente le loro emozioni. Come già sottolineato più volte
l’emozione ha varie componenti: una componente comportamentale o espressiva, una
esperienziale o verbale, una componente fisiologica (Buck, 1994; Ekman, 1992; Gross et
Munoz, 1995; Izard, 1977; Lang, 1995; Levenson, 1994; Leventhal, 1984; Plutchik, 1993).
Quindi l’espressività emotiva si associa a dei cambiamenti di tutte queste componenti. Il
grado con cui le componenti espressive, esperienziali, fisiologiche, corrispondono l’una
all’altra, varia a seconda del numero di fattori sociali, culturali e situazionali (Adelrnann et
Zajonc, 1989; Ekman, Friesen, e Ellsworth, 1982; Lang, 1968; Lang, Bradley, e Cuthbert,
1990; Miller et Kozak, 1993). La letteratura sulla risposta emotiva negli uomini e nelle donne
è piena di studi che tuttavia esaminano solo una o due di queste componenti, solo pochi
studi ne valutano tutte e tre e le metodologie usate sono molto diverse. La componente
espressiva delle emozioni è stata la più studiata e, con poche eccezioni, i risultati indicano
che le donne sono emotivamente più espressive degli uomini (Ashmore, 1990; Brody et Hall,
1993; Hall, 1984). Diversi studi hanno notato come le donne siano più espressive degli
uomini utilizzando una varietà di misure espressive, tra cui: l’elettromiografia (EMG;
Greenwald, Cook, e Lang, 1989; Lang, Greenwald, Bradley et Hamm, 1993; Schwartz, Brown,
et Ahem, 1980), l’indice di accuratezza nella comunicazione (Buck, Baron, Goodman, e
Shapiro, 1980; Buck, Miller, e Caul, 1974; Buck, Savin, Miller, e Caul, 1972; Fujita, Harper, e
Wiens, 1980; Rotter e Rotter, 1988; Wagner, Buck, e Winterbotham, 1993; Wagner,
MacDonald, e Manstead, 1986; Zuckerman, Lipets, Sala Koivumaki e Rosenthal, 1975),
questionari autovalutativi sull’ espressione (Allen e Haccoun, 1976; Balswick e Avertt, 1977;
Gross e John, 1995; Kring et al., 1994), e la valutazione di una varietà di comportamenti non
verbali come sorridere e gesticolare (Barr e Kleck, 1995; Frances, 1979; Halberstadt, Hayes, e
Pike, 1988; Notarious e Johnson, 1982; Ragan, 1982; Riggio e Friedman, 1986). Anche se
abbastanza raro alcuni studi non sono riusciti a trovare delle differenze di sesso
nell’espressione emotiva (Cupchik e Poulos, 1984; Fridlund, 1990; Lanzetta, Cartwright-
Smith, e Kleck, 1976; Vrana, 1993; Wagner, 1990; Zuckerman, Hall, DeFrank, e Rosenthal,
1976). Anche se vi è un certo disaccordo in letteratura se le donne siano più espressive per
tutte le emozioni o solo per alcune, la maggior parte degli studi hanno trovato che le donne
sembrano essere più espressive per la maggior parte delle emozioni rispetto agli uomini. Gli
studi che indagano emozioni specifiche hanno scoperto che le donne sono più espressive per
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la tristezza (Allen e Haccoun, 1976; Balswick e Avertt, 1977; Fujita et al., 1980; Rotter e
Rotter, 1988; Schwartz et al., 1980; Zuckerman et al., 1975; Tucker e Riggio, 1988), il disgusto
(Fujita et al, 1980;. Rotter e Rotter, 1988; Tucker e Riggio, 1988; Wagner et al., 1993; Wagner
et al., 1986; Zuckerman et al., 1975), la paura (Allen e Haccoun, 1976; Rotter e Rotter, 1988;
Schwartz et al., 1980; Wagner et al., 1993; Zuckerman et al., 1975), la sorpresa (Fujita et al.,
1980; Wagner et al., 1993; Wagner et al., 1986; Zuckerman et al., 1975), la felicità (Balswick
e Avertt, 1977; Barr e Kleck, 1995; Frances, 1979; Fujita et al., 1980; Halberstadt et al., 1988;
Tucker e Riggio, 1988; Zuckerman et al., 1975 ) e la rabbia.
A questo punto, è importante notare che un certo numero di teorie sull’emozione e recenti
studi empirici suggeriscono che il comportamento espressivo di uomini e donne è
particolarmente suscettibile a modifiche a causa di vari fattori sociali (Buck, Losow, Murphy,
Costanzo, 1992; Ekman e Friesen, 1975; Ekman et al., 1982; Fridlund, 1994; Frijda, 1993;
Gross e John, 1997; Halberstadt et al., 1995; Kraut e Johnson, 1979; Levenson, 1994). Infatti,
l’espressività riveste una funzione informativa ed evocativa nel contesto sociale
(Keltner,1996). In particolare, il comportamento espressivo nelle situazioni sociali è
probabilmente influenzato da regole determinate socialmente e culturalmente; sarebbero le
norme sociali e culturali ad indicare come e quando esprimere le emozioni (Buck et al, 1992;.
Ekman, 1992; Ekman e Friesen, 1975; Ekman et al., 1982). Studi recenti hanno dimostrato
che la presenza di un’altra persona può modificare il comportamento espressivo. Ad
esempio, l’ espressività positiva sembra essere facilitata in presenza di altri familiari ( Buck et
al., 1992; Fridlund, 1990; Kring, Raniere, e Eberhardt, 1995), mentre l’ espressività negativa
sembra essere attenuata o inibita in presenza di persone sconosciute ( Buck et al., 1992;
Kring et al., 1995). Buck e colleghi (Buck, 1988; 1990; Buck et al., 1992) hanno sostenuto che
una situazione sociale va ad influenzare il comportamento espressivo, poiché la presenza di
un’altra persona va ad elicitare nuovi stimoli. Ogni persona porta nell’ambiente i propri
stimoli emotivi, la combinazione di questi stimoli influenza l’espressione comportamentale
di un individuo. Attualmente sono pochi gli studi in cui i ricercatori sono andati a manipolare
il contesto sociale allo scopo di rilevare variazioni nell’espressione emotiva di uomini e
donne. In questi pochi studi la socialità della situazione non ha influenzato in modo
differenziato il comportamento espressivo di uomini e donne (Fridlund, 1990; Fridlund,
Kenworthy, e Jaffey, 1992) o di giovani ragazzi e ragazze (Chapman, 1973; Yarczower e
Daruns, 1982). L’apparente vantaggio nell’espressione per le donne può riflettere
semplicemente la loro maggiore esperienza nell’emozione. Quindi le donne possono
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esprimere più emozioni perche fanno maggiormente esperienza di emozioni. Infatti, molte
teorie e ricerche supportano l’idea che, in generale, il comportamento espressivo e
l’esperienza emotiva siano positivamente correlati (Adel mann e Zajonc, 1989). Tuttavia, ci
sono vaste differenze individuali nel comportamento espressivo ( e nell’esperienza emotiva)
e queste differenze rendono la relazione tra espressione emotiva e l’esperienza più tenue
(Kring, Patel, e Bachorowski, 1996). Ekman (1992) ha suggerito che gli individui possono
avere soglie diverse nell’espressione delle varie componenti dell’emozione: espressiva,
esperienziale, fisiologica. Per quanto riguarda le differenze di genere, l’idea portata avanti da
molti studi, suggerisce che gli uomini possano avere una soglia più bassa per l’esperienza
emotiva di quanto invece non manifestino con l’espressione facciale. Un consolidato gruppo
di teorie suggerisce che maschi e femmine imparino regole diverse per l’espressione
dell’emozione, ma non necessariamente per l’esperienza emotiva (Brody, 1985). In generale,
i maschi imparano a nascondere i loro sentimenti, mentre le femmine imparano ad
esprimerli più liberamente ed imparano anche come controllare la loro espressività
comportamentale. Così, l’espressione delle emozioni sembra essere più fortemente
socializzata rispetto all’esperienza delle emozioni. Studi con bambini hanno dimostrato che
sia maschi che femmine riconoscono che in alcune situazioni, l’esperienza emotiva e
l’espressione emotiva non corrispondono l’una all’altra ( Saarni, 1979 ). Sia uomini che
donne differiscono nel comportamento espressivo, queste differenze potrebbero non
dipendere da differenze nell’esperienza emotiva. I dati empirici che confrontano la relazione
tra espressione emotiva ed esperienza emotiva in uomini versus donne, sono misti. Alcuni
studi hanno trovato che le donne, che sono più espressive, provano anche maggiori
emozioni rispetto agli uomini (Choti, Marston, Holston, e Hart, 1987; Greenwald et al., 1989;
Gross e Levenson, 1993; Schwartz et al., 1980), altri studi invece non hanno trovato alcuna
differenza di sesso nell’espressione e neanche nell’esperienza emotiva (Cupchik e Poulos,
1984; Lanzetta et al., 1976). Alcune volte quindi i risultati provenienti da questi studi sono in
contraddizione tra loro, bisogna anche considerare che spesso non sono state analizzate
tutte le varie componenti dell’esperienza emotiva. Tuttavia, le evidenze sviluppate
suggeriscono che gli uomini e le donne siano rinforzati differentemente per esprimere
l’emozione, ma non necessariamente per sperimentare emozioni; quindi sembra probabile
che gli uomini e le donne differiscono nel loro comportamento espressivo, ma non
necessariamente nell’esperienza emotiva. Inoltre solo pochi studi hanno esaminato la
differenza di genere nell’espressione fisiologica dell’emozione. Buck e colleghi (Buck et al.,
61
1974; Buck et al., 1972) hanno trovato che le donne, che erano più espressive, tendevano ad
essere meno reattive fisiologicamente (etichettate “esteriorizzatori”) e gli uomini, che erano
meno espressivi, tendevano ad essere più reattivo fisiologicamente (definiti
“interiorizzatori”). Altri studi, tuttavia, hanno trovato differenze di sesso e il rapporto tra le
misure fisiologiche e altri domini dell’ emozione. Ad esempio, Lang et al (1993) trovarono
che la conduttanza della pelle è più fortemente correlata all’attivazione maschile rispetto a
quella femminile. In sintesi, le donne sembrano essere più espressive rispetto agli uomini.
Come già accennato all’inizio di questo paragrafo ho preso in considerazione i due studi di
Kring e Gordon (1998), poiché questi due ricercatori hanno esaminato le differenza di
genere in base ai domini espressivi, esperienziali e fisiologici dell’emozione. E’ stata quindi
effettuata una valutazione completa delle componenti espressive, esperienziali, fisiologiche
dell’emozione in uomini e donne. I soggetti presi in considerazione in questi studi sono tutti
dei laureandi. Nello Studio 1 i soggetti hanno preso visione di film con forti contenuti
emotivi. Le donne avevano maggiori espressioni facciali rispetto agli uomini. Gli uomini
hanno mostrato una minor attivazione emotiva rispetto alle donne dopo film con contenuti
di paura e disgusto, suggerendo che gli uomini si sentivano più calmi e tranquilli rispetto alle
donne nella visione di questi film. Gli uomini si sono invece dimostrati più reattivi a film che
elicitano paura e rabbia. Questo studio ha mostrato che più gli uomini delle donne erano
internalizzatori, mentre più donne rispetto agli uomini erano esteriorizzatori. Uomini e
donne hanno mostrato di avere pattern diversi di conduttanza cutanea in risposta alle
pellicole. Nello Studio 2 i laureandi hanno preso visione di pellicole e successivamente hanno
compilato due questionari autovalutativi: il BSRI short form (Bem, 1979), un questionario
sulle caratteristiche dei ruoli di genere ed il FEQ (Halberstadt, 1986), questionario che
indaga come l’espressività familiare modera il rapporto tra sesso ed espressività. A questo
punto ci chiediamo di nuovo: è vero che le donne sono più emotive rispetto agli uomini? La
risposta non è né semplice né lineare. I risultati di questi due studi indicano che le donne
sono più espressive degli uomini. Tuttavia, le donne non segnalano di provare più emozioni
rispetto agli uomini. Uomini e donne differiscono nella loro reattività alla conduttanza
cutanea, ma questa differenza non necessariamente suggerisce che le donne siano più
emotive rispetto agli uomini. In che modo uomini e donne differiscono nelle loro risposte
emotive? Nei due studi le donne hanno mostrato più espressioni facciali rispetto agli uomini,
sia per le emozioni positive che negative. Inoltre dai dati dei questionari autovalutativi le
donne mostrano di essere più predisposte all’espressività emotiva. Sebbene questi risultati
62
sono compatibili con un numero di altri studi che hanno trovato le donne essere più
espressive rispetto agli uomini, la natura di queste differenze espressive non è stata ben
compresa. L’ attuale evidenza empirica su una maggiore espressività femminile non
consente tuttavia affermazioni più raffinate sulle differenze di sesso. Lo Studio 2 mostra che
l’espressività familiare è più fortemente correlata con l’espressività facciale femminile e
meno con quella maschile. Anche se l’espressività familiare era più fortemente legata
all’ espressività del viso per le donne rispetto agli uomini, le conclusioni sulla natura
dell'influenza (ovvero l’ espressività familiare porta ad una maggiore espressività individuale)
non può essere fatta a partire da questi dati. Tuttavia, l’espressività familiare sembra essere
importante relativamente a segnalazioni di espressività e di comportamenti espressivi
facciali per le donne.
63
CAPITOLO 4. CORRELATI VOCALI DELLE EMOZIONI
Le emozioni producono in maniera pervasiva, anche se di breve durata, cambiamenti
nell’organismo nel suo complesso. Questi cambiamenti rappresentano le reazioni agli eventi
di particolare rilevanza per l’individuo e mobilitano le risorse per far fronte alla rispettiva
situazione, positiva o negativa. La caratteristica più significativa del meccanismo emotivo è la
produzione di una specifica azione di prontezza, fornendo un periodo di latenza che ci
consente di adattarci alle reazioni comportamentali e alle richieste situazionali (Frijda, 1986;
Scherer et al, 1984; Scherer, 1986). Uno dei principali utilizzi del periodo di latenza delle
specie socialmente viventi è quello di prevedere la probabile reazione degli altri ad
un’azione. Così come dimostrato dal classico lavoro di Darwin sull’espressione delle
emozioni negli esseri umani e negli animali ( Darwin, 1965), l’espressione emotiva ha la vitale
funzione di esternare la reazione dell’individuo e la propensione all’azione e di comunicare
queste informazioni nell’ambiente sociale. Proprio come l’emozione è filogeneticamente
continua, e si trova in maniera più o meno rudimentale in tutte le specie di mammiferi, lo è
anche l’espressione emotiva, in modo particolare in quelle specie che hanno una vita sociale
basata su complesse interazioni tra individui. Tutte le modalità espressive, in modo
particolare, la postura del corpo, le caratteristiche del volto, la vocalizzazione, sono coinvolte
nella comunicazione emotiva. Per quanto riguarda l’espressione facciale, scienziati
comportamentisti e sociali, hanno fatto molti progressi nella raccolta di prove sulla
continuità filogenetica ( Redican, 1982), l’universalità attraverso le culture (Ekman, 1973,
Izard, 1971), e il ricco contenuto informativo delle emozioni nelle espressioni facciali (Ekman
et al, 1972). Anche se studiata meno frequentemente delle espressioni facciali, la
comunicazione vocale dell’emozione è stata esaminata sia dalle scienze biologiche che
psicologiche. La ricerca sugli animali ha dimostrato che in molte specie gli stati affettivi,
generalmente legati alla variazione dell’eccitazione fisiologica, sono esteriorizzati in vocalizzi
e servono specificamente a comunicare le funzioni, spesso coinvolte nei modelli acustici e
che sono simili tra le specie (Frijda, 1986; Scherer et al, 1984; Scherer, 1986; Darwin,
1965; Redican, 1982; Ekman, 1973; Izard, 1971; Ekman et al., 1972; Marler, 1984;
Scherer, 1988; Jfirgens, 1979; Marler et al., 1977; Morton, 1977; Scherer, 1985).
Kleinpaul (1972) ha insistito su una netta distinzione tra interazioni che si verificano
spontaneamente o esclamazioni che esprimono uno stato emotivo e chiamate o grida
intenzionalmente pronunciate per motivi comunicativi. Wundt (1900) fa risalire queste
articolazioni a urla e grida inarticolate, che accompagnano intensi sentimenti di rabbia,
64
avversione e paura. Kainz (1962 ) ha affermato come con il progresso della civiltà, le
emozioni siano espresse sempre meno per mezzo della “natura dei suoni”, piuttosto esse
vengono espresse attraverso interazioni che sono state assimilate nel linguaggio. Il
riconoscimento emotivo vocale mira ad identificare automaticamente lo stato emotivo o
fisico di un essere umano a partire dalla sua voce. Gli stati emotivi e fisici del parlante sono
noti come “aspetti emotivi del discorso” e sono inclusi nei cosidetti aspetti paralinguistici.
Sebbene il fattore emotivo non alteri il contenuto linguistico, è un importante fattore nella
comunicazione umana, poiché fornisce molte informazioni di feedback in svariate
applicazioni. Le prime indagini per creare una macchina capace di riconoscere le emozioni
estrapolandole dal discorso, avvengono intorno al 1980 e utilizzano proprietà statistiche di
determinate caratteristiche acustiche (Van Bezooijen, 1984; Tolkmitt e Scherer, 1986).
Scherer (1977) si è concentrato sulle funzioni dei frammenti prelinguistici nelle
vocalizzazioni affettive. I frammenti prelinguistici adempiono a tutte le funzioni sintattiche,
semantiche, pragmatiche e dialogiche del comportamento non verbale nella conversazione.
Scherer (1991) cita il lavoro etologico e mostra come espressione ed impressione siano
strettamente correlate ( Andrews, 1972; Leyhausen, 1967), suggerendo che, nel processo di
convenzionalizzazione e ritualizzazione, i segnali espressivi possono essere stati modellati da
caratteristiche di trasmissione, limiti degli organi sensoriali o altri fattori. La flessibilità del
codice comunicativo, potrebbe aver favorito l’evoluzione di un linguaggio più astratto e
simbolico e di sistemi musicali. Possiamo notare che questo sviluppo si è probabilmente
verificato in congiunzione con l’evoluzione del cervello. Proprio come le nuove strutture
corticali con modalità cognitive ad alto funzionamento si sono sovrapposte alle vecchie
strutture “emotive”, come il sistema limbico, l’evoluzione del discorso umano come un
sistema digitale di codifica e trasmissione delle informazioni, ha fatto uso dei più primitivi
sistemi di segnale vocale e analogico.
Intorno agli anni ‘90, l’evoluzione delle architetture informatiche ha determinato
l’implementazione di complicati algoritmi per il riconoscimento emotivo. Le caratteristiche
acustiche sono state stimate più precisamente da algoritmi iterativi: classificatori avanzati
che sfruttano le informazioni temporali proposte (Cairns e Hansen, 1994; Womack e Hansen,
1996; Polzin e Waibel, 1998). La vocalizzazione è un’ importante modalità di espressione
dell’emozione analogica. In un discorso, i cambiamenti della Frequenza fondamentale (F0),
formante la struttura o le caratteristiche della sorgente glottale, dipendenti dalla lingua e dal
65
contesto, servono per comunicare contrasti fonologici, scelte sintattiche, senso pragmatico,
o espressione emotiva. In maniera analoga nella musica, la melodia, la struttura armonica e i
tempi, possono riflettere le intenzioni del compositore e possono contemporaneamente
indurre forti stati emotivi (Copeland, 1959; Meyer, 1956; Seashore, 1967).
Se è stato dimostrato che le emozioni possono essere diagnosticate direttamente dalla voce,
allora le emozioni incidono chiaramente e in maniera differenziale sul meccanismo di
vocalizzazione. La voce umana non solo permette di identificare le emozioni di chi parla, ma
possono anche indurre stati affettivi in chi ascolta. Gli ascoltatori sarebbero in grado di
riconoscere correttamente lo stato emotivo di chi parla, anche solamente da segnali vocali,
indipendentemente da informazioni sul contesto situazionale, o altri segnali espressivi come
le espressioni facciali, i gesti, la postura.
La parola è un segnale complesso contenente informazioni riguardo lo speaker , il linguaggio
adottato, il messaggio espresso, le emozioni e così via. In genere le persone non hanno
difficoltà nel portare avanti un discorso di tipo neutro, mentre la prestazione diminuisce se il
discorso ha un rilevante contenuto emotivo. Ciò è dovuto alla difficoltà nel modellamento e
nella caratterizzazione di emozioni presenti nel discorso. La presenza delle emozioni rende il
linguaggio più naturale. In una conversazione, la comunicazione non verbale trasporta un’
informazione importante come l’intenzione del parlante. Oltre al messaggio veicolato
attraverso il testo, il modo in cui le parole sono esposte, trasmette informazioni essenziali
non linguistiche. Lo stesso messaggio di testo verrà trasmesso con semantiche diverse,
incorporando le emozioni appropriate. Il testo parlato può avere quindi diverse
interpretazioni. Quindi la comprensione del testo da solo, non è sufficiente per interpretare
la semantica di un certo enunciato. È importante che i sistemi vocali siano in grado di
elaborare le informazioni non linguistiche, come le emozioni, insieme al messaggio veicolato.
Gli esseri umani capiscono le intenzioni del messaggio percependo le emozioni sottostanti,
oltre che le informazioni fonetiche utilizzando segnali multimodali. Le informazioni non
linguistiche possono essere osservate attraverso: 1) espressioni facciali nel caso di un video,
2) espressioni di emozioni nel caso del parlato, 3) la punteggiatura nel caso di un testo
scritto. In questa sede mi concentrerò esclusivamente sulle emozioni e sulle espressioni
emotive legate al discorso vocale. Il discorso vocale è una delle modalità naturali che l’uomo
utilizza nelle interazioni. I sistemi vocali di oggi possono raggiungere prestazioni equivalenti a
quelle umane, quando riescono a elaborare le emozioni sottostanti in modo efficace
66
(O'Shaughnessy 1987). Lo scopo di sofisticati sistemi vocali non dovrebbe limitarsi a una
mera elaborazione dei messaggi, ma è quello di capire le intenzioni sottostanti di chi sta
parlando, rilevando le espressioni nel discorso (Schroder 2001; Ververidis and Kotropoulos
2006). Nel recente passato il processo di riconoscimento delle emozioni attraverso i segnali
vocali, è emerso come una delle aree di ricerca più importanti sul discorso parlato. I sistemi
vocali che sono stati sviluppati nel tempo sono molteplici: il riconoscimento vocale, il
riconoscimento dello speaker, la sintesi vocale, l’identificazione della lingua.
Il riconoscimento vocale dell’emozione ha diverse applicazioni nella vita di ogni giorno. È
particolarmente utile per migliorare le interazioni naturali tra uomo e macchina (Schuller et
al 2004;. Dellert et al 1996;. Koolagudi et al. 2009). Il sistema di riconoscimento delle
emozioni può essere utilizzato a bordo dell’auto, inserito nel sistema di guida, il quale riceve
informazioni riguardo lo stato mentale del guidatore e può consentire di mantenere uno
stato di allerta nel guidatore. Ciò contribuisce ad evitare alcuni incidenti, causati dallo stato
di stress mentale del conducente (Schuller et al. 2004). Le conversazioni dei call-center
possono essere utilizzate per analizzare il comportamento degli assistenti di chiamata con i
propri clienti e aiuta a migliorare il servizio (Lee e Narayanan 2005). I medici possono
utilizzare i contenuti emozionali del discorso di un paziente come uno strumento di diagnosi
per vari disturbi (France et al. 2000). In psicologia, i metodi di riconoscimento emotivo
vocale possono far fronte alla grande massa di dati vocali prodotti in tempo reale ed estrarre
le caratteristiche vocali che trasmettono emozioni e atteggiamenti in modo sistematico
(Mozziconacci e Hermes, 2000). L’ analisi dell’ emozione a partire della conversazione
telefonica tra i criminali aiuterebbe il dipartimento di crimine investigativo per le indagini.
L’analisi automatica dell’emozione può essere utile nei sistemi di traduzione automatica del
linguaggio, dove il discorso formulato in lingua X deve essere tradotto dalla macchina in
varie lingue Y. Le emozioni presenti nel discorso di origine devono essere riconosciute e le
stesse emozioni devono essere sintetizzate nel discorso di destinazione.
Gli esseri umani impongono la durata, l’intonazione e l’intensità, producendo un discorso.
L’incorporazione di questi vincoli prosodici (intonazione, durata, intensità) rende naturale il
linguaggio umano. La prosodia può essere vista come un’associazione di caratteristiche
vocali e di unità linguistiche più grandi come sillabe, parole e frasi. La prosodia è ciò che
struttura il flusso del discorso. La prosodia è rappresentata acusticamente mediante i
modelli di durata, intonazione ed energia. Essi rappresentano le proprietà percettive del
67
discorso, che sono normalmente utilizzate dagli esseri umani per realizzare diversi tasks
vocali (Rao e Yegnanarayana 2006; Werner e Keller 1994). L’ espressività emozionale umana
può essere catturata attraverso le caratteristiche prosodiche. La metrica può essere distinta
in quattro principali livelli di manifestazione (Werner e Keller 1994):
a) Livello di intenzione linguistica
b) Livello articolatorio
c) Livello di realizzazione acustica
d) Livello percettivo
A livello linguistico, la prosodia si riferisce a elementi linguistici diversi, correlati a un
enunciato e che consentono di far emergere le richieste con naturalezza. È il caso delle
distinzioni linguistiche che possono essere comunicate operando una differenza tra
domanda e affermazione, o l’enfasi semantica su un elemento. A livello articolatorio, la
prosodia si manifesta fisicamente come una serie di movimenti articolatori. Così le
manifestazioni prosodiche tipicamente includono variazioni nell’ampiezza dei movimenti
articolatori e variazioni di pressione nell’aria. La realizzazione acustica prosodica può essere
osservata e quantificata utilizzando l’analisi di parametri acustici come la frequenza
fondamentale (F0), l’intensità e la durata. Ad esempio, le sillabe che producono più stress
hanno maggiore frequenza fondamentale, maggiore ampiezza e maggiore durata rispetto
alle sillabe non stressogene. A livello percettivo la prosodia può esprimersi in termini di
esperienza soggettiva in chi ascolta, come le pause, la lunghezza, la melodia e il volume del
discorso percepito. È difficile elaborare o analizzare la metrica attraverso la produzione del
discorso, perciò le proprietà acustiche del discorso sono sfruttate per analizzare la prosodia.
Componenti quali: minimo, massimo, media, varianza, deviazione standard di energia e simili
caratteristiche, in questo campo sono utilizzate come importanti fonti di informazioni
prosodiche per discriminare le emozioni (Schroder, 2001; Murray and Arnott, 1995). La
presenza di alti e bassi nei profili di frequenza fondamentale, l’ intensità, la durata delle
pause ed i momenti di intensa attività, sono stati proposti per identificare le quattro
emozioni, cioè: paura, tristezza, rabbia, gioia.
Dalla letteratura, si osserva che, la maggior parte degli studi sul riconoscimento emotivo
mediante il parlato, vengono effettuati utilizzando caratteristiche statiche (globali)
dell’enunciato (Nwe et al 2003;. Schroder e Cowie 2006; Dellaert et al. 1996; Koolagudi et al.
2009; Ververidis et al. 2004; Iida et al. 2003). Solo pochi studi hanno esplorato il
68
comportamento dinamico (locale) dei patterns prosodici, per analizzare le emozioni
attraverso la vocalità (McGilloway et al., 2000; Rao et al. 2010). Rao et al (2007) hanno
eseguito un’analisi prosodica del parlato a vari livelli: frase, parola, sillaba; utilizzando solo i
principali parametri di ordine statistico e la prosodia di base. Sarebbe molto importante
studiare il contributo delle caratteristiche prosodiche statiche e dinamiche, estraendo dalla
frase, dalle parole, dalle sillabe, segmenti necessari al riconoscimento delle emozioni.
Tuttavia, nessuno degli studi esistenti ha esplorato i segmenti del discorso tenendo in
considerazione la posizione, allo scopo di individuare le emozioni. La possibilità di
riconoscere le emozioni da segmenti di parole più brevi può essere utile per verificare
l’emozione in tempo reale.
Le correnti di ricerca recenti sul riconoscimento emotivo del linguaggio parlato, enfatizzano
l’uso di una combinazione di caratteristiche diverse per ottenere un miglioramento delle
prestazioni di riconoscimento. Per caratteristiche diverse si fa riferimento a: fonte, sistema,
caratteristiche prosodiche, le quali sono di carattere complementare fra loro. Diversi studi
sulla combinazione delle caratteristiche hanno mostrato di riuscire a classificare al meglio le
emozioni, rispetto ai sistemi sviluppati utilizzando le caratteristiche individuali. Il ruolo della
qualità della voce nel veicolare le emozioni, stati d'animo e atteggiamenti, è stato studiato
da Gobl e Chasaide (2003) utilizzando le funzionalità spettrali e prosodiche. Le qualità vocali
considerate nello studio sono: voce dura, voce tesa, voce modale, voce ansimante, sussurro,
voce stridente. Lo studio ha riportato che, questi indicatori di qualità della voce sono più
efficaci nell’indicare le emozioni sottostanti (di tipo moderato), rispetto a emozioni piene.
Come si osserva dagli studi non c’è una mappa che ci consenta di associare la qualità della
voce ad una specifica emozione, piuttosto, una data qualità nella voce tende ad essere
associata a più emozioni (Gobl e Chasaide 2003).
In sintesi possiamo dire che oggi la maggior parte della ricerca sul discorso emotivo si
concentra sulle caratteristiche delle emozioni dal punto di vista della classificazione. Il
compito principale è quindi quello di estrapolare informazioni emotive dal parlato, ed usarle
per classificare le emozioni. Per prevedere le specifiche emozioni, sono stati sviluppati
modelli appropriati che utilizzano un corpus di emozioni molto vasto. In sostanza quindi, il
principale problema riguarda la progettazione di modelli di previsione accurati e la
predisposizione ad un adeguato corpus del discorso emotivo.
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L’espressione delle emozioni è un fenomeno universale che può essere indipendente dallo
speaker, dal genere e dal linguaggio. I modelli di riconoscimento dell’ emozione che sono
stati sviluppati utilizzando le espressioni di un particolare linguaggio, ma dovrebbero
produrre un buon riconoscimento nelle prestazioni per qualsiasi espressione di un’ altra
lingua. La maggior parte del lavoro svolto e dei risultati prodotti in letteratura, consiste nel
riconoscimento delle emozioni a partire dalla vocalità, utilizzando simulazioni di banche dati.
La sfida reale è quella di riconoscere le emozioni del parlato a partire da emozioni naturali.
Le caratteristiche e le tecniche discusse in letteratura possono essere applicate al naturale
corpus vocale, per analizzare il riconoscimento delle emozioni. Molto spesso in letteratura la
classificazione emotiva viene eseguita utilizzando modelli singoli ( ad esempio: GMM, AANN,
SVM). I modelli ibridi possono essere esplorati per studiare le performance in caso di
riconoscimento emotivo. L’idea base che stà dietro all’utilizzo di modelli ibridi è che le loro
evidenze derivano da prospettive diverse, e quindi, la combinazione di prove, potrebbe
incrementare le prestazioni se le prove sono complementari in natura.
L’andamento del riconoscimento emotivo non è chiaramente conosciuto nel caso di altre
lingue. Ad esempio sarebbe utile valutare le caratteristiche stabilite per il riconoscimento
emotivo nelle diverse lingue indiane. Ciò aiuterebbe a capire se i metodi e le caratteristiche
usate in letteratura sono indipendenti dalla lingua?
Lo studio sulla discriminazione emotiva può essere esteso alla dimensione delle emozioni
(arousal, valenza e potenza), le quali derivano dalla psicologia di produzione e percezione
delle emozioni. Essendo le caratteristiche del discorso legate alle dimensioni emotive,
possono essere esplorate per migliorare ulteriormente le prestazioni di riconoscimento.
L’espressione delle emozioni è un’ attività multimodale. Pertanto, altre modalità come
l’espressione del viso, i bio-segnali, possono essere usati come evidenze di supporto, insieme
ai segnali vocali, per lo sviluppo del robusto sistema di riconoscimento emotivo. L’
affettività dell’ espressione emotiva dipende anche dai contenuti linguistici del discorso.
L’identificazione di parole salienti nel discorso emotivo e di caratteristiche estratte da queste
parole insieme ad altre caratteristiche convenzionali, potrebbero migliorare le prestazioni di
riconoscimento dell’emozione.
Nelle applicazioni in tempo reale, tra cui l’analisi delle chiamate ai servizi di emergenza,
come l’ambulanza, i vigili del fuoco, la verifica delle emozioni per analizzare la genuinità delle
70
richieste è importante. In questo contesto, sotto il quadro della verifica delle emozioni,
possono essere esplorate appropriate caratteristiche e modelli. La maggior parte dei sistemi
di riconoscimento dell’esperienza emotiva al giorno d’oggi influenza fortemente le
informazioni specifiche dello speaker durante la classificazione emotiva.
La maggior parte delle attività di ricerca emotiva si sono concentrate sulle performance di
classificazione emotiva. In futuro, la ricerca sul discorso emotivo, potrà beneficiare
soprattutto della disponibilità di grandi raccolte di dati sul discorso emotivo e si concentrerà
sul miglioramento dei modelli teorici per la produzione del linguaggio (Flanagan, 1972) o dei
modelli relativi alla comunicazione vocale delle emozioni (Scherer, 2003). Infatti, le grandi
raccolte di dati che includono una varietà di espressioni dello speaker sotto diversi stati
emotivi, sono necessari al fine di valutare le performance di riconoscimento emotivo vocale,
mediante specifici algoritmi. Malgrado la vasta ricerca sul riconoscimento emotivo, la
standardizzazione di efficienti tecniche vocali che sfruttino le informazioni sullo stato
emotivo per migliorare il riconoscimento vocale, non sono ancora state sviluppate.
71
CAPITOLO 5. STUDIO ESPLORATIVO DEI CORRELATI VOCALI
DELL’EMOZIONE
Nel presente capitolo discriverò il lavoro sperimentale che ho condotto in collaborazione con
il Dipartimento di Ingegneria dell’ Informazione di Pisa. Nel primo paragrafo andrò a
descrivere il campione di soggetti e gli strumenti valutativi che sono stati somministrati, nel
secondo paragrafo analizzerò il paradigma sperimentale che abbiamo adottato . A seguito
descriverò in particolare su quali aspetti si è concentrata la mia analisi e quali parametri
vocali sono stati presi in considerazione. Infine riporto l’analisi dei dati effettuata e le
conclusioni dello studio esplorativo.
5.1 Il campione e gli strumenti
Il campione di soggetti utilizzato in questo studio è composto da 23 soggetti di età compresa
tra 21 e 28 anni, di cui la maggior parte sono studenti universitari. Precedentemente l’inizio
delle acquisizioni sperimentali vocali presso il Dipartimento di Ingegneria dell’Informazione
dell’ Università di Pisa, i soggetti hanno ricevuto via e-mail quattro questionari autovalutativi
che hanno dovuto compilare e rispedire. Tra i questionari scelti abbiamo:
TAS 20 : è uno questionario composto da 20 item ed è uno degli strumenti più comuni per
indagare l’alessitimia. L’alessitimia è un costrutto che indaga la difficoltà che alcune persone
provano nell’identificare e descrivere le emozioni e la tendenza a ridurre al minimo
l’esperienza emotiva, focalizzando l’attenzione all’esterno. La TAS 20 è costituita da tre
sottoscale: “ difficoltà a descrivere sentimenti”, “difficoltà ad identificare sentimenti”,
“pensiero orientato all’esterno” (Gagby et al, 1994).
CERQ : questa scala valuta 9 possibili strategie di regolazione emotiva che l’individuo adotta
in maniera più o meno incisiva a seconda dei casi. Strategie che il soggetto utilizza dopo aver
vissuto esperienze di vita negative. Le proprietà psicometriche del Cognitive Emotion
Regulation Questionnaire (CERQ), così come i suoi futuri rapporti con sintomi di depressione
e ansia, sono stati studiati in un campione adulto della popolazione generale. I risultati
hanno mostrato che la CERQ ha una buona validità fattoriale ed un’ alta affidabilità. Le nove
strategie cognitive di coping descritte, ognuna delle quali strutturata in 4 item, sono:
1) Auto colpevolizzazione: tendenza a colpevolizzare se stessi in merito alle esperienze
negative di cui il soggetto ha fatto esperienza.
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2) Accettazione: si riferisce alla tendenza ad accettare l’esperienza e a rassegnarsi a ciò
che è accaduto.
3) Ruminazione: concentrarsi ripetutamente sui pensieri e sentimenti negativi provocati
dall’esperienza vissuta.
4) Rifocalizzazione positiva: consiste in una modalità di pensiero più gioiosa e piacevole
riguardo gli eventi accaduti. E’ considerata una forma di “disimpegno mentale”, il
pensiero viene rifocalizzato sugli eventi accaduti in maniera più positiva.
5) Concentrarsi sulla Pianificazione: si riferisce al pensiero delle misure da adottare e a
come gestire l’evento negativo. Questa strategia costituisce la componente cognitiva
della focalizzazione all’azione.
6) Rivalutazione positiva: consiste nell’attribuire agli eventi accaduti un significato più
positivo in termini di crescita personale.
7) Messa in prospettiva: fa riferimento alla rilevanza di pensieri gravosi esperiti a
seguito di un evento, andando ad enfatizzare la loro relatività quando sono
comparati ad altri eventi.
8) Catastrofizzazione: si riferisce a pensieri che enfatizzano esplicitamente il lato
terribile di un’esperienza. Lo stile catastrofizzatorio appare essere correlato a
depressione, distress, deficit di adattamento.
9) Colpevolizzare gli altri: la colpa per le esperienze negative vissute viene attribuita agli
altri.
Le strategie cognitive di regolazione emotiva rappresentano una considerevole varianza di
fronte a problemi emotivi e sono state trovate forti relazioni tra le stretegie di : auto
colpevolizzazione, ruminazione, catastrofizzazione, in modo inversamente proporzionale con
la rivalutazione positiva, ed i sintomi di depressione e ansia; sia prima delle misurazioni che
dopo il follow-up. La CERQ potrebbe quindi essere considerata uno strumento valido e
affidabile nello studio del rischio individuale e dei fattori protettivi associati con problemi
emotivi; ci fornisce inoltre importanti obiettivi di intervento (Garnefski et al 2001; 2007).
LSPS: è una scala di eterovalutazione per la fobia sociale, essa abbraccia in maniera più
completa le difficoltà sociali e prestazionali che il disturbo comporta. È composta da 24 item,
di cui 13 che esplorano l’ansia prestazionale o di performance ed i rimanenti 11 l’ansia
sociale.
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Per ogni item vengono poi valutate, separatamente, l’ansia/la paura legate a ciascuna
situazione descritta ed il grado di evitamento. Si ottengono perciò 4 tipi diversi di
valutazione:
- paura/ansia prestazionale,
- evitamento della prestazione,
- paura/ansia sociale,
- evitamento sociale.
La scala si è dimostrata sensibile alle modificazioni indotte dal trattamento ed è stata
utilmente impiegata anche nelle situazioni fobiche simulate. La scala ha una buona
affidabilità e validità interna; si è dimostrata sensibile ai cambiamenti indotti dal trattamento
nei soggetti con fobia sociale ( Liebowitz, 1987).
TEST DI ZUCKERMAN: nel suo questionario Zuckerman ha definito i cinque fattori della
personalità o temperamento. Per Zuckerman il centro della personalità sarebbe il Sensation
seeking, vale a dire la ricerca di sensazioni forti, il continuo bisogno di esperienze e
sensazioni nuove. Alla base di questo costrutto vi sarebbero quindi cinque determinanti :
1) Nevroticismo - ansia
2) Attività
3) Socialità
4) Ricerca di sensazioni impulsive
5) Aggressività – ostilità
Gli item previsti nel questionario sono 99 e sono a risposta dicotomica. Secondo Zuckerman
ciò che caratterizza i disturbi gravi di personalità come psicopatie, condotte antisociali e
forme di ostilità paranoidea, sarebbe una combinazione di ricerca di sensazione impulsiva e
bassa socialità. Aspetti della personalità connessi alla ricerca di sensazioni si collegano con
una forte propensione ad assumere comportamenti rischiosi (Zuckerman, 2002).
74
5.2 Il paradigma sperimentale
L’analisi sperimentale ha visto partecipi 23 soggetti di età compresa tra i 21 e i 28 anni. Il
setting è costituito da una stanza in cui ogni soggetto entra singolarmente e deve sedersi ad
un tavolo davanti ad un microfono ( Figura 5). Di fronte a lui, dall’altra parte del tavolo
prendono posto i vari esaminatori e davanti a loro è stato posto un secondo microfono. La
somministrazione delle prove dura circa 40 minuti per soggetto. Ad ogni soggetto venivano
sottoposte cinque prove ognuna delle quali intervallate dalla somministrazione della STAI
short form (van der Bij, 2003), costituita da 6 item per la valutazione dell’ansia di stato. La
prima STAI viene sottoposta non appena il soggetto entra nella stanza per valutare la
condizione di ansia in cui si trova prima di prendere parte all’esperimento. Al termine di ogni
prova viene somministrata un’ ulteriore STAI short form al soggetto. Le istruzioni riguardo le
prove da eseguire vengono date di volta in volta prima dell’inizio di ogni prova.
1° PROVA: LETTURA DI UN TESTO NEUTRO. Il soggetto deve leggere per 3 minuti, a voce alta,
mentre è solo nella stanza, la “Dichiarazione d’ Indipendenza degli Stati Uniti”.
2° PROVA: DESCRIZIONE DI IMMAGINI. Vengono date al soggetto 5 immagini appartenenti al
TAT (Tematic Apperception Test), nonostante questo sia un test proiettivo, esso non è stato
utilizzato per effettuare un’ analisi psicologica, ma esclusivamente per un analisi vocale
essendo immagini contenenti forti contenuti emotivi. Al soggetto venivano dati 3 minuti di
tempo per descrivere le immagini, se riusciva ad impiegare meno tempo la registrazione
veniva interrotta prima. La descrizione delle immagini avviene davanti a due esaminatori.
3° PROVA: TRIER. Il trier ( Kirshbaum, 1993) è un protocollo di induzione in laboratorio, di
moderato stress psicologico. Esso è costituito da due prove:
A) SIMULAZIONE DI UN COLLOQUIO DI LAVORO: il soggetto viene lasciato 10 minuti da solo
nella stanza con il compito di preparare un colloquio di lavoro che dovrà sostenere una
volta trascorsi i 10 minuti e all’entrata di una commissione nella stanza (costituita da i
due sperimentatori che il soggetto aveva già visto in precedenza e da un nuovo
esaminatore). Il soggetto ha il compito di utilizzare 5 minuti di tempo, durante i quali la
commissione non potrà interagire con lui, nei quali dovrà presentarsi e convincere i
membri ad assumerlo. La commissione non può interagire neanche di fronte a delle
domande da parte del soggetto. Solamente se il soggetto resterà in silenzio per almeno
75
20 secondi, allora uno dei membri della commissione fornirà piccoli input, ad esempio
“manca ancora 1 minuto”, “ha ancora del tempo a disposizione”.
B) COUNT-DOWN: la seconda parte del protocollo consiste nell’effettuare un conto alla
rovescia partendo da 1022 sottraendo 13 ogni volta, con l’obiettivo di arrivare a 0. Il
soggetto ha a disposizione 5 minuti, ogni volta che sbaglierà, l’esaminatore farà un gesto
e il soggetto dovrà ripartire con il conteggio da 1022.
Il TAT e il TRIER sono stati somministrati in maniera alternata ai soggetti, prima l’uno poi
l’altro.
4° PROVA: SECONDA LETTURA DEL TESTO NEUTRO. Il soggetto riprende la lettura della
“Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti” dal punto in cui si era fermato. La lettura si
svolge di nuovo nell’arco di 3 minuti, a voce alta ed il soggetto viene lasciato solo nella
stanza.
Figura 5: Setting sperimentale. Dipartimento di Ingegneria dell’ Informazione
76
5.3 L’obiettivo dello studio esplorativo
Il mio studio esplorativo non è che un lavoro preliminare che fa parte di una ricerca più
ampia sui correlati vocali ed emotivi che ho svolto in collaborazione con il Dipartimento di
Ingegneria dell’ Informazione dell’ Università di Pisa. Per motivi sia di spazio che concettuali
in questo lavoro mi sono concentrata sull’ inquadramento solo di alcuni aspetti. I parametri
su cui mi sono concentrata in questo lavoro di tesi fanno riferimento principalmente alla
regolazione emotiva e all’ alessitimia. I parametri oggettivi utilizzati nello studio sono i
correlati vocali, mentre come correlati psicologici i principali che ho tenuto in considerazione
sono l’alessitimia e la regolazione emotiva. L’obiettivo del nostro studio consiste nel valutare
se i parametri dell’analisi vocalica correlano con i nostri punteggi ai questionari sull’
alessitimia e sulla regolazione emotiva. Vogliamo vedere se il modo di essere alessitimici, o
le varie strategie di regolazione emotiva più o meno adattive, utilizzate, si riverberano sul
correlato vocale. Per avere una descrizione più precisa e una caratterizzazione più completa
usiamo anche i punteggi delle scale di Zuckerman e della LSPS. La somministrazione di 6 STAI
short form per soggetto durante il corso della somministrazione delle prove è inoltre
assolutamente importante, poiché ci consente di rilevare le variazioni di ansia del soggetto
durante il corso delle prove ed anche la componente ansiogena verrà rilevata tramite i
correlati vocali.
5.4 L’ analisi vocale
Nel lavoro sperimentale le registrazioni vocali sono state effettuate attraverso microfoni
AKG P220 condenser, con scheda audio M-audio fast track, campionati a 44 Hz. Da un
tracciato vocale si possono estrarre due tipi di segnali: vocalizzati e non vocalizzati. In questo
studio le feature estratte dal segnale vocale sono generalmente estrapolate dai segnali
vocalizzati, e quindi dai suoni vocalizzati. I segnali vocalizzati hanno un’ andamento
semiperiodico e un’intensità maggiore rispetto a quelli non vocalizzati. Tutti i suoni prodotti
dall’uomo dipendono dalle proprietà acustiche, dinamiche e statiche, del tratto vocale. In
particolare i suoni vocalizzati sono quei suoni la cui produzione è determinata dall’azione
delle corde vocali. Infatti, le corde vocali muovendosi, vanno a produrre quelle che sono le
onde acustiche semi-periodiche che vengono intercettate dal nostro orecchio e dal
microfono durante la fonazione. Per questo motivo quello che principalmente viene estratto
dai segnali vocalizzati è un parametro, chiamato frequenza fondamentale o F0, che altro non
77
è che una stima della frequenza a cui vibrano le corde vocali durante la loro fonazione. Il
pitch, tono, è il correlato acustico della F0. Maggiore è la F0 e più alto è il tono. Di solito si
studia come varia la frequenza fondamentale nel tempo. Come varia questa oscillazione.
Nelle donne in genere la frequenza è più alta, mentre gli uomini generalmente hanno un
tono più basso. La frequenza fondamentale è legata alla frequenza con cui si muovono le
corde vocali. Nelle donne in genere è più piccola la dimensione delle corde e di conseguenza
è più alto il tono.
5.6 L’analisi dei dati
Prima di procedere all’estrazione della F0, è necessario quindi effettuare l’individuazione e la
successiva segmentazione dei segnali vocalizzati. A tale scopo è stato utilizzato l’algoritmo
descritto in Vanello et al. (2012). Sui segmenti vocalizzati quindi è stato applicato l’algoritmo
SWIPE’ di Camacho descritto in Camacho e Harris (2008). L’algoritmo SWIPE’ mediante un
approccio nel dominio frequenziale va a stimare la F0 ogni 4 cicli di apertura/chiusura della
glottide, restituendo una serie di stime della F0 in funzione del tempo per ogni segmento
vocalizzato. Da questa serie di stime della F0 sono state estratte quindi tutte una serie di
statistiche relative all’F0 e alla sua derivata. Il numero finale di feature è quindi 39. La
correlazione tra il valor medio di ognuna della 39 feature e il punteggio di ognuna delle 20 ( +
6 short STAI) è stata calcolata tramite il metodo di Spearman. A questo punto è sorto un
problema di correzione dei p-value ottenuti, dato l’alto numero di test svolti. E’ emerso a
questo punto che, alcune scale, e relative sotto scale, sono correlate tra di loro come
mostrato nella seguente figura:
78
E’ stato quindi deciso di selezionare un’unica sotto-scala per ognuna delle scale, scegliendo
quella che mostra una variabilità maggiore. Le scale scelte sono: TAS20, CERQ-Accettazione,
LSPS-totale, ZKPQ_tot imp-SS, ed il 5° short stai. Di seguito è riportata la matrice di
correlazione delle sotto-scale scelte:
E’ stato deciso di diminuire il numero delle feature estratte dai segnali vocali. E’ importante
dire a questo punto che la selezione della feature non è stata eseguita in maniera ottimale
dato che il metodo richiederebbe un numero di soggetti maggiore.
Le feature selezionate sono:
1. median(F0): il valore mediano della F0, che può essere considerato come
un'indicazione del tono medio del soggetto;
2. two_by_two: è una indice di variazione media della F0 tra stime non successive.
Questo parametro va a intercettare variazioni più lente rispetto al successivo
parametro che è il jitter;
79
*100
3. jitter: è una indice di variazione media della F0 tra stime successive. Esso va a
valutare la variabilità del ciclo glottico. Il jitter può dipendere da molte cause
fisiologiche, tra cui: piccole variazioni o asimmetrie nella tensione dei muscoli
fonatori, fluttuazioni della pressione sottoglottica, o variazioni casuali nel flusso
d'aria che attraversa la glottide, perturbazioni nelle innervazioni muscolari, presenza
di muco sulle corde vocali, variazioni della quantità di sangue nella regione lungo il
ciclo cardiaco, e/o interazioni del muscolo laringeo con i movimenti della lingua. Così,
tali perturbazioni nella frequenza sono necessariamente una caratteristica normale
nella fonazione umana; infatti, le voci sintetizzate senza perturbazioni suonano
meccaniche o artificiali. In letteratura il jitter è stato visto essere correlato alla
depressione. Infatti nei soggetti depressi si è visto che questo parametro ha un valore
più alto rispetto ai soggetti in stato eutimico. Studi effettuati su soggetti affetti da
Parkison, rilevano come il jitter sia più alto in questi soggetti che in soggetti di
controllo. In molti lavori il jitter è studiato pure in riferimento a compiti di emotion
recognition.
A questo punto è stato usato come metodo di correzione dei p-value il metodo di Benjamini-
Hochberg.
Come già detto in precedenza, il mio studio esplorativo fa parte di una ricerca più ampia non
ancora del tutto ultimata; quindi per motivi di spazio e contestuali ho tenuto in
considerazione solo gli aspetti legati all’alessitimia e alla regolazione emotiva, quindi relativi
ai punteggi dei soggetti per la TAS 20 e per la CERQ. Le correlazioni tra analisi vocale ed LSPS,
ZKPQ e STAI verranno approfondite in futuro.
Riporterò di seguito i coefficienti di correlazione (R di Spearman) relativi ad un p- value
significativo (p < 0.05) corretto per comparazioni multiple con il metodo del False Discovery
80
Rate (FDR) di Benjamin Hochberg, in riferimento alle quattro modalità di acquisizione delle
registrazioni vocali.
PRE
TAS 20 CERQ
2) Accettazione
4 1 median(F0)
0 0
7 two_by_two
-0,5330581 0
16 1 jitter
-0,512397 0
POST
TAS 20 CERQ
2) Accettazione
4 1 median(F0)
0 0
7 two_by_two
0 0
16 1 jitter
0 0
TAT
TAS 20 CERQ
2) Accettazione
4 1 median(F0)
0,5712813 0
7 two_by_two
0 0
16 1 jitter
0 0
COLLOQUIO
TAS 20 CERQ
2) Accettazione
4 1 median(F0)
0 0
7 two_by_two
0 0
16 1 jitter
0 0
81
5.7 Discussione dei risultati
L’analisi dei dati mostra risultati significativi per alcune prove ma non per altre. L’analisi
statistica effettuata è un’analisi di correlazione che come risultato da un r di Spearman tra
punteggio della scala e features estratte. I risultati sono corretti per falsi positivi.
Come è possibile notare dall’analisi dei dati abbiamo dei risultati significativi per la TAS 20
ma non per la CERQ. I risultati della TAS 20 si collocano in maniera inversamente
proporzionale ai correlati vocali analizzati. Attraverso l’analisi vocale possiamo quindi
estrarre dei parametri significativi della capacità/incapacità di descrivere ed indagare le
emozioni (TAS20). Alcune delle nostre prove, più di altre, fanno emergere dall’analisi vocale i
tratti più o meno alessitimici dei soggetti. Mentre per quanto riguarda la sottoscala di
accettazione presa in considerazione nella CERQ, questa possibilità non sussiste. Non è stata
trovata una relazione fra la capacità di accettazione degli eventi negativi che ogni individuo
vive nel corso della propria esistenza e i correlati vocali indagati a seguito delle registrazioni.
Essendo questo studio un lavoro preliminare parte di un progetto più ampio, è difficile anche
tentare di dare un’interpretazione del significato psicofisiologico dei nostri risultati. Al
momento attuale, riteniamo più corretto considerare i nostri risultati come una prova
concettuale della possibilità di studiare con parametri periferici ed in particolare, con la
voce, caratteristiche psicologiche di tratto come i fattori di personalità.
Per tentare di ampliare il respiro dei nostri risultati riteniamo necessario compiere i seguenti
passi futuri:
1. Ampliare il numero di soggetti in modo da ottenere un potere statistico maggiore.
Questo ci consentirà di analizzare più sottoscale e, inoltre, amplierà la variabilità
disponibile per ciascuna singola sotto-scala.
2. Studiare la possibilità di sviluppare e testare nuovi test per la voce e nuovi parametri
da analizzare, in modo da poter ampliare le possibilità di analisi e aumentare, in
teoria, il numero di variabili psicologiche studiate.
3. Capire quali relazioni ci sono fra le diverse sotto-scale allo scopo di studiare un modo
per poterle riassumere in un unico indice.
4. Effettuare il test di permutazione /randomizzazione per stimare meglio il valore del
coefficiente di correlazione.
82
5.8 Conclusioni
Le emozioni e la capacità di regolarle sono un elemento centrale, quotidiano, nella nostra
vita e la capacità di riconoscerle, regolarle, gestirle e riuscire a darne un significato è di
fondamentale importanza per una vita interiore e relazionale sana. Come ho descritto nel 2°
capitolo la presenza di una psicopatologia si collega sempre ad una difficoltà di gestione
emotiva, oltre a tutti i vari aspetti che caratterizzano nello specifico la patologia in
questione. Attorno al costrutto di emozione e regolazione emotiva, ruotano molti altri
costrutti ad esso connessi, tra cui: l’alessitimia, i tratti di personalità, l’ansia, tutti costrutti
presi in analisi nello studio esplorativo, con lo scopo di indagare una relazione fra questi e i
correlati vocali analizzati a seguito di registrazioni in laboratorio. Come descritto nell’analisi
dei dati il mio studio sperimentale non è che un studio esplorativo che ha preso in
considerazione alcuni aspetti e facente parte di una ricerca molto più ampia non ancora
conclusa e ultimata. Per quanto la ricerca abbia bisogno di un ampliamento del campione, di
ulteriori indagini, di una presa in considerazione di tutte le sottoscale dei test proposti,
possiamo già fare importanti conclusioni. Innanzi tutto questo è il primo studio che dimostra
la capacità di un parametro oggettivo periferico di descrivere un parametro psicologico e
questo è già un dato di grande rilevanza nonostante gli approfondimenti che dovranno
essere effettuati in futuro.
I risultati preliminari evidenziano una relazione tra parametri psicofisiologici (l’alessitimia) e
le caratteristiche periferiche (la voce); questo apre uno scenario molto affascinante. Le
prospettive future diventano interessanti, capire la condizione mentale del soggetto in base
alla voce, trarre informazioni riguardo le sue caratteristiche mentali, riguardo alcuni tratti
che lo contraddistinguono, attraverso un’analisi vocale è qualcosa di assolutamente
innovativo. Interessanti prospettive future si aprono sia per la rilevazione dei disturbi
mentali, sia per la loro valutazione al follow-up.
83
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